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Indice 1) Introduzione pag 2 2) La Concertazione pag 6 2.1 Il quadro teorico pag 6 2.2 Un termine, due modelli pag 29 2.3 La sussidiarietà pag 37
2.4 La bilateralità pag 54
3) Le Casse Edili pag 66 3.1 La storia pag 66 3.2 Il presente pag 74
3.2.1 La struttura pag 76 3.2.2 Le funzioni assolte pag 79
3.3 Il futuro pag 85
3.3.1 La qualificazione delle imprese pag 91 3.3.2 La previdenza integrativa pag 99
3.3.3 Il controllo interno del mercato del lavoro pag 110
4) Conclusioni pag 121
5) Appendice pag 132
5.1 prestazioni individuali /contrattuali pag 132 5.2 prestazioni collettive/contrattuali pag 136 5.3 prestazioni individuali/contrattuali pag141
6) Bibliografia pag 143
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1.Introduzione
Le Casse Edili sono ormai strumenti contrattuali collaudati, da
almeno trent’anni ve ne è una per ogni provincia italiana. Grazie ad
esse trovano attuazione istituti contrattuali concreti, che permettono ai
lavoratori edili di non essere discriminati economicamente e
contrattualmente rispetto agli addetti degli altri comparti produttivi.
Quello edile è infatti un settore particolare per caratteristiche
produttive e struttura occupazionale; caratterizzato da una elevata
frammentazione delle unità produttive, da una forte e tendenziale
crescita del lavoro autonomo, dalla discontinuità dei rapporti di lavoro
e da alta specializzazione delle imprese.
Proprio per queste caratteristiche, le Casse Edili rivestono nelle
strategie contrattuali un carattere insostituibile e prioritario poiché
sono ritenute idonee a soddisfare da un lato le esigenze economiche e
sociali dei lavoratori, e dall’altro consentono alle imprese una garanzia
di equilibrio finanziario attraverso una omogeneizzazione dei costi
nelle forme mutualizzate delle Casse Edili.
Negli ultimi seminari e convegni, al centro della riflessione dei
rappresentanti delle parti sociali non è più stato posto il quesito
inerente il mantenimento in vita delle Casse. Si sta invece discutendo
molto sugli obiettivi concreti e più attuali del governo del settore
attraverso questo sistema ramificato e capillare di enti.
3
E’ il superamento della vecchia concezione assistenziale per
cui le Casse Edili sono viste come strumenti erogatori di prestazioni
basate su diritti dovuti e codificati, e non invece come assistenze
conferire in relazione all’esistenza, alla consistenza e al finanziamento
di fondi accantonati. In quest’ottica si stanno individuando ipotesi
d’interventi gestionali in grado di soddisfare gli interessi concreti della
categoria.
Il sistema delle Casse Edili si sta muovendo infatti da un
presente caratterizzato da una funzione mutualistica ed assistenziale
ad un futuro che lascia ben sperare per la partecipazione effettiva dei
lavoratori al settore. L’individuazione di nuovi interventi gestionali
sembra infatti varcare la soglia del solo rapporto di lavoro, arrivando a
concepire interventi prima di questo (formazione e gestione dei servizi
all’impiego) e dopo di questo (sviluppo della previdenza integrativa).
Questo mutamento di prospettive è stato senz’ombra di dubbio
determinato dal convergere, a partire dagli anni novanta, di nuovi
interessi sulla scena politica e sindacale italiana, riguardante le
esperienze di concertazione sociale che a partire da tale decennio sono
state attuate.
Possono così essere rintracciati all’interno dell’esperienza delle
Casse Edili i tratti distintivi di un metodo, quello della concertazione
sociale, che presuppone un alto livello di accordo tra le controparti
sociali, riguardante l’analisi e la risoluzione di problematiche
considerate di interesse comune, l’assunzione di vincoli concordati di
4
varia natura, in vista di un fine di natura più generale ed un intervento
di tipo preventivo, che tocca in primo luogo la sede decisionale e solo
in seguito le sedi di monitoraggio e gli eventuali correttivi, piuttosto
che un intervento a posteriori dei processi decisionali.
Il sistema delle Casse Edili é così un ente di natura sindacale
che esercita le sue attività tra interessi differenti destinati ad
armonizzarsi per soddisfare determinati fini sociali dei lavoratori e
specifiche esigenze di servizi alle imprese.
Si tratta di una modalità concertativa per organizzare al meglio
le relazioni industriali in una realtà industriale composita ed irta di
conflitti, resi meno acuti proprio dall’adozione di enti specifici a
gestione paritetica e congiunta tra le parti sociali quali le Casse Edili.
Per questo motivo altri settori produttivi, con caratteristiche più o
meno similari a quelle del comparto edile (artigianato, commercio e
turismo), si stanno avviando ad utilizzare nelle gestione delle loro
relazioni industriali sistemi analoghi.
Dimostreremo così come il sistema delle Casse Edili possa
prefigurare un modello di gestione delle relazioni industriali efficiente
e funzionale, che ha ben assolto tutte le funzioni assistenziali ad esso
demandate e che è suscettibile di molte interessanti direttrici di
sviluppo, non sempre percorse e sfruttate appieno dalle parti sociali.
Per fare ciò introdurremo anzitutto un quadro teorico di
riferimento utile per l’analisi del sistema delle Casse Edili inteso come
un modello di concertazione sociale; ci avvarremo poi di una breve
5
analisi storica riguardante la nascita di questi istituti; passeremo in
seguito ad un’analisi delle modalità di gestione del sistema delle Casse
Edili e delle prestazioni erogate attualmente; arriveremo infine alla
descrizione dei più recenti sviluppi in cui il sistema è incorso per
trarre delle conclusioni, certamente non definitive, relative all’effettiva
validità del modello descritto ed alla sua esportabilità in altri settori
produttivi ed in altri contesti internazionali.
6
2. La concertazione
2.1 La concertazione sociale: il
quadro teorico Concertazione sociale, neocorporativismo, scambio politico,
sono tutti termini con i quali viene designato un metodo politico di
negoziazione triangolare tra Stato e Organizzazioni di interessi
collettivi1.
La presa d’atto della crescente potenza degli interessi
organizzati è all’origine di importanti filoni di pensiero
antiparlamentare2, sia da destra che da sinistra la rappresentanza di
interessi è sempre stata vista come una alternativa alla democrazia
parlamentare, ed i tentativi di fondare uno stato su basi corporative
sono ben noti alla recente storia europea (Germania, Spagna, Italia e
Grecia).
Va comunque fatto notare che tra il neo-corporativismo ed il
corporativismo pre-bellico vi è una immensa distanza: mentre il primo
è un progetto di rifondazione dello Stato con direzione ideologica di 1 G. Giugni, “Concertazione sociale e sistema politico in Italia”, Giornale e diritto del lavoro e di relazioni industriali, VII (1985), n°25.
7
destra, il secondo rappresenta non una ideologia ma designa un
modello politologico, una prassi politica propria delle
socialdemocrazie nordeuropee e suscettibile di forte espansione in
tutto il resto del continente.
L’impiego del termine “neocorporativo” è quindi travisabile in
senso piuttosto improprio ed ideologico. Così come il termine di
“scambio politico”3, utilizzato soprattutto in Italia, descrive la realtà di
questa prassi considerandone però solo il contenuto e non i soggetti
coinvolti e le loro strategie nell’esplicarsi del rapporto. Sembra così
auspicabile utilizzare il termine ”concertazione sociale” per indicare
una prassi politica fatta di andamenti più o meno instabili,
comprendente anche l’uso del conflitto, e soprattutto priva di
connotazioni ideologiche.
Negli anni compresi tra il dopoguerra ed oggi, possiamo dunque
classificare i rapporti che intercorrono tra i vari governi in
rappresentanza dello Stato da un lato, e le varie organizzazioni di
interessi sociali dall’altro, ai fini della determinazione delle scelte
politiche da farsi, in tre modelli nettamente distinti4.
Le variabili di riferimento per questa classificazione sono due:
in primo luogo il ruolo del movimento sindacale nella formazione
della politica economica di uno Stato, in secondo luogo il grado di
2 L’incompatibilità teorica tra rappresentanza politica e rappresentanza d’interessi è argomentata da N. Bobbio ne: Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1984. 3 Espressione elaborata da Pizzorno, “Scambio politico ed identità collettiva nel conflitto di classe”, in C. Crouch e A. Pizzorno (a cura di), Conflitti i Europa. Lotte di classe , sindacati e Stato dopo il ’68, Etas Libri, Milano, 1977. 4 M. Regini, “Le condizioni dello scambio politico. Nascita e declino della concertazione in Italia e Gran Bretagna”, Stato e Mercato, III (1983), n°9.
8
centralizzazione/decentramento delle relazioni industriali e dei suoi
attori.
Riguardo la prima variabile, i governi possono operare nei
confronti del movimento sindacale o una strategia di esclusione nella
determinazione delle scelte di politica economica, o una strategia di
inclusione, oppure scegliere di lasciare alle dinamiche del mercato la
determinazione del peso e del ruolo del movimento sindacale.
La seconda variabile riguardante la
centralizzazione/decentramento delle relazioni industriali, mostra
come questa sia elevata nei paesi che adottano strategie di esclusione
(Italia e Francia) ed inclusione (Germania e Svezia) del movimento
sindacale, mentre il suo grado è basso lasciando la regolazione dei
rapporti di lavoro alla forza che le organizzazioni di interessi riescono
ad acquisire con la normale dialettica nel mercato del lavoro.
In base a queste due variabili possiamo così definire tre
“idelatipi” di rapporto che si vengono ad instaurare tra governi e
associazioni d’interessi.
Un primo “idealtipo” di rapporto è la Concertazione della
politica economica, in cui l’inclusione del movimento sindacale nella
formazione e nella gestione delle scelte si accompagna ad una elevata
centralizzazione della contrattazione politica e delle relazioni
industriali.
9
Un secondo tipo di rapporto è l’isolamento politico,
caratterizzato dalla mancanza di decisioni congiunte tra governo e
parti sociali e la contrattazione salariale è relativamente centralizzata.
Il terzo ed ultimo “idealtipo” di rapporto è la frammentazione
pluralistica, in cui la contrattazione è decentrata al livello aziendale e
le relazioni industriali sono disgiunte dal sistema politico. Il
movimento sindacale partecipa alla formazione della politica
economica senza ricorrere alla mediazione politica e basandosi solo
sulla propria forza nel mercato del lavoro che rappresenta.
La concertazione sociale rappresenta dunque uno dei tre tipi
ideali di strutturare i rapporti fra governi ed interessi organizzati in
associazionismi. L’esperienza degli anni settanta ci fa pensare però
alla concertazione sociale più come ad un continuum che ad un tipo
ideale poiché i paesi cosiddetti neo-corporativi (Austria, Svezia,
Germania, Norvegia e Olanda) sono sembrati più attrezzati a
fronteggiare il periodo di crisi economica riuscendo a gestire meglio i
conseguenti problemi di governabilità. Tale relativo successo ha così
esteso a tutto l’orizzonte europeo l’interesse per le pratiche
concertative, facendolo diventare un modello consolidato di
formazione delle politiche economiche dei vari paesi.
Con il termine “concertazione sociale”5 si indica così un metodo
politico di decisione congiunta o di negoziazione trilaterale tra lo Stato
e le organizzazioni d’interessi: quest’ultime sono le rappresentanti dei
5 G. Giugni , “Concertazione sociale e sistema politico in Italia”, op. cit.
10
lavoratori (le associazioni sindacali) e degli imprenditori (le
organizzazioni imprenditoriali). Un referente omogeneo per tutte le
esperienze concertative sta certamente nell’individuazione degli
obiettivi di stabilizzazione economica e sociale.
L’obiettivo consolidato delle politiche di concertazione sociale
è infatti la realizzazione di una fase di stabilità economica6, ottenuta
attraverso un’azione consensuale di tutti gli attori sociali coinvolti,
diretta all’eliminazione di fenomeni economicamente negativi quali
l’inflazione, la recessione economica e la disoccupazione. Gli
strumenti utilizzati per conseguire tali obiettivi sono riconducibili alle
manovre di politica dei redditi, quindi si tratta di un accordo
preventivo di politiche di moderazione salariale in funzione di una
conseguente moderazione inflattiva.
Logicamente un’azione concertata nella definizione di obiettivi
comuni prevede una attenuazione della conflittualità sociale. Di fatto
la pratica della concertazione sociale prevede che i tre attori (Stato,
movimento sindacale ed organizzazione imprenditoriali) individuino
di comune accordo degli obiettivi di politica economica desiderabili
per tutti e si impegnino, mediante l’adozione di vincoli concordati, a
perseguire tali obiettivi.
La concertazione sociale come si è delineata in Europa a livello
macroeconomico è innanzitutto a forte carattere politico7, non tanto
per la presenza dei governi nelle trattative formalmente trilaterali, 6 G. Baglioni, Democrazia impossibile? Il cammino e i problemi della partecipazione nell’impresa, Il Mulino, Bologna, 1995.
11
quanto per i contenuti di scambio di legittimazione tra governo e parti
sociali (che sarà più dettagliatamente in seguito). La concertazione
sociale così intesa si presenta altamente centralizzata non solo perché
di rilevanza nazionale, ma proprio perché diventa il centro di
riferimento per l’intero sistema di relazioni industriali.
Proprio per questo è tendenzialmente istituzionalizzata, tant’è
vero che si cerca di tradurla in accordi formali e con cadenza
periodica. Inoltre i problemi vengono individuati in modo aggregato
ed onnicomprensivo, e le soluzioni vengono a delinearsi nello stesso
modo; va inoltre notato che le politiche di concertazione sociale si
sono realizzate nell’orizzonte europeo soprattutto in quei paesi in cui i
governi sono orientati ad una politica pro-labour e di fatto in rapporto
privilegiato con il movimento sindacale.
Gli attori del mercato economico, Stato ed organizzazioni di
interessi, possono instaurare all’interno del sistema di relazioni
industriali due metodi di confronto, due differenti tipi di rapporto
socio-economico.
Il primo metodo, quello della contrattazione8, prevede una
differenziazione funzionale nei ruoli delle parti sociali ed ogni attore
coinvolto nel rapporto cerca di massimizzare i propri interessi e ad
arrivare poi ad un accordi di sintesi che rappresenta il compromesso
fra questi, ma non tiene conto degli interessi più generali.
7 M. Regini, “Dallo scambio politico centralizzato alla micro-concertazione”, Politica ed economia, XX (1989) n°12. 8 G. Baglioni, Democrazia impossibile?, op. cit.
12
Il secondo metodo, la pratica della concertazione (formale ed
informale) richiede un accordo preventivo su obiettivi, vincoli e
modalità condivisi per il loro raggiungimento; ed un comportamento
degli attori sociali coerente con quanto stabilito.
Di fatto il grado di stabilità degli accordi concertativi è
connesso alla coerenza manifesta nel comportamento dei tre attori
della concertazione: Stato, organizzazioni imprenditoriali ed
associazioni sindacali. Così per analizzare una relazione di tipo
concertativo e delinearne una teoria genetica, è necessario far ricorso
ad una analisi costi/benefici di ogni singolo attore9.
In gran parte della letteratura riguardante le politiche
concertative è riconosciuto allo Stato il ruolo di promotore, di
soggetto che assume l’iniziativa rispetto alle organizzazioni di
interessi10.
Le trasformazioni delle suddette organizzazioni di interessi
sarebbero infatti indotte dall’attore pubblico al fine di consentire un
mutamento del ruolo da rappresentanti di interessi specifici ed agenti
di mobilitazione a partner dei governi nei processi decisionali di tipo
cooperativo. Questa delega di funzioni pubbliche e di partecipazione
alla formazione delle scelte politiche si spiega con l’esigenza che i
governi hanno di rispondere ai problemi che si pongono nei paesi a
capitalismo maturo11.
9 M. Regini, “Le condizioni dello scambio politico”, op. cit. 10 Di fatto il ruolo dello Stato non è sempre così determinante, in particolare nei paesi a forte sindacalizzazione come la Svezia, in cui la lunga esperienza di concertazione sociale ha dato alle controparti una forte autonomia decisionale. 11 G. Giugni, “Concertazione sociale”, op. cit.
13
Di fatto l’attore pubblico è spinto alle pratiche di concertazione
sociale poiché, data l’impossibilità di evitare il manifestarsi del
conflitto per mezzo della repressione sindacale, viene avvertita
l’esigenza di regolarlo trasferendolo nell’arena politica. Lo Stato può
così concedere poteri e benefici alle organizzazioni d’interessi in
cambio di una moderazione dei loro rapporti conflittuali.
Inoltre, data la complessità sociale in costante aumento, la
crescita delle domande allo Stato da parte dei gruppi organizzati porta
i governi ad un sovraccarico d’impegni e quindi ad una crisi di
governabilità. Alcuni governi reagirebbero allora cercando di
incorporare i gruppi più potenti e rappresentativi nella formazione
delle scelte politiche così da indurli a non esercitare ex-post i loro
poteri di veto12.
Infine con la crisi della stato sociale che comincia a delinearsi
già dagli anni settanta, i governi sono stati indotti ad esercitare un
ruolo sempre più direttivo, sempre più tempestivo e ad assumere
scelte sovente impopolari che hanno trovato attuazione in manovre
finanziarie di tipo restrittivo, volte a ridurre il debito pubblico
contratto dall’organismo statale.
Tuttavia i governi espressi dai regimi democratici sono
strutturalmente e operativamente troppo deboli per svolgere questo
ruolo in maniera autonoma e cercano pertanto di coinvolgere nella
gestione dell’economia le grandi organizzazioni di interessi.
14
Se è vero che quasi tutte le esperienze concertative si sono
verificate quando al governo erano presenti partiti politici pro-labour,
è pur vero che nei paesi dalle forti tradizioni concertative (Austria,
Svizzera, Svezia e Germania) anche i cambiamenti al vertice del
governo non hanno significativamente incrinato le pratiche
consolidate di concertazione sociale. Di contro vi sono stati invece
governi esplicitamente pro-labour (Francia e Grecia) che non hanno
avuto alcun interesse a promuovere pratiche di concertazione sociale
con le organizzazioni di interessi.
Più che il colore politico dei governi, la propensione di questi
ultimi ad accettare politiche di tipo concertativo sembra strettamente
correlata al loro grado intrinseco di debolezza13. La contropartita in
termini di scambio per l’attore pubblico è infatti rappresentata da un
esponenziale aumento della stabilità politica e da un
ridimensionamento dalle posizioni conflittuali degli attori sociali.
Ad incoraggiare le politiche concertative saranno così più
propensi quei governi che avranno negli apparati legislativi delle
maggioranze risicate, oppure dei governi di coalizione fortemente
instabili. In queste situazioni politiche il terzo attore (lo Stato) ha una
discrezionalità ed una autonomia di scelta piuttosto limitate e lo
sviluppo delle pratiche di concertazione sociale rappresenta uno
12 Il fenomeno della concertazione sociale non va però concettualizzato come una strategia di dominio in quanto, come vedremo in seguito, è presente una forte dose di discrezionalità anche negli altri attori della concertazione sociale: le controparti. 13 G. Giugni, op. cit.
15
strumento per allargare ulteriormente la rete di responsabilità, il
consenso e l’adesione alle scelte politiche.
La concertazione sociale fornisce pertanto un surplus di
consenso alle scelte maturate dal governo e di riflesso una maggiore
legittimazione politica che prescinde dal canale elettorale.
Se uno dei fattori che spiega la diffusione degli assetti
concertativi è riconducibile all’interesse ed all’iniziativa dello Stato,
va però detto che le differenti esperienze di concertazione e soprattutto
il loro diverso grado di stabilità non possono prescindere da una
analisi delle strategie delle organizzazioni d’interessi14. Cosa induce in
effetti queste ad accettare un assetto concertativo?
Nell’entrare in un rapporto di scambio ciascuna organizzazione
cercherà da un lato di perseguire i propri obiettivi mentre dall’altro
sarà indotta ad interiorizzare alcuni vincoli generali e sistemici. In
quali condizioni dunque esse riterranno i vantaggi derivanti dalla
concertazione sociale maggiori dei costi dovuti alla limitazione di
autonomia nella loro azione sul mercato socio-economico?
Il rapporto tra Stato ed organizzazioni può essere ricondotto allo
schema di uno scambio politico basato su un’attribuzione reciproca di
forme diverse di potere politico, lo Stato devolve parte delle sue
autorità decisionali in materia di politica economica ai movimenti di
rappresentanza sindacale ed imprenditoriale che, entrando in tale
rapporto di scambio, determinano congiuntamente gli esiti della scelta
14 M. Regini, “Le condizioni dello scambio politico”, op. cit.
16
e di conseguenza traggono vantaggio dalla redistribuzione di risorse
pubbliche ad essi più favorevole.
In cambio le organizzazioni di rappresentanza offrono allo Stato
un potere politico indiretto, garantendogli consenso e legittimazione a
governare di fronte ai lavoratori, al mondo imprenditoriale, e a tutti gli
altri soggetti economici da esse rappresentati.
Questo scambio, implicando vincoli nell’autonomia di ciascun
attore, limita di conseguenza il ventaglio di alternative possibili alle
proprie azioni. La decisione del movimento sindacale inteso nella
maniera più ampia possibile (lavoratori, imprese, attività esercenti
commercio, etc.) va dunque riferita e spiegata mediante un’analisi
costi/benefici15.
Uno dei vantaggi conseguibili mediante una politica di
concertazione sociale è, per le organizzazioni d’interessi, la
costruzione di un rapporto d’influenza privilegiato: si ha un accesso
istituzionalizzato alle decisioni dell’attore pubblico, formalizzate
conseguentemente in leggi, decreti ad altri provvedimenti legislativi
dello Stato; si ha inoltre una delega d’autorità presso la pubblica
amministrazione16, con conseguente attribuzione di funzioni pubbliche
in maniera sussidiaria.
15 Un’analisi dei costi e dei benefici comprende il delinearsi dei modelli di scelta razionale orientati all’utile maggiormente conseguibile in base ai comportamenti adottati, va però ribadito che le associazioni sindacali sono in primo luogo strutture politiche e che perciò non seguono sempre orientamenti determinati dalla razionalità ma anche e soprattutto dalla loro identità politica. 16 Questo è il problema principale che si pone nel raffronto tra prassi della concertazione sociale e corretto funzionamento della democrazia rappresentativa.
17
Un secondo beneficio è il vantaggio riportato sulle altre
organizzazioni di rappresentanza degli interessi del lavoro e delle
imprese (in particolare le formazioni sindacali autonome). Di fatto
però, i benefici ottenibili dalle organizzazioni in generale e dal
movimento sindacale in particolare non sono solamente in termini di
potere per i loro rappresentanti; anzi questo potrebbe portare alla
formazione di un dissenso tra base e vertici dell’organizzazione.
Il vantaggio principale è invece la possibilità di modificare a
proprio favore i risultati dell’operare del mercato; uno scambio
politico è più attraente della semplice contrattazione se nei fatti il
movimento sindacale può ottenere più potere nel sistema politico che
nel sistema delle relazioni industriali. Inoltre può essere una strada
auspicabile anche per i lavoratori poiché lo Stato può essere une fonte
di benefici potenzialmente più rilevante del sistema economico in
generale e delle imprese in particolare.
Questa redistribuzione può essere operata mediante una serie di
riforme sociali concordate oppure per mezzo di misure fiscali mirate
che possano offrire ai redditi dei lavoratori un sostegno maggiore
rispetto agli aumenti salariali; efficace può risultare anche il tentativo
di indirizzare cospique risorse dello Stato in investimenti industriali ed
infrastrutturali in aree o settori determinati, oppure lo sviluppo di
pratiche a sostegno dell’occupazione mediante agevolazioni
economiche, legislative e contrattuali.
18
Infine, in caso di una situazione economica di crisi, può essere
rischioso per i movimenti sindacali il pieno uso del proprio potere
contrattuale, poiché alla lunga il perdurare di una fase conflittuale
all’interno di un sistema in crisi può peggiorare la situazione
economica più generale e ridurre la competitività dell’intero apparato
produttivo17.
Lo scambio politico è così un’alternativa desiderabile poiché il
sottoutilizzo della forza contrattuale, che potrebbe creare un forte
dissenso nella base rappresentata, verrebbe compensato
dall’acquisizione di alcune risorse che lo Stato potrebbe offrire in
maniera indiretta e indifferenziata, a beneficio di tutto il sistema
economico.
D’altra parte i costi che un’organizzazione sindacale dovesse
affrontare nell’intrapresa di una concertazione sociale, sono impliciti
nella limitazione del suo potere contrattuale. Questi vincoli rischiano
infatti di sottoporre il movimento sindacale a forti tensioni con la
propria base di rappresentanza. I costi che dunque il sindacato si
troverebbe a pagare sono riconducibili soprattutto alla percepita
perdita di lealtà da parte degli iscritti rappresentanti la base e alla
perdita del monopolio di rappresentanza a favore di altri sindacati.
Questi rischi possono però essere limitati se in sindacato possiede gli
strumenti idonei per controllare tali crisi di rappresentanza.
17 G. Baglioni, op. cit.. la scelta di iniziare una pratica di concertazione sociale va infatti riferita non solo ad una analisi costi benefici, ma anche alla necessità oggettive che sii pongono in determinati periodi nella sfera economica, la scelta non è sempre libera ma implica la dimensione della necessità.
19
Una delle variabili da tenere in considerazione per affrontare
questo problema è il livello di accentramento dell’organizzazione di
interessi generalmente intesa: più i processi decisionali sono distanti
ed isolati dalla base e più è facile che il dissenso non si manifesti
apertamente.
Utile al controllo del dissenso è anche l’uso dell’ideologia come
incentivo di identità, che può rivelarsi molto efficace a favorire la
concertazione con obiettivi di lungo periodo. Da ultimo la capacità
dell’organizzazione di aggregare nella sua rappresentanza una
pluralità di interessi frammentati che consenta di poter assumere una
posizione oligopolistica nella contrattazione con i vari governi.
L’aver stabilito che la scelta di concertare è deliberata in
funzione di una analisi costi/benefici ci permette di affermare che
qualsiasi attore sarà tentato di ritirarsi da questo rapporto se i termini
dello scambio non risulteranno essere paganti.
Il grado di stabilità della concertazione è così determinato sia
dall’interesse che i singoli attori nutrono per uno scambio politico di
lungo periodo18, sia dalla capacità che essi hanno di seguire una tale
logica d’azione.
Di fatto gli attori della concertazione sociale in generale e le
organizzazioni d’interessi in particolare devono essere capaci di
imporre dei limiti alla soddisfazione immediata della pluralità di
domande sociali che essi rappresentano. Gli strumenti utili a tal fine
18 G. Baglioni, “Il destino delle pratiche concertative”, Politica Economica, XX (1989), n°12.
20
sono quelli già precedentemente descritti: accentramento
organizzativo, ideologia e monopolio della rappresentanza.
Se dal punto di vista economico i risultati della concertazione
sociale sono tangibili e spesso di segno positivo (denota quindi delle
buone qualità nella pratica) in via di principio le pratiche concertative
mostrano qualità considerate polito logicamente cattive19.
La democrazia politica si esprime infatti mediante le istituzioni
della democrazia rappresentativa20, che viene trasmessa dal popolo
mediante l’azione di voto e legittima pertanto i votati ad assumere le
decisioni.
La concertazione sociale, di fatto, introduce nell’arena politica
altri attori che partecipano alla formazione delle decisioni politiche
senza una designazione elettorale. Mediante le pratiche di
concertazione sociale lo Stato cede, come abbiamo detto prima, parte
della sua autorità sugli interventi redistributivi, a favore di gruppi
d’interessi organizzati, ed escludendone altri.
L’attore pubblico che attiva e conduce le politiche concertative
è spesso il governo, ed assume impegni al di fuori dei suoi
interlocutori istituzionali (Parlamento o Presidente), cercando un
consenso ulteriore al di fuori della legittimazione elettorale.
L’esecutivo utilizza certo un dislocamento funzionale di autorità
concessogli mediante delega dal parlamento21, ma questo
19 G. Baglioni, “Democrazia impossibile?”, op. cit. 20 G. Sartori, “Democrazia. Cos’è”, Rizzoli, Milano, 1993. 21 G.E. Rusconi, “Asimmetria delle rappresentanze e delle decisioni politiche”, Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, VIII (1986), n°30.
21
dislocamento gli è riconosciuto in forza dei programmi politici
maturati durante la campagna elettorale.
Tramite gli accordi concertativi possono così partecipare alle
decisioni politiche anche i cittadini che non hanno espresso la
maggioranza politica ed alterano pertanto il principio fondamentale
della democrazia rappresentativa, poiché possiedono due voci per
esprimere la loro volontà politica: quella del voto elettorale e quella
del gruppo organizzato all’interno della concertazione sociale.
Resta comunque nei fatti che la pratica della concertazione
sociale è accompagnata da istituzioni e pratiche collaborative in altre
sedi, con forme trilaterali a livello territoriale e con forme di
partecipazione istituzionale a livello d’impresa. Empiricamente, nei
paesi dalle tradizioni concertative salde, si è verificata maggiore
stabilità economica, è aumentato il grado di coesione sociale e si è
determinata una dinamica dei processi redistributivi più ampia22.
La concertazione sociale rende infatti partecipi della politica
economica i due gruppi oggettivamente più importanti e
rappresentativi, che assumono vincoli e limiti in vista di un fine di
interesse più generale. Risultando questi vincoli una certezza per gli
operatori economici (nazionale ed internazionali) poiché riguardano
gli indicatori essenziali dell’andamento economico (inflazione, tassi
d’interesse e dinamica dei prezzi e dei consumi), ciò rappresenta
senz’ombra di dubbio un riequilibrio significativo all’incompatibilità
22 M. Albert, Capitalismo contro Capitalismo, Il Mulino, Bologna, 1993.
22
concettuale tra i processi di concertazione sociale ed il corretto
funzionamento della democrazia politica.
Si tratta di un atteggiamento di constatata pragmaticità rispetto
un risultato positivo e tangibile a fronte di una deriva teorica di un
sistema politologico perfetto, è l’inconciliabile differenza tra la
“teoria” e la “pratica” intese in senso lato.
Il percorso storico della concertazione macroeconomica è però
stato spesso discontinuo e frammentato sia per il variare dei contesti
nazionali, sia per il mutare dei cicli economici. Negli anni ottanta vi è
stata a livello europeo una generale perdita d’interesse per le
esperienze concertative: le cause sono ravvisabili nelle mutate
convenienze di ciascuno dei soggetti della concertazione.
I governi hanno meno bisogno del consenso del movimento
sindacale che, fortemente indebolito per il continuo esodo degli
iscritti, è indotto per esigenze di salvaguardia del consenso a
perseguire priorità diverse.
Molte imprese tendono invece ad attribuire minore importanza
alle dinamiche salariali a livello aggregato, rispetto alla possibilità di
utilizzare in modo più flessibile la manodopera interna.
Molti sindacati individuano inoltre le cause dei loro problemi di
rappresentanza nell’eccessivo distacco dai luoghi di lavoro che le
esperienze di concertazione centralizzata comportano. Per tutti questi
motivi gli attori possono essere indotti a non considerare la strada
della concertazione sociale su scala macroeconomica.
23
Tuttavia, al di la di queste cause contingenti, vi sono due cause
di ordine strutturale23 che ne rendono improbabile la resurrezione,
almeno nelle modalità in cui le pratiche concertative si sono delineate
negli anni settanta. Da un lato la crescente diversificazione del sistema
delle relazioni industriali, sia per le imprese che per il movimento
sociale, che corrisponde ad una più elevata diversificazione del tessuto
produttivo. Dall’altro l’emergere dei temi della flessibilità, divenuti
centrali sia per le imprese che per il sindacato che, soppiantando
addirittura la contrattazione del salario e del costo del lavoro, fanno
crescere l’importanza delle relazioni di lavoro a livello d’impresa e di
area territoriale rispetto a quello politico centralizzato.
Dal predominio assoluto della produzione Fordista, basata sulla
produzione di massa di beni standard e sulle economie di scala, si è
passati ad una crescente diversificazione dei modi di produzione
mediante i sistemi di produzione definiti di specializzazione flessibile,
caratterizzati dal decentramento delle unità produttive, dalla
diversificazione dei prodotti e dall’accorciamento del loro tempo di
vita, dall’introduzione di nuovi macchinari ad uso flessibile, dalla
segmentazione dei mercati, dalla divisionalizzazione delle grandi
imprese e dalla riunificazione di quelle più piccole in distretti
industriali dotati di servizi collettivi.
Se il sistema fordista produceva regole per la disciplina della
produzione e dei rapporti di lavoro uniformi, ed i sistemi di relazioni
23 M. Regini, “Dallo scambio politico centralizzato alla micro-concertazione”, op. cit.
24
industriali contrattavano queste regole; oggi vacillando questa
uniformità di regole, le nuove relazioni industriali sono tenute a
modificarsi a seconda dei contesti, diversificando a loro volta le
strategie d’impresa, che abbisogna sempre di meno di regole uniformi.
I fattori di diversificazione aumentano però anche per i vari
sindacati24: l’espansione del potere sindacale è infatti avvenuta in un
periodo di forte omogeneizzazione delle rivendicazioni sociali,
facilitate anche dallo sviluppo di sub-culture con forti identità
ideologiche e un profondo spirito d’identificazione. Era così facile per
il movimento sindacale rappresentare gli interessi in modo aggregato.
Oggi, a causa di una maggiore differenziazione del lavoro, non
solo riguardante le figure ad alta professionalità ed i ruoli puramente
esecutivi, ma anche gli stili di vita e le esigenze professionali che si
diversificano, cambia a sua volta il grado di centralità assegnato dai
lavoratori all’esperienza lavorativa. Cambiano di conseguenza le
funzioni assegnate da questi al movimento sindacale.
Inoltre la competitività dei nuovi paesi sul mercato
internazionale ha spinto tutto il vecchio continente a forti processi di
ristrutturazione industriale che hanno avuto come tematica centrale la
flessibilità del lavoro.
Dapprima indirizzatesi verso forme di flessibilità esterna e
numerica, quella delle eccedenze occupazionali, è poi emerso per le
imprese il problema della flessibilità interna, della qualità e della
24 A. Accorsero, “Discontinuità capitalistica e conseguenze sull’azione sindacale”, in M.Regini, “La sfida della flessibilità”, F. Angeli, Milano, 1988.
25
professionalità da utilizzare flessibilmente nell’intero ciclo di
produzione. Sono proprio questi gli aspetti che si sono dimostrati
rilevanti nella recente contrattazione aziendale. La flessibilizzazione
dell’orario di lavoro, del resto, è un’esigenza sentita non solo dalle
imprese, ma desta un interesse crescente anche nei lavoratori25 ed il
movimento sindacale è spesso sottoposto a questa duplice pressione
per allentare regole ritenute troppo rigide.
Questo ha comportato una concertazione della regolazione del
lavoro a livello d’impresa e di area territoriale rispetto alle esperienze
centralizzate di concertazione sociale. Stanno così emergendo nuove
forme di concertazione sociale innovative e distinte dall’esperienza
maturata a livello macroeconomico.
Sempre più spesso il movimento sindacale è stato coinvolto
dalle aziende nelle scelte compiute a livello micro-aziendale e meso-
territoriale, e ciò ha portato ad una notevole, seppur informale,
ridefinizione dell’organizzazione del lavoro26: una vera e propria
gestione congiunta dei processi di riposizionamento industriale.
Qualificata come locale ed appartata, questa micro-
concertazione ha preso così piede in molte aziende italiane ed europee.
Molti dati mostrano infatti come alcune direzioni aziendali forniscono
regolarmente ai sindacati informazioni sulla loro situazione
economica ed occupazionale. Tali rappresentanze sindacali sono
inoltre spesso coinvolte nelle decisioni di questioni ricorrenti che
25 A. Accorsero, “Discontinuità capitalistica e conseguenze sull’azione sindacale”, op. cit. 26 M. Regini e C.F. Sabel, “Strategie di riaggiustamento industriale”, Il Mulino, Bologna, 1989.
26
vanno dallo straordinario alle ferie, fino ad arrivare a problemi
d’innovazione tecnologico-organizzativa27. La ricerca di condizioni
comunemente più vantaggiose anziché unilaterali è dunque una realtà
piuttosto diffusa.
Nei fatti anche questa realtà può definirsi una prassi
concertativa poiché, anche senza nessuna firma o alcun accordo
formale, presuppone l’esistenza di obiettivi e vincoli condivisi. Le
istituzioni pubbliche anche se formalmente assenti, giocano un ruolo
di rilievo mediante un’azione indiretta di sostegno ed incubazione
(importanti sono infatti le risorse fornite dagli enti locali). Queste
forme di micro-comcertazione stanno attualmente diventando il centro
del sistema di relazioni industriali e sarebbe un errore tentare di
soffocare questo vivace e nascosto sistema.
Da qui parte della letteratura profetizza un forte declino della
concertazione macroeconomica, tuttavia gli eventi degli anni novanta
hanno dimostrato che anche le pratiche di macro-concertazione non
sono morte, ma sono tutt’ora in auge in molti paesi. Questa nuova
alternativa comincia ad apparire attraente anche per gli imprenditori
che dapprima hanno considerato la ristrutturazione come una fase
transitoria; vedono invece ora la necessità di operare riaggiusta menti
continui per adeguarsi alle turbolenze dei mercati28 non più stabili e
perfettamente prevedibili.
27 M. Regini, “Dallo scambio politico centralizzato alla microconcertazione”, op. cit. 28 M. Regini e C.F. Sabel, “Strategie di riaggiustamento industriale”, Il Mulino, Bologna, 1989.
27
Risulta così conveniente alle imprese concertare le loro
politiche interne con i sindacati che impongono minori costi e vincoli
di un tempo e che legittimano le scelte imprenditoriali di fronte ai
lavoratori; centrale è diventata inoltre per lo sviluppo della “qualità
totale” proprio il consenso ed il coinvolgimento dei lavoratori nelle
scelte delle imprese.
Sono così molti i paesi che, sempre più convinti dell’efficacia
delle politiche di concertazione sociale di ordine macro-economico29,
si sono affidati a questa prassi (Olanda, Spagna, Irlanda ed Italia),
ricorrendo ad essa per la ricostruzione di un nuovo sistema di relazioni
industriali.
Funzionale a questa resurrezione è stato senz’altro il pressante
vincolo dell’Unione Europea che ha fornito una situazione di necessità
ai paesi aderenti, richiedendo la stabilità economica e monetaria come
parametri essenziali per l’adesione al Mercato Comune Europeo.
Il problema che si pone in questi paesi è quello di saper
coniugare l’efficacia della concertazione macroeconomica con le
esigenze provenienti dalle imprese disperse sul territorio30. Non
bisogna infatti subordinare il livello concertativo micro-economico a
quello macroeconomico e occorre evitare di dare alla contrattazione
aziendale o territoriale contenuti di tipo onnicomprensivo che non
tengano conto delle nuove esigenze di flessibilità e delle differenze
29Bisogna però richiamare l’attenzione sul binomio convenienza/necessità prima introdotto, poiché la costituzione dell’Unione Europea ha rappresentato per molti paesi un vincolo necessitante per il riaggiustamento della propria finanza pubblica. 30 M. Regini, “Dallo scambio politico centralizzato alla microconcertazione”, op. cit.
28
territoriali e culturali, sostenendo le dinamiche spontanee delle forme
di micro e meso-concertazione.
29
2.2. Una concertazione, due varianti
Delineato un quadro teorico utile al fenomeno che abbiamo
prima definito “concertazione sociale”, si possono ora analizzare più
compiutamente le differenti manifestazioni di questo fenomeno. Prima
ancora di classificare e catalogare le varie esperienze è necessario
delineare il contesto di riferimento e di applicazione della
concertazione sociale; ribadiremo dunque che la sede degli accordi di
concertazione è quella macroeconomica e politica anche se vi sono
esperienze in ambito più ristretto delle quali analizzeremo in seguito
una manifestazione sui generis.
L’elemento cruciale e costante di queste esperienze è
rappresentato, con fortune alterne, dalle politiche dei redditi e tali
esperienze possono essere ricondotte alla ricerca di una conciliazione
tra le esigenze di sostegno e di stabilità del sistema economico ed una
più equa ed efficace politica redistributiva nel sistema sociale.
Le esperienze di concertazione sociale cominciano a divenire
consistenti dal periodo di sviluppo economico che si verifica da
secondo dopoguerra agli inizi degli anni settanta, perdurando anche
con l’affermarsi delle crisi petrolifere e delle recessioni economiche
che caratterizzano tutti gli anni ottanta.
Certo sono rese più problematiche difficili per le condizioni
economiche di questo decennio, che richiedono invece politiche
30
economiche di tipo restrittivo anche nei paesi caratterizzati da una
lunga tradizione collaborativa.
Attualmente gli accordi che sussistono sono dovuti più alla
necessità oggettiva di razionalizzazione economica e distributiva più
che alle convenienze degli attori coinvolti nello scambio, almeno in
un’ottica di breve periodo. Resta il fatto che tali esperienze di
concertazione sociale hanno toccato con più o meno forza gran parte
dell’occidente capitalistico, affacciandosi con poca fortuna anche nei
paesi di cultura anglo-americana.
La varietà e la molteplicità delle esperienze verificatesi non
consente di delimitare nettamente i confini del fenomeno
“concertazione sociale”, ne alcune forme compiutamente
classificabili. Le modalità della partecipazione dei grippi d’interessi
organizzati alle scelte della politica economica possono piuttosto
essere rappresentate come un vasto territorio all’interno del quale le
differenze emerse corrispondono piuttosto a varianti di una stessa
logica di regolazione d’interessi che a forme compiute e distanti.
All’interno di questo territorio possiamo così individuare due
tipi di varianti: da un lato una concertazione sociale di tipo bilaterale,
dall’altro una concertazione sociale triangolare.
Ribadendo che gli attori della concertazione sociale sono
sempre tre (Stato, associazioni sindacali e organizzazioni
imprenditoriali) possiamo descrivere la prima variante come una
esperienza di concertazione sociale in cui vi è una separazione
31
piuttosto marcata tra l’azione sindacale nelle relazioni industriali e le
sue implicazioni politiche31; in questa variante non si ha un
coinvolgimento diretto del movimento sindacale nell’arena politica e
gli interventi dell’attore pubblico sono scarsi in tali relazioni; c’è un
rapporto privilegiato e primario dl movimento sindacale con il partito
amico a cui il primo concede una delega di rappresentanza di tipo
politico.
Le parti sociali costituite dai rappresentanti dei lavoratori e
degli imprenditori instaurano invece un rapporto di tipo bilaterale,
continuativo e stabile in cui i contenuti vengono negoziati di volta in
volta e le regole del gioco sono basate sulla distinzione funzionale
delle due controparti: alle associazioni sindacali spetta l’attenzione
primaria sugli obiettivi sociali di piena occupazione, sicurezza sociale
e politiche di solidarietà salariale, alle organizzazioni imprenditoriali è
demandato invece il corretto e pieno funzionamento della gestione
delle imprese.
Sia le une che le altre, all’interno di questo modello per come si
è storicamente affermato, hanno agito sempre in piena autonomia e
libertà senza interferenze da parte dei governi. Le varie agenzie di
mediazione o le commissioni speciali di mediazione nominate
dall’attore pubblico nei casi in cui le grandi organizzazioni d’interesse
sembrano trovare difficoltà nella conclusione delle trattative, sono
sempre state accettate come organi di collaborazione con la sola
31 G. Baglioni, “Democrazia impossibile?”, op. cit.
32
funzione di assistere entrambe le controparti a risolvere i problemi più
difficili con la promozione di qualche compromesso e non con la
presenza di delegati governativi incaricati di far applicare la linea
dell’attore pubblico.
Queste forme di superamento del conflitto risultano funzionali
al fine di evitare che le trattative intraprese e le soluzioni individuate
danneggino terze parti o la società nel suo complesso. L’attore
pubblico in questa variante concertativa esercita così più un ruolo di
mediazione ed incubazione delle scelte maturate dagli altri attori
economici (sindacati ed imprenditori) che hanno sempre desiderato
agire in piena autonomia e libertà, ratificando le scelte maturate in
disegni legislativi, ed avendo quindi un ruolo piuttosto marginale nello
svolgimento delle trattative.
L’essenza ed il presupposto di questa variante sono molto legate
alla composizione ed all’orientamento politico del governo in carica;
questa variante si verifica esclusivamente con governi di orientamento
pro-labour poiché la delega funzionale di tipo politico è concessa dalle
organizzazioni sindacali all’attore pubblico in quanto i rappresentanti
del governo provengono in gran parte dalle fila delle associazioni
sindacali.
Si ha così una sorta di over-lapping tra l’attore sindacale e
l’attore politico istituzionale che consente l’istaurarsi di un rapporto di
scambio privilegiato, duraturo ed informale, basato sul vecchio
legame a cinghia di trasmissione tra movimento sindacale ed
33
affiliazione politica. Ciò favorisce anche una certa uniformità
nell’interpretazione dei problemi, nella lettura dei dati e nello sviluppo
di strategie di problem-solving.
A questa variante è possibile ricondurre gran parte delle
esperienze di concertazione sociale verificatesi nelle socialdemocrazie
del nord Europa, in particolare quella svedese, che con a Norvegia e la
Danimarca va a costituire il cosiddetto “Modello scandinavo” delle
relazioni industriali; la Germania può essere ricondotta a questa
variante solo parzialmente, ovverosia nei periodi del sessantasette e
del sessantanove nei quali il governo era costituito da una coalizione
SPD-CDU.
Le connotazioni della seconda variante, sempre concettualizzate
all’interno del quadro teorico di “concertazione sociale” prima
tracciato, non sono antitetiche seppur difformi dalla pria variante.
Nella variante individuata come concertazione sociale triangolare si
verifica una crescente politicizzazione degli interessi dei gruppi
sociali32. Questo comporta un minore grado di autonomia nel sistema
delle relazioni industriali, compensato però dalla presenza diretta
dell’attore sindacale e della sua controparte imprenditoriale nel
sistema politico istituzionale.
Non esiste in questa variante una over-lapping di tipo univoco,
in quanto le rappresentanze degli imprenditori e dei lavoratori
32 G. Baglioni,”Democrazia impossibile?”, op.cit.
34
vengono coinvolti, spesso per iniziativa dell’attore pubblico, in
rapporti trilaterali altamente formalizzate.
Riguardo questa variante triangolare il colore politico e la
composizione del governo in carica sono discriminanti meno rilevanti
per la genesi e l’esplicazione di un rapporto di tipo concertativo; di
fatto l’attore politico accetta di negoziare alcune decisioni di politica
economica con le organizzazioni di interessi in cambio di una loro
disponibilità a concordare una politica dei redditi in funzione di
obiettivi economici di ordine più generale33.
Va comunque ricordato che il presupposto di una conglobazione
nel sistema politico degli attori economici comporta per l’attore
pubblico in questione un surplus di consenso, complementare ed
aggiuntivo, alla legittimazione elettorale.
In questo caso la correlazione che si viene ad istaurare tra
sistema politico e sistema delle relazioni industriali è d’intensità molto
maggiore rispetto alla prima variante, e viene a cadere il forte legame,
presente nella variante bilaterale, tra movimento sindacale e
rappresentanza politica.
Va’ inoltre ribadito che la spiccata formalizzazione degli
accordi comporta per i due attori di mediazione d’interessi un sistema
di vincoli e di interdipendenze che prevedono anche un apparato
sanzionatorio per prevenire il mancato raggiungimento di un accordo.
33 AA.VV.,”Rapporto CESOS: le relazioni sindacali in Italia” ,Edizioni Lavoro, Roma, 1995
35
La crescente politicizzazione dei gruppi di interessi organizzati,
lungi dall’essere identificata come un allontanamento dai luoghi di
produzione, va invece letta come una risposta alla generale perdita di
consenso a cui soprattutto il mondo sindacale va incontro, a causa
della crescente diversificazione delle esigenze di rappresentanza dei
lavoratori.
Risulta così più conveniente per un attore sindacale cercare
nell’arena politica i benefici che non si riesce a spuntare nell’arena
economica, soprattutto in merito a obiettivi di lungo periodo. Una
delle discriminanti a favore di questa variante è infatti l’assottigliarsi
delle risorse a disposizione dell’attore pubblico ed il prevalere di un
carattere di necessità piuttosto che di convenienza immediata.
Alla seconda variante di concertazione sociale possono essere
ricondotte esperienze meno uniformi che vanno dai paesi di lunga
tradizione collaborativi come l’Austria o l’Olanda, in cui il Welfare ha
un forte grado di espansione e di copertura sociale per far fronte alle
debolezze intrinseche alla società civile (differenze etniche o
religiose), a paesi in cui la politica dei redditi centralizzata è divenuta
la soluzione più idonea alle ricorrenti crisi valutarie ed alle difficili
situazioni economiche (Spagna ed Italia).
Proprio per questo motivo il percorso storico della
concertazione sociale sembra tendere favore della seconda variante,
date le persistenti recessioni economiche nelle quali anche i paesi
dalla consolidata stabilità monetaria sembrano incorrere e poiché,di
36
fatto, i benefici ed i vantaggi conseguibili tendono costantemente a
ridursi.
Disposte le grandi linee di queste due varianti e fissatene le
caratteristiche, va comunque ribadito che le esperienze di
concertazione sociale, di qualunque variante esse facciano parte,
permeano tutte le istituzioni e la società intera del binomio
cooperazione/conflitto. Come abbiamo prima accennato, la
concertazione sociale crea un nuovo assetto di relazioni industriali.
Il cambiamento nel comportamento degli attori è percepibile
non tanto al livello centralizzato, il livello nel quale permangono i
giochi di convenienze politiche, quanto al livello decentrato, livello
nel quale si verificano più propriamente le esperienze sul campo ed in
cui hanno applicazione e verifica le direttive maturate concettualmente
al livello centralizzato.
37
2.3 La sussidiarietà
Il termine “sussidiarietà”34 deriva dal latino subsidium ferre che
significa prestare aiuto, offrire protezione35. La sussidiarietà è
sconosciuta come idea e persino come vocabolo fino a circa la metà
del secolo negli ordinamenti giuridici nazionali trova le sue prime
formulazioni nell’ordinamento canonico.
Nella Enciclica Quadrigesimo Anno Pio XI, evidenziando la
funzione sussidiaria dei poteri pubblici rispetto alle formazioni sociali
naturali, ne elabora una definizione ormai classica per cui:
“…Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono
compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità,
così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società, quello che
dalle minori ed inferiori comunità si può fare…, perché l’oggetto
naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare
34 Fra gli scritti più recenti che si dedicano allo studio del principio di sussidiarietà orizzontale si vedano P.DURET, La sussidiarietà orizzontale: le radici e le suggestioni di un concetto in Yus, 2000; A.D’ANDREA, La prospettiva della costituzione italiana ed il principio di sussidiarietà ,in Yus, 2000; L.ANTONINI, Il principio di sussidiarietà orizzontale: da welfare state a welfare society, in Riv.dir.finscienza fin 2000; T.E.FROSONI, Profili costituzionali della sussidiarietà in senso orizzontale, in Riv.giur.mezz. ,2000; U.RESCIGNO, Principio di sussidiarietà e diritti sociali, in Dir.Pubb.2002. 35 Nel Lexicon Totius Latinitatis per subsidium si intende un aiuto tenuto in riserva offerto solo in caso di necessità quando coloro che hanno l’obbligo di adempiere ad un dovere non sono in grado di farvi fronte. Il termine sussidiarietà porta con sé due implicazioni abbastanza diverse, rintracciabili nella sua etimologia latina: il primo significato della parola sussidiario evoca l’idea di suppletivo, di secondario, di meno importante. E’ ad esempio il nome che veniva dato nella terminologia militare romana alle truppe di riserva che rimanevano in seconda linea al fronte, pronte ad intervenire in aiuto delle coorti che combattevano in prima linea. Il suo secondo significato evoca l’idea di soccorso ( sussidio) ed implica un’idea di intervento. Si tratta di misurare non tanto se l’autorità ha il diritto di intervenire, ma piuttosto se non ne ha il dovere.
38
in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già
distruggerle ed assorbirle…”
Il principio si compone quindi di due aspetti: sancisce il
carattere sussidiario delle strutture religiose rispetto a quelle laiche e
dei pubblici poteri rispetto all’attività delle formazioni sociali naturali.
Dal diritto canonico il principio penetra nel diritto statale36
secondo il processo antico e singolare postulato da Le Bras delle
“origines canoniques du droit administratif”.
La sussidiarietà può essere definita come “orizzontale” e
“verticale”, sotto il profilo più strettamente giuridico che qui
maggiormente interessa due sono i significati del concetto in esame: la
sussidiarietà “orizzontale” è il paradigma ordinatore dei rapporti tra lo
Stato, le formazioni sociali e gli individui; la sussidiarietà “verticale”
ripropone un criterio di distribuzione delle competenze tra lo Stato e le
autonomie locali.
Agli enti territoriali vanno lasciate non solo le competenze
giuridiche o i diritti di iniziativa ma anche i mezzi finanziari ed
amministrativi necessari all’organizzazione ed all’esercizio concreto
di questa facoltà.
Al principio federale tradizionale il principio di sussidiarietà
verticale aggiunge un elemento importante, costituito dalla necessità
di giustificare l’esercizio, da parte del livello di governo superiore,
36 Aderiscono a questa ricostruzione delle origini del principio di sussidiarietà tra i più importanti: R.HOFMANN, Il principio di sussidiarietà .L’attuale significato nel diritto costituzionale tedesco ed il possibile ruolo nell’ordinamento dell’Unione Europea, in Riv.Ital.Dir.Pubbl.Comunitario, 1993.
39
delle competenze attribuite per costituzione sulla base di accertate
inadeguatezze del livello di governo inferiore.
Ma a chi spetta l’onere di fornire la prova di tali
inadeguatezze?37 Nell’ordinamento comunitario dove il principio di
“sussidiarietà” è espressamente enunciato all’art.3 b del Trattato di
Maastricht si è cercato di elaborare criteri specifici e sufficientemente
precisi che ne consentano la verifica in sede giudiziale38.
La giustiziabilità è stata comunque fino a questo momento
praticamente inesistente in virtù della presunta bontà degli interventi
dello Stato. Un passo in avanti sotto questo profilo è stato fatto con il
Trattato di Amsterdam che ha tra i suoi allegati un documento che
elabora dei criteri in base ai quali valutare gli interventi legislativi per
sottoporli a controlli anche giurisdizionali.
37 Vale qui la pena ricordare che l’art.123 della Costituzione, così come novellato per effetto della consultazione referendaria del 7 ottobre 2001 è diretto alla creazione di un Consiglio regionale finalizzato ad un miglior raccordo tra gli enti interessati allo svolgimento delle funzioni amministrative secondo la nuova impostazione dell’art.118 della Costituzione che promuove e favorisce l’ingresso delle Autonomie sociali. 38 Nei settori in cui non vengono espressamente elencate le competenze della comunità e degli stati e dove, di conseguenza in base all’art.3B del Trattato di Maastricht si applica rigidamente il principio di sussidiarietà vengono elaborati criteri di ripartizione delle competenze. I criteri elaborati a livello comunitario si possono classificare secondo due gruppi:quelli che possono servire a decidere se l’azione della comunità è veramente necessaria; quelli che possono contribuire a definire l’incisività dell’azione dal momento che la comunità si è dichiarata competente.Nel primo gruppo viene inserito il c.d.test di efficacia comparata.Questo test si basa su diversi fattori: l’effetto scala, il costo dell’inazione, la necessità di mantenere una ragionevole coerenza, i limiti di un’azione isolata da parte di uno stato membro, la necessità di rispettare la norma sulla libera concorrenza. Il test deve evidenziare il vantaggio supplementare che potrebbe risultare dall’intervento comunitario. Dal punto di vista dell’incisività dell’azione comunitaria, per la quale deve prevalere l’idea di proporzionalità i criteri sono i seguenti: ad uguale efficacia, bisogna preferire l’intervento che lascia più libertà; bisogna evitare che un’azione giudicata indispensabile si traduca in un eccesso di regolamentazione;bisogna privilegiare la concisione a livello di testi scritti. Europe documents n.1804/1805 del 30.10.1992.
40
In Italia la Legge Bassanini enuncia espressamente
l’applicazione della sussidiarietà nella sua dimensione verticale39: le
funzioni ed i compiti amministrativi devono essere conferiti in modo
tale, che le responsabilità pubbliche siano attribuite all’ autorità
territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati,
quindi principalmente a Comuni, Province e Comunità montane,
secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative ed
organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le
medesime.
Si attribuisce al Governo il compito di individuare procedure e
strumenti di raccordo, anche permanente, che consentano la
collaborazione e l’azione coordinata tra regioni ed enti locali.
Si introduce, infine la possibilità di un intervento sostitutivo in
caso di inadempienza delle Autonomie locali.
E’ tuttavia la prima valenza del principio di sussidiarietà quella
più controversa e nei cui confronti si manifestano le maggiori
resistenze ideologiche.
Nel suo significato di sussidiarietà orizzontale questo principio
afferma che lo Stato interviene solo quando l’autonomia della società
risulti inefficace. La sussidiarietà va così molto al di là di un semplice
principio di organizzazione delle istituzioni, si applica innanzitutto ai
39 Una delle prime applicazioni del principio di sussidiarietà è rintracciabile nella Legge n.439 del 30 dicembre 1989 che ratifica la Carta europea delle autonomie locali e nella legge n.142 del 1990 la quale ha costruito in termini di sussidiarietà i rapporti tra comuni, province, regioni: riconoscendo ai primi una competenza residuale, ed elevando a criterio distributivo delle competenze tra diversi livelli territoriali di governo, la dimensione degli interessi pubblici coinvolti, nonché l’economicità e l’efficienza nell’esercizio delle competenze stesse.
41
rapporti tra l’individuo e la società che lo circonda, poi ai rapporti tra
la società e le istituzioni, prima ancora di determinare una ripartizione
di competenze, nella scala istituzionale tra base e vertice. In questa
dimensione lo Stato non deve limitarsi ad assicurare le condizioni
esterne per l’ordine pubblico e per la sovranità internazionale della
nazione.
La sussidiarietà si fonda, infatti, su un’idea di Stato che implica
la necessità (come esprime la derivazione etimologica di subsidium)
dell’intervento promozionale od ordinatore e coordinatore dello Stato
stesso a favore dell’incremento e dell’incentivazione di una cultura
della responsabilità individuale. Lo Stato e le formazioni sociali
intervengono secondo una logica di complementarietà.
A livello comunitario il principio di sussidiarietà si carica di
ulteriori e diversi significati.
Il principio in esame è previsto espressamente nella Carta
Europea delle Autonomie locali, adottata a Strasburgo il 15 Ottobre
198540, laddove dispone che l’esercizio delle responsabilità pubbliche
deve incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini.
Con la conseguenza che l’assegnazione di una responsabilità ad
un’altra autorità deve tener conto dell’ampiezza e della natura del
compito e delle esigenze di efficacia e di autonomia.
40 La Carta è stata ratificata in Italia con la Legge n 439/89.
42
La competenza nazionale è la regola e la competenza
comunitaria l’eccezione41. Emerge, quindi in questo contesto
comunitario l’aspetto positivo del principio di sussidiarietà e non
l’aspetto negativo per il quale nessuna autorità può intervenire in
materie e compiti che meglio possono essere adempiuti al livello più
vicino alle autorità inferiori.
Di conseguenza mentre gli stati nazionali tendono a trasferire le
proprie funzioni ed i propri compiti a livello sovranazionale,
all’opposto il principio di sussidiarietà ribadisce i limiti ai poteri
sovranazionali, favorendo da un lato la crescita di strutture
istituzionali internazionali, tenendone, dall’altro lato sotto controllo lo
sviluppo. Questo principio garantisce il rispetto dell’identità nazionale
degli stati membri e salvaguarda le loro competenze.
Attraverso questa prima definizione della natura giuridica del
principio di sussidiarietà è possibile analizzarne le funzioni.
Si potrebbe infatti parlare di una funzione promozionale in
quanto impone allo Stato di favorire lo sviluppo di articolazioni
intermedie. Nello stesso tempo proibisce a questi stessi destinatari di
intervenire nell’ambito di azione delle articolazioni sottostanti se
queste sono in condizione di regolarsi autonomamente e di gestire in
proprio i loro compiti (funzione protettiva).
Se queste articolazioni non riescono a svolgere i loro compiti,
ad esempio educativi od assistenziali, il principio di sussidiarietà 41 S.CASSESE, L’aquila e le mosche.Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell’area europea, in Il Foro Italiano,1995.
43
impone allo Stato di non assumere subito su di sé questi compiti, ma
di cercare vie degli strumenti di rafforzamento del campo di
operatività di questi corpi intermedi, in genere attraverso meccanismi
di finanziamento.
E’ in questa veste che il principio di sussidiarietà apre la strada
all’attività degli organismi operanti nel c.d. terzo settore e favorisce il
fenomeno dell’associazionismo.
Molte leggi regionali infatti riconoscono funzioni e compiti
fondamentali a strutture intermedie in forza del principio di
sussidiarietà .
La Legge della regione Lombardia n.170 del 26.10.1999 è ad
esempio molto chiara sul punto nell’affermare all’articolo 5 che : “la
regione, in attuazione del principio di sussidiarietà, in base al quale
vengono gestite dall’ente pubblico le funzioni che non possono più
essere adeguatamente svolte dall’autonomia dei privati, come singoli
o nelle formazioni sociali in cui si svolge la loro
personalità…valorizza e sostiene le famiglie…promuovendo le
associazioni e formazioni di privato sociale…”.
E’ chiaro quindi che la sussidiarietà anche sotto il profilo
operativo-funzionale possiede una duplice dimensione: una che attiva
lo Stato o l’altro destinatario del principio, l’altra che limita questo
intervento.
44
Opera non solo quindi come un limite all’intervento di
un’autorità superiore nei confronti di una collettività che è in grado di
agire da sola, ma anche come obbligo per tale autorità di agire nei
confronti di tale collettività per fornirle i mezzi necessari per
realizzarsi.
In questa prospettiva il principio di sussidiarietà integra
l’articolo 2 della Costituzione consentendo il superamento
dell’individualismo e di una interpretazione delle formazioni sociali
come una garanzia supplementare, come qualcosa di aggiuntivo
rispetto al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’individuo in
quanto tale.
Nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente, infatti, la
tematica dei rapporti tra lo Stato ed il cittadino, nonché i problemi
posti sul tappeto dal pluralismo istituzionale e sociale prefigurato dalla
Carta Costituzionale, sono stati affrontati, facendo uso di altre chiavi
interpretative: la dialettica autorità-libertà, il ruolo delle “comunità
intermedie”, la tensione tra principio autonomistico e principio
unitario (art.5 Cost.).
Ci si può chiedere se uno dei motivi dell’attuale successo del
principio di sussidiarietà non nasca proprio dalla sua ambiguità.
Corrisponde infatti ad un periodo in cui le categorie troppo
formali del diritto non riescono a rendere conto della complessità della
realtà, né soprattutto, a rispondere alla necessità di conciliare le
aspirazioni contraddittorie degli attori sociali. Dopo un periodo
45
fortemente segnato dall’economismo e dalla ricerca di grandi insiemi,
è succeduta una fase più incerta in cui si manifestano forti bisogni di
identità e simultaneamente di diversità.
La situazione attuale dell’Europa è esemplificativa di tali
aspirazioni contraddittorie: le aspirazioni di adesione all’Unione
Europea coesistono con un’onda crescente di particolarismo.
Lo stesso fenomeno si manifesta sul piano interno: ognuno
aspira a sfuggire all’uniformità quando la crisi economica evidenzia
limiti dei grandi sistemi, in particolare quelli di redistribuzione, messi
in piedi dopo la seconda guerra mondiale, e fa sorgere il bisogno di
prossimità sociale, istituzionale e familiare.
Sono un esempio di questa tendenza i numerosi passi in avanti
che nel corso degli ultimi anni ha percorso nel nostro ordinamento la
sussidiarietà nella sua dimensione orizzontale in via di prassi pur in
assenza di una sua formulazione giuridica precisa come principio.
È espressione di tale principio nel settore della formazione
professionale l’esperienza della rete del Consorzio Scuola Lavoro: il
CSL è infatti un ente di formazione, operante oggi in 15 regioni
italiane, voluto e realizzato da imprenditori e professionisti che hanno
inteso realizzare uno strumento di risposta efficace all’esigenza di
formazione espressa dalle aziende e dal mercato.
La peculiarità del CSL e l’efficacia degli interventi che
promuove, stanno nella modalità del bottom up con cui è nato. La
progettazione degli interventi è in stretta connessione con la realtà
46
produttiva e con l’ esigenza di risorse professionali: un esempio
significativo in questo settore del principio di sussidiarietà è costituito
dalla legge della regione Lombardia n.35 del 96. Con tale
provvedimento si interviene in campo economico e nell’attività delle
Imprese piccole e medie, ma solo per supportarle in quegli ambiti e su
quelle materie in cui per esse è difficile, se non impossibile realizzare
autonomamente i propri obiettivi. Si abbandona la logica dei
“contributi a pioggia”, che alla lunga finiscono per determinare un
rapporto di tipo assistenzialistico tra ente pubblico e sistema delle
imprese.
In particolare quattro sono le aree di intervento individuate dalla
legge regionale: la ricerca e l’innovazione, l’internazionalizzazione, le
infrastrutture e l’accesso al credito. Per quanto riguarda la ricerca si
tratta di un’attività che richiede notevoli investimenti, e che dà i suoi
frutti nel medio e lungo termine. E’ evidente che per una piccola e
media impresa è difficile sostenere da sola gli oneri di tale attività. Va
considerata, però, l’utilità sociale dell’innovazione, frutto della
ricerca.
L’internazionalizzazione è un altro settore che dimostra l’utilità
e la necessità del supporto dell’ente pubblico a favore delle piccole e
medie imprese. Appare chiaro, infatti, quante difficoltà incontrino
queste aziende muovendosi in mercati diversi dal proprio: lingue, usi
commerciali, regole contrattuali.
47
Sulle infrastrutture sia di tipo tradizionale (viabilità e trasporti)
che di stampo innovativo come le reti telematiche è evidente
l’importanza dell’intervento pubblico.
L’ultimo tema sul quale la legge n.35 interviene è quello
dell’accesso al credito. In Italia, così come in molti altri Paesi, il
sistema bancario, tranne rare eccezioni, si è dimostrato poco attento
alle realtà delle piccole e medie imprese, penalizzate da una posizione
di svantaggio dovuta alle loro dimensioni.
L’intervento pubblico in questo caso mira, da un lato, proprio a
ristabilire un rapporto di parità tra forze in campo, dall’altro attraverso
il contributo finanziario, ad abbassare il costo degli investimenti
agevolando l’accesso al credito.
Nonostante siano ormai numerose le manifestazioni e le
applicazioni pratiche della sussidiarietà, manca nel nostro
ordinamento una formulazione chiara e precisa come principio
giuridico.
Forse è proprio la natura stessa ed il significato specifico del
principio diretto alla promozione ed all’ apertura verso le formazioni
sociali che ne influenzano la implementazione.
L’ “ingresso” nell’ordinamento infatti si origina dal basso, cioè
su impulso e per iniziativa proprio delle autonomie sociali ed
organismi territoriali, per poi essere recepita al livello istituzionale
statale o costituzionale.
48
Basti pensare a dimostrazione di questo processo all’importante
ruolo rivestito da queste presso la Commissione Bicamerale per le
riforme istituzionali in funzione di stimolo del dibattito sulla
sussidiarietà nell’articolo 56 del progetto di Costituzione.
Una prima versione dell’articolo prevedeva che: “Le funzioni
che non possono più essere adeguatamente svolte dall’autonomia dei
privati sono ripartite tra le comunità locali, organizzate in Comuni,
Province, Regioni e Stato, in base al principio di sussidiarietà e di
differenziazione, nel rispetto delle autonomie funzionali riconosciute
dalla legge.
La titolarità delle funzioni spetta agli enti più vicini agli
interessi dei cittadini secondo il criterio di omogeneità ed adeguatezza
delle funzioni organizzative rispetto alle medesime”.
L’introduzione del principio di sussidiarietà nel nostro
ordinamento nazionale, comunque, pone il problema di un controllo
formale ed adeguato sulla sua applicazione. Che il concetto di
sussidiarietà sia vago e non possa da solo portare a conseguenze
giuridiche è evidente.
Malgrado queste imperfezioni l’art.118 della Costituzione, così
come novellato dalla consultazione referendaria del 7 ottobre 2001
sembra fornire un’importante apertura del nostro ordinamento verso il
riconoscimento di questo istituto come principio giuridico.
L’introduzione di questo principio a livello costituzionale sarebbe
avvenuto secondo la dimensione verticale ed orizzontale. Sotto il
49
primo profilo si opera una diversa allocazione delle funzioni
amministrative partendo non più dall’alto, ma dal basso; spettanza in
primo luogo ai comuni “ salvo che per assicurarne l’esercizio unitario,
siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni, Stato…” al
fine di realizzare la vicinanza ai cittadini.
Sotto il secondo profilo si introduce l’impegno dello Stato e
degli enti territoriali a favorire l’ingresso delle autonomie sociali, dei
corpi intermedi nell’esercizio di funzioni di interesse generale;
promuove le sinergie tra pubblico e privato in funzione di
avvicinamento del cittadino all’amministrazione, non tanto al fine di
salvaguardare gli spazi di libertà privata, ma piuttosto in funzione di
costituzione di un nuovo modello di amministrazione, che tenga non
più solo conto delle autonomie territoriali, ma anche di quelle
funzionali e sociali.
Siamo veramente sicuri che anche altre creazioni della
giurisprudenza costituzionale fossero così chiare prima di venir
esplicitate dalla giurisprudenza?
L’opportunità di un’introduzione del principio di sussidiarietà
nel nostro ordinamento giuridico deve essere valutata alla luce di
un’evoluzione del diritto che perde le sue caratteristiche di norma
generale, immutevole ed impersonale per adeguarsi all’evoluzione di
una società complessa e talvolta imprevedibile; si tratta di
un’evoluzione, in cui, dopo gli altri di certo, ma in maniera decisa,
l’Italia è, anche lei, entrata: quella di norme che sono in maniera
50
consistente il prodotto di creazioni giurisprudenziali o che comunque
sono da esse influenzate.
Un secondo ordine di considerazioni ci spinge a favore
dell’introduzione del principio di sussidiarietà nel nostro ordinamento.
Tale ordine si evidenzia dall’evoluzione stessa dei metodi delle Corti
Costituzionali quando sono chiamate a sindacare le leggi votate dal
Parlamento.
Il criterio di proporzionalità, ad esempio, è un criterio ormai
comune di valutazione. I pregi derivanti dall’applicazione di questa
categoria dinamica si possono rintracciare a più livelli. Le
considerazioni sviluppate sulla sussidiarietà sembrano suscettibili di
influenzare l’avvenire del decentramento e del federalismo attraverso
più direttrici. Introducendo in primo luogo punti di riferimento e
metodi nuovi di ripartizione delle competenze tra Stato e collettività
territoriali.
Ci si allontana, infatti, da un’eccessiva considerazione per i
criteri di redditività, in termini solo economici o finanziari, che hanno
prevalso fino a questo momento sulla ripartizione delle competenze
(come nella teoria economica del federalismo).
Più che opporsi all’idea di efficacia porta a prendere in
considerazione criteri diversi dai soliti. Permette di temperare
l’importanza di aspetti finanziari ed economici attraverso l’analisi di
elementi umani e di benessere.
51
La sussidiarietà apporta una filosofia suscettibile di influenzare
non solo i rapporti tra le istituzioni, ma soprattutto i rapporti tra queste
e la società: lo Stato non può intervenire se non nella misura in cui
l’autorità inferiore ha mostrato la propria incapacità. Il principio di
proporzionalità trova qui una sua immediata applicazione (l’intervento
sarà legittimo nella misura in cui sarà necessario).
Il principio è quindi di limitazione del potere senza avere un
carattere normativo, indica una tendenza.
L’applicazione pratica del principio di sussidiarietà induce
un’altra importante riflessione: può risultare infatti più vantaggioso, in
termini soprattutto economici per una organizzazione aiutare una delle
sue componenti ad esercitare le proprie competenze che toglierle per
esercitarle in proprio.
Pone quindi sotto una nuova luce la questione dei trasferimenti
finanziari, che non dovrebbero essere considerati come modalità di
assistenza ma come incentivi a fare ed intraprendere.
Più che ad un intervento nel senso classico del termine tipico
dello stato provvidenza, fa riferimento ad una forma di assistenza che
incoraggia ed autorizza l’autonomia.
Si tratta, per riprendere il testo della Rerum Novarum “di
aiutare i membri del corpo sociale e non di distruggerli od assorbirli”.
A livello delle competenze il principio piuttosto che mantenere
sistemi rigidi nei quali lo Stato interviene molto (si pensi al caso degli
aiuti per gli alloggi sociali i cui costi di ripartizione burocratica sono
52
enormi in tempo e pertanto in denaro) spinge a trasferire alle autorità
decentralizzate i mezzi finora stanziati dallo Stato e scommettere sulla
dinamica che potrà essere messa in piedi a livello locale.
A livello finanziario, il concetto di sussidiarietà milita a favore
di una larga delega di risorse implicando simultaneamente una
equalizzazione dei mezzi a disposizione per l’esercizio della libertà
consentita.
La sussidiarietà porta quindi con sé l’idea di solidarietà positiva
che consiste nel rendere possibile la decentralizzazione qualunque sia
l’ammontare delle risorse disponibili.
Nella dimensione propriamente orizzontale l’implementazione
del principio è alla base dell’attività dei fenomeni di associazionismo.
Lo Stato non si ritira dai propri compiti di fissazione di standard
qualitativi delle regole di accesso dei cittadini alle varie tipologie di
servizi sociali, delle modalità di finanziamento degli stessi, dei criteri
di controllo.
Si tratta piuttosto di affermare che l’assolvimento di tali
funzioni non comporta una gestione diretta da parte dello Stato.
Esiste un trade-off tra gestione e regolazione: quanto più lo
Stato gestisce, tanto meno riesce a regolare ed a farsi promotore di
tutte quelle forme di azione collettiva che hanno effetti pubblici.
La sussidiarietà si presenta dunque come un concetto nuovo le
cui potenzialità non sono ancora state esplorate tutte.
53
Tutte le norme che nel nostro ordinamento richiamano il
principio di sussidiarietà sono accomunate da un elemento: esse
valorizzano soltanto l’aspetto positivo del principio, che afferma la
necessità di un intervento dei soggetti pubblici a sostegno e
promozione dell’attività dei privati e fanno riferimento sempre a tale
principio contestualmente all’attribuzione agli enti pubblici di
competenze e di funzioni; manca l’affermazione del valore negativo di
necessaria astensione del potere pubblico dal porre in essere le attività
che devono essere lasciate alla sfera dei soggetti privati, né prevede
alcun meccanismo che consenta di considerare l’intervento pubblico
come eccezionale o residuale.
Si può quindi confermare nel nostro ordinamento la presenza di
un paradosso: le disposizioni normative che richiamano il principio di
sussidiarietà sono ispirate all’esigenza di stabilire una limitazione
dell’intervento pubblico a favore delle organizzazioni sociali anche se
il testo che richiama espressamente tale principio prevede sempre una
attribuzione di competenze ai soggetti pubblici indicando
un’attribuzione in positivo di competenze ai soggetti pubblici con una
indicazione precisa del modo concreto di esercitarle.
54
2.4 La bilateralità
I processi d’internazionalizzazione e cambiamento tecnologico
hanno modificato ormai le strategie di gestione delle imprese, le
organizzazioni oggi devono essere capaci di adattarsi flessibilmente
alle turbolenze che vengono dall’ambiente esterno.
Per rispondere a questa sfida tutte le imprese, anche quelle
legate a settori considerati più arretrati, hanno scoperto oggi la
centralità delle persone, le quali attraverso processi di apprendimento
continuo divengono protagonisti delle sorti dell’impresa.
La partecipazione che viene così a nascere da questa micro-
concertazione su base aziendale, ha come obiettivo centrale la
mobilitazione motivazionale e sembra saldarsi con la logica
contrattuale dello scambio, che vede i lavoratori disponibili ad
assumere rischi e responsabilità in cambio di maggior potere
decisionale, tramite i propri rappresentanti, sull’impresa.
L’avvio degli esperimenti partecipativi ha determinato un forte
impegno imprenditoriale in questa direzione e rappresenta un dato
importante poiché inverte una tendenza storica che aveva visto le
rappresentanze dei lavoratori rivendicare maggiore partecipazione e
democrazia industriale.
Ciò che colpisce è così il segno aziendalista della svolta,
ricercata per aumentare il senso di appartenenza ed accrescere la
55
produttività. Si pensi alla partecipazione economica, alla
comunicazione diretta con i dipendenti, alla scoperta dei gruppi
informali e dei circoli di qualità. In questa ottica la partecipazione
ottenuta mediante le pratiche di micro-concertazione tende a
coincidere con il coinvolgimento. L’introduzione nell’azienda di
soggetti e procedimenti diversi dalla negoziazione collettiva sembra
però porre sul piano concettuale nuove tensioni.
Partecipazione e contrattazione vanno invece considerate
complementari: la contrattazione diviene più puntuale e specializzata
mentre la partecipazione configura un processo continuo di scambi.
Questa partecipazione ottenuta mediante pratiche di micro-
concertazione prevede luoghi stabili di confronto mentre la
contrattazione è congiunturale e contingente, fondata sulla distinzione
di interessi e sulla reciproca libertà di’azione tra le parti.
Partecipazione e contrattazione sono spesso esistite l’una accanto
all’altra nella maggior parte dei paesi europei, combinando elementi di
cooperazione e conflitto; oggi si ha una riduzione dello scarto che
separa la contrattazione dalla partecipazione, nel senso di una
procedimentalizzazione della prima che trova il suo naturale
compimento in una serie di istituti partecipativi da essa previsti42.
La richiesta di istituire organismi bilaterali nasce proprio da qui.
A livello aziendale tali commissioni rappresentano i luoghi e gli
strumenti attraverso i quali si attivano i processi di concertazione e
42 G. Baglioni, “democrazia impossibile?”, op.cit.
56
cooperazione e si sviluppano nuove capacità cognitive atte alla
risoluzione dei problemi.
Lo scopo è un confronto non drammatico tra le parti, fungendo
da organismi specializzati di supporto tecnico informativo. In una
logica di differenziazione funzionale, le commissioni paritetiche
affiancano i soggetti della contrattazione e la concertazione medesima,
perno delle relazioni sindacali di secondo livello.
La partecipazione in Italia è nata in via contrattuale con i diritti
di informazione, di questo processo evolutivo è figlio i protocollo IRI
del 198443, che con i suoi diritti d’informazione e consultazione e con
le sue commissioni miste paritetiche farà scuola per tutte le esperienze
future.
Alla fine degli anni ottanta anche molte aziende private hanno
introdotto organi partecipativo-consultivi, e si sono diffuse al loro
interno commissioni paritetiche miste con il compito di occuparsi di
molte materie ed aspetti della vita aziendale. Con il protocollo del
Luglio 1993 è stato inoltre introdotto un nuovo tassello: regole del
gioco stabili ed incentivi alla cooperazione tra le parti che hanno
consolidato la partecipazione.
La fase post-protocollo segnala la volontà di dare un nuovo
impulso agli organismi bilaterali ridefinendo le loro competenze ed
allargandone l’ambito operativo.
43 È ancora importante rimarcare come il sistema delle Casse Edili sia un’esperienza di avanguardia nata più da esigenze strutturali che contingenti.
57
Anche il legislatore riconosce agli organismi paritetici costituiti
a possibilità di stipulare con Regioni e Provincie convenzioni per
l’analisi e l’approfondimento delle situazioni occupazionali locali. Il
protocollo del 1993, nel capitolo dedicato all’occupazione giovanile e
alla formazione professionale, chiamerà ripetutamente in causa gli enti
bilaterali, riconoscendogli poteri di indirizzo e verifica in materia di
formazione ed apprendistato44.
Volendo analizzare gli statuti di questi enti per la comprensione
del loro funzionamento possiamo isolare delle caratteristiche comuni a
tutti, individuabili nei seguenti punti:
1) la forma giuridica può variare da società a responsabilità
limitata ad associazione senza scopo di lucro.
2) gli enti bilaterali sono associazioni di associazioni: i soggetti
firmatari sono quelli confederali o federali per il movimento sindacale,
mentre può essere più articolato per la parte datoriale, composto sia da
organismi di rappresentanza confederale e federale quanto da singoli
soggetti.
3) gli organismi dirigenziali sono composti secondo il principio
della pariteticità, il Presidente è di norma delle associazioni datoriali
mentre il Vicepresidente è di nomina sindacale.
4) seppure la convocazione degli organi direttivi spetta al
Presidente, per deliberare vige la regola dell’unanimità, che ritroviamo
pure in alcuni comitati paritetici aziendali dotati di poteri deliberanti;
44 Questa è un’opportunità che nell’edilizia può essere di certo sfruttata, ma i problemi legati al lavoro nero pesano gravemente sulla riuscita di tale progetto.
58
questo è funzionale per salvaguardare il sostanziale apparato
consensuale di questi organismi.
5) il sistema di bilateralità è strutturalmente articolato a livello
regionale ed in qualche caso a livello provinciale45.
A tal riguardo l’enfasi con cui le nuove politiche attive del
lavoro assumono la dimensione della concertazione decentrata, come
nei patti d’area, sono il segno che più caratterizza l’attuale stagione
delle reazioni industriali. L’intento del legislatore e delle parti sociali
è infatti quello di affidare ad un sistema flessibile e vicino alle
specificità territoriali il governo e la gestione dei processi di
formazione e di mutualità, con conseguente attribuzione di autonomia
agli organi di governo regionali preposti all’espletamento di queste
materie.
Tutti gli atti costitutivi degli enti bilaterali nazionali prevedono
l’istituzione di loro articolazioni regionali con il compito di articolare
più efficacemente le funzioni assunte dagli organismi centrali, a cui
spettano invece funzioni d’impulso e di coordinamento.
Attualmente siamo di fronte a differenze regionali e settoriali
molto significative, che attestano l’eterogeneità delle esperienze nel
campo della bilateralità.
Quello delle imprese artigiane e dell’edilizia è il sistema in cui
esiste una tradizione di paternariato sociale affermata, composto da
una collaudata rete di enti dalle molteplici funzioni: da quelle storiche
45 Il sistema delle Casse Edili appartiene a questa seconda variante.
59
della mutualità e della previdenza sociale (le Casse Edili) sino ai
servizi erogati alle aziende e all’assistenza contrattuale.
Il finanziamento di questa rete territoriale è principalmente
alimentato da fondi finanziati dalle imprese ed in parte anche dai
dipendenti. Data la tradizione paternalistica, l’articolazione su due
livelli del sistema edile artigianale recepisce un modello organizzativo
ascendente in cui la struttura nazionale rappresenta l’ente esponenziale
di organismi regionali presenti e già attivi.
Nell’ambito del sistema edile industriale si può invece
constatare un impianto discendente con cui si è dato vita a un sistema
bilaterale di rapporti fra centro e periferia in cui l’ente centrale si è
rivelato decisivo per la nascita delle sue articolazioni regionali.
Il panorama italiano della bilateralità riflette piuttosto
fedelmente il grave divario economico e sociale del nostro paese. A
fronte delle regioni settentrionali, in cui si sono determinati modelli
partecipativi più polarizzati per la presenza di un tessuto
imprenditoriale omogeneo, radicato e forte, si contrappongono le
regioni meridionali, ove la mancanza di un sistema industriale
omogeneo, diffuso e sostenuto dalla legalità ed il carattere marginale
della contrattazione decentrata, hanno reso il contesto ambientale poco
favorevole alle creazioni di relazioni industriali avanzate.
Le attività intraprese sono molteplici e vanno dall’attivazione i
corsi di formazione alla sicurezza sul lavoro, fino ad arrivare alla
mutualità e all’assistenza sanitaria complementare. I motivi che
60
possono spiegare la nascita ed il consolidamento di queste esperienze
sono fondamentalmente tre:
1) l’importanza della storia delle relazioni industriali locali. Si nota da
un lato che una spinta alla nascita di queste esperienze è individuabile
nella presenza di buone relazioni sindacali che facilitino la costruzione
di strumenti partecipativi permanenti; dall’altro il funzionamento
organizzativo concreto risente delle caratteristiche dei soggetti
sindacali ed imprenditoriali nelle diverse realtà.
2) Il carattere discendente ovverosia la firma di accordi nazionali che
prevedono la costituzione di enti bilaterali ha indotto alcune regioni ad
adeguare la propria azione rispetto a quella nazionale.
3) Hanno giocato un ruolo determinante l’assenza/presenza di
leadership locali in grado di trascinare le macchine organizzative delle
diverse parti sociali su un terreno con scarso diritto di cittadinanza.
Anche rispetto al funzionamento e all’operatività quotidiana di
questi enti non si ha una precisa identificazione dell’obiettivo
fondamentale. Si trovano quindi realtà che non solo forniscono servizi
diversi ma che percepiscono il loro lavoro in modo differente.
Un ulteriore elemento di differenziazione si riscontra nella
definizione della natura di questi enti. Si possono individuare una
pluralità di funzioni esercitate da questi:
- la funzione di promozione e di coordinamento dei servizi e dei
sistemi di formazione. Questi organismi bilaterali svolgono attività
61
tese ad allargare l’usufrutto di certi beni e renderli accessibili al
maggior numero di soggetti.
- la funzione di gestione diretta di servizi nell’accezione di enti che
concretamente erogano servizi al cliente finale.
- la funzione di pressione nei confronti delle amministrazioni locali
nel momento in cui si deve decidere l’allocazione delle risorse
finanziarie.
- la funzione certificatoria rispetto alla qualità di certi tipi di servizi
o alla possibilità di certi enti di operare su particolari mercati.
In secondo luogo questi enti erogano una pluralità di servizi,
siamo quindi in presenza di una realtà organizzativa pluri-prodotto46.
Si può distinguere fra servizi mutualistico-integrativi e servizi relativi
alla formazione e al mercato del lavoro.
I primi si rendono evidenti attraverso interventi di sostegno al
reddito dei lavoratori e di sostegno all’innovazione tecnologica e
organizzativa delle imprese. L’estensione della tutela a casi di
interruzione del lavoro supplisce al mancato allargamento della
normativa della cassa integrazione guadagni alle imprese minori.
46 Questo è il caso delle Casse Edili che rispondono ad una serie di domande molto differenziata: si va dalla funzione certificatoria a quella di pressione per gli enti pubblici, per arrivare infine all’espletamento dei servizi essenziali.
62
Questi servizi sono tentativi di intervenire a livello locale sulla
crisi dello stato centrale. I secondi, quelli formativi si presentano come
un tentativo di fornire dei servizi reali alle imprese ed ai lavoratori47.
Una ulteriore ragione per spiegare l’incertezza di ruolo di questi
organismi va ricercata nella particolare forma partecipativa che in essi
si può individuare; sembrano emergere due modi diversi di concepire
queste organizzazioni: c’è chi ritiene che esse debbano essere luoghi
di sperimentazione e quindi più che ai contenuti bisogna coglierne il
processo o il metodo caratterizzante l’esperienza stessa; c’è chi
sottolinea l’aspetto produttivo di queste organizzazioni e le ritiene
strumenti più idonei ad erogare efficacemente servizi alle imprese ed
ai lavoratori.
Questi enti rappresentano una particolare forma di
partecipazione, all’interno delle classificazioni concettualizzate da G.
Baglioni48: ci troviamo in presenza di una forma di cogestione interna
ad un processo di concertazione collaborativa.
La forma cogestita è rinvenibile nella pariteticità dei
componenti degli enti e nel loro coinvolgimento nelle scelte
strategiche dell’organizzazione. Sembra così utile delineare uno
schema descrittivo per distinguere i punti di forza e di debolezza di
queste realtà.
Tra i punti di forza figurano:
47 Va fatto notare che in alcuni casi come nel settore edile, la forma più adatta e la più efficiente è quella di far coabitare la gestione de mercato del lavoro all’interno degli enti mutualistici, poiché essi già possiedono una ingente ed indispensabile mole di dati rispetto il mercato del lavoro locale. 48 G. Baglioni, “Democrazia impossibile?” op. cit.
63
- la tradizione organizzativo/partecipativa locale che certamente è un
fattore di aiuto alla nascita ad al consolidamento di queste esperienze.
- La capacità di erogare e promuovere effettivamente servizi
significativi per quei determinati contesti territoriali che rispondono a
bisogni di primaria necessità.
- La pariteticità nella composizione è un elemento di vantaggio
rispetto ad altre strutture e garantisce una maggiore probabilità di
ottenere consenso e coesione sociale.
- La capacità di passare da una logica organizzativa basata sulla
relazione centro/periferia ad una logica organizzativa di rete.
Tra i punti di debolezza troviamo invece:
- La difficoltà di identificare una propria mission e di attivare
processi per operativizzarla con conseguenze negative in termini di
dispendio di risorse.
- La presenza di una certa distanza fra internazionalità ideologiche e
la preparazione professionale della leadership degli enti che genera
una tendenza all’autoreferenzialità e non permette di intervenire con
efficacia sui processi di mutamento culturale che devono
caratterizzare il comportamento dei lavoratori e delle imprese sulle
tematiche partecipative.
- La difficoltà di fare chiare scelte tra la bilateralità e la trilateralità.
64
Ci sono infine dei tratti che possono rappresentare dei punti di forza o
di debolezza a seconda di come si caratterizzano nei diversi contesti
locali in termini di vincoli e di opportunità:
- l’atteggiamento più volontaristico che professionale
nell’individuazione dei meccanismi operativi idonei a gestire le risorse
umane e finanziarie.
Una prima grande differenza sul piano delle qualità disponibili e
sul piano delle disponibilità finanziarie è ravvisabile fra gli enti
promossi dal settore dell’artigianato, del turismo ed altri.
L’informalità con la quale questi enti sono nati non ha facilitato
l’individuazione di ruoli definiti. Interessante osservare come questi
organismi utilizzino, non sol risorse umane proprie ma anche il
personale presente nelle associazioni costitutive, con i problemi di
autonomia e d’identità dell’organizzazione che tale prassi può
comportare nei processi decisionali. Questo fattore viene normalmente
considerato un meccanismo operativo in grado di dare più o meno
fluidità ai flussi organizzativi. Esso rappresenta effettivamente un
elemento significativo del sistema gestionale, ma frequentemente ha
anche più importanti significati.
Consente infatti ad i lavoratori ed alle aziende, associati e
rappresentati in questi enti, un forte vincolo identitario ed un grande
senso di gruppo ed appartenenza; ma d’altro canto crea dei
65
meccanismi di stallo in situazioni conflittualmente determinatesi,
difficilmente componibili, le quali possono, protraendosi nel tempo,
creare disfunzionalità nella corretta gestione dell’ente.
66
3 Le Casse Edili
3.1 La storia
Dopo l’unificazione, la fine dell’ottocento non fu per l’Italia un
periodo di grande sviluppo. Le preoccupazioni centrali furono il
potenziamento dell’esercito e la salvaguardia dei confini territoriali,
nonché l’unificazione amministrativa. Alle questioni sociali non venne
prestata la minima attenzione e le istanze provenienti dalla società
civile, non ancora omogeneizzatasi, non vennero recepite dai governi
in essere.
In particolare nell’edilizia centrali erano state le tematiche
riguardanti gli infortuni, la disoccupazione dovuta alla strutturale
stagionalità, e il lavoro usurante; lo Stato, per tradizione e vocazione
liberale, non volle in alcuna maniera regolamentare alcuna di queste
tematiche, lasciandole a se stesse e ad i rapporti di forza determinati
dal mercato edile. L’unica legislazione esistente era quella ereditata
dallo Stato piemontese, riguardante la libertà di associazione.
Fu così che, dapprima sotto l’influenza delle idee democratiche
e mazziniane, poi con il diffondersi delle idee socialiste ed
67
anarchiche49, vennero a crearsi una moltitudine di piccole
organizzazioni per la tutela degli operai, affidate alla libera iniziativa.
Queste organizzazioni, spesso a carattere provinciale, assolvevano, in
base al principio di sussidiarietà50, ad alcune funzioni di assistenza per
i lavoratori. Tali associazioni erano inizialmente di tipo filantropico, si
rifacevano agli ideali ed ai principi delle corporazioni ed erano gestite
da alcuni illuminati datori di lavoro. Erano soprattutto associazioni di
tipo caritativo ed assolvevano alle esigenze più immediate quali
infortuni o morti funeste.
A partire dal 1871, dopo la disfatta della Comune di Parigi, si
diffusero in Italia il pensiero socialista dell’internazionale e le idee
anarchiche di Michail Bakunin. Sorsero allora molte associazioni
operaie che si trasformarono da associazioni di mestiere in vere e
proprie palestre per la lotta di classe e per l’emancipazione del
proletariato. Il verificarsi dei primi scioperi favorì e facilitò la
diffusione delle idee socialiste e nel giro di pochi anni, dal 1862 al
1894, le società di mutuo soccorso divennero ben 6.700, facilitate
dalla legge regia del 1886 che le riconosceva come soggetti giuridici.
La grande maggioranza erano leghe di resistenza e società di
miglioramento che aggiungevano ai fini prettamente mutualistici
nuove istanze di rivendicazione sindacale quali aumenti salariali e
riduzioni dell’orario di lavoro, sussidi e mutua istruzione.
49 Erano molto diffuse in Italia soprattutto le esperienze di R.Owen e della sua comune industriale, e le idee di P.J Proudhon riguardanti il federalismo e l’autogoverno delle falangi. 50 Principio in base al quale dove non arriva lo Stato deve arrivare la libera associazione dei cittadini.
68
Nonostante le leggi antioperaie del governo Crispi, queste
associazioni continuarono a proliferare ed espandersi fino alla prima
guerra mondiale, creando un bagaglio di esperienze ed iniziative che
torneranno poi utili alle associazioni mutualistiche rifondate nel
dopoguerra, tra le quali la prima Cassa Edile.
La parentesi creata dalla prima guerra mondiale aveva infatti
determinato una forte crisi occupazionale che nel settore edile si fece
più gravosa a causa delle sue peculiarità: mancanza di impianti fissi,
alta stagionalità dei lavori, alta mobilità delle imprese e della
manodopera, forte dipendenza dalle condizioni atmosferiche. Venne
così avvertita l’esigenza di una assistenza autonoma e sussidiaria a
quella statale.
La prima Cassa Edile fu “La Cassa per i sussidi di
disoccupazione involontaria per gli operai edili” istituita a Milano il 1°
Aprile 1919 dal primo contratto di categoria.
Era un organismo gestito e finanziato pariteticamente dalle due
associazioni di categoria (datori e prestatori di lavoro)51. Centrale in
questo contratto tipo divenne infatti il problema delle assistenze
sociali (disoccupazione e malattia). La Cassa Edile di Milano si
occupò inizialmente di queste due problematiche: disoccupazione
involontaria e sussidi di malattia; venne inoltre stabilita la misura del
contributo alla Cassa al 2% di trattenuta sulla busta paga degli operai e
per la prima volta l’onere contributivo venne esteso anche alla parte
51 Precisamente tra il “Collegio dei Capi Mastri” e “L’Associazione Mutua Miglioramenti fra Muratori, Badilanti, Manovali e Garzoni”
69
imprenditoriale tramite una quota dello 0.70% delle retribuzioni
erogate.
Non è difficile scorgere già da ora la coesistenza di due
esperienze nella vita della Cassa: quella delle vecchie società di mutuo
soccorso e quella delle società di miglioramento socialiste. La Cassa
Edile, pur ispirandosi al principio della mutualità per cui vengono
conferite risorse individuali per far fronte a bisogni comuni, ha però
come fine non più la generica assistenza alla categoria ma il
concorrere a sanare le evidenti diversità di trattamento causate dalle
peculiarità produttive del settore.
Fino al 1923 la Cassa Edile di Milano ebbe la duplice veste di
gestore dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria52 e
dei sussidi di malattia.
A partire dal 1923 il governo fascista privò la Cassa Edile della
gestione dell’assicurazione contro la disoccupazione, ma rafforzò il
suo peso riguardo la sfera della mutualità per le malattie, estendendo
l’assistenza anche ai famigliari degli operai. La Cassa Edile di Milano
non fu mai messa in discussione dal regime fascista poiché la natura
corporativistica di questo organo non era affatto incompatibile con i
disegni del regime. Nel 1935, con la creazione della Federazione
Nazionale delle Casse mutue di malattia, vennero riorganizzate
centralisticamente e burocraticamente anche le prestazioni per malattia
che nel 1943 verranno in blocco affidate all’INAM.
70
Solo nel 1945, con la caduta del fascismo, la Cassa Edile di
Milano riacquistò i sui compiti originari, a cui si aggiunsero alcune
assistenze collaterali e l’amministrazione dei contributi versati per le
Scuole Edili.
Venne inoltre affidato alla Cassa Edile l’accantonamento53
presso di essa del salario differito (ferie, festività e gratifica natalizia).
Data la forte mobilità e instabilità dei rapporti di lavoro nel
settore, la Cassa Edile fu considerato il mezzo più adeguato per
integrare le esigenze dei lavoratori del settore con gli istituti
contrattuali e legislazione previdenziale corrente, modellata invece
sulle caratteristiche dell’industria ad impianti fissi. Sin dall’inizio il
sindacato cercò una gestione paritetica di questi enti, per far si che il
livello di tutela garantito non subisse l’andamento, troppo variabile sul
territorio, dei rapporti di forza tra sindacati ed imprenditori.
Nel contratto nazionale del 1950 vennero menzionate per la
prima volta le Casse Edili (articolo 29) e fu stabilita la loro
pariteticità, rimandando la loro costituzione alla contrattazione
provinciale. La pariteticità non era però effettiva in quanto il
Presidente della Cassa, di emanazione imprenditoriale, godeva del
diritto di doppio voto in caso di situazioni di stallo54.
52 Il decreto luopotenenziale del 1919, che introduceva la concessione di sussidi per la disoccupazione involontaria a favore di operai e braccianti, escludeva dal beneficio la disoccupazione stagionale, impedendo così ai lavoratori edili, stagionali per eccellenza, di godere dei suoi benefici. 53 Il C.C.N.L. del ’46 stabilì all’art.29 che questi pagamenti gravassero a carico esclusivo del datore di lavoro e che venissero versati in un apposito conto intestato all’operaio presso una banca o corrisposto dalla ditta in busta paga. 54 In caso di impedimento il Presidente non veniva sostituito dal Vicepresedente come logico, ma da un altro rappresentante degli imprenditori; Vicepresidente e amministratore delegato avevano invece poteri molto ristretti.
71
Oltre il problema della pariteticità, si poneva anche un problema
di rappresentanza delle associazioni sindacali che si erano divise nel
1948. La proposta della rappresentanza per proporzionalità, secondo il
voto espresso sul territorio dai lavoratori, non trovò d’accordo le
associazioni sindacali con meno iscritti (CISL e UIL), che invece
propendevano per un metodo a designazione.
Il conflitto fu sanato con l’accettazione del principio elettivo
ricorrendo momentaneamente a quello per designazione così da
favorire la nascita in tempi brevi delle Casse, e da transitorio il
metodo per designazione fu poi istituzionalizzato e reso permanente,
favorendo una politica di rivendicazione unitaria.
Le modalità di finanziamento furono affidate dal contratto
nazionale del 1959 alle associazioni territoriali, che stabilivano la
misura del contributo paritetico entro i valori definiti al livello
nazionale. Il crescere del numero delle Casse Edili e l’estendersi della
loro copertura territoriale55 fu un forte incentivo per aumentare e
modificare la natura delle prestazioni da loro svolte. Il contratto
nazionale del 1966 indicò per primo i compiti di questi enti e pose il
finanziamento dei trattamenti per malattia, disoccupazione ed
infortunio a carico dei datori di lavoro, lasciando misure, durata e date
di decorrenza alla contrattazione provinciale.
55 L’estendersi della copertura territoriale delle Casse Edili era dovuto soprattutto alla previsione di una loro estensione erga omnes mediante la legge n° 741/59 che garantiva un minimo dei trattamenti economici e normativi ai lavoratori dipendenti. La corte costituzionale ha però stabilito l’incostituzionalità dell’estensione alle casse edili con la sentenza n° 129/63
72
Con l’accordo del 5 Aprile 1968 si introdusse la regola, recepita
poi dal contratto nazionale del 1969, della doppia firma di Presidente e
Vicepresidente su ogni atto di natura economica, così da garantire la
pariteticità sostanziale e non solo formale nella gestione di questi enti.
Il contratto di svolta fu quello del 1976, che riconobbe alle
Casse il ruolo di attuatori delle norme del contratto nazionale, per cui
le prestazioni erogate non sarebbero potute entrare in contrasto con gli
accordi nazionali; venne inoltre garantita l’uniformità delle prestazioni
erogate dalle varie Casse Edili grazie alla proposta riguardante la
costituzione di un organismo paritetico nazionale, che nel contratto
nazionale del 1983 assunse il nome di Commissione Nazionale delle
Casse Edili (CNCE). Il compito di tale ente sarebbe stato quello di
garantire, coordinare e sorvegliare l’uniformità statutaria, la continuità
delle prestazioni erogate e l’uniformità e la trasparenza nella gestione
del patrimonio delle Casse.
Nel contratto nazionale del 1987 le parti sociali potenziarono
l’attività della C.N.C.E decretando le soluzioni interpretative di
quest’ultima vincolanti per le singole Casse.
Il contratto nazionale del 1991 ha previsto inoltre uno schema
unico di bilancio comprensivo della situazione patrimoniale e del
conto economico, corredato dalle schede statistiche approvate dalla
C.N.C.E.
73
Nell’accordo del 5 Luglio 1995 viene inoltre affidato alla
C.N.C.E. la definizione di uno schema nazionale di statuto tipo
anch’esso vincolante per le singole realtà territoriali.
Il ruolo di questo istituto paritetico ha subito continue e sempre
più vincolanti attribuzioni di responsabilità e di funzioni, nonché di
esercizio della rappresentanza del sistema al livello nazionale, e con la
totale certezza molte altre modifiche subirà la sua opera di raccordo ed
uniformità in quanto le funzioni affidate al sistema delle Casse Edili
dalla contrattazione nazionale ed anche dai prossimi e recenti sviluppi
della legislazione nazionale e regionale, prevedono compiti sempre
più complessi e specifici, sovente necessitanti di una modalità
interpretativa ed applicativa univoca.
Contemporaneamente la forma organizzativa e gestionale delle
Casse Edili si estese anche alla contrattazione con altre associazioni
imprenditoriali, in particolare quelle artigiane, che hanno costituito su
buona parte del territorio delle Casse Edili autonome: le Casse Edili
Artigiane e le Edilcasse.
74
3.2 Il presente
Dopo questo breve e funzionale excursus storico, analizziamo
ora struttura e funzioni del sistema delle Casse Edili, alla luce del quadro
teorico prima delineato.
Nel mostrare cosa sono oggi le Casse Edili, le varie Edilcasse e
Casse Artigiane, occorre per correttezza teorica, chiarire come questi
enti, nati per fini filantropici e mutualistici, oggi siano divenuti in realtà
luoghi di incontro permanente, tavoli concertativi sempre in essere.
Dalla loro nascita ad oggi hanno da sempre eseguito in maniera
puntuale e rigorosa quanto ad esse demandato dalla contrattazione
nazionale e territoriale, prefigurandosi come perfetti organi di
concertazione delle politiche di settore, fino a lambire la cogestione nelle
scelte industriali nell’edilizia; questo aspetto sarà tra breve trattato
attraverso l’analisi del presente e soprattutto del futuro che attende il
sistema delle Casse Edili.
In più, oltre ad essere investite di compiti e contenuti dalla
contrattazione nazionale, hanno a loro volta nutrito, mediante la
sperimentazione di volta in volta avutasi a livello locale, la
contrattazione di primo livello, creando istituti contrattuali nuovi e
complementari.
Il sistema delle Casse Edili svolge inoltre un ruolo non
solamente economico e di attuazione contrattuale, ma gioca un
75
importante partita nel campo sociale, prefigurandosi le Casse Edili come
enti sussidiari, per lo Stato a costo zero, a solo finanziamento delle parti
sociali, con finalità di inclusione sociale e di riduzione e livellamento
delle discriminazioni.
Tale opera di inclusione sociale avviene mediante due aspetti
fondamentali: in primo luogo tramite l’elargizione meramente
economica di redditi differiti e dei redditi extracontrattuali, che
consentono a categorie di lavoratori storicamente svantaggiate nel
tessuto sociale (vuoi per il grado d’istruzione medio del settore, vuoi
anche per la provenienza spesso e volentieri di natura extracomunitaria)
di non subire discriminazioni e soprattutto una tutela nei casi di
indigenza (o decesso) del lavoratore stesso, di promozione del diritto allo
studio, della assistenza integrativa sanitaria.
In secondo luogo mediante la partecipazione decisionale
all’interno dell’ente mediante i propri rappresentanti, attraverso lo
sviluppo di una rete di corresponsabilità e di informazioni, anche i
lavoratori più isolati e le imprese più piccole sono direttamente coinvolti,
mediante gli organismi rappresentativi e la modalità della delega alla
rappresentanza, agli aspetti decisionali. Per quanto non sia una
partecipazione diretta rappresenta sempre un progresso sociale ed una
assunzione di responsabilità e conoscenze dei processi decisionali, resi
dalle organizzazioni di rappresentanza e dagli organismi di gestione
dell’ente trasparenti, controllabili e verificabili.
76
3.2.1 La struttura
La struttura gestionale delle Casse Edili si articola nei seguenti
organi: il Comitato di presidenza, il Comitato di gestione, il Consiglio
generale e il Collegio sindacale.56
Del Comitato di presidenza fanno parte il Presidente ed il
Vicepresidente, il primo designato dalle associazioni imprenditoriali,
il secondo designato dalle associazioni sindacali (in alcuni enti
paritetici quali Casse Edili Artigiane ed Edilcasse è prevista anche una
rotazione delle cariche). Al Comitato di presidenza spetta
sovrintendere all’applicazione dello statuto e dare esecuzione alle
deliberazioni del Comitato di gestione. Ogni atto riguardante il
prelievo e l’organizzazione dei fondi della Cassa richiede per le regole
della pariteticità la firma abbinata del Presidente e del Vicepresidente.
E’ però il Presidente la figura che rappresenta legalmente l’ente di
fronte a terzi e presiede il Comitato di gestione57.
Il Comitato di gestione provvede all’amministrazione e alla
gestione ordinaria dell’ente nonché alla stesura di un bilancio
preventivo ed uno consuntivo delle attività della Cassa Edile.
Anch’esso paritetico, è costituito di norma da dodici componenti.
Il Consiglio generale rappresenta l’assemblea dei soci, ovvero le
parti costituenti. E’ composto dal Comitato di gestione, cui si 56 La seguente struttura è tratta dagli statuti delle Casse Edili di Milano, Torino, Genova, Perugia, Roma ed Avellino. 57 Art. 11 dello statuto della Casse Edile di Torino e Roma.
77
aggiungono solitamente tre componenti nominati dalle associazioni
imprenditoriali territoriali ed altri tre nominati dalle associazioni
territoriali dei sindacati. Al Consiglio generale sono ammesse anche
altre associazioni imprenditoriali e sindacali58, purché accettino i
contenuti economici e normativi della contrattazione collettiva di
settore e rispettino le norme statutarie dell’ente Cassa Edile59. Il
problema della rappresentanza delle associazioni imprenditoriali è
infatti molto sentito nel settore edile, poiché circa il 60% delle imprese
si presenta con una dimensione artigianale e con rappresentanze
proprie che spesso corrono il rischio di essere estromesse dal governo
del settore. Al Consiglio generale spettano compiti molto importanti:
valutare il bilancio preventivo e consuntivo, ed approvarlo.
Il Collegio sindacale è composto da tre membri: uno
emanazione della parte imprenditoriale, uno di parte sindacale ed il
terzo che è scelto di comune accordo, presiede il collegio e deve
risultare iscritto all’albo dei revisori ufficiali dei conti.
Accanto alla struttura più propriamente politica vi è una
seconda struttura, di tipo permanente, con caratteristiche prettamente
amministrative ed operative: i dipendenti. Questo organo ha la
funzione di concretizzare le decisioni maturate al livello politico60
dell’ente tramite la riscossione dei contributi, la detenzione dei
58 L’accettazione delle altre associazioni alla gestione dell’ente è subordinata ad un potere di veto della rappresentanza di cui essa fa parte: sia datoriale, sia sindacale. Per essere ammesse , le altre associazioni devono venire presentate. 59 Nelle province di Bolzano ed Aosta sono ammesse alla rappresentanza le associazioni sindacali delle minoranze etniche. 60 E’ questo l’organo che garantisce la continuità nella gestione della Cassa poiché permanente e selezionato in base a principi di competenza.
78
rapporti diretti con lavoratori ed imprese, l’erogazione materiale delle
prestazioni.
79
3.2.2 Le funzioni assolte
Come abbiamo visto le Casse Edili sono strumenti
d’implementazione della normativa previdenziale e contrattuale
vigente, e permettono ai lavoratori del settore di godere dei trattamenti
dovuti a tutti i lavoratori degli altri comparti produttivi.
Prima di elencare ed analizzare le varie prestazioni erogate è
bene soffermarsi su alcuni punti essenziali.
In primo luogo va sottolineato il fatto che le Casse Edili,
seppure siano strumenti della partecipazione al governo delle
dinamiche del settore, trovano la loro istituzionalizzazione e la loro
autorità nell’ambito della contrattazione collettiva61. E’ perciò il
contratto nazionale a fornire le linee direttrici delle prestazioni, mentre
la contrattazione territoriale ne stabilisce misura, date di decorrenza e
contributi in percentuali. Nel corso degli anni comunque anche la
contrattazione di secondo livello ha acquisito maggiori spazi
d’intervento riguardanti soprattutto le prestazioni extracontrattuali,
quelle connesse con le disponibilità di bilancio, che verranno trattate
più dettagliatamente in seguito.
In secondo luogo le Casse Edili nascono con la funzione di
sollevare l’impresa dall’obbligo di pagare direttamente alcune
prestazioni, mediante l’accantonamento presso di esse di quote
percentuali di salario o contribuzioni dei datori di lavoro; garantendo
80
così un’erogazione unitaria e continuativa delle prestazioni. Questa
operazione di accantonamento e mutualizzazione si giustifica con il
rapido susseguirsi di più rapporti di lavoro, per ogni lavoratore, con
più imprese nell’arco delle vita lavorativa.
In terzo luogo c’è da segnalare la funzione trainante della
contrattazione territoriale rispetto quella nazionale. Attraverso la
gestione di nuovi accantonamenti la contrattazione territoriale ha così
fatto da battistrada a nuove rivendicazioni e nuovi istituti
contrattuali62.
Un discorso a parte merita l’aspetto economico e normativo che
tali prestazioni, attuate ed erogate dal sistema delle Casse Edili,
costituisce come funzione sussidiaria.
Con il termine “Sussidiarietà”, già inquadrata teoricamente nel
secondo capitolo di questa tesi, si viene a designare una prassi per la
quale, mancando allo Stato centrale risorse, capacità e tempi per
svolgere un determinato tipo di attività di tipo sociale, tali funzioni
vengono delegate, con strumenti legislativi appositi, ed a volte con il
conferimento diretto di risorse, ad organismi terzi di natura privata, a
cui lo Stato centrale riconosce le capacità e la possibilità di conferire
tali servizi in maniera più capillare e più efficiente rispetto ad esso.
Per analizzare l’operato del sistema delle Casse Edili occorre
soprattutto capire la premessa del loro funzionamento: i contribuenti
di questo sistema, ovvero imprese e lavoratori, organizzati tramite le 61 Mentre negli altri paesi europei la contrattazione e la partecipazione sono due modelli di gestione delle relazioni industriali ben distinti, nella realtà italiana è la contrattazione a legittimare la partecipazione.
81
proprie rappresentanze datoriali e sindacali, quindi di natura
prettamente privata e contrattuale, deliberano, mediante la
contrattazione nazionale e territoriale, quali voci retributive
accantonare e, mediante la concertazione continua attraverso gli
organismi di gestione dell’ente Cassa Edile, e come gestire tali
accantonamenti retributivi e portarli ad un bilancio equilibrato e
funzionale alla creazione e conservazione del capitale.
Mediante la possibilità di erogare salario differito, abbiamo così
lo svilupparsi di una serie di risorse aggiuntive e complementari, che
oltre a soddisfare i costi che naturalmente la gestione di un sistema
così articolato e diffuso comporta, possono finanziare altre prestazioni
e servizi in uscita per i contribuenti/utenti del sistema.
Una volta chiarito tale fondamentale tassello a guida della
nostra riflessione, possiamo così procedere all’analisi delle prestazioni
erogate classificando queste in base a due variabili.
In base alla natura dei loro destinatari le prestazioni erogate
possono suddividersi in prestazioni individuali e prestazioni
collettive63.
Le prestazioni a carattere individuale sono quelle prestazioni di
cui beneficia direttamente o indirettamente il singolo lavoratore o il
suo nucleo familiare. Va inoltre messo in luce che mentre da parte
sindacale il lavoratore riceve dal sistema delle Casse Edili un provento
sovente di natura economica, le imprese associate hanno la loro 62 In particolare nello sviluppo delle assistenze integrative.
82
contropartita principalmente in termini di servizi e di costi
mutualizzati ed omogenei come quelli relativi i dispositivi di
protezione individuale, le integrazioni per carenze malattia o
infortunio, ed altri servizi che, ora a livello embrionale, sono
suscettibili di notevoli e importanti sviluppi64.
Le prestazioni a carattere collettivo sono quelle prestazioni il
cui beneficio è invece rivolto, direttamente o indirettamente, alle
strutture di rappresentanza (associazioni imprenditoriali, sindacali ed
altri enti paritetici).
In base alla loro legittimazione giuridica possono essere divise
in prestazioni contrattuali e prestazioni extracontrattuali.
Le prestazioni contrattuali sono prestazioni che devono essere
necessariamente erogate dalle Casse Edili, in quanto contemplate
dallo statuto e dalla contrattazione collettiva di primo livello. Sono
dunque prestazioni certe per diritto e, in ragione della forte
sperequazione territoriale del settore, le contribuzioni in percentuale
per la loro copertura di bilancio sono stabilite dalla contrattazione
territoriale, soggette solo all’effettivo versamento delle contribuzioni.
Le prestazioni extracontrattuali sono prestazioni che, nonostante non
siano contemplate nel contratto, sono deliberate dal Comitato di
gestione, compatibilmente con le disponibilità e i vincoli di bilancio.
Sono perciò variabili nel tempo e revocabili. 63 L. Bellardi in Istituzioni bilaterali e contrattazione collettiva. Il settore edile (1945-1988) Franco angeli Editore, Milano 1989
83
Per semplicità esplicativa possiamo costruire una tabella
incrociando le due variabili:
PRESTAZIONI
CASSE EDILI
CONTRATTUALI
EXTRACONTRATTUALI
INDIVIDUALI
-GNF
-MALATTIA/INORTUNI
-APE
-APES
-DIRITTO ALLO STUDIO
-ASSISTENZE SANITARIE
-SUSSIDI VARI
-ASSICURAZIONI
-COLONIE E SOGGIORNI
-ASSISTENZE ALLO STUDIO
COLLETTIVE
-QUOTE D’ADESIONE
CONTRATTUALE
-QUOTE DELEGA
-MUTUALIZZAZIONE
64 Sicuramente già la legislazione corrente assegna ruolo e funzioni certificatorie in materia di controllo per la regolarità delle imprese, negli anni a venire tale funzione sarà probabilmente sempre più implementata in un’ottica sussidiaria da parte delle Stato.
84
PERMESSI SINDACALI
-RISCOSSIONE CONTRIBUTI
SCUOLE EDILI E CPT
-OSSERVATORI
Nella tabella costruita non si danno prestazioni
collettive/extracontrattuali poiché qualsiasi prestazione rivolta a
soggetti di carattere collettivo deve essere necessariamente
disciplinata dalla contrattazione. Rimandiamo inoltre la specifica
trattazione delle prestazioni sopra elencate all’appendice
appositamente costituita.
85
3.3 Il futuro
In questi ultimi anni, al di la della ormai consolidata
mutualizzazione degli istituti contrattuali, le Casse Edili hanno visto
ampliarsi di molto la sfera delle proprie competenze e la possibilità di
avere altri spazi d'intervento. Funzionale a questi recenti sviluppi sono
state le caratteristiche proprie del sistema delle Casse Edili: la gestione
paritetica di questi enti, la loro natura giuridica e la loro dimensione
territoriale.
La regola della gestione paritetica, introdotta nel 1919 nello
statuto della prima Cassa Edile, è ora un concetto reso moderno ed
attuale dagli sviluppi concertativi che ha assunto il nostro sistema di
relazioni industriali. La pariteticità formale delle Casse Edili si è
sempre più evoluta fino a divenire sostanziale con il sistema della
doppia firma abbinata di Vicepresidente e Presidente. La
composizione in numero pari di tutti gli organi di gestione ha avuto il
grande merito di rappresentare un punto di contatto permanente fra le
parti sociali65.
La contrattazione collettiva, che di fatto ha istituito e legittimato
gli enti paritetici, ne ha tratto anche giovamento poiché questi,
confrontandosi con i problemi reali dei lavoratori, hanno saputo essere
65 Si è costruita una spirale virtuosa dove non solo la contrattazione alimenta lo sviluppo degli enti paritetici ma la stessa gestione quotidiana costringe le parti sociali ad avere una ricchezza di relazioni che alimenta a sua volta lo sviluppo delle regole e dei contenuti stessi della contrattazione.
86
da sempre un centro propositivo e non solo attuativo per la
contrattazione.
Proprio qui risiede l’originalità del modello, capace di realizzare
anche in un periodo fortemente conflittuale come gli anni ’70,
un’effettiva implementazione tra contrattazione e gestione del settore.
La gestione paritetica delle Casse Edili ha inoltre permesso, per
le implicazioni che comportava, il nascere in primo luogo di una
politica rivendicativa comune alle varie associazioni sindacali di
settore; in secondo luogo ha rappresentato uno spazio di accordo con
la controparte imprenditoriale, ulteriore e complementare a quello
offerto dalla contrattazione. Ciò ha determinato una sorta di
concertazione bilaterale permanente per la gestione del settore,
testimoniata dalle numerose iniziative in comune: tra le più recenti
troviamo la costituzione dell’osservatorio di settore ed il documento
unico di regolarità contributiva.
Ferma restando la superiorità della contrattazione nel sistema di
relazioni industriali italiano, la pariteticità ha comportato per il settore
edile due grandi vantaggi.
Il primo è un sistema dinamico e non statico della
contrattazione; in quanto permanenti, è impossibile all’interno degli
enti paritetici non poter trovare un accordo sulle materie ad essi
demandate, pena la delegittimazione stessa dell’ente: mentre nella
contrattazione l’accordo può anche saltare, nella gestione dell’ente un
accordo deve essere raggiunto per forza.
87
Paradossalmente la regola della pariteticità, che avrebbe potuto
creare situazioni di stallo inconciliabili, si è rivelata molto efficiente
sotto questo punto di vista anche perché la gestione di questi enti ha
comportato una personalizzazione dei rapporti tra i rappresentanti
delle parti sociali.
Il secondo indubbio vantaggio è quello di aver inserito, anche se
in maniera indiretta, elementi di partecipazione nella gestione di
istituti che per altri settori sono stati raggiunti più tardi, tramite lo
sviluppo dei diritti di informazione.
La natura giuridica dell’ente Cassa Edile è invece di tipo
piuttosto particolare. La Cassa Edile è costituita inizialmente con atto
notarile dalle associazioni sindacali territoriali (di regola ANCE,
INTERSIND e FENEAL-UIL, FILCA-CISL e FILLEA-CGIL).
Va ora però accennato che anche l’universo variegato delle
organizzazioni imprenditoriali66, mediante l’accordo del 18/12/1998
tra Associazioni Artigiane ed ANCE, si è impegnato alla reciprocità
(riconoscimento dei contributi accantonati dagli altri sistemi artigiani
e del passaggio di un lavoratore da un sistema ad un altro); ciò porterà,
a breve termine, ad una unità della rappresentanza delle
organizzazioni imprenditoriali e ad una conseguente unificazione dei
sistemi delle Casse.
66 Il sistema delle organizzazioni imprenditoriali risente fortemente delle caratteristiche del settore ed è perciò estremamente complesso ed articolato. Le associazioni imprenditoriali sono dieci e rappresentano soggetti diversi per dimensioni, credo politico e natura giuridica. L’industria privata è rappresentata principalmente dall’ANCE, aderente alla Confindustria e dall’ANIEM, aderente alla CONFAPI. L’INTERSIND rappresenta le imprese a partecipazione statale mentre l’artigianato è rappresentato da quatto associazioni (CGIA, FNEA, FIAE e CLAAI). Infine le cooperative sono rappresentate da tre associazioni (CONFCOOPERATIVE, ANCPL e AGCI).
88
Questo processo è necessario per pervenire ad una gestione
unitaria del settore, delle sue regole e dei suoi strumenti operativi. Il
processo è notevolmente complesso considerando gli interessi in
gioco, ma l’approdo ad un sistema unico appare irreversibile
soprattutto alla luce dei nuovi compiti che lo Stato e le parti sociali
intendono affidare al Sistema delle Casse Edili.
Le Casse Edili sono enti qualificabili nel codice civile come
associazioni non riconosciute ai sensi degli articoli 36 e seguito. La
Cassa Edile è un ente di fatto, dotato di autonomia propria e può
essere titolare di rapporti giuridici propri, distinto dai soggetti che ad
essa hanno dato vita e da coloro che sono i destinatari delle prestazioni
e dei servizi.
Godono inoltre in base all’articolo 37 del codice civile di
autonomia patrimoniale e finché ha vita l’associazione, i singoli
associati non possono pretendere la divisione del fondo comune.
L’autonomia patrimoniale non esclude però la responsabilità
personale e solidale di chi agisce in nome e per conto
dell’associazione.
Lo statuto tipo delle Casse Edili (elaborato dalla CNCE per
uniformare le differenti realtà territoriali) prevede come scopo
principale di queste l’erogazione delle prestazioni ai propri iscritti;
sono inoltre competenti a provvedere ad ogni altro compito affidatogli
congiuntamente dalle organizzazioni costitutive.
89
L’ente Cassa Edile ha così natura esclusivamente privatistica67
ed ha un’origine prettamente contrattuale. L’obbligo di contribuire
alle Casse Edili è di natura volontaristica e soggette a questo obbligo
sono solo le imprese aderenti alle organizzazioni costituenti.
Nell’ultimo decennio comunque l’obbligo d’iscrizione al sistema delle
Casse Edili è stato reso molto più stringente in forza di alcuni
interventi legislativi sia nel settore dell’edilizia pubblica che in quello
della privata, su cui si avrà modo di ritornare in seguito.
La natura privatistica ha comportato enormi vantaggi per l’ente
in questione poiché lo ha reso doppiamente flessibile. In primo luogo
capace di adeguarsi, con leggere modifiche statutarie, alle differenti
realtà territoriali; in secondo luogo capace di recepire
immediatamente, senza mediazioni, le esigenze della contrattazione e
le nuove prestazioni ad essa demandate.
Ultima ma non meno importante è la loro dimensione
territoriale. Il sistema delle Casse Edili ha una sfera di intervento
articolata su di un territorio provinciale. Se questo da un lato ha
aumentato i margini di discrezionalità nella loro gestione e nelle
prestazioni erogate ai lavoratori, d’altro canto ha reso questi enti
paritetici fisicamente molto più vicini agli operatori del settore.
E’ inoltre uno sviluppo naturale del sistema produttivo edile,
poiché il segmento di mercato a cui un’impresa si rivolge,
67 L’apparato legislativo ha però conferito a questi enti alcune funzioni tipiche degli enti previdenziali pubblici (INAIL ed INPS) mediante la legge n° 55/90 e la legge n° 415/98, come analizzeremo più dettagliatamente in seguito.
90
difficilmente supera i confini di una provincia, in natura della piccola
mole di molte imprese.
Va però fatto notare che oggi, da un lato per le accresciute
possibilità di comunicazione, dall’altro per la maggiore facilità degli
spostamenti, il mercato di riferimento di un’impresa anche di piccole
dimensioni è diventato di taglio regionale, evidenziandosi una
concentrazione dei lavori soprattutto nelle zone più industrializzate e
nei grandi capoluoghi di provincia.
Quella che è stata dunque la dimensione congeniale per molti
anni, determinata più da un’evoluzione naturale del tessuto
imprenditoriale che da una scelta politica del settore, sembra oggi
ripensabile in scala regionale alla luce dei mutamenti intervenuti nel
mercato dell’edilizia.
91
3.3.1 La qualificazione delle imprese
Tra le nuove funzioni assolte dal sistema delle Casse Edili,
certamente importante è quello della qualificazione delle imprese. Lo
sviluppo incessante che ha avuto la filosofia della qualità soprattutto
negli anni novanta, ha comportato il suo consolidamento in tutti i
settori industriali, edilizia compresa.
La normativa corrente in base alla quale si è sviluppato il
sistema di qualità è la UNI EN ISO 9000; a fondamento di questa
normativa vi è il concetto di qualità. La qualità di un prodotto è intesa
come soddisfacimento delle aspettative del cliente o soddisfacimento
delle specifiche contrattuali o della fetta di mercato a cui il prodotto si
rivolge68.
La qualità è così un concetto relativo e fare qualità equivale ad
ottenere (nel target di mercato cui ci si rivolge) un prodotto con
caratteristiche continue e definite in base ai requisiti attesi. Poiché la
missione dell’impresa è fare utili, è necessario un allineamento tra i
risultati ottenuti e requisiti attesi. Una qualità superiore a quella attesa
è un costo aggiuntivo, mentre una qualità inferiore porta alla perdita di
quote di mercato.
Ogni azienda sviluppa così il proprio prodotto in modo tale da
ottenere più consensi possibili nella nicchia produttiva da lei occupata.
La situazione ideale è di perfetto allineamento tra qualità ottenuta e
68 C.Fossi e G.Bernardi “I sistemi qualità nelle imprese di costruzioni” Edilstampa 1993 Roma
92
qualità attesa. Si instaura così un circolo virtuoso per cui le aziende
sono in concorrenza nell’offrire prodotti che soddisfino più aspettative
o le soddisfino in modo migliore, fermo restando il vincolo di
economicità nella scelta del consumatore.
Nell’edilizia il concetto di qualità viene a configurarsi in
maniera del tutto particolare. Nel settore edile ed in particolare nelle
opere pubbliche, le prestazioni delle opere sono, almeno in parte,
stabilite prima che l’impresa appaltatrice intervenga. Le prestazioni di
una costruzione sono infatti stabilite a priori dalla normativa tecnica
nazionale e dal singolo progetto dell’opera; all’impresa edile spetta la
realizzazione dell’opera utilizzando al meglio i fattori della
produzione e cercando di garantire la realizzazione nei tempi e
soprattutto nei prezzi fissati in sede d’appalto.
La qualità nell’impresa edile viene così a configurarsi più come
qualità di processo che di prodotto, concretizzata più come attività di
formazione, sicurezza ed organizzazione d’impresa che come
soddisfazione delle aspettative del consumatore. L’attività formativa
permette di avere una manodopera sempre più specializzata e pronta
all’uso dei nuovi materiali e soprattutto sempre più consapevole dei
rischi che corre in un settore che, oltre ad essere caratterizzato da un
lavoro per natura intrinseca usurante, è anche il settore più soggetto a
infortuni sul lavoro e a decessi per morti violente.
93
Per procedere con pulizia analitica è bene prendere atto del fatto
che il mercato dell’edilizia si presenta polarizzato in due realtà
profondamente diverse: un mercato pubblico ed un mercato privato.
Il mercato pubblico è composto dall’edilizia pubblica e
dall’edilizia agevolata. In questa fetta di mercato il committente è lo
Stato in tutte le sue articolazioni, e generalmente affida i lavori di
costruzione ricorrendo ad una selezione tramite appalto.
Tra i vari parametri per la selezione dell’impresa e la
conseguente aggiudicazione dell’appalto, in seguito alla bufera
giudiziaria che ha investito l’Italia nei primi anni novanta e che ha
visto il settore delle costruzioni tra i più danneggiati, la legge quadro
n° 109/9469 ha decretato come parametro fondamentale, per esigenze
di trasparenza, la logica del massimo ribasso rispetto a quello posto a
base di gara.
Questa legge ha previsto che i soggetti esecutori devono essere
qualificati e professionalizzati; cosicché per accedere alle gare
d’appalto è necessario che la imprese in gara siano certificate
conformemente alle norme UNI EN ISO 9000 e siano iscritte all’Albo
dei costruttori70.
La legge n° 415/98, recependo le indicazioni già date dalla
legge antimafia n° 55/90, ha ulteriormente aumentato la rete di
garanzie che l’impresa deve possedere, aggiungendo a queste una
certificazione di regolarità contributiva presso gli enti preposti alla 69 “Codice degli appalti pubblici e privati” Il sole 24 ore Milano 1999.
94
tutela del lavoratore (INPS, INAIL e Casse Edili) che viene estesa
anche a tutte le imprese subappaltanti una o più parti del progetto. Il
legislatore ha voluto così promuovere la maggior trasparenza possibile
nelle gare d’appalto, garantendo però la qualità delle imprese
appaltatrici tramite le certificazioni.
L’evoluzione della normativa ha così investito le Casse Edili di
una nuova funzione: quella di certificare lo stato contributivo di una
impresa iscritta. Questi enti, essendo il luogo deputato
all’accantonamento di tutti i contributi, compresi quelli per
formazione e sicurezza, di fatto sono stati chiamati a testimoni delle
imprese presso di loro iscritte, potendo operare, in base ai dati da esse
posseduti, un controllo indiretto sulla qualità, attraverso l’analisi dei
servizi resi all’impresa per attività di formazione e sicurezza.
Rientra in quest’ottica la proposta del Documento Unico di
Regolarità Contributiva (DURC)71, già messo a punto in alcune
regioni del centro Italia72. Questo documento introduce una nuova
logica di servizio alle imprese per gli adempimenti burocratici da esse
sostenuti, e per il controllo dei livelli di legalità contributiva ed
organizzativa delle imprese. Prevede infatti la creazione di uno
sportello unico tra INAIL, INPS e Casse Edili per il rilascio della
certificazione e per garantire la raccolta dei dati in maniera uniforme. 70 La legge n° 415/98 ha stabilito la cassazione dell’attività dell’albo dei costruttori decretandone la chiusura entro il 31/12/1999 ed affidando la sua attività alle società d’accreditamento autorizzate (SOA) 71 AA.VV “Riforme in cantiere” a cura della FILCA CISL 1999.
95
Tutto ciò presuppone una omogeneità dei dati e la creazione di un
sistema informatico che ne consenta l’incrocio immediato.
L’efficacia di un documento così strutturato risiede
primariamente nel fatto che si possono vincolare le aziende, senza
soffocarle, ad una maggiore trasparenza. Rappresentando tra l’altro
una barriera all’ingresso delle gare d’appalto, di fatto promuove e
qualifica un’impresa appaltatrice non tanto sul prodotto finito, quanto
sul processo. In questo caso il processo è rappresentato dall’insieme di
azioni e comportamenti, necessari all’ultimazione dell’opera,
legalmente e fiscalmente corretti, e sicuri per gli addetti ai lavori.
La fetta di mercato più grande è però rappresentata dai lavori
per la committenza privata, che vanno dall’edificazione alla
ristrutturazione degli edifici già esistenti. Ed è anche questa la fetta di
mercato in cui si cela maggiormente il lavoro sommerso,
essenzialmente per due ordini di motivi.
In primo luogo questo tipo di lavori, disciplinato dalla legge n°
262/4273 che stabilisce le modalità e i termini dell’appalto privato e
del subappalto, per la natura privata dei soggetti contraenti fa si che
questi tendano invece a regolarsi informalmente.
In secondo luogo va considerato l’elevato differenziale nei costi
tra lavoro autonomo e lavoro dipendente, cui si deve aggiungere anche
l’alto livello di tassazione in cui incorrono le imprese che denunciano
72 Tali regioni sono Umbria, Marche ed Abruzzo. La messa in opera di questo documento è stata promossa da leggi regionali apposite, prima tra tutte l’Umbria con la legge n° 30/98 riguardante la ricostruzione delle aree colpite dal sisma. 73 “Codice degli appalti pubblici e privati” Il sole 24 ore Milano 1999.
96
completamente il loro fatturato. In questo caso sia il comportamento
del committente che quello dell’appaltatore tendono a convenire
all’elusione e all’evasione per motivi economicamente vantaggiosi.
Eludendo infatti la fatturazione dei lavori, il costo gravante
sull’impresa diminuisce sensibilmente; di conseguenza diminuisce più
o meno proporzionalmente, anche il costo per la committenza. Una
ferrea legge dell’economia è che il produttore non vende ciò che il
mercato non compra: mentre negli altri settori industriali la qualità è
un valore, nel settore edile la qualità non è ancora economicamente
conveniente, poiché le attività di formazione e sicurezza fanno
purtroppo lievitare i costi. Qui va biasimato anche il comportamento
delle stazioni appaltanti, poiché la legge n° 415/98 prevede lo
scomputo dei costi per formazione e sicurezza, che devono essere
indicati ma non assoggettati alla logica del ribasso. Di questo
scomputo molte stazioni appaltanti ancora non hanno preso coscienza
e dato una funzionalità operativa.
Va inoltre rilevato che i lavori edili hanno già di per se un costo
elevato, e ciò determina un comportamento ancor più economicistico
nel committente.
Per risolvere questo problema e far emergere una parte
consistente del lavoro sommerso non sono sufficienti né le misure
repressive e i controlli, né la promozione culturale della legalità.
Poiché i comportamenti sul mercato sono determinati da fattori
soprattutto economici, occorre introdurre degli elementi che rendano
97
economicamente conveniente il comportamento fiscalmente e
moralmente corretto.
Un esempio calzante è il provvedimento governativo collegato
alla legge n° 449/9774 (la legge finanziaria 1998) che concede ai
committenti dei lavori di ristrutturazione una detrazione fiscale
sull’imposta IRPEF. Questa legge permette infatti di detrarre
dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) il 41% delle
spese sostenute per i lavori di manutenzione o recupero edilizio
fissando alcuni parametri di spesa ed ambiti soggettivi di applicazione.
Per ottenere lo sgravio fiscale occorre compilare un modulo
approntato dal Ministero delle Finanze a cui va affiancata la
dichiarazione d’inizio attività (DIA), che viene convalidata dopo 90
giorni di silenzio-assenso della pubblica amministrazione. In questo
modulo occorre anche specificare l’impresa appaltatrice, e
quest’ultima deve dichiararsi disposta ad adempiere a tutti gli obblighi
della normativa contrattuale in termini di sicurezza e contribuzione.
Ogni violazione riscontrata nell’adempimento degli obblighi
contrattuali determina il decadere del beneficio fiscale per il
committente.
Tramite queste misure fiscali si possono conseguire anche altri
obiettivi: qualificare l’offerta e incentivare la domanda. Un
comportamento fiscalmente scorretto è infatti tanto più conveniente
quanto più un’impresa si posiziona in una situazione d’irregolarità.
74 “Codice degli appalti pubblici e privati” Il sole 24 ore Milano 1999
98
Questo genere d’interventi premia le imprese qualitativamente
migliori poiché elimina da questa fetta di mercato le imprese che
fanno concorrenza sleale. Inoltre attraverso la defiscalizzazione di
questo segmento di mercato, molti committenti potenziali possono
incrementare la domanda di recupero edilizio.
Di fatto, per far si che l’attività delle Casse Edili possa svolgere
un’azione di qualificazione verso l’offerta delle imprese che lavorano
nel settore privato, la strada da seguire con successo è quella di una
contribuzione premiale. Le imprese che investono in sicurezza e in
formazione, regolari nei versamenti, potrebbero così godere di una
riduzione sui contributi accantonati presso la Cassa Edile.
Alleggerendo così i costi che le imprese devono sostenere,
sarebbe prevedibile l’emersione di una fetta consistente del lavoro
attualmente sommerso e, diminuendo la concorrenza sleale, fatta sui
costi di formazione e sicurezza, le imprese fiscalmente in regola ne
avrebbero un indubbio giovamento.
99
3.3.2 La previdenza integrativa
Tra le nuove direttrici di sviluppo riguardanti le attività delle
Casse Edili, quella della previdenza integrativa è senza dubbio la più
importante.
Dall’inizio degli anni ottanta i sistemi di sicurezza sociale
hanno manifestato crescenti difficoltà in tutti gli stati europei. Da un
lato l’incessante aumento delle aspettative di vita ha causato una
crescita delle prestazioni in particolare quelle pensionistiche, mentre il
crescere del reddito ha comportato una espansione della domanda e
delle spese sanitarie; dall’altro la crescente disoccupazione, unita alla
diminuzione degli occupati regolari e degli inquadramenti del rapporto
di lavoro in contratti di tipo subordinato a tempo indeterminato, ha
diminuito di molto il gettito contributivo.
Questi fenomeni, con caratteristiche e pesi diversi nei vari paesi,
hanno determinato gli squilibri della finanza pubblica che hanno
investito pressoché tutti i paesi europei.
Nel nostro paese tali fenomeni hanno assunto dimensioni
particolari; l’invecchiamento della popolazione è tra i più accentuati,
la caduta della contribuzione è determinata sia dall’alto tasso di
disoccupazione, sia dalla forte crescita del lavoro autonomo e
irregolare; il disavanzo ed il debito pubblico sono tra i più alti della
100
media europea a causa di una politica di spesa pubblica “facile” che ha
caratterizzato tutti gli anni ottanta.
E’ solo con la crisi valutaria del 1992 che il nostro paese
comincia ad intervenire sulle prestazioni sociali. La necessità di
interventi sul welfare volti ad un risparmio di spesa ha comportato una
prevalenza di misure restrittive sul sistema pensionistico.
Il primo intervento è stato il decreto legislativo n° 503/92:
avvenuto sotto il governo Amato si caratterizzava per la salvaguardia
delle norme preesistenti per i lavoratori con almeno 15 anni di
contribuzione, e per una diminuzione sensibile della copertura
pensionistica per quelli con contribuzione inferiore e per i nuovi
assunti.
Il periodo di riferimento per questi ultimi diviene l’intera vita
lavorativa e mentre i requisiti di accesso alla pensione d’anzianità
restavano a 35 anni di contribuzione, quelli per la pensione di
vecchiaia erano innalzati a 65 anni per gli uomini e 60 per le donne,
con requisito minimo di contribuzione pari a 20 anni. Per la tutela dei
giovani, i più colpiti dalla riforma pensionistica, il governo Amato col
decreto legislativo n° 124/93 introdusse i fondi pensione integrativi.
Un ulteriore passo è stato fatto con la legge n° 335/95 del
governo Dini; gli aspetti principali della riforma sono: l’introduzione
di un sistema di calcolo contributivo piuttosto che retributivo, la
conferma della suddivisione tra soggetti giovani e soggetti anziani,
l’introduzione di un requisito anagrafico per le pensioni di anzianità,
101
un’accelerazione del processo di armonizzazione tra settore pubblico e
settore privato, un rilancio della previdenza integrativa.
La copertura pensionistica non viene più calcolata sugli ultimi
anni di vita lavorativa ma sulla base dell’intera vita lavorativa
stabilendo così un rapporto tra contributi versati e rendita
pensionistica percepita.
Ultima ma non meno importante è la legge n° 449/97 che
prevede un’armonizzazione della normativa del settore pubblico con
quello privato; viene confermata l’impostazione della legge n° 335/95,
resta il requisito di 35 anni di contributi ma il requisito anagrafico a 57
anni viene anticipato nell’entrata in vigore al 2002 anziché al 2006, sia
per il settore pubblico che per quello privato.
Il cammino che ha intrapreso la normativa in materia di
previdenza ha comportato una sensibile riduzione del grado di
copertura pensionistica; a fronte di questa riduzione, l’introduzione di
un sistema di previdenza integrativa è divenuto una necessità.
Grazie al decreto legislativo n° 124/93 corretto con la legge n°
335/95 è stata così introdotta la previdenza integrativa su base
contrattuale; i lavoratori potranno quindi decidere di integrare la loro
pensione pubblica destinando parte del loro risparmio, quote di
trattamento di fine rapporto e spazi contrattuali alla previdenza
integrativa. E’ questa una prospettiva rivoluzionaria per il nostro paese
caratterizzato da un mercato finanziario asfittico e selettivo.
102
La necessità dei fondi pensione integrativi, già esistenti e
funzionanti su altri mercati finanziari75, gioverà al mercato portando
nuovo risparmio e nuovi soggetti investitori e garantendo maggior
concorrenza.
Il recente decreto ministeriale del lavoro n° 221/97 ha infine
stabilito gli elementi essenziali dello statuto, le procedure di
autorizzazione e gli schemi di convenzione di gestione.
Il quadro normativo indica una netta preferenza per la gestione
indiretta delle risorse a favore di intermediari finanziari abilitati; tali
soggetti sono individuati in:
a) soggetti autorizzati all’esercizio della attività di gestione di patrimoni
mediante operazioni aventi per oggetto valori mobiliari ( SIM, banche
e società fiduciarie)
b) imprese di assicurazione
c) società di gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare.
La contrattazione del settore edile, dopo alcune significative
esperienze limitate ad artigiani e addetti al comparto del legno76, ha
ora avviato la costituzione di un fondo pensione per tutto il settore
edile di dimensione nazionale.
E’ stato funzionale alla costituzione del fondo l’accordo
18/12/1998, raggiunto dalle associazioni imprenditoriali del settore 75 L’esperienza dei fondi pensione e diffusa soprattutto nei paesi anglosassoni nei quali la borsa capitalizza buona parte del PIL.
103
per promuovere una politica contrattuale comune; ciò comporterà una
unità di rappresentanza al sistema degli enti paritetici comprendente
altre associazioni artigiane del sistema edile.
Le fonti istitutive di questo fondo sono così tutte le associazioni
sindacali e tutte le organizzazioni imprenditoriali di settore, ed è
assunta come finalità istituzionale quella di realizzare una pensione
complementare a quella pubblica e non ha fini di lucro.
Soci del fondo diventano tutti i lavoratori che vi aderiranno
volontariamente e le imprese che hanno soci lavoratori del fondo. Sia
la quota di iscrizione che i contributi versati sono divisi
pariteticamente tra impresa e lavoratori.
L’ultimo contratto nazionale di categoria, firmato il 29 Gennaio
2000, ha finalmente delineato la struttura amministrativa e gestionale
del fondo, entrambe sono affidate ad organismi paritetici.
L’Assemblea dei delegati è pariteticamente composta da
membri eletti direttamente e distintamente dai lavoratori soci e dalle
imprese associate: ha la funzione di approvare il bilancio e la relazione
del consiglio di amministrazione, nonché di designare i componenti di
quest’ultimo. E’ anche suo il diritto di determinare la percentuale delle
contribuzioni da destinare al fondo, modificare lo statuto e liquidare il
fondo.
Il Consiglio di amministrazione è composto da un minimo di 12
e un massimo di 16 membri, sempre in misura paritetica e devono
76 Per gli addetti del legno e stato infatti stato creato il fondo ARCO.
104
essere in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità stabiliti
dal decreto ministeriali n° 211/97.
Tra le loro attribuzioni vi è l’elezione della Presidenza e
Vicepresidenza, l’individuazione degli indirizzi per la gestione e
l’organizzazione del fondo. Redige inoltre e sottopone
all’approvazione dell’Assemblea il bilancio, decide i criteri generali
per la ripartizione del rischio in materia della gestione delle risorse e
stipula le convenzioni con i soggetti accreditati. Ha inoltre ampi poteri
di controllo nominando un dirigente responsabile del fondo, vigilando
i possibili conflitti di interesse e predisponendo i regolamenti
sanzionatori e la certificazione dei bilanci attraverso una società di
revisione.
Presidente e Vicepresidente sono eletti dall’Assemblea,
nell’ottica dell’alternanza tra le fonti istitutive. Il Presidente ha la
rappresentanza legale del fondo e sovrintende al funzionamento di
esso convocando e presiedendo il Consiglio di amministrazione.
Intrattiene inoltre i rapporti con la Commissione di vigilanza.
Il Collegio dei revisori contabili è composto da 4 membri
designati pariteticamente in possesso dei requisiti di onorabilità del
suddetto decreto e devono essere iscritti al Registro dei revisori
contabili istituito presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Espleta
compiti di sorveglianza e trasparenza riguardo i bilanci, segnalando le
irregolarità di amministrazione alla Commissione di vigilanza.
105
Dato un fondo così strutturato, stabilita la natura a
capitalizzazione, la gestione di questo non potrà che essere orientata al
maggior rendimento possibile, fermi restando gli strumenti e le regole
per la minimizzazione del rischio. Su questo punto la volontà del
legislatore di tutelare i soci del fondo è evidente, data la scelta della
gestione indiretta tramite le società accreditate.
Essendo un fondo di pensione complementare77 si differenzia
dalla previdenza pubblica in quanto mentre il primo utilizza il metodo
a capitalizzazione, in cui i contributi versati si configurano come
riserve finanziarie utilizzate da coloro che ne sono i titolari,
quest’ultima ha il suo fondamento nel sistema a ripartizione, in cui i
contributi periodicamente versati non vengono accantonato ma sono
impiegati per il pagamento delle prestazioni. Inoltre la dimensione
nazionale del fondo dovrebbe garantire una certa consistenza del
patrimonio di questo, tale da non comprometterne la redditività.
Lo stesso Consiglio d’amministrazione del fondo ha solamente
funzioni d’indirizzo; la certificazione dei bilanci e l’attività di
vigilanza sono esterne al fondo, i gestori restano comunque le società
accreditate. Queste ultime, a loro volta sottoposte alle vigilanza degli
enti preposti (Bankitalia, CONSOB e ISVAP), non potranno che
essere orientate ad una gestione conservatrice e tradizionale di questi
fondi.
77 G. Baglioni “Democrazia impossibile” Il Mulino Bologna 1995.
106
Va inoltre menzionato che la presenza sul mercato di questi
nuovi investitori istituzionali, aumenta in primo luogo gli spazi ed il
potere contrattuale dei lavoratori e dei loro rappresentanti, in quanto il
sostegno il sostegno finanziario che potrebbe essere apportato alle
aziende statali in via di privatizzazione, consente di attivare al di la
dello scambio economico anche altri scambi di tipo politico.
In secondo luogo si prefigura una democratizzazione
dell’economia, poiché verrebbe attuata una politica redistributiva di
reddito e di risorse salariali attraverso uno strumento del mercato
finanziario piuttosto che attraverso una manovra di spesa pubblica
gravante sulla collettività.
Nonostante queste note positive è possibile inoltrare una critica
all’apparato di previdenza che si è ora affermato. Che l’apparato
normativo abbia prediletto una gestione indiretta dei fondi di
previdenza integrativa ha determinato certo una diminuzione del
rischio, ma ha anche frenato un possibile circolo virtuoso che si
sarebbe potuto innescare nel settore edile.
Come non notare inoltre la forte analogia che c’è, per struttura
e per modalità di gestione, tra il fondo pensione complementare e il
sistema delle Casse Edili. Gli spazi concessi dalla legislazione
all’attività di queste ultime sono limitati alla raccolta delle quote
associative cui vanno ad aggiungersi gli accantonamenti per il
trattamento di fine rapporto.
107
In più, data la composizione di per se paritetica del consiglio
d’amministrazione, questo potrebbe essere costituito, se non
interamente almeno in parte, dai componenti del comitato di gestione
della CNCE, data la dimensione nazionale del fondo e la loro
esperienza riguardo la certificazione dei bilanci e la conoscenza delle
problematiche in cui il settore incorre.
Se si fosse presa in considerazione l’idea di far gestire dal
sistema delle Casse Edili, oltre alla raccolta, anche il piano degli
investimenti attuabili, il settore ne avrebbe tratto un indubbio
giovamento. Questo perché il sistema delle Casse Edili possiede già
una certificazione dei bilanci e perché alcune di esse già accantonano
territorialmente i trattamenti di fine rapporto.
Fermo restando lo scopo istituzionale di ottenere un rendimento
finanziario almeno in linea con la media dei rendimenti possibili sul
mercato e diversificando un portafoglio del fondo con investimenti tali
da coprire un certo margine di rischio, sarebbe stato possibile ed
auspicabile investire parte di queste risorse in opere di pubblica utilità.
I campi di intervento individuati sarebbero molteplici: il project
financing, la partecipazione in società pubbliche e l’edilizia sociale.
Uno dei settori di investimento più redditizi sarebbe stato quello
del project financing: questo tipo di investimento, consistente nel
finanziamento di opere di interesse collettivo destinate a produrre
rientri di gestione, è stato istituito dal decreto legislativo n° 406/91. La
concessione dell’appalto ha come controprestazione a favore
108
dell’impresa o dell’ente concessionario il diritto di gestire l’opera.
Sarebbe stato allora possibile investire parte del fondo di previdenza
complementare edile all’interno del settore stesso, con grandi vantaggi
in termini di occupazione e di tutela sindacale.
Anche il finanziamento dell’edilizia sociale avrebbe comportato
per il settore le stesse agevolazioni in termini di rendimento e di
occupazione, con il vantaggio ulteriore di fornire spazi abitabili per le
categorie sociali più disagiate quali anziani e studenti fuori sede. Alla
luce poi dei recenti sviluppi del fenomeno immigratorio che ha
investito il nostro paese in questi ultimi anni, era quanto meno
auspicabile attraverso queste forme di autofinanziamento utilizzare
delle risorse per integrare in maniera sostanziale tutti quei lavoratori
immigrati, che in alcune province italiane risultano essere in
maggioranza dei lavoratori indigeni, e che subiscono una forte
discriminazione abitativa con tutta una serie di fenomeni sociali di
devianza che poi si ripercuotono immancabilmente sulla sicurezza
sociale.
Va inoltre fatto notare che la stragrande maggioranza dei
lavoratori immigrati in Italia si ritrova, per problemi legati alla lingua
o alla scarsa e non riconosciuta scolarizzazione, impiegata nel settore
edile che per necessità oggettive di mancanza di manodopera, e per la
facilità di accesso e la pur cospicua retribuzione contrattuale, opera da
raccoglitore di una percentuale sensibilmente elevata di questi addetti.
109
Di fatto la gestione dei fondi integrativi da parte delle società
accreditate se da un lato ha dato maggiori garanzie, dall’altro ha in
primo luogo diminuito la redditività degli investimenti per coprire i
costi di intermediazione, in secondo luogo ha allontanato molte risorse
utili dal settore.
110
3.3.3 Il controllo interno del mercato del lavoro
Il settore edile è da sempre stato caratterizzato da un mercato
del lavoro anomalo rispetto agli altri comparti industriali.
Data la sua capacità di assorbire manodopera non qualificata,
stagionale e fortemente propensa alla mobilità, l’edilizia ha
rappresentato un naturale bacino di passaggio per i lavoratori dal
settore agricolo al settore industriale, ed è stato da sempre utilizzato
con funzione anticiclica ed anticongiunturale, data la sua capacità di
stimolo per gli altri settori ad essa collegati.
A partire dagli anni cinquanta il settore edile ha però subito
rapidi processi evolutivi, che hanno modificato fortemente la natura
delle imprese di costruzioni e la struttura occupazionale del settore.
Centrale in questo processo evolutivo è stata l’innovazione
tecnologica78 nei mezzi e soprattutto nei materiali da costruzione. Ad
opera del cemento armato prima e delle carpenterie metalliche poi,
l’erezione di un edificio è stata scomposta in molteplici fasi lavorative
tra loro interdipendenti; ciò ha comportato un accorciamento dei tempi
di costruzione ed un aumento della produttività all’interno del
78 L. Bellardi “Relazioni industriali e contrattazione collettiva in Italia” Cacucci Editore Bari 1995
111
cantiere, reso possibile dall’esecuzione in parallelo di più fasi
lavorative eseguite da differenti squadre di lavoro.
La stessa figura dell’operaio generico si è sempre più
professionalizzata e specializzata in base alle mansioni svolte sul
lavoro (carpenteria, messa in opera del ferro e muratura) e l’unità
produttiva di base è divenuta la squadra, composta da un operaio
specializzato intorno al quale ruotano un numero più o meno ampio di
apprendisti, lavoratori semi qualificati e manodopera generica addetta
prevalentemente al trasporto dei materiali.
L’innovazione tecnologica che a partire dagli anni settanta
investe soprattutto i materiali utilizzati per la fase di rifinitura e per la
realizzazione degli impianti accessori, crea una ulteriore
parcellizzazione della manodopera. L’introduzione di questi nuovi
materiali (intonaci plastici e pitture) determina l’emergere di nuove
figure operaie, la cui specializzazione è sempre più legata al materiale
utilizzato ma dalla professionalità piuttosto contenuta.
Questa evoluzione tecnologica ha forti ripercussioni sulla
struttura delle imprese e sull’organizzazione del lavoro all’interno dei
cantieri.
Nella struttura delle imprese si assiste ad una polarizzazione
sempre più marcata tra imprese medio-grandi e imprese piccole: il
tramonto dell’impresa generale di costruzioni, determinato
dall’evoluzione tecnica dei materiali, trasforma le grandi imprese in
general contractors, il cui lavoro, dopo aver ottenuto l’appalto consiste
112
soprattutto nell’ottimizzazione dei fattori di produzione impiegati
flessibilmente di volta in volta.
D’altro canto l’aumentata indipendenza delle mansioni79
comporta la nascita di molte microimprese (da uno a cinque addetti),
evoluzione delle squadre di cottimisti che rilevano piccoli lavori in
subappalto. L’enorme incremento di queste piccole realtà produttive é
dovuto ancor prima che all’evoluzione tecnologica, alla mancanza di
una continuativa pianificazione di opere pubbliche e alla centralità sul
mercato immobiliare dei lavori di ristrutturazione e manutenzione
degli stabili già esistenti: si ha così un’evoluzione in senso artigianale
di molte imprese edili, testimoniata dall’aumento del numero delle
imprese a parità del numero degli occupati nel settore.
Il tessuto produttivo del settore viene a configurarsi così
sempre più polverizzato e decentrato, composto da un numero esiguo
di medie imprese e da una miriade di piccole e piccolissime imprese
caratterizzate da un uso flessibile della manodopera e da
microimprenditorialità diffusa.
In un settore come quello edile caratterizzato da una flessibilità
strutturale del lavoro e da una frammentazione del tessuto produttivo,
nonché da dinamiche di natalità e di mortalità imprenditoriale molto
più accelerate che negli altri settori produttivi, la gestione dei rapporti
di lavoro è stata da sempre un grave problema.
79 L. Bellardi “Relazioni industriali e contrattazione collettiva in Italia” Cacucci Editore Bari 1995
113
Va inoltre considerato che l’evoluzione tecnologica, che ha
spinto le imprese edili ad esternalizzare molte fasi del lavoro
all’esterno del cantiere, ha polverizzato ulteriormente il settore,
determinando un incremento preoccupante del lavoro sommerso.
Le normative che disciplinano il rapporto di lavoro non hanno
saputo far fronte a tutte queste esigenze di flessibilità e di dinamicità,
favorendo e rendendo a volte anche una necessità l’elusione della
normativa.
Solo in tempi recenti i governi e la contrattazione hanno cercato
di far fronte, grazie anche allo sviluppo del modello concertativo, alle
pressanti esigenze di competitività e flessibilità del mondo della
produzione.
Questa recente evoluzione della normativa riguardante i rapporti
di lavoro è stata determinata non solo dalle esigenze delle imprese, ma
anche dal pressante bisogno di lenire il problema della
disoccupazione, soprattutto quella giovanile ed in particolare nelle arre
depresse.
La strada seguita per incrementare l’occupazione è stata
duplice: da un lato si è cercato di rendere più immediato il raccordo tra
domanda ed offerta, snellendo le procedure di assunzione e
l’amministrazione dei servizi per l’impiego; dall’altro si è introdotto
un sistema premiale per facilitare le assunzioni, soprattutto quelle dei
lavoratori appartenenti alle fasce deboli.
114
Del primo genere d’intervento fa parte la legge n° 223/91 che ha
riformato le procedure d’avviamento al lavoro, liberalizzando le
assunzioni nominative (prima l’ordine d’assunzione era stabilito in
base alla legge n° 264/49 dalla graduatoria in lista del collocamento
pubblico).
Un decreto legislativo di svolta è il n° 511/96 che all’articolo n°
7 prevede la possibilità per gli uffici regionali e provinciali del lavoro
di stabilire convenzioni con enti pubblici ed enti bilaterali per la
costituzione di nuovi servizi per il monitoraggio del marcato del
lavoro, per l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro e per lo
svolgimento dei tirocini. Importante è anche la legge n° 608/96 che,
facendo salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti in base al
decreto legislativo n° 511/96, ha sostituito il nulla osta con
comunicazione successiva alla sezione circoscrizionale per l’impiego.
Siamo così di fronte ad una serie d’interventi legislativi che si
susseguono rapidamente ed hanno come tendenza di fondo sia
l’allentamento dei vincoli nei confronti dei datori di lavoro privati, sia
il riconoscimento della diversificazione dei mercati del lavoro
regionali. Proprio riguardo quest’ultima tematica la legge n° 59/97 (la
legge Bassanini), seguita al patto per il lavoro del 1996 tra governo,
sindacati ed imprenditori, ha decentrato alle regioni tutte le attività
svolte dagli uffici periferici del ministero del Lavoro riguardanti i
servizi per l’impiego.
115
Ultimo e più importante è il decreto legislativo n° 469/97 che
prevede un sistema di servizi per l’impiego basato sul concetto di
servizio all’utenza, regionalizzato e fortemente informatizzato, e
soprattutto aperto ai privati, ammessi a gestire il servizio del
collocamento purché dotati di sufficienti garanzie: l’autorizzazione è
concessa dal Ministero del Lavoro a tutti quei soggetti privati che ne
fanno domanda, che possiedano almeno 200 milioni di capitale
versato, dotati dei requisiti organizzativi necessari e con oggetto
sociale esclusivo quello dell'intermediazione di lavoro.
Vengono inoltre create come sedi di concertazione le
“Commissioni permanenti tripartite”, sia al livello regionale che
provinciale, con funzioni di pianificazione, attuazione e verifica di
tutte le politiche del lavoro di competenza territoriale.
Del secondo genere d’interventi, che mirano alla creazione di
nuovi posti di lavoro e ad un uso più flessibile della manodopera,
fanno parte i nuovi contratti di lavoro a tempo determinato. Il
contratto a tempo indeterminato, l’unico esistente fino a poco tempo
fa, è stato affiancato da nuovi tipi di contratto quali l’apprendistato e il
contratto di formazione lavoro.
L’apprendistato è nato per favorire il passaggio dei giovani
dalla scuola al luogo di lavoro; è un rapporto di lavoro in forza del
quale l’imprenditore è obbligato ad impartire al dipendente
l’insegnamento necessario per acquisire le capacità tecniche
necessarie per divenire un lavoratore qualificato.
116
Originario del 1955 l’ultima modifica risale alla legge n° 196/97
che ha esteso la disciplina dell’apprendistato a tutte le attività
produttive. Tale contratto riguarda tutti i giovani compresi tra i 16 ed i
24 anni, l’assunzione può essere sia a tempo parziale che a tempo
pieno ed è stabilito un limite di assunzioni pari al numero dei
lavoratori qualificati già presenti nell’azienda. La durata del contratto
è compresa tra i 18 mesi ed i 4 anni ed i datori che stipulano questo
tipo di contratto sono esentati dai contributi previdenziali (sostituiti
con una quota fissa); questa agevolazione contributiva è mantenuta
anche per l’anno seguente se il contratto d’apprendistato da luogo in
seguito ad una contratto a tempo indeterminato. Queste agevolazioni
contributive vengono riconosciute solo se i lavoratori apprendisti
partecipino ad iniziative di formazione esterne all’impresa e previste
dai contratti nazionali di lavoro (almeno 120 ore annue).
Il contratto di formazione lavoro, istituito dalla legge n° 863/84,
è stato anch’esso modificato dalla legge n° 169/97. Destinatari di
questo contratto sono i giovani compresi tra i 16 ed i 32 anni e tra i
datori di lavoro, oltre ai privati, rientrano anche enti pubblici
autonomi, enti di ricerca ed associazioni di vario tipo. Il contratto può
essere sia a tempo parziale che tempo pieno e si differenzia in base
alle professionalità acquisite, alle agevolazioni contributive ed alle ore
di formazione necessarie. Alla fine del rapporto di lavoro il datore
rilascia un attestato di professionalità e trasmette alla commissione
territoriale per l’impiego la certificazione dei risultati raggiunti dal
117
contrattista. Il contratto di formazione lavoro può anche essere
convertito a tempo indeterminato, ferme restando le agevolazioni
contributive nei limiti di tempo stabiliti.
Le associazioni sindacali, a cui va riconosciuto un grande
impegno nell’aver modificato, di concerto con governo ed
imprenditori, il sistema occupazionale, sembra però non aver colto
pienamente le possibilità create dall’evoluzione della normativa,
soprattutto quella riguardante i nuovi servizi per l’impiego.
Modificatosi il tessuto produttivo, sempre più flessibile ed
atomizzato, modificatasi l’apparato normativo, con il proliferare di
nuove forme contrattuali, le associazioni sindacali non hanno fatto
seguire a questi cambiamenti proposte concrete ed operative. Le
resistenze che si pongono sono essenzialmente di tipo culturale, in
quanto ai sindacati viene chiesto in primo luogo di impegnarsi
ricoprendo un ruolo del tutto nuovo e sconosciuto per l’esperienza
italiana. In secondo luogo vanno ricordate le forti differenze
ideologiche tra le confederazioni sindacali, ognuna con la propria
storia, i propri referenti culturali ed i differenti orientamenti di valore.
Tutto ciò ha rallentato molto ma non ha impedito il nascere di
nuove esperienze, che rappresentano per ora pochi casi isolati ma
potrebbero divenire un punto di riferimento per prospettive più ampie.
Va inoltre ribadito che il settore edile si presenta avvantaggiato
rispetto agli altri settori grazie all’esperienza maturata tramite gli enti
bilaterali. Visti da sempre come un fattore di arretratezza del settore
118
questi enti sono oggi di grande modernità per le implicazioni
concertative che ha assunto il sistema delle relazioni industriali
italiano.
Già decentrati territorialmente, Casse Edili e Scuole Edili
potrebbero essere, in virtù delle funzioni da loro assolte, gli enti
preposti ad una gestione del mercato del lavoro interna al settore edile.
Questi enti paritetici possiedono infatti molti dati relativi la
struttura delle imprese, la loro localizzazione, il numero e la
composizione per qualifica dei loro dipendenti, alcune Casse Edili
elaborano addirittura delle liste di mobilità dei lavoratori iscritti;
inoltre le Scuole Edili possono intervenire, oltre che come supporto
informativo, anche dal punto di vista operativo, formando in tempi
considerevolmente brevi le figure professionali più richieste dalle
imprese edili.
Un esempio positivo può essere considerato lo SPIC
(Segnalazione di Personale per le Imprese di Costruzione) nato a
Verona in base alla legge n° 511/97, gestito dalla Cassa Edile di
Verona e dall’Edilscuola di Verona. Ambedue gli enti sono
statutariamente senza scopi di lucro ed i costi di realizzazione e di
gestione del progetto sono a loro carico. Questo SPIC è un servizio
per l’impiego, con sede all’Edilscuola di Verona, che raccoglie
informazioni, ottenute tramite la compilazione di una semplice scheda,
i cui destinatari sono inoccupati, disoccupati, occupati fuori settore in
imprese edili non iscritte al sistema Casse Edili, lavoratori autonomi.
119
Tutte le informazioni pervenute vengono immagazzinate e
registrate in un sistema informatico che collega Cassa Edile e
Fondazione Edilscuola; ciascun candidato resta presente in banca dati
per un periodo di 6 mesi e non viene registrato se risulta già iscritto in
Cassa Edile. Le imprese che vogliono ottenere informazioni possono
contattare telefonicamente o via fax l’Edilscuola indicando i requisiti
anagrafici e professionali che il candidato deve possedere.
Lo SPIC evade la richiesta dell’impresa inviando entro 24 ore la
lista dei lavoratori in possesso dei requisiti indicati. Sta all’impresa
contattare e selezionare i candidati e comunicare all’Ente Scuola
l’eventuale assunzione. Nel frattempo per i lavoratori che stentano a
trovare lavoro a causa della loro qualifica, l’Edilscuola provvede con
corsi di orientamento e formazione mirati a fornire le competenze
necessarie per favorire il loro accesso al lavoro.
Il settore edile veronese è il primo settore industriale a dotarsi di
un servizio di segnalazione di manodopera in grado di produrre una
fluidificazione del mercato del lavoro con grandi vantaggi per le parti
sociali. La finalità di questo servizio è duplice: da un lato aumentare
l’ingresso dei giovani in un settore che offre loro poche attrattive,
dall’altro cercare di attrarre nel settore del lavoro tutelato i lavoratori
edili che operano al di fuori di esso.
La grande mole di informazioni che perviene tramite le schede
d’iscrizione allo SPIC fornisce inoltre agli enti addetti alla formazione
del settore una vasta base di dati, utile per orientare le politiche
120
formative, aumentando e garantendo così la professionalità all’interno
del settore. Oltre l’aver posto un utile collegamento tra ingresso al
lavoro e progressione professionale, si ha anche il vantaggio indiretto
di promuovere l’immagine del lavoro tutelato dal sistema delle Casse
Edili e dell’attività sindacale stessa.
E’ quindi auspicabile anche per le altre provincie la creazione di
organismi similari, così da formare una rete di servizi per l’impiego
gestita pariteticamente dalle parti sociali, utili per il reperimento di
informazioni relative al mercato del lavoro e tali da promuovere
interventi mirati, soprattutto in campo formativo.
121
4. Conclusioni
Le Casse Edili sono ormai un’esperienza consolidata per il
settore. Se questi enti paritetici hanno resistito fino ad oggi,
certamente è dovuto ad un quid che li fa vivere, che ne garantisce la
continuità anche nel cambiamento.
Questo quid è rappresentato dalla loro funzione primaria: la
mutualità e la certezza dei costi per le imprese, la complementarità e
l’integrazione alla legislazione sociale per i lavoratori edili.
Anche se l’edilizia dovesse trasformarsi ulteriormente, il
sistema delle Casse Edili sarà sempre necessario per ottenere la
certezza di diritti, di doveri e di garanzie per gli imprenditori ed i
lavoratori del settore. La vera rivoluzione copernicana è l’idea di
organizzare la rete di tutele e diritti in funzione del rapporto che si
istaura con il settore piuttosto che con l’azienda; questa è la vera
peculiarità del sistema delle Casse Edili, che ha consentito a questo
strumento di essere in sintonia con le reali dinamiche di un settore
connotato da forte mobilità e flessibilità.
A questa funzione il sistema delle Casse Edili ha sempre assolto
egregiamente, estendendo la propria attività al di la di quanto stabilito
contrattualmente, mediante lo sviluppo di una serie di assistenze
integrative. Queste si sono sviluppate in tre filoni: promozione del
122
diritto allo studio, forme di assistenza assicurativa privata ed infine lo
sviluppo di attività sociali e culturali dei lavoratori.
I risultati raggiunti sono lodevoli e di grande utilità per il settore
edile, ma si tratta solo di questo?
Evidentemente no poiché, come abbiamo visto, questi enti sono
suscettibili di molte evoluzioni, primo tra tutte la lotta al lavoro nero e
all’evasione contributiva. Lo scarto tra lavoro effettivamente
denunciato e lavoro effettivamente svolto è in aumento preoccupante
in tutti i settori e in quello edile in modo particolare. Le Casse Edili
possono combattere questo fenomeno mediante l’incrocio dei dati con
altri enti pubblici (INPS, INAIL e stazioni appaltanti) ed esercitando
un’azione di controllo della quale ha ormai preso coscienza anche
l’apparato legislativo mediante le leggi n° 55/90 e n° 341/95 che
istituiscono alcune agevolazioni contributive alle imprese in regola
con i versamenti ai vari sistemi di garanzie contrattuali.
Anche per la previdenza integrativa le Casse Edili
rappresentano uno strumento efficace per abbattere i costi di service,
per la raccolta dei contributi e come sistema informativo di supporto
all’attività del fondo pensione. Queste attività è stata molto facilitata
dall’adozione di un bilancio tipo proposto della CNCE e conseguente
certificazione dello stesso da parte di società di revisione accreditate
dalla CONSOB, che ha portato trasparenza nella gestione di questi
enti.
123
Da non dimenticare poi la costituzione dell’Osservatorio di
settore che attinge i fondi e i dati necessari alla sua attività proprio dal
sistema delle Casse Edili. Queste possono infatti spiegare, in virtù dei
dati in loro possesso, l’articolazione interna, il rapporto tra
occupazione e struttura delle imprese, nonché favorire il raccordo tra
domanda e offerta di lavoro all’interno del settore.
Di fatto le Casse Edili rappresentano uno dei modelli
partecipativi più sviluppati nell’orizzonte italiano, nate dalla
contrattazione di settore ancor prima della ventata concertativi che ha
investito l’Italia negli anni novanta. Che questo sia un modello
concertativo è facilmente dimostrabile in quanto vi è la presa d’atto
che sussistono aree d’interesse comune tra le parti sociali
(riconoscimento che passa attraverso la costituzione di questi enti
terzi), si ha un utilizzo molto limitato dell’arma del conflitto e vi è
inoltre il superamento dell’indifferenza morale dei lavoratori nei
confronti dell’impresa che rappresenta un elemento importantissimo
della partecipazione.
Va però fatto notare che l’esperienza delle Casse Edili si
distacca molto, sia nella sua affermazione storica che nella prassi di
gestione, dalle altre esperienze di concertazione che hanno
caratterizzato il nostro paese.
Difatti tutte le esperienze realizzate in Italia dal settantasette ad
oggi hanno sempre avuto come soggetto promotore e come primo
attore quello pubblico: il Governo.
124
Le parti sociali hanno avuto certamente un ruolo attivo nello
svolgersi delle trattative ma, sia la breve durata di queste esperienze,
sia l’estraneità della cultura sindacale italiana alle pratiche di
concertazione sociale, hanno fatto si che quanto realizzato fosse di
breve termine e dai risultati alquanto modesti. La mutata situazione
economico-finanziaria degli anni ottanta ha comportato invece una
riproposizione della concertazione sociale soprattutto nella sua
variante “tripolare”, con forte inclusione dei gruppi di interessi
organizzati e con un intervento alquanto netto e stringente dell’attore
pubblico. Questo indirizzo, perfettamente riscontrabile nei propositi
del protocollo del Luglio 1993, determina così un nuovo stato delle
reazioni industriali italiane, caratterizzatosi per la forte
centralizzazione delle decisioni maturate, per una politica dei redditi
calcolata sui scala aggregata e per un sistema sanzionatorio che rende
forse più breve ed efficace, ma di fatto anche molto meno flessibile, lo
strumento della concertazione sociale.
Le direzioni in cui invece lo strumento della concertazione
sembra evolversi più efficacemente sono quelle caratterizzate dalla
dimensione meso e micro, ovverosia al livello territoriale ed
aziendale, che rappresentano le uniche due dimensioni capaci di
conciliare le domande di efficienza produttiva e di flessibilizzare della
manodopera proveniente dalle imprese senza intaccare più del dovuto
la rete di garanzie contrattuali e le esigenze di sicurezza sociale
proprie del mondo del lavoro.
125
Nel panorama delle reazioni industriali italiane l’esperienza
delle Casse Edili può così essere considerata una esperienza sui
generis, classificabile come un’esperienza meso-concertativa, in
comune con la prassi della concertazione ha: il compromesso e la
negoziazione continuata gli interessi rappresentati dalle due parti
costitutive individuata su una dimensione territoriale, la conseguente
assunzione di responsabilità e di comportamenti conformi agli
impegni presi, il continuo riferimento ad interessi che trascendono a
dimensione più propriamente territoriale.
Si distacca però dall’esperienza di concertazione sociale così
come si è affermata storicamente in Italia poiché mentre quest’ultima
è classificabile all’interno della variante che abbiamo prima definito di
tipo triangolare, il sistema delle Casse Edili sembra essere molto più
vicino per logica e caratteristiche ch’egli sono proprie, alla variante da
noi individuata come bilaterale.
Nell’esperienza di questi enti paritetici le promotrici e le garanti
del loro buon funzionamento sono sempre e solo state le controparti
sociali; queste hanno agito sempre in piena autonomia di scelta ed il
risultato che ne è scaturito, anche al prezzo di aspri e sanguinosi
conflitti, è un’esperienza unica nel suo genere. Si è avuta per molto
tempo e tuttora permane una sorta di “autogestione del settore” in
controtendenza agi orientamenti più generali che, sia da parte
imprenditoriale che sindacale, si rifacevano a teorie conflittualiste.
126
Uno dei dati più salienti è stato il prevalere di un orientamento
pragmatico, che ha portato all’individuazione di una serie di
problematiche comuni alle controparti ed ha favorito l’esplicarsi di un
dialogo che, attraverso alterne vicende, non si è mai chiuso ma al
contrario si è sempre arricchito investendo sempre più campi d’azione
ed impiegato sempre maggiori risorse.
L’azione del terzo attore, quello pubblico, non è stata mai
determinante poiché sussistenza e legittimazione delle Casse Edili
sono sempre passate per la contrattazione di settore, sia di primo che
di secondo livello. La bilateralità di questi enti ha di fatto favorito lo
sviluppo del dibattito sui problemi del settore senza caricarlo di
ingerenze da parte di autorità terze ed esterne a quest’ultimo e
rappresenta quindi uno dei punti forti di questa esperienza,
caratterizzata da una interpretazione della concertazione differente
dalla variante triangolare, intesa come prassi dell’agire politico.
All’attore pubblico è stato riservato un ruolo di rifinitore e di
copertura legislativa delle decisioni già prese, azione che alcune volte
è stata anche insufficiente e inferiore alle aspettative. Va puntualizzato
poi che in base al principio di sussidiarietà da noi preventivamente
concettualizzato, l’organismo statale non ha fatto che trarre
giovamento da questa delega funzionale al governo del settore poiché
in termini di qualificazione delle imprese e di regolarità contributiva
tutto ciò si è manifestato in una emersione di lavoro nero che ha
127
portato ad un extra gettito contributivo in termini di tassazione e
contribuzione.
Altra caratteristica del sistema delle Casse Edili è la spiccata
territorialità, che come abbiamo visto si situa sulla dimensione
amministrativa delle provincie. Una divisione delle competenze in
questi termini ha comportato per il settore grandi benefici poiché
innanzitutto ha consentito alle Casse Edili una marcata vicinanza a
coloro che ne usufruiscono dei servizi (sia i lavoratori che le imprese)
rendendolo uno strumento tangibile e riconoscibile soprattutto in virtù
della natura economica di gran parte delle sue prestazioni.
Ha inoltre facilitato il dialogo con altri enti, pubblici e non, per
la promozione delle più svariate iniziative poiché anche questi ultimi
ricalcano la stessa dimensione territoriale e si trovano coinvolti nella
gestione delle stesse problematiche.
Ultimo e più importante, tale suddivisione territoriale ha
consentito al sistema delle casse Edili di rispondere efficacemente e
tempestivamente alle domande provenienti dalle specificità territoriali,
comportando così al livello nazionale una diversificazione delle
prestazioni, sia per i lavoratori che per le imprese, a volte troppo
iniqua.
Se dunque il sistema delle Casse Edili si è affermato come uno
strumento dotato di grande flessibilità e caratterizzatosi per molte
specificità territoriali, vanno però messi in luce anche gli effetti
controproducenti di questo sistema territoriale.
128
Il primo, come abbiamo sopra accennato, è la crescente iniquità
delle prestazioni erogate da zona a zona, anche tra province contigue.
La causa principale di questa iniquità è intrinseca alla modalità di
finanziamento stessa del sistema Casse Edili, finanziamento che
avviene su base provinciale e che comporta un preservarsi ed un
accentuarsi del divario tra province ricche, nelle quali i versamenti
sono ingenti e le prestazioni erogate sono più che dignitose, e province
povere, in cui l’ammontare dei versamenti consente giusto i pareggio
di bilancio delle prestazioni stabilite dal contratto nazionale.
Il secondo effetto che si viene a creare è l’enorme dispersione
delle risorse economiche necessarie per mantenere il sistema delle
Casse Edili al livello provinciale, se la vicinanza e la facilità di
reperibilità è un elemento che gioca a favore di questa divisione, va
però fatto notare che il mercato del lavoro nel settore edile si evolve
sempre più verso una dimensione regionale e di conseguenza la
proposta più plausibile, anche se lede molti interessi costituiti, sembra
essere quella di situare il luogo decisionale e politico del sistema delle
Casse Edili ad un livello superiore che potrebbe benissimo essere di
dimensione regionale. A sostegno di questa tesi giocano i più recenti
sviluppi informatici che consentirebbero un enorme risparmio delle
risorse del sistema paritetico ed una trasposizione in tempo reale di
tutti i dati necessari. Al livello provinciale possono e devono invece
permanere degli sportelli informativi che, in virtù delle risorse
risparmiate, potrebbero ricoprire il territorio con più capillarità.
129
Comunque, malgrado questi aspetti di criticità, quella delle
Casse Edili emerge come un’esperienza molto utile, senz’altro più
significativa degli organismi congiunti delle altre categorie industriali
che hanno spesso solo valore consultivo e non gestiscono affatto
risorse economiche.
L’originalità di questo modello concertativo e partecipativo sta
inoltre nella possibilità di poterlo esportare ad altre categorie
caratterizzate dalle stesse peculiarità produttive: spiccata territorialità,
uso flessibile della forza lavoro, frantumazione delle strutture
produttive.
Le casse Edili rappresentano così un modello partecipativo che
investe, almeno per ora, solo una dimensione della partecipazione:
quella relativa all’impiego, alla tutela e al rendimento del lavoro.
Restano tagliate fuori da questo modello altre due dimensioni
fondamentali: la partecipazione alle decisioni d’impresa e la
partecipazione ai risultati economici.
Se la partecipazione alle decisioni d’impresa non sembra
attuabile almeno in tempi brevi, soprattutto a causa della
frammentazione del tessuto produttivo edile, resta almeno attuabile
un’azione concertata al livello meso-territoriale, promuovendo un
maggiore raccordo tra stazioni appaltanti e sistema delle Casse Edili e
coinvolgendo i rappresentanti dei lavoratori nelle decisioni di
pianificazione edilizia.
130
Per quanto attiene invece la partecipazione economica, questa
sembra essere più facilmente raggiungibile se decollerà la previdenza
integrativa, che va però supportata da un effettivo e vincolante
controllo nella gestione degli investimenti, e che lasci a intravedere
una partecipazione indiretta ai profitti mediante le svariate forme di
project financing.
Tutto questo va letto alla luce di una piena ed effettiva
reciprocità dei molteplici sistemi imprenditoriali del comparto edile:
in particolare con il settore degli artigiani che rappresentano una realtà
in forte sviluppo e che non possono assolutamente essere estromessi
dalla partecipazione al governo del settore in quanto estremamente
numerosi e decisamente sottorappresentati.
È questo un nodo saliente da sciogliere per garantire al sistema
delle Casse Edili una maggiore efficacia, in quanto queste ultime sono
la manifestazione più visibile di un sistema di enti bilaterali di tipo
mutualistico e previdenziale molto frammentato.
Tali enti bilaterali hanno natura, legittimazione e prestazioni
differenti dal sistema delle Casse Edili, poiché fanno riferimento per
la loro istituzione ai contratti collettivi, la loro armonizzazione
all’interno del sistema delle Casse Edili sembra essere un’operazione
molto difficoltosa poiché l’associazione più rappresentativa (l’ANCE)
teme la perdita del monopolio della rappresentanza e dei proventi
economici provenienti dal sistema delle Casse Edili.
131
Al di là degli accordi già citati resta però una forte
discriminazione nei confronti dei lavoratori che, cambiando col
rapporto di lavoro anche il sistema di enti mutualistici, non si vedono
maturati ed accumulati i diritti loro spettanti. Un’azione in tal senso è
stata operata mediante le due leggi quadro dell’edilizia: la n° 109/94 e
la n° 415/98, che dapprima demandando un accordo alle parti sociali,
hanno poi imposto una effettiva reciprocità ai vari sistemi.
Resta però forte la frattura all’interno del sistema
imprenditoriale che auspichiamo ricomponibile nonostante i differenti
interessi poiché, presentando il sistema delle Casse Edili come uno
strumento di gestione del settore anche in forza del decollo della
previdenza integrativa che mobiliterà nuove ed ingenti risorse, non è
più accettabile che le rappresentanze delle associazioni artigiane e
delle cooperative restino ai margini delle decisioni politiche maturate
per il settore; il presupposto per l’efficienza degli strumenti di
partecipazione e di democrazia economica è comunque basato sul
concetto di rappresentanza che deve essere proporzionale alle voci che
vengono rappresentate.
132
5 Appendice
5.1Prestazioni individuali/contrattuali
Ferie, festività e gratifica natalizia (GNF) E’ la prima delle
funzioni assegnate alle Casse Edili sin dalla loro ricostruzione,
avvenuta mediante il contratto nazionale del 1950; questo istituto,
sorto in alternativa all’accantonamento80 presso gli istituti di credito
oppure al versamento diretto da parte delle imprese, è stato ora
istituzionalizzato. Si tratta del salario differito, composto dagli
accantonamenti per ferie, festività e gratifica natalizia, altrimenti
conferiti ai lavoratori mensilmente nella busta paga81. Il contratto
nazionale del 1995 ha stabilito la misura della sua contribuzione per:
l’8,5% per le ferie, il 10% per la gratifica natalizia e il 4,95% per
riposi annui. L’importo viene accantonato dalle imprese presso le
Casse Edili, nella misura del 18% della retribuzione al netto delle
imposte e del 23,45% al lordo, i cui importi vengono corrisposti al
lavoratore con scadenza semestrale, di norma a Luglio e a Dicembre
Trattamenti per malattia ed infortuni. Sono tra le prime
prestazioni assolte dalle Casse Edili; venivano infatti erogate sin dal
1919. E’ una delle prime funzioni contrattuali, insieme al GNF, in
80 L’accantonamento ha per oggetto una percentuale forfettizzata della retribuzione, assunta come equipollente dei compensi per ferie festività e gratifica natalizia che deve essere accantonata ex lege n° 741/59. 81 La scelta dell’accantonamento è stata prediletta così da garantire in alcuni periodi dell’anno una certa disponibilità di risorse al lavoratore dipendente.
133
vigore già dagli anni sessanta in molte provincie, nelle quali veniva
integrato fino all’80% della retribuzione perduta causa malattia. Il
contratto nazionale del 1973 elevò la copertura per infortunio al 100%
e quella per malattia al 90%, e stabilì la misura del contributo per 3/4
a carico dei datori di lavoro e il restante 1/4 a carico dei lavoratori
(soprattutto per il finanziamento delle iniziative collaterali e delle
spese di gestione). Il contratto nazionale del 1976 previde l’elevazione
dell’integrazione salariale per malattia al 100%, e stabilì che le Casse
Edili anticipassero al lavoratore i trattamenti dovuti loro dagli enti
pubblici INAM e INAIL. Per realizzare tale copertura fu costituito un
fondo di rotazione la cui misura del contributo era fissata nell’ambito
massimo del 3% della retribuzione imponibile; suddivisa per 5/6 a
carico dei datori di lavoro e il restante 1/6 a carico dei lavoratori. Il
contratto collettivo del 1983 ha cancellato la disposizione riguardante
l’anticipazione dei trattamenti da parte delle Casse Edili e quello del
1987 ha stabilito che fosse dovere dell’impresa erogare direttamente ai
dipendenti il trattamento economico per malattia ed infortuni così da
garantire trasparenza nella gestione dell’istituto. Recenti accordi
integrativi hanno ulteriormente ampliato l’ambito della tutela per i
lavoratori, prevedendo anche la retribuzione dei primi tre giorni di
assenza per malattia non coperti dall’INPS tramite le Casse Edili82.
82 Ad esempio dalla Cassa Edile di Roma
134
Trattamento APE Data la discontinuità del rapporto di lavoro
presente nel settore edile, è difficile per il lavoratore maturare una
prestazione salariale legata all’anzianità, poiché è difficile che esso
lavori sempre nella stessa impresa. Le associazioni sindacali hanno
allora cercato di legare questa integrazione salariale non alla
permanenza del lavoratore presso una singola impresa, ma alla sua
permanenza nel settore delle costruzioni. Il primo istituto fu quello
dell’anzianità di mestiere, previsto dal contratto nazionale del 1966,
maturato anche presso più datori di lavoro; si giovava di questo
istituto dopo 10 anni di attività nel settore e dopo aver prestato per
ogni anno 1500 ore di lavoro, anche contabilizzate presso più Casse
Edili. Il contratto nazionale del 1976 modificò questo istituto,
trasformandolo nel premio di professionalità edile; questo premio
maturava ogni tre anni a fronte di 3000 ore di lavoro e calcolato in
aliquote crescenti proporzionali all’anzianità nel settore. I parametri di
calcolo erano però tali da rendere esiguo il numero dei lavoratori che
giovavano di questo premio. Venne così istituito dal contratto
collettivo del 1979 il nuovo istituto di anzianità professionale edile
(APE), che viene corrisposto al lavoratore annualmente, in occasione
del 1° Maggio, se questi ha maturato nel biennio precedente 2100 ore
di lavoro. L’entità della prestazione è determinata in base a: numero di
ore lavorate, qualifica e numero degli anni nei quali il lavoratore ha
maturato la prestazione. Il fondo di questo istituto viene finanziato dai
datori di lavoro tramite una percentuale stabilita dalla contrattazione di
135
secondo livello. Ciò è dovuto proprio alla grande differenza tra i
mercati del lavoro regionali che variano in base alla mobilità
territoriale della manodopera, e i contributi versati nel fondo APE
sono generalmente inversamente proporzionali alla discontinuità dei
rapporti di lavoro.
APES L’anzianità professionale edile straordinaria è un istituto
contrattuale previsto dall’accordo del 15 Novembre 1984 per risarcire
i lavoratori edili del mancato assoggettamento contributivo della
prestazione APE ai fini pensionistici. La caratteristica di questa
prestazione è che essa viene erogata al momento del pensionamento, e
perciò si avvicina molto all’istituto della liquidazione. Tale istituto ha
subito nel corso degli anni una serie di adattamenti; il più significativo
è quello del 23 Gennaio 1990, consistente nella creazione di un fondo
a capitalizzazione, gestito e accantonato presso la Cassa Edile,
utilizzando i contributi versati dai datori di lavoro nel fondo APE ed i
relativi interessi. E’ questa una delle ulteriori linee direttrici dello
sviluppo delle nuove prestazioni erogabili dalle Casse Edili, poiché
già presso alcune di esse vengono accantonati i trattamenti di fine
rapporto (TFR), mediante i quali le Casse Edili possono anticipare ai
lavoratori altre indennità. Il problema di questa gestione è però quello
di privare le imprese di una parte consistente delle fonti del loro
autofinanziamento, rendendole così meno competitive. L’accordo del
11 Giugno 1997 ha così decretato il riassorbimento del fondo APES
136
all’interno di quello per la previdenza complementare entro il 31
Dicembre 2003.
Diritto allo studio E’ uno dei più recenti istituti. Consente agli
studenti lavoratori, iscritti o frequentanti corsi regolari di studio presso
istituti pubblici o istituti legalmente riconosciuti, la possibilità di
sostenere prove d’esame e di godere di un permesso retribuito. Sono le
imprese a provvedere all’anticipazione della retribuzione della quale
chiederanno poi il rimborso alla Cassa Edile.
5.2 Prestazioni collettive/contrattuali
Nonostante gestiscano istituti che riguardano principalmente il
rapporto individuale di lavoro, le Casse Edili nascono tuttavia
inquadrate in una dimensione collettiva, poiché vengono legittimate
dalla contrattazione nazionale e sono gestite dalle parti sociali con
modalità esplicitamente negoziali. Tutte le prestazioni a carattere
collettivo comprendono non solo la regolamentazione dei rapporti di
lavoro, ma anche la conoscenza e la capacità d’intervento delle parti
sociali nell’evoluzione del mercato del lavoro.
Riscossione dei contributi sindacali La prima prestazione in
questo senso è affidata alle Casse Edili dal contratto nazionale del
1973; data la forte dispersione dei lavoratori sul territorio, questo
137
istituto è stato un forte incentivo alla fondazione delle Casse Edili,
capace di radicare le presenza del sindacato sul territorio e tale da
garantire una certa continuità delle risorse. Inizialmente la riscossione
dei contributi sindacali era ottenuta mediante il rilascio di una delega
individuale che consentiva alla Cassa Edile di trattenere una
percentuale della somma accantonata per il lavoratore. La scelta della
trattenuta tramite delega era però mal vista dalle associazioni
sindacali con meno iscritti, che temevano il consolidarsi della
posizione di vantaggio della FILLEA-CGIL; FILCA-CISL e
FENEAL-UIL propendevano invece per una contribuzione tramite
quote di servizio ripartite pariteticamente tra le tre associazioni
sindacali.
Data l’inconciliabilità delle posizioni l’accordo del 28 Luglio
1964 riconosceva il sistema della trattenuta tramite delega ma
introduceva una quota di servizio intorno allo 0,1%- 0,15% della
retribuzione. Il contratto nazionale del 1966 escluse invece la
sovrapposizione dei due sistemi e previde che il pagamento delle
quote di servizio fosse esteso anche alle associazioni imprenditoriali.
Il contratto di categoria del 1976 stabilì infine l’attuale sistema
di contribuzione che si articola nelle seguenti voci. Quote d’adesione
contrattuale o di servizio, obbligatorie per tutte le imprese ed i
lavoratori iscritti al sistema delle Casse Edili. Queste sono a loro volta
suddivise in: quote d’adesione contrattuale nazionali per le
associazioni sindacali (0,185%) e imprenditoriali (0,185%), e quote
138
d’adesione contrattuale per le associazioni imprenditoriali e sindacali
territoriali (stabilite dalla contrattazione di secondo livello e variabili
da un minimo dello 0,30% ad un massimo dello 0,70%). Alle quote di
adesione contrattuale vanno ad aggiungersi le quote rilasciate tramite
delega, che autorizzano le Casse Edili a trattenere sul GNF
accantonato per il lavoratore una percentuale territorialmente
contrattata e versata all’associazione sindacale d’appartenenza.
Mutualizzazione dei permessi sindacali Altro istituto molto
recente è quello della copertura retributiva dei permessi sindacali.
Questa rivendicazione ha trovato terreno fertile negli accordi
concertativi del 1993, che hanno istituito in tutti i settori industriali la
formazione delle unità di rappresentanza di base al livello aziendale
(RSU)83.
Nel settore edile, l’accentuata mobilità delle imprese e la
dimensione artigianale della maggior parte di queste, ha reso quasi
impossibile la costituzione delle RSU, e la funzione di rappresentanza
sindacale è stata integrata dalle RSLT, ovvero delle rappresentanze
territoriali che coprono aree provinciali e distrettuali84. Le Casse Edili
si sono così impegnate a mutualizzare l’onere delle rappresentanze
sindacali, coprendo la retribuzione delle ore dedicate all’attività
sindacale dai lavoratori designati.
83 La costituzione delle RSU si è resa possibile solamente nei grandi cantieri di opere pubbliche. 84 Il settore edile ha così mutualizzato la rappresentanza sindacale poiché la dimensione artigianale di molte imprese rendeva i costi della rappresentanza sindacale troppo onerosi per il bilancio di una sola impresa.
139
Riscossione dei contributi per formazione e sicurezza. Una
delle più importanti prestazioni a carattere collettivo é il
finanziamento degli altri enti paritetici: Scuole Edili e Comitati
Tecnici Paritetici (CTP), che si occupano rispettivamente di
formazione e sicurezza sul lavoro.
Le Casse Edili possono infatti aiutare queste attività di
formazione, riqualificazione e sicurezza, tramite la riscossione dei
contributi accantonati presso di esse dai datori di lavoro, e tramite
l’elaborazione dei dati che le imprese sono tenute a fornire al sistema
delle Casse Edili al momento della loro iscrizione. Date le
caratteristiche del settore edile, l’esternalizzazione (mediante la
costituzione di enti paritetici appositi) delle attività di formazione e
sicurezza è infatti una necessità oggettiva.
Soprattutto a partire dagli anni ‘70 si sviluppa inoltre una fitta
rete di diritti d’informazione tra le parti sociali, che ha posto nel
contratto nazionale del 1976 l’obbligo alle stazioni appaltanti di
comunicare alle Casse Edili la denominazione delle imprese
appaltatrice, e l’obbligo a queste ultime di iscriversi presso le Casse
Edili. A queste è stato così affidato il compito di elaborare i dati in
loro possesso, trasformando un istituto mutualistico in un vero e
proprio centro di rilevazione ed osservazione del settore, della
composizione della forza lavoro, della sua mobilità e della sicurezza
dell'ambiente di lavoro. Gli ultimi integrativi degli anni ‘80 hanno
140
rafforzato questa tendenza, riconoscendo agli enti paritetici la
funzione d’analisi del sistema produttivo e del mercato del lavoro.
Osservatorio Proprio grazie a queste nuove acquisizioni e in
base allo sviluppo dei diritti d’informazione, secondo il contratto
nazionale del 5 Luglio 1995 che estende il sistema informativo tra le
parti sociali anche al livello territoriale, è stata prevista la costituzione
di un osservatorio paritetico del mercato del lavoro85.
Il fine di questo enti è il monitoraggio delle dinamiche del
mercato, della domanda e dell’offerta del settore, dei flussi
d’investimento e degli andamenti di appalti e subappalti. Gli strumenti
informativi dell’osservatorio sono soprattutto le Casse Edili, che
possiedono dati riguardanti la struttura delle imprese e gli occupati del
settore. A questi si aggiungono i dati messi a disposizione dagli istituti
previdenziali86, quelli della camera di commercio e delle indagini
statistiche pubbliche. L’osservatorio è per contratto interno al sistema
delle Casse Edili ed il suo contributo, che non deve gravare sulle
imprese, viene stanziato da queste, determinato di anno in anno dalle
parti sociali. Recentemente si sta avvertendo l’esigenza di accorpare
ed unificare le varie esperienze in un unico osservatorio comune sia
alle parti sociali che agli enti istituzionali per garantire una
metodologia ed una classificazione dei dati comune ed omogenea a
tutti.
85 Legge n° 109/94 86 INAIL ed INPS.
141
5.3 Prestazioni individuali/extracontrattuali
Assistenze sanitarie Sono quelle assistenze sanitarie
complementari che le Casse Edili erogano in base alle compatibilità di
bilancio. Le prestazioni erogate sono molte e molto differenziate sul
territorio: le principali riguardano rimborsi per l’acquisto di protesi e
cure dentistiche, occhiali e supporti acustici, contributi per malattie
gravi, cui possono aggiungersi aiuti per le donazioni di sangue,
assistenze ai familiari portatori di handicap e contributi straordinari
per malattie professionali.
Essendo queste prestazioni extracontrattuali, spesso l’accesso ai
trattamenti è limitato dai vincoli di bilancio delle Casse Edili, ed è il
Comitato di gestione composto dalle parti sociali a stabilire le misure,
il numero ed i parametri a cui devono rispondere gli aventi diritto.
Sussidi vari Sotto questa voce ricadono alcuni trasferimenti,
diretti o indiretti, causa morte del lavoratore o di un familiare a carico
(assegno e permesso funerario), sussidi per l’acquisto della prima
casa, rivolti soprattutto a lavoratori giovani ed immigrati. Altri tipi di
sussidio praticati dalle Casse Edili sono gli assegni di nuzialità e
natalità.
Assicurazioni E’ una copertura assicurativa della quale godono
i dipendenti delle imprese iscritte alle Casse Edili, riguardante
142
soprattutto gli infortuni sul lavoro e gli interventi chirurgici, ma può
riguardare anche infortuni extraprofessionali ed invalidità permanenti.
Soggiorni e colonie Alcune Casse Edili annualmente
promuovono programmi turistici ai quali si accede attraverso bandi di
partecipazione e per i quali viene stilata una graduatoria. Allo stesso
servizio possono accedere anche i figli dei lavoratori che necessitano
di soggiorni in alcune zone climatiche.
Assistenza allo studio Molte Casse Edili forniscono ai
lavoratori dipendenti iscritti un numero limitato di borse di studio alle
quali si accede tramite richiesta e loro posizionamento in lista, delle
quali possono giovarsi sia i lavoratori studenti che i figli dei
lavoratori. Va inoltre precisato che, insieme alle assistenze sanitarie, il
sostegno allo studio costituisce l’altro caposaldo delle prestazioni
extracontrattuali a cui tutto il sistema delle Casse ha cercato, mediante
molte esperienze (buoni libro e borse di studio) di dare risposta.
L’assistenza allo studio rappresenta infatti una dei più qualificanti
campi d’intervento per l’immediato futuro.
143
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