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Gianfranco Fini Il presidente della Camera dei Deputati

Questi congressi... da: il futurista

Che simpatici umoristi Cronaca

Militanti o militonti? di Enzo Gino

Comunicazione e partito Ricerca

L’estate folle di Londra la famiglia e lo stato di Riccardo Manzoni

C’è urgente bisogno di carabinieri Evento

E quindi uscimmo a riveder le stelle di Massimiliano Pettino

L’angolo di vista di Alessandra Lo Re

Chi decide la politica locale di Antonio Silvani

ottobre 2011

Periodico indipendente di politica e cultura

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Racconto ai nostri lettori una vicen-da utile a far comprendere quanto sia difficile per alcuni, avere ap-procci laici e senza pregiudizi alla gestione del partito. Non farò nomi anche se per chi ci è vicino sarà il classico segreto di Pulcinella, in quanto non si intende qui fare critiche ad personam ma soprattutto evidenziare mentalità, modi di pensare che, a nostro mo-destissimo e fallibilissimo parere, sono semplicemente sbagliate. L’ambiente in cui si sviluppa la vi-cenda è il coordinamento provincia-le di una città piemontese, presenti i membri del coordinamento (non tutti). Viene presentata dal coordi-natore la proposta di fare i con-gressi comunali visto che quello provinciale si è già tenuto. La proposta evidentemente già vagliata da alcuni dei coordinatori presenti, prevede che si costitui-scano almeno due circoli in ogni città. Anche dove il circolo già c’è e dove nessuno ha mai sollevato pro-blemi di adesione, partecipazione, attività, conflitti o quant’altro; an-che se gli iscritti sono pochini, me-no di venti; anche se le città sono piccole. Anche se un paio di settimane pri-ma si è tenuto il primo congresso cittadino nella provincia in oggetto in presenza di un solo circolo senza alcun problema. Perché quindi ora chiedere che si costituiscano artificiosamente due circoli? chiede un rappresentante di una di queste città che dovrebbe andare a congresso? Risposta dal coordinatore e dal suo vice. Perché lo statuto prevede in presenza di almeno due circoli cit-tadini la nomina di un Coordinatore che potremmo scegliere “noi”: altri-menti si rischia che qualcuno arrivi con 50 iscritti fonda un circolo e in un’assemblea nomina lui il coordi-natore passandoci davanti. Ciò sarebbe conseguenza, secondo loro, di “un buco dello statuto” a cui intelligentemente loro porreb-bero rimedio con la “genialata” dei due circoli. Osservazioni: - non è il caso di lasciar decidere agli iscritti o agli organi di rappre-

sentanza esistenti nei comuni che fare: se mantener un circolo o cre-arne artificiosamente un altro? - non risultano in essere manovre o “assalti alla diligenza Fli” da parte di altri partiti o centri di potere, anzi ci si deve dare un gran da fare per fare iscritti. - scusate ma se arriva qualcuno con 50, 100, 1000 iscritti regolari ai sensi dello Statuto del partito non si capisce perché non si debbano fare assemblee regolarmente con-vocate, partecipate, votate ed eleg-gere chi raccoglie più consenso, che potrebbe anche non essere il “sansepolcrista” della prima ora ma anche un nuovo e recente iscritto. Verrebbe da dire “questa è la de-mocrazia bellezze!”. Ci si confronti, si facciano iniziative, proposte, se necessario mediazioni e chi avrà più filo tesserà la sua tela. Dov’è il problema? Il problema c’è, anzi i problemi ci sono. Dicono: chi da un anno lavora per il partito (e chi sta scrivendo sarebbe fra questi) non è giusto che venga scavalcato. Vero, ma altrettanto vero che se si avvicinano persone di buona volon-tà, voglia di fare, capacità anche di confrontarsi e convincere queste debbano avere il loro spazio e se-condo le regole, anche i loro ruoli. Meritocrazia, libera competizione non sono forse fra le parole d’ordi-ne di Fli? Fin qui una diversità di opinioni. Il passaggio successivo prevede invece l’escalation dialettica. Il “Contestatore” viene accusato di essere sempre critico tirando in ballo episodi precedenti in cui ha espresso civilmente il proprio dis-senso, viene accusato nientepopo-dimenochè di “voler sfasciare il partito” e via di questo passo…; per non tediare il lettore evitiamo di descriverle. In assenza di bisogni inespressi, ci pare francamente che il problema sia semplicemente inesistente, ba-sterebbe sentire i pareri dei pre-senti, serenamente, magari lascian-do un po’ di fiducia agli aventi cau-sa, gli iscritti di ciascun circolo, di fare come ritengono anche perché

Che simpatici umoristi... Cronaca

La mente è come il paracadute. Funziona solo quando è aperta (Anonimo)

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le prime vittime di ipotetici, imma-ginari, eventuali azioni di dumping (o meglio cammellaggio) sarebbero proprio loro. Incomprensibile che alcuni membri di un coordinamento provinciale fra cui il coordinatore, il suo vice (che è poi l’eletto responsabile cittadino in presenza di un solo circolo) viva-no come “la madre di tutte le bat-taglie” una proposta che per altri non è condivisibile. A pensar male si fa peccato ma… Un dubbio a questo punto sorge; vuoi veder che al coordinatore pro-vinciale non piace il nome del pos-sibile responsabile di circolo locale, e vuole favorire l’ascesa di persone di sua fiducia? In questo caso crea-re un altro circolo “controllato” da amici può aiutare, o no? Mi si consentano ancora due battu-te: bisogna dire che l’idea di mette-re una toppa ai presunti “buchi” dello statuto è quantomeno fanta-siosa. Specie se la toppa ci pare peggio del buco! Infine ci complimentiamo con i “fantasisti” che prima di entrare in Fli non hanno mai fatto politica e che la interpretano in maniera così originale e intelligente, o no?. Comunque per evitare di avere sul-la coscienza la distruzione del parti-to il “contestatore” eviterà accura-tamente in futuro di “rompere”, i cervelli che ci sono in certi coordi-namenti bastano e avanzano. Ciao “bela gente” ridiamoci su che fa buon sangue!. (5 ottobre 2011)

Ah , a p ropos i to s t i amo r i -cevendo ma i l da pa r t e d i t an t i am ic i d i F l i che c i so l l e c i t ano a d i f ende re W i -k iped ia e l a l i be r tà d i s tampa c i t andomi l ’ a r t i co lo 21 de l l a Cos t i tuz ione che r i po r ta : T u t t i h a n n o d i r i t t o d i m a n i f e s t a r e l i b e r a m e n -t e i l p r o p r i o p e n s i e r o c o n l a p a r o l a , l o s c r i t t o e o g n i a l t r o m e z z o d i d i f f u s i o n e . L a s t a m p a n o n p u ò e s s e r e s o g g e t -t a a d a u t o r i z z a z i o n i o c e n s u r e . Come non esse re d ’ acco r -do !

Questi congressi stanno uccidendo Futuro e libertà. Ecco il titolo di un intervento ap-parso sulle pagine di Onda futuri-sta: un j'accuse in grado di cogliere il problema chiave di Fli, quell'ele-mento che potrebbe portarla alla morte politica, come da tempo il futurista sta sottolineando. Il movi-mento portatore del cambiamento cultuale e politico sta diventando un partito burocratico in cui l'aper-tura, il confronto, il dialogo prendo-no la forma delle antiche liturgie correntizie. Così, dopo un anno di attesa, si inaugura anche per Fu-turo e libertà la stagione dei con-gressi: ma invece di essere il luogo di un serrato, persino aspro, con-fronto di idee, tema all'origine della frattura con il Pdl, rischiano di tra-mutarsi nelle arene di battaglia tra gruppuscoli di natura nominale, piccoli presidi personali. Spazi per la lotta, francamente ste-rile, tra logge di periferia. Una pra-tica, quella dello scontro tra medio-cri podestà, in grado di rendere la celebrazione congressuale un ba-gno di sangue dal quale Fli può uscire a brandelli. L'hanno suicidato, si diceva un tempo. E rischiamo di ripeterlo ora rispetto a un sogno di cambiamento, forse ingenuo, di certo entusiasta, divenuto oggi vitti-ma di rancori di natura personale che nulla hanno a che vedere con la politica. Quella creativa, quella in movimento, quella che mette le idee davanti, e non die-tro, alla burocrazie. Quella che avrebbe dovuto incarnare Fli. Così, proprio ora, quando la fine del berlusconismo

è alle porte, il partito dimostra di aver acquisito tutti i peggior difetti delle più antiche pratiche politiche-si. Rinnega, paradossalmente ades-so, la ragione per cui è nato. C'è, poi, un tema di ulteriore gravi-tà. Si registra, è inutile nasconder-lo, non solo la delusione sempre maggiore tra la base, per usare un lessico adatto alla liturgia in atto, e una regnante dirigenza. Il proble-ma è che così, attraverso le batta-glie personali, non si può aspirare a crescere, a mutare, a incarnare quel sentimento per cui tanti, persi-no inaspettatamente e da luoghi politici distanti, si sono avvicinati al sogno finiano. Ecco la morte del partito: divenire uno spazio per mettere insieme famigliole rancorose. L'esatto con-trario dell'aspirazione originaria. In nome della quale, quindi, è lecito chiosare come fa Onda futurista: «Al punto ove siamo arrivati è pre-feribile che sia Fini a dare indicazio-ni su chi debba vincere i congressi, almeno quelli regionali, così facen-do si risparmierebbero energie e tempo preziosi, da investire su una più matura elaborazione politica da proporre all’Italia, piuttosto che inutili contese interne».

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Abbiamo avuto modo di sentire su Sky l’intervento di Gianfranco Fini all’assemblea degli Stati generali di Futuro e Libertà per l’Italia tenutisi a Palermo l’8 ottobre u.s. e, come spesso ci è capitato, abbiamo con-diviso se non tutta quasi tutta la sua analisi politica. Appare strana invece la sensazione di disagio che proviamo quando entriamo in contatto con le struttu-re di organizzative di Futuro e Li-bertà. Ci balza agli occhi un distacco quasi siderale fra le due realtà. Molti chiedono a Gianfranco di la-sciare il ruolo di presidente della Camera per dedicarsi al partito. Noi invece riteniamo che Gianfran-co debba lasciare che il partito cre-sca da solo, continuando a propor-re le sue analisi che costituiscono un orientamento da cui militanti e soprattutto i dirigenti di Fli dovreb-bero trarre indicazioni utili per la propria attività politica sul territo-rio. L’idea che molti cullano secondo cui un impegno diretto di Gianfran-co farebbe schizzare il partito dal 3,5% al 7-8% riflette una mentalità sbagliata che pare dirci: “visto che militanti, organizzazione, strutture non riescono a far crescere il parti-to, pensaci tu.” Senza entrare nel merito di quel 3,5% che a livello nazionale vuole forse dire un 4 o 5% al centro sud ed un 1,5-2% al nord, e sempre ammesso che la stima sia al mo-mento del voto effettivamente con-fermata, ci chiediamo perché il par-tito non può crescere di più? Per quanto ci riguarda la risposta è semplice, perché in esso (per la realtà che noi conosciamo) non si fa Politica o se ne fa troppo poco e spesso male. Cosa vuol dire fare Politica? Prendiamo sempre in nostro amato Piemonte: quante iniziative sono state fatte in questo ultimo anno da Fli: quanti tavoli di propaganda nei mercati e nelle città, quante manifestazioni, quanti interventi e comunicati stampa su questioni di interesse sociale sono stati fatti ?

quanto denaro (magari dall’auto-tassazione) è stato raccolto da mili-tanti e dirigenti per le iniziative del partito, quanti incontri formativi e informativi sono stati fatti per i-scritti e simpatizzanti, quanti semi-nari su temi di pubblico interesse, e quanti esponenti di Fli hanno parte-cipato o sono intervenuti in assem-blee di pendolari, piuttosto che contro il degrado dei quartieri, o nelle infinite altre iniziative promos-si da gruppi e associazioni della cosiddetta società civile, quanti interventi in giornali, radio, tv? Diciamo vicino allo zero o giù di lì? Però si vorrebbe che Fini si dedi-casse al partito, che supplisse lui alla pressoché zero attività politica svolta. L’idea che il cittadino elettore cono-scendo e condividendo le idee di Fini poi voti una sua copia in sedi-cesimo in qualche consiglio comu-nale, provinciale o regionale non è giusta. Può funzionare una volta forse, ma l’elettore, che proprio stupido non è, non impiegherà molto a capire che l’imitatore Finia-no, che non ha saputo fare Politica come cittadino, che non ha mai sacrificato un euro o qualche ora del suo tempo per iniziative sul territorio, di fatto è semplicemente uno dei tanti politicanti dediti so-prattutto a fare i casi suoi. E se invece cominciassimo a intro-durre un criterio del tipo - No Mar-tini No party - che potremmo para-frasare con - No action No election- ossia niente iniziative sul territorio niente presentazione delle liste Fli per le elezioni in quel territorio. I criteri per valutare le action svolte negli anni son semplici e sono quel-li sopra citati. Si sostituirebbe finalmente al crite-rio di presentazione della lista sul banale quanto fuorviante principio della presenza di un Circolo Fli, anche se solo formale, anche se inesistente sotto il profilo dell’inizia-tiva, il principio della attività Politi-ca effettivamente svolta. Lo sappiamo molte liste non ver-rebbero presentate, ma col tempo si selezionerebbe una classe politi-

Militanti o militonti?

l’invito a tutti gli amici, i simpatizzanti, gli iscritti è quello di chiedere trasparenza, correttezza, rispetto delle regole, denunciare manovre, camarille, porcate, dentro e fuori il partito. Non vi succederà nulla, non vi può succedere nulla, al massimo non vi candideranno a cariche o non vi metteranno in lista alle prossime elezioni, e allora? qual è il problema?

di Enzo Gino

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ca seria che sa che cos’è la dura lotta Politica, che non è la competi-zione per la con-quista della se-greteria, dello scranno o della candidatura come capolista, è il confronto con la casalinga, il sin-dacalista, l’asso-ciazione, il militante o il consigliere di un altro partito. Ci sarebbe un’altra storia ed un altro partito. Cogliamo l’occasione per esprimerci anche su alcune affermazioni che abbiamo sentito e letto su Facebo-ok e che secondo qualcuno ci do-vrebbero riguardare. “I panni sporchi si lavano in casa propria”, riferendosi al principio di non criticare l’operato di dirigenti e partito su media di dominio pubbli-co. Osserviamo che per lavare i panni in casa propria deve esistere una lavanderia, una lavatrice, al-meno un lavandino o un secchio, altrimenti non resta che vestire i panni sporchi con le mefitiche con-seguenze del caso se non, addirit-tura, cambiare vestito. Fuor di metafora: quando qualche militante chiede di capire di sapere, fa delle domande ci deve esser qualcuno che risponde, qualcuno vuol dire una sede, un luogo, un indirizzo di posta, persone, dirigenti mail, siti dove trovarsi per discute-re, per chiarirsi. Altrimenti resta il silenzio, l’indifferenza o peggio la diffidenza. Una struttura come ogni organismo vivente esiste se è in grado di difendersi e di evolversi facendo ciò che è necessario per la propria crescita, sopravvivenza e proliferazione. Un uovo chiuso, sor-do, cieco dedito alla difesa del pro-prio ruolo di futura ipotetica gallina rischia di rimanere sterile. Ecco perché noi continueremo, imperter-riti, pedanti e, scusate il francesi-smo: rompicoglioni, a fare doman-de e pretendere ascolto e risposte. Non ci interessa incarnare il mili-tante (che un tempo chiamavamo militonto) che dice sempre sì che crede che il Partito sia Dio e Fini il suo Profeta. Essere Laici per noi significa avere

come bussola la razionalità, il con-fronto anche duro se necessario, rispetto alla fede più o meno cieca. In un partito laico non possono esi-stere atteggia-menti fideistici. Persino nel PdL, persino nella Le-ga in cui rispetti-

vamente Berlusconi e Bossi si con-siderano Padri-padroni stanno giu-stamente emergendo contestazioni che chiedono democrazia e parteci-pazione. Facciamo in modo che Fli sia l’e-sempio per una destra che rompe una tradizione di scarsa democrazia interna (peraltro tipica della storia di certi partiti della sinistra). Ecco perché OP continuerà e insi-sterà nel chiedere nel partito parte-cipazione, democrazia, meritocra-zia, trasparenza, rispetto delle re-gole, combattendo ogni forma di poltronismo, arrivismo, mutismo, “struzzismo”, rassegnazione, fuga, arroganza, presunzione. E inevitabile che un simile atteggia-mento provochi forme di rifiuto, di reazione, di ostracismo, mai co-munque, almeno sino ad oggi, espresse alla luce del sole. Per noi è solo la riprova che stiamo mettendo i piedi nel piatto di qual-cuno. Vogliamo un partito di militanti con palle o ovaie secondo che siano uomini e donne, che non si faccia-no prendere per il culo dai soliti “caporali”. Per questo l’invito a tutti gli amici, i simpatizzanti, gli iscritti è quello di chiedere trasparenza, correttezza, rispetto delle regole, denunciare manovre, camarille, porcate, den-tro e fuori il partito. Tranquilli, non vi succederà nulla, non vi può succedere nulla, al mas-simo non vi candideranno a cariche o non vi inseriranno in liste eletto-rali, e allora? qual è il problema? Quello che invece è importante è esser presenti, partecipi là dove la gente subisce le conseguenze di politiche e amministrazioni falli-mentari; è importante promuovere iniziative, capire i perché ed i per-come si creano situazioni inaccetta-bili, capire chi ha interessi a crearle

e mantenerle queste situazioni, capire come si possono cambiare. Questo è il ruolo di un Partito, altro che sbattersi per la poltroncina di coordinatore o per fare il secondo circolo cittadino per evitare di esser “cammellati” da chissà chi. Ed anche la voce della base quan-do si tratta di alleanze locali avreb-be più peso. Dopo un anno in cui si scrive e si pubblica OP un giornale dichiarata-mente di area Fli che dà spazio libero a tutti, la gran parte dei me-ritocratici dirigenti piemontesi, fatte le debite eccezioni (nel nostro sito ci sono le firme che hanno scritto su OP), non hanno mai avuto l’ardi-re di esprimersi, né hanno sentito l’impulso di comunicare attraverso questo media (né attraverso altri) alcunché. Ma noi che non ci accon-tentiamo di pagare con i nostri sol-di ed il nostro tempo un giornale, vorremmo fare anche altro. Vor-remmo, come già preannunciato in passato, avviare una serie di semi-nari di formazione su temi politici, culturali, sociali, territoriali da te-nersi a Torino. Abbiamo raccolto la disponibilità ad incontrarci a confrontarsi con rap-presentanti delle associazioni, dai pendolari, alle associazioni ambien-taliste, dai comitati spontanei di cittadini alle persone di cultura che da anni sono impegnati per cam-biare realtà inaccettabili e spesso al limite della civiltà, presenti vicino a noi. Chi è interessato partecipare può scriverci. Gli incontri si dovrebbero tenere nella fascia oraria preserale 18,30 – 20,30 o serale 21,00 in poi con cadenza quindicinale. cell. 335-7782879 [email protected]

No action, no election

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Dedichiamo qualche pagina di que-sto e del prossimo numero di Op ad una tematica di cui molto si par-la in questi anni, spesso anche in modo improprio: la comunicazione. Si potrebbe parafrasare un antico detto con un più aggiornato: comunico ergo sum. Effettivamente nel mondo globaliz-zato (ma è sempre stato così) per chi desidera o più probabilmente necessita di relazionarsi a qualsiasi livello, la comunicazione è essen-ziale. Il termine si confonde e si sovrap-pone in molti ambiti con altri simili come relazioni pubbliche e lob-bying, cercheremo di spiegare come e perché. Senza avere la presunzione di trat-tare in poche pagine argomenti che vengono svolti in diversi corsi uni-versitari e in miriadi di testi, ci limi-tiamo a dare qualche “pennellata” di informazioni sull’argomento. Gli strumenti della Comunica-zione come sono cambiati ?

Si è passati dalla radio, l’Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche) ante guerra che si affiancava ai giornali ed ai film “politici” a cui si sono aggiunti dapprima la televisione rappresentata in Italia per molti decenni dalla Rai e poi a tutti gli altri mezzi di comunicazione di massa. Nelle immagini 1,2,3 e 4 è schema-tizzata l’evoluzione del paesaggio mediatico. Oggi i soggetti della comunicazio-ne, cioè tutti noi, siamo i destinata-ri dei messaggi inviati dai mass-media e siamo diventati volenti o nolenti consumatori di informa-zioni tanto che si può parlare di vera e propria dieta mediatica. Come tutte le diete la scelta è con-dizionata dalla accessibilità alla in-formazione stessa. Fra i diversi mezzi la televisione resta ancora di gran lunga il mezzo principale di comunicazione e quin-di alimentazione mediatica dei cit-tadini.

Comunicazione e partito...

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Comunicare l'un l'altro, scambiarsi informazioni è natura; tenere conto delle informazioni che ci vengono date è cultura (Johann Wolfgang Goethe) Le immagini sono estratta da una studio della

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Fra esse la parte del leone la fanno ancora le Tv generalista. I periodici sono in calo anche se va considerato che una parte degli utenti si è trasferito dal cartaceo al telematico. Ovviamente anche la politica è cambiata negli anni in funzione dei media. Dalla radio al giornale con il cinema che svolgevano un ruolo primario si è arrivati ad una gamma ben più ampia di media che hanno fra loro caratteristiche diverse. Mentre tutte le indagini in materia si concentrano sulla potenza me-diatica ossia sugli indici di ascolto o accesso dei diversi strumenti comu-nicativi, pochi si soffermano ad analizzare alcuni caratteristiche di questi mezzi. Ci proviamo noi. I media si possano dividere in due grandi categorie: quelli che richie-dono un grande investimento di capitale e sono pertanto accessi-

bili solo a imprenditori superdotati economicamente e quelli accessi-bili a tutti. Se Tv, radio, giornali appartengono sostanzialmente alla prima catego-ria, internet, Facebook, Youtube appartengono alla seconda.

Merita quindi capire come oggi si possono sfruttare al meglio questi nuovi media. Certamente si può affermare che oggi la massa di in-formazioni diffuse per il grande pubblico si è accresciuta notevol-mente, in questo contesto mante-

A proposito di RAI Nel 1954 vennero attivate in Italia le prime trasmissioni televisive ad opera della Rai. La Tv italiana (emittente della RAI, società pubblica controllata dallo Stato) nasce il 3 gennaio 1954, con qualche anno di ritardo rispetto agli altri Paesi europei. Prima della tv le uniche due fonti d’infor-mazione di massa erano radio e cinema. Nel 1954 quasi il 40% dei lavoratori è nel settore agricolo, più del 32% è nell’industria e più del 28% è nel terziario. Il reddito pro-capite nel 1950 era tornato ai livelli del 1938. Parla correntemente l’ita-liano solo 1/5 della popolazione (quasi il 13% è analfabeta). Nel 1959 i comici Tognazzi e Vianello vengono espulsi dalla Rai per aver preso in giro il Presidente della Repubblica in un programma di successo un due tre. Nel 1960 negli Stati Uniti per la prima volta si affrontano in un dibattito televisivo i due candidati alla presidenza: Kennedy e Nixon. Il fatto che quest'ultimo, ad un certo punto, cominciasse a sudare, mentre l'altro restava impassibile, fu giudicato dagli analisti come uno degli elementi che causò la sua sconfitta. Nel 1961 la trasmissione più seguita resta sempre il tg (70% degli utenti): per anni le notizie date dai telegiornali appariranno come più attendibili di quelle fornite dai quotidiani, in quanto il pubblico percepiva le immagini come "verità oggettiva". Sul piano politico la gestione della Rai è democristiana; la cultura di tendenza è quella umanistica; lo slogan principale è: "I partiti hanno i giornali, il governo ha la Rai". Fino al 1960 nessun leader di partito ha mai parlato in tv. Nel 1961, a livello nazionale, il settore economico trainante è quello industriale (38%), poi vi è il ter-ziario (32%), infine l’agricoltura (30%). I consumi privati tra il 1951 e il 1960 crescono del 65%. Il tasso di crescita di trasporti e telecomunicazioni cresce del 238%! Questo aumentato benessere fa aumentare gli abbonati alla Rai, la quale inoltre beneficia di maggiori introiti derivanti dalla pubblici-tà. Il monocolore democristiano, che ha dominato dal 1948, è entrato in crisi e si afferma il centro-sinistra. Di qui la nascita nel 1961 della seconda rete: si diversifica l’offerta televisiva Negli anni 1975-76 avviene la svolta: ha termine il monopolio della Rai, che fino a quel momento era stato visto come garante del pluralismo culturale. La Rai passa dal controllo governativo a quello parlamentare. Negli anni Settanta vi è il boom delle emittenti private: da 68 nel 1976 a 600 nel 1981. Nella prima metà degli anni Ottanta l'imprenditore Silvio Berlusconi, già fondatore di Canale 5, acqui-sta anche le emittenti Italia 1 e Rete 4, con l'avvallo dei socialisti al governo, e crea il forte polo pri-vato della Fininvest (oggi Mediaset). Nel 1987 il 90% della programmazione Fininvest è dedicato allo spettacolo, ma nel 1994 i palinsesti Rai - Finvest diventano sostanzialmente analoghi. Utilizzando le proprie emittenti Berlusconi è in grado di compiere il passaggio dall'economia alla politica, fino al punto da diventare presidente del Consiglio.

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nere una visibilità diventa molto più difficile. E’ come essere una vo-ce che grida in uno stadio. E’ opportuno quindi per chi vuole fare politica saper sfruttare al me-glio questi nuovi media che inevita-bilmente finiscono per condizionar-ne le pratiche. Questi media introducono un sorta di redistribuzione del potere comu-nicativo che può contrapporsi alle più o meno grandi corporation, in cui all’investimento di grandi capi-tali, corrisponde una concentrazio-ne di interessi sempre a sfondo economico finalizzati al condiziona-mento dall’alto al basso (top-down). I media che chiamiamo “diffusi” al contrario non accettando egemo-nie, ma se intendono aver peso nel contrastare la comunicazione domi-nante non possono fare altro che coalizzarsi, coordinarsi allearsi per poter contare. Una strategia che implica il con-fronto, la partecipazione, il coinvol-gimento, una struttura organizzati-va diffusa, orizzontale che porta a scelte che originano dal basso. La comunicazione “diffusa” in pas-sato si limitava al passaparola al volantinaggio, oggi i citati strumen-ti telematici consentono a chiunque di poter trasmettere il proprio pen-

siero, di consenso o dissenso su temi diversi, a migliaia di altre per-sone in pochi minuti (si pensi agli amici ed agli amici degli amici di facebook) finendo così per creare una rete di informazione che può esser in grado di sostenere, con-traddire, comunque condizionare i media dominanti. Le “rivoluzione” arabe, la politica coercitiva cinese su internet, Wiki-leaks sono esempi dell’importanza di questi media diffusi. Se le scelte vincenti sono il risultato di due fattori: - la disponibilità di informazioni - la capacità di elaborazione delle informazioni finalizzata al consegui-mento dell’obiettivo, è del tutto evidente che oggi il primo step os-sia la disponibilità di informazioni è una realtà, come l’accessibilità a strumenti di comunicazione diffusa, ciò che ancora manca invece è una capacità di elaborazione delle in-formazioni in grado di coinvolgere soggetti diversi per orientarli ad un obiettivo comune. Questo può avvenire solo attraver-so l’aggregazione attorno ad analisi condivise conseguibili a loro volta attraverso l’attuazione di una politi-ca “dal basso”. Ciò richiede però anche il cambiamento nella struttu-ra organizzativa dei partiti e nei

rapporti con i militanti e cittadini che devono divenire parti attive e coordinate del processo in grado favorire e garantire la partecipazio-

«[…] La campagna per Obama condotta da MoveOn ha porta-to a risultati strabilianti. Dai primi mesi del 2007, in cui il sostegno alla sua candidatura era la priorità dell’organizza-zione, sono stati raccolti 88 milioni di dollari (e per regola-mento un donatore non può versare oltre i 5mila dollari), arruolati 933mila volontari e vinti 6 seggi al Senato. Move-On è stata la dimostrazione più emblematica di come i cambiamenti politici e sociali, candidati credibili permetten-do, possano avere successo pur partendo dal basso. La chiave di volta è stata la mobi-litazione sul territorio. Una connessione Internet per inte-ragire con i membri o i simpa-tizzanti sui social network, ore passate al telefono per convincere altri ad aggiungersi al progetto di democracy in action. Da un capo all’altro degli States, ma passando dai propri quartieri e dai vicini di casa. […]»

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ne reale ai processi politici e deci-sionali. E’ un percorso che parte dall’a-scolto e dalla conoscenza dei sog-getti e dei temi di interesse sociale per passare all’acquisizione del consenso iniziale sino alla parteci-pazione attiva. (Immagine 5) Quindi si deve passare da una concezione del partito sostan-zialmente basata su gerarchia, leadership, ideologia e delega ad uno basato su trasparenza, partecipazione e collaborazio-ne. (Immagine 6 e 7) In passato prevaleva un sistema rigido, ordinato, con un pensiero forte e coercitivo che aveva i suoi riferimenti fissi ed immutabili detta-ti dalla ideologia e che puntava a portare sotto l’egemonia del partito le iniziative locali. Oggi il partito deve essere un siste-ma flessibile ed inclusivo rispetto alle esigenze reali di persone o gruppi. I punti fissi che spesso sconfinano nel pregiudizio (ossia in giudizi a priori) devono essere me-no presenti possibili e la disponibili-tà al confronto massima. Si arriva così non alla egemonizzazione di gruppi e movimenti d’inizia-tiva locale ma alla collabora-zione costruttiva che prevede anche la capacità per il coordinato-

re, il segretario o il partito a saper mediare la sua posizione sulle esi-genze di un gruppo, associazione o lobby favorendo sia la partecipazio-ne dei gruppi che e fra gruppi di-versi. Creare o tentare di creare una nomenclatura che garantisca una gerarchia e tenti di ripetere, senza averne peraltro i mezzi, un governo top-down (dall’alto) finisce inevitabilmente per creare esclusio-ne, conflitto, rifiuto e ben difficil-

mente produce un governo delle idee e delle iniziative: di solito è la paralisi. Questo è un problema non da poco per chi per anni ha militato in strutture gerarchizzate nei vecchi sistemi organizzativi (leggi Lega, AN e PdL) è che tendono a ripro-durre il Fli simili rapporti di coman-do. Sono situazioni che si potreb-bero eventualmente ricreare fra molti anni ma che in un partito al suo nascere per di più con una ine-

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vitabile componente libertaria (ricordiamoci che Fli nasce da una legittima contestazione di Fini ri-spetto al partito-presidente) se non anarcoide, difficilmente sortiscono effetti utili ma bensì caos e conflitti o nel migliore dei casi assenza di governo. Infatti salvo la presenza di persone o leadership carismatiche o media-ticamente (=economicamente) forti difficilmente si riesce a gestire una realtà complessa con persone di provenienza diversa per cultura, età, esperienze politiche. Tutto si riduce a un tentativo di egemonizzazione destinata ad in-frangersi sulle mail ed i messaggi su facebook della controinformazio-ne della militanza che inoltre può

avere anche il suo riflesso al mo-mento del voto specialmente se si reintrodurranno le preferenza. Quale dirigente aspirante candidato per l’elezione se la sente di rischia-re l’appoggio del net-people ? Una organizzazione aperta al con-fronto telematico che avviene so-stanzialmente in tempo reale non consente una gestione tradizionale del partito. Se i dirigenti di tale or-ganizzazione non sanno gestire i media utilizzati dai militanti e non riescono a reggere il confronto dia-lettico sui detti media non “controlleranno” mai il partito, non potranno fare iniziative sul territo-rio con il coinvolgimento della ba-se, non potranno sostanzialmente assumere posizioni pubbliche in

nome di simpatizzanti ed iscritti che appena giunti a conoscenza delle posizioni assunte, li possono facil-mente smentire. E c’è da star certi i che i media vicini ai partiti concor-renti saranno pronti a fare da gran-cassa alla frattura fra vertici e ba-se. Imparare ad ascoltare i militan-ti, i cittadini, le organizzazioni e saper tracciare l’inviluppo del mag-gior numero di esigenze emerse per poi rappresentarle in una sinte-si intelligente attraverso la comuni-cazione (e se si è presenti, nelle istituzioni, con scelte conseguenti), diventa essenziale per la costruzio-ne del consenso. Questo principio

vale nei confronti dei cittadini che militano nel partito, per quelli di prossimità: i simpatizzanti ed anche per quelli, oggi, più lontani. L’incapacità di rapportarsi con la base e con i media è tipica di una classe politica “vecchia” che crede ancora che basti esser un senatore o un deputato o un coordinatore per poter intimidire con la forza della carica e del ruolo i militanti o la gente, o che detto ruolo conferi-sca sic et simpliciter la capacità di assumere ruoli dirigenziali nel parti-to e di dettare autonomamente o oligarchicamente le linee politiche del partito. Non funziona più così. Raccogliere tante preferenze ed essere eletti in qualche assise non significa automaticamente saper

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po e denaro ossia attività politica a tempo pieno (si pensi agli eletti, ai presidenti di sindacati, associazioni, ecc.) e investimento o accessibilità alla comunicazione (es: conduttori televisivi, proprietari di network). In questo contesto la carriera poli-tica (ma vale per molte carriere) può esser vista come un investi-mento a lungo termine per chi non può permettersi di investire grandi capitali per raggiungere le cariche più prestigiose. Non è stato affron-tato qui l’altro aspetto essenziale, ossia i contenuti della comunicazio-ne. Va da sé che si può investire tempo e denaro in quantità ma se lo si fa in termino sbagliati i risultati difficilmente arriveranno. Ma di questo scriveremo sui prossimi nu-meri di OP. Sin qui il soggetto sono state le persone, e il partito?. L’organizza-zione ha problemi analoghi per qualità ma amplificati nelle dimen-sioni. Per il partito è essenziale sa-persi costruire una immagine. Se ai cittadini chiedete di definire in una parola il Partito della Nazione ecco cosa rispondono (immagine 8) Le dimensioni delle parole sono proporzionali al numero dei cittadi-ni che l’hanno richiamata. Va da sé che maggior coerenza o contraddi-zione fra l’azione quotidiana svolta dal partito e da chi lo rappresenta e le citate parole possono rafforza-re o affievolirne il richiamo. Do-manda ai nostri lettori, provate a chiedere di definire con una parola Fli in Piemonte e vediamo quale quadro di parole ne emerge. E’ evidente che si debba fare quindi un grosso sforzo di comunicazione sia rispetto all’interno del partito, sia rispetto all’esterno. Vedremo chi sarà capace di introdurre un reale processo meritocratico e partecipa-tivo noi aspettiamo fiduciosi. Per ora. (Sul sito OP puoi collegarti ai documenti sulla comunicazione).

guidare una organizzazione, come non significa saper assumere la linea politica più giusta per il parti-to. Il consenso elettorale è importante,

fondamentale ma è solo un aspetto di ciò che un partito deve saper fare. Molte organizzazioni commet-tono questo grave errore. Il risultato è che sull’onda della novità, più per il rifiuto dell’esisten-te che per la condivisione delle pro-poste, le nuove formazioni conse-guono un consenso elettorale alla prima tornata elettorale, salvo de-ludere alla prova dei fatti. Così nel migliore dei casi gli elettori cambiano voto sperando di poter cambiare, nel peggiore non vanno più a votare del tutto delusi dalla politica. Tornando all’uso dei media, facen-do il confronto fra l’uso che di essi se ne faceva in passato con quello odierno si può vedere che il tipo di comunicazione era in passato so-stanzialmente ad una via (one way o per dirla alla Mc Luan Comunica-zione fredda) ossia dal gestore dei media al destinatario, quest’ultimo ben pochi spazi aveva per un are-plica, un dialogo o per un confron-to al massimo partecipava a son-daggi e poi ai forum. Per il futuro prossimo blog, siti e network dovranno essere inseriti

all’interno di una strategia di comu-nicazione integrata nella quale il partito deve avere una connotazio-ne chiara, trasparente, partecipata, con persone che lo rappresentino a pieno titolo e che siano in grado di rapportarsi personalmente diretta-mente con la base e l’elettorato o meglio i cittadini con continuità non solo per i periodi della campagna elettorale. Qualcuno parla di cam-pagna elettorale permanente, ma sarebbe più corretto riferirsi a poli-tica attiva permanente di cui la campagna elettorale ed i momenti elettorali sono episodi, importanti ed utili per avere la conferma o la smentita delle posizioni politiche assunte e della comunicazione svolta. Ma la campagna elettorale salvo la disponibilità di consistenti capitali non si vince in periodo elet-torale. Esiste un rapporto ben pre-ciso fra tempo e denaro investito.

t x € = risultato Un candidato può fare grandi inve-s t iment i per poco tempo (campagna elettorale) situazione tipica tradizionale in cui si pianifica la comunicazione in breve tempo su diversi media in funzione delle cifre disponibili e del target.

t x €(media) Oppure bassi investimenti per tem-pi lunghi,

t(i+f+Y) x €

risultati che possono essere ampli-ficati attraverso siti internet, face-book, youtube e simili, in questo caso solo i media “diffusi” fungono da moltiplicatori e soprattutto sono alla portata dei competitori. Nel primo caso si può essere ospiti (tempo breve) della politica solo per il periodo elettorale. Se si viene eletti bene, altrimenti si torna alle proprie attività (di solito remunera-tive). Nel secondo caso si deve fare attività per tempi lunghi; l’at-tività politica diventa una costante della vita. Nel pri-m o c a s o l o s f o r z o (economico) è giustificato a fronte di cariche ben remune-rate (dal consigliere regionale in su) nel secondo caso anche per quelle meno remunerate province e comuni. Ovvia-mente il massimo del risultato lo si ottiene miscelando tem-

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I FATTI Il caos scoppiato in Gran Bretagna ad agosto pone seri interrogativi e richiede un’analisi che non si esau-risca con la fine degli scontri che hanno messo a ferro e fuoco per giorni diverse grandi città inglesi. Tutto è cominciato “banalmente” con l’uccisione di un ragazzo di co-lore da parte della polizia, come avvenuto anni fa in Francia e prima ancora negli USA, ma poi la prote-sta ha assunto dimensioni di gran lunga più vaste dell’ambiente socia-le del ragazzo ucciso e ha coinvolto anche giovani provenienti da fami-glie ricche. Proprio questo ultimo elemento differenzia nettamente quanto successo in Gran Bretagna dalle esperienze precedenti, che coinvolgevano solo i gruppi sociali emarginati. La situazione che si è venuta a creare obbliga ad interro-garsi sia sull’immigrazione e la rea-le integrazione di queste comunità, sia, soprattutto, sulle cause profon-de che hanno spinto anche inglesi di buona famiglia ad unirsi ai sac-cheggi indiscriminati. Inoltre do-vremmo chiederci se uno scenario simile può verificarsi anche da noi oppure no e perché.

LE CAUSE Per quel che riguarda l’immigrazio-ne, va notato che sia il sistema francese sia quello britannico, sono in crisi, anche se partono da ap-procci opposti. Il primo si basa sull’assimilazioni-smo, cioè permette a tutti di diven-tare cittadini e di arrivare anche ai vertici della società, come dimo-

strato da Sarkozy che è di origine ungherese, ma in cambio gli immi-grati devono sentirsi solo francesi, non rivendicare alcuna identità se-parata ed accettare in pieno i valori repubblicani. Questa filosofia nasce con la Rivoluzione francese e viene applicata all’inizio verso gli Ebrei, a proposito dei quali viene detto “Tutto è concesso loro come indivi-dui, niente è concesso come popo-lo”. Qualche anno fa basandosi sulla laicità, concetto-cardine dei valori repubblicani, è stato vietato di esporre e semplicemente portare a scuola simboli religiosi di qualsia-si tipo perché la scuola è pubblica, mentre la religione deve rimanere un fatto privato. Il modello britannico si basa inve-ce sul comunitarismo, cioè rispetta l’identità originaria degli immigrati e questo ha portato più facilmente alla nascita di comunità coese di questi gruppi all’interno della socie-tà. Inoltre il solo fatto che espo-nenti della Chiesa anglicana abbia-no proposto di introdurre elementi della sharia nel codice britannico e che siano nate banche che si rifan-no ai principi islamici dimostrano quanto grande sia la differenza con la Francia e quanta disponibilità ci sia a fare propri i principi e i sistemi di origine straniera. Entrambi hanno però un problema comune: non riescono più a garan-tire l’integrazione reale di coloro che, pur essendo per la legge citta-dini a tutti gli effetti, ma sono o si sentono discriminati dai cittadini “autoctoni”. Questo aspetto do-vrebbe portarci a riflettere meglio su di essi, considerati da noi mo-delli possibili per quanto opposti, e spingerci a trovare nuove soluzioni oppure a guardare a sistemi diver-si, come quello americano oppure quello tedesco. Entrambi, infatti, riescono a fronteggiare bene que-sta situazione, anche se per motivi e con metodi diversi. Gli USA da sempre vivono, cresco-no e si sviluppano grazie all’immi-

L’estate folle di Londra ed il ruolo della famiglia e dello Stato

Riccardo Manzoni ft 339.1002650

e-mail @astudio.to.it

Se sono adulti per i reati che hanno commesso sono adulti anche per sentire tutto il peso della legge nei loro confronti

Incidenti nell’estate 2011 a Londra

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grazione e sono quindi i più esperti in materia. Il successo è dovuto alle enormi possibilità date a chiun-que arriva ed all’accettare ed inglo-bare come patrimonio nazionale quanto portato dai vari gruppi di immigrati, che a loro volta in poco tempo si sentono orgogliosamente americani. Questa politica in passa-to ha funzionato anche con gruppi inizialmente problematici come gli italiani e gli irlandesi, oppure molto lontani dalla cultura americana co-

me i vietnamiti. Oggi questa politi-ca continua, anche se attraverso altri canali, come quello militare. Infatti chi presta servizio nelle forze armate americane, ottiene in cam-bio la cittadinanza e questo crea legami profondi tra gli immigrati e la loro nuova patria. La Germania, anche se per molto tempo ha rifiutato di considerare gli immigrati una presenza stabile e definitiva tanto da chiamarli “gaestarbeiter”, lavoratori ospiti, di fatto ha creato un sistema molto efficiente basato su una reale inte-grazione in cambio di una rigida accettazione delle leggi tedesche. Un esempio emblematico è costitui-to dagli zingari: mentre da noi vi-vono in accampamenti abusivi e conducono un’esistenza separata dagli altri, in Germania vivono in appartamenti insieme ad altri grup-pi con i quali interagiscono senza

problemi. Certamente anche la Germania ha i suoi problemi, come emerso tempo fa in occasione del-l’uscita del libro “La Germania si autodistrugge” dell’ex banchiere Sarrazin. In quest’opera egli accusa gli immigrati di essere causa del peggioramento della scuola e dell’i-stupidimento della Germania ed in particolare accusa gli islamici di non volersi integrare. Il suo enor-me successo, oltre ad essere un indizio dello scollamento tra classe

dirigente ed opinione pubblica, è sicuramente una spia del malessere presente anche in Germania ma il fatto stesso che in Germania non siano avvenuti episodi come quelli verificatisi in Francia e Gran Breta-gna dimostra che il sistema tedesco tiene e continua ad essere partico-larmente efficiente. Tra i due modelli, anche per la crisi economica che attraversiamo e per lo scarso spiri-to militare che pur-troppo abbiamo, ritengo per l’Italia più realistico il si-stema tedesco, anche perché sia in Italia sia in Germa-nia il concetto di cittadinanza si è sviluppato durante

il Romanticismo e questo ha porta-to alla stessa concezione ed in par-te alle stesse leggi. Un’alternativa potrebbe essere, con la creatività che da sempre ci contraddistingue, inventare qualche nuovo meccani-smo che possa a sua volta diventa-re un esempio all’estero. Anche se è la via più difficile e richiederebbe una politica totalmente diversa dal-l’attuale triste spettacolo che siamo obbligati a vedere, questa sarebbe in assoluto la situazione migliore e sarebbe anche quella più naturale per l’Italia. La nostra identità, infatti, si è for-mata nel corso dei secoli partendo dal principio di essere punto di rife-rimento ed esempio per gli altri popoli in tutti gli ambiti. Questa nostra peculiarità si vede anche nei momenti politicamente peggiori, come dal Cinquecento a tutto il Settecento. Pur essendo divisi e spesso sotto-messi a potenze straniere, eravamo considerati la culla della cultura tanto che l’italiano era la lingua internazionale nel Mediterraneo. Inoltre gli intellettuali e gli aristo-cratici inglesi e tedeschi venivano in Italia per entrare in contatto di-retto con la cultura classica e que-sto viaggio, chiamato Gran Tour, è stato considerato un passaggio obbligato per molti secoli. Il problema dell’immigrazione, pe-rò, è stato in Gran Bretagna solo un aspetto di qualcosa di molto più preoccupante. La presenza di gio-vani di buona famiglia tra i ladri nei supermercati testimonia una vera e propria ineducazione civica che ha cause complesse e profonde che hanno a che fare con i valori, ma sarebbe meglio definirli disvalori, alla base della nostra società. La Gran Bretagna, insieme agli USA, è

Dal 6 al 10 agosto 2011 si è verificata una serie di disordini in Inghilterra, che ha inizialmente interessato i quartieri periferici della capitale britanni-ca, Londra, con saccheggi, episodi di sciacallaggio e rivolte. I disordini so-no cominciati nel quartiere di Tottenham, per poi espandersi senza control-lo intorno alla città in zone come Chelsea, Brixton e persino Oxford Circus, una delle maggiori attrattive turistiche di tutta Londra. La causa delle sommosse è l'uccisione di un sospetto ventinovenne, Mark Duggan, padre di quattro figli, ucciso in una sparatoria con la polizia. La rivolta, originata in Tottenham, si è propagata velocemente nei quartieri di Wood Green, Enfield Town e Ponders End. Vandalismi e comportamenti violenti sono stati registrati anche in molte altre aree di Londra. Molti ne-gozi sono stati dati alle fiamme, saccheggiati e distrutti da gruppi di mani-festanti. Almeno 35 poliziotti facenti parte del Metropolitan Police Service sono stati feriti. L'8 agosto gli incidenti si sono diffusi anche in altre città come Birmin-gham, Liverpool e Bristol. Il 9 agosto è stata fortemente interessata anche la città di Manchester. Questi disordini sono considerati come la peggiore rivolta nel loro genere dai disordini di Brixton del 1995. I disordini sono stati preceduti da una sparatoria a seguito di un arresto avvenuto il 4 agosto a Londra, nel quartiere di Tottenham. Mentre era in corso l'arresto di Mark Duggan, uno spacciatore di cocaina, l'uomo, arma-to, avrebbe ferito un poliziotto provocando la risposta della polizia che ha aperto il fuoco uccidendolo.

Incidenti nell’estate 2011 a Londra

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la nazione che per prima ha ripreso in modo molto deciso l’individuali-smo abbinato all’antistatalismo. Di per sé esaltare le capacità indivi-duali e combattere i vincoli buro-cratici è giustissimo, ma in un con-testo che già di suo tende all’indivi-dualismo come il mondo anglosas-sone questo ha iniziato a rompere i legami di solidarietà interni. A ren-dere il tutto ancora più esplosivo è il mix tra consumismo e disgrega-zione della famiglia, o comunque l’incapacità della famiglia a dare un’educazione corretta. Il primo aspetto è particolarmente complicato da affrontare per la sua ambivalenza: da un lato è il motore dell’economia, tanto è vero che tutti dicono che per uscire dall’at-tuale crisi economica bisogna rilan-ciare i consumi, ma dall’altro rischia di divenire un problema sociale, se gestito in modo scorretto. Infatti induce soprattutto i giovani a con-siderare fondamentali oggetti di cui potrebbero tranquillamente fare a meno e così spinge a dare impor-tanza a tutto ciò che è esteriorità ed a fare dimenticare i valori dav-vero importanti. Questo modo di pensare ha porta-to alla nascita di baby-gang, feno-meno nato proprio nel mondo an-glosassone, cioè a gruppi di ragaz-zini che derubano coetanei per im-possessarsi di tutto ciò che è all’ul-tima moda. Esse sono ormai una presenza stabile, anche se circo-scritta, ma purtroppo anche molti altri ragazzi “bene” condividono la stessa mentalità e così si sono uniti agli altri per razziare quanto più possibile. Questo problema però potrebbe essere affrontato e risol-to, o quantomeno ridotto, se ci fosse una famiglia sana alle spalle. Un elemento comune a questi gio-vani è invece una situazione fami-liare problematica. Nel Regno Unito, infatti, la famiglia è un’istituzione profondamente in crisi, come emerge dall’alto tasso di alcolismo, dal primato europeo di ragazze madri e dal racconto di poliziotti che hanno trovato madri degli arrestati ubriache nei pub. Se è vero che questi sono casi limite, è anche vero che più in generale il rapporto tra genitori e figli è molto diverso dal nostro, in quanto i figli sono lasciati molto più a loro stessi. Da un lato questo li obbliga a fare

affidamento sulle proprie forze, ma dall’altro li priva di guide sicure e li porta ad essere influenzabili dai cattivi modelli proposti dalla socie-tà. Inoltre li rende riottosi ad ogni disciplina, come emerso negli ultimi anni con il deciso peggioramento della scuola, tanto che recente-mente molti genitori sono favore-voli al ritorno delle punizioni fisiche da parte degli insegnanti per ripor-tare la situazione sotto controllo. In un contesto sociale di questo tipo, con la qualità della vita consi-derata da una recente ricerca la peggiore d’Europa, si capisce, an-che se non si giustifica assoluta-mente, come si sia potuti arrivare agli episodi di quest’estate che non hanno nulla a che fare con la pro-testa avvenuta in precedenza con-tro la triplicazione delle tasse uni-versitarie. Anche i protagonisti del-la “primavera araba” in Egitto han-no fatto una netta distinzione tra loro stessi, che volevano un cambio netto in politica interna, e le bande di ladri che dietro la scusa della protesta pensavano solo a sac-

cheggiare supermercati e derubare malcapitati passanti.

LE SOLUZIONI Va detto, purtroppo, che tutta la classe politica britannica degli anni passati in qualche modo è respon-sabile della situazione descritta in precedenza. Il partito Tory, che peraltro appar-tiene come noi alla famiglia della destra moderata, è quello che per primo ha ripreso l’individualismo e l’antistatalismo con i risultati visti in precedenza. Il Labour Party con Tony Blair ha cercato di puntare di più sul socia-

le, ma nel complesso ha continuato a seguire il modello messo in piedi dal partito Tory. Questo emerge molto bene dalla posizione centri-sta assunta ripetutamente da Blair. Questo gli ha permesso di vincere le elezioni, ma una volta giunto al potere non ha immaginato né tan-tomeno creato un nuovo modello sociale così che tutti i discorsi sulla “Third Way”, la Terza Via, sono rimasti appunto parole senza un effettivo seguito. In questo modo la situazione sociale è via via peg-giorata con gli anni e lo scontento, per reazione, ha portato all’attuale governo, che è allo stesso tempo sia una delusione sia una possibile speranza di cambiamento. La delusione è rappresentata da Nick Clegg e dai Libdem, che una volta arrivati al potere hanno fatto tutto l’opposto di quanto detto in campagna elettorale, come aver approvato l’enorme aumento delle tasse universitarie ricordato in pre-cedenza. La speranza è invece rappresentata da David Cameron, nuovo capo del partito Tory, che vuole responsabi-lizzare la società dandole in gestio-ne diretta molti importanti servizi. Quanto avvenuto questa estate certamente segna una battuta d’ar-resto di questa sua idea, ma essa sul lungo periodo rimane una pro-spettiva interessante ed in sintonia con la storia inglese. Da sempre, infatti, l’autogoverno da parte delle comunità locali è una realtà diffusa che distingue l’Inghilterra dall’Euro-pa continentale, dove si è invece affermata la presenza massiccia dello Stato centrale. David Came-ron, però deve prima ribadire con forza l’autorità dello Stato, come peraltro ha fatto effettivamente dopo i disordini con il suo bellissi-mo discorso, perché solo così la società può rendersi conto di quali sono i suoi limiti e di conseguenza autoregolarsi in futuro. Inoltre deve aiutare le famiglie a tornare ad es-sere come in passato un solido punto di riferimento per i figli ed anche in questo caso sono state proposte ed approvate leggi inno-vative che andrebbero prese in esame anche da noi per responsa-bilizzare i genitori sia tra di loro sia nel controllo e nell’educazione dei figli. La famiglia è infatti fondamen-tale per il buon funzionamento di

Baby gang all’opera

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tutta la società per due motivi. In-nanzitutto la funzione educativa che svolge, o dovrebbe svolgere, è insostituibile, in quanto solo i geni-tori possono controbilanciare con una buona educazione i cattivi e-sempi che arrivano dal resto della società. Inoltre una famiglia che svolge in modo corretto questa sua funzione renderà i figli buoni citta-dini. Infatti, come li abitua fin da bambini al rispetto verso i genitori, prima fonte di autorità nei loro con-fronti, così in futuro i figli divenuti adulti rispetteranno autorità supe-riori come quella statale. Va notato come la Gran Bretagna, pur avendo al suo interno gravi problemi, abbia anche la volontà di affrontarli e risolverli senza i tabù mentali presenti nel resto d’Europa. Un esempio è quello già ricordato di voler reintrodurre a scuola puni-zioni corporali per gli studenti parti-colarmente indisciplinati ed irrispet-tosi. Inoltre un altro esperimento già attuato consiste nel mandare a scuola militari e poliziotti sempre per garantire la disciplina. Un altro esempio riguardante i ra-gazzi è la volontà di abbassare l’età imputabile per poter condannare più severamente i minorenni che commettono reati. Questa idea è emersa con forza anche da quanto detto questa estate da Cameron a proposito dei minorenni coinvolti nei saccheggi: “Se sono adulti per i reati che hanno commesso sono adulti anche per sentire tutto il pe-so della legge nei loro confronti”, frase che a mio avviso dovrebbe essere un faro per tutti gli espo-nenti della destra europea. Per quel che riguarda i genitori, invece, essi vengono considerati responsabili se il figlio marina la scuola e sono obbligati a pagare una multa. Inoltre in caso di divor-zio entrambi i coniugi devono ver-sare una tassa specifica. Questa libertà mentale si spiega, a

mio avviso, con alcuni aspetti stori-co-culturali che da sempre contrad-distinguono il mondo anglosassone. Alla base troviamo infatti una men-talità completamente diversa. Essa ruota intorno a due parole fonda-mentali: libertà e responsabilità. Questo significa che ciascuno di noi si comporta nel modo che ritiene migliore e ne paga le conseguenze, positive o negative che siano. In questo modo nessuno può accusa-re la società di essere responsabile per gli errori commessi, come inve-ce avviene da noi sia a ragione sia, spesso, a torto. Questo diverso modo di pensare si vede anche a livello politico: in Gran Bretagna anche la sinistra si richiama a questi principi, mentre la nostra spesso ha una mentalità assolutoria e considera spesso i delinquenti più vittime del sistema che responsabili di reati senza scu-santi.

LO SCENARIO IN ITALIA Dopo aver esaminato le cause che hanno portato ai saccheggi in Gran Bretagna e come il Regno Unito affronta i suoi problemi interni, bisogna secondo me porsi il proble-ma se questo può avvenire anche in Italia. Alcuni indizi ci fanno capire che anche la nostra socie-tà è malata. Un elemento è per esempio la diffusione anche in Italia del fenomeno delle baby gang, così come un altro elemento è il fatto che anche da noi la famiglia è me-no solida che in pas-sato. Essa comunque rimane ancora oggi un punto di riferi-mento molto più im-portante che nel re-sto d’Europa e questo è un notevole van-taggio, anche se non legittima la classe politica all’inazione, come invece purtrop-po avviene. Al con-trario, dovremmo partire dalla situazio-ne esistente, relativa-mente positiva, per consolidarla, e maga-ri migliorarla, aiutan-

do le famiglie in tutti i modi, come è stato fatto con grande successo in Francia negli anni scorsi. Un altro aspetto ancora sotto con-trollo è costituito dagli immigrati di seconda generazione. Infatti da noi l’immigrazione è un fenomeno re-cente e così questa categoria è ancora poco numerosa. Inoltre la situazione dalla quale partiamo è favorevole, se sappiamo affrontarla per tempo in modo corretto. Infatti vedere quanto avviene negli altri paesi ci dovrebbe permettere di evitare di ripetere gli stessi errori. Un ulteriore punto di forza è il fatto che gli Italiani per loro natura sono più aperti di altri popoli e questa caratteristica permette un’integra-zione più facile. La diversa situazio-ne dell’Italia rispetto ad altri paesi emerge molto bene a proposito dell’immigrazione islamica. In Francia i “francesi acquisiti” di seconda generazione tempo fa hanno invitato il giornalista che li intervistava a salire con loro sui mezzi pubblici ed a giocare al “gioco del 10”, cioè tempo di con-tare fino a 10 e vedere il vuoto in-torno a loro. Questo loro senso di isolamento e discriminazione da parte degli altri francesi ha portato non solo ad atti di teppismo pari,

San Salvario a Torino

Banlieu di Parigi

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se non peggiori, a quelli verificatisi questa estate in Gran Bretagna, ma prima ancora a scandalizzare l’opi-nione pubblica fischiando la Marsi-gliese, l’inno nazionale. Sempre in Francia si sono verificate frizioni tra studentesse che volevano frequen-tare la scuola pubblica col velo e le autorità scolastiche che volevano impedirlo per la legge sulla laicità già ricordata. In Italia, invece, non è mai succes-so niente di simile e più volte è capitato l’opposto: sono spesso le famiglie musulmane a non volere che le figlie si assimilino troppo, come invece loro vorrebbero, ed in casi estremi questo conflitto è sfo-ciato nell’uccisione della figlia. Sen-za arrivare a tragedie simili, si sen-tono però spesso casi di maltratta-menti o reclusione in casa delle figlie per questo motivo. Questo non significa peral-tro che in Italia non ci sia-no problemi: San Salvario e Barriera di Milano a Tori-no oppure via Corelli e corso Buenos Aires a Mila-no evocano subito contesti di difficile convivenza tra italiani ed immigrati. Que-sto è però dovuto non tan-to a problemi culturali e di stili di vita, quanto al de-grado di queste zone ed all’alto tasso di delinquen-za. Una riprova è che do-po l’omicidio di un rome-no da parte di un conna-zionale avvenuto a Torino pochissi-mi giorni fa, italiani ed immigrati onesti hanno protestato insieme contro le condizioni di vita divenute da tempo intollerabili. Da questo punto di vista l’Italia paga da un lato l’apertura all’immigrazione vo-luta in passato dalla sinistra, dall’al-tro l’inconcludenza dell’attuale go-verno che non affronta energica-mente la situazione venutasi a cre-are negli anni. Analoga inconclu-denza, d’altra parte, si è notata qualche anno fa in occasione dei test sulla qualità della scuola in Europa: in quell’occasione Italia e Germania hanno registrato risultati molto negativi, ma la reazione è stata ben diversa. In Germania questo è stato vissuto come un autentico shock nazionale ed il governo ha investito notevoli risorse economiche e così la Ger-

mania ha recuperato rapidamente le posizioni perdute. In Italia non ci sono state particola-ri reazioni, come se fosse qualcosa di normale, oppure sono stati presi provvedimenti che non hanno dato effetti, se non di ulteriore abbassa-mento della qualità. Se infatti il contesto sociale italiano è tutto sommato ancora solido, come fatto notare più volte dal Pre-sidente della Repubblica, purtroppo ben altro discorso si deve fare a proposito dell’attuale classe politi-ca, tutta intenta a difendere Berlu-sconi dai suoi guai giudiziari, oppu-re a ripetere come un disco rotto che il governo deve dimettersi per fare poi non si sa bene cosa. En-trambi questi atteggiamenti, come è facile capire, non affrontano e meno che mai risolvono i gravi

problemi che l’Italia ha davanti a sé e contribuiscono solo a fare au-mentare il distacco, la delusione ed il disprezzo dei cittadini verso la classe politica. L’Italia invece ha un bisogno disperato di politici dalle larghe vedute, che abbiano in men-te un chiaro progetto per il futuro e non pensino solo ai giochetti imme-diati. Da questo punto di vista FLI parte avvantaggiata: ha già dimo-strato di non volere il potere per il potere passando all’opposizione ed al tempo stesso dimostra un atteg-giamento costruttivo ben diverso da chi vorrebbe resuscitare l’Ulivo. Inoltre il fatto di essere equidistan-te dai due poli permette di elabora-re idee nuove, o magari riprendere idee antiche ma sempre giuste, lontane dalle opposte retoriche ed in grado di proiettare davvero l’I-talia nel futuro. Per fare questo,

però, occorrono fantasia e coraggio mentale, quello stesso coraggio visto in Gran Bretagna con Came-ron e che ritroviamo in Francia con Sarkozy, senza subire i condiziona-menti mentali che giungono dagli altri ambiti politico-culturali. Due campi nei quali FLI può dare un valido contributo sono la difesa del ruolo e dell’autorità dello Stato e la difesa, con tutte le riforme del caso, dello Stato sociale. Nel primo caso FLI deve attuare presso l’opinione pubblica una vera e propria battaglia culturale per trasmettere il concetto che lo Stato è un’istituzione fondamentale e positiva, non nemica ed oppressiva e che lavorare per lo Stato deve essere considerato motivo di orgo-glio e rispetto, come avviene da molto tempo in Francia, non di di-

sprezzo sociale. Questo modo di ragionare può es-sere in contrasto con l’esal-tazione del pensiero di Ca-meron, ma solo in parte. Infatti anche Cameron vuo-le ribadire in modo energi-co questi concetti. Inoltre la storia inglese, come ri-cordato in precedenza, è molto diversa dalla nostra e quindi non deve stupire che Cameron dia molta più importanza alla società in prima persona. Nel secon-do caso FLI deve battersi per eliminare tutte le spese inutili ed abolire i vincoli

che soffocano l’economia, ma al tempo stesso incentivare lo Stato sociale dove oggi è carente, come l’aiuto alle famiglie. Lo squilibrio esistente è anche stato sottolineato recentemente, in quanto è stato detto che il nostro Stato sociale è ipertrofico sulle pensioni, ma rachi-tico su tutto il resto. Questa analisi permette quindi di affrontare un tema così spinoso seriamente sen-za possibili accuse di demagogia o di voler al contrario compiere ma-celleria sociale. Si può quindi dire che esiste un equilibrio tra la Gran Bretagna e l’Italia: nel primo caso i problemi sono molto gravi, ma esi-ste anche una seria volontà di risol-verli, mentre da noi il contesto so-ciale fortunatamente è meno pro-blematico, ma quasi tutta la classe politica è inadeguata ed in tutt’altre faccende affaccendata.

San Salvario a Torino

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Venerdì 11 novembre alle ore 17,00 in via Maria Vittoria 12 a Palazzo Cisterna (Sede Istituzio-nale della Provincia) in Torino, verrà presentato libro “C’è urgen-te bisogno di Carabinieri …..1859-1861” con prefazione del Gen. C.A. Giuseppe Richero Rettore dell’Università dei saggi “Franco Romano”. L’incontro sarà aperto da Antonio Saitta, Presidente della Provin-

cia. Il libro – edito nel 2011 da www.edizioniilfiorino.com - è stato recensito da Il Carabiniere n° 5 maggio 2011 pag 113 (Rivista uffi-ciale dell’Arma), Fiamme d’Ar-gento n° 5-6 del 2001 pag. 49 (periodico dell’ANC), Informasag-gi n°7 marzo 2011 pag. 6 (Newsletter dell’USFR) da Il Mau-riziano (Notiziario dell’Ass.ne Na-stro Verde decorati dei Med. d’Oro

Mauriziana). La Provincia – per questo ciclo di incontri dei “venerdì culturali d’au-tunno” – non produce inviti in car-taceo ma solo per diramazione a mezzo posta elettronica. Alleghiamo la copertina con la Pre-fazione del Gen. Richero (già, tra l’altro, Comandante della Legione Carabinieri Piemonte). Grazie e cordiali saluti.

Danilo De Masi

C’è urgente bisogno di Carabinieri …1859-1861

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“E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Inferno XXXIV, 139)

Ho scritto di quanto il nostro fosse un paese dormiente, stupefatto dalle fandonie psicotrope che un Governo irresponsabile inietta nei nostri corpi col palinsesto dei me-dia. Ho scritto di come, nel califfato del Bengodi, l’economia italiana fosse impantanata, bloccata in sabbie mobili cerebrali, dove i casi di estro produttivo vengono ottusamente incatenati da burocrazia melliflua e balzelli tanto fantasiosi quanto a-sfissianti. Ho scritto dei giovani, privi di proie-zioni verso il futuro, così impegnati a cercare un salvagente nella tem-pesta del precariato, da non potersi concedere il lusso di un sogno, un futuro diverso dalla co-stante ricerca di un appiglio momenta-neo, o per chi ha larghezza di pro-spettive e bella pre-senza, l’ingresso in un gineceo istituzio-nale con annessi baci ed abbracci del lurido e geriatrico lenone di turno. Un anno di OP e sono ancora qui, più disilluso che persuaso. “Stiamo dando il giro” (mi perdoni-no i piemontesi da cui mutuo il ger-go). La frase è la migliore sintesi storica che abbia ascoltato nell’ulti-mo anno, meglio di mille studi di Moody’s, più consapevole delle proiezioni di Standard & Poor’s. E’ il sentire del malato. Avvicinandosi al fuoco si ha la per-cezione del calore per gradi. Lo si avverte da lontano, un torpore quasi benefico e man mano che ci si avvicina alla fiamma, lo si avver-te in un modo sempre diverso, in sospeso tra la curiosità della cono-scenza e la sensazione di pericolo. Col dolore, diventa una minaccia. Più l’ardire spinge vicini alla com-bustione, più la sensazione si veste di difficile sopportazione, di spasi-mo, la pelle si fa adusta, la scotta-tura diventa un’ustione, sempre più

profonda, sempre più diffusa, sem-pre più ferale. Finché l’esperienza del resistere muta nel suo contra-rio, nell’abbandono della morte. E’ una cruda metafora che però sinte-tizza l’iter protervo e smargiasso dell’Italia governativa nell’attraver-samento della Crisi. Non saprei quantificare il grado di interessamento del tessuto sociale, ma sento il fetore di combusto. Vedo la società ardere: progetti, speranze e possibilità fare da com-bustibile ad una insolente fiamma alimentata dal migliore comburen-te: l’idiozia politica. Assistiamo allo spettacolo ancestrale, al bellissimo falò all’italiana, nel quale le grandi

potenzialità del no-stro paese si tramu-tano in fumo e ce-nere. Il Governo è obnu-bilato della sua ego-latria, ispirato da una stella polare di incapacità che ha fatto piovere sul paese riforme inutili come pioggia mefi-tica; un ignorante sguardo grandan-golare che ha toc-

cato, tagliando nel mucchio, ogni settore della vita dei cittadini, dalla Giustizia alla Sanità, dalle Ammini-strazioni Locali alle tasse, dalla Scuola alla Tutela Sindacale, crean-do nel migliore dei casi incertezza, altrimenti, privazioni, sofferenze e disperazione. Parlano di risparmio, ammodernamento, snellimento ed erigono un altro tempietto al Mes-sia mediatico, che si illude (e vor-rebbe illuderci) che presto sfilerà innanzi i nostri occhi con tanto di fércolo con le spoglie mortali della Crisi, reincarnatasi per l’oceanicità dell’evento, nel Leviatano biblico. Nessuno al di fuori di Lui potrebbe realizzare quest’impresa. Come ha recentemente asserito davanti agli orgasmici Promotori della Libertà, ne farebbe davvero a meno! E’ una tortura sedere sul soglio governati-vo ed affrontare la crisi in un paese mediocre come il nostro! Ma Lui ci

di Massimiliano Pettino

Un paese di Cassandre inascoltate.

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Ottobre 2011 - Periodico indipendente di politica, cultura, storia. Supplemento a: Guida a destra - aut. tribunale di Torino n° 5554 del 2-11-2001 Sede legale Cantavenna di Gabiano (AL) - Editore: Piemonte Futuro - P. Iva 02321660066 - Direttore Responsabile: Enzo Gino. Per informazioni, collaborazioni, pubblicità e contatti:

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Finito di stampare il 12 ottobre 2011

ama, Silvio Pantocratore per il bene del paese resiste. O siamo noi a resistere? Ormai son sempre più convinto che noi italiani siamo affetti da quella singolare patologia psichiatrica detta “sindrome di Stoccolma”, nella qua-le la persona vittima di un seque-stro, col tempo, comincia a manife-stare sentimenti positivi nei con-fronti del suo carceriere talvolta giungendo addirittura all’innamora-mento. Sarebbe sicuramente più accettabile della tesi sulla “stupidità generale” ormai sostenuta dall’opi-nione pubblica di mezzo mondo. Che ci piaccia o no, il mondo è sconcertato dalla nostra colpevole indifferenza. Non abbiamo reagito nemmeno all’ennesimo smacco! Con la scusa del commissariamento comunitario, i nostri viscidi grassatori, hanno infilato le loro ipocrite mani nelle tasche di consumatori e risparmia-tori, facendoci credere di vivere la riforma epocale, la soluzione. A quanto pare i professoroni europei, che di economia ne capiscono,

hanno mal digerito la “finanza cre-ativa” del Super Sayan Tremonti e, onde evitare il fallimento totale di un sogno europeo, hanno preteso dall’italietta una manovra finanzia-ria seria, fatta di numeri e non di spot pubblicitari o impunità perso-nali. Parto rapido, doloroso e 54 miliardi spremuti a destra e manca. Peccato che si siano accorti, con ovvio ritardo, che molte delle inno-vazioni ideate non fossero di pron-ta beva e dagli effetti immediati. Però, nell’attesa di tagli al numero dei parlamentari, della cancellazio-ne delle Province, della riorganizza-zione delle circoscrizioni giudiziarie, cominciano da noi subito, con au-mento dell’IVA e di carburanti. Risolto i nostri problemi? Il mondo dice di no, il Governo tace. Proba-bilmente non sa cosa dire. Si na-sconde nelle (o dalle) aule di giusti-zia dove stendono il red carpet per il Premier o in oscure commissioni incaricate di sfornare fantasmagori-ci decreti attuativi, dal contenuto incerto ed edulcorato solo per de-terminate categorie. E nonostante

“lacrime e il sangue” tutt’altro che figure retoriche, l’Italia è un paese destinato a cadere. Mario Draghi, una delle poche personalità serie nel “teatrino delle soluzioni futuribi-li”, sentenzia la solita verità indi-scussa: “L’Italia ha bisogno di mi-sure strutturali per uscire dalla sta-gnazione”. Con spirito paternalista, invita il Governo alla pietà per le nuove generazioni (del tipo “se non per noi, fatelo almeno per i nostri fi-gli!”). Richiama gli operatori istitu-zionali ed economici alla serietà assoluta, perché ”le difficoltà incon-trate dai giovani devono preoccu-parci (…) Le prospettive di reddito per loro sono più che mai incerte (…) Si stanno sprecando risorse prezio-se e stiamo mettendo a repentaglio non solo il loro futuro ma quello del Paese intero.” Insomma, “stiamo dando il giro”. Chi potrà mai portarci fuori da que-sta natural burella per tornare a riveder le stelle?

L’angolo di vista di Alessandra Lo Re

Era un sogno. Accompagno mia figlia a scuo-la, soliti incontri, chiacchiere fugaci di circostanza. Non c’è tempo. Scappo e non penso al qui e ora, ma agli infiniti doveri e pensieri del poi.

Corro, mi precipito, già stanca e oberata di stress, verso il mio dovere ufficiale. Vesto il mio ruolo e inizio la recita quotidiana. Produco. Stritolata dalla soffocante quotidianità, rubo il tempo a me stessa e mi immergo nella virtuali-tà di una possibilità. Oltre il cavo che tende al-l’infinito, presenze divengono vicine, quasi cal-de. Quasi vite. Con aurea di possibilità. La pos-sibilità di poter vivere la mia vita. Sobbalzo. Forse era un sogno, forse non sono sposata, forse non ho una figlia. Oddio, chi sono? Un sospiro di sollievo, quando vedo le mie foto, i miei amici, il mio fare: la mia vita testimoniata da Facebook. E’ tutto pubblicato. Era un so-gno, posso continuare a recitare di esser sve-glia.

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Capita spesso e volentieri (speriamo che in FLI non avvenga mai) che al vertice delle piramidi partitiche, per strani abboccamenti, per misteriosi disegni che noi, poveri mortali della base, non siamo tenuti a conosce-re, per accordi sull'altrui pelle, per una ragion di stato certamente non machiavellica, vengano combinati matrimoni, vengano decretati ibridi connubi tra forze politiche locali, anche se il fatto possa arrecare grave nocumento ai miseri nuben-di, anche se questa somma decisio-ne rischi di apportare tragiche de-bacles elettorali. Nella bella (almeno per noi) città

che dorme tra i fiumi Tanaro e Bor-mida questo è già capitato... l'ipse dixit degli Olimpi politici di qualche anno fa stabilì rigorose alleanze ed un candidato inamovibile... i vas-salli locali, anche se obtorto collo (tranne che per un partito), anche se smotivati, anche se preventiva-mente sbertucciati da una parte dell'elettorato, accettarono supina-m e n t e q u e s t o s u p e r i o r e "decrevimus ac decretamus", lavo-rarono, si diedero da fare, ce la misero tutta e dalle urne si vide il responso inappellabile del popolo sovrano: Alessandria fu regalata ai compagni!

Chi decide la politica locale? di Antonio Silvani

Non ignorando che certamente "panta rei", ma, concordando col Croce, sappiamo pure che tutto può anche ritornare, che i fatti pos-sono ripetersi... la stessa storia deve essere maestra di comporta-menti futuri. Ma spesso così non è, spesso le esperienze del passato sono allegramente ignorate. Pensiamo al territorio russo: prima i Romani, poi Napoleone, poi anco-ra le forze di quello che gli Alessan-drini chiamavano beffardamente l'Asse del cesso, vennero irrimedia-bilmente sconfitte nel tentativo di occupare queste ostili terre. Quello che dunque chiedo ai vertici

di FLI è di evitare che anche le nostre coorti vengano deci-mate in future Sebastopoli, in tragiche Beresine elettorali. Chi più dei responsabili, dei direttivi cittadini locali e pro-vinciali conoscono gli scenari politici locali, sanno quali sia-no i vizi privatti e le pubbliche virtù di questo o quell'espo-nente politico, sono in grado di tastare il polso degli eletto-ri, i loro gusti, i loro desidera-ta, le loro preferenze. Queste entità locali più di o-gni altro personaggio del mo-vimento sono in grado di sta-bilire se un'alleanza, se un matrimonio tra partiti, ma soprattutto tra persone, pos-sano essere la premessa di una prole sana e numerosa o di tragici aborti. Ecco perché chiedo che in qualunque località dell'amato Stivale, da Bressanone a Tra-pani, prima di sancire sponsa-li politici, sia contattata la base del partito (nella perso-na dei vertici locali) e che il parere di questi ultimi sia considerato preponderante sui contenuti della decisione. E' tautologico affermare che chi prende detta decisione, qualunque sia il suo livello gerarchico in seno a FLI, si assumerà in prima persona o gli onori in caso di vittoria o gli oneri in un malaugurato caso di sconfitta.