Parrocchia
S. Maria
della Visitazione
Pace del Mela IL NICODEMO
Anno VII - Numero 64 pro-manuscripto 3/98 Aprile
v
Fogli della Comunità
Ø
L’ITINERARIO PASQUALEDEL CREDENTE
di fr. Egidio Palumbo, carmelitano
Si sa, a volte è difficile comu-nicare ad altri certe espe-rienze: non necomprendiamo subito tutti i
significati, spesso non troviamo nem-meno le parole adeguate per poterciesprimere, e facciamo anche una certafatica ad organizzare le idee, a collegareun episodio con un altro, a discernere larealtà dall’illusione. Queste difficoltàaumentano notevolmente quando sitratta di esperienze che riguardano ilnostro incontro con Dio e che toccanoin profondità il nostro cammino di fede.Anche Luca, come del resto gli altrievangelisti e gli altri apostoli, ha senti-to tutta la difficoltà a dover comunicare,e in più per iscritto, sugli eventi dellapassione, morte e risurrezione del Si-gnore Gesù. E chi non avrebbe provatola stessa difficoltà? Certo, a quel tempo(come oggi) ne giravano di “visionari”,di “mistici esaltati”, di gente che corre-va dietro ai miracoli, che amava prova-re le sensazioni della spettacolareeffervescenza del Divino. Ma Luca,come gli altri evangelisti, non seguequeste mode spirituali, non si adegua
ad esse. Anzi, ne prende le distanze (Lc17,21-24). Egli invece segue un’altraprospettiva: è attento a cogliere gli ele-menti essenziali della testimonianzadei discepoli riguardo agli eventi dellamorte e della risurrezione di Gesù, li ri-
legge alla luce della fede e della Parola di
Dio, in particolare della Torah, cioè del-la Legge (Es 26; 36; Dt 1; 18), dei Salmi(Sal 22; 31; 38; 69) e dei Profeti (Is 53;Ez 11; Os 10; Am 9), e infine li attualiz-
za per la vita quotidiana della sua comu-nità. Tutto questo è stato messo periscritto nelle pagine della passione,morte e risurrezione di Gesù (capitoli22-24), ed è consegnato a noi perchépossiamo rivivere nel nostro oggi la Pa-squa del Signore. Vista la particolareprospettiva di Luca, sorge spontaneauna domanda: degli eventi della passio-ne, morte e risurrezione di Gesù qualiaspetti ama focalizzare l’evangelista?Considerando le pagine che vannodall’evento della crocifissione (Lc23,33) fino alle apparizioni del Risorto(Lc 24,49), cerco di evidenziare treaspetti fondamentali che tracciano l’iti-nerario pasquale del credente: morirecon Lui, essere sepolti con Lui, essererisorti con Lui (cf. Rm 6,4).
ANTEPRIMA DEL
GIORNO DOPO
Immaginandoche le elezionisiano già allenostre spalle
di Franco Biviano
Lunedì, 25 maggio 1998. Lagrande bagarre delle elezio-ni comunali è finita. I vinci-tori brindano, i perdenti si
leccano le ferite. Fra qualche giorno ilnuovo sindaco si insedierà sulla poltro-na di primo cittadino e poi, dopo avergiurato alla presenza del Prefetto, saràinvestito delle funzioni di ufficiale diGoverno.
I cittadini sono tutti soddisfatti per-ché i consensi elettorali sono andatialla compagine giusta, quella con glielementi più competenti e preparati.Questa volta non ci siamo fatti condi-zionare né dalla parentela, né dall'ami-cizia, né dalla prospettiva di favoritismipersonali, né dall'appartenenza a que-sta o a quella contrada. Il nostro non èstato più il voto degli “schiavi” costret-ti a sostenere il proprio padrone o a vo-tare chi ci aveva fatto promesse disistemazioni. Abbiamo votato da citta-dini liberi. Tutti i calcoli preventivisono andati a farsi benedire e coloroche andavano dicendo “io porto millevoti, tu ne porti cento” (come se stes-sero contando pecore chiuse in un re-cinto) sono rimasti con un palmo dinaso.
Siamo stati capaci addirittura di cor-reggere le storture del sistema eletto-rale. Perché, a pensarci bene, lavicenda dei sindaci e degli assessori ri-corda tanto la vecchia storia di SimoneCireneo, il quale, beccato dalla soldata-glia romana mentre se ne tornava tran-quillo e placido dalla campagna, vennecostretto a portare la pesante croce
Simboli cristiani su pietra nelle catacombe di Santa Domitilla, IV secolo(segue a pag. 16)
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2“Morire con Lui”. Se da una parte,
com’è naturale che sia, la persona diGesù è centrale in queste pagine;dall’altra, di non minore importanzasono i vari personaggi che le abitano: idue malfattori ai lati della croce; il po-polo dei giudei, che “vede” la crocifis-sione; il centurione, che “vede” lacrocifissione e glorifica Dio; le folle,che accorrono a “vedere”la crocifissio-ne e “ritornano” percuotendosi il pet-to; i conoscenti, che “vedono” lacrocifissione “stando lontano”; le don-ne, quelle che lo hanno seguito dallaGalilea, che “vedono” la crocifissione ela sepoltura di Gesù, che vanno al mat-tino sepolcro, ricevono per prime l’an-nuncio della risurrezione e per primel’annunciano agli altri discepoli; Giu-seppe d’Arimatea, uomo buono e giu-sto, che chiede il corpo di Gesù e lodepone nel sepolcro; Pietro, che va alsepolcro e “vede”; i due discepoli diEmmaus, che al termine del loro cam-mino riconoscono nel segno dello“spezzare il pane” Gesù risorto e cor-rono ad annunciarlo agli altri discepoli;e, finalmente, i discepoli, che fannoesperienza della presenza del Risortoin mezzo a loro. Tutti questi personag-gi, ognuno a suo modo, rappresentanola comunità dei credenti, che, mentre famemoria e attualizzazione del misteropasquale di Gesù, allo stesso tempo neè totalmente coinvolta dentro. Vista daquesta prospettiva, la pagina di Lc 23,26-49 è un invito a “vedere”(il verbo ri-corre più volte), cioè a contemplare nel
Crocifisso la manifestazione più altadella paternità di Dio (Lc 23,46): attra-verso la morte del Giusto (Lc 23,47),gratuitamente perdona (Lc 23,34) e re-cupera alla vita i figli perduti (Lc 23,42).Contemplando il Crocifisso entriamonel significato più profondo del suo mo-rire “per noi”; vale a dire, non nel sensoche Lui muore “al posto del nostro”,ma che Lui muore “a nostro favore”perché noi diventiamo capaci di “mori-
re con Lui” al nostro “uomo vecchio”,alle nostre scelte e atteggiamenti disu-mani e ingiusti. Contemplata con gli oc-chi della fede, la morte di Gesù, l’UomoGiusto, è già segno di vita, già infondedinamiche di vita e di amore. Luca an-nota che le folle, dopo aver sostato acontemplare l’evento della morte delCrocifisso, “se ne ritornavano percuo-tendosi il petto” (Lc 23,48): è la con-versione, primo frutto del nostro
“morire con Lui”, che tocca e “spacca”il nostro “cuore di pietra” (il petto) per-ché diventi “cuore di carne”, capace dipensieri e di decisioni volte al bene ealla giustizia.
“Sepolti con Lui”. Un uomo, buo-no e giusto, Giuseppe d’Arimatea siprende cura del corpo di Gesù (come ilBuon Samaritano...) e lo depone in unsepolcro. Luca annota qui alcuni parti-colari. Giuseppe d’Arimatea è un giuc he, come tutti i giudei, “attendeva ilRegno di Dio” (Lc 23,51): ebbene, egliora riceve il Regno nel “corpo diGesù”, in quel corpo che ha speso tuttala vita per testimoniare la presenza delRegno di Dio in mezzo a noi, Regno dipace, di amore e di fraternità. Inoltre èscritto che in quel sepolcro, scavatonella roccia, “nessuno era stato ancoradeposto” (Lc 23,53), si tratta quindi diun sepolcro “nuovo”: certo, come lamorte di Gesù, nuova e unica, dallaquale rinasce l’Uomo Nuovo, il primo-genito di ogni creatura. Nel silenzioprofondo del sepolcro Giuseppe d’Ari-matea ha cura di custodire il “corpo delSignore”, come il seme nel silenziodella terra prima di portare il frutto,come il lievito nella pasta prima che di-venti pane, come il bimbo nel grembodella donna (la madre terra...) prima divenire alla luce. È questo il silenzio fe-
condo che accompagna la visita dellaParola nelle viscere della terra, nei latipiù oscuri e più perversi dell’umanità.Dentro questo “silenzio” è coinvoltonon solo Giuseppe d’Arimatea, ma an-che le donne, le discepole fedeli del Si-gnore (Lc 23,55-56; 24,1-3), così purePietro (Lc 24,12)... e tutti noi. “Sepolticon Lui”, ci lasciamo “lavorare”, “con-cimare” e “marcire” nel “corpo del Si-gnore”, Parola fatta seme nel cuoredell’umanità. “Se il chicco di grano ca-
duto in terra, non muore, rimane solo;se invece muore, produce molto frut-to” (Gv 12,24). Dissero alle donne, allediscepole del Signore, i due uomini dal-le vesti sfolgoranti che stavano nel se-polcro: “Ricordatevi come vi parlò...dicendo che bisognava che il Figliodell’Uomo fosse consegnato in mano aipeccatori, che fosse crocifisso e risu-scitato il terzo giorno. Ed esse si ricor-darono della sue parole” (Lc 24,7-8).
“Vivificati con Lui”. Come gli al-tri evangelisti, anche Luca annota chele donne, dopo essere entrate nel se-polcro e lì dentro aver ricevuto la novi-tà dell’annuncio della risurrezione —come se i due uomini dalle vesti sfolgo-ranti dicessero loro: quella morte in
realtà è vita, quella sconfitta è vittoria,
quel fallimento è salvezza! Qui sta la no-vità di Dio! — quelle donne uscironodal sepolcro e, come prime testimonidel Risorto, diedero l’annuncio ai di-scepoli. A questo punto ci possiamochiedere (e penso che se lo chiese an-che la comunità di Luca): quali sono isegni riconoscibili della Risurrezione?Le pagine che narrano dei discepoli diEmmaus (Lc 24,13-35) e delle appari-zioni del Risorto (Lc 24,36-49) eviden-ziano questi segni: l’ascolto della Parola
del Signore, che riempie il nostro cuoredel suo Spirito e della sua passione perl’uomo perduto (Lc 24,25-27.32. 44-48); “lo spezzare il pane... il mangiare il
pesce arrostito” (Lc 24,30-31.35.42-43),le “mani e i piedi piagati” (Lc 24,39-40), cioè i segni di una vita donata. Que-sti sono i segni della nuova umanità tra-sfigurata dal dinamismo dellaRisurrezione. Sono segni indelebili,scolpiti nella “carne” del credente cheogni giorno sa compiere fino in fondol’itinerario pasquale del Signore.q
Redentida CristoSignore,viviamo unavitanuova inLui e perLui!
Buona Pasqua!
CongratulazioniSilvana Sciotto
Assistente sociale
Nino Ragusa
dott. in
Medicina
Silvana Donato
dott. in Lingue
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RITORNO ALLE ORIGINIQuattro illustri pacesi sono tornati nella loro terra e ci hanno raccontato le loro
esperienze, le loro riflessioni e le loro speranze su problemi di attualità nel
campo della medicina e della giustizia
di Carmelo Pagano
Grandi ed intense emozioniabbiamo vissuto Sabato 28Marzo all'incontro dibattito“Ritorno alle origini”, orga-
nizzato dal Comune di Pace del Mela etenutosi presso la Scuola Media “G.Marconi”, con quattro illustri pacesiche sono tornati nella loro terra per“raccontare esperienze, riflessioni esperanze intorno a problemi di attualitànel campo della medicina e della giusti-zia”.
Il Prof. Francesco Pagano, diretto-re della clinica urologica dell'Universi-tà di Padova, il dott. Pietro Maiolino,primario della divisione cardiologicadell'Ospedale Civile di Cittadella (PD),il dott. Enrico Tambato, primario delladivisione di neurologia dell'Ospedalecivile di Piove di Sacco (PD) ed il dott.Pietro Calogero, procuratore capo dellaRepubblica presso il Tribunale di Pado-va, ciascuno nel proprio settore, al di làdella valenza scientifica delle rispetti-ve relazioni, hanno toccato il cuore ditutti i presenti, pacesi e non, che peruna volta si sono sentiti orgogliosi e fie-ri di appartenere alla stessa terra cheha dato i natali a personaggi tanto illu-stri quanto dotati di quella umiltà esemplicita' che solo i grandi possiedo-no.
L'orgoglio di essere loro concittadi-ni ha preso un po' tutti gli intervenuti epiù volte sia il moderatore, Prof. Anto-nio Catalfamo, presidente del Consi-glio comunale di Pace del Mela, sia ilsindaco, Dr. Natale Calderone, hannoposto l'accento su questo orgoglio esulla voglia di incontrare questi illustriconcittadini che la comunità di Pace delMela manifestava da tempo.
Il sindaco di Pace del Mela nel suointervento ha rimarcato l'atto di umiltàed i sentimenti profondi che leganoquesti uomini illustri alla loro comunitànatia o, come nel caso del Dott. EnricoTambato, alla comunità che li ha visti
formarsi come uomini e come profes-sionisti.
L'emozione che era presente in tut-ti i volti ha preso anche un clinico difama mondiale qual è il professor Paga-no che non si è preoccupato di celarla eciò lo ha reso ancora più vicino a tuttinoi.
Nel suo intervento, il professor Pa-gano, con chiarezza ed umiltà, ha affer-mato di essere grato alla cittadinanzaper l'invito e la calorosa accoglienza,ponendo l'accento sul significato parti-colare che ha avuto per lui partire daPace del Mela: piccolo paese natio cheperò gli ha lasciato un'impronta di im-pegno sociale che lo ha reso uomo pri-ma ancora che professionista.
Pace del Mela, ha continuato il pro-fessore Pagano, “mi ha inculcato il
senso della missione e dell'impegno
che ha improntato tutta la mia vita
e desidererei tanto che ciò fosse
trasmesso anche alle nuove gene-
razioni... Se molto abbiamo dato è
perché molto abbiamo ricevuto” èquesto il messaggio principale che ilprofessore Pagano ha voluto trasmet-tere alla sua gente.
La relazione scientifica del catte-dratico, imperniata sulla prevenzione ela cura delle patologie della prostata, haevidenziato come sia possibile tra-smettere concetti scientifici anche con
parole semplici e comprensibili da tut-ti.
Il professor Pagano ha, inoltre, sot-tolineato l'importanza della prevenzio-ne in questa come in altre patologie:basterebbe sottoporsi ad un'ecografiaannua per poter intervenire o curare intempo.
Pagano si è soffermato, poi, sul tu-more della prostata, di cui soffrono cir-ca il 60/70% degli uomini oltre gliottanta anni. Raccomandando, per pre-venire questo tipo di patologie, l'utiliz-zo della classica dieta mediterranea.
La prevenzione, poi, è tanto più im-portante proprio perché una tale pato-logia non presenta disturbi evidentisino a quando non è troppo tardi perporvi rimedio. L'uomo deve quindi im-parare a controllarsi dando primariaimportanza alle visite periodiche.
Dopo l'intervento del prof. Paganoed il relativo dibattito, ha preso la paro-la il dott. Pietro Maiolino, cardiologo,anch'egli di fama internazionale. Il dott.Maiolino, come Pagano, ha posto l'ac-cento sull'importanza delle radici e sullegame affettivo che lo lega a Pace delMela, tant'è vero che buona parte dellesue vacanze vengono da lui trascorseproprio a Pace del Mela.
L'argomento trattato è stato an-ch'esso di grande attualità: “Fattori dirischio dell'aterosclerosi”.
Incontro - Dibattito
Pace del Mela 28 Marzo 1998
"RITORNO ALLE ORIGINI"
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L'aterosclerosi, cioè l'indurimentoed il restringimento delle arterie, è do-vuto ad alcuni fattori che spesso inter-agiscono aggravando la patologiastessa.
L'ipertensione, il fumo, il diabetemellito, l'ipercolesterolemia, lo stress,l'obesità, la sedentarietà sono tutti ele-menti che favoriscono l'insorgenza del-l'aterosclerosi. Il dott. Maiolino haribadito l'importanza della prevenzio-ne: “Il miracolo ce lo dobbiamo fare
da noi” ha detto, controllandoci perio-dicamente ma anche cercando di evita-re tutti quei fattori di rischio sopramenzionati e che costituiscono dei verie propri killer del nostro organismo.
Simpaticamente, alla fine del pro-prio intervento, il dott. Maiolino ha mo-strato delle diapositive di Cittadella, illuogo in cui vive ed opera, quasi a crea-re un ideale gemellaggio tra la sua terrad'adozione e quella di origine, mostran-do come entrambe gli hanno dato e con-tinuano a dargli tanto.
Il dott. Enrico Tambato, neurologo,ha ricordato di essere un pacese di ado-zione, essendo nato altrove, ma ha an-che affermato e sottolineatol'importanza di Pace del Mela per la suaformazione, essendo egli arrivatovi ingiovane età.
Anche il dott. Enrico Tambato haposto l'accento sull'importanza dei va-lori che questa piccola comunità ha sa-puto trasmettergli. Ha parlato poi dellemalattie cerebrovascolari che sono do-vute al cattivo funzionamento dei vasi eche costituiscono la terza causa di mor-te nei paesi occidentali.
Si è soffermato, quindi, su una pato-logia particolare, l'attacco ischemicotransitorio cioè la mancanza di un af-flusso regolare di sangue al cervelloche può durare da 15 minuti a 24 ore eche è una patologia più diffusa di quantosi possa ritenere.
Così come i colleghi, il dott. Tamba-to ha sottolineato l'importanza dellaprevenzione e dei controlli periodici,enunciando una serie di dati clinici si-gnificativi.
Dopo le relazioni degli illustri medi-ci, degno di nota è stato l'intervento deldott. Andaloro che ha esortato ad unamaggiore cura dell'ambiente, ribaden-do ciò che purtroppo sappiamo da tem-po e cioè che la nostra è una zonasempre più a rischio, nella quale le pa-tologie tumorali sono in netto aumen-
to. Il prof. Pagano, a questo proposito,ha esortato gli enti deputati ad attivarsiper fare tutto quanto sia nelle loro pos-sibilità per porvi un argine.
L'emozione della platea ha poi rag-giunto il culmine quando ha preso la pa-rola il Dr. Pietro Calogero, procuratorecapo della Repubblica presso il Tribu-nale di Padova. Le sue parole hannocatturato immediatamente il numero-so pubblico presente che gli ha fattosentire la sua calorosa presenza e par-tecipazione in vari momenti, ancheperché egli è ritenuto, per il ruolo svol-to, come colui il quale abbia dovuto sof-frire di più per adempiere con valore edonore agli incarichi ricoperti.
Il dr. Calogero ha sottolineato gli in-numerevoli atti d'amore che gli sonogiunti dalla sua terra e di averla sentitasempre vicina anche nei momenti piùdifficili. Ha ricordato come questa ter-ra, la sua terra, lo abbia nutrito con ilpane del sacrificio, della tenacia, del co-raggio, della fede e di sentirsi pianta trale piante di questa terra e con le quali èconsanguineo.
Ha ricordato con nostalgia la sua in-fanzia, la sua giovinezza a Pace delMela ed ha risvegliato, in molti dei pre-senti, ricordi e sensazioni che sembra-vano sopiti.
La relazione del dr. Calogero, par-tendo dai diritti individuali delle perso-ne, passando attraverso il dirittoprimario, irrinunciabile ed insopprimi-bile, di poter esprimere sempre il pro-prio pensiero, ha trattatodell'importanza della separazione deipoteri in una compiuta democrazia maha anche ammonito sui rischi che po-trebbero derivare dalla separazionedelle carriere tra pubblici ministeri emagistrati giudicanti. Paventando inciò un tentativo di attentare all'autono-mia ed all'indipendenza del potere giu-diziario che rischierebbe di esserefagocitato dal potere esecutivo.
Il Dr. Calogero si è però mostratod'accordo con coloro che rifiutano edaborriscono qualsiasi degenerazione,condannando senza appello coloro iquali dovessero abusare del proprio po-tere per prevaricare o per manie di pro-tagonismo o, peggio ancora, per trarneun vantaggio di qualsivoglia misura.
Al termine di un incontro così belloe gratificante, non soltanto con questipersonaggi illustri ma anche con le no-stre origini, ogni parola sembra vacua
ed insignificante; certo è che tutti i pre-senti ricorderanno con piacere questopomeriggio di inizio primavera e chissàche non si possano avere altre possibi-lità di incontro e di dialogo fra la cittadi-nanza e questi nostri concittadini inmodo da riscoprire sempre di più quellaidentità e quelle origini che tanta im-portanza hanno avuto per la loro affer-mazione professionale ma che noiabbiamo forse messo un po' in disparte.Li ringraziamo per tutto ciò che ci han-no trasmesso, per le sensazioni, lacommozione, i sentimenti che hannosaputo suscitare in noi e speriamo cheaccanto a quel molto che ci hanno datoci sia stato anche un qualcosa da partenostra che abbiano ricevuto.q
La Terza Edizione della
Borsa di Studio
“NICOLAPANDOLFO”
LA CULTURA DELLA
DONAZIONEdi O.P.
“Chiunque sappia far crescere
due spighe di grano o
o due fili d’erba su un pezzo di terra
dove prima ne cresceva uno solo
sarà più meritevole verso l’umanità
ed avrà reso
un più grande servigio al suo paese…”
J. Swift
Si è svolta sabato 21 marzonei locali della Scuola MediaMarconi di Pace del Mela laIII Edizione della Borsa di
Studio intitolata alla memoria del Dott.Nicola Pandolfo, un importante mo-mento commemorativo dovuto ad unuomo che ha messo la sua vita a dispo-sizione dei più bisognosi, degli amma-lati.
La Borsa di studio nacque con la vo-lontà precisa di far conoscere la figuradel Dott. Pandolfo, rivolgendosi ai ra-gazzi più giovani, cercando di far giun-gere loro parte di quei valori di cui erapermeato Nicola Pandolfo. Perché, di-ciamocelo chiaramente, oggi comeoggi di modelli a cui guardare c’è dav-vero bisogno e – invero – i nostri ragaz-zi, spesso, un po’ distratti lo sono. Sarà
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la “società” dell’effimero, ma la realtà ècomunque molto triste. Ecco il senso dimanifestazioni del genere.
Il meccanismo di assegnazione del-le Borsa di Studio vuole ogni anno che iragazzi di quinta elementare e di terzamedia di tutte le scuole di Pace delMela si confrontino su di un tema asse-gnato loro da una commissione che ap-positamente viene costituita. A tutti ipartecipanti viene distribuito un picco-lo opuscolo nel quale sono raccontati inmaniera molto semplice alcuni aneddo-ti, alcune vicende della vita del Neuro-chirurgo pacese. Sulla scorta di quantoillustrato nell’opuscoletto e della di-scussione che in classe i vari insegnan-ti promuovono, vengono fuori glielaborati che verranno giudicati poidalla commissione.
Quest’anno ad essere premiatisono stati per la quinta elementare ex-aequo Sara Colosi e AntoninoAndaloro, mentre per la terza media ilpremio è andato ex-aequo a Stefano Ca-talfamo e Carmelo Vaccarino.
Dalla Borsa di Studio ci si aspettavatanto, soprattutto e lo ricordavamo pri-ma in quanto alla partecipazione dei ra-gazzi. Tuttavia non ci sentiamo diesprimere in termini quantitativi i ri-sultati raggiunti: “Basta una goccia allavolta, prima o poi il bicchiere si riempi-rà”. La cosa che più conta è quella di la-sciare una traccia. State certi chequalcuno – fosse solo uno – la seguirà, eciò è quello che davvero conta.
L’edizione di quest’anno è stata ca-ratterizzata dallo svolgimento nell’am-bito della premiazione dei vincitori leBorse di Studio di un convegno sulladonazione del midollo osseo.
L’idea è stata particolarmente feli-ce, poiché niente può essere affiancatoalla figura di Nicola Pandolfo meglio deldonare. La cultura della donazione. Sestesso per gli altri. Nicola, il Dottor Ni-cola, fece del donare il verbo caratteriz-zante la propria vita. Lui sempre prontoa mettersi a disposizione degli altri, de-gli ammalati, di colui che rappresenta-va di volta in volta il proprio fratello, ilpadre, un figlio. Non un mero numero.In schiaffo a tutti quei formalismi cherendono così fredda la professione me-dica e ci portano continuamente a di-sprezzare il nostro sistema sanitario.
Dicevamo del convegno. L’organiz-zazione del tutto deve essere ascrittaalla volontà ferrea dell’Assessore alla
Pubblica Istruzione Franco De Gaeta-no. Il suo impegno ha permesso allaBorsa di Studio di nascere concreta-mente e radicarsi, il suo lavoro le haconsentito – grazie anche alla combina-zione della premiazione con un conve-gno medico – di strutturarsi e porre lebasi per una sua perpetua prosecuzio-ne.
Al convegno sono intervenuti ilDott. Pietro Ruggeri, che di NicolaPandolfo è stato collega universitario,ematologo dell’Ospedale “Margherita”di Messina, la Dott.ssa Patrizia Zappia,ematologa anch’essa del Margherita –responsabile per la donazione del mi-dollo osseo e la Dott.ssa Anna MariaBonanno, Presidente dell’ADMO diMessina.
Non si è trattato volutamente di unconvegno prettamente medico-scienti-fico, in quanto vista la delicatezza e,forse, la poca conoscenza della materiasi è voluto essenzialmente fare un ope-ra importantissima di divulgazione.
Si è infatti chiarito che la donazionedi midollo osseo non è assolutamenteun qualcosa di doloroso né tantomenopericoloso (sebbene venga fatto in ane-stesia). Il meccanismo attraverso ilquale si diventa donatori di midollo os-seo è molto semplice: basta un sempli-ce prelievo del sangue. Da questeanalisi viene effettuata la cosiddetta ti-pizzazione (mi scuso per la semplicitàcon cui sto affrontando la materia). Cia-scun soggetto una volta tipizzato verràiscritto in registro di donatori. Qualorasi presentasse la necessità il donatore– che solo a questo punto diverrebbetale – verrebbe contattato e sottopostoad un nuovo prelievo di sangue per con-fermare la reale compatibilità. Qualoraquesto nuovo esame dovesse fornireesito positivo solo allora si parlerebbedi trapianto. Ribadiamo per chiarezzache la parte di midollo trapiantata è mi-nima e soprattutto ce la stessa si rifor-ma in una sola settimana.
Chiunque voglia avere ulteriori in-formazioni può rivolgersi direttamenteall’ADMO Messina o all’OspedaleMargherita di Messina.
Concludiamo rivolgendo un dove-roso ed affettuoso ringraziamentoall’Assessore Franco De Gaetano, unuomo che ha svolto la propria attivitàamministrativa con una passione eduna devozione a dir poco ammirevoli.Grazie.q
Don Silvio Cucinotta
Nelromitaggiodi Pacedel Mela
di don Santino Colosi
“Ho voluto rivedere il Solitario, nel
suo piccolo romitaggio, francescana-
mente semplice e quasi austero, dove egli
ha chiuso da parecchi anni la sua forte
giovinezza già fervida d'ideali di lotta e
di lavoro, piegando la testa umiliata,
come uno di quegli alberi che rimangono
quasi schiantati dal fulmine e non sen-
tono il desiderio di riaversi per timore di
cadere sotto un colpo novello e più fero-
ce. L'ho trovato nel suo studio - una bre-
ve stanza, quasi tutta popolata di libri,
che dà sul chiuso orto tranquillo - e ho
notato questa volta nella sua fisionomia
non so quale compostezza fatta d'una
nuova malinconia che traluce per gli oc-
chi alquanto stanca e concentrata”.
Rispettosi dinanzi a tanto fiero e pa-cato dolore, entriamo anche noi nellavita del “Solitario”, figura nella qualenon è difficile cogliere i lineamenti didon Silvio Cucinotta, autore di questoscritto magistrale (Frammenti, p.39)e curato a Pace del Mela dal 1915 al1928.
Le scarne note biografiche, a nostradisposizione, ci inducono a suddivide-re in tre tempi il suo tanto fervidoquanto obliato ministero sacerdotale:a Messina (1898-1904) docente in Se-minario, intellettuale di spicco impe-gnato nel giornalismo e nella politica;a Piazza Armerina (periodo di perma-nenza imprecisato) docente in quel Se-minario; da ultimo, curato di Pace delMela, suo paese natale. E sempre itine-rante predicatore per le principali cittàd'Italia o pellegrino in cerca dell'Asso-luto.
Ad altri il compito di indagare, con ipazienti mezzi della ricerca storiogra-fica, l'umana vicenda di don Silvio nelsuo tempo per acclarare l'oscura tem-pesta che l'ha squassata tanto da
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DocumentoVaticanosull’Olocaustodegli Ebrei
Un atto di giustizia versoi nostri “fratelli maggiori”
di Carmelo Parisi
L’argomento dei rapporti traChiesa e mondo ebraico èstato uno dei grandi temi didibattito degli ultimi cin-
quant’anni di storia contemporanea.Alla Chiesa è stato imputato l’atteggia-mento tenuto davanti allo sterminio dimilioni di ebrei perpetrato in Germaniadopo la presa del potere ad opera deinazionalsocialisti.
E’ stato soprattutto l’operato diPapa Pio XII a costituire grande mate-ria di discussione se non di polemichesterili ed inutili. Si è dibattuto: sapeva ono il Papa dell’Olocausto? Era a cono-scenza Papa Pacelli che in Germania sistavano realizzando quelle mostruosi-tà? E se ne ebbe conoscenza perchénon intervenne? Polemiche che si pro-traggono anche nel presente se è veroche la delegazione di un importantemovimento americano di amiciziaebraico-cattolica, l’ “International cat-holic-jewish liason committee”, rice-vuta, giorni orsono, da Giovanni PaoloII, ha chiesto l’apertura degli archivivaticani per accertare la conoscenzache papa Pacelli poteva avere avutodell’Olocausto.
Secondo i più riottosi, Pio XIIavrebbe volontariamente taciuto dellosterminio degli ebrei, ordito e messo inatto dalla barbarie nazista, perché egliavrebbe nutrito una sorta di simpatiafilo tedesca, sin da quando era stato in-viato come Nunzio a Berlino, tra il 1917ed il 1929, simpatia che lo avrebbe por-tato a credere che la Germania di allorapotesse costituire un valido baluardoanticomunista.
C’è da dire, ad onor del vero, che
all’inizio del nazismo tutte le nazioni ele stesse comunità ebraiche stentaronoa credere che si stessero per commet-tere quelle atrocità. A nessuno, nel re-sto d’ Europa e del mondo, venne inmente quello che si stava per eseguirenei campi di concentramento?
Perché non ricordare come già PioXI, nel 1937, con l’Enciclica “Mit
Brennender Sorge” (l’unica della sto-ria a non avere il titolo originale in lati-no), condannò l’antisemitismotedesco?
E come lo stesso Pio XII, sin dall’i-nizio del suo magistero papale, a pocopiù di un mese dallo scoppio della se-conda guerra mondiale, con la sua“Summi Pontificatu” mise in guardiacontro “le teorie che negavano l’unitàdella razza umana”, rifacendosi al pen-siero del suo predecessore che avevaespressamente dichiarato “l’antisemi-tismo è inaccettabile. Spiritualmentesiamo tutti semiti”.
Nel lungo e difficile cammino deirapporti tra Chiesa e mondo ebraico oc-corre anche ricordare la dichiarazione“Nostra Aetate”, varata dal ConcilioEcumenico Vaticano II, con la qualevenne cancellata l’accusa di deicidionei confronti degli ebrei.
E’ nel quadro di questo difficileviaggio di riconciliazione che ha visto laluce, il 16 marzo scorso il documentovaticano sulla Shoah, cioè sullo stermi-nio ebraico realizzato da Hitler durantela seconda guerra mondiale.
Se ne parlava da tanto tempo ed eraatteso come forse nessun altro docu-mento vaticano era stato mai tanto at-teso. Almeno da un decennio. Daquando, esattamente nel settembre1987, Giovanni Paolo II, lo aveva prean- Ø
schiantarne la forte fibra altera e perrestituire, alla memoria nostra e deiposteri, l'aurorale luminosità di unuomo integerrimo, martire di “certi col-
telli” a suo dire.Alla Chiesa messinese, magari at-
traverso i centri di cultura teologica,dopo un'indagine attenta e maternaspetta il compito di riabilitare la figurae l'opera dell'apostolo facendo am-menda, nello spirito del Giubileo del2000, dei torti inflittigli.
L'animo nostro nell'accostare donSilvio attraverso i suoi scritti che ini-ziamo - purtroppo soltanto ora - a rac-cogliere, a leggere avidamente ed agustare con autentica empatia, è mossoda pietà filiale, da fraterno affetto per-ché egli appartiene alla storia della no-stra comunità ecclesiale e civileavendone scritto pagine significativecon la sua operosa presenza di pastore.
Deve aver sofferto molto e moltoha dovuto lottare il Cucinotta per ritro-vare, “dopo il lungo peregrinare”, nellasua “stanzetta” - dove “a quando a
quando appare dolcissima su la soglia”la madre - il senso profondo del suo la-cerante patire. Scrive in “Frammen-
ti”: “Mai, come nella solitudine, pur
conversando con le cose, si sente la spiri-
tuale fecondità del dolore e la volontà te-
nace di indulgere agli impeti foschi del
Male”, e ancora, “la solitudine plasma
una nuova vita”.Nel clima raccolto del santuario do-
mestico, tra lo studio e l'orto, tra lafragranza dei fiori e le moine del cane,tra gli affetti familiari e i ricordi degliamici lontani, si ritempra lo spirito ematurano le intuizioni pastorali cheprendono corpo nell'agile volumetto“Su la soglia dell'atrio” e che sonoda considerare, quasi, il suo program-ma di curato. Il libro fu pubblicato conl'imprimatur del vescovo di Acirealenel luglio 1915, cosa di non poco contose a scriverlo era uno che - sia pureper una “ingiustificata accusa” (N.Minniti) - era stato considerato “mo-dernista”, come testimonia il suo ami-co Nediani, e per questo era statocostretto al muto silenzio ed alla soli-tudine. Nell'autunno di quello stessoanno, mentre da mesi divampa la guer-ra con i suoi lutti e le sue rovine, inizie-rà il suo ministero quale umile“curato”, parroco di campagna, lui donSilvio.q
Papa Pio XII
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7
Ø
nunciato in un incontro con il “Comita-to internazionale ebraico per leconsultazioni interreligiose”.
Il documento “Noi ricordiamo:
una riflessione sulla Shoah”, costi-tuisce sicuramente il frutto di anni dimeditazione e valutazione all’internodel mondo cristiano.
Molti quotidiani, certamente con-fondendo, hanno titolato ad effetto, agrandi lettere: “La Chiesa si pente” op-pure, “Il Vaticano fa mea culpa”.
Non è niente vero! Per fortuna sene sono di quelli che la pensano diver-samente, come l’autorevole giornale“Newsweek” che è sceso in campo indifesa di Pio XII dicendo testualmente“Sta accadendo qualcosa di vergogno-so. Che Pio XII abbia taciuto dell’Olo-causto, che abbia fatto poco per aiutaregli ebrei, che fosse filo tedesco o addi-rittura filo nazista sono tutte calunniemostruose ”.
Ma veniamo al tanto atteso docu-mento. Si tratta di una testimonianzaintesa a ricordare la tragedia dell’olo-causto di milioni di innocenti; una ine-narrabile tragedia volta al tentativodello sterminio completo del popoloebraico. Non si salvò nessuno: uomini edonne, vecchi e bambini solo perché direligione ebraica furono massacratinelle camere a gas.
Il documento nel percorrere la sto-ria dei rapporti tra la chiesa e mondoebraico, a proposito della Shoah, dicetestualmente che “la Chiesa si accostacon profondo rispetto e grande com-passione all’esperienza dello sterminiodel popolo ebraico” ribadendo che “l’O-locausto fu l’opera di un tipico regimemoderno neo pagano”. Il suo antisemi-tismo aveva le sue radici al di fuori delCristianesimo.
Con esso Sua Santità Giovanni Pao-lo II ha inteso anche difendere Pio XIIricordandone l’operato insieme ai ve-scovi ed agli alti prelati che combatte-rono il nazismo, preferendo lavorarenell’ombra, direttamente o per opera disemplici sacerdoti, per salvare il mag-gior numero possibile di ebrei.
E fu certamente una scelta pruden-te ed oculata quella di evitare lo scontrodiretto anche per tenere lontana tuttala Chiesa da nefaste conseguenze facil-mente ipotizzabili. Ve lo immaginatequello che ne sarebbe stato del Vatica-no e della stessa città di Roma?
E’ stato raccontato un aneddoto alla
presentazione del documento: quandogli alleati giunsero a Roma il capo delrabbinato militare francese ringraziòpersonalmente il Papa per ciò che Eglie tutta la Chiesa avevano fatto in difesadegli ebrei. Il documento conclude conl’auspicio di guardare insieme, Chiesae mondo ebraico, ad un futuro comune:preghiamo dunque perché “l’umanitànon può permettere che ciò accada dinuovo”.q
LETTERE IN REDAZIONE
Confrontod’idee sulla“questioneluciese”
Spettabile redazione de“Il Nicodemo”,
ho avuto modo di leggerel'ultimo numero del vostrogiornale che conosco ed ap-prezzo ormai da diversi anni(talvolta mi è stato concessoanche lo spazio per qualchemia riflessione). A pagina 13mi hanno fatto piacere le con-siderazioni del dott. FrancoBiviano riguardo all'opuscolo “S. Luciadel Mela città d'arte”, anche perchéscaturiscono da un “addetto ai lavori”,da uno studioso attento e meticoloso.Dopo i consensi però muove alcuni ap-punti sui quali mi permetto di dissenti-re. Per quanto riguarda i “presuntuosicanonici che hanno falsato la storia”non bisogna generalizzare. Con le loropazienti ricerche, grazie anche alla faci-lità con cui potevano accedere agli ar-chivi, hanno notevolmente contribuitoa non disperdere la nostra memoriastorica. Sui “presunti” soggiorni lucie-si di Federico II di Svevia, voglio ricor-dare un documento dell'ArchivioCapitolare di Patti datato 1249 che de-scrive il “Palacium” di S. Lucia ristrut-turato dall'imperatore ed in cui si leggeche lo stesso vi aveva soggiornato inanni precedenti (I castelli peloritani, Di-stretto scolastico 37, pag. 28). Sullapossibilità della fine di Pier delle Vigne
nella prigione della torre siamo nelcampo delle ipotesi (un'antica via delcentro storico è intitolata da tempo im-memorabile al grande Protonotaro ca-duto in disgrazia). Per quanto“assurda” possa sembrare, il Castellodi S. Lucia cela ancora molti misteri.Ne è una prova la recente scoperta dimisteriosi reperti in una nicchia aper-tasi, nel corso di lavori, nella parete in-terna addossata alla torre. Sulsettimanale Centonove un articolo a fir-ma di Joe Lipari dava ampio risalto al-l'avvenimento. Ed arriviamo al “falsostorico della presunta Prelatura Nul-lius più antica del mondo”. Ora, essen-do fuori discussione (almeno credo)l'esistenza della Prelatura, il falso sto-rico ritengo intenda riferirsi all'annodella sua creazione. Faccio notare chelo stesso Annuario Pontificio fa risalireal 1206 tale evento. Anche volendolo
fare slittare di alcuni anni perla nota questione della mino-rità di Federico, rimarrebbela più antica tra le Prelaturedel mondo. Citare P.Parisiche considerò la Prelaturacome una creatura prediletta(ne fu anche Vicario Genera-le) e sino all'ultimo istante divita strenuo assertore dellasua sopravvivenza, non portacerto acqua al suo mulino. Di-fatti, secondo lo stile dellostorico attento ed imparziale,
il Nostro ha voluto riportare nella suaopera S. Lucia e il Melan nel mito e nella
storia anche la tesi di Mons. Santaco-lomba che pur essendo un dotto Prela-to non ha alcun riscontro certo edocumentabile. A fugare una volta pertutte ogni dubbio, P. Parisi a pag. 253della sopracitata opera scrive: “...per la
nostra Diocesi, l'onore indiscutibile di
essere stata elevata dalla predilezione di
Federico II, a Prelatura Nullius ... e per
vari secoli la Cappellania Maggiore del-
l'intero Regno di Sicilia”. Lo stesso Os-
servatore Romano, in occasionedell'insediamento di Mons. Marra, par-lando delle tre chiese che formano l'Ar-cidiocesi evidenziava come la vetustaPrelatura sia stata creata nei primissi-mi anni del XIII secolo. Per quanto ri-guarda “l'abuso del titolo di CappellanoMaggiore” R. Pirro afferma: “Nel 1206,
morto Stefano, Vescovo di Patti e Lipari,
durante la vacanza della sede, il re e im-
peratore Federico staccò il territorio di S.
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8Lucia dalla diocesi di Patti e lo cedette al
suo Cappellano Maggiore” (Sicilia sa-
cra, nota IV, Ecclesia Pactensis pag.776). Ed ancora Mons. Luigi Boglino neLa Sicilia Sacra (1899, pag. 32, 33) ri-badisce: “A dar completo lo stato della
Chiesa di Sicilia nei tempi in cui scrive-
va il Pirro, erano pure nell'Isola due Pre-
lati. Uno era l'Archimandrita del SS.
Salvatore dei Monaci Basiliani in Mes-
sina. L'altro Prelato era il Maestro Cap-
pellano Regio, inteso da noi Cappellano
Maggiore del Regno di Sicilia, istituzio-
ne antica e normanna ad un tempo. Avea
egli come a sua sede S. Lucia del Mela, e
prendeva il titolo di Abbate di quella
chiesa datogli per decreto di Federico Im-
peratore”. Aggiungo ancora che nellaCattedrale luciese le epigrafi sepolcralie monumentali dei Prelati fannoespressamente riferimento al titolo diCappellano Maggiore del Regno. An-che sul capitello dell'artistico candela-bro marmoreo del cereo pasquale silegge: “Martinus Abbas La Farina
Cappellanus Maior R. Praelatus Ord. S.
Luciae A. MDCLXI”. Ora mi sembrainverosimile credere che per tanti se-coli i Prelati luciesi abbiano potuto faruso arbitrariamente del titolo di Cap-pellano Maggiore del Regno. Se talenon fosse stata una loro prerogativa, sisarebbe sicuramente trovato il tempoed il modo per porre fine all'"abuso".
Tanto senza nulla togliere alla stimanei confronti del dott. Biviano col qualemi trovo perfettamente d'accordo sul-l'opportunità di estendere l'iniziativaagli altri due Comuni del Mela. Certa-mente per quanto riguarda Pace risul-terà preziosa e gradita la suacollaborazione.q
Cordiali saluti.Libero Rappazzo
Ringrazio il prof. Libero Rappazzo
delle benevole espressioni usate neimiei
confronti. Ho letto la sua lettera con vero
piacere perché consente ad un mio scrit-
to di essere strumento di stimolo per una
ricerca approfondita, onesta e meticolo-
sa della verità storica. Ciò rientra piena-
mente nelle mie intenzioni e nello spirito
del �Nicodemo�. Il fatto di percorrere que-
sto cammino di ricerca insieme al prof.
Rappazzo, dal quale homolto da appren-
dere, mi lusinga moltissimo. Tuttavia
dobbiamo essere d'accordo sul metodo
da seguire. Credo che sia giunto il tempo
di alzare il tiro. Non possiamo continuare
a citare Boglino, Cambria, Parisi ed altri
autori, ma dobbiamo andare direttamen-
te alle fonti della storia. Scopriremo così
che ognuno di questi autori ha effettuato
qualche forzatura adattando i documenti
alle proprie tesi. Se andiamo a leggerci
direttamente la pagina 776 di RoccoPirri,
giusto per fare un esempio, scopriremo
che il titolo di Cappellano Maggiore attri-
buito a Gregorio Mostaccio è una pura e
semplice invenzione del traduttore. Per
non parlare dell'opera nefasta compiuta
da Vito Amico, al quale spetterebbe di di-
ritto un posto di rango nell'Inferno dante-
sco, girone dei falsari. Per chiariremeglio
i termini della questione, in questo stesso
numero de �Il Nicodemo� pubblico uno
studio sulla Prelatura Nullius di S. Lucia
del Mela. Il prof. Rappazzo potrà notare
che le argomentazioni di Mons. Santaco-
lomba non sono affatto prive di fonda-
mento, ma sono invece molto ben
documentate.
Lo stesso discorso vale per la perga-
mena dell'Archivio Capitolare di Patti che
il prof. Rappazzo cita come documento
attestante una permanenza luciese di
Federico II di Svevia. Se, anzichè attin-
gere la notizia dall'opuscolo Castelli pe-
loritani, andiamo a leggerci la
trascrizione della pergamena, ci accor-
giamo che il documento parla sì di un
�palacium�, ma della permanenza di Fe-
derico a S. Lucia non esiste nessuna
traccia. Era già mia intenzione di pubbli-
care questo documento in traduzione ita-
liana. La lettera del prof. Rappazzo mi
spinge a farlo appena possibile.
Che dire, poi, della presunta fine di
Pier delle Vigne nella prigione della torre
luciese? Rappazzo stesso ammette che
si tratta di una semplice ipotesi. Tuttavia
anche le ipotesi devono avere un fonda-
mento nella realtà, altrimenti si chiamano
fantasie. Ora basta leggere una qualsiasi
biografia di Federico II (Kantorowicz,
Horst, ecc.) per apprendere che il suici-
dio di Pier delle Vigne, tramandatoci da
Matteo da Parigi, avvenne nel mese di
marzo del 1249 nel carcere di SanMinia-
to. Non vedo, quindi, come si possa an-
che solo ipotizzare che il triste evento si
sia verificato a Santa Lucia.
Sono sicuro che il prof. Rappazzo ap-
prezzerà il senso collaborativo della mia
risposta. Rimane in ogni caso inalterata,
anzi si accresce, la mia stima nei suoi
confronti.q
Franco Biviano
di Franco Biviano
Della Prelatura di S. Lucia diMilazzo (dal 1862 “S. Luciadel Mela”) hanno scritto di-versi autori (1) limitandosi
sostanzialmente a riportare le notiziefornite dal Pirri (2) e dal suo continua-tore Vito Amico (3), senza sottoporle alvaglio della critica o al confronto con idocumenti originali. Questo procedi-mento ha consentito il formarsi e il per-petuarsi di luoghi comuni e diconvinzioni errate, soprattutto perquel che riguarda il periodo relativo allaistituzione della Prelatura stessa.Quelle notizie, prese finora per oro co-lato, mostrano infatti tutta la loro in-consistenza non appena esse vengonoraffrontate con quelle contenute nellepergamene conservate nella cosiddet-ta “Arca Magna” dell'Archivio Capitola-re della Diocesi di Patti (4), alla quale S.Lucia appartenne almeno fino al XIIIsecolo.
L'evento fondamentale, quello dacui si dipana tutta la matassa, è la con-cessione del Casale di S. Lucia a Grego-rio Mostaccio da parte di Federico II diSvevia. Il Pirri riporta al riguardo unsolo documento (5) che trovò trascrittonel Libro della Regia Monarchia, cioè ilresoconto della causa relativa alla con-troversia tra Gregorio Mostaccio e ilVescovo di Patti, trattata a Foggia nelmese di dicembre del 1250 davanti aRiccardo di Montenero, Maestro Giu-stiziere della Magna Curia Imperiale.L'atto riporta il contenuto del “libello”presentato in precedenza dal procura-tore del Mostaccio, dal quale appren-diamo che quest'ultimo, in epoca che ildocumento purtroppo non precisa, era“eletto ... nella Chiesa di Patti” (6) ecome tale possedeva anche il Casale diS. Lucia, di pertinenza di quella Dioce-si. Ma siccome, a dire del documento,“non aveva la piena amministrazione
del suddetto Casale”, ne ottenne la con-cessione “con tutti i suoi diritti, spettan-
ze e pertinenze” da Federico che, inqualità di re di Sicilia, era titolare dellerendite dei beni ecclesiastici in periododi sede vacante e quindi poteva dispor-ne a suo piacimento. Il vescovo Filippo,che resse la diocesi di Patti dal 1246 al1255, secondo il procuratore del Mo-staccio, contestò che al momento dellaconcessione reale la sede non era affat-to vacante e dichiarò, affermando il fal-
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so (“contra verum”), che era lui stessoall'epoca “eletto e confermato”. In talmodo, a seguito di un processo nel qua-le il Mostaccio non venne nemmenosentito, egli ottenne nell'agosto del1248 la restituzione alla Chiesa di Pattidel Casale di S. Lucia e la condanna del-la controparte al pagamento di un risar-cimento di duemila tarì. Lo stessovescovo, poi, suggerì all'Imperatore lapermuta del Casale di S. Lucia, “utile
agli svaghi imperiali”, con un altro divalore equivalente e più vicino al terri-torio di Patti, che venne individuato nelCasale di Sinagra (integrato con unaparte del bosco di Ficarra per compen-sare il minor valore rispetto a S. Lucia).Venuto a conoscenza dello scambio, ilMostaccio, che evidentemente eraconvinto di avere subito un'ingiustiziacon la prima sentenza, tornò alla caricae chiese che il casale di Sinagra e quellaparte del bosco di Ficarra venissero as-segnati a lui e che il Vescovo di Patti glirestituisse inoltre tutto quello che ave-va riscosso a S. Lucia nei dieci mesi in-tercorsi fra il riacquisto del Casale e lapermuta di esso con quello di Sinagra.Ma quando il processo era giunto quasialla fine ed erano stati ascoltati tutti itestimoni, il Mostaccio, stranamente,rinunciò alle sue pretese. Da quel mo-mento, quindi, Sinagra appartenne alladiocesi di Patti, mentre S. Lucia venneincamerata dalla Regia Corte.
Non recando il Pirri altri documen-ti, sembrerebbe essere stata questa laconclusione della lite. Ma così non è,perchè l'Archivio Capitolare di Patti(dove sono custodite le interessantis-sime “inquitiones” fatte dagli ufficialiincaricati della valutazione dei Casali diS. Lucia e di Sinagra) conserva la tra-scrizione di un accordo concluso aMessina nel mese di agosto dell'anno1252 alla presenza di Pietro Ruffo diCalabria, Marescalco del regno di Sici-lia, in base al quale il Vescovo Filippo,evidentemente riconoscendo le buoneragioni del Mostaccio, s'impegna ad as-segnare a quest'ultimo un “beneficio”annuo di sedici onze d'oro, ricevendo in
contropartita la rinuncia a qualsiasi di-ritto, canonico e civile, sia sul Casale diS. Lucia, “che egli ha tenuto e posseduto
in beneficio per concessione imperiale o
di un vescovo suo (cioè di Filippo) prede-
cessore”, sia su quello di Sinagra (7).La data della concessione fatta al
Mostaccio da parte di Federico non è ri-portata su nessun documento. Il Pirri lacolloca intorno all'anno 1206 (8), cioèfra la morte del vescovo Stefano e l'ele-zione del vescovo Anselmo, ma due ri-ghe più sotto egli scrive che nel 1208 ilcasale di S. Lucia di Milazzo era ancora“sotto la giurisdizione della diocesi di
Patti”. Nel corso dell'inchiesta condot-ta dai funzionari imperiali il giorno 20luglio 1249 nel casale di S. Lucia per va-lutarne la consistenza (9) furono sentiti15 testimoni, tra cui due ex procuratoridel Mostaccio, un tale che era stato suosiniscalco, e quattro suoi “recollecto-res”. Il siniscalco, in particolare, dissedi avere svolto quell'incarico per tredi-ci anni (quindi, all'incirca dal 1235).D'altro canto, in un atto pubblico di ri-nuncia redatto a Messina il 13 gennaio1226, Gregorio Mostaccio viene citatonell'elenco dei testimoni ancora con laqualifica di “canonico della diocesi di
Monreale” (10). La donazione del Casa-le di S. Lucia al Mostaccio va collocata,quindi, non prima del 1226 e non dopodel 1235. Nel febbraio di quest'ultimoanno, infatti, la diocesi di Patti risultagià in possesso del nuovo eletto (poivescovo) Pandolfo (11) e da quella data,conseguentemente, l'imperatore nonavrebbe potuto più esercitare i suoi di-ritti sulla sede episcopale vacante.Questa datazione concorda con le di-chiarazioni testimoniali del baiulo di S.Lucia, anch'egli sentito in occasionedell'inchiesta, il quale colloca appuntoil Mostaccio fra il vescovo Giacomo e ilvescovo Pandolfo.
Per quale motivo Federico conces-se al Mostaccio il Casale di S. Lucia? Lamancanza del diploma di donazione nonci consente di avere al riguardo alcunacertezza. Il procuratore del Mostaccio,nell'esporre i suoi diritti davanti al
Maestro Giustiziere Riccardo di Mon-tenero, precisò che Federico nel suoprivilegio dichiarava esplicitamenteche la donazione era sorta “non a ri-
chiesta dello stesso Gregorio, ma per sua
mera liberalità” (12). Un indizio di veri-tà ci viene dato dalla notizia che il Mo-staccio era un “eletto” della Chiesa diPatti. “Eletto” veniva definito a queltempo il vescovo designato dal Capito-lo, prima che ottenesse le necessarieconferme dal sovrano e dal papa (13).Siccome il Mostaccio non viene mai in-serito nella lista dei presuli pattesi,dobbiamo ritenere che, per motivi a noisconosciuti, gli sia mancata la confermapapale (evento a quell'epoca non infre-quente) e che Federico, il quale proba-bilmente aveva suggerito egli stessol'elezione del Mostaccio a vescovo diPatti, gli abbia assegnato il territorio diS. Lucia come benevolo risarcimentoper la mancata nomina.
Ci rimane da sciogliere un ultimonodo: chi era Gregorio Mostaccio?Pare assodato che i Mostaccio fosserouna famiglia nobile molto legata all'im-peratore (14). In essa si possono distin-guere un ramo salernitano e un ramomessinese, al quale ultimo appartene-va probabilmente il nostro Gregorio,visto che proprio a Messina lo incon-triamo nel 1226 quale teste di un attopubblico.
Dall'esposizione appena fatta sievince chiaramente che il Mostaccio Ø
GREGORIO MOSTACCIOe le presunte origini della prelatura nullius diS. Lucia del Mela
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10ebbe il possesso del Casale di S. Luciaper un periodo limitato (tredici anni opoco più) , fino a quando non vi rinunciòdefinitivamente, e che mai e poi maiegli rivestì la carica di “CappellanoMaggiore del Regno” che per secoli glisi è voluta attribuire. Il primo a caderein errore fu Vito Amico operando unaforzatura che egli stesso non riesce anascondere (15). Dopo avere detto, in-fatti, che la storia di quella che egli defi-nisce “Cappellania Maggiore di S.Lucia di Milazzo” è “talmente incerta ed
ingarbugliata fino all'anno 1600 circa,
che a stento si riesce a dipanarla”, egliafferma chiaramente che nei documen-ti conservati nell'Archivio Capitolare diPatti ha rilevato un particolare che lo halasciato per molto tempo perplesso:“cioè che Gregorio Mustaccio da nessu-
na parte viene detto Cappellano Maggio-
re”. Tuttavia, con una disinvoltura checi lascia a bocca aperta, ci informa diavere trovato attribuito al Mostaccio iltitolo di “Cappellano Maggiore” in cer-te carte (“in schedis scripturarum”)
trasmessegli da Mons. Francesco Bar-bara, a quel tempo Prelato di S. Lucia.E, con un comportamento che non ècerto quello del buon diplomatista, pre-sta fede alle copie di Mons. Barbara enon alle pergamene originali conserva-te nell'Archivio Capitolare di Patti, dan-do al Mostaccio, e quindi a tutti i presuliluciesi suoi successori, il titolo di Cap-pellano Maggiore del Regno e facendosorgere la falsa notizia che S. Lucia sa-rebbe stata creata da Federico II Prela-
tura nullius (sarebbe addirittura la piùantica del mondo!). Peccato che eglinon abbia prestato attenzione alla noti-zia, riportata dal Pirri, che ancora nel1280, trenta anni dopo la scomparsa diFederico, il vescovo di Patti “confermò
il beneficio ecclesiastico di S. Lucia di
Milazzo” (16) e che, quindi, per la giuri-sdizione ecclesiastica, S. Lucia non eraaffatto “nullius”, ma era rimasta dipen-dente da Patti.
Sappiamo per certo, in ogni caso,che ancora nel secolo XV S. Lucia eraretta da semplici “Beneficiali”, dipen-denti dal Maestro Cappellano Maggio-re. La notizia ce la fornisce lo stessoVito Amico con la trascrizione (anchese addomesticata) di un diploma del 19marzo 1452 (17) con il quale re Alfonsoimpone all'Arcivescovo di Messina,che aveva attentato alla legittima giuri-sdizione del Maestro Cappellano Mag-
giore sui Beneficiali di S. Lucia e di S.Filippo di Milazzo, di non sottometterequei beneficiali di regio patronato allapropria giurisdizione, ma di rimetterli aquella del Maestro Cappellano (“Vi
chiediamo espressamente e vi esortiamo
... perché non molestiate minimamente i
suddetti Cappellani Beneficiali delle pre-
dette chiese riguardo alla riscossione del-
le dette collette, né li sottomettiate alla
vostra giurisdizione, ma li rimettiate
anzi alla giurisdizione del suddetto Mae-
stro Cappellano”). Evidentemente ilBeneficiale di S. Lucia non era eglistesso Maestro Cappellano, bensì unsemplice cappellano, incaricato dellacura spirituale in un territorio apparte-nente al regio demanio e come tale sot-toposto alla giurisdizione del MaestroCappellano del Regno.
Allorchè poi, nell'elencare i Prelatidi S. Lucia, l'Amico incontra GiacomoGallarat (sul quale è costretto a preci-sare che “il Pirri lo chiama Beneficiale
di S. Lucia di Milazzo”), incaponito nel-le sue convinzioni, si limita ad ammet-tere: “se sia stato realmente investito
della carica di Cappellano Maggiore, lo
ignoriamo” (18). Eppure il Pirri, da luistesso citato, dice testualmente che ilGallarat, dopo essere stato beneficialedi S. Lucia, nel 1455 fu nominato “Can-
tore e Beneficiale di S. Maria dell'Ammi-
raglio in seguito a permuta col
predecessore, che ricevette il possesso dal
Maestro Cappellano del Regno” (19).Dunque il Maestro Cappellano, al qua-le competeva l'immissione dei Benefi-ciali nella loro giurisdizione, non era ilGallarat, ma un'altra persona.
Molte voci di studiosi si sono levatein passato per ristabilire la verità. Ba-sterà citarne due molto autorevoli,quella del canonico Rosario Gregorio, ilquale, trattando del decadimento delleistituzioni siciliane durante il governodei vicerè per l'assenza della corte rea-le, esplicitamente afferma che “potè il
beneficiale della terra di S. Lucia nella
Piana di Milazzo, che era una delle cap-
pelle reali, e facea parte della diocesi del
cappellano maggiore, per lungo tempo
arrogarsene il titolo e la dignità” (20), equella di Domenico Scinà, secondo ilquale l'abate Amico, nelle sue aggiunteal Pirri, “si mostrò più avido di racco-
gliere notizie, che paziente nell'esami-
narle ... e carte e diplomi inserì dati a lui
dall'abate di santa Lucia monsignor
Barbara, che non sono degni di fede, e
per apocrifi si reputano” (21). Ma le ar-gomentazioni più chiare e dettagliateprodotte al riguardo sono quelle conte-nute in un lavoro del 1787, purtropporimasto allo stato di manoscritto, usci-to dalla penna di Mons. Carlo Santaco-lomba (22), che fu egli stesso Prelato diS. Lucia dal 1780 al 1801 e come taleebbe la possibilità di esaminare i docu-menti esistenti nell'Archivio Capitola-re di quella Chiesa (23).
Egli scrive, senza usare mezzi ter-mini, che “i Beneficiali di S. Lucia suc-
cessori di Gregorio Mustaccio e
predecessori dei presenti Abbati, non
sono stati, come tali, Maestri Cappellani
del Regno, ma sibbene dopocchè fin dalla
riferita loro fondazione siano stati sem-
pre sudditi del Maestro Cappellano, ne
anno finalmente usurpato il titolo” (24).A dimostrazione della sua affermazio-ne egli riporta integralmente una lungaserie di documenti, tra i quali una lette-ra del Vicerè Cardona diretta allo Stra-tigoto di Messina per disporre che ilbaiulo e i giurati di S. Lucia si astenga-no dal richiedere al clero e al regio cap-pellano della terra di S. Lucia ilpagamento di certe gabelle sulle loroproprietà, malgrado gli ordini in contra-rio emanati dal Maestro Cappellano delRegno, alla cui giurisdizione episcopa-le essi sono sottomessi (25)
Come sia potuto avvenire un taleabuso di titolo non è difficile da capirese si tiene conto della confusione crea-tasi dopo l'allontanamento della Cortee la conseguente crisi delle istituzioni.Probabilmente esso fu favorito dal-l'equivoca denominazione di “Cappel-lani Maggiori” che veniva data ai variBeneficiali, quasi simile a quella del-l'unico “Maestro Cappellano Maggio-re” della Cappella Palatina. Per quantoriguarda l'epoca, il Santacolomba è pro-penso a credere che ciò sia avvenutoverso il 1494, allorché Alfonso d'Arago-na, figlio naturale di Ferdinando II, “fu
possessore in Sicilia di pressocchè tutti i
beneficj ecclesiastici di Regio Patronato”
(26) e quindi riunì nella sua persona lecariche di “Cappellano Maggiore” e di“Maestro Cappellano Maggiore”.
Una volta usurpato il titolo, i Bene-ficiali di S. Lucia, assurti con l'ingannoalla dignità di Maestri Cappellani, pre-tesero ovviamente di esercitarne an-che le funzioni, in primo luogo quella dicelebrare i sacri riti alla presenza dellaCorte ogni qualvolta il Re si trovasse in Ø
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11Sicilia. Fu così che nel 1651 il PrelatoMartino La Farina brigò perché il Con-sultore del Regno Benedetto di Trelles,“sopra i falsi dati esibitigli dal medesi-
mo” (27), riconoscesse all'Abate di S.Lucia le funzioni di Maestro Cappella-no Maggiore.
Ma allorquando il Prelato di S. Luciapretese addirittura di sottomettere allasua giurisdizione il Capitolo della Cap-pella Palatina, quest'ultimo giudicò chesi fosse passato il segno e “si sottrasse
incontanente dalla giurisdizione del pre-
teso Maestro Cappellano e fu sottomesso
dal re alla giurisdizione del Giudice de-
gli Esenti” (28).I beneficiali di S. Lucia furono sin
dall'origine e rimasero per lungo tempodei semplici parroci. Mons. De Cioc-chis, che visitò la Chiesa di S. Lucia il24 maggio del 1742, attribuisce a quelPrelato soltanto una giurisdizione“quasi vescovile” (29) e precisa che intutta la diocesi “il Prelato è l'unico par-
roco” (30). Il primo Prelato ad essereelevato alla piena dignità vescovile saràMons. Scipione Ardoino, consacratonella chiesa di S. Vito di Pozzo di Gottoil 5 marzo 1769 (31).
Quanto alla caratteristica di essere“nullius dioecesis”, non possediamo al-cun elemento per sostenere che laChiesa di S. Lucia all'origine dipendes-se direttamente dalla Sede Apostolicadi Roma. Dobbiamo aspettare il 1670per incontrare per la prima volta le pa-role “nullius dioecesis” inserite, quasidi soppiatto e senza alcuna spiegazio-ne, in un documento papale riferito a S.Lucia in plano Milatii (32). In prece-denza re Martino, scrivendo il 7 marzo1405 al vescovo di Patti, che era in quelmomento il Maestro Cappellano delRegno (!), aveva sì affermato chiara-mente che il clero e i presbiteri di S. Lu-cia erano “non subjetti a diocia alcuna”,ma specificando altrettanto chiaramen-te che essi erano “subjetti a la nostra
Regia Capella” (33).
Note
(1) Mi limiterò a citare soltanto leopere più recenti: SALVATORE CAM-BRIA, La Prelatura nullius di S. Lucia
del Mela, Palermo 1962; CARMELOMAGGIO, Notizie e sunto storico-critico
su la vetusta Città di S. Lucia de plano
Milatii, Roma 1964; GIOVANNI PARI-SI, S. Lucia e il “Melan” nel mito e nella
storia, S. Lucia del Mela 1973.(2) ROCCO PIRRI, Sicilia sacra di-
squisitionibus et notitiis illustrata, Pa-lermo 1733 (ristampa anastatica 1987),pp. 769-796.
(3) ID., op. cit., pp. 1346-1352.(4) L'Archivio Capitolare di Patti co-
stituisce una importante fonte docu-mentaria per lo studio del medioevosiciliano. Molti diplomi sono stati pub-blicati, ma il grosso rimane ancora ine-dito in attesa che l'Università diMessina (Facoltà di Lettere, Istituto diPaleografia) porti a termine la stampadel Codex Diplomaticus Ecclesiae
Pactensis. Mi corre l'obbligo di ringra-ziare l'archivista, canonico Alfonso Si-doti, per la sua cortesia e per lapreziosa assistenza prestatami durantela consultazione degli originali.
(5) ROCCO PIRRI, op. cit., pp. 777-778. Il Pirri riporta la trascrizione delLiber Regiae Monarchiae Regni Siciliae
(ARCHIVIO DI STATO DI PALER-MO, Miscellanea archivistica, vol. II,ms.109, f. 255). L'originale sta in: AR-CHIVIO CAPITOLARE DI PATTI,Fondazione, I, f. 258. Il documento èstato ripubblicato, con lievi modifiche,in HUILLARD-BREHOLLES, Histo-
ria diplomatica Friderici II, Parigi 1861,t. VI, pp. 801-805.
(6) ROCCO PIRRI, op. cit., p. 777.Per rendere il testo accessibile a tutti,ho ritenuto opportuno riportare nellatraduzione italiana tutte le citazioni dibrani originariamente scritti in latino.
(7) ARCHIVIO CAPITOLARE DIPATTI, Fondazione, II, f. 239. L'origina-le doveva trovarsi nel f. 240, ma sembraperduto. Altra copia in Pretensioni va-
rie, ff. 102-103. Pubblicato in: DIETERGIRGENSOHN-NORBERT KAMP,Urkunden und Inquisitionen aus Patti,Tubingen 1965, pp. 148-151.
(8) ROCCO PIRRI, op. cit., p. 776.(9) ARCHIVIO CAPITOLARE DI
PATTI, Fondazione, I, f. 251. DIETERGIRGENSOHN-NORBERT KAMP,op. cit, pp. 133-141.
(10) LEON-ROBERT MENAGER,Les actes latins de S. Maria di Messina
(1103-1250), Palermo 1963, p. 149.(11) ARCHIVIO CAPITOLARE DI
PATTI, Censi varii dentro la città di Pat-
te, I, f. 2.(12) ROCCO PIRRI, op. cit., p.777.(13) ERNST KANTOROWICZ, Fe-
derico II Imperatore, Milano 1976, p. 27.All'epoca l'elezione dei nuovi vescovi
in Sicilia era regolata dal Concordatodell'ottobre 1198 fra Innocenzo III e laregina Costanza (HUILLARD-BREHOLLES, op. cit., pp.19 ss.)
(14) DIETER GIRGENSOHN-NORBERT KAMP, op.cit., p.39.
(15) ROCCO PIRRI, op. cit., pp.1346-1352.
(16) ID., op. cit., p.778.(17) ID., op. cit., p.1348(18) ibidem.
(19) ID., op. cit., p. 1363.(20) ROSARIO GREGORIO, Con-
siderazioni sopra la storia di Sicilia dai
tempi normanni sino ai presenti, Paler-mo l845 (rist. 1972), III, p. 139.
(21) DOMENICO SCINA', Prospet-
to della storia letteraria di Sicilia nel se-
colo decimottavo, Palermo 1859 (rist.1969), I, p. 196.
(22) BIBLIOTECA COMUNALEDI PALERMO, Ms.Qq.H.121, n. XXXII(ff. 350-389). Il Parisi, pur riportandoalcuni passi del manoscritto, non netrae le dovute conseguenze (G. PARI-SI, op. cit., pp. 242-244).
(23) Purtroppo non mi è stato con-sentito di accedere all'Archivio Capito-lare di S. Lucia del Mela, nel qualeperaltro non pare che si conservino do-cumenti diplomaticamente rilevanti. P.Giovanni Parisi, che frequentò l'Archi-vio, non parla mai di pergamene, masolo di un “Libro Capitolare” contenen-te trascrizioni di antichi documenti(G.PARISI, op. cit., p. 401). Sarebbe co-munque auspicabile una maggiore“apertura”, almeno nei confronti dei ri-cercatori.
(24) BIBLIOTECA COMUNALEDI PALERMO, Ms. Qq.H.121, f. 359.
(25) ibidem, ff. 366-367.(26) ibidem, f. 377.(27) ibidem, f. 378.(28) ibidem, f. 379.(29) G. A. DE CIOCCHIS, Sacrae
Regiae Visitationis per Siciliam acta de-
cretaque omnia, Palermo 1836, II, p.72.(30) ID, op. cit., p. 77.(31) La notizia si ricava dall'iscrizio-
ne posta sul portale della sacrestia del-la cattedrale di S. Lucia del Mela. Cfr.G.PARISI, op. cit., p.247.
(32) Cfr. STEFANO DI CHIARA,
De Capella Regis Siciliae, Palermo1815, Series Diplomatum, pp. 139-140.Si tratta, guarda caso, della nomina delsuccessore di Mons. Martino La Fari-na.
(33) Cfr. ID., op. cit., pp.64-65.q
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Ø
I futuri scenari della moneta unica
VIAGGIO NEL PIANETA EURO:COME CI CAMBIA LA VITA
di Paolo Orifici
Problema numero uno: ci saràbisogno del lavoro di moltiArchimede ora che la rivolu-zione lungamente annuncia-
ta è arrivata. Occorrerà studiare comemodificare i distributori automatici dicarburante, negozi e supermercati do-vranno provvedere a ritirare decine dimigliaia di casse e provvedere all’istru-zione delle cassiere. In breve la monetaunica cambierà gli scenari macroeco-nomici del continente molto di più diquanto non fece nel 1958 la creazionedel Mercato Comune. E ciò perché larivoluzione riguarderà la nostra vitaquotidiana.
“Grazie Italia”, ha detto commosso– come rivolgendosi ad una immagina-ria consorte – Romano Prodi, con il visoe le gocce simili a quelle di un felicepapà a cui i ginecologi hanno comunica-to che le doglie del parto – sia pure conqualche dolore più lancinante (leggiTassa per l’Europa) procedono nellanormalità e nei tempi previsti.
Ma oltre la commozione del nostropresidente del Consiglio, l’Euro provo-cherà ben altri disagi. Disagi spiccioli,percettibili però in salumeria o in ban-ca. Per non dire dell’incognita di unpossibile – se non probabile – “amarorisveglio”, come lo chiama il Presiden-te della Bundesbank Tietmayer.
Infatti, le manovre di cassa ed ilmeccanismo di posticipare le spesepubbliche o di cancellare quelle troppoa lungo rinviate (c.d. residui passivi) hapermesso al Governo Prodi e ai “Ciam-pi Boys” del Tesoro di portare il deficita 2,7 per cento del PIL, entro i parame-tri di Maastricht, di incassare compli-menti del Fondo Monetario. Ma sequesti si rivelassero risparmi finti?Avrebbe la rivincita il fronte che voleval’Italia fuori già adesso. Ma quel che èpeggio è che ad essere salassato sarà ilTesoro, anzi per dirla con i fatti, saran-no gli italiani, storditi da nuove tassenecessarie per garantire i nuovi limiti.Uno scenario realmente commovente,
soprattutto se si pensa che una conse-guenza immediata di ciò potrebbe es-sere il blocco della spesa e la perdita diqualsiasi stimolo sulla crescita esull’occupazione.
Ma sforzandoci di non pensare allanostra economia vogliamo, piuttosto,dedicare queste poche righe al modo incui l’Euro cambierà la nostra vita.
“Voglia cortesemente passare inbanca per concordare la conversionedel suo portafoglio titoli”. Reciterà piùo meno così la circolerà che tutte lebanche dovranno inviarci fra pochimesi. Gli italiani cominceranno a vede-re concretamente e non solo in inter-minabili e stucchevoli polemiche dipolitici e giornali, vantaggi e svantaggidell’addio alla lira. Potranno esseremesi turbolenti quelli da adesso allafine del 1998, in quanto la fase operati-va è già iniziata e non basteranno a fer-marla l’ostinata riluttanza dellaBundesbank, gli ultimi furori anti-ita-liani dei politici olandesi, la freddezzadella City di Londra e l’incredulità diWall Street.
Dal 1 gennaio regoleremo in eurotutte le transazioni non in contanti: insostanza, tra 270 giorni potremo sotto-scrivere i Bot nella nuova valuta, incas-sare e pagare a mezzo bonifico in euro.
Entro il 2002, poi dovranno esseresostituite 13 miliardi di banconote e 76miliardi di monete, con grande gioiadelle zecche e di aziende che produco-no leghe per la coniazione, come la KMMetal.
Tuttavia nella grande enfasi euro-peista vi sono poche informazioni prati-che. Di certo in pochi mesi dovremoimparare a ricalcolare la rata del mutuo,dovremo individuare possibilità alter-native dove investire il gruzzolo (perchi è riuscito a metterlo su) e fare le va-canze, scegliere con occhi diversi lascuola per un figlio e la seconda linguada studiare nella prospettiva di un mer-cato del lavoro dove crescerà la mobili-tà.
Staremo con i paesi più forti, inte-grati in un area che potrebbe diventare
perfino più potente degli stati Uniti.Però l’euro ci lascerà nudi in un oceanodi concorrenza di fronte alla quale nonpotremo più barare, nascondere dietrolo Stato le nostre incapacità. Una spe-cie di battesimo nell’acqua fredda delcapitalismo vero, per un Paese – il no-stro – che è sempre rimasto a “mollo”nel sistema misto. Non saranno piùpossibili svalutazioni per ridare fiato alMade in Italy, o per alleggerire il pesoreale del debito pubblico. Niente più ri-duzioni del costo del denaro manovratedalla Banca d’Italia – che di fatto vedràpiù che dimezzato il suo potere. Nientepiù sovvenzioni ad imprese come l’Ali-talia. Niente più contributi dello Statoper alleggerire il costo degli investi-menti nel Sud imprese come la Fiat.
È chiaro che per le aziende, a co-minciare proprio dalle banche, l’europorterà dei costi aggiuntivi non indiffe-renti. Ma quanto costa alla famiglia?
In teoria la conversione dovrebbeavvenire a costo zero. Per gli stipenditoccherà alle aziende provvedere allapreparazione di nuove buste paga. Unoperaio da 2 milioni al mese dovrà abi-tuarsi a vivere con 1.026 euro.
Per i c/c le banche è presumibileche inizino con il fornire un doppio car-net, mente per il bancomat l’ABI haprevisto che i distributori di banconoteindichino le somme prelevate sia ineuro che in lire, favorendo la diffusionedegli euro fino a quando non si inter-romperà del tutto la circolazione di lire.Nessun addebito neanche per la con-versione, automatica, di Bot, CCT, Ctz,Btp, anzi un vantaggio perché il rendi-mento resterà lo stesso ma verràespresso in una valuta presumibilmen-te più solida. Per i buoni postali già incircolazione l’operazione è rinviata al 1gennaio 2002.
Saranno, altresì, più facili gli acqui-sti via internet e con carta di credito,anzi è del tutto probabile che il “denarodi plastica” acquisti un ulteriore valorein quanto consentirà di evitare calcoli esorprese sul cambio.
Il grande rischio sarà, però, invisibi-
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13le, subdolo, e si riassume una parola:arrotondamento. Dopo un po’ di tempola maggior parte di noi smetterà di con-frontare i nuovi prezzi in euro con i vec-chi. Sarà allora che scatterà ilmeccanismo dei rincari occulti. Esem-pio: un biglietto del tram costa a Milano1500 lire, cioè 0,76 euro; un ora di par-cheggio 2500, cioè 1,28 euro; un caffè(a Milano) 1400, cioè 0,71 euro. Fortesarà la tentazione di arrotondare a 0,80, 1,30, 0,75. L’arrotondamento potreb-be dilagare nelle macchine distributricia monete e banconote con un effetto sultasso di inflazione che potrebbe non es-sere affatto impercettibile. Anzi.
Resteranno invece – sicuramente –rigidi (costanti) le tariffe e il costo deiservizi pubblici e di beni che interessa-no troppo la concorrenza europea comela pasta, le arance, i ciclomotori.
Piuttosto con la concorrenza euro-pea i prezzi nei vari paesi tenderanno alivellarsi.
Auto ed elettrodomestici freneran-no, anche grazie alla trasparenza: nonsarà più possibile mascherare il fattoche una Fiat Cinquecento costa 100 inSpagna, 113 in Italia, 123 in Germania,e che una Wolkswagen Polo costo 100in Portogallo, 122 in Italia, 136 in Ger-mania.
Questi confronti si estenderannoalle lampadine, ai giocattoli, alle fettinedi manzo. Sarà più facile, in compenso,viaggiare. E capire – per esempio –quanto costa una stanza d’albergo inSpagna, facendo così il confronto conquelle italiane, scoprendo quindi per-ché il nostro turismo è sempre menoconcorrenziale.
La moneta unica comporterà note-voli modifiche sugli investimenti, po-nendo fine al cosiddetto rischio-Paese ,facendo andare i capitali a chi davvero limerita. Per far questo è indispensabileche cambi radicalmente la strategia diinvestimento, strategia che dovrà se-guire il principio dei maggiori investi-tori europei ed internazionali:diversificare il portafoglio, la tantostrombazzata diversificazione diverràuna chiara necessità.
Finora ad essere preferiti erano ipaesi più affidabili, adesso gli investito-ri si stanno orientando a scegliere azio-ni ed obbligazioni delle aziende piùpromettenti, ovunque queste siano lo-calizzate. E questo perché con l’Euronon ci sarà più il rischio di cambio ed in-
flazione e tassi di interesse sarannoconvergenti.
E i conti della fabbrichetta? Tutti gliimprenditori si ritroveranno a dover ri-scrivere contratti e bilanci, ad adeguarei computer e software. Ma fra questiun’ansia cresce: saranno preparati atutto ciò? Forse, ma è una sensazione,non si sta prendendo troppo sul seriol’insidia che entrare in un mercato piùgrande, molto più grande, nasconde.Trovarsi di fronte a concorrenti più for-ti, più preparati, più efficienti sarà (pos-so anche sbagliare) un grosso ostacoloalla permanenza in vita delle nostrepiccole aziende. Perché, vedete, le no-stre sono quasi tutte piccole aziende,abituate a lottare ed a vivere solo in unpiccolo contesto. Lo scenario più am-pio che plausibilmente si aprirà li tro-verà nella maggior parte dei casi deltutto impreparati.
I disagi in cui incorreranno non sa-ranno solo di natura amministrativa –gestionale, ma saranno anche di carat-tere logistico. Lo stesso adeguamentodei computer comporterà dei costi nonindifferenti per le aziende. Nei bilanci,ancora, bisognerà ricalcolare in euro leimmobilizzazioni tecniche e gli am-mortamenti. Questa operazione conta-bile potrebbe gonfiare artificiosamentele tasse da pagare, ed al proposito al Mi-nistero delle Finanze stanno studiandodelle agevolazioni per i costi che im-prese e negozi affronteranno per ade-guare software e registratori di cassa eper addestrare il personale.
La trasparenza che tuttavia la mo-neta unica comporterà avrà un effettoestremamente benefico, quello di cal-mierare molti prezzi, rendendo estre-mamente agguerriti i consumatori. Uncaso esemplare è quello dei prodottipetroliferi. Con l’euro si vedrà beneche i petrolieri italiani hanno costi in-dustriali e di distribuzione alti, chesono poco efficienti; e si vedrà altret-tanto bene quanto sia vorace il fisco ita-liano su ogni litro di benzina.
Tuttavia i giudizi sull’euro non sonodel tutto positivi. Per alcuni intellettua-
li americani il treno dell’euro lascerà inorario la stazione il 1 gennaio 1999, ma“con le ruote che stridono ed i vagoniagganciati male. Se deraglierà comefanno credere ragioni economiche epolitiche, ci saranno conseguenze sututto quello che l’Europa ha conquista-to in quarant’anni”. Iperboli, natural-mente.
Una critica più concreta è invecequella che punta ad evidenziare il fattoche tutti gli sforzi si sono concentratisulla convergenza, con il palese obietti-vo di far somigliare l’euro al marco,simbolo di controllo dell’inflazione,mentre è molto più lenta l’armonizza-zione delle leggi fiscali. E considerandoche le imprese pagano il 53,2 per centosugli utili in Italia e solo il 34 in Austriasi capirà benissimo quanto questo pun-to sia delicato.
In più: non avendo l’arma della sva-lutazione per aumentare la competiti-vità, e della spesa pubblica abbondanteper frenare la recessione, come si faràin tempo di crisi? Forse la soluzione èquella americana: ridurre i salari e per-mettere i licenziamenti! Sia chiaro chel’euro funzionerà solo se vi sarà unamaggiore flessibilità salariale, con con-seguente ridimensionamento delle ga-ranzie degli occupati europei.Dovremmo chiederci, a questo punto,se siamo culturalmente pronti ad af-frontare tutto questo. Se vi sono deglistrumenti normativi capaci di evitare lequasi certe disfunzioni patologiche che– tristemente – hanno sempre caratte-rizzato il nostro mondo del lavoro. Per-sonalmente ritengo che al di là di ogniindicatore economico, la moneta unicae il mercato unico ci metteranno difronte a situazioni che noi ancora ogginon siamo pronti ad affrontare.
Dunque, brindiamo anche noi a perquesto ingresso in Europa, e facciamo ivoti perché sia la fine di quel mostroche è lo Stato “Introvabile”, con tutta lasua politica bizantina, la Magistraturadominante, la burocrazia privilegiata, iservizi essenziali inesistenti (poste,ferrovie, comunicazioni, sanità, ecce-tera eccetera, perché in Europa ci siporterà dietro anche questi servizi).Così da poter dire con Dante che dav-vero “Comincia una vita nuova”. Vice-versa avrà ragione la Gran Bretagna astarsene per ora fuori.
Meglio aspettare e vedere come an-drà a finire questo Euro.q
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IL VANGELO TRA I NEGRI
D'AMERICAdi Silvana Donato
La religione cristiana, con ilsuo immenso patrimonioideale, basato sulle fonda-menta della dignità, del-
l'uguaglianza e della fraternità, hasempre avuto, nella storia, un fortissi-mo impatto sulle coscienze individualie sulle vicende di interi popoli.
La storia degli afro-americani, daisecoli bui della schiavitù all'odiernachiesa elettronica dei predicatori cheammaliano e trascinano milioni di per-sone dallo schermo televisivo, è unodegli esempi più emblematici.
Per capire la portata dell'impattodell'evangelizzazione degli schiavi, ini-ziata nel 1701, è necessario dare unquadro della situazione dei neri inAmerica prima dell'emancipazione. Laschiavitù in America ebbe sempre unaspetto brutale e disumanizzante, vol-to alla distruzione della personalità del-lo schiavo. Se in Sudamerica, in statifeudali come il Brasile, il sistema schia-vista era regolato da norme giuridiche,in base a cui lo schiavo era servo nelcorpo e non nello spirito, negli StatiUniti bisognava trovare una motivazio-ne per giustificare una tale realtà di so-pruso e violenza. E la giustificazione ful'inferiorità del nero, l'ammissione chelo schiavo non aveva mente, né anima.Egli era solo un animale da lavoro, nonpoteva sposarsi, non poteva avereun'istruzione, tutta la sua vita era nellemani del padrone bianco, che potevavenderlo, violentarlo, picchiarlo, perfi-no ucciderlo, il tutto impunemente.
L'evangelizzazione degli schiaviiniziò nel XVIII secolo ma, naturalmen-te, non si incentrò nel messaggio del-l'uguaglianza e della fraternità. Alcontrario, i predicatori bianchi insiste-vano prevalentemente sulla docilità esull'obbedienza, commentando ripetu-tamente la “Lettera agli Efesini”, in cuisi esortavano gli schiavi a servire i pa-droni “come servi di Cristo, compiendola volontà di Dio”.
Il culto, tra gli schiavi, conservavaespressioni del retaggio africano e ri-
fiutava la pratica della rigida riflessioneteologica, creando un immediato con-tatto con Dio, attraverso l'emotività, ledanze, i canti e ogni manifestazione“emozionale”. Fu da questi culti cheemerse la figura del predicatore neroche, anche se analfabeta, parlava innome di Dio e trasmetteva un messag-gio di speranza e di riscatto.
La lettura della Bibbia, che spessoavveniva di notte, alla luce delle torce,portò agli schiavi un nuovo codice mo-rale, che permise loro di scoprire l'anti-tesi fra schiavitù e parola di Dio. Moltipredicatori neri, infatti, vivevano pro-fonde crisi morali, nel corso delle qualidovevano convincersi che Dio era con-trario alla schiavitù, per potere conti-nuare a credere in Lui.
La lettura del Vecchio Testamentoe il racconto della liberazione degliEbrei dalla cattività egiziana, diventa-rono esempi di speranza e incarnazionedel desiderio di libertà, non solo spiri-tuale, ma soprattutto materiale. Tuttala dignità e l'umanità, che agli schiavierano state strappate dal sistemaschiavista americano, vengono ritrova-te nel messaggio evangelico, come mo-strano le parole degli spirituals, cantireligiosi colmi di angoscia e di un gran-dissimo desiderio di libertà.
Dopo la liberazione, quando gli StatiUniti non seppero dare ai neri una realecondizione di parità, ma li costrinsero asentirsi inferiori, confinati nei ghetti,peggio che schiavi, la Chiesa fu l'unicavera istituzione a fornire un appoggiomorale, a fungere da centro sociale e ri-
creativo, unico avamposto tra la popo-lazione afro-americana e il razzismoendemico dell'America.
Infine, negli anni '60, il movimentonon-violento di Martin Luther King siispirava alla dottrina cristiana dell'amo-re, che rifiutava la violenza e insegnavaall'oppositore la forza dello spirito, conuna passività fisica che diventava atti-vità fortissima sul piano spirituale. IlMovimento per i Diritti Civili, ispiratoalla dottrina non-violenta di Gandhi,scosse le coscienze degli Americani emostrò la vera situazione di emargina-zione e di razzismo che dominava gliStati Uniti in quel periodo e che, pur-troppo, li domina anche oggi.
Nondimeno, non possiamo dimen-ticare che la Chiesa è stata ancheun'istituzione razzista, che non ha com-battuto la schiavitù, ma è stata acquie-scente al sistema come mostra laformula del battesimo recitata dalloschiavo, in cui egli dichiarava di libera-re solo la sua anima, non di chiedere al-cuna liberazione materiale. Così comenon si può dimenticare che le primechiese nere indipendenti erano nate dalrifiuto delle chiese bianche di accoglie-re membri di entrambe le razze, perchéla maggior parte delle chiese biancheaveva segregato i neri, confinandoli ingallerie e posti riservati e all'aperto, ol-tre una staccionata. Lo stesso reveren-do King diceva: “E' terribile che l'ora incui la segregazione raggiunge la puntapiù alta è la Messa delle undici del mat-tino”.
Tuttavia, ciò nulla toglie alla valen-za unica e insostituibile del messaggiocristiano che, nonostante le distorsionidei predicatori bianchi, è riuscito a con-servare intatta la sua forza e a irrompe-re con il suo inno alla libertà, alladignità, all'uguaglianza e all'amore fra-terno, facendo sì che uomini e donne,privati di ogni umanità, potessero ritro-vare la loro dignità e la forza di chiedereuna condizione di parità civile e umanache rifiutasse l'odio e la violenza e fosseguidata dalla luce della pace e del per-dono, che solo la religione e la vera fedepossono dare.q
Martin Luther King
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Ø
I FATTINOSTRI
a cura di Franco Biviano
Nell'ambito del piano di riduzione dei
settori telefonici per diverso accorpa-
mento delle reti urbane, previsto dalMini-
stero delle Comunicazioni, la Giunta
Comunale ha deliberato l'inserimento
delle utenze telefoniche pacesi nel Setto-
re e Rete Urbana di Messina. L'attuazio-
ne del piano comporterà l'applicazione
della tassazione locale e favorirà lo svi-
luppo socio-commerciale del nostro terri-
torio. (Delibera Giunta n. 130 del
12.3.1998)
***
Si allunga ancora la storia infinita del-
l'Auditorium. L'ing. Giovanni A. Mappa,
incaricato di procedere al collaudo stati-
co della struttura, ha rinunciato al man-
dato affidatogli. Adesso l'incarico è
passato all'ing. Domenico Giunta. (Deli-
bera Giunta n. 110 del 12.3.1998).
***
I lavori per la ristrutturazione e il com-
pletamento del Centro Diurno per Anzia-
ni (Palazzo Luigi Lo Sciotto) sono stati
Religiosi... con fantasiadi Emanuela Fiore
Stiamo vivendo un momentodi grande confusione, maanche di grande speranza,sia pure spesse volte delu-
se.Siamo in mezzo a un guado: sull’al-
tra riva ci aspetta senz’altro qualcosa dimigliore, ma raggiungerlo sta risultan-do più difficile e complesso del previ-sto.
La vita che Dio ci dona contienespesso anche aspetti impegnativi e pe-santi, ma Egli ci offre anche il contrap-peso di occasioni, di distensione e disollievo; occasioni che noi stessi dob-biamo intelligentemente ricercare,perché rappresentano anch’esse dei ta-lenti che dobbiamo far fruttare in modoche la nostra personalità non divengaintristita, ma sia viva e nutrita da ognipunto di vista.
Quali “passi in avanti” dobbiamofare a questo riguardo?
Di che cosa abbiamo bisogno percrescere in ciascuno di noi il senso dicorresponsabilità ecclesiale e sociale?Sono domande importanti e allo stessotempo difficili… Aquesti interrogativiil cristiano offre le risposte dell’amore.
E la conferma l’ho avuta giovedì 12marzo durante la trasmissione di For-mat “Film vero” con la testimonianzadell’amorevole Irene Pivetti che ha pa-lesato come ci si può spiritualmente efisicamente rinfrancare, per poi ripren-dere con nuova lena gli impegni che lavita e la nostra attività ci ripropongono:Primo fra tutti l’impegno di essere deibuoni cristiani, cioè di vivere nella fa-miglia, nel luogo di lavoro e nella socie-tà, con coraggio e slancio, la fedeltà alvangelo, contribuendo nel nostro pic-colo a far crescere la città di Dio dentrola città dell’uomo.
E ancora nella stessa trasmissioneDe Antonella G. suora delle Apostoledella vita interiore che dopo due anni dilavoro in banca si consacra a Cristo eadesso allieta e affascina migliaia di gio-vani cantando Rap.
Afferma che il linguaggio della mu-sica è universale e riesce ad accomuna-re tutti i giovani della terratrasmettendo loro messaggi positivi.
Altra testimonianza viene data daDon Silvio Montanelli, salesiano inarte, che da dieci anni si esibisce comeprestigiatore e “missionario dellagioia”. Si fa chiamare Mago Sales ma èanche soprattutto un prete che ha scel-to di realizzare i principi educativi diDon Bosco portando per il mondi giochidi prestigio, illusioni e spettacoli di ani-mazione.
E ancora Don Luciano Contini: sot-to quel volto di clown si nasconde un si-gnore di mezza età, ma con una granvoglia d’incantare e divertire i bambini.
“Il del clown può essere un mezzoterapeutico”- egli assicura - “può cura-re ansie e timidezze. E’ mezzo di comu-nicazione e può migliorare e modificarepositivamente il nostro rapporto con glialtri.”
E’ pure da ricordare Suor Germanaautentica maestra di vita che con il suoricettario di cuoca d’eccezione consi-glia affettuosamente i segreti della suabuona cucina: Aroma, fantasia, sapore,poesia, sentimento, saggezza, emozio-ne e gioia sono gli ingredienti genuinidei suoi deliziosi piatti facendoli realiz-zare e gustare amorevolmente.
E per finire Liliana Cosi suoradell’opera di Maria (questo è il nomeufficiale del Movimento dei Focolari)che può vivere la propria vocazione diSposa di Cristo anche da ballerina.
Ecco come si può scoprire la pro-pria vocazione: quando la fede ricevutamatura in un affidamento che non temela vita, quando il desiderio d’esser feli-ce non si riduce al desiderio di staretranquillo, ma riconosce gli indizi checonducono molto oltre le attese, nonsenza fatica. Liliana Cosi dopo essersidiplomata come migliore allieva ed es-sere assunta nel corpo di ballo dellaScala di Milano arrivando poi al Bolshoidi Mosca e ancora debuttando comeprima ballerina nel “lago dei cigni” diCioikovski al palazzo dei Congressi diCremlino, potè scoprire alla luca dellaspiritualità, valori mobili come l’amorepuro, fedele, generoso. Entrò a far par-te dei Focolarini e senza rincrescimen-to lasciò la famiglia, il balletto e tutta lavita precedente.
Così ha realizzato la sua chiamata…e alle soglie del duemila vive la propria
vocazione nell’arte. Ha fondato unascuola di balletto professionale per ra-gazzi da 10 a 20 anni, per preparare i fu-turi artisti e la danza l’aiuta a donare unpo’ di profumo di Dio, a mostrare aglialtri un po’ di bellezza, di fantasia, digioia, di armonia, a ricordare a tutti lerealtà che ci attendono: la gloria di Dio,il Paradiso nel quale TUTTO e ognicosa sarà vestita di bellezza.
E noi… nel nostro piccolo promet-tiamoci di crearci gioiosamente spazi disilenzio, di preghiera, di maggiore at-tenzione agli altri. Ad esempio imparia-mo a salutare il giorno che sorgepregando, fermiamoci un attimo perascoltare la voce di Dio che si fa udirenel silenzio, dedichiamo festosamentetempo e attenzione ai figli, e all’anzianoche, sappiamo, passa le sue giornatenella sua angosciata solitudine.
Viviamo quindi in modo intelligentecome occasione di crescita spirituale,di arricchimento interiore ricreando innoi la disponibilità a capire che cosanella vita è veramente essenziale.q
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RedazioneestampapressoParrocchia
S.MariadellaVisitazione(
(090)93.31.65-PacedelMela
-AnnoVIIn.64-12Aprile
1998
ê(continua dalla prima pagina)
sotto la quale Cristo era già caduto trevolte. Allo stesso modo lo Stato e i cit-tadini caricano sulle spalle del neo elet-to e della sua Giunta la gestione diun'azienda grande quanto un paese, aprescindere dalle loro competenze(che possono esserci, ma anche non es-serci), cercandoli anzi preferibilmentetra coloro che non hanno mai avuto lemani in pasta. Viene affidato loro unTIR da guidare per quattro anni senzachiedere prima se possiedono la paten-te adeguata.
Da questo punto di vista c'è qualco-sa che non va in questo nostro sistemademocratico. C'è una forma latente diautolesionismo in questa mancata ri-cerca di adeguate garanzie. Non è sag-gio dire al neo eletto: “Hai voluto labicicletta, ora pedala!”. Perché sulla bi-cicletta, insieme al sindaco e agli asses-sori, ci siamo tutti noi e dal loro modo dipedalare e di guidare dipende anche ilnostro destino. A mio parere, per fare il
sindaco e l'assessore non è sufficienteil solo consenso popolare, ci vuole an-che la competenza specifica. Gli ammi-nistratori del futuro dovranno esseredei “city managers”, scelti sì dai citta-dini, ma non nel mucchio. Si dovrà pen-sare ad una specie di albo nel qualepotranno iscriversi tutti coloro cheavranno superato un esame, dopo averseguito un apposito iter formativo chenon tralasci, per esempio, il diritto co-munitario (l'ANCI, infatti, sta già lavo-rando in questa direzione). Dovrannofinire i tempi in cui si perdono tanti fi-nanziamenti per sconoscenza delleprocedure da seguire, in cui si è co-stretti a rifare delibere annullate “permero errore materiale”, in cui le ditteche inquinano il territorio la sanno piùlunga delle autorità preposte al lorocontrollo. Dovranno essere gli ammini-stratori, forti della loro competenza, adare direttive ai funzionari e agli impie-gati e non viceversa.
Ma questi discorsi non riguardanoPace del Mela, perché noi abbiamoscelto un sindaco con tutti gli attributirichiesti. Fra qualche giorno lo vedre-mo all'opera. Sarà il sindaco di tutti icittadini, da zero a cento anni, da Gesitaa Gabbia, analfabeti e plurilaureati,amici e nemici, dimenticando quellaconta dei voti che gli ha fatto individua-re, sezione per sezione, casa per casa,chi lo ha sostenuto e chi no. Sarà il verocapo della Giunta, senza mani legate esenza piegamenti.
Lui sarà vero sindaco e noi saremoveri cittadini. In passato pensavamoche, una volta usciti dalla cabina eletto-rale, il nostro compito era finito. Ades-so, invece, abbiamo acquisito lacoscienza che il compito del cittadino-elettore continua per tutto il quadrien-nio successivo con l'attività di controlloe di stimolo nei confronti degli eletti.Ora sappiamo (e quindi pretendiamo)che fra noi e gli amministratori deve es-serci uno scambio continuo di idee, diproposte, di chiarimenti, in manierache essi siano in ogni momento rappre-sentanti della popolazione e non di sestessi e che l'elettore sappia per tempoquello che frulla nella loro testa. Il“consenso” popolare deve sussisterepermanentemente e, nel caso in cui ve-nisse a mancare, deve essere riconqui-stato con opportune correzioni di rotta.In caso contrario, dovrà sfociare nelledimissioni.q
aggiudicati all'impresa Puleo Andrea di
Palermo che ha offerto un ribasso del 26,
5864%. L'importo netto dei lavori è di lire
253.276.850.
***
Con proprio atto del 15.1.1998 il Sin-
daco ha revocato la concessione edilizia
rilasciata il 12.9.1997 alla ditta E.T.S.
s.n.c. di Composto Stefano &C. per la co-
struzione di un opificio per assemblaggio
di quadri elettrici in contrada Gabbia. L�at-
to sindacale discende dall'avvenuta ado-
zione (ottobre 1996) del nuovo PRG del
Consorzio ASI e dalla conseguente ado-
zione delle misure di salvaguardia. La dit-
ta, che ha speso 66 milioni per l'acquisto
del terreno e rischia di decadere dal finan-
ziamento già ottenuto, ha presentato ri-
corso al TAR di Catania, sostenendo che
le misure di salvaguardia scattano solo
quando lo strumento urbanistico, dopo
essere stato adottato, sia stato anche in-
viato all'Assessorato regionale al Territo-
rio e all'Ambiente per la necessaria
approvazione. In ogni caso, prima di pro-
cedere all'acquisto, l'impresa aveva otte-
nuto dal Comune un certificato di
destinazione urbanistica attestante la pie-
nautilizzabilità dell'areaa fini artigianali.
***
I lavori di sistemazione della Scuola Ma-
terna di Pace Centro (Via Cucinotta) sono
stati finalmente portati a termine. Dal 2 mar-
zo scorso i locali sono stati riaperti ed ospita-
no tutte e quattro le sezioni esistenti.
***
Dal 17.3.98 il poliambulatorio medi-
co di Giammoro, opportunamente ristrut-
turato, è diventato CTA (Comunità
TerapeuticaAssistita) ed ospita ventima-
lati di mente (3 donne e 17 uomini) prove-
nienti dall'ex ospedale psichiatrico
�Mandalari� di Messina. La sistemazione
dei pazienti può considerarsi ottimale. Lo
stesso non può dirsi dell'ufficio di Guar-
dia Medica, trasferito al primo piano,
negli stessi locali dell'Ufficio sanitario. La
sua sistemazione lascia trasparire, infat-
ti, un provvedimento frutto di improvvisa-
zione: non sono state eliminate le
barriere architettoniche, l'insegna ester-
na riporta un numero telefonico errato, il
campanello suona nella vecchia sede del
piano terra e non al primo piano, il porto-
ne è traballante, l'ascensore non funzio-
na, le suppellettili della GuardiaMedica e
dell'Ufficio Sanitario sono ammassate in
un'unica stanza.
***A seguito del sequestro, da parte dell'Au-
torità Giudiziaria, della discarica comunale
sita in contrada Malapezza, i rifiuti solidi ur-
bani di Pace del Mela vengono conferiti fino
al 25.6.1998 nella discarica del Comune di
Messina (Portella Arena). Non essendo i
mezzi comunali attualmente idonei (così si
legge nell'ordinanza N. 38 del 27.3.98 firma-
ta dall'allora Vice-sindaco Salvatore Torre),
la raccolta e il trasporto dei rifiuti a Messina
sono stati affidati alla ditta Magazzù Antoni-
no di Condrò.
***
Due targhe marmoree per ricordare le
maestre Francesca Campanella e Michela Ar-
dizzone sono state apposte rispettivamente
nell'asilo nido di Pace Centro e in quello di
Giammoro. Una terza targa marmorea con il
nome del dott. Nicola Pandolfo è stata collocata,
su apposita struttura in ferro, nella piazza recen-
temente intitolata all'illustre medico pacese.q