! 21-29 AGOSTO 2011!
Dal 21 al 29 agosto 2011 ho
avuto la possibilità, con un
gruppo di giovani e di docenti, di
entrare in un mondo semi-
sconosciuto: i Gulag sovietici. In
particolare ci siamo recati alle
isole Solovki, dove nel 1922
nacque il prototipo di molte
centinaia di luoghi detentivi.
Qui accenno soltanto alla realtà
dei Campi di rieducazione e
scrivo una breve cronaca di
questo viaggio dalle molte
dimensioni: culturale, politica,
religiosa, artistica, umana.
Viaggio complesso dentro una
cultura “altra” che ha fatto di
tutto per cancellare le tracce
dell’orrore. Per questo motivo
ben poco spazio ha avuto la
dimensione emotiva nel viaggio:
difficilmente abbiamo trovato le
vestigia dei campi e, mentre
intelligenza e fantasia dovevano
fare memoria della violenza, i
nostri occhi vedevano luoghi
incantevoli per la natura o l’arte.
Alla ricerca dei Gulag
SPIAGGIA SOLOVKI ALLE 23 MONASTERO DELLE SOLOVKI SVIRSKJI MONASTYR
V I A G G I O I N R U S S I ASan Pietroburgo, Medvezh’egorsk, Isole Soloski
Il primo impatto significativo con
la violenza bolscevica è stato nel
bosco di Levashova. All’ingresso
del bosco recintato ciascuno
suona una campana e fatti pochi
passi cammina sopra decine di
migliaia di morti.
Celebro l’eucaristia sul
monumento che ricorda i caduti
cattolici. In ginocchio e con calice
e patena appoggiati in terra
perché non c’è un tavolo.
Attorno a noi le vittime
dell’odio: persone che hanno
avuto il coraggio di continuare a
pensare e credere. Io invece non
so cosa sperare e pensare. Una
parte di me vede continuità tra il
Mistero del Signore che dona se
stesso sulla croce e questi
uomini e donne. Da questo
punto di vista loro sono i
vincitori. Siamo qui a ricordare il
coraggio, l’intelligenza e la
perseveranza di ciascuno di loro,
non certo l’odio e la stupidità dei
persecutori. Eppure un’altra
parte di me sente il peso della
sconfitta del libero pensare e del
libero credere. Qui migliaia di
persone sono state cancellate e
della maggior parte di loro non
sapremo mai nulla. E’ vittoria
questa? Hanno vinto le pistole
che sparavano alla nuca o il
pensiero e la fede? Il monumento
che troneggia davanti all’ingresso
rappresenta il Moloch che tritura
le sue vittime: vince lui! Le
centinaia di croci su ogni albero
Vincitori e vinti
LEVASHOVA
LA SELVA DI CROCI TRA GLI ALBERI
IL “RITO” DELLA CAMPANA ALL’ INGRESSO
LA MEMORIA DEI MARTIRI
PADRE PIOTR (PARROCO DI SAN VLADIMIRO)
G.U.LAG: GLAVNOE UPRAVLENIE LAGEREJ (DIREZIONE GENERALE DEI CAMPI)
rappresentano, invece, l’Amore
crocifisso che urla la sua
solitudine. Sembra il perdente e
invece è il Vincitore: Mors et Vita
duello conflixere mirando Dux
vitae mortuus regnat vivus.
Continuo a fare fatica ma la
testimonianza di alcuni viene
incontro e aiuta a capire, come
questo racconto sul “prete
consolatore”:
Dalle memorie di !irjaev:Non ricordo il suo cognome, e poi ne sapevamo pochi alle Solovki. Non serviva, perché tutti conoscevano ugualmente padre Nikodim, il «prete Consolatore», e lo conoscevano ugualmente non solo nel formicaio del Cremlino, ma anche nei recessi di Muksalma, a Sarratievo, ad Anzer, e nelle postazioni di lavoro più remote, sperdute nel fitto dei boschi. Tale era stata la sua sorte alle Solovki: era stato dappertutto.I suoi doveri di pastore padre Nikodim li ottemperava anche alle Solovki. La croce pettorale d’argento, la stola e i paramenti glieli avevano portati via a Kem’ nell’ultima perquisizione prima di partire per le isole. Gli avevano lasciato il vangelo, ai ministri del culto era consentito.Egli trascorse con letizia tutto il suo lungo cammino di vita. Da questa letizia non si separò neppure nei suoi ultimi giorni, alle Solovki. E questa letizia cercava di comunicarla a ciascuno, per questo l’avevano soprannominato Consolatore.Ma padre Nikodim non si sottrasse alla Sekira e alla corona del martirio. A Natale avevano architettato, tutta la baracca (una ventina di uomini), di celebrare la messa al buio, prima della levata, finché le porte erano chiuse. Probabilmente fecero tardi. La scorta aprì la baracca nel momento in cui padre Nikodim cantava insieme a due cosacchi l’inno dei Cherubini, all’offertorio. Gli astanti fecero in tempo a fuggire sui pancacci, ma i tre vennero colti sul fatto.- Che fai, prete, distribuisci oppio?Padre Nikodim non rispose - non si può interrompere la messa - si limitò a zittirli col gesto della mano.Finirono tutti e tre alla Sekira.In primavera chiesi a uno dei pochi che erano riusciti a tornare indietro, se conoscesse padre Nikodim.- Il prete Consolatore? E chi non lo conosce alla Sekira!Raccontava «storie sacre» per notti intere nelle cataste.- Quali cataste?- Non lo sa? Non c’è mai stato? Beh, le spiego. D’inverno, sa, la chiesa della Sekira, dove stanno quelli a regime più duro, non viene riscaldata. Ti tolgono anche i vestiti e le coperte. Allora avevamo inventato questo sistema: si dorme a cataste, ci si dispone come tronchi, quattro a quattro di traverso gli uni sugli altri. Poi, di sopra, si ricopre la catasta con tutte le cianfrusaglie a disposizione. Dentro ci si riscalda col fiato. È difficile che qualcuno rimanga assiderato, se il pacco è ben confezionato. Ci disponiamo così subito dopo l’appello serale. Naturalmente, non si riesce ad addormentarsi subito. E allora ascoltiamo le «storie sacre» del prete Consolatore... e l’anima si addolcisce...- Quand’è che gli scade la condanna?- L’ha già terminata. Proprio a Pasqua. Aveva celebrato di notte in un angolo il Mattutino di Resurrezione, si era scambiato il bacio pasquale con noi. Poi ci siamo sdraiati a catasta per dormire un po’ e lui ci ha raccontato la «storia» della resurrezione di Cristo, ma al mattino, quando abbiamo disfatto la catasta il nostro Consolatore non si è alzato. L’abbiamo scosso per svegliarlo, ma era già freddo. Probabilmente è rimasto soffocato: era finito nello strato più in basso. Capita. Quanti uomini aveva accompagnato a morire durante l’inverno, e lui se n’è andato da solo... Del resto, che bisogno aveva di un accompagnatore? Lui la strada la sa.
E gli altri?
Padre Nikodim era un credente, come molti che morirono proprio per la loro fede, ma non possiamo appropriarci di questa storia come fosse solo nostro patrimonio. Anche durante questo viaggio - ovviamente dato che le guide erano credenti - si è molto sottolineato il tributo di sangue di molti martiri della fede, ma nei Gulag morirono centinaia di migliaia di persone imprigionate per la loro scienza e la loro capacità critica o semplicemente perché possedevano proprietà private e la terra.
Hanno vinto loro?
Beh, almeno qualche volta sì come narra questa testimonianza riguardante un personaggio ben lontano dalla fede:
LENIN
“I TRIBUNALI NON DEVONO ELIMINARE IL TERRORE (...) IL PRINCIPIO DEL TERRORE VA RADICATO E LEGALIZZATO SENZA AMBIGUITÀ E ABBELLIMENTI”
LETTERA DI LENIN DEL 1922
STALIN
“COME DISSI SCHERZANDO A NILDE IOTTI QUANDO VENNE A TROVARMI AL GIORNALE, TENEVO UNA VECCHIA ICONA DI STALIN PERCHÉ È IL COMUNISTA CHE AMMIRO DI PIÙ: QUELLO CHE HA FATTO FUORI PIÙ COMUNISTI
INDRO MONTANELLI
Uno dei personaggi più interessanti era l’ottantaquattrenne professor Krivo!-Nemanič. Tutta la sua lunga vita era stata un continuo, avido e strano accumulare le nozioni più varie. Di origine serba, conosceva una trentina di lingue, fra cui l’antico egizio, il sanscrito, l’aramaico. Inoltre aveva
studiato varie discipline che molti mettono fra virgolette: magia, chiromanzia, sistematica dei cifrari. In quest’ultima scienza aveva raggiunto grandi competenze ed eseguiva con successo speciali compiti di decodificazione già per il governo imperiale. Anche i bolscevichi, giunti al potere, sfruttarono le sue conoscenze in questo campo. Non so se abbia lavorato per loro volontariamente o per costrizione, ma poco dopo successe una disgrazia. Fu arrestato, probabilmente perché sapeva troppe cose, e prese diecianni di Solovki.- Grazie - diceva il vecchietto sempre gentile e faceto.- Prevedevo di morire fra due-tre anni, ma adesso mi sento impegnato a vivere fino a 94 anni, per rispettare l’ingiunzione del governo sovietico.
Purtroppo quelli narrati sono due casi eccezionali, nella maggioranza dei casi gli uomini e le donne internati nei Gulag perdevano ogni appiglio con la fede o l’intelligenza critica o l’umanità. La testimonianza di Gustaw Herling (Un mondo a parte, Universale Economica Feltrinelli, 2010) racconta di questa scientifica
d i s so l u z ione de l l a vo lon t à personale a favore di quella dello stato. Un uomo torturato per mesi a l l a fi n e fi r m a q u a l u n q u e confessione “ma non è questo il punto essenziale. Un prigioniero è considerato sufficientemente preparato all’atto della firma solo quando la sua personalità è stata completamente disintegrata in tutte le sue parti. Profonde lacune appaiono nell’associazione logica delle idee; pensieri ed emozioni escono dal le loro posizioni originarie e cozzano tra loro come frammenti di un meccanismo spezzato (...) il prigioniero si
r isvegl ia da l suo stato di incoscienza, volge un viso esausto ma riconoscente al suo benefattore [il giudice che lo ha interrogato e accusato] e, con un profondo sospiro, ammette che adesso gli è tutto chiaro, che egli ha sempre sbagliato, ma che d’ora in poi andrà tutto bene. L’operazione è r iusc ita , i l paziente è rinato”.
PERCHÉ ?
Forse non dobbiamo realmente comprendere, perché l’atto in sé è contradditorio: come posso com-prendere, prendere-dentro i l pens iero c iò che g l i è totalmente estraneo? Il teologo Bonhoeffer, martire della follia nazista, scrisse che il vero nemico è la stupidità non la malvagità, perché “contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di
necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’auto-dissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese”. Parlando con lo stupido “ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente ma con slogan, motti, ecc. da cui egli è dominato. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo incapace di riconoscerla come tale”. Per questo forse non posso capire: quello che cerco di costruire è il mondo del Logos, mentre il mondo della stupidità è per sua natura a-logico. Però devo tenere davanti entrambi i mondi, perché in troppi punti si sfiorano e il mondo è sempre più abitato da stupidi. Forse posso accorgermi
“A diciassette anni imparavamo ad amare, / a venti imparammo a morire, / a sapere che andava ancora bene / finché ci permettevano di campare. / A venticinque imparammo a barattare / la vita con qualche aringa, legna e patate; / non abbiamo mai avuto tempo di notare / un tenero profilo imporporato dal tramonto”, M. Frolovsky,
MUSEO DELLE SOLOVKI
UNA PORTA DELLE CELLE
UNA BARACCA DEI PRIGIONIERI
OGGI SEDE DEL MUSEO
ATTREZZI DA LAVORO
LA STELLA CHE AVEVA SOSTITUITO LE CROCI
SULLA CUPOLA GRANDE DEL MONASTERO
di quanto la stessa stupidità alberghi anche in me ogni volta c h e n o n s c e l g o , c h e m i accontento di incolonnarmi nel sentire comune, ogni volta che dovrei agire a livello civile ed ecclesiale per combattere chi schiaccia il pensiero e la fede, annulla la speranza e la fiducia. Niente di tutto questo risponde alla mia domanda iniziale, ma per ora è tutto ciò che ho capito. Se tu che legg i ha i a l tre soluzioni, fammi sapere.
TRA BISOGNO DI RICORDARE E VOGLIA DI DIMENTICARE
Non ho idea di quante fosse
comuni abbiamo attraversato in
questi giorni. Solo alcune sono
conosciute. Sono di fatto l’unico
“reperto” di
d e c e n n i d i
sofferenza. Per
f o r t u n a
a b b i a m o l a
testimonianza
d i m o l t i
sopravvissuti a non permetterci
di dimenticare. A differenza di
quanto accade ad un visitatore
dei campi di sterminio nazisti, qui
non abbiamo più tracce fisiche di
quel periodo. Non solo le
Solovki, che essendo state chiuse
nel 1939 e trasformate in base
navale durante la guerra hanno
perduto quasi tutto, ma anche
quasi tutti gli altri
campi sono stati
meticolosamente
smantellati. Gli
storici devono
cercare a fondo
n e g l i a r c h i v i
p e rc h é a n c h e
questi sono stati
mondat i de l l e
t r a c c e p i ù
e v i d e n t i . S o l o a l c u n e
associazioni, come Memorial,
c e r c a n o l a v e r i t à e l a
pubblicizzano. Oppure la Chiesa
Ortodossa che tiene vivo il
ricordo dei propri martiri e
c o m i n c i a a d o r g a n i z z a re
pellegrinaggi ai luoghi santi.
Spesso, d’altra parte, i bolscevichi
hanno ut i l i zzato strutture
monastiche veneratissime
da secoli trasformandole
in luoghi di tortura. Oggi
sono tornate ad essere
giardini di preghiera. A
volte con scelte che
comprendo ma con dispiacere.
Ad esempio visitando la chiesa
sul monte della Sekira (le foto
della pagina sono di questo
luogo) la guida ci ha detto che le
mura erano coperte di scritte
dei prigionieri. Dopo una lunga
discussione hanno deciso di
cancellarle, pur essendo la
chiesetta dedicata al ricordo dei
mar t ir i , l asc iando solo lo
spioncino di una
cella incastonato
n e l l a p o r t a
principale. Cosa ci
voleva a mettere
un pannel lo di
legno apribile in
modo da poterle
v e d e r e s e s i
d e s i d e r a v a ?
Peccato.
Sempre alla Sekira amavano
g iust iz iare a lcuni detenut i
facendoli rotolare da una scala
legati a un tronco d’albero. Nel
rifare la scala, ovviamente
marcita nel frattempo, ci si è ben
guardati dal ricostruirla com’era,
trasformandola in una elegante
“Che sarà mai questo posto in futuro? / Chi lo può dire? Questo solo è certo: / ci approderanno un giorno dolenti / generazioni in pellegrinaggio, / e sarà questo luogo una patria per molti / nell’aspra memoria dei passati tormenti...”, Ol’ga Jafa.
scaletta nel bosco. In certe zone
pare che persino le fosse comuni
siano solo ipotizzate a causa del
cedimento del terreno ma non
seriamente indagate.
!
Durante il nostro giro ci siamo
spesso scontrati con questo
c o n t r a s t a n t e b i s o g n o d i
ricordare le vittime unito alla
voglia di lasciare tutto alle spalle
pensando solo alle cose positive.
E’ stata una delle maggiori
difficoltà di comprensione con
l’associazione russa che ha
organizzato il viaggio. Per loro si
trattava di un pellegrinaggio
religioso che includeva anche il
ricordo delle violenze perpetrate
in quei luoghi. Per noi di una
ricerca storica sui Gulag che
c o n s i d e r a v a c e r t o c o n
attenzione anche la dimensione
culturale e religiosa. Ci sono stati
giorni nei quali ci siamo dovuti
sorbire infiniti racconti edificanti
a riguardo di santi monaci e fin
t r o p p e s o s t e i n d i v e r s i
mona s t e r i . Tu t to be l l o e
interessante sia chiaro, ma
eravamo lì con un interesse
preciso, pur troppo spesso
disatteso. Uno dei vertici è stato
raggiunto a Medvezh’egorsk:
siamo passati davanti a uno dei
pochissimi campi preservati dalla
distruzione, con tanto di torrette
e filo spinato e non ci siamo
fermati neanche per fare le foto
da fuori. Però abbiamo perso
mezz’ora per andare a parlare
c o n l ’ e n n e s i m o P o p e ,
nell’ennesima chiesa ricostruita
(e pure male in questo caso).