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In Copertina:

Venaus Notav 8 dicembre 2005

Alta velocità

E’ sempre una questione di prospettive

Pace, guerra e morale

Aspettando Mirabello

I pendolari stanno ancora aspettando

Dal Tav ai pendolari

Voglia di libertà

luglio-agosto 2011

Periodico indipendente di politica e cultura di area FLI

Pi

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O s s e r v a t o r i o

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La Giunta Regionale, unanime ha quindi deliberato quanto segue: - di provvedere alla costituzione di un “Comitato di coordinamento”, che promuova e verifichi in itinere lo sviluppo della progettazione di un nuovo collegamento ferroviario veloce Torino-Lione affinché essa sia correttamente integrata con le esigenze di riqualificazione territo-riale e con la tutela dell’ambiente attraversato. Tale Comitato sarà costituito dai seguenti Enti: - Regione Piemonte - Provincia di Torino - Comune di Torino - Comunità Montana Alta Valle di Susa - Comunità Montana Bassa Valle di Susa avrà la partecipazione di - Ferrovie dello Stato S.p.A. - Organizzazioni Sindacali - GEIE-Alpetunnel

- Unione Industriale di Torino - Camera di Commercio di Torino; con il diretto intervento dei singoli Comuni quando i problemi trattati ne richiedano la partecipazione. - di assumerne la segreteria tecnica ed il coordinamento delle attività; - di attribuire al suddetto “Comitato di Coordinamento” i seguenti com-piti: a) indicare gli opportuni indirizzi affinché la progettazione del poten-ziamento ferroviario sia coerente con gli obiettivi di tutela e riqualifi-cazione del territorio, dell’ambien-te, dello sviluppo dell’economia delle aree attraversate ed in parti-colare della Bassa Valle di Susa; b) verificare in itinere che le ipotesi progettuali prodotte e proposte, rispondano alle esigenze socio-economiche e territoriali della valle. Tali verifiche dovranno essere ef-fettuate attraverso l’esame delle

Alta Velocità Torino Lione

Enzo Gino

Record mondiale: venti anni per non costruire una ferrovia

La Maddalena - Chiomonte 2011

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possibili alternative di tracciato, utilizzando come strumento la me-todologia della valutazione di im-patto ambientale; c) attuare un’opportuna azione di coordinamento di tutte le iniziative di studio avviate o già prodotte dai vari soggetti ed Enti istituzionali; d) ricercare e definire le garanzie, le mitigazioni e le compensazioni a favore delle Comunità locali, deri-vanti dalla realizzazione dell’opera. Bella vero? Sembra raccogliere tutte le esigen-ze di partecipazione alla realizzazio-ne dell’opera, al lettore manca solo una informazione: la data della deliberazione. Si tratta della DGR 249-44375 del 27 marzo 1995: se-dici anni fa. Ed indovinate chi era-no i relatori della delibera: tali Ugo Cavallera e Mercedes Bresso ! Ma già prima di allora si erano sprecati studi, progetti, tavoli con tutti gli aggettivi immaginabili: - tavolo tecnico-politico presieduto dall’allora vicepresidente della Re-gione Piemonte della giunta Ghigo William Casoni, - Comitato di moni-toraggio dei sondaggi geognostici - Tavolo di concertazione presieduto dall’assessore regionale Borioli del-la giunta Bresso - la Commissione Rivalta, - la pre-Conferenza di Ser-vizi. E poi gli istituti ancora oggi operati-vi: - la Commissione Virano - il ta-volo di Palazzo Chigi, oltre alle Con-ferenze di Sevizi ed alla CIG (Conferenza Intergovernativa Italo-Francese). Non parliamo poi dei tecnici che

hanno esaminato i progetti: sono centinaia probabilmente superano il migliaio. Nella stragrande maggio-ranza funzionari e dirigenti pubblici che hanno esaminato, sviscerato modificato, integrato i diversi pro-getti che di volta in volta venivano presentati, approvati e irrimediabil-mente bocciati a suon di manifesta-zioni dalla piazza valsusina. Si sono persino fatti partiti Notav che in verità non hanno mai raccol-to un grande consenso, 9.000 voti in tutta la provincia di Torino, ed anche nei comuni interessati dal Tav, pur con percentuali interes-santi, non hanno mai ottenuto la maggioranza. La vicenda del cunicolo esplorativo della Maddalena in quel di Chio-monte che si ripropone oggi come nel 2005 a Venaus è anche emble-matica dello stato della politica ita-liana e delle istituzioni. Al di là dei legittimi pareri che cia-scuno può avere sulla vicenda pro o contro il Tav, è nuovamente in discussione se organismi democra-ticamente eletti, ci riferiamo alla Provincia di Torino, alla Regione Piemonte, al Parlamento italiano ed all’Europarlamento, che hanno san-cito che la ferrovia debba essere realizzata, possano fermarsi di fronte alla contestazione della piaz-za in cui una minoranza, a prescin-dere, non vuole realizzare l’opera. Mai come in questa opera si è cer-cato il coinvolgimento e la parteci-pazione e mai si è assistito a rifiuti così ostinati e pregiudiziali. E’ accaduto a tutti di non condivi-

dere scelte fatte dalle pubbliche amministrazioni, è accaduto a tutti di esprimere dissenso, sempre do-veroso se si ritiene di esser nel giu-sto, ma mai si deve tentare di ro-vesciare con la piazza le scelte fat-te da organismi democraticamente eletti. Si badi bene che spesso, purtroppo specialmente nella nostra bella Ita-lia questo accade, ciò non toglie che noi siamo “a prescindere” dalla parte delle istituzioni democratiche. L’unico modo per far fare, o non far fare, una legge o un’opera è quello di convincere chi ha l’autori-tà conferita dalla maggioranza dei cittadini a non farla ricorrendo agli istituti previsti dalle leggi: siano essi le elezioni piuttosto che i refe-rendum e noi aggiungiamo anche un altro strumento che a qualcuno farà attorcigliare il naso: il lobbi-smo, ma di questo scriveremo in altro articolo. D’altra parte se in venti anni di lot-te, battaglie, iniziative Notav d’ogni genere non si riesce a convincere, non diciamo la maggioranza dei cittadini, ma nemmeno quei sog-getti tradizionalmente vicini alle istanze della piazza, leggi sindacati, partiti di sinistra, scusate ma di cosa stiamo parlando? Di una ferrovia!. Sì perché per quanto lo si voglia caricare di significati il Tav è una ferrovia costruita con le migliori tecnologie che l’evoluzione scienti-fica consente. Anzi a dire il vero la tecnica è persino più avanti, basta pensare ai treni a levitazione ma-

Tracciato del Tav tratta internazionale

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gnetica già realizzati in giro per il mondo. Non ci sono, né ci saranno mai, valli distrutte dalla realizzazione di una ferrovia, specialmente se que-sta corre quasi totalmente sottoter-ra. L’Italia è l’unico stato al mondo in cui si costruiscono le gallerie persino in… pianura. Non ci saran-no migrazioni di massa per fuggire da una Valle disastrata da anni di lavori, è appena il caso di segnala-re che il Passante di Torino è inizia-to nel 1984 ed ha ancora cantieri in corso, in città; è appena il caso di ricordare che da anni la valle di Susa subisce una crisi economica più grave di tante altre valli e realtà piemontesi e che probabilmente qualche cantiere specialmente se opportunamente gestito con le in-novazioni introdotte dalla legge regionale Cantieri Sviluppo Territo-rio (L.R. 4/2011), non può fare al-tro che bene a questa valle. Non crediamo che Grandi opere implichino inevitabilmente presenze di Mafia e Camorra anche se siamo coscienti che il rischio esiste. Si vigili, si intervenga se necessa-rio, ma non si può abdicare dalla realizzazione delle grandi opere perché lo Stato non sa reprimere l’illegalità. Sarebbe gravissimo si-gnificherebbe sancire la morte dello stato di diritto. L’alternativa sareb-be la legge del più forte e dubitia-mo seriamente che in simile conte-sto i Notav troverebbero maggiore ascolto di quello che hanno avuto i n o l t r e v e n t i a n n i d i “concertazioni”. Sarà lapalissiano ma la legge del più forte favorisce i più forti, ed i più forti non sono i cittadini, gli operai, i lavoratori o i disoccupati le donne e gli uomini “della strada” e nemmeno i conte-statori.

L’unica alternativa allo stato di di-ritto è la barbarie, che vesta i panni di politici o colletti bianchi corrotti o corruttori concussi o concussori, degli emarginati violenti, dei politi-cizzati rivoluzionari, eversivi o sov-versivi, degli estremisti di al-Qaeda, poco importa. E vogliamo chiarire ancora un altro concetto, riteniamo esista e debba esistere, un solo soggetto legitti-mato, nelle forme previste dalla legge, all’uso della forza: lo stato. E’ un principio importante, perché le umane vicende ci hanno inse-gnato che capita, sempre troppo spesso, che il ricorso alla forza sia l’unica strada per ripristinare il dirit-to. Di questo dobbiamo rendere merito a tutti coloro che hanno scelto, talvolta per necessità, l’in-grato lavoro di difendere il diritto e lo stato di diritto: le forze dell’ordi-ne, la magistratura. Il fatto che anche loro, come tutti, possano sbagliare non sposta di una virgola l’inevitabile necessità della loro funzione. Ad oggi non sappiamo ancora co-me andrà a finire la vicenda del Tav, non siamo sicuri che si farà, così come non sono mai state fatte altre grandi opere necessarie, o non sono state fatte riforme “ineludibili”, così come non siamo certi che si troveranno i soldi ne-cessari. Comunque andrà a finire la vicenda Tav non possiamo fare a meno di rilevare che su questa vicenda è fallimentare e sappiamo anche che, diversamente dal successo i falli-

menti non hanno padri. Senza cercare padri ci limitiamo a riportiamo integralmente l’articolo pubblicato su La Repubblica del 2 novembre 2005 a firma di Vera Schiavazzi, in pieno bailamme per i primi scontri sociali in valle a Ve-naus. Compagni, ripensiamoci. Altrimenti neppure il più rigoroso rispetto del-la legalità né le più efficaci opera-zioni di polizia basteranno a farci uscire dall’impasse. Questa scuola di pensiero, basata innanzi tutto sull'analisi degli errori commessi nel passato in Val di Susa, errori che hanno contribuito non poco ad una situazione che oggi appare incancrenita, si sta facendo largo tra i Ds torinesi. Ovvero in quel partito che per una serie di circo-stanze si trova oggi al governo lo-cale a tutti i livelli e che si candida a sedere presto anche nel governo nazionale. Col rischio di trovarsi con le stesse difficoltà, e la stessa mancanza di soluzioni, che da circa 7 anni impe-discono al progetto dell'alta veloci-tà Torino-Lione di fare dei concreti e decisivi passi avanti. Tra i primi a invitare alla riflessione c'è stato Mario Virano, uomo di area Ds (anche se da alcuni anni senza tessera), oggi consigliere di amministrazione dell'Anas, a lungo amministratore delegato della Sitaf. Architetto, politico di lungo corso e buon conoscitore della realtà valsu-sina, Virano ha messo in guardia la sinistra riformista dalla tentazione di trattare gli oppositori alla Tav

Arch. Mario Virano

Chiomonte marcia Notav 2011

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alla stregua di un gruppo di squat-ter metropolitani dai quali farsi ri-consegnare una palazzina occupa-ta. “I chilometri del tracciato ferro-viario che dovranno attraversare la Valsusa - spiega Virano - non sono uguali a tutti gli altri. Ci piaccia o no, occorre un progetto straordina-rio di livello nazionale per questa zona, analogo a quelli fatti per Se-veso o per Bagnoli. I sindaci e gli altri rappresentanti istituzionali che si oppongono alla Tav esprimono problemi veri, e per troppi anni nessuno ha dialogato con loro, ci si è limitati a poche e superficiali comunicazioni su deci-sioni prese altrove”. Che cosa fare ora? “Smetterla di parlare di com-pensazioni o mitigazioni e varare un progetto più serio. Torino e il Piemonte hanno un bisogno vitale di quest'opera, senza la quale re-steranno tagliati fuori. Ma la Val Susa non ne avrà un vantaggio diretto e immediato, e bisogna ave-re l’onestà intellettuale di ricono-scerlo. Dunque, bisogna proporre un progetto impegnativo e serio per il suo futuro, compresa la parte di area metropolitana coinvolta nel cantiere. Esempi? Al primo posto ci sono le garanzie per la salute, poi occorre investire sull'assetto della Dora e dei suoi affluenti, su un turi-smo diverso da quello sciistico, sul-la trasformazione della vecchia li-nea ferroviaria in metropolitana di valle. Costa, è vero, non a caso il progetto dev'essere nazionale”. Idee chiare! Peccato che a 6 anni da quelle affermazioni dopo essere stato nominato Commissario Stra-ordinario, aver stracciato un pro-getto che comunque aveva ottenu-to le approvazioni di legge, una infinità di incontri dell’Osservatorio (in media uno alla settimana) dallo stesso Virano presieduto, dopo 7 quaternioni di scritti, infiniti articoli sui giornali, infiniti studi, documen-ti, dibattiti prodotti e naturalmente denaro pubblico a profusione, co-me dicono i vecchi Piemontesi “suma al pian di babi” (traduzione: siamo la piano dei rospi, ossia a terra… magari nella palude) Vedremo come andrà a finire, noi ci auguriamo ovviamente che i la-vori finalmente partano, se così non dovesse essere per l’ennesima volta in venti anni, forse è il caso di fare qualche altra riflessione.

Non so perché ma quando sentia-mo parlare di votazioni per accla-mazione ci vengono in mente paro-le come Bulgaria, plebiscito, cesari-smo, tutte già sentite recentemen-te in ambiti ben più vicini a noi di cui Fini potrebbe parlare a lungo sia come protagonista nell’MSI/AN, che come vittima nel PdL. Presto partirà in Piemonte e in Ita-lia la stagione dei congressi di Fli, abbiamo visto lo Statuto provviso-rio che abbiamo anche riportato sul sito di Op e che ci è sembrato un buon statuto in grado di raccogliere gran parte delle richieste a suo tempo (ottobre 2010) fatte dall’as-semblea regionale del Piemonte pubblicate sul primo numero di Op (chi è interessato può andarle a rileggere sempre sul sito). Fra le varie opzioni per l’elezione dei coordinatori e successivamente dei responsabili di circolo si con-templa anche la possibilità delle elezioni per acclamazione, ipotesi legittima, ma riteniamo del tutto sconveniente se non dannosa spe-cialmente in questa fase in cui di fatto con questo passaggio si sanci-sce la nascita vera e propria del partito. Spiegherò le motivazioni delle no-stre perplessità. Crediamo che fra i fondamenti della democrazia vi sia il confronto. Un’attività non facile da esprimere e da gestire, capita spesso infatti che esso possa dege-nerare nei suoi estremi: lo scontro senza risparmio di colpi, oppure la subalternità più o meno interessata ad un leader dominante. Come spesso accade nel giusto mezzo sta la virtù. Riteniamo opportuno e forse ne-cessario quindi, cercare di favorire al massimo il dibattito, il confronto interno, anche duro se necessari, ma comunque sinonimo di ricchez-za di idee di personalità, di demo-crazia e libertà, così come altret-tanto va garantito l’ordine nella gestione del confronto. E questa è la funzione delle regole statutarie chiare così come quella dei garanti che dovranno presenziare alle as-semblee degli iscritti. Il problema dell’acclamazione non si pone evidentemente dove ci so-no almeno due candidati, situazio-

ne che riteniamo la più opportuna. D’altra parte non sarà mica un caso se tutte, dico tutte, le democrazie del mondo sono caratterizzate da una maggioranza ed una minoran-za. Per la crescita di idee, proposte, iniziative, coinvolgimento è infatti essenziale la competizione delle idee e come è necessaria la funzio-ne di un coordinatore che sancisca le decisione assunte, si spera colle-gialmente e ad ampia maggioran-za, altrettanto importante è la pre-senza di minoranze attivamente presenti anche con altre idee e pro-poste. Minoranze che non devono esser escluse dalle iniziative e dalle deci-sioni, minoranze che non devono opporsi a prescindere, ma che de-vono contribuire, rilanciare miglio-rare le proposte politiche del coor-dinatore. L’idea di un coordinamento di omo-genei che taglia fuori chi la pensa diversamente in nome della gover-nabilità del partito, è una idea che sancisce solo l’incapacità di include-re, di convincere, di coinvolgere, di dare risposte adeguate (anche in forme di diniego) e talvolta di rico-noscere che qualche minoranza possa avere idee migliori della maggioranza. Vincere una elezione non significa automaticamente ave-re il monopolio delle idee migliori, ma semplicemente di aver l’ultima parola sulle scelte da prendere fra il ventaglio di diverse proposte op-portunamente vagliate. Se poi vi dovesse essere un solo candidato alla funzione di coordina-tore provinciale (o regionale), be-ne, ma si voti con scrutinio segreto lasciando la possibilità di votare scheda bianca. Ci sarà così modo di verificare il reale consenso raccolto fra gli i-scritti che potrà essere del 100%, in questo caso sarà molto di più di una acclamazione: chapeau all’elet-to che ha evidentemente lavorato molto bene con gli iscritti. Oppure il candidato unico potrà raccogliere il 60 - 70 – 80% dei voti: bravo. Oppure arriva ad uno stentato 50,qualcosa % , meditare

Contro l’acclamazione

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Sono stanco. Da una lettura, nem-meno troppo acuta, della società italiana, mi rendo conto, con infini-to sconcerto, che il sogno di buona parte degli italiani è avere una pro-spettiva futura. In un paese dalla crescita demo-grafica ed economica pari a zero, dove l’invecchia-mento della popo-lazione fa sì che lo stato spenda il 16,68 % del PIL in pensioni (ed il 45 % di queste sono di importo inferiore a 1.000 Euro!) e l’ 1,4% in ricerca, quale gittata potrà avere la nostra proiezione verso il futuro? Abbiamo perso fiducia nel domani o la politica ha reciso qualsiasi contatto con la so-cietà? Aspra la denuncia del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolita-no, in un discorso al CNEL. Testi-mone della distanza tra la geronto-crazia dirigente e la gioventù di amministrati, ricorda che ''i rapporti di responsabilità e fiducia fra le generazioni costituiscono le basi essenziali per assicurare una effet-tiva integrazione tra patrimoni di esperienze, valori e ideali e per corrispondere alle esigenze e alle aspettative di tanti giovani che vi-vono in una condizione di instabilità e incertezza nel loro futuro”. Cioè? Cara politica alza lo sguardo dallo scranno parlamentare altrimenti la tua indifferenza si macchierà della colpa di aver ucciso le possibilità degli adulti di domani. Allarme generale gridato anche da Emma Marcegaglia, Presidente di Confindustria, che ha l’ingrato com-pito, praticamente dalla sua nomi-na, di denunciare la grave crisi che sta stritolando l’imprenditoria italia-na. Una crisi che non è solo econo-mica (altri paesi ne son stati inve-

stiti e l’hanno superata con un trend positivo) ma è principalmente politica, di idee, di prospettive. La portavoce del sindacato degli indu-striali, chiede insistentemente prov-vedimenti seri ed efficaci per riatti-vare la stagnante economia, soste-nere le asfittiche imprese italiche

onde renderle più competitive e con-cedergli così delle chance in un mer-cato globale ormai in mano agli “squali emergenti”. Intanto il Centro Studi degli indu-striali, sfiduciato dalle politiche go-vernative, abbassa le stime di crescita del Pil al misero + 0,9% nel 2011 ed

al + 1,1% nel 2012, quelle dei con-sumi dal già striminzito 1% del 20-10 allo 0,8% (Confcommercio ridu-ce tale indice allo 0,7%) e si ap-prende, quasi lieti (gaudeamus igi-tur!), che la cassa integrazione e gli altri strumenti di flessibilità dell'ora-rio di lavoro hanno ''molto attenua-to la perdita di posti di lavoro, che tra l'avvio della recessione (inizio 2008) e l'inizio del 2011 ha riguar-dato 582mila persone, mentre la diminuzione della domanda di lavo-ro ne avrebbe di per sé coinvolte 1,1 milioni''. Avvertimento: a fine 2012 la domanda di lavoro ''sarà ancora inferiore di 840mila unità rispetto all'avvio della caduta e i posti mancanti risulteranno pari a 453mila''. Un baratro imminente! CGIL, CISL e UIL, minacciando lo sciopero generale, mandano un ultimatum al Governo: o una vera riforma del fisco che riduca le tasse a lavoratori dipendenti e pensionati o immediate dimissioni! Non c’è giorno che il Belpaese non sia percorso da orde di lavoratori dei plurimi settori produttivi, urlanti di disagio e disperazione di fronte al disinteresse, allo sdegno ed al

E’ sempre una questione di prospettive

Massimiliano Pettino [email protected]

Analisi cinica di un paese nel quale la “precarietà” è diventata uno status “a tempo indeterminato”

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ribrezzo, rivolti loro dalle Istituzio-ni! Dalle loro comode poltrone, i privilegiati, opimi nei loro aderenti panciotti d’ordinanza, non possono comprendere l’insulsa canea di sov-versivi, feccia della società italiana, perché loro una prospettiva vitalizia di (al minimo) 3.180 Euro mensili già la maturano con 5 sparuti anni di mandato parlamentare, anche senza mettere piede nelle aule isti-tuzionali! Per loro, esser stati eletti in Italia, è come aver vinto una lotteria! Qualcuno, in verità, ha avvertito il frastuono; nelle ultime tornate elettorali hanno percepito che qualcosa di pravo e pericoloso sta avanzando e minacciando, co-me un mare in tempesta all’oriz-zonte, l’isola felice dei loro privilegi. Panico: “Perché gli abitanti di que-sto paese non sono più sorridenti, festanti e riconoscenti in fulgida contemplazione?” Aiuto! Ma ecco emergere, dalla stanza dei bottoni, La Soluzione: la maxi ma-novra estiva da 47 miliardi di euro! Premesso che, se la memoria non mi inganna, nel maggio 2011 il Mi-nistero dell’Economia, per bocca del sottosegretario all’Economia e Finanze, On. Luigi Casero, aveva smentito le indiscrezioni di una ma-novra correttiva sui conti pubblici da 7 – 8 miliardi (che le fonti dava-no per giugno). La notizia diffusa dall’opposizione era stata tacciata quale “strumentale e priva di fon-

damento”! Probabilmente, certus era l’an, incertus era il quantum! Faro in una notte buia come la pe-ce, ogni operatore economico, giu-stificatamente, ha lanciato, in TV, su giornali, in piazza, il proprio gri-do di sofferenza, anelando la soddi-sfazione dei propri bisogni e river-sando sul provvedimento economi-co-finanziario (figlio di un ambizio-so piano che si prefigge, udite, udi-te, il pareggio del bilancio nel 201-4!) aspettative faziose e fantasiose dalla difficile (rectius impossibile) sintesi. Al momento della stesura del pre-sente articolo, le indiscrezioni sul contenuto della manovra parlano di investimenti pari a 1,8 miliardi per il 2011, 5,5 per il 2012 e la diffe-renza, fino a quota 47 miliardi, per il biennio 2013-2014. Mi domando: può un governo prendere impegni per quando sarà scaduto il suo mandato? Nella legislazione italiana è vietato il fedecommesso testa-mentario; sarà valido quello istitu-zionale? Riporto di seguito la fantasiosa pro-duz ione de l Governo p iù “lungimirante del mondo”: Blocco del turn over; congelamento degli aumenti fino al 2014 per il personale delle pubbliche ammini-strazioni; personale scolastico, do-cente ed amministrativo impiegato nell’A.S. 2012/2013 uguale a quello 2010/2011. Tassazione delle rendi-

te finanziarie. Tagli spending re-view per i comuni virtuosi. Incre-mento dell’età pensionabile per le donne fino ad arrivare a 65 anni. Privatizzazione della Croce Rossa (?). Tassa sull’alta velocità ferrovia-ria. Liberalizzazione delle professio-ni (ad esclusione di avvocati, notai, farmacisti ed architetti). Norma anti badante (per mettere freno ai ma-trimoni d’interesse e alla reversibili-tà delle pensioni a loro favore). Stop al pagamento dei ticket sani-tari fino al 31.12.2011, dal 2012, obolo di 10 euro per visite speciali-stiche e pronto soccorso in codice bianco. Il tutto si intersecherà con la mitica riforma del fisco che ri-guarda Irpef, Iva, Irap e tasse sulle rendite finanziarie. Praticamente dice tutto, praticamente cambia niente! L’assurdità e l’inadeguatezza di tali soluzioni si manifesta in modo di-sarmante. Sono stanco e non vedo prospetti-ve positive per il mio Paese. Forse sono stato contagiato anche io dal morbo oggi più diffuso, forse ho solo bisogno di vedere un salvifico ricambio politico che faccia disinca-gliare l’Italia dalla secca dell’inade-guatezza dei propri governanti. Chissà. Eppure mi risuona in men-te, come un anatema, un pensiero di Seneca: “chi non è in grado di vivere il presente, è in balia del suo futuro.”

Luglio - agosto 2011 Periodico indipendente di politica, cultura, sto-ria. Supplemento a: Guida a destra - aut. tribunale di Torino n° 5554 del 2-11-2001 sede legale Cantavenna di Gabiano (AL) - Editore: Piemonte Futuro - P. Iva 02321660066 - Direttore Responsabile: Enzo Gino. Per informazioni, collaborazioni, pubblicità e con-tatti:

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Sede di Torino c/o circolo FLI Cavour - via Borgone 57 - Finito di stampare il 30 giugno 2011

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Pace, Guerra e Morale

Da qualche anno è nata, soprattut-to nella cultura occidentale una delle tante ideologie: quella della Pace, nettamente contrapposta all'idea di Guerra. I "pacifisti attivi" non giustificano per nessun motivo alcun tipo di guerra. Ma questa è forse un'utopia, che durerà almeno per il prossimo mil-lennio, poiché solamente in una relativamente piccola parte del pia-neta (in Europa e nell'America del nord da almeno) si è riusciti ad evitare conflitti armati; e solo da pochi decenni. Nella ideologia della Pace si vuole affermare un apparentemente im-plicito giudizio morale, per cui la Pace è un fatto moralmente appa-gante e la Guerra una situazione moralmente deprecabile. Il termine guerra pare derivare dal-l’antico tedesco "werra", verbo che indicava "avviluppare", da cui il s igni f icato d i "mischia" o "combattimento disordinato"). La parola, entrata poi a far parte della lingua italiana tramite il latino me-dievale "guerra", dal V - VI seco-lo, faceva riferimento al prevalere del modo disordinato di combattere dei germani su quello ordinato dei romani. Di concerto, quindi il termi-ne "Pace" assume il signifi-cato di "non-Guerra", ov-vero di "non disordine". Il problema è che le azioni di guerra intraprese per giungere a un successivo ordine e a una suc-cessiva pace (si stenta a credere che si intraprenda una guerra fine a se stessa) sono verificabili solo a posteriori e mai prevedibili. Il giudizio morale dunque sulle a-zioni belliche non può essere e-spresso a priori, ma è assolutamen-te legato alle conseguenze che es-se possono ottenere. Di qui potremmo estrapolare il con-cetto di "guerra giusta", ovvero "moralmente accettabile" quando un conflitto bellico conduce alla

fine a ristabilire una situazione di equilibrio, di "pace", di "ordine". E quello di guerra "ingiusta" se tale azione ha fallito il proprio scopo, cioè quello di rafforzare la pace, l'ordine. I Termini "giusto" e "ingiusto" che implicano un giudizio morale, per quanto riguarda la guerra, dovreb-bero semmai essere attribuiti a posteriori, al termine della guerra stessa, poiché difficilmente preve-dibili al momento del suo inizio. Il termine "guerra preventiva" di recente conio, ha la pretesa di vo-ler esprimere automaticamente il senso di "guerra giusta". Il che è un paradosso, perché una guerra si può definire giusta, solo dopo che se ne sono verificati gli effetti finali e non prima. Prima non si può capire che cosa, dopo, acca-drà e quali conseguenze sulla so-cietà e sugli individui potrà avere, se nefasti o migliorativi delle condi-zioni precedenti, astenendo il giudi-zio sui sacrifici di vite e sui danni alle cose. Siccome i giudizi su un evento sto-rico non possono essere formulati con obiettività se non dopo molti

anni dall'evento stesso, solo la Politica di alto profi-lo e/o un Politico lungimi-rante possono intuire "a priori" quale guerra potrà lasciare dietro di sé una situazione di equilibrio e di stabilità politica, economi-

ca e di relazioni umane. Decidere una guerra è dunque una responsabilità grandissima. Questo è uno dei motivi per cui un certo pacifismo non ammette né giustifica alcun tipo di guerra. Potremo definire "giusta" la guerra di liberazione italiana dal fascismo che ha prodotto, alla fine, la stabi-lizzazione della società e dell'as-setto politico italiani e "giusta" la guerra in Kossovo che ha ristabilito un ordine in quella zona dei Balca-ni. "Giusta" la guerra in Crimea decisa

Carlo Zanolini

Dio è con noi

Esiste un'azione caratterizzata dal Male o dal Bene "a priori"? Oppure essa dovrà essere giudicata dal Male o dal Bene che essa, alla fine, è capace di produrre?

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da Cavour, che è stata l’utile pre-supposto dell'alleanza coi francesi e del processo di unificazione e di stabilizzazione geografica, sociale e politica dell'Italia. E anche "giusta" va considerata la guerra di indipendenza americana che ha portato ad uno sviluppo economico e sociale pacifico degli Stati Uniti, permettendo loro di di-ventare uno dei più grandi Paesi del mondo Così come "giusta", da parte dei Vietnamiti, è risultata essere la guerra di difesa in Vietnam nei con-fronti degli americani invasori.

E, al contrario, "ingiusta" quella attuata dagli Americani contro i vietnamiti: in quest’ultimo esempio, infatti, la stabilità economico-politico-sociale del Vietnam è stata raggiunta dai vietnamiti e non dagli americani! Potremo pensare (per ora) "ingiusta" la guerra in Irak o in Li-bia che non sono riuscite (per ora) a ristabilire un ordinato equilibrio in questi due Paesi. Con questo ragionamento, ancora una volta si vuole evidenziare il concetto relativistico e non oggetti-vo della "moralità". La Moralità non è altro che il pre-supposto dello spirito delle azioni umane quando si tratta di scegliere tra il Bene e il Male. Esiste un'azione caratterizzata dal Male o dal Bene "a priori"? Oppure essa dovrà essere giudicata dal Male o dal Bene che essa, alla fine, è capace di produrre? Ripensiamo a Machiavelli: il fine giustifica i mezzi. Ritorna nella nostra mente ancora

Dal film “La grande guerra”, 1959 di Mario Monicelli

il dubbio: se il fine è il Bene, pos-siamo giungere ad esso con i mezzi del Male? Pare però che tutte queste conside-razioni, forse troppo auliche per menti semplici, non siano alla por-tata del ragionamento dell'On. Bos-si, leader della Lega Nord in Italia. Egli, infatti, esprime il proprio giu-dizio sulla guerra, la pace e la mo-ralità con estrema superficialità, non considerando l'aspetto etico, ma solo quello utilitaristico e di basso profilo, valutandolo in termi-ni di quantità di emigranti in Italia che essa può produrre. "Cessiamo la guerra perché questa fa aumentare i profughi libici in Italia". Sono le parole di Bossi. Affermazioni "amorali", poiché e-sprimono una considerazione sulla guerra che prescinde dal giudizio morale. Ma sono anche affermazioni me-schine, perché meschina è la giusti-ficazione addotta per porre fine o per neppure iniziare un'azione belli-ca.

prego. Se poi il candidato unico non raccoglie nemmeno la metà + 1 dei voti dell’assemblea degli i-scritti, suggerirei di rimandare di qualche mese ad una nuova as-semblea l’elezione del coordinatore. Avranno tutti il tempo di schiarirsi le idee, il candidato: lavorando per accrescere il proprio consenso, gli iscritti per spiegarsi meglio. D’altra parte che credibilità può avere un candidato che non racco-glie nemmeno la maggioranza di quella minoranza di iscritti che par-teciperà alle elezioni ?. Perché è fisiologico che solo una parte, si spera consistente, degli iscritti parteciperà alle elezioni del partito. E’ un modo anche questo per vede-re l’appeal dei candidati, per misu-rarne la capacità di raccolta del consenso interno creando così una vera e propria geografia sulla rap-presentatività elettorale interna del partito. Aggiungiamo che in questa fase, chiamiamola costituente, in cui si tengono per la prima volta elezioni degli organi dirigenti è possibile

che molti preferiscono non esporsi in un confronto aperto anche se hanno dubbi o perplessità rispetto al candidato. Il motivo ci pare evi-dente: fra i candidati vi saranno verosimilmente tutti i coordinatori nominati che si trovano in una con-dizione di oggettivo vantaggio ri-spetto ad eventuali concorrenti avendo di fatto svolto le funzioni di coordinatori, avendo partecipato ai coordinamenti regionali, avendo avuto modo di conoscere gli altri dirigenti di partito (nominati) ed avendo avuto accesso ad informa-zioni che oggettivamente danno un vantaggio.

Contro l’acclamzione (da pagina 5)

In questa situazione vogliamo fare almeno una “verifica di credibilità” del coordinatore se fosse candidato unico ? C’è poi il solito malpensante che si immagina che garantendo l’accla-mazione a livello provinciale si ot-terrà poi l’acclamazione a livello regionale creando così una monoli-tica classe dirigente che va dal co-ordinamento regionale sino all’ulti-mo circolo territoriale: attenzione, grande pericolo! Ordine sì, regime no e come diceva qualcuno: “Il mezzo prefigura i fi-ni”: meditate gente meditate.

Direzione nazionale del PdL (aprile 2010)

«oggi finisce la stagione dell'unanimismo e inizia quella del confronto: questa è la

democrazia». Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, al termine

della direzione nazionale del partito. «E' una fase del tutto nuova - ha continuato -

e spero che tutti, a partire dal presidente Berlusconi, abbiano la consapevolezza

che non siamo più nella situazione in cui eravamo fino a qualche giorno fa». «La

minoranza - ha precisato Fini - non ha il diritto di sabotare, ma di discutere nelle

sedi opportune, che non ho ancora capito quali sono visto che la direzione lo ha

fatto oggi ma per la prima volta dopo un anno dalla nascita del Pdl».

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Sarebbe sciocco nascondere che le percentuali registrate da FLI, nella recente tornata amministrativa, ci inducono a confidare in una celere “scesa in campo” del nostro Presi-dente Gianfranco Fini. Sarebbe sur-reale non ammettere che, senza il suo comandante, l’esercito, che abbiamo schierato, perde non di poco la propria capacità di fuoco. E’ evidente che tutti noi attendiamo l’appuntamento di Mirabello di Set-tembre, con l’auspicio che ricom-paia la nostra stella polare. Deve prendere forma un partito vero, con una sua identità ed una linea politica chiara e ben definita, un movimento politico plurale che prenda posizioni nette ed inequivo-cabili, dove alle decisioni condivise, seguano comunicazioni esterne forti e precise. Futuro e Libertà deve tornare ad essere un partito di centro-destra, che riprenda a parlare a tutti gli italiani di Patria, di Legalità, di Rispetto delle Istitu-zioni, di Tradizione, di un modello sociale diverso, di Famiglia tradizio-nale (quella formata da uomo, don-na e possibilmente figli, l’unica in grado di dare un futuro alla nostra Nazione, che nulla ha a che vedere con la sfilata folkloristica dell’Euro-pride di Roma!), di Meritocrazia, di Gioventù e di tutti quei valori che i partiti di centrodestra europei, che fanno parte del PPE, portano avan-ti. Bisogna spiegare agli italiani che il terzo polo rappresenta un pas-saggio obbligato, che nasce per dare una casa provvisoria al vero cuore pulsante del centrodestra, di quel centrodestra sano che, re-sponsabilmente, ha iniziato a farsi un vero esame di coscienza, po-nendosi quei quesiti scomodi, di chi non accetta che le promesse di riforme, fatte agli italiani, vengano tradite per sempre più frequenti e me r ge n z e p e r s o na l i d e l “Cavaliere”. La tragica connivenza tra le incombenze personali del Cavaliere e il becero servilismo dei delfini od aspiranti tali e di tutti

coloro che gli ruotano attorno so-stenendolo sempre e comunque, consapevoli che “se muore Sanso-ne potrebbero morire tutti i filistei”, in breve, può portare ad affondare il nostro Paese. Non dobbiamo di-menticare le nostre origini. Le no-stre radici profonde sono vive più che mai ed affondano in un terreno di centrodestra. Accettiamo tempo-raneamente di essere trapiantati, perché siamo certi che altrimenti scompariremmo. Ringraziamo Casini per essersi di-mostrato leale, nei momenti più difficili, permettendoci di sopravvi-vere alla specie parlamentare dei “ripensanti”, ma l’auspicio è che si ritorni presto, insieme all’UdC, a continuare a scrivere la storia del centrodestra italiano, sospesa qual-che anno fa. Dalle ceneri rinascerà un fuo-co…” (Tolkien). In attesa che il no-stro Leader torni a bonificare i campi, per seminare il nostro futu-ro, in Piemonte la classe dirigente inizi a battere un colpo, a farsi sen-tire sul territorio, per mostrare che esiste e che non tollera più che la Regione sia così male amministrata e che la sanità diventi semplice-mente una ghiotta concentrazione di potere da spartire, alla faccia delle fondate preoccupazioni dei contribuenti. Aumentare gli iscritti a Futuro e Libertà non serve a fare una buona politica, altrimenti con la nostra struttura avremmo già avuto dei risultati più incoraggianti. Far sentire la nostra pressante pre-senza politica locale, può viceversa portare ad un forte e sano aumen-to dei simpatizzanti e quindi, con-seguentemente, ad un proporzio-nale aumento degli iscritti e dei potenziali futuri elettori. È giusto che, contestualmente, in Piemonte si arrivi ad avere tutti i dirigenti di Futuro e libertà eletti e non nominati. E’ giunto il momento improrogabile di rimboccarsi le ma-niche e costruire veramente il parti-to, aspettando Mirabello.

Aspettando Mirabello

Diego Zavattaro

in Piemonte la classe dirigente inizi a battere un colpo, a farsi sentire sul territorio, per mostrare che esiste e che non tollera più che la Regione sia così male amministrata e che la sanità diventi semplicemente una ghiotta concentrazione di potere da spartire, alla faccia delle fondate preoccupazioni dei contribuenti.

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Quando parliamo dei pendolari, parliamo di circa 15 milioni di per-sone che ogni giorno nel nostro Paese, si muovono in macchina, autobus metro e treno, per motivi di lavoro e di studio. Quasi 3 milio-ni, sono quelli che utilizzano i treni regionali. Treni vecchi, sporchi e sempre in ritardo e quello che più fa arrabbiare i pendolari, è che so-no finanziati dalle regioni, con con-tributi pubblici, oltre che dai ricavi di abbonamenti e biglietti, che negli ultimi 3 anni sono aumentati quasi del 50% mentre la qualità del ser-vizio è rimasta tale e quale….anzi. Dal 2000 da quando nacque il no-stro comitato spontaneo pendolari Torino Milano ad oggi, nulla è cam-biato per i pendolari della vecchia linea storica. La vecchia linea che partendo da Torino arriva a Milano Centrale, toccando le stazioni di Chivasso – Santhià – Vercelli e No-vara. Negli anni 90 i treni dei pen-dolari che operavano sulla Torino Milano, si chiamavano Interregio-nali ed avevano una composizione di 12 carrozze (10 carrozze di 2° classe e 2 di 1° classe). Oggi, a distanza di oltre 20 anni, con la

ristrutturazione aziendale da parte delle FS, quei vecchi treni, hanno cambiato il colore e da 12 carrozze sono stati accorciati e le carrozze sono state ridotte a 10 a volte a 8 significa che oltre a 1 ferroviere abbiamo perso in media circa 180 / 200 posti a sedere. Oggi quei vec-chi treni hanno cambiato anche il loro colore e logo. Qualcosa però in questi ultimi 20 anni, nel servizio ferroviario italiano, è successo. Ab-biamo realizzato l’Alta Velocità. Milano Bologna Firenze Roma. E dal mese di dicembre del 2005, anche la tratta Torino Milano. I pendolari torinesi che ogni giorno utilizzano l’AV sono davvero pochi, all’incirca un centinaio, poco meno di 200 unità, quasi tutti clienti di due convoglio, il Freccia Rossa 95-53 al mattino e il 9622 la sera al ritorno, che permettono ai pendola-ri torinesi di arrivare al mattino in ufficio alle 09:00 e alla sera a casa intorno alle 20:00 tutti gli altri o arrivano troppo presto o troppo tardi. Fin dall’inizio del servizio, nel lontano dicembre 2005, molte pro-teste sono state fatte proprio a

I pendolari stanno ancora aspettando

Cesare Carbonari Portavoce comitato spontaneo pendolari Torino Milano

In Piemonte circa 350 piccole stazio-ni sono state abbandonate il che equivale alla perdita di almeno 1.500 posti di lavoro. I lavoratori delle Ferrovie dello Sta-to in Italia, negli ultimi 20 anni sono passati da 220.000 a circa 80.000 equivale a 140.000 posti persi. Continua a pag 13

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Quotidianamente sul più diffuso quotidiano piemontese appaiono articoli dedicati alla questione della linea alta velocità Torino – Lione. L’attenzione sul tema dei trasporti è monopolizzata dalla TAV e allo scontro tra fautori e oppositori del progetto. Ma i problemi del trasporto ferro-viario sono tutti lì? L’unico gioco in città è sapere se si farà la tanto agognata o vituperata TAV verso la Francia? Nel frattempo, i pendolari piemon-tesi continuano a soffrire su treni vecchi e malconci, a raccomandarsi l’anima a Dio ogni mattina speran-do di non incappare nell’ennesimo ritardo o peggio soppressione del treno che dovreb-be portarli al la-voro. Volutamente non vogliamo parteci-pare al gioco dei pro o contro la TAV, anche se non possiamo non mettere in evidenza che l’al-ta velocità è cer-tamente nelle corde dell’ammi-nistratore delega-to delle FS, che sui passeggeri TAV punta a risa-nare il bilancio dell’azienda, ma non è di alcun interesse per le decine di migliaia di pendolari che quotidianamente affollano i treni del trasporto regio-nale piemontese. Vogliamo invece sottolineare che ben altri sono gli interventi neces-sari per rendere il trasporto pubbli-co su ferro competitivo con quello privato, spostare su tale modalità di trasporto fette consistenti di do-manda di mobilità, e contribuire a far diventare meno inquinata Tori-no (e analogamente il problema si

pone per tutta la pianura padana, una delle zone più inquinate del pianeta!). Dovrebbe essere noto a tutti, ma mai abbastanza evidenziato, che da decenni le risorse di investimento strutturale per modernizzare le li-nee ferroviarie sono state quasi interamente dedicate agli investi-menti sull’alta velocità. Altri importanti paesi europei han-no anch’essi investito sulle linee veloci, ma non prima di aver ade-guato le loro reti locali, assicurando livelli di trasporto pubblico nelle aree metropolitane che noi, in Ita-lia, neanche ci sogniamo. Senza fare analisi troppo approfon-dite, basti fare un esempio che

chiarisce in modo credo esemplare la questione delle priorità tra le linee veloci, dedicate ad una utenza limita-ta anche se ricca, e linee, chiamia-mole così, Bassa Velocità. Nel novembre del 2010 è esplosa la questione del pas-sante torinese dove continuava-no ad avventurarsi i vecchi e puzzo-lenti locomotori a trazione diesel provenienti da Aosta (con ferma-ta intermedia a Ivrea).

Le FS continuavano a sostenere che non c’era alcun problema a far fermare questi treni nella moderna e da poco inaugurata stazione sot-terranea di Porta Susa, salvo poi scoprire che i sistemi di allarme antincendio erano presidiati da un operatore FS che li disabilitava al passaggio dei treni diesel, in modo da evitare le docce fredde ai mal-capitati viaggiatori, come successo poche settimane dopo l’apertura

Agostino Petruzzelli Presidente della Associazione Utenti Ferrovia Chivasso-Ivrea-Aosta

Dal Tav ai pendolari

Per le linee ferroviarie piemontesi servirebbero interventi massicci e urgenti di ammoderna-mento e potenziamento strutturale, ma ad oggi non esiste né un piano, e tanto meno le risorse.

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della stazione sotterranea. Naturalmente il risultato di questa manovra era che migliaia di perso-ne venivano ogni giorno intossicate dai miasmi assolutamente fuori da ogni limite di tollerabilità. Finché Guariniello (meno male che c’è!) non ha scoperto l’illegale ma-novra e non ha impedito a Trenita-lia di far entrare locomotori diesel nel passante torinese. A pagare le conseguenze, però, sono stati i pendolari della Valle d’Aosta e del Canavese che per mesi hanno subito ritardi enormi perché la soluzione d’emergenza è stata la sostituzione dei locomotori a Chivasso. Solo a marzo la situa-zione si è normalizzata (si fa per dire) adottando una soluzione che però costringe i passeggeri a cam-biare treno nel viaggio Aosta – To-rino, con inevitabili disagi e allun-gamento dei tempi, già alti, di per-correnza. La soluzione sarebbe semplice: elettrificare la tratta tra Ivrea ed Aosta (fino a Ivrea i fili ci sono già da qualche anno) ma i soldi – 85 milioni di euro, miserie se raffron-tati agli investimenti per la TAV - non ci sono. Così un capoluogo di regione, anzi una intera Regione, a prevalente vocazione turistica, è quasi isolata, almeno per il trasporto su ferro, dal resto d’Italia. Naturalmente questo è un caso esemplare, ma bisognerebbe parla-re anche dei binari unici di quasi tutte le linee afferenti a Torino dal-la provincia, che costituiscono un limite invalicabile all’incremento dell’offerta di treni verso la metro-poli oltre che causa principale, in-sieme agli innumerevoli passaggi a livello (che hanno il vizio di gua-starsi) dei ritardi che affliggono i pendolari piemontesi. Insomma. Per le linee ferroviarie piemontesi servirebbero interventi massicci e urgenti di ammoderna-mento e potenziamento strutturale, ma ad oggi non esiste né un piano, e tanto meno le risorse. Destra e sinistra, avvicendatesi alla guida della Regione Piemonte, non hanno trovato il tempo e la voglia di redi-gere un Piano Trasporti, che peral-tro manca anche a livello naziona-le. Continuiamo dunque pure ad acca-pigliarci sulla TAV con la Francia.

bordo dei Freccia Rossa. Pendolari che per protesta si erano portati i seggiolini da casa, perché la Treni-talia S.p.A. del gruppo Ferrovie dello Stato, pretendevano 6 euro al giorno (3 andata 3 a ritorno) solo per avere un posto assegnato, mentre i pendolari chiedevano una o al massimo due carrozze libere da prenotazioni, perché secondo loro si consideravano clienti fideliz-zati che ogni anno versavano alle FS circa tremila euro e pagarne altri millequattrocento in più si sen-tivano sfruttati e presi in giro. Men-tre sulla linea ad Alta Velocità Tori-no Milano c’è qualcuno (pochi) che può permettersi di pagare circa 300,00 euro al mese (viaggiando anche in piedi) sulla vecchia linea storica in piedi ci si viaggia perché nel corso degli anni a causa della ristrutturazione aziendale, le Ferro-vie hanno eliminato alcune carroz-ze pari a circa 180 posti, senza te-ner conto, che proprio negli ultimi anni, sono aumentati i pendolari che da una regione all’altra si muo-vono ogni giorno, facendo mille sacrifici. Qualcuno si è mai doman-dato se ad esempio non ci sia stata una politica commerciale per con-vincere molti pendolari ad abban-donare il treno del servizio pubblico (che tanto è pagato dalle regioni vuoto per pieno 8,00 euro al km) per invitarli a salire sui costosissimi Freccia Rossa? Se lo chiedono in tanti e sembra che una risposta si possa dare senza ombra di dubbio. Io sono il gestore e decido cosa fare. Diminuisco i posti disponibili sui treni regionali così obbligo i pendolari (costretti a viaggiare in piedi) a salire sui Freccia Rossa obbligandoli a pagare la prenota-zione così guadagno molto di più, garantendomi per i treni del servi-zio regionale, il contributo pubblico da parte delle regioni. Una gran bella storia, che non possiamo più accettare e che merita l’attenzione degli organi competenti. Ma siamo in Italia, in un Paese che non è normale e quindi va bene così. Siamo a metà del 2011, la Regione Piemonte con la nuova Giunta, ha annullato le gare internazionali che l’ex Presidente Bresso aveva indet-

to per portare il servizio pubblico ferroviario ad una qualità di livello europeo, ma perdendo le elezioni, la nuova Giunta Cota, ha annullato le gare e a distanza di oltre un an-no dalla vittoria, non abbiamo an-cora un contratto di servizio con la Trenitalia. Il coordinamento regio-nale dei Comitati Pendolari del Pie-monte (21 comitati) ha anche ri-chiesto ufficialmente alla Regione di bloccare gli aumenti che erano previsti per il mese di luglio 2011 (l’Assessore ai Trasporti Barbara Bonino aveva garantito che almeno fino a giugno 2011 non sarebbero stati fatti) aumenti che abbiamo richiesto siano bloccati almeno fino alla fine del 2011, perché non esi-stono al momento le ragioni perché tali nuovi aumenti siano applicati. Sempre il coordinamento regionale dei comitati dei pendolari, ha chie-sto alla Regione Piemonte, di far inserire nel nuovo contratto di ser-vizio (ancora da firmare) la modifi-ca delle clausole sui ritardi. Vale a dire, che per garantire ai pendolari del servizio regionale, la puntualità dei loro treni utilizzati ogni giorno, è necessario eliminare le clausole che prevedono le penalizzazioni da parte delle regioni sul vettore tra-sporti sta, il che significa che io come gestore, a conti fatti, per salvaguardare i miei personali inte-ressi, posso decidere quale dei miei treni, potrò far entrare in stazione. Non c’è bisogno di essere degli scienziati per capire quali dei miei treni io farò per primi, entrare nelle stazioni, che oggi servono sia i tre-ni regionali della Bassa Velocità, che i Freccia Rossa. Ed ora arrive-ranno una cinquantina di nuovissi-mi treni superveloci della Ditta “Montezemolo & C.” che si chiama-no “ITALO” e che anche loro nelle ore di punta in cui viaggeranno quelli dei pendolari, si attesteranno nelle stesse stazioni. Cosa accadrà? Se lo chiedono ogni giorno, circa 3 milioni di pendolari in Italia e si chiedono anche che fine ha fatto quel vecchio ma interessante pro-getto del Governo Prodi, “1000 nuovi treni per i pendolari ”. 3 mi-lioni di pendolari che stanno ancora aspettando.

I pendolari stanno ancora aspettando (da pagina 11)

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piuttosto perché aiutiamo solo i ribelli libici. I rischi Questo non significa che Europa ed USA non debbano agire in modo cauto per motivi storici. Il sentimento descritto prima può mutarsi in delusione e sfiducia ed anche in questo caso non dobbia-mo dimenticare quanto avvenuto dopo il 1989, dove all’iniziale eufo-ria per la caduta del comunismo, soprattutto in Russia seguì il rim-pianto per la grandezza perduta e per le garanzie sociali venute me-no. Questo portò nell’immediato ad un notevole consenso verso l’estre-ma destra ed ancora oggi è diffuso nell’opinione pubblica un nazionali-smo antioccidentale. Il paragone con la Russia è particolarmente calzante sia per motivi politici im-mediati sia per motivi culturali più antichi. A livello politico va notato che tutti i paesi arabi che vivono questi sconvolgimenti sono, o sono stati, governati da regimi laici, moderniz-zatori, “di sinistra”, mentre per a-desso l’Arabia Saudita, che ha una monarchia assoluta che si basa sul wahabismo (ideologia sunnita e-stremamente fondamentalista a livello politico-religioso), non ne è

Le opportunità Anche se in modi e tempi non pre-visti da Bush, in questi mesi assi-stiamo alla realizzazione dell’idea che ha guidato la sua politica este-ra: l’affermazione della democrazia nei paesi islamici. In gran parte del mondo arabo masse incontenibili di giovani,e più in generale di cittadi-ni, danno vita a rivoluzioni politiche per ottenere democrazia e riescono a rovesciare, o comunque scuotere, governi che dall’esterno sembrava-no saldissimi. Inoltre, come già avvenuto in Euro-pa nel 1989 contro i regimi comuni-sti, la vittoria in un paese galvaniz-za l’opposizione negli altri Stati e mette così in moto un effetto domi-no virtuoso. L’Europa e gli USA non possono assolutamente lasciarsi sfuggire questa occasione, visto che l’obiet-tivo di questi popoli è quello di cre-are sistemi politici più vicini ai no-stri e, dopo anni di antiamericani-smo e più in generale di antiocci-dentalismo, ci considerano in qual-che modo un esempio da imitare. Questo si vede anche dalle reazioni seguite all’intervento in Libia: lungi dallo scandire slogan contro l’Occi-dente, per adesso l’opinione pubbli-ca degli altri paesi islamici si chiede

Voglia di libertà, le opportunità

Riccardo Manzoni ph 339.1002650 e.mail [email protected]

...chi rappresenta davvero l’Occidente e perché l’Occidente, da lontano visto come un modello da imitare, da vicino spesso delude e provoca reazioni di ostilità, come già avvenuto in Russia?

… FLI dovrebbe essere in prima fila nel sostenere queste idee e questa battaglia, invece di non prendere posizione.

Oppositori di Gheddafi in Libia

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stata toccata. Questo aspetto, secondo me non sufficientemente sottolineato, an-drebbe invece analizzato e biso-gnerebbe interrogarsi sulle cause. Anche in questo caso le risposte sono molteplici e hanno a che fare sia con scelte di tipo sociale, sia con la natura stessa dei governi oggi contestati. L’Arabia Saudita per decenni ha investito il ricavato dei petrodollari nell’assistenza sociale, particolar-mente sviluppata rispetto agli altri paesi arabi. Una scelta di questo tipo ha certamente fatto la diffe-renza nel tenere sotto controllo il malcontento, tantopiù se si pensa che in Tunisia, ma anche in Egitto, la molla che ha dato origine alle rivolte è stata la protesta contro il carovita e la disoccupazione e solo in un secondo momento si è ag-giunta la contestazione politica per la democrazia. Accanto a questa spiegazione, vi è però anche un aspetto più propria-mente politico che spiega perché questi governi sono attaccati da tutte le componenti della società. Tutti questi regimi si ispirano a principi più o meno socialisti o so-cialisteggianti e si propongono di modernizzare i rispettivi paesi o con una vera e propria dittatura, come in Siria e Libia, o con una democrazia in realtà sotto controllo e solo apparente, come in Egitto e Tunisia. Questo li porta ad essere percepiti come un corpo estraneo, se non ostile, da gran parte del popolo, soprattutto presso gli strati più at-taccati alla religione e vicini ai fon-damentalisti; questi ultimi accusano i governi di essere contro l’Islam. ll caso più emblematico è l’Egitto, dove Nasser, fondatore dello Stato laico, perseguita ferocemente i Fra-telli Musulmani (organizzazione nata nel 1928 con l’obiettivo di cre-are uno Stato islamico), che a loro volta uccidono Sadat, successore di Nasser, responsabile di aver stipu-lato gli accordi di Camp David, in cui si riconosce il diritto di esistere di Israele. Situazioni di questo tipo si trovano però anche in Libia, dove Gheddafi perseguita i fondamentalisti, dai quali è odiato per aver favorito l’e-mancipazione femminile anche nel-l’esercito, ed in Tunisia, dove il go-

verno di Ben Alì aveva costretto all’esilio a Londra il capo dei fonda-mentalisti, come nota il giornalista e scrittore francese Alexandre Del Valle, autore del libro: ”Il totalitari-smo islamista all’assalto delle de-mocrazie”. In quest’opera egli de-plora proprio che in nome di un malinteso senso di difesa della li-bertà d’espressione le democrazie europee hanno dato per anni ospi-talità ad estremisti, ricercati dai loro stessi paesi d’origine, ma mos-si da odio viscerale proprio verso i valori che stanno alla base delle nostre società. Il caso della Siria è ancora più complicato perché, oltre al contra-sto già visto per gli altri Stati, esi-ste una contrapposizione religiosa tra la famiglia Assad, che appartie-ne alla minoranza alawita sciita e la maggioranza della popolazione, che invece è sunnita. Allo stesso tempo la moderniz-zazione attuata da questi go-verni ha reso con il passare del tempo il controllo più o meno capillare della società sempre meno accettabile da parte dei cittadini che ritengono invece insufficienti le aperture alla modernità e vogliono più de-mocrazia. Masse sempre mag-giori hanno quindi iniziato a scendere in strada per ottenere questi obiettivi e così questi gover-ni sono stati presi tra due fuochi opposti: da un lato i giovani che vogliono la fine della dittatura, dal-l’altra i fondamentalisti che si sono uniti alle proteste, anche se per finalità opposte. Il risultato è che, tranne il caso della Libia, questi governi sono im-plosi, o rischiano di implodere, dal-l’interno, proprio come il blocco comunista ed in particolare l’Unione Sovietica, contestata sia da chi vo-leva la democrazia sia da chi voleva valorizzare e difendere l’identità religiosa per decenni soffocata dal comunismo. Quanto sta accadendo è una ulte-riore dimostrazione di come non solo i governi comunisti, ma anche quelli più vagamente di sinistra, alla lunga si rivelano inadatti a rea-lizzare quanto promettono e fini-scono per essere abbattuti dal loro stesso popolo. Questo dovrebbe confortarci e farci dormire sonni tranquilli? Tutti noi

speriamo di sì, ma non è scontato, anche in questo caso per vari moti-vi. Innanzitutto la situazione, come riconosciuto da John Bolton, è in piena evoluzione e quindi può e-mergere un sistema più democrati-co, ma anche un governo più chiu-so nei confronti dell’Occidente e più populista ed estremista all’interno. Che questa possibilità sia reale è dimostrato ancora una volta dall’E-gitto, che già in passato è stato laboratorio politico ed anticipatore di quanto poi avvenuto in altre na-zioni arabe, come mostra la vicen-da del panarabismo laico di Nasser, poi diffusosi in Iraq con il partito Baath di Saddam Hussein. Con Mubarak l’Egitto era alleato degli USA ed in buoni rapporti con UE ed Israele ed era un deciso av-versario dell’Iran, mentre il nuovo governo ha attuato aperture verso l’Iran e ha fatto capire che intende

rimettere in discussione i rapporti economici con Israele. Anche gli ondeggiamenti in politica estera del Presidente della Lega Araba si spie-gano col fatto che è egiziano e vuole candidarsi come Presidente. Questo lo obbliga a tenere conto della sua opinione pubblica, che vuole più democrazia ma allo stes-so tempo è diffidente verso l’inter-vento occidentale in Libia e decisa-mente antiisraeliana. Per capire questa situazione, appa-rentemente contraddittoria, va te-nuto conto che da secoli il mondo islamico, come anche la Russia, è culturalmente ed ideologicamente spaccato in due correnti: quella che vede l’Occidente come un modello da imitare e quella che considera l’Occidente nemico, in quanto fonte di corruzione morale. Generalmente queste due correnti sono ben distinte e tra loro ostili, ma possono crearsi sovrapposizioni in quanto i cittadini che vogliono più democrazia sanno che fino a

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pochissimo tempo fa l’Occidente sosteneva proprio i dittatori da loro abbattuti. Inoltre il malcontento interno porta l’opinione pubblica a pensare in modo opposto ai rispet-tivi governi. Non a caso l’Egitto sotto Mubarak aveva un’opinione pubblica molto antiamericana, mentre in Iran, dove il governo è contro gli USA, il popolo guarda agli USA con favore, come emerso già in occasione degli attentati del-l’11 settembre. Un altro elemento da tenere in considerazione è che questi paesi mantengono un rapporto ambiva-lente con la propria ex potenza coloniale. Da un lato i rapporti ri-mangono stretti, come emerge in questi giorni, dove moltissimi tuni-sini vorrebbero andare in Francia, ma dall’altro il passato induce a prendere le distanze da esse. A riprova di ciò, lo studioso Massimo Introvigne in un recente convegno ha detto che le nuove forze politi-che in Tunisia ed Egitto sono ri-spettivamente antifrancesi ed anti-britanniche e questo spinge Francia e Gran Bretagna a cercare nuovi alleati in Libia, a sua volta in rap-porto ambiguo con l’Italia, sua ex potenza occupante. Da un lato il governo di Berlusconi ha cercato di migliorare notevol-mente i rapporti, anche se in modo esagerato, come permettere a Gheddafi addirittura di montare una tenda berbera nel più bel corti-le della Roma barocca. Dall’altro Gheddafi, che da sempre considera l’Italia nemica per il pas-sato coloniale, chiede per questo motivo notevoli risarcimenti e l’ar-rendevolezza di Berlusconi nel veni-re incontro alle sue richieste non gli ha fatto comunque cambiare idea sul nostro paese. Piuttosto va fatto notare come l’at-teggiamento passato dell’attuale governo lo metta ora in una situa-zione di grave imbarazzo: non può venire meno all’alleanza con gli altri paesi NATO, ma allo stesso tempo è meno convinto degli altri nell’ab-battere Gheddafi: in pratica obbli-gato ad inseguire, per non dire su-bire, le decisioni degli altri paesi della coalizione. Un problema da risolvere Bisogna poi affrontare un serio in-terrogativo: chi rappresenta davve-ro l’Occidente e perché l’Occidente,

da lontano visto come un modello da imitare, da vicino spesso delude e provoca reazioni di ostilità, come già avvenuto in Russia? Mentre alla seconda domanda si risponde facilmente facendo notare che esiste una notevole diversità di valori di fondo tra l’Occidente e le altre realtà, alla prima, che è la domanda fondamentale , è possibi-le dare risposte molto diverse, a seconda della propria ideologia politica. La corrente occidentalista sostiene che l’Occidente è formato da UE ed USA e spiega l’ostilità nei suoi con-fronti proprio per la notevole diffe-renza sopra ricordata. La seconda identifica l’Occidente con gli USA. Questa sovrapposizio-ne è favorita dagli stessi USA, che

si autodefiniscono come i migliori e veri difensori dei valori occidentali e giustificano su questa base i loro interventi in politica estera. Questa corrente a mio avviso non solo è sbagliata storicamente, ma è molto pericolosa politicamente. Infatti gli USA, oltre che democrati-ci, sono liberisti in economia ed individualisti come tipo di società. Mentre il primo aspetto è general-mente visto con favore, gli altri due provocano spesso reazioni di ostili-tà perché considerati una minaccia verso le garanzie sociali e più in generale verso il modello di società esistente. Lo dimostra proprio il caso della Russia ed in particolare dell’intellet-tuale Soljenitzin, che, dopo una vita trascorsa a combattere il co-munismo, denunciò la deriva mora-le e politica della Russia postcomu-nista e diede la colpa proprio ai valori occidentali, in realtà america-ni, penetrati in Russia. In questo modo si è nuovamente diffuso un odio antioccidentale giustificato come difesa attuata nei confronti di un sistema vittorioso, ma pericolo-so e corruttore.

Analoga situazione si trova nel mondo islamico, dove l’antiameri-canismo molto diffuso diventa in questo modo odio verso l’Occidente in generale, visto come un nemico pronto ad approfittare di ogni si-tuazione per imporre il proprio do-minio. Il fatto che per ora questo sentimento non emerga chiaramen-te non vuol dire che non esista, come dimostrato dagli atteggia-menti ondivaghi sopra ricordati del Presidente della Lega Araba. La terza corrente, alla quale appar-tengo anch’io, sostiene invece che il vero Occidente è l’Europa occi-dentale. Questa corrente a mio avviso dovrebbe fare sentire di più la propria voce, non per prendere le distanze dagli USA, ma proprio per evitare gli equivoci pericolosi appena visti. Ammetto che anche questa strada comporta dei rischi, visto che mondo islamico e Russia hanno combattuto contro l’Europa occidentale e questo fa parte inte-grante della loro identità storica e culturale. L’Europa occidentale ha però crea-to un tipo di società basato sulla coesione, la solidarietà e lo Stato sociale e può quindi fare capire meglio che individualismo significa rispetto e valorizzazione degli indi-vidui, non anarchia sociale dove i poveri sono abbandonati al loro destino. Questo permetterebbe di superare le diffidenze ancora oggi esistenti in Russia e nel mondo islamico e favorirebbe in quei paesi sentimenti amichevoli verso l’Occidente che poi porterebbero anche a governi più amici nei nostri confronti. L’intervento militare in certi casi è necessario, come in Libia, ma quel-lo che è davvero fondamentale per il futuro è riuscire nell’opera di per-suasione sopra descritta; in caso contrario non potremo essere completamente sicuri e dovremo convivere con realtà circostanti più o meno ostili. Questa soluzione ha anche conse-guenze di politica interna, perché per convincere questi paesi, dob-biamo per prima cosa difendere a casa nostra lo Stato sociale, che va certamente riformato, ma non smantellato e FLI dovrebbe essere in prima fila nel sostenere queste idee e questa battaglia, invece di non prendere posizione.