APOLOGIA DI SOCRATE (Aleksis)
Scuola di Calogero e Giannantoni. Edizione Burnet. cfr. De Ruggero - Platone.
Diogene Laerzio. L'opera di Diogene Laerzio è importante perché sono narrate
tutte le testimonianze su Platone. Platone (nato: 428/427). Platone come
fondatore della metafisica. Il percorso di Platone è curioso: figlio aristocratico,
di educazione poliedrica, predestinato alla carriera politica. Dopo Pericle,
durante la guerra del Peloponneso, tutte le POLIS greche stanno perdendo il
loro potere. Siamo in un periodo della storia greca con una successione di
guerre, e ci sono dei grandi rivolgimenti: i 30 tiranni -- Crizia [parentela con
Platone] era coinvolto. Platone era di estrazione aristocratica e contrario alla
democrazia. Ha sempre sostenuto l'oligarchia; Platone segue gli studii
tradizionali; si prepara ad assumere una carriera politica. Pare sia stato
discepolo di Cratilo (attestazione di Aristotele). Il grande incontro è quello con
Socrate: l'incontro con il filosofo. [I semestre dedicato ai dialoghi socratici].
L'incontro con Socrate è anche di più. 399 a.C. Socrate muore. Questa data
segna un conflitto giunto fino a noi: il conflitto tra politica e filosofia, tra la
città e l'uomo. [Filosofia?] al margine della città, ovvero dove aveva indicato
Socrate. Platone per prima cosa [prima opera] scrive l'Apologia. La filosofia
assume il significato dato da Socrate e Platone in contrasto con la società.
Platone rinunzia alla politica [attiva]; ma con delle eccezioni: nella Repubblica
afferma che il buon governo è il governo dei filosofi. Solo la filosofia può
essere il cammino verso l'amministrazione (brutta parola) del bene pubblico.
Chi ha condannato Socrate ha anche messo a repentaglio la POLIS. Come
Heidegger, il rapporto con la politica è stato difficile. Un documento sulla vita
è la VII lettera. Prima considerata spuria, ora considerata autentica. Platone
appartiene anche alla Magna Grecia. Nei suoi viaggi farà incontri importanti:
Timeo a... etc. Subito dopo la morte di Socrate, gli allievi si trasferirono [via]
da Atene. Euclide da Megara va a Megara. Anche Platone va via, prima forse
in Egitto, poi a Cirene ed infine a Siracusa. Platone vi si reca per poter
sperimentare il governo dei filosofi, dove Dionigi I governa... e del parente
Dione [mezzo allievo di Platone]. Tramite lui cerca di creare il suo governo
eletto. Viva il Tiranni, morte al DEMOS. Platone oligarchico. 3 viaggi a
Siracusa. Tutti male. Viene fatto prigioniero, schiavo e viene riscattato. Negli
altri rischia pure la vita. Archita di Taranto intercede per salvarlo. Heidegger
ha aderito al Nazismo, dal quale non ha mai preso le distanze: la "Siracusa di
Heidegger" sulle tracce di Platone. DER FUHREN FUHRER. Quando rietra
fonda l'Accademia. Scrive opere non socratiche e si occuperà delle "Leggi" (la
APOLOGIA DI SOCRATE (Cecilia)
La fonte più importante riguardo alla vita di Platone è l’opera “Vite dei
filosofi” di Diogene Laerzio, che raccoglie varie testimonianze della vita del
filosofo.
Platone nasce nel 428/427 a.C.: la data di nascita è mitica, essendo una figura
leggendaria, per cui viene ricondotta al mito – il nome è pseudonimo e
significa “spalle larghe”. Platone proviene da una famiglia aristocratica di
Atene ed ebbe, come previsto, un’educazione poliedrica, per cui il suo è il
curriculum di un giovane aristocratico destinato alla carriera politica. Egli vive
in un’epoca complessa della storia greca, infatti siamo nel periodo dopo
Pericle: Platone vive nell’ultima fase importante della storia di Atene, che già
va comunque perdendo, insieme ad altre città, il proprio prestigio; da una parte
si succedono guerre (come la guerra del Peloponneso), dall’altra vi sono grandi
rivolgimenti (come il regime dei 30 tiranni, in cui è coinvolto lo zio di Platone,
Crizia). Platone, politicamente, era contrario alla democrazia, come Aristotele:
egli ha sempre sostenuto la necessità di un governo oligarchico che, nel suo
pensiero, assumerà connotati curiosi. Il percorso di studi di Platone è
tradizionale ed egli si prepara ad assumere la carriera politica ad Atene.
Sembra sia stato allievo di Cratilo (discepolo di Eraclito), figura di cui parla sia
Platone nell’omonima opera, sia Aristotele nella Metafisica – Aristotele gli
attribuisce la dottrina del “panta rei”, anche se la teoria che appartiene a Cratilo
è “l’armonia dei contrari”.
Il grande incontro della vita di Platone è con Socrate (l’incontro con il
“filosofo”) – nei “Dialoghi socratici” Platone parla del maestro, parlando anche
di sé. Per lui comunque costituisce l’incontro con la filosofia. La data in cui
Socrate viene processato (399 a.C.) e condannato a morte, è importante, perché
ad essa segue una cesura, un conflitto, che si protrarranno nell’Occidente per
tutta la sua storia – conflitto tra politica e filosofia/città e filosofo, che rimane
molto attuale. Il conflitto non porta ad una sconfitta della filosofia, che resterà
al “margine della città”, luogo che Socrate aveva indicato. La morte di Socrate
costituisce un evento significativo anche nella vita di Platone, il quale era
predestinato alla carriera e alla vita politica: egli scrive l’”Apologia di Socrate”
(prima opera di Platone), in cui testimonia il processo, riportando quanto
avvenuto, le accuse mosse a Socrate e la decisione valorosa di Socrate, che non
vuole andare in esilio – nel “Fedone” , verso la fine, è scritta la morte del
filosofo. Platone si autodescrive nell’Apologia, mentre resta assente nel
Fedone. La filosofia assume il significato che Socrate aveva dato alla filosofia,
leggenda racconta che morì scrivendo quest'opera). Speusippo, Senocrate,
Aristotele. L'Accademia non era solo un'istituzione come quelle moderne; ma
era pensata per il SUNFILOSOFEIN, filosofare insieme, vivere insieme
[influsso dei Pitagorici]. E' molto probabile che l'idea che vivere assieme fosse
necessario per imparare a filosofare... Platone la eredita dai Pitagorici. Seguire
insieme una condotta di vita. I pitagorici per anni non potevano parlare; ma
dovevano serbare le parole del maestro. Insegnamento esoterico. In parte ciò
valeva anche per l'Accademia, e riprende l'idea che gli allievi debbano seguire
il maestro: insegnamento esoterico. Due tipi di lezione: 1. uso interno: solo per
gli allievi. 2. lezioni pubbliche. Gli studiosi sono concordi nel dire che nei
dialoghi i temi sono quelli delle prime. Nasce da qui [la diatriba per]
un'interpretazione diversa di Platone. Aristotele dice AGRAFTA DOGMATA:
le famose dottrine non scritte per gli adepti. Platone introduce una distinzione:
1. allievi che studiano filosofia; ma poi vanno via. 2. coloro predestinati alla
teoresi. DOTTRINE NON SCRITTE: studiate nella seconda metà del '900.
Giovanni Reale e la scuola di Tubinga[-Milano]. Tubinga città universitaria.
Gaiser: in realtà gli AGRAFTA DOGMATA dovevano essere le dottrine più
importanti. La scuola di Tubinga si rifà ad Aristotele per dire che queste sono
le IDEE-NUMERO, l'UNO e la DIADE: principii di tutte le cose.
MATEMATIZZAZIONE DEI PRINCIPII ONTOLOGICI DI PLATONE.
Critiche: Gadamer ha detto che queste dottrine sono importanti; ma bisogna
tener conto dei dialoghi. Chi da importanza ai dialoghi ne considera l'aspetto di
metodo per la filosofia: il DIALOGO come MODALITA' DELLA
FILOSOFIA. La Di Cesare ha studiato a Tubinga; però non prescinde dai
dialoghi. Perché abbiamo tanto di Platone? 1. grande fama di Platone. 2. La
filosofia si è sviluppata a partire dai dialoghi di Platone, in stretto confronto
con essi. In tempi diversi alcune opere sono state considerate spurie.
Schleiermacher - Introduzione a Platone. La traduzione di Schleier macher è
stata epoch-making. Magistrale. Schleiermacher ha applicato un metodo di
congruenza linguistica, cosa che ha fatto considerare spurii quasi tutti i
dialoghi. Nel '900 sono stati applicati criterii meno restrittivi. 11 lettere sono
autentiche, tra cui la VII. Dialoghi organizzati in tetralogie, anche se a volte
non se ne capisce il criterio. Stephanus (Henri Estienne), XVI secolo,
grammatico, edizione delle opere di Platone da cui i "numeri di Stephanus".
Gerhardt (editore degli scritti di Leibniz). Testimonianze della scuola di
Tubinga: Gaiser - Testimonianze sulle dottrine non scritte.
in contrasto con la città: l’incontro con Socrate è decisivo, perché Platone
rinuncia alla carriera politica, anche se con delle eccezioni – nella Repubblica
sosterrà che l’unico buon governo della “politeia” è quello dei filosofi, non
teorizza un’esclusione del filosofo, egli è contemporaneamente è al margine
della città, ma si prepara al governo. La filosofia è il cammino verso
l’amministrazione del bene pubblico della città; per Pletone chi ha
responsabilità politiche e ha condannato Socrate è anche chi mette a repentagli
la polis – il rapporto complesso tra il filosofo e la politica è attuale.
Un ulteriore documento della vita di Platone è la VII lettera, considerata non-
autentica; oggi invece prevale la tesi che sia autentica – lettera che parla della
sua vita, della sua persona e dei suoi viaggi a Siracusa. Platone appartiene alla
Grecia e alla Magna Grecia (Italia Meridionale), dove farà incontri importanti
(per esempio Timeo e Todi). Dopo la morte di Socrate, gli allievi di questo
lasciano Atene ed è così che nascono le scuole socratiche minori. Lo stesso
Platone, dopo alcuni anni, lascia la città, recandosi in Egitto, a Cirene, poi a
Siracusa, che insieme ad Atene costituisce un punto di riferimento per Platone.
Siracusa diviene il luogo in cui sperimentare la politeia dei filosofi; stringe
amicizia con Dionigi (tiranno) ed un suo parente, Dione – Platone concentra il
suo progetto politico-filosofico su Dione. Platone non pensa ad una
democrazia, per cui è fondamentale che ci fosse la tirannia, poiché egli
sostiene un governo oligarchico, fatto di pochi, cioè i filosofi. Sono tre i viaggi
a Siracusa, ognuno di questi ha un esito negativo per Platone: nel primo
viaggio viene fatto prigioniero, quindi schiavo, ma viene riscattato grazie alla
sua notorietà; nel secondo viaggio rischia la vita, poiché Dionigi viene
successo da Dionigi II; l’ultima volta in cui si reca a Siracusa, c’è una sorta di
ricatto, per cui intercede Archita di Taranto – se non avesse avuto legami con i
pitagorici non si sarebbe salvato. Heidegger alla stregua di Platone, avrebbe
voluto condurre il conduttore (si parla della “Siracusa di Heidegger) – resta il
rapporto problematico tra la filosofia e la politica.
Dopo i viaggi di Siracusa torna e fonda una scuola, l’Accademia, in cui
trascorre 10 anni, e in cui si cimenta in opere molto diverse da quelle
socratiche, occupandosi di politica – la leggenda dice che morì non appena finì
di scrivere “Nomoi”. L’Accademia ebbe un enorme successo (seguaci come
Speusippo, Aristotele ecc.); essa era pensata per un “sum philosophein”
(“filosofare insieme”), per cui era necessaria una vita in comune. L’idea che
fosse necessario vivere insieme per imparare a filosofare e l’idea di un
particolare rapporto tra maestro e allievo è ereditata dai pitagorici – per i
pitagorici c’erano regole e condotte di vita che comprendevano anche
l’alimentazione, inoltre c’era un rapporto regolato tra allievo e maestro: non
c’era dialogo, era una scuola autoritaria, in cui vigeva l’insegnamento
esoterico, per cui non si poteva trasmettere al di fuori della scuola ciò che si
era imparato. Ciò in parte funzionava anche per l’Accademia, in cui si riprende
l’idea che chi studia filosofia arriva a maturità molto tardi, dunque gli allievi
seguono il maestro, sulla base di un insegnamento esoterico. Nell’Accademia
si distinguevano due tipi di insegnamento: quello “esoterico”, per cui le lezioni
erano fatte ad uso interno della scuola e per i soli allievi della stessa; quello
“essoterico” che consisteva di lezioni pubbliche.
Da ciò nasce un’interpretazione diversa di Platone; egli parla di “agrapha
dogmata” (“dottrine non-scritte”) – temi che Platone non ha trattato nelle opere
scritte, ma concepite per gli adepti. Platone distingueva: allievi che studiavano
filosofia, per cui però era più urgente la prassi della vita; allievi predestinati
alla teoresi. Nel ‘900 si crea un dibattito filosofico intorno agli “agrapha
dogmata”: nella scuola di Tubinga (nata negli anni ’60, in Germania), dove
insegnò Gaiser, si sostiene l’importanza superiore delle “dottrine non-scritte”
di Platone, rispetto alle altre opere – concezione che si rifà a delle
testimonianze di Aristotele, per cui si sostiene che gli “agrapha dogmata” sono
le idee numero e i due principi (l’uno e la diade) di tutte le cose, che valgono
anche per Aristotele. Dunque la scuola di Tubinga, attraverso i suoi esponenti,
sostiene una ma tematizzazione dei principi ontologici di Platone – Reale
condivide la posizione della scuola di Tubinga. Gadamer, invece, ritiene
ugualmente degni di considerazione i dialoghi platonici. Si tratta quindi di due
interpretazioni diverse della filosofia di Platone: 1) ma tematizzazione
dell’ontologia (Tubinga); 2) importanza del Dialogo (la cui origine è Socrate),
come apertura della filosofia – nei dialoghi socratici c’è il dialogo, come
modalità della filosofia. Le testimonianze delle dottrine non-scritte sono di
Aristotele, e Gaiser raccolse tutte le testimonianze del mondo greco in un
volume.
Comunque tra le opere conservate di Platone vi sono l’Apologia, molti
dialoghi e alcune lettere. Il suo caso è eclatante nella filosofia greca, perché la
tradizione ha conservato un gran numero di opere – motivi: Platone godeva di
una gran fama e ciò ha contribuito; la filosofia si è sviluppata a partire dai
dialoghi platonici, quindi dal confronto con Platone. A seconda delle epoche
son state messe in dubbio delle opere, piuttosto che altre, in particolare
nell’800: Schleiermacher, un teologo protestante, e padre fondatore
dell’ermeneutica nel senso di “teoria dell’interpretazione”, che lui applicava
alle Scritture Sacre, ha tradotto in tedesco le opere di Platone – la sua è una
traduzione magistrale, ancora usata. Dunque egli ha il merito di aver diffuso
Platone in Germania; inoltre egli ha applicato un metodo basato sulla
congruenza stilistica, e dunque risultavano non-autentici quasi tutti i dialoghi –
posizione severa, rivista nel ‘900, si sono adottati criteri più flessibili, per cui
risulta autentica anche la VII lettera, che è il documento più importante per la
vita e la filosofia di Platone.
Le opere di Platone sono state sistemate in tetralogia, di cui ci sfugge il
criterio; a volte è chiaro sia il contenuto – Apologia, Critone e Fedone sono a
memoria di Socrate. Stephanus XVI (Hanir Estienne): grammatico che curò
un’edizione delle sue opere a cui si fa riferimento – le opere di Platone si
citano non con le pagine, ma con i paragrafi introdotti da Stephanus.
I primi dieci paragrafi fanno capo a diversi temi. Uno di questi è sicuramente il
processo di Socrate, quindi le accuse mosse a suo sfavore e la sua stessa difesa.
In secondo luogo vi è il tema dell’atopia di Socrate (a-topia dove “topos” è
luogo) : sin dalle prime righe Platone mette in evidenza il luogo non-luogo di
Socrate, la sua estraneità alla polis, il suo essere straniero in patria, ma anche il
suo essere straordinario – il fuori luogo dello straniero rispetto ad Atene, che
da subito Socrate rivendica per sé. Dell’atopia di Socrate Platone parla in
diversi dialoghi: è una peculiarità che caratterizzava Socrate e in generale il
philosophos, che è atopos – è il modo in cui Platone concepirà anche se stesso:
è un nuovo modo di intendere la filosofia, ossia come un fuori-luogo. Socrate
vive ad Atene, ma non vive come gli altri, è straniero, e questo è il suo merito,
ma anche la sua sofferenza; il filosofo si colloca ai margini della città. Un altro
tema riguarda il contesto politico-culturale e filosofico in cui viene descritto
Socrate. Tema ulteriore è quello della Sofia, cioè la sapienza: il responso
dell’oracolo di Delfi dice, attraverso la Pizia, che Socrate è il più sapiente,
perché sa di non sapere – è un punto decisivo e di partenza, e non una banalità
per il Socrate platonico o per Platone; In ultimo vi è l’aporia di Socrate,
strettamente connessa alla sua atopia: si tratta di una condizione di
problematicità del filosofo, senza la quale non v’è filosofia; l’aporia è il
disorientamento – Wittgenstein dirà “Ich kenne mich nicht aus” (“io non mi
raccapezzo”, cioè sono disorientato e ho perso la via).
Le quattro fonti a proposito di Socrate: Platone, Senofonte, Aristotele,
Aristofane.
Platone: la sua testimonianza di Socrate è nei dialoghi socratici, quelli
giovanili, il cui fine è quello di far emergere la figura del maestro nella sua
complessità – figura leggendaria che rappresenta il simbolo stesso del filosofo
e della filosofia.
Senofonte: la sua testimonianza è nei “Memorabili”, ed è sostanzialmente
diversa da quella di Platone; intanto si pensava fosse più provata a livello
storico, mentre quella di Platone è più personale; la testimonianza di Senofonte
arriva dopo trent’anni dopo la morte di Socrate, mentre quella di Platone è
immediatamente successiva a questa – Senofonte inoltre non è un filosofo,
anche se è possibile ci sia una maggiore precisione in ciò che racconta, affiora
la sua povertà filosofica, che non riesce ad offrire un quadro della grandiosità
di Socrate.
Aristotele: la sua è una meta-testimonianza, mediata da Platone; lui dice di
Socrate molto di ciò che già disse Platone – inoltre Aristotele ha preso un
cammino distante da quello di Socrate, hanno due concezioni molto diverse
della filosofia, per cui non si può dire che Aristotele, nella sua testimonianza,
faccia concorrenza a Platone.
Aristofane: nella sua commedia “Le Nuvole” ci da’ una testimonianza
caricaturale di Socrate, un’immagine caricaturale del filosofo e della filosofia,
il cui luogo sono le “nuvole” – accusa rivolta prima di tutti a Talete; Aristofane
ci da’ una caricatura storicamente interessante, poiché riconduce Socrate ai
Sofisti, ed egli non è stato in grado di distinguerli.
Nell’Atene in cui si celebra il processo contro Socrate si fa, in generale,
difficoltà a distinguere Socrate dagli altri filosofi, come ad esempio i
Meteorologi (filosofi della natura), ma specie dai Sofisti. Socrate è quindi una
figura che sconcerta gli ateniesi. L’atopia di Socrate (neologismo dei dialoghi
giovanili) è la posizione del filosofo che è marginale e senza luogo, poiché
straniero e straordinario; inoltre l’atopia è quello sconcerto che esso provoca
negli altri, è lo stato d’animo di perturbazione e irritazione che suscita negli
altri – è l’atopia è l’aporia, la condizione problematica, il disorientamento di
Socrate, in quanto straniero, che disorienta gli altri, e non tutti amano essere
disorientati. Pochi sanno sopportare il disorientamento, e quelli sono i filosofi,
mentre negli altri è irritazione – Socrate, attraversato dal suo non-luogo è
andato irritando tutti, tanto da provocare la sua condanna a morte. Il problema
I-X: il processo di Socrate, l'accusa, la difesa, etc. ATOPIA di Socrate. Il luogo
non-luogo di Socrate. Estraneità alla POLIS. Straniero in patria,
straordinarietà, fuori luogo, Socrate Outsider rispetto ad Atene. Peculiarità di
Socrate e del Filosofo in genere. Il filosofo è ATOPOS, fuori luogo. Come
Platone intende Socrate, ma anche se stesso: ATOPOS. Socrate vive come gli
altri; ma non al modo degli altri. Pregi; ma anche difficoltà: il filosofo è al
margine della società. 2. contesto politico/culturale/filosofico in cui muore
Socrate. 3. la "sophia", la sapienza di Socrate. Il responso dell'oracolo di
Delphi. (attraverso la Pizia) Socrate sa di non sapere. E' un punto decisivo e di
partenza. L'APORIA di Socrate: condizione di difficoltà, di problematicità, in
cui si trova il filosofo: il dis-orientamento. Wittgenstein dirà: "Ich kenne mich
nicht aus" (io non mi raccapezzo). L'ATOPIA è legata all'APORIA. Il tema
dell'oracolo di Delphi: quando Socrate risponde "so di non sapere" egli
smentisce l'oracolo. 17a/18a: Socrate ha ascoltato gli argomenti dell'accusa, ed
è IRONICO, IRONIA di Socrate: quasi quasi era stato convinto, persuaso...
Far riferimento al suo atteggiamento: accoglienza (si predispone) agli
argomenti degli altri. Socrate respinge di essere un abile parlatore a meno che
non si intenda il dire la verità. Socrate rivendica un parlare diverso da quello
degli altri, non forbito; ma il parlare di chi dice la Verità. Socrate vuole
distinguersi dagli accusatori; ma anche da quelli esponenti della cultura
ateniese e greca ai quali non vuole essere ridotto: ai Sofisti. Essi rivendicavano
di saper insegnare l'EU LEGEIN, il ben parlare. Bagaglio culturale di ogni
cittadino di Atene [cittadino attivo]. Costitutivo della democrazia. Socrate sta
dicendo di distinguersi anche dai Sofisti. A Socrate non interessa l'EU
LEGEIN. Non gli interessa difendersi; ma la verità e soprattutto la giustizia.
SECONDA PARTE DEL PARAGRAFO: Socrate rivendica il parlare
diversamente. Straniero all'eloquenza del tribunale. XENOS. Lo straniero, che
si contrappone all'IDIOTES, ovvero al proprietario. Socrate si propone come
XENOS, anche riguardo al suo parlare. La sua posizione è quasi peggiore,
perché Socrate, pur essendo Ateniese, si sente straniero, estraneo. Chiede di
essere trattato come straniero. Socrate è ATOPOS, un outsider, perché è
filosofo. Prega di essere considerato come veramente straniero. Il suo LEGEIN
dei cittadini di Atene è etichettarlo, come fa Aristofane, ed è la maggiore
difficoltà.
La testimonianza per eccellenza è quella di Platone: in queste pagine c’è la
presenza di Socrate, che ha solo dialogato, mai scritto, e poi c’è la presenza di
Platone, come il testimone che fa parlare il maestro.
I PARAGRAFO. Socrate è stato accusato ed è costretto a difendersi; ha
ascoltato gli argomenti dell’accusa – si rivolge agli accusatori sempre con
“cittadini di Atene”; Socrate dice che è stato quasi convinto e persuaso da
coloro che lo accusano – questa è l’ironia di Socrate, che comunque sta ad
indicare un atteggiamento di accoglienza degli argomenti altrui, il che viene
sempre ribadito, e la sua predisposizione all’ascolto a tal punto da lasciarsi
persuadere persino dagli accusatori. Socrate respinge quello che sarebbe quasi
un complimento sul suo conto(“abile a parlare”), ma Socrate non è un abile
parlatore, a meno che con ciò “non si intenda qualcuno che dice la verità”,
allora converrebbe – ma Socrate non userà un linguaggio forbito, parlerà “alla
buona”. Con ciò il filosofo rivendica un parlare diverso da quello degli altri,
perché il suo è un parlare “di chi dice la verità” – Socrate si vuole distinguere
dai suoi accusatori ed anche da quegli esponenti della cultura ateniese e greca
in generale, alla quale non sente di appartenere e a cui non vuole essere
ricondotto (specialmente ai Sofisti). I Sofisti sapevano di insegnare
l’euleghein, cioè il ben parlare, che ai suoi tempi faceva parte del bagaglio
culturale di un cittadino, ed era visto come costituente della democrazia.
Socrate quindi si distingue dai Sofisti, come dai suoi accusatori – a lui non
interessa il ben parlare, né difendere i suoi argomenti, ma solo la verità e la
giustizia. Socrate rivendica il parlare diversamente, perché lui è “straniero
all’eloquenza del tribunale” – “xenos” (è lo straniero e nullatenente), che si
contrappone all’idiotes (il proprietario). È importante che lui da subito si
definisca straniero, riferendosi al suo modo di parlare, alla sua condizione, che
risulta anche peggiore rispetto a quella dello straniero vero e proprio, che può
essere riconosciuto dall’accento del suo parlare, il che può quantomeno indurre
a compatirlo; Socrate non viene immediatamente distinto da un cittadino di
Atene, eppure lui si sente uno xenos e atopos, perché è un filosofo, quindi
prega di non essere compatito come uno straniero, ma di essere considerato
come uno xenos, perché nel suo modo di parlare è distante dai suoi accusatori.
Il suo modo di parlare “non è peggiore né migliore”, non si tratta di superiorità,
ma sicuramente di diversità. Questo primo paragrafo mette in luce l’inizio
della difesa di Socrate, il quale rivendica il suo modo di parlare e il fatto di
è diverso da quello degli accusatori. Non è né peggiore, né migliore (modestia
di Socrate); ma è un LEGEIN diverso. Rivendica di essere un uomo giusto. Il
LEGEIN di Socrate risponde alla sua ATOPIA. A proposito di Socrate ci sono
4 testimonianze: Platone, Aristotele, Senofonte, Aristofane. Platone: nei
dialoghi socratici dove si evince il far emergere la figura del maestro:
complessità di figura leggendaria, simbolo del Filosofo. Senofonte: nei
Memorabili la figura di Socrate è diversa dalla rappresentazione platonica.
Alcuni hanno sostenuto che il Socrate di Senofonte sia più storico. Ma
l'Apologia è scritta immediatamente dopo la morte di Socrate; mentre
Senofonte scrive a distanza di 30 anni dalla morte di Socrate. Senofonte non è
poi un filosofo: povertà filosofica di Senofonte, che non è certo paragonabile a
Platone. Aristotele: è una meta-testimonianza. Dice in gran parte quello che ha
[già] detto Platone -- è mediata da Platone. Aristotele concepisce la filosofia in
modo drasticamente diverso da Socrate. Aristofane: nelle Nuvole da una
testimonianza caricaturale di Socrate e del filosofo [in genere]. Caricatura
storicamente interessante: Socrate viene ricondotto alla Sofistica. Aristofane
dimostra di non essere in grado di distinguere Socrate dai Sofisti. Nell'Atene in
cui si celebra il processo c'è molta difficoltà a distinguere Socrate dagli altri
filosofi: dai meteorologi, dai filosofi della natura, e dai sofisti. Socrate
sconcerta gli ateniesi. ATOPIA: neologismo che compare in Platone (guarda
un lessico e la ricorrenza del termine). Vuol dire sia la "posizione" del filosofo,
ma anche lo sconcerto che Socrate suscita negli altri. Condizione del Filosofo
ma anche perturbazione, stato d'animo, sconcerto negli altri. Socrate
STRAORDINARIO [nel senso etimologico]. Il DISORIENTAMENTO: solo
pochi lo sopportano. Quei pochi potranno filosofare. Socrate ha attraversato
irritando tutti. ATOPIA. Ateniesi dis-orientati. Sconcerto. No sconcerto, no
party. Il problema per i cittadini è etichettare. Socrate non si faceva pagare. Il
problema di incasellare Socrate. La testimonianza principe è Platone. C'è la
presenza di due grandi filosofi: Socrate (oralità) e Platone (testimone). 18a/19:
c'è una distinzione: i nuovi accusatori dagli antichi accusatori. i "nuovi" sono i
giudici. Gli "antichi" sono i cittadini che lo hanno infamato (questi sono i
peggiori). Coloro che vi hanno educato [cerca citazione]. 3 accuse: 1. Socrate
specula sulle cose celesti. 2. indaga i segreti di sotterra. 3. i LOGOI (discorsi)
più deboli fa apparire più forti. 1. sono i meteorologi. 2. è Empedocle (gli
Ionici). 3. sono i Sofisti. Sono le 3 accuse di responsabilità: Socrate sarebbe il
precipitato di tutta la filosofia precedente e responsabile [di tutto]. Socrate si
riferisce all'ambiente culturale di Atene. Socrate non rispetterebbe gli dei. Non
ci si può difendere (processati in contumacia). Socrate ha a che fare non solo
essere giusto – tutto ciò risponde alla sua atopia.
II PARAGRAFO. Socrate fa una distinzione tra nuovi e antichi accusatori. I
nuovi accusatori sono i giudici; gli antichi, ben peggiori, sono quelli che tra i
cittadini di Atene lo hanno infamato – se non fosse stato infamato per anni, i
nuovi accusatori non avrebbero preso la parola. Le tre prime accuse mosse a
Socrate: Socrate specula su cose celesti; Socrate investiga i segreti di sotterra;
Socrate fa apparire i discorsi (logoi) più deboli come i più forti. Queste tre
accusa fanno riferimento a tre filoni della filosofia sino a Socrate: la prima
accusa si riferisce ai Metereologi; la seconda accusa si riferisce agli Ionici; la
terza accusa si riferisce ai Sofisti. In poche parole, le tre accuse fanno di
Socrate il responsabile o il precipitato di tutta la filosofia che viene prima di
lui. Socrate ripercorrendo queste accuse fa riferimento all’ambiente culturale di
Atene – viene addirittura accusato di non rispettare gli dei, e da queste accuse
non ci si può difendere; Socrate quindi, oltre a riferirsi a chi lo giudica in
processo, ha a che fare con un’opinione pubblica che gli è contraria – gli
esponenti culturali di Atene, dagli educatori agli scrittori. Platone vuole far
capire quanto Socrate sia isolato, oltre che atopos e xenos, poiché dalla sua ha
solo pochissimi allievi.
III PARAGRAFO. Socrate in sostanza viene accusato di portare in sé lo
sviluppo del pensiero filosofico fino a quel momento. Egli prende distanza
dall’accusa, ma anche dagli altri filosofi, dicendo che lui non si intende di
queste cose, come ad esempio non si intende di physis (natura, essenza,
principio e scaturigine delle cose) – Socrate è il filosofo deluso dalla ricerca
delle cose e si concentra sulla polis, sugli altri uomini, non s’intende né di
physis né del logos dei Sofisti. Socrate fa entrare la filosofia nella città; la
filosofia, grazie a lui, diventa politica – gli importa di incontrare i suoi
concittadini e di discorrere con loro; la sua filosofia sarà infatti dialogo,
nell’agorà.
A partire dalla sua difesa, Socrate mostra di non essere come gli altri, né come
i Sofisti, che si facevano pagare e si occupavano dei logoi nel senso di un uso
strumentale del logos – a Socrate non interessa rendere il discorso più debole il
più forte, non vuole confutare gli altri e avere la meglio. L’arte retorica nasce
attraverso lo sviluppo della democrazia, perché i cittadini devono imparare a
parlar bene, per difendersi in tribunale, dato che non vi erano giudici, e per
parlare in assemblea. I Sofisti inventano la grammatica, promuovono il parlar
con chi lo processa; ma con l'opinione pubblica che gli è contraria. Gli
esponenti della cultura (gli intellettuali) hanno parlato male di lui. Socrate
(Platone) ci fa capire quanto Socrate sia ISOLATO. Ha solo i suoi pochissimi
"allievi". 19b: RAGIONI va tradotto con LOGOS [reintroduciamo il termine
greco al posto della traduzione italiana]. Socrate è accusato come se portasse in
sé tutta la filosofia: "io non intendo né molto né poco"=Socrate non ha niente a
che fare con meteorologi... non gli interessa la FUSIS. FUSIS: quasi sinonimo
di ARCHE e di ESSENZA. Socrate dice "io mi allontano dagli altri filosofi".
Nel Fedone: "dalla FUSIS al LOGOS (cfr. fuga nei LOGOI). Socrate deluso
dall'investigazione delle cose ed indirizza lo sguardo verso la POLIS, verso
l'ALTRO, verso i suoi CONCITTADINI, verso l'AGORA'. Fa entrare la
filosofia nella città. La filosofia diventa politica, perché entra nella città.
Discorrere, dialogare, incontrare [l'Altro]... dialogo nell'Agorà. Su questa
"conversione" dalla FUSIS ai LOGOI: c'è già [in parte almeno] nell'Apologia.
Socrate non è come i Sofisti, per quanto questi si siano rivolti ai LOGOI,
perché l'atteggiamento è diverso: per Socrate non si tratta di un uso strumentale
del LOGOS. Socrate non intende confutare gli altri, e avere la meglio. La
retorica nasce attraverso lo sviluppo della democrazia. Retorica: rendere più
forte il discorso più debole per difendersi dalle accuse, difendere la propria
proprietà, parlare nelle assemblee, etc. I Sofisti sono i fondatori della
grammatica. Parlar bene per imporsi, per avere la meglio, per farsi valere...
Sconfiggere l'altro. Il prevalere di qualcuno su qualcun altro. C'era ad Atene;
ma non è la concezione di Socrate e di Platone. Socrate non è interessato alla 3
accusa. Socrate non ha una concezione AGONALE (conflittuale) della politica.
Per Socrate è l'incontro/dialogo con l'Altro. Socrate smonta le convinzioni
dell'altro, le certezze dell'altro, contro l'OVVIO. Padre scultore, madre
levatrice --> arte maieutica: far uscire ciò che l'altro sa; ma anche ciò che l'altro
non sa. Ricercare la verità insieme... nella città. La giustizia, ciò che è giusto
per la città, per la comunità. Socrate: LOGOS nel senso di dialogo.
IV. riferimento ai Sofisti: i Sofisti vengono ricercati per insegnare ad essere
buoni cittadini. IRONIA. EVENO. Socrate: "io non so". Io non ho le
competenze che altri dicono di avere, non saprei insegnare ad essere un bravo
cittadino, perché io non so.
V. "straordinario". Obiezione a Socrate: se ci sono dicerie sul tuo conto,
qualcosa avrai fatto... L'Oracolo risponde: "nessuno è più sapiente di Socrate".
bene come il saper farsi valere – fanno un uso del logos totalmente diverso da
quello che ne fa Socrate, per cui logos è dialogo. La concezione politica
odierna è quella dei Sofisti: avere la meglio e vincere, al di là che si dica la
cosa giusta. A Socrate non interessa la figura dell’avversario, non ha una
concezione conflittuale della politica; per lui la politica è dialogo con l’altro,
l’incontro con il cittadino. Socrate è figlio di uno scultore (Sofonisco) e di una
levatrice (Filotete) – figura emblema dell’arte maieutica, per cui si fa affiorare
ciò che l’altro sa o non sa. Quindi non si tratta di vincere, ma di dialogare per
cercare in comunione la verità e ciò che è giusto per la comunità, non per il
singolo.
IV PARAGRAFO. I sofisti vengono ricercati perché dovrebbero insegnare ad
essere buoni cittadini – ironia di Socrate riguardo a Eveno, con cui si
congratula. Ma purtroppo Socrate non sa, a differenza dei Sofisti, non ha cioè
le competenze che gli altri dicono di avere, per cui non può insegnare ad essere
una bravo cittadino.
V PARAGRAFO. Pone un’obiezione: se non avesse fatto nulla di
“straordinario” non ci sarebbero queste dicerie su di lui – deve aver fatto
Socrate non conferma l'oracolo. C'è un enigma nella risposta/responso
dell'oracolo. Per Socrate l'oracolo è a tal punto un enigma che per lui diventa
una domanda. Socrate altrimenti pregiudicherebbe l'oracolo. Socrate (per
l'oracolo) è il più sapiente perché sa di non sapere, per non fare questo (che
pregiudicherebbe il responso) Socrate volge l'oracolo in domanda. 21c:
(bellissimo esperimento filosofico, e molta ironia) Socrate va da un sapiente,
che guarda caso è un politico. L'incontro con il politico in vista del povero
filosofo. Ecco l'arte maieutica in negativo: far capire al sapiente che non è
sapiente. Liberazione da un falso sapere [cfr. la definizione del sofista nel
Sofista che potrebbe corrispondere a Socrate]. L'ATOPIA è il punto di
partenza per la filosofia. ESIZIALE (???). A che serve la filosofia? serve ad
imparare di sapere di non sapere. L'uomo politico crede di sapere. Non accetta
che il suo sapere venga decostruito, demolito, etc. La differenza di cui andare
fieri: egli crede ma non sa, Socrate invece no. Socrate si è liberato dal falso
sapere, riconosce di non sapere.
VII. Chi crede di sapere di più sono in maggior difetto. Socrate sperimenta su
tre tipi di cittadini: politici, poeti, artisti. I peggiori sono i politici, gli altri via
via meglio. Resta comunque la concezione negativa dei poeti: Platone li
avvicina agli indovini. L'accusa ai poeti sarà giustificata con argomenti
ontologici: MIMESIS delle cose, già imitazione delle idee. POESIA:
imitazione dell'imitazione. Socrate: condanna morale ai cittadini. Socrate si
difende accusando. Manca ai cittadini la coscienza, la consapevolezza di non
sapere. Noi abbiamo bisogno di una terapia (Wittgenstein) per capire che non
sappiamo. VII. (continua) Socrate va dai politici, dai poeti, e dagli artisti.
qualcosa che ha colpito. Lui dice che la sua è una sapienza “umana”, ritiene di
essere come gli altri. Racconto simbolico dell’oracolo: Cherofonte va a Delfi,
domanda all’oracolo se c’è qualcuno più sapiente di Socrate; la sacerdotessa
(Pizia), che media per il Dio, dice che non c’è nessuno più sapiente di Socrate.
VI PARAGRAFO. Socrate non conferma l’oracolo, dice che la sua risposta è
un enigma, perché lui non ha coscienza di essere il più sapiente; per Socrate il
responso del Dio diventa una domanda, a tal punto che si presenta come un
enigma – se confermasse l’oracolo di Delfi, pregiudicherebbe e metterebbe in
questione l’oracolo di Delfi, che dice che Socrate è il più sapiente, proprio
perché Socrate sa di non sapere (questo è l’enigma). Il filosofo volge l’oracolo
in domanda, problematizza: l’oracolo di Socrate non può mentire, mentre
Socrate non può disdirlo – qui è la modestia e l’ironia di Socrate: come va
interpretato l’oracolo? Come un esperimento filosofico. Così Socrate va da un
uomo politico, che ha la fama e la convinzione di essere sapiente –
l’esperimento si risolve nell’incontro tra l’uomo politico in vista e il filosofo
che vive ai margini della città. L’uomo politico è convinto di sapere; l’arte
maieutica di Socrate (al negativo) cerca di far capire a chi crede di essere
sapiente che sapiente non è – è una liberazione dal falso sapere; perché ci sia
filosofia bisogna ci sia aporia e problematicità, la coscienza di non sapere, ché
se c’è falso sapere non c’è filosofia. Da quel momento l’uomo politico ha in
odio Socrate, il quale conviene di essere più sapiente nel fatto di “sapere di non
sapere” – Socrate, non sapendo, neanche credeva di sapere, mentre l’uomo
politico ne aveva fama e ne era convinto; in ciò Socrate è più sapiente di lui.
L’incontro tra il filosofo e il politico è un rapporto conflittuale: il politico non
accetta che il suo sapere venga decostruito, perché lui sa e crede di sapere –
Socrate è più avanti perché si è liberato del falso sapere. Così Socrate continua
con questo esperimento.
VII PARAGRAFO. Tutti coloro che credono di sapere si son rivelati quelli
che si trovano in maggior difetto. In definitiva Socrate fa lo stesso esperimento
con tre tipi di uomini: i politici, i poeti e gli artisti – scala decrescente, dal
peggiore al meno peggio. I poeti, di cui Platone ha una concezione negativa,
avranno un ruolo importante anche nella Repubblica – lui avvicina i poeti agli
indovini e ai vaticinatori: dicono cose belle ma non sanno nulla di ciò che
dicono. Gli artisti si intendono solo del loro mestiere. Per Platone la poesia è
mimesis delle cose, e se le cose sono mimesis delle idee, la poesia è dunque
imitazione della imitazione. Qui c’è una condanna morale da parte del filosofo
Troviamo una condanna di Platone per la poesia, con motivazioni non solo
politiche; ma anche ontologiche. I poeti imitano le imitazioni. Platone mette i
poeti accanto agli indovini e ai vaticinatori. Gli artisti sono anche artefici,
artigiani: credono di sapere perché posseggono una TECHNE, un'arte, un
sapere che è un intendersi di... Hanno lo stesso difetto dei poeti. Sanno fare la
propria arte; ma anche fuori da quel ambito credono di essere a pari modo
sapientissimi. Credono di sapere, di avere la sapienza, la SOPHIA. Posso
essere un bravo scultore; ma non avere la SOPHIA. In realtà si tratta di un
rapporto ??? e diverso con la SOPHIA, perché questa non si possiede. Non il
possesso; ma l'amore (FILEIN). Sapere di non sapere, e che ama la SOPHIA,
questo è il rapporto del filosofo. BRAMARE, anche un rapporto EROTICO.
Queste categorie di uomini sono indietro a Socrate, ché egli sa/conosce i propri
limiti [e quindi se stesso: GNOTI SEAUTON].
VIII. c'è una dignitosa fermezza di Socrate il quale vuole provare/testare ciò
che l'oracolo dice: fatto l'esperimento, è preferibile la sua condizione, che è
quella dell'APORIA.
IX. non ci deve sfuggire l'ATOPIA di Socrate. Socrate suscita fastidio, egli
scatena il malanimo. Socrate è consapevole di esporsi. Il filosofo si espone alla
calunnia, al malanimo, all'ira. Il dare fastidio non è accidentale: Socrate viene
calunniato e processato non a caso. Il fastidio fa parte della filosofia, non è il
carattere [solo] di Socrate; ma caratteristica della filosofia. Altrimenti è un
BEN PARLARE [quindi un cazzo proprio]. Il fastidio è COESSENZIALE alla
filosofia. Il suo non sapere è più vicino alla SOFIA. Nulla vale la "sophia"
che, dai margini della città, arriva a difendersi accusando. La consapevolezza
di non sapere, d’altro canto, sarà, da queste pagine, la base della filosofia. La
condanna alla poesia è di tipo politico e ontologico.
VIII PARAGRAFO. Gli artisti sono “artefici” (come gli artigiani ad esempio)
– confine labile tra le due figure; gli artisti, dice Socrate, sono saccenti,
credono di sapere perché possiedono una techne, che è arte e saper fare, un
intendersi-di, gli artisti sanno fare; essi sono come i poeti, non sanno, ma
pretendono di essere sapienti anche in altri campi (difetto di misura). Gli artisti
hanno la techne e pretendono di possedere la sophia, ma son due cose distanti,
che non si implicano – non si tratta di “possedere” la sophia, ma di un nuovo
rapporto con essa, per Socrate; non si possiede la sophia come si possiede la
techne. Il verbo che lui accosta a sophia è “philo”, che indica l’amore della
sapienza, che non è il suo possesso; Socrate incarna colui che non sa e ne ha la
consapevolezza, non ha la sapienza ma la ama – il rapporto del filosofo con la
sophia è questo, l’amore è bramare (rapporto erotico con la sapienza, l’eros ha
un ruolo importante per Platone). Tutte queste categorie di cittadini sono
indietro rispetto a Socrate, che sa di non sapere. In lui c’è una fermezza
dignitosa, poiché si rende conto che è preferibile la sua condizione, che è
quella dell’aporia, cioè la difficoltà propria di chi riconosce di non sapere.
IX PARAGRAFO. Socrate da’ fastidio agli altri, lui è un atopos, ed il suo non
è un semplice esperimento – irrita gli altri, perché fa emergere l’ignoranza,
quanto effettivamente le persone non sanno. Socrate è consapevole di esporsi,
mentre sa di non sapere, nel dialogo; si espone al malanimo e alla calunnia,
all’ira, perché da’ fastidio – il fastidio non è qualcosa di accidentale, Socrate
non viene processato per caso; il fastidio è parte della filosofia, non è una
peculiarità del carattere di qualcuno. La filosofia che non da’ fastidio è il ben
dell'uomo; ma il vero sapiente è il Dio. Il Filosofo riconosce la finitezza della
sapienza umana, e rinvia gli altri a questa finitezza. Estrema miseria: questa
estrema miseria è quasi rivendicata da Socrate. Egli intende distinguersi dai
Sofisti: esponenti di una nuova cultura che si schierava contro la tradizione. Il
filosofo, al contrario del Sofista, non si fa pagare: questi insegna l'EU
LEGEIN, a confutare, ad avere la meglio, egli prepara il cittadino alla vita
politica. Il filosofo non ha questo intento. Ma di più: Socrate in realtà veniva
da una famiglia benestante; ma si riduce in miseria. Forse anche la miseria è
coessenziale alla filosofia. E' la scelta di Socrate. Socrate era stato oplita
nell'???. La filosofia non è assimilabile ad una TECHNE e con essa non si
fanno soldi. Socrate ha un'ansia di ricerca. Il filosofo. Socrate ha percorso le
strade della città, cercando un cittadino sapiente. Viene alla luce la modestia;
ma soprattutto che questa sapienza umana è nulla: Socrate riprende una
riflessione che già si era sviluppata con Eraclito (e con i Presocratici in
genere). Socrate non è slegato dalla filosofia che lo ha preceduto. Eraclito e
Parmenide sono importantissimi per Socrate e per Platone. La riflessione dei
Presocratici è nota a Socrate.
X. Accusa di corrompere i giovani: corruzione. Socrate ci dirà che corrompere
significa "rendere peggiori". Una delle accuse più gravi. Questa accusa viene
dai suoi concittadini, i quali si sono sentiti esaminati e perciò calunniano: sono
i vecchi/antichi accusatori. Questa è anche la calunnia più semplice. Accusa
corroborata dal fatto che questi giovani (ricchi) lo imitano, e fanno emergere
l'ignoranza dei loro concittadini. "Imparano" da Socrate l'arte maieutica, il
dialogo, il dialogare. Non c'è un oggetto dell'accusa, un qualcosa che Socrate
insegna e non dovrebbe insegnare; ma l'accusa resta. Gli accusatori
generalizzano, non sanno di filosofia e credono comunque di sapere tutto. Le
accuse che vengono rivolte all'interno del processo sono riprese dalla piazza.
Altrimenti il processo non potrebbe [non avrebbe ragione di] celebrarsi. Questo
pensare del benpensante, ma certamente non la filosofia alla maniera di
Socrate e Platone. La conseguenza si articola in un duplice malanimo: Socrate
fa emergere l’ignoranza, e per di più viene fuori che il suo non-sapere è anche
il più vicino alla sophia. Comincia a dire che loro non sanno, che nulla vale la
sophia dell’uomo; il vero sapiente è solo il Dio – riconosce i limiti, perché il
filosofo denuncia i limiti della finitezza della sapienza umana, e rinvia gli altri
a questa finitezza. Socrate rivendica l’estrema miseria, perché intende
distinguersi dai Sofisti – tendenza prevalente nell’Atene del tempo di
considerare Socrate alla stregue dei Sofisti, cioè l’esponente di una nuova
cultura e schierato contro la tradizione; ma Socrate è ridotto alla miseria, e
mentre il Sofista insegna ad avere la meglio sull’altro e si fa pagare per
preparare il cittadino politico alla democrazia, il filosofo non ha intenzione di
preparare il cittadino alla vita politica. Socrate aveva prestato servizio
nell’esercito, quindi la sua provenienza si può ricondurre ad una famiglia
benestante, ma egli si riduce alla miseria – forse anche la miserie è
coessenziale alla filosofia, e questo nesso non è banale. Anche questo può
essere motivo di fastidio. Il filosofo è animato da un’ansia di ricerca, che lo
spinge a girare la città, per interrogare i suoi concittadini e trovarne uno
sapiente. Qui viene alla luce la modestia proverbiale di Socrate, ma anche il
limite della sapienza umana – essa è nulla e sapiente è solo il Dio. Socrate si
rifà ad una riflessione iniziata con Eraclito e Parmenide – non si deve pensare a
Socrate come slegato dalla filosofia precedente; Eraclito e Parmenide sono
importanti per Socrate e Platone. I cosiddetti “presocratici” indicano una
categoria, esito della storia della filosofia, specialmente tedesca; sono filosofi
importanti, e la loro riflessione è nota a Socrate – l’uomo non possiede la
sapienza (Eraclito).
X PARAGRAFO. I giovani di Atene lo hanno seguito, non è lo stesso Socrate
a farsi pagare – l’accusa della corruzione dei giovani è molto grave per
Socrate; corrompere è “rendere peggiori”. Tale accusa proviene dagli “antichi
accusatori”, infastiditi da Socrate, per cui viene calunniato a questo modo – è
un’accusa semplice da fare. Socrate gira per le strade della città accompagnato
dai figli di famiglie ricche, questo è il motivo dell’accusa, corroborata dal fatto
che i giovani lo imitano, cioè imparano a loro volta a interrogare gli altri, per
far emergere la loro ignoranza – imparano l’arte maieutica, cioè il dialogo; i
filosofi devono imparare a dialogare con gli altri. Nessuno dei concittadini sa
rispondere effettivamente alla domanda su che cosa insegni Socrate, per
corrompere i giovani; e non rispondendo, l’accusa rimane – non sanno cosa
[il processo] si tiene perché le nuove accuse sono formulate dalle/sulle prime.
L'opinione pubblica è contro Socrate.
XI. Io per quanto riguarda le accuse della piazza mi fermo qui. Socrate difende
se stesso, è avvocato di se stesso. Le prime accuse. Cesura (???). Socrate
smette con la piazza ed esamina le nuove accuse. Nuove accuse: 1. reo di
corrompere i giovani. 2. non riconoscere gli dei della città (per le città questa è
una dea: atto divino di fondazione della città). 3. pratica culti nuovi e diversi.
La sintesi di Socrate: ha messo al primo posto la corruzione, e prosegue su
questo tema. ESAMINIAMO: 2. Socrate non riconosce gli dei condivisi.
Socrate si pone al margine ma qui mette in discussione le fondamenta politiche
della città. 3. Socrate non si rifà agli dei della città; ma fa riferimento alla
sapienza. Dopo Hegel, noi (forse) leggiamo Platone attraverso le lenti di
Hegel. Il capo d'accusa in realtà è complesso. 3. Socrate è un esponente della
nuova cultura che ha trovato voce anche nei Sofisti, o in Anassagora. Socrate
fa parte di coloro che vogliono mettere in questione tutto. FUSIS e NOMOS.
FUSIS= vuol dire anche principio; significato ontologico più che cosmologico;
essenza. Inizialmente nessuno avrebbe messo in discussione che le cose sono
per natura (FUSEI). Si diffonde in seguito l'idea che molte cose siano NOMOI,
ovvero PER LEGGE, fatti/istituiti dall'uomo. Protagora dice che moltissime
cose sono NOI, sono per istituzione, create dagli uomini. Questo dibattito
prelude a Socrate. Questo dibattito nasce quando i greci iniziano ad avere
contatti con altri popoli: riflettono sulla propria cultura. 3. Socrate: si assimila
Socrate di nuovo ai Sofisti; c'è di più; accusa di ateismo. Di ateismo erano stati
accusati anche altri filosofi; questi altri nuovi sfiorano l'ateismo (accusa non
formulata ma ripresa da Socrate). I cittadini sospettano questo riferimento di
Socrate al "DIO". Solo il Dio è sapiente. Questo riferimento fa nascere
sospetto. Socrate si difende dall'ateismo ma non [dall'accusa] di far riferimento
al Dio. Questa accusa è pericolosa perché Socrate si riferisce al suo DEMONE.
Il Dio di Socrate è la "coscienza filosofica". Non si tratta di ateismo perché c'è
una religiosità di Socrate. Egli fa riferimento ai limiti dell'umano, della
sapienza umana, che sono ben presenti: il Dio sa, l'uomo no. Religiosità di
Socrate. Non ateo, il sospetto è dovuto al Dio a cui fa riferimento. Il problema
dice Socrate, non sanno nulla e non conoscono il dialogo filosofico, sono
estranei a questo. Le accuse rivolte a Socrate da parte degli accusatori nel
processo sono riprese dalla piazza, dall’opinione pubblica, che se non fosse
infastidita, il processo non avrebbe avuto luogo; i giudici formulano le accuse
sulla base delle calunnie già in circolo sul suo conto (vecchi accusatori), quindi
l’opinione pubblica è sfavorevole a Socrate, ma i giudici, basandosi solo su di
essa, risultano non saper nulla.
XI PARAGRAFO. Si finisce dunque di difendere dai primi accusatori. Ora
deve difendersi dai nuovi, a partire da Meleto – punto di cesura, per cui inizia a
esaminare le accuse mosse all’interno del processo. Capi di accusa: reo di
corrompere i giovani; reo di non riconoscere gli dei; reo di proporre nuovi culti
e nuove divinità. Socrate non riconosce gli dei della città, quindi i suoi stessi
fondamenti, per questo la polis si rivolta contro di lui. L’accusa è molto
complicata – Socrate ha messo al primo posto la corruzione e segue
sviluppando questo tema. Le altre due accuse sono le più gravi per quanto
riguarda l’Atene del tempo – non riconosce gli dei condivisi, come se fosse
qualcuno che, oltre a rimanere ai margini della città, le si pone contro,
mettendone in discussione i fondamenti politici. La terza accusa riguarda il
culto di divintà nuove – Socrate pratica culti nuovi e diversi perché non
risponde agli dei della città, cioè ai suoi stessi concittadini, ma al Dio della
Sapienza, poiché ha detto che solo il Dio sa, ma con ciò egli non rinnega la
divinità. La terza accusa relega la figura di Socrate a quella di esponente della
nuova cultura, che ha trovato voce nei Sofisti, o in filosofi come Anassagora –
fa quindi parte di coloro che vogliono mettere tutto in discussione. Distinzione
importante: physis e nomos. La physis è la natura, nel senso di principio (dei
primi presocratici) che è ontologico, riguarda l’essenza delle cose – nessuno
mette in questione che il mondo stesso sia “physein” (per natura), cosa che
Cratilo rivendicherà (i nomi sono per natura). Si diffonde l’idea che molte cose
siano “nomos” (ciò che è istituito dagli uomini, legge) – Cratilo, in cui si
oppongono due tesi: per Cratilo i nomi sono “per natura” e per Ermogene i
nomi sono per istituzione degli uomini. Per i Sofisti e per Protagora molte cose
sono nomoi, per istituzione, e dunque si possono cambiare – dibattito che
prelude a Socrate, che nasce quando i Greci cominciano ad avere dei contatti
con gli altri popoli, il che li spinge a riflettere sulla propria cultura. Con
l’accusa di praticare culti nuovi e diversi si assimila Socrate ai Sofisti, i quali
dicono che le cose sono nomoi e si possono quindi cambiare, come le leggi, e
perciò è possibile mettere in discussione ciò che è in vigore (come gli Dei). In
di Socrate è anche quello di discostarsi dalla moltitudine di Dei e di richiamarsi
alla SOFIA. Socrate ci rimette la vita perché non risponde agli dei della città.
Egli dialoga col Dio. Socrate è per eccellenza il filosofo condannato che
muore. Perché muoiono i filosofi e non gli scienziati? Galilei (scienziato) vs.
Bruno (filosofo). Perché Galilei abiura e Bruno no? Galilei sa che le sue
scoperte potranno affermarsi comunque, ha "oggettività". Il filosofo muore
perché le verità dei filosofi hanno bisogno dei filosofi: la verità fa tutt'uno col
filosofo (cfr. Nietzsche e Jaspers). La verità della scienza non ha bisogno dello
scienziato. Le scoperte di Galilei non hanno più bisogno di Galilei. Il caso di
Socrate è emblematico, paradigmatico. La sua verità fa tutt'uno con la sua
persona. Il filosofo è molto più esposto dello scienziato: fa una vita molto più
difficile. Non riconosciuto, ai margini, molto più esposto perché egli si espone.
Caratteristiche della DIVINA MANIA che è la filosofia: 1. ATOPIA, fastidio,
sgomento. 2. povertà. 3. l'esporsi. Per il filosofo è necessaria la prima persona.
Socrate sa già come il processo andrà a finire, è chiaro.
XII. Socrate si difende dall'accusa di corruzione dei giovani. Socrate interroga
Meleto: egli risponde che le leggi e i giudici sono capaci di educare i giovani.
IRONIA. Poi risulta che tutti gli ateniesi renderebbero i giovani migliori, di
educarli, tranne Socrate. Socrate prende la posizione verso Meleto, il quale ha
portato Socrate in tribunale quando lui [Meleto] non si è mai curato dei
giovani. Perché i giovani seguono Socrate, il filosofo? I giovani non prendono
quest’accusa Socrate viene colpevolizzato anche di ateismo – ma non è il
primo caso tra i filosofi. I culti nuovi sfiorano l’ateismo – che cosa dunque fa
sospettare i suoi concittadini? Il riferimento di Socrate al Dio; non si riferisce
più all’oracolo di Delfi – dice che solo il Dio è sapiente. Questo riferimento
desta sospetti – lui si difende dall’accusa di ateismo, ma non da quella di far
riferimento al Dio. Quest’accusa, nella sua complessità, denuncia, in una certa
misura, la filosofia come qualcosa di pericoloso – in seguito Socrate farà
riferimento al demone. Il linguaggio di Socrate è quello del filosofo, il suo Dio
è la “coscienza” filosofica; non è un ateismo, perché vi è religiosità in Socrate
– far riferimento ai limiti della sapienza umana, rinviando al Dio come vero
sapiente. Socrate non è ateo, ma desta sospetto a causa del Dio a cui fa
riferimento. Prende le distanze dalla molteplicità di Dei e si appella alla sophia
– quindi al Dio. L’accusa di ateismo fu rivolta a tanti personaggi, ma Socrate ci
rimette la vita perché non riconosce e non risponde a quegli Dei della polis, ma
al Dio cui fa riferimento dialogando – Socrate è il filosofo condannato per
eccellenza. La questione è: perché muoiono i filosofi e non gli scienziati? Il
parallelo esemplare è costituito dalle figure di Giordano Bruno e Galileo
Galilei – Galielo abiura ed ha salva la vita, poiché era consapevole che le sue
scoperte si sarebbero comunque affermate, come verità oggettiva; per il
filosofo non è così, poiché Giordano Bruno non può non morire per
testimoniare quello che dice, il suo messaggio perderebbe di validità. La verità
dello scienziato non ha bisogno di Galilei, poiché è oggettiva,
indipendentemente dalla sua persona; la verità di Bruno/Socrate abbisogna
della persona, perché fa tutt’uno con il filosofo, la verità è del filosofo – qui sta
una delle differenze decisive tra il filosofo e lo scienziato. Il caso si Socrate
diverrà emblematico; per difendere la sua verità, per difendere la sua persona,
egli deve esporsi e ne è consapevole – il filosofo è inevitabilmente più esposto
dello scienziato. L’amore della sapienza comporta questi termini: il fastidio, la
miseria e l’esposizione in prima persona, necessaria per il filosofo – sono tre
caratteristiche ben presenti a Socrate, anche se egli mantiene in tutto ciò il suo
tono ironico, perché sa già come il processo andrà a finire.
XII PARAGRAFO. Socrate si difende dall’accusa di corruzione dei giovani. Si
rivolge a Mileto, al quale, mostra Socrate, non interessa nulla dei giovani; per
Mileto sono le leggi a rendere migliori i giovani – ma Socrate cerca l’uomo,
vuole l’uomo, e a ciò Mileto risponde che i giudici rendono migliori i giovani,
gli stessi che sono chiamati a giudicare Socrate. A detta di Mileto, vi è una
grande abbondanza di educatori (ironia di Socrate), per cui tutti renderebbero i
parte al processo [prendere parte come accusatori di Socrate, come tutti gli altri
cittadini di Atene], o comunque sono dalla parte di Socrate. Corrompere vuol
dire rendere peggiori, malvagi, indirizzare al male.
XII. (o XIII?) Questo passo è molto famoso: contrapposizione socratica tra
bene e male. Nessuno fa il male volontariamente: concezione intellettualistica
del bene. Il male è involontario, e chi sa può fare solo il bene. Concezione
etica, politica e filosofica. Fa parte della risposta di accusa di corruzione. Dopo
il '900 è difficile pensare 'ste cose.
Il tema sarà quello della religiosità di Socrate, la parola "religiosità" va presa
con molto cautela perché RELIGIO non fa parte del vocabolario greco: è
importante cogliere il nesso tra religiosità e filosofia e il capo d'accusa per cui
Socrate non crede agli dei della città. I 3 capi d'accusa sono documentati non
solo in Platone (Apologia); ma anche in Senofonte (Memorabili) il che vuol
dire che c'è una conferma ulteriore, una prova storica, anche sé Senofonte li
espone in ordine inverso. Socrate corrompe i giovani -- corrompere: 1. rendere
peggiori e malvagi (accusa mossa dagli antichi accusatori/opinione pubblica).
Socrate accompagnato dai migliori giovani di Atene. Socrate suscita il
malanimo e l'invidia. 2. Socrate non crede agli dei della POLIS, della città. 3.
Socrate propone nuove divinità. In questo frangente il confronto è tra Socrate e
Meleto. Socrate ha la meglio con facilità. Accenno alla teoria di Socrate:
EUDEMONISMO ETICO. Nessuno fa il male volontariamente [per noi
difficilmente accettabile, anche sé caposaldo di Socrate]. Chi fa il male lo fa
per ignoranza. Il bene si lega alla conoscenza. Oggi sui capi d'accusa più gravi
che portano alla condanna a morte: 2. Socrate non crede agli dei della città:
Socrate non condivide le fondamenta e i fondamenti della POLIS, mette a
repentaglio la POLIS. 3. Socrate fa riferimento a nuove divinità: qui ci
troviamo una contraddizione. Socrate non la fa passare. Non può essere
accusato di ateismo e poi di introdurre nuove divinità. Il secondo capo d'accusa
non può essere sostenuto: o l'uno o l'altro. L'accusa di ateismo: era un'accusa
molto grave. Non è la prima volta. Anassagora di Clazomene. Socrate lo
menziona. Anassagora di Clazomene (500-428): filosofo molto più complesso
di quanto noi crediamo e sappiamo. Vive nell'età di Pericle (età aurea); è un
amico di Pericle. Anassagora viene coinvolto negli eventi politici di Pericle.
Viene allontanato e viene accusato di ateismo. La prima grande accusa di
questo tipo riguarda un filosofo [ma pensa te...]. Qualche decennio prima di
giovani migliori, eccetto Socrate, il quale li corrompe. Socrate mostra una certa
presa di posizione, per cui sostiene che a Meleto non importi nulla dei giovani,
dicendo che tutti li rendono migliori ed uno solo li corrompe. Eppure i giovani
seguono il filosofo, e questo è un problema, perché anche i giovani sarebbero
un potenziale “contro” la città.
XIII PARAGRAFO. Il corrompere è rendere peggiori, cioè malvagi,
indirizzare verso il male. Questo è un passo famoso, perché si delinea la
contrapposizione socratica fra il bene ed il male: il bene è preferibile al male,
ma nessuno fa il male volontariamente – concezione intellettualistica del bene
da parte di Socrate, che comincia da qui. Nessuno fa il male volontariamente;
chi sa può fare solo il bene, mai il male – concezione etica, politica e
filosofica, che per Socrate è parte della risposta all’accusa di corruzione.
Uno dei temi principali è quello della religiosità di Socrate – “religio” è una
parola latina, però il problema è capire il nesso tra “religione” e filosofia,
quindi capire uno dei capi di accusa principali: Socrate non crede agli dei della
città. I tre capi di accusa sono documentati non solo nell’Apologia
(testimonianza per eccellenza del processo), ma anche nei Memorabili di
Senofonte (prova storica ulteriore), in cui vengono esposti in ordine inverso.
Ricapitolo dei capi di accusa: 1. Socrate corrompe i giovani (rendere peggiori e
malvagi) – accusa di corruzione è mossa dall’opinione pubblica ateniese e
deriva dal fatto che Socrate è accompagnato nell’agorà dai figli dei migliore, e
ciò suscita il malanimo; 2. Socrate non crede agli dei della città; 3. Socrate
propone nuove divinità – in questo frangente si delinea il confronto tra Socrate
e Meleto, su cui Socrate ha la meglio facilmente. Inoltre qui entra in gioco la
teoria intellettualistica dell’eudemonismo etico di Socrate, per cui nessuno fa
male volontariamente (prima accusa); la scelta del bene e del male avviene
sempre sulla base della conoscenza; chi fa male lo fa per ignoranza. Gli ultimi
due capi di accusa sono i più gravi ed il motivo per cui il filosofo viene
condannato a morte – Socrate non condivide le fondamenta e i fondamenti
della polis, mette a repentaglio la polis, non accettando le sue divinità, nel
riferimento a nuove divinità. Entra qui in gioco la contraddizione evidente tra il
primo e il secondo capo d’accusa: l’accusa di ateismo contraddice il fatto che
lui introduce nuove divinità – Socrate, poiché è un filosofo, non fa passare
questa contraddizione in seno alle accuse mosse da Meleto; stando a ciò il
secondo capo d’accusa non può essere sostenuto. Da questo contesto proviene
l’accusa di a-teismo (rifiuto degli dei) – accusa molto grave, ma non è la prima
volta che viene mossa contro un filosofo.
Il precedente di Socrate è Anassagora di Clazomene, che svolge anche un ruolo
Socrate. Le eco non si sono ancora spente; ma a ragion veduta... La filosofia di
Anassimandro è un ateismo. Egli rifiuta l'esistenza degli Dei. Quando Socrate
parla Anassimandro è il modello di ateismo radicale, per cui il sole e la luna
non sono divinità; è un illuminato, riconduce i fenomeni cosmologici ad una
spiegazione scientifica. Quella contro Anassagora è un'accusa legittima. Non
riconosce gli dei e riconduce i fenomeni di parvenza divina a fenomeni attuali:
è un filosofo illuminato. Questa accusa non vale per Socrate che non sostiene
un ateismo. 1. non è vero che Socrate nega l'esistenza degli Dei. 2. non è vero
che Socrate riconduce i fenomeni divinizzati a spiegazioni naturali o
naturalistiche. Socrate era annoiato dalle discussioni dei filosofi della Natura, e
Socrate riconduce la filosofia dentro la POLIS. Niente sfondo naturalistico in
Socrate. La seconda navigazione (fuga nei LOGOI) di Socrate è proprio
questo. Socrate non riconduce i fenomeni divini a cause naturali, è una
posizione completamente diversa la sua. La posizione di Socrate: non difende
nessun ateismo; e l'accusa della città è vera solo in parte: non crede negli dei
condivisi dalla POLIS. Occorre notare che le interpretazioni del '900 sono
concordi in questo (filosofi e filologi): se Socrate avesse avuto la posizione di
Anassagora se la sarebbe cavata, perché la posizione Anassagora dava molto
meno fastidio, molto meno IRRITANTE e INQUIETANTE. Anassimandro
lascia le cose come stanno nella POLIS. Per la POLIS è molto più comoda
questa posizione rispetto a quella di Socrate. Voi credete, io cerco altre
spiegazioni. NON INQUIETA, NON IRRITA, NESSUN TERREMOTO. La
posizione di Socrate è molto più inquietante, perché oppone agli Dei della
POLIS NUOVE/ALTRE divinità. Socrate si contrappone agli Dei condivisi.
Socrate: opposizione consapevole del filosofo agli dei della città a cui si
contrappone (3. capo d'accusa). Cosa vuol dire? Socrate anzitutto fa
riferimento (si richiama) all'oracolo di Delphi. L'oracolo è importante perché è
sempre un parlare enigmatico, non diretto [la parola era storto, cerca in greco],
che va interpretato: noi abbiamo una lunga tradizione (già quando vive
Socrate) di ERMENEUTICA. Il parlare oracolare, non diretto, va interpretato.
ERACLITO: frammento 22B93 (forse): "il Dio (Zeus lo chiama Eraclito) non
manifesta, non nasconde, da ad intendere...". Documenta che già presso i
filosofi il parlare oracolare va rispettato nella sua enigmaticità. Socrate cerca di
rispettare l'enigmaticità. Socrate non dice "Sì!"; ma dice "so di non sapere", e
dice "il Dio ci dice che la sapienza dell'uomo è nulla e la sapienza è solo del
Dio!". Noi abbiamo un riferimento all'oracolo, ad APOLLO, e questi ritorna in
Nietzsche (nell'Apologia nesso stretto tra Apollo e la filosofia); è il riferimento
costante al "Dio". Non viene specificato il Dio. Socrate farà riferimento a
nella difesa di Socrate, il quale lo menziona. Anassagora (500-428), vive a
ridosso di Socrate, nell’epoca di Pericle; si tratta di un filosofo molto
complesso, di cui si hanno scarse testimonianze: sappiamo che vive nel
periodo aureo di Atene, che è un amico di Pericle, anche coinvolto negli eventi
politici che riguardano questa figura, che viene allontanato da Atene ed
accusato di ateismo. Quindi la prima grande accusa di ateismo riguarda
Anassagora, vissuto qualche decennio prima di Socrate – mentre Socrate parla,
è evidente che gli echi del processo di Anassagora non si sono spenti. L’accusa
importante che colpisce Anassagora ha in realtà le sue ragioni: la sua filosofia
era un ateismo, per il rifiuto dell’esistenza degli dei – anche se non è l’unico,
come Epicuro. Anassagora, all’interno del discorso condotto da Socrate, funge
da modello di ateismo radicale: gli dei non esistono, il sole e la luna non sono
divinità – Anassagora compie un illuminato ricondurre i fenomeno astrologici
e naturale ad un tentativo di spiegazione scientifica. Si tratta quindi di un
accusa legittima, che tuttavia non vale per Socrate, il quale non sostiene un
ateismo, non è neanche un filosofo illuminato. Quindi sono due i motivi che
distanziano la figura di Anassagora da quella di Socrate, in questo contesto:
Socrate non nega l’esistenza degli dei (contraddizione); Socrate non riconduce
i fenomeni divinizzati a delle spiegazioni naturalistiche – Socrate era annoiato
dalle discussioni dei filosofi intorno agli astri e alla natura; egli riconduce la
filosofia alla polis. Questa costituisce anche un’argomentazione del Fedone:
fuga di Socrate verso i logoi (discorsi) – Socrate non è uno scienziato mancato,
non cerca le cause naturali dei fenomeni. Posizione completamente diversa e
più complessa di Socrate: non difende alcun ateismo, difatti l’accusa di non
credere agli dei della città è vera solo in parte – lui crede negli dei, anche se
non risponde a quelli della polis. Interpretazione del ‘900 della posizione
complessa di Socrate: se la sarebbe cavata se si fosse trovato nella condizione
di Anassagora, che dava molto meno fastidio, irritava ed inquietava assai di
meno; Anassagora lascia le cose così come sono all’interno della polis, pur
sostenendo di non credere agli dei – posizione più comoda per la città, poiché
non scalza gli dei della città, ma cerca una spiegazione di altra natura, e ciò
non scuote. La posizione di Socrate è più inquietante, perché lui oppone agli
dei della città delle nuove divinità – si contrappone agli dei condivisi della
città, più che ignorarli, infatti non si tratta di un ateismo, ma di una
opposizione consapevole del filosofo agli dei della polis. Riguardo al terzo
capo d’accusa, che cosa vuol dire, dunque, contrapporre nuove divinità?
Socrate fa riferimento all’oracolo di Delfi, che dice che lui è il più sapiente –
l’oracolo è importante, perché è sempre un parlare enigmatico, che va
nuove divinità, ad un Demone, affiora il DEMONE, che ha a che fare con
l'ambito della divinità. Socrate ha un legame forte con la sfera divina e
rivendica che una via(???) divina lo chiama e lo spinge alla filosofia (DIVINA
MANIA): filosofare fino alla morte. Una divino che si oppone agli dei della
città. La filosofia per Socrate copre la sfera della religione. La filosofia non si
propone come la scienza (Socrate è il contrario di Anassagora, laicismo
militante) che non incrina la POLIS e la politica. La filosofia invece mette a
repentaglio l'ordine della città e alle divinità oppone il DIVINO (partendo da
Apollo), un divino APOLLINEO che si articola nell'intelligenza filosofica che
lo chiama [a Socrate] a filosofare. Socrate crede alla voce che lo chiama:
Socrate dice che la filosofia è un servizio reso al Dio, è la voce della
"COSCIENZA" (parola non greca, e quindi ai greci manca il concetto di
coscienza: non c'è un equivalente greco, e quindi dobbiamo fare attenzione: c'è
PSYCHE (anima) che troveremo in Platone; ma non possiamo tradurlo senza
indugio in COSCIENZA). Ma non è sbagliatissimo dire che la voce del Dio è
la voce della COSCIENZA. Socrate contrappone agli dei la coscienza
filosofica; ma anche la coscienza del proprio limite e del limite della sapienza
umana. RELIGIOSITA', RICHIAMO ALLA FILOSOFIA DI SOCRATE.
XIV (26b): Le accuse di mescolano. Meleto accusa Socrate delle accuse di
Anassagora (implicitamente) e Socrate si difende chiamandolo in causa
esplicitamente. Socrate prende le distanze dalla cultura moderna, anti-
tradizionalista. Socrate è difficilmente classificabile. 27a: Socrate indica la
contraddizione fra l'accusa 2 e l'accusa 3 (i capi d'accusa).
interpretato, e non è mai diretto; c’è una lunga tradizione ermeneutica greca di
interpretazione dell’oracolo. Il parlare oracolare è sempre enigmatico: Eraclito
dice in un frammento (22 b 93) che il Dio (Zeus) non manifesta, non svela e
non nasconde, ma da’ a intendere – frammento che documenta che già presso i
filosofi il parlare oracolare è assunto nella sua enigmaticità e in questo
rispettato. Anche Socrate rispetta l’enigmaticità dell’oracolo di Delfi: non dice
di essere il più sapiente, ma dice che sa di non sapere, e che il Dio ci dice che
la sapienza dell’uomo è nulla, e la sophia è solo del Dio. Il riferimento
all’oracolo è il riferimento ad Apollo – nesso tra Apollo e la filosofia; poi
sopraggiunge il riferimento costante al Dio, il quale non viene mai specificato.
Inoltre Socrate comincerà a fare riferimento a nuove divinità, ma anche ad un
demone – qui affiora per la prima volta; il demone ha a che fare con la divinità;
Socrate mantiene un forte legame con la sfera divina e rivendica che una voce
divina lo chiama e lo spinge alla filosofia, fino alla morte. Quest’ambito divino
di Socrate va opponendosi agli dei della città. la filosofia, come concepita da
Socrate, ricopre anche al sfera religiosa – totalmente distante in questo da
Anassagora; Socrate non è il rappresentante della scienza, ma della filosofia, e
questa mette a repentaglio la polis, perché alle sue divinità oppone un divino
che è “apollineo”, che si articola nell’intelligenza filosofica e che quindi lo
chiama a filosofare. È qui che la filosofia si contrappone alla città, perché lui
crede alla voce che lo chiama, come se fosse una voce della coscienza; la
filosofia, per Socrate, serve la divinità, le risponde – non c’è il concetto di
coscienza (Bewussein), ma c’è la parola “psychè” (anima), che non è
coscienza; ma non sarebbe del tutto sbagliato dire che la voce del Dio che lo
sprona a fare “ciò che è giusto” fino alla fine, sia la voce della coscienza. È
come se lui contrapponesse agli dei della città la coscienza filosofica, la
coscienza del proprio limite, specialmente il limite della sapienza umana, e qui
risiede la sua religiosità – il più sapiente è il Dio; invece i cittadini non
riconoscono i limiti del proprio sapere. La religiosità è il richiamo alla
filosofia.
XIV PARAGRAFO. Socrate parla, mischiando le varie accuse; fa notare a
Meleto la contraddizione dei due capi di accusa – non crede assolutamente gli
dei (tira in ballo Anassagora) eppure propone divinità diverse. Sostiene che
Meleto non abbia rispetto ai giudici, come se pensasse che i giudici non
conoscessero le dottrine di Anassagora, il quale non crede assolutamente agli
dei – tutti conoscono le dottrine di Anassagora, si vendono i suoi libri; Socrate
non se ne approprierebbe spacciandole per sue, visto che sono note a tutti, ed è
XV. RICORDA LA PRIMA DOMANDA (???). Nella difesa Socrate non
smette mai di essere filosofo. Argomentare filosofico, Apologia filosofica.
Sostituisci: ATTINENTI AI CAVALLI, con CAVALLINITA'. Socrate ha
smontato i due capi d'accusa di Meleto. L'accusa è strumentale. Meleto vuole
semplicemente condannarlo: ACCUSE PRETESTUOSE. DAIMONAS=i
demoni. Fa parte della sfera divina e addirittura per Socrate egli obbedisce al
demone. Socrate crede nel divino e anzi la filosofia è un servizio reso al
divino. Socrate non teme i secondi accusatori (ha stanato Meleto); ma teme
l'odio, la gente che è stata fomentata, l'ira, le calunnie. Socrate non si abbassa
al calcolo; ma nessuno deve farlo. Il BENE e il GIUSTO sono più importanti
della morte. Il BENE è l'aspirazione ultima del filosofo.
XVII. APOLOGIA DELLA FILOSOFIA. Socrate ha obbedito ai comandanti
in guerra, e non dovrebbe obbedire al Dio? (almeno per come lui lo interpreta:
per filosofare anche rischiando la morte). ORDINANDOMI IL DIO, IO HO
INTERPRETATO COSì L'ORACOLO, IL MESSAGGIO. Socrate lo ha
interpretato: "io devo vivere filosofando, conoscendo me stesso, e gli altri". Per
la prima volta al filosofo interessa conoscere se stesso (cfr. il celebre detto
greco) e gli altri. Così la filosofia entra nella città, il dialogo con l'altro. Lo
sguardo converge nell'interiorità. Così Socrate ha interpretato il messaggio del
Dio. Socrate: se io non seguissi il dettato del dio, così come l'ho compreso, se
quello che cerca di fare Meleto; Socrate prende distanza da Anassagora e dalla
cultura moderna. La figura di Socrate si complica a questo punto, egli non è
facilmente classificabile. Socrate pensa che Meleto sia insolente, sostenendo di
accusarlo attraverso quella che è palesemente una contraddizione. Ribalta
dunque i due capi di accusa – reo di non credere agli dei e reo di credere agli
dei; a questo punto è evidente la contraddizione.
XV PARAGRAFO. Ci può essere qualcuno che creda ci siano fatti umani ma
non uomini? Socrate, anche quando si difende, non cessa mai di essere filosofo
– argomentare filosofico che lo distingue. Socrate ha ormai smontato i due capi
d’accusa; il dubbio che insorge è se l’accusa non fosse strumentale, e non si
sappia di cosa accusarlo – le accuse divengono quindi pretestuose per la
condanna di Socrate. Come fa a dire che lui crede nei demoni, che hanno a che
fare con la sfera divina, e allo stesso tempo sostenere che Socrate non creda
agli dei? Il “daimonas” ha a che fare con la sfera divina, c’è un nesso stretto;
Socrate si comporta come suole, perché obbedisce al demone della sua psychè;
lui crede nel “divino”, e anzi la filosofia è in stretta connessione con esso, in
quanto essa servizio resogli.
XVI PARAGRAFO. Il grande odio nei confronti di Socrate induce a queste
accuse strumentali. Socrate non teme i secondi accusatori, infatti, non teme
Meleto, perché lo ha già stanato; teme però l’opinione pubblica, quindi
quell’odio sedimentato contro di lui (primi accusatori). Si potrebbe dire, dice
Socrate: non si vergogna a rivestire il ruolo del filosofo, che irrita, al punto da
mettere a rischio la sua vita? Ma Socrate risponde che lui non si abbassa a
calcolare i rischi, come nessuno dovrebbe farlo, è importante fare il giusto e il
bene, che questo debba anche costare la morte – qui è chiaro che il Bene, per
Socrate, sia l’aspirazione ultima.
XVII PARAGRAFO. Qui si capisce che l’Apologia di Socrate è anche
l’apologia della filosofia. Socrate ha seguito i comandanti assegnati a lui in
guerra, rischiando già di morire; e non dovrebbe forse obbedire al Dio, nel
modo in cui interpreta il suo messaggio? Per il Dio, Socrate deve filosofare, se
ha rischiato la vita in guerra, tanto più può rischiarla filosofando. Così Socrate
ha interpretato il messaggio, perché non è mai comprensibile in modo
esauriente, ma necessita di un’interpretazione: Socrate deve vivere filosofando,
adoperandosi di conoscere se stesso e gli altri – ecco perché la filosofia viene
portata nella polis, ed ha luogo nel dialogo con gli altri, al fine di conoscere sé
non lo facessi per paura della morte, mi ritraessi, allora sarebbe legittima
l'accusa di empietà. DISERTARE IL COMANDO/ORDINE DEL DIO.
PAURA DELLA MORTE: comincia una filosofia che ha poco a vedere con il
PERI FUSEOS; ma che si concentra su se stessi, sul prossimo, sul cittadino,
sulla POLIS... e arriva il tema della MORTE (che era già emerso prima di
Socrate ma in modo assai diverso): PER LA PRIMA VOLTA viene teorizzato
il nesso tra filosofia e morte: essere filosofi (votarsi alla filosofia) è imparare a
morire. NESSO CONSUSTANZIALE. Socrate dice: in quanto il filosofo è
sapiente, non può temere la morte, perché sarebbe come credere di sapere ciò
che non si sa [e non si può sapere]. SUPPONENZA, PRESUNZIONE. Il
filosofo non può aver paura della morte e nella fattispecie Socrate sa di non
sapere, e quindi... Sarà ripresa da Epicuro: quando la morte c'è, noi non ci
siamo e viceversa [grande cazzata questo riferimento ad Epicuro, perché dietro
Socrate/Platone c'è un'enorme ipoteca metafisica]. Epicuro [mi pare ovvio]
riprende in una direzione diversa. Socrate è più etico. Nel Fedone questo punto
verrà ripreso: Socrate in prigione aspetta la condanna. Argomento:
l'immortalità dell'anima. NON A CASO: l'idea filosofica di fondo, ripresa da
questo passo, che tra la VITA e la MORTE c'è un auto-escludersi. NON
POSSIAMO PENSARE LA NOSTRA MORTE [né evidentemente
sperimentarla, viverla]. Il pensiero rifiuta il non-essere. E' una preparazione [la
filosofia nei confronti della morte]; ma anche accettazione senza timore della
morte. AVERE PAURA VUOL DIRE GIA' CARATTERIZZARE CIO' CHE
NON SAPPIAMO. Non possiamo dimenticare che Socrate dice: "è invero che
della morte nessuno sa...". I molti credono che sia il peggiore dei mali; ma
forse è il migliore dei beni. C'è un contatto di Platone coi Pitagorici (Archita di
Taranto): Platone ne conosce le teorie. I pitagorici erano gli eredi delle teorie
orfiche (misteri di Eleusi), il loro sfondo è religioso. I Pitagorici riprendono gli
orfici nel sostenere una separazione tra la PSYCHE e il SOMA, tra ANIMA e
CORPO. I Pitagorici se ne fanno filosoficamente i portatori. Il corpo è una
tomba (SEMA, simile a SOMA) dell'anima. Incarnazione in seguito a caduta
dell'anima nel corpo. Questo abitare nel corpo è un esilio: corpo prigione. La
morte diventa una liberazione. La morte viene vista in positivo. Questa cosa
entrerà nel cristianesimo. TRASMIGRAZIONE DELLE ANIME:
METENPSICOSI/METENSOMATOSI. L'anima, al momento della morte
corporale, l'anima immortale torna ad incarnarsi in altri corpi. CONNESSA
CON LA TEORIA DELLA SEPARAZIONE ANIMA-CORPO.
Fedone=sfondo orfico. Socrate non teme la morte perché ??? la dottrina orfica,
e argomenta così; ma nessuno deve presumere quel che non si può sapere.
e l’altro. Lo sguardo del filosofo non è rivolto alla natura (Anassagora), ma
all’interiorità – interpretazione del messaggio divino, per cui egli deve vivere
filosofando, ossia nell’intento di conoscere se stesso e gli altri. Se Socrate non
seguisse il dettato del Dio per paura della morte, allora sì, avrebbero ragione di
dire che Socrate è empio – sarebbe legittima l’accusa di empietà. Comincia una
filosofia, distante dalla ricerca dei presocratici, rivolta alla physis, e che si
interroghi sull’uomo, sulla polis, sui rapporti umani, sul proprio dovere, ed
arriva anche il tema della morte – già emerso prima di Socrate, ma in modo
diverso. Qui Socrate (punto decisivo per la filosofia) teorizza il nesso tra la
filosofia e la morte – il votarsi alla filosofia è imparare a morire; nesso
consustanziale, a partire da questo passo dell’Apologia (poi sviluppato anche
nel Fedone). Il filosofo, se è sapiente, non può aver paura della morte, perché
sarebbe come credere di sapere quello che non si sa; sarebbe una presunzione
– della morte non si sa nulla, e Socrate sa di non sapere, quindi non ha paura.
Argomentazione ripresa da Epicuro: quando la morte c’è noi non ci siamo e
viceversa. Nel Fedone viene ripreso questo punto, è un proseguo: Socrate è in
prigione e aspetta che venga eseguita la condanna (cicuta); l’argomento del
Fedone è quello dell’immortalità dell’anima, e non è un caso, perché l’idea
filosofica di fondo è ripresa da qui – tra la vita e la more c’è una sorta di
autoescludersi, dato che è inconcepibile pensare la propria morte, il pensiero si
rifiuta di non essere. Il filosofo si prepara alla morte, e la filosofia è una
preparazione alla morte, che è anche una sua accettazione – aver paura sarebbe
credere di sapere quello che non si sa, perché non si ha esperienza della propria
morte (thanatos). Socrate fa una domanda sulla base del fatto che si crede che
la morte sia il peggiore dei mali, quando forse è il migliore dei beni – frase di
molto valore.
Platone viaggia nella Magna Grecia, dove ha contatti con i pitagorici e con la
loro filosofia; i pitagorici, eredi delle teorie orfiche, si fanno portavoce dello
sfondo religioso proprio all’orfismo: gli orfici sostengono ci sia una
separazione tra Anima (psychè) e Corpo (soma), il quale è la tomba (sema)
dell’anima – come se l’anima si incarnasse nel corpo, cioè in una ricaduta, è un
abitare nel corpo vissuto come un esilio, prigione e tomba. Ciò cambia la
visione della mote: essa è una liberazione dell’anima dalla prigione – non c’è
una visione negativa della morte, ma tutt’altro e, a partire da Platone, entrerà
anche nel Cristianesimo. Inoltre agli orfici appartiene la teoria della
metempsicosi (trasmigrazione delle anime): l’anima, una volta libera dal corpo,
va ad incarnarsi in altri corpi; è una teoria connessa con quella della
separazione dell’anima e del corpo – nel Fedone si sostiene l’immortalità
NON POSSIAMO SAPERE [riguardo alla morte]. Socrate non può giungere a
patti per quanto riguarda il filosofare (davanti alla possibilità della morte).
Socrate non difende sé; ma la filosofia: CURA DEGLI ALTRI E DI SE. LE
DUE COSE VANNO INSIEME. Socrate ama i cittadini; ma obbedirà al dio
nella sua missione. Rendere ottima l'anima è il bene più grande. Socrate è
divenuto povero, ed è estremamente brutto, vestito male, provoca disgusto
(ATOPIA), e prova che bellezza, ricchezze, beni, potere non contano nulla.
CONTA RENDERE OTTIMA L'ANIMA. Nella città c'è bisogno, per questo
motivo, del filosofo. C'è un nesso tra ANIMA e POLIS. Non ci può essere una
buona città (dimensione politica) senza un'ottima anima (dimensione etica).
NB: per l'anima propria ed ALTRUI. Anassagora era fuggito. Socrate decide di
rimanere per obbedire al via(???) secondo la chiamata divina che gli giunge,
perché i cittadini hanno bisogno delle cure dell'anima, perché non ci sarà sennò
una buona POLIS.
THANATOS: il filosofo non può temere la morte. [...] non solo di ordine
esistenziale; ma anche politico, perché spingerà Socrate a restare ad Atene.
Oggi si tratterà del rapporto col giudice, delle leggi e del fondamento della
POLIS. Non si può temere la morte perché presumere di sapere quel che non si
sa... Socrate: ammissione del non-sapere, presupposto APORETICO per la
nascita della filosofia.
XVIII (30c): è importante l'ascolto, altrimenti non ci può essere dialogo. Qui
siamo alle battute finali della difesa di Socrate: ha risposto alle 3 accuse
rivoltegli (2 erano contraddittorie). Socrate ora non risponde più alle accuse;
ma controbatte ed amplia le accuse: non si limita a rispondere, ma amplia...
Non fate schiamazzi, ma ascoltate. Io non ho paura della condanna, dell'esilio,
del togliere i diritti; ma la mia eventuale condanna a morte non danneggia me
(altrimenti sapreste cosa sia la morte); ma la condanna di un innocente
danneggia voi, la POLIS. Non sarà più la stessa Atene. ??? il fondamento della
giustizia, senza la quale niente comunità della POLIS. Discorso filosofico-
dell’anima, a partire da questo sfondo orfico.
Qui c’è la posizione del filosofo, che segue gli ordini del Dio, che lo ingiunge a
vivere filosofando. Socrate dice di non temere la morte, non perché l’anima sia
immortale, ma perché nessuno dovrebbe temerla, poiché si peccherebbe di
presunzione – non possiamo sapere quale sia il male peggiore. Il suo è un
atteggiamento religioso, perché si rimette ai limiti del sapere. Se dovesse
scendere a compromessi, per aver salva la vita, dovrebbe smettere nelle sue
ricerche e quindi di fare filosofia – ma Socrate si rimette al Dio; non difende se
stesso, ma la filosofia: la filosofia è cura degli altri e di sé, cose che vanno
insieme. Lui obbedirà al Dio, seguirà ciò che gli è stato imposto di fare, non
smetterà di irritare, di fare filosofia. Socrate è divenuto povero, era brutto, e
tutto questo crea ulteriore disgusto e disagio; ma egli, sopra tutte le ricchezze, i
beni e l’esteriorità, rivendica l’anima e la cura di essa. Lui non lascerà la città,
né il suo compito, che è quello di dire agli altri che la cosa più grande e giusta
è rendere ottima l’anima – nesso fra anima e polis; non ci può essere una buona
politica se non c’è l’etica, cioè un’attenzione alla propria anima e a quella
altrui (obbedienza al Dio). Socrate è pronto a morire, la sua è la scelta di non
andare via dalla città (come fece Anassagora), ma di restare come
testimonianza di obbedienza alla chiamata del Dio, del demone che lo ingiunge
a vivere filosofando, perché faccia capire ai cittadini che ci si deve curare
dell’anima, per poter amministrare una buona polis.
Il filosofo non può temere la morte (thanatos), perché avrebbe la presunzione
di sapere ciò che non sa – ciò ha una rilevanza “esistenziale”, ma soprattutto
politica: questo atteggiamento nei confronti della morte permette a Socrate di
non discutere la condanna e accettarla, e di rimanere ad Atene. Particolare il
suo rapporto con la giustizia: il giudice va rispettato, perché regge la polis. In
generale egli ribadisce l’ammissione di non sapere – presupposto aporetico da
cui nasce la filosofia.
XVIII PARAGRAFO. La scena del processo viene sempre tenuta presente,
tramite una descrizione. Subentra il tema importante dell’ascolto – non ci può
essere dialogo, se non c’è ascolto (“vi sarà utile ascoltare”). Siamo alle battute
finali della difesa di Socrate: egli ha riposto alle accuse rivolte che gli sono
state rivolte; adesso inizia l’ultima parte dell’Apologia, in cui non risponderà
più alle accuse, ma amplierà il suo discorso. Socrate non ha paura della
condanna, né dell’esilio, né della confisca dei beni o della soppressione dei
suoi diritti – la condanna a morte non andrà a danneggiare Socrate, dato che
thanatos potrebbe essere un bene, bensì danneggerà la comunità, che ha
politico. Condanna di un innocente non è comunemente [banalmente] un
EORRE. Scalfisce le basi della giustizia e ha conseguenze sulla comunità, sulla
POLIS. Socrate non si preoccupa per sé, ma per il futuro della POLIS.
Bellissimo. Socrate ATOPOS, strano, straniero, straordinario... infastidisce.
Non è solo un rapporto conflittuale: Socrate non passa all'anti-politica, perché
lo preoccupa il destino, il futuro della sua città. Socrate crede più che mai nella
POLIS. La condanna non pregiudica la fiducia nella comunità politica, nella
POLIS. Socrate non condanna la POLIS. Distingue la POLIS dai [suoi]
cittadini. Distingue (come devono fare i filosofi) [NB: differenza tra
distinzione (logica) e separazione (ontologica)]. La POLIS non si esaurisce nei
suoi concittadini: Socrate crede nella POLIS. Socrate rivendica il ruolo che ha
sempre svolto: lavorare ai fianchi. Non smette di lavorare ai fianchi i suoi
concittadini. METAFORA. Non hanno saputo apprezzare un dono di Dio. Non
hanno apprezzato l'arte maieutica: il "mestiere" di Socrate: porre domande: il
porre domande, formulare domande: il mestiere del filosofo: fare domande.
31a: metafora del risvegliare i cittadini. I concittadini dormono. Socrate li
sveglia perché questi non si pongono domande. Falso sapere senza
inquietudini. Obbediscono. Non sanno di non sapere. Metafora della filosofia:
questa sveglia, fa passare dal sonno alla veglia. Chi non filosofa si trova in uno
stato di sonno. La veglia, metafora della filosofia che diverrà "coscienza"
[come: essere coscienti]. Già Eraclito e Parmenide avevano parlato di sonno e
di veglia. Parmenide nel PERI FUSEOS parla dei mortali che dormono [cerca
frammento]. Eraclito in particolare introduce e inaugura questa metafora: B89
"unico e comune è il mondo per coloro che sono desti; mentre nel sonno
ciascuno si rinchiude in un mondo proprio". Quando si è desti nella veglia
("coscienza") si condivide il mondo con gli altri, mondo comune. La comunità
può darsi solo nella veglia. Il sonno ci isola dagli altri: cadere nell'isolamento.
Non descrizione; ma metafora, perché la veglia è metafora di quella coscienza
che soltanto la filosofia può dare. In Eraclito idea aristocratica per cui la
maggior parte dei mortali dorme in un'inconsapevolezza onirica. Solo pochi, i
filosofi [solo Eraclito, che fa'mo prima] sono desti, vegliano, sono vigili, al
punto da soffrire di insonnia (pure in Nietzsche 'sta cosa, Zarathustra, libro I).
Il cittadino, per Socrate, è sul punto di addormentarsi. 31b-c: Socrate ha
trascurato fino a ridursi in miseria e ridurre in miseria gli affari suoi, per il
"comune" [ciò che è comune], per la comunità che dorme. La PENIA è
testimone di ciò: il dedicarsi alla comunità, al bene pubblico. Socrate sottolinea
che l'accusa non ha testimoni per dire che Socrate ha curato i proprii interessi.
mandato a morte un innocente – Atene, dopo la condanna a morte di Socrate,
non sarà più la stessa; la condanna a morte di un innocente incrina il
fondamento della città, ossia la giustizia, che così viene a mancare – non c’è
polis senza giustizia. Passaggio decisivo: la condanna a morte di un innocente
non è solo un errore, è ciò che più scalfisce le basi della giustizia e che ha
conseguenze sulla comunità – Socrate non è preoccupato per sé, ma per il
futuro della polis. Socrate, rispetto alla polis, è colui che vive ai margini, lo
straniero e straordinario; non vi è un rapporto conflittuale con la polis, perché
Socrate non passa banalmente all’anti-politica – egli distingue la polis dai suoi
concittadini, che fanno la città, ma non la esauriscono, perché essa sopravvivrà
a loro e a Socrate; Socrate crede molto nell’istituzione della polis, e a ciò si
deve questo discorso e la sua preoccupazione per le sorti della città. Il suo
discorso rivendica ancora una volta il compito di Socrate, e più in generale del
filosofo, che è quello di lavorare ai “fianchi” dei suoi concittadini,
attraversando con loro la città e ponendo loro domande – ma i suoi concittadini
non hanno saputo apprezzare quello che è un “dono del Dio”, che è l’arte
maieutica di Socrate. Socrate pone domande, cioè filosofa: il filosofo è colui
che sa porre domande, perché la domanda attende sempre una risposta, ed è
importante saperla impostare. Metafora importante: gli ateniesi sono infastiditi,
sono contenti di levarsi di mezzo Socrate, che li irrita, e li “sveglia”, come
fossero assopiti, cioè risveglia in loro qualcosa; Socrate vuole svegliare i
cittadini, e questa metafora è atta a dire che essi dormono, perché non si
pongono domande, quindi hanno un falso sapere, cioè non sono inquietati e
sono nella quiete di chi è assopito – è una metafora della filosofia, perché il
filosofo non dorme. La filosofia fa passare dal sonno alla veglia; chi non
filosofa è in uno stato di sonno, e anche la veglia/vigilanza è una metafora
adatta alla filosofia – finchè non diventerà “coscienza”. Già Eraclito e
Parmenide avevano parlato del sonno e della veglia, in questo senso. Nel “Perì
physeos” di Parmenide, egli parla del “sonno dei mortali”. Poi c’è Eraclito, che
inaugura questa metafora: (B 89)”unico e comune è il mondo per coloro che
sono desti, mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in un mondo proprio” –
quando si è desti, nella veglia, che è “coscienza”, si condivide il mondo con gli
altri; il mondo è comune nella veglia, perché la comunità si da’ nella veglia; il
sonno è il cadere nell’isolamento. La veglia è la metafora di quella coscienza
propria solo della filosofia – già in Eraclito c’è un’idea aristocratica della
filosofia, per cui i più dei mortali conducono la propria esistenza
nell’inconsapevolezza onirica, non si pongono domande e non sono inquietati,
ma solo pochi sono desti e svegli, ossia i filosofi, al punto da soffrire di
XIX. Socrate ritorna alla voce divina-demoniaca. Socrate dice: "fin da
fanciullo...". Socrate ha seguito questa voce, che lo ha indirizzato, orientato. La
voce gli vieta di occuparsi delle cose dello stato. Perché lo ha redarguito,
avvertito, ammonito? Perché il filosofo deve fare il filosofo. Platone però poi
andrà a Siracusa. C'è già un riconoscere che il filosofo deve restare fuori
dall'arena politica. Quando vi entra, allora iniziano i problemi. Platone lo farà.
Errore eclatante di Platone. Questo è il primo passo in cui si pone il problema
del rapporto tra filosofia e politica. Dove l'una esclude l'altra. Il filosofo
riconosce la POLIS. Il filosofo non può occuparsi di cose dello stato. 32a:
Socrate non si è occupato degli affari pubblici, a ragione, perché se se ne fosse
occupato, sarebbe morto. Socrate lo dice perché avrebbe smesso di essere
filosofo [avrebbe smesso di essere se stesso: identità di BIOS e FILOSOFEIN].
Se Socrate si fosse occupato, si sarebbe spostato di luogo, non più ATOPOS,
non più marginale; ma sarebbe passato al centro. Questo passaggio è entrare
nell'arena degli affari pubblici, con problematiche di giustizia pratica, problemi
validi di volta in volta, etc. Ai margini vuol dire poter filosofare, conservando
la distanza critica che il filosofo altrimenti non avrebbe. Socrate è, per così
dire, il "guardiano" della città. Socrate sta difendendo il BIOS
THEORETIKOS (Aristotele), che è importante per la città. Atene ha bisogno
del filosofo, i cittadini hanno Socrate che li richiama al giusto e al bene. Il
funzionamento pubblico può finire per dimenticare [e far dimenticare] il
GIUSTO e il BENE. Riflettere sulle leggi della POLIS, sottolineare... il non
farsi trascinare dagli affari della città... Non vuol dire però non partecipare; ma
distinguere due mestieri. Alto [o altro?] fraintendimento: tra privato e
pubblico. Socrate non è un filosofo che pratica; ma giustifica un ritiro
esistenziale. Socrate dal margine attraversa l'Agorà: percorre le strade, porta la
filosofia nella POLIS. Non difende una sfera privata. Porta la filosofia nella
politica, nella vita degli altri. [il sonno è parente della morte] [S. predilige le
parole, anche le Leggi, rispetto ai fatti?!]
insonnia. Il cittadino che sta per assopirsi è in uno stato onirico, invece chi
pone i problemi lo infastidisce. Socrate si è ridotto in miseria, trascurando i
suoi affari umani e la sua quiete, per il benessere pubblico della comunità, a
cui è attento solo chi veglia – la sua povertà è testimone del fatto che lui ha
trascurato la sua vita privata per dedicarsi alla polis, in cui crede, e a cui il
filosofo, in quanto sveglio e in quanto condivide il mondo, non può non
credere.
XIX PARAGRAFO. Si riferisce nuovamente alla sua voce demoniaca e
insieme divina: fin da fanciullo Socrate l’ha seguita; essa lo ha persuaso,
orientato e gli ha vietato di occuparsi di cose dello Stato – perché la voce lo ha
ammonito di non occuparsi delle faccende dello Stato? Perché il filosofo deve
fare il filosofo, e ciò implica il fatto che il filosofo deve stare fuori dall’arena
politica – Platone successivamente si recherà a Siracusa, e commetterà questo
errore. Questo è il primo passo nella storia della filosofia in cui si pone il
problema del rapporto tra la filosofia e la politica – è un rapporto conflittuale
ed esclusivo, nel senso che l’una esclude l’altra. Socrate riconosce la polis e ci
crede, ma il filosofo non può occuparsi di cose dello Stato; Socrate non si è
occupato di affari pubblici, facendo bene, perché, dice, sarebbe morto da
tempo, non potendo fare nulla di buono né per sé né per gli altri – avrebbe
smesso di fare il filosofo: non avrebbe più vissuto ai margini della città,
smettendo di essere atopos rispetto ad essa, ma sarebbe passato al centro della
polis, entrando nell’arena degli affari pubblici, di ordine pratico, occupandosi
di giustizia pratica, che si da’ caso per caso, di volta in volta. Così Socrate ha
preferito rimanere ai margini della città, per guardarla con gli occhi del
filosofo, per continuare a filosofare, conservando la distanza critica, che
andrebbe perduta se lui fosse al centro dell’arena degli affari pubblici. Il
filosofo riconosce le leggi della città, ma mantiene la distanza critica – Socrate
difende quello che Aristotele chiamerà il “bios teoreticos” (vita teoretica) del
filosofo. Gli ateniesi hanno bisogno del filosofo che faccia domande e che vada
a richiamarli a ciò che è bene – mentre chi sta negli affari pubblici può
dimenticare ciò che è bene e giusto. Non è il discorso del rifiuto della politica,
ma è un sottolineare la sua posizione, il che non vuol dire non partecipare,
poiché il filosofo deve partecipare, ma si deve distinguere attraverso la
distanza garantita dalla filosofia. Un fraintendimento che può insorgere è
quello che riguarda il “privato” e il “pubblico”: Socrate non è un filosofo che
pratica e giustifica il “ritiro esistenziale”, anzi egli, dal margine della città,
attraversa sempre l’agorà, portando la filosofia nella polis, nella vita politica –
XX. Consiglio=Bulé dei 500. Esperienza di difesa del diritto, della giustizia...
comprensibile [la] condanna a morte. Riferimento agli eventi recenti di Atene.
C'è un importante presa di posizione: Socrate contro l'oligarchia. Socrate è
favorevole alla democrazia: non ci stupisce: chi pratica il dialogo socratico è
(tendenzialmente) favorevole alla democrazia. Platone però no! Platone così
per via dell'esperienza di Socrate. Gli alleati di Socrate (democratici fans
dell'età di Pericle) vogliono la democrazia con mezzi violenti. C'è perciò una
presa di posizione di Socrate. La democrazia non può stare accanto alla
violenza, al calpestamento dei diritti. Ripristinare la democrazia con la
violenza? No! Con la morte di Socrate inizia il declino di Atene. Con la morte
di Socrate la democrazia naufraga (vedi Platone). Socrate nel corso dei secoli
diventa un'icona. Simbolo della democrazia, della non violenza, della filosofia
che difende diritto e giustizia fino alla morte. Socrate dice ciò quando il
processo volge già verso un'accusa drastica; ma 'sti cazzi della condanna; ne va
del declino della democrazia ateniese. La morte ed il declino non verranno
dimenticati. [Socrate: democrazia che rispetta il diritto, diversa da quella di
coloro che vogliono ripristinare la democrazia con la violenza]. Socrate: io
sono lo stesso in privato e nel pubblico. Non faccio differenza tra le due sfere.
??? scopro? i principii dell'etica (Socrate non ha? una); ma c'è già il concetto di
ETHOS che guida la città ???
XXI. "io non sono mai stato maestro di nessuno". Socrate risponde ancora alle
accuse. Il maestro è colui che sa. Socrate non potrebbe mai, perché "non sa"
[sa che non sa]. Coerente. Connesso con la MAIEUTICA. Distacco con i
Sofisti. Socrate non ha mai aperto una scuola. Le scuole socratiche minori
nascono dopo la morte di Socrate. Ma rispetto all'Accademia e al Liceo,
quindi gli non difende la sfera privata della filosofia; porta il dialogo in
politica, ma non si occupa di affari pubblici. Il sonno è parente della morte: lui
vuole la veglia, per questo dice che sarebbe morto se si fosse messo a fare
politica (come persona e come filosofo).
XX PARAGRAFO. La comunità apprezza i fatti, Socrate apprezza le parole.
Una volta Socrate ha fatto parte del Consiglio (la boulè dei 500) – fa un
esempio concreto, come quando ha menzionato la sua esperienza nell’esercito:
ricorda il suo vissuto, la difesa del diritto e della giustizia, cosa che per poco
non gli costò la morte (c’era ancora una democrazia). La sua argomentazione
contiene un riferimento agli eventi recenti di Atene: la presa di posizione di
Socrate è contraria all’oligarchia, ma favorevole alla democrazia – chi pratica
il dialogo socratico, chi si apre ai cittadini in questo modo è favorevole alla
democrazia. Ma Platone non è favorevole a questo tipo di governo, per via
dell’esperienza di Socrate – il senso è che coloro che avrebbero dovuto essere
alleati di Socrate, cioè quanti avessero voluto restaurare una democrazia ad
Atene, come ai tempi di Pericle, in realtà lo hanno fatto con mezzi violenti,
fuori dai diritti e calpestando gli stessi diritti – es. non dando la cittadinanza a
chi avrebbe dovuto ecc. Presa di posizione di Socrate: la democrazia non può
stare insieme alla violenza; non si può ripristinare violentemente la
democrazia. Al momento della condanna, Atene sarà pregiudicata per sempre –
declino della polis e della democrazia. La posizione di Platone si comprende a
partire da questo naufragio della democrazia proprio contro la figura di
Socrate; così, nel corso dei secoli, Socrate è diventato l’icona e il simbolo della
democrazia, e specialmente della non-violenza, quindi di una filosofia non-
bellica e che difende la giustizia anche a costo della vita. Siamo in un momento
grave del processo: Socrate sa di non avere possibilità, verrà condannati
colpevole da tutto –Socrate denuncia Atene, che non ha rispetto del diritto; non
ne va della sua vita, ma dalla condanna dipende il declino della democrazia di
Atene; Socrate denuncia qualcosa che non verrà dimenticato, prendendo le
distanze da coloro che vogliono violentemente ripristinare la democrazia .
Questa è l’esperienza che Socrate racconta.
XXI PARAGRAFO. Socrate è lo stesso sia in privato sia in pubblico – segue i
principi della giustizia e dell’etica; c’è già il concetto di “etos” che guida la
polis. Lui ha sempre seguito il giusto; dice di non essere mai stato maestro di
nessuno – questo è un modo di rispondere ulteriormente all’accusa di
corruzione. Il maestro è colui che sa, e che fa l’educatore, perché ha da
Socrate niente scuola. Socrate non fa distinzione di età e di reddito. I giovani di
Atene sono andati da lui, non il contrario. Non c'è distinzione ancora tra
privato e pubblico (cfr. 33b fine). Niente merito o demerito per l'esito di coloro
che lo seguono: quello che questi diventeranno non sono cazzi suoi di Socrate.
La filosofia non insegna qualcosa di particolare: niente/nessuna dottrina.
Rivendica (positivamente) che la filosofia non "serve" a nulla. Vedremo come
Platone riprenderà questa posizione. Possiamo dire che il dialogo sia un
insegnamento? Domanda di Socrate non da liquidare.
XXII. Socrate nuovamente si richiama al demone, alla voce interiore,
all'oracolo, ai vaticinii, ai sogni: entra il tema del "sogno". Il filosofo da ascolto
al sogno: messaggio, oracolo, che gli viene dato. Socrate chiama a testimoniare
i suoi discepoli, i suoi allievi (?). Perché l'accusa non li ha interpellati? Se li ha
corrotti, lo dicano loro... Qui compare Platone. Platone introduce il proprio
nome, mentre non ci sarà nel Fedone. Scena molto teatrale e ovviamente
drammatica. Socrate avrebbe bisogno della testimonianza dei suoi allievi, che
difenderebbero il "corruttore". 34d-35a: Socrate non ha chiesto
commiserazione o patimento (?). Non ha parlato di chi lascerà con la morte.
Dignità del filosofo. Socrate su un piano diverso. Risposta (?) e difesa (?) del
filosofo [di fronte] alle accuse. bellissimo: "per la reputazione mia e vostra...
[...] ...degli uomini" (35a). Qui il rispetto di Socrate per la POLIS. Niente
accampare scuse facendo scadere il proprio discorso. Niente atti straordinarii.
Socrate non teme la morte, niente atti vergognosi. Dignità perché ne va della
filosofia. Se nel Fedone non mantenesse la dignità, metterebbe in dubbio tutta
la sua vita. Il modo in cui affronta la condanna a morte è una conferma della
condotta in vita: mai ci si può lasciare andare. Filosofia tutt'uno con il filosofo.
Legittimità e conferma della sua filosofia. 35b: femmine: le donne sono
escluse dalla vita pubblica e dalla filosofia: caduta di stile.
XXIV. Socrate chiude la difesa e vedremo che ci sarà la condanna. [trova tutti i
frammenti di Eraclito sul sonno e sulla veglia].
Socrate ha concluso la sua difesa; poi però c'è un'ultima parte che riprende il
insegnare; ma Socrate sa di non sapere e non è mai stato maestro di nessuno,
sottolineando così la sua distanza dai Sofisti; inoltre Socrate non ha mai aperto
una scuola – ci sono solo scuole socratiche minori, fondate dopo la sua morte.
Ma lui non si è mai rifiutato di parlare, perché è a disposizioni di tutti, senza
distinzioni di età, senza distinguere i poveri dai ricchi, anche perché non si fa
pagare. Non può prendersi il merito o il demerito a proposito di qualcuno che,
dopo i suoi insegnamenti, consegua successo o meno, perché la filosofia non
ha nulla da insegnare – chi diventerà qualcuno lo farà da sé. Il filosofo non
insegna qualcosa di particolare – i Sofisti insegnano l’euleghein, che è anche
qualcosa di pratico. Socrate rivendica un qualcosa della filosofia, che tende
anche ad essere un’ accusa rivolta a questa: la filosofia non insegna nulla e non
porta a nulla. il dialogo è un insegnamento? La domanda che Socrate ci pone
rimane aperta.
XXII PARAGRAFO. Socrate si richiama al demone, alla voce interiore, al
messaggio dell’oracolo, ai vaticini, addirittura ai sogni – entra in scena il
sogno. Il filosofo da’ ascolto al sogno; è un messaggio che gli viene dato. La
scena, tra le ultime della difesa: non è stato un maestro, ma chiama a testimone
i suoi discepoli – perché non sono stati interrogati? Lui chiede si facciano
avanti, affinchè dicano se sono stati corrotti – compare Platone, in uno dei
pochi passi in cui introduce il proprio nome. È una scena teatrale e
drammatica, come se Socrate avesse bisogno della testimonianza dei suoi
allievi; loro difenderebbero il “corruttore” , ma non sono stati interpellati.
XXIII PARAGRAFO. Socrate non ha chiesto di essere compatito – dignità del
filosofo; la sua difesa è la difesa della filosofia, più che della sua persona. Non
vuole essere compatito, per la reputazione sua e quella della città; non vuole
essere commiserato né indurre a pietà, tramite discorsi privati – riesce sempre a
mantenere il suo discorso ad un livello filosofico. Qui è il rispetto di Socrate
nei confronti della città; non si lascia andare ad atti straordinari o vergognosi,
perché non teme la morte, e qui viene ribadito il ruolo del filosofo. Se Socrate
non preservasse la sua dignità, e qui e nel Fedone, metterebbe in dubbio tutta la
sua vita, non affrontando la morte. Il modo in cui affronterà il limite estremo
della morte conferma invece la sua condotta di vita – lui non smette di essere
filosofo, neanche un momento; perché la filosofia non è distinta dal filosofo; la
sua filosofia trova legittimità nel modo in cui egli conduce la sua vita.
Due parti: 1. Conclusione della difesa di Socrate; 2. Conclusione della scena
tema della morte (già incontrato quando Socrate si prepara alla condanna): non
possiamo sapere che la morte sia il male peggiore: ciclicità, ripresa degli
argomenti, tipica di molti dialoghi. Pagine dense e complesse contro una prima
lettura, in cui il Socrate platonico sviluppa una concezione radicale della morte
che ritroveremo nel Fedone. Strettamente connessa. La prova filologica (o
filosofica?) sta nell'ultima parte dove Socrate decide di riflettere sulla morte
negli ultimi giorni della sua vita. Pagine importantissime per la cultura greca:
importantissime per la storia della filosofia. Tutti i filosofi che meditano sulla
morte ritorneranno su queste parti: cfr. PROLOGO del FEDONE (ma con
differenze). Leggeremo pure la testimonianza di Diogene Laerzio. Partizioni
del dialogo: l'autodifesa di Socrate termina al paragrafo XXIV. Emerge la
dignità di Socrate; ma anche il rispetto per la POLIS. Leo Strauss ha delineato
una teoria politica molto interessante partendo dal rapporto Socrate con la
POLIS. I 500 giudici stanno per votare la colpevolezza di Socrate (Diogene
Laerzio: lo scarto è di 30 voti).
XXIV. Socrate non ritiene di rivolgere un appello al giudice: perché il giudice
deve essere rispettato. E il giudice deve fare giustizia, giudicare. Il grande tema
dell'Apologia è la giustizia. Argomento filosofico: sarebbe come spingerlo a
violare il suo giuramento. Io, accusato, sono il primo a rispettare la POLIS, gli
dei, le leggi, e chiedo perciò GIUSTIZIA. Questa è la prova che Socrate
rispetta gli dei molto più dei suoi accusatori. SEMEION THEOU. Socrate non
viene a compromessi. Socrate decide di non fuggire, come invece hanno fatto
altri filosofi prima di lui (cfr. Anassagora); non ha senso per lui scendere a
compromessi. La scelta di Socrate è radicale e non necessariamente
condivisibile: la scelta discende dal modo di concepire la POLIS e la morte
(THANATOS). Questi i due termini concettuali entro i quali si determina la
scelta. In greco THANATOS significa sia "morte", che "condanna a morte":
valore semantico più ampio rispetto alla lingua italiana [controlla se è vero o se
è 'na cazzata]. Non è detto che si debba essere d'accordo. Non è un caso che
l'ultima parte contenga una riflessione sulla morte.
drammatica del processo – in ultima istanza viene ripreso il tema della morte,
già affrontato da Socrate nel suo prepararsi alla condanna. C’è una ciclicità
degli argomenti, tipica dei dialoghi socratici. La concezione della morte
sviluppata da Socrate è molto radicale, e verrà ripresa anche nel Fedone –
connesso strettamente all’ultima parte dell’Apologia. Non c’è alcuna ribellione
alla sentenza dei giudici, ma una sua accettazione ed una riflessione. Queste
ultime pagine sono importanti per la filosofia e per la cultura greca in generale
– tutti i filosofi che si ritroveranno a meditare sulla morte, ritorneranno
inevitabilmente a questo punto dell’Apologia, il quale è una chiusura
dell’opera, ma anche un prologo del Fedone, quindi si tratta di una sorta di
ponte tra i due testi.
XXIV PARAGRAFO. Termina qui la difesa di Socrate. Emerge la sua dignità
e il suo rispetto nei confronti della polis, e non chiede la commiserazione. Nel
‘900 un filosofo, Strauss (ebreo emigrato nel Stati Uniti) delinea una filosofia
politica, interessante nel suo confronto con Socrate, specialmente in merito al
suo rapporto con la polis – attualità di queste pagine.
I giudici stanno per decidere la colpevolezza di Socrate – non è unanime il
voto, c’è uno scarto, benché minimo. Socrate, anche in queste sue ultime
battute, non ritiene di rivolgere un appello al giudice, perché questo deve
essere rispettato, senza pressioni – il giudice non deve fare grazia, ma giustizia
(grande tema dell’Apologia che ritorna), deve cioè giudicare. Fare pressione al
giudice è spingerlo a violare il giuramento. Socrate, accusato di empietà,
dimostra che è il primo a rispettare sia le leggi, sia la polis, sia gli Dei, per cui
non può chiedere grazia, ma solo la giustizia – sarebbe bensì empietà il fare
pressione al giudice. Così Socrate da’ prova di aver rispetto per gli Dei, come
una testimonianza, più di coloro che lo accusano di non credere agli Dei –
ritorna la questione del Dio, al quale Socrate obbedisce e presta il servizio
della filosofia (parlerà ben due volte del “semeion theù”). Al termine di questa
difesa non v’è nessun compromesso di sorta – infatti prenderà la celeberrima
decisione di non fuggire; non sceglierà l’esilio, non ha senso fuggire o
scendere a compromessi per evitare la morte, anche se avrebbe potuto. La sua è
una scelta radicale, non necessariamente condivisibile, ed essa scende dal
modo di concepire la polis e thanatos – sono i due termini di questa scelta;
XXV. è qui avvenuta per 30 voti, pochi, la condanna (36a-b). Socrate non si
stupisce della condanna; ma è stupito dello scarto minimo. Socrate ironizza
pure, perché Meleto avrebbe rischiato pure unna multa. Qui Socrate si chiama
giudice se stesso.
XXVI. Quale pena io che ho "nella vita rinunziato sempre ad ogni quiete". La
scelta della filosofia è la scelta dell'inquietudine. Socrate mette qui la POLIS
sopra a tutto. Io non solo non merito la condanna e la pena di morte; ma un
premio. PROVOCAZIONE. Il Pritanéo era l'edificio ai piedi dell'Acropoli
dov'erano mantenuti a spese dello stato i grandi cittadini: voi mi dovete
riconoscenza. Se qui vengono onorati coloro che vincono le Olimpiadi, in
realtà dovrei essere assai più onorato io. Questo considerando il valore dei
giochi sportivi in Grecia. Quello che riporta la vittoria, che vince, fa che voi
sembriate felici, io che voi SIATE felici. Io, povero, sono il vostro benefattore:
rivendicazione del modo(?) della filosofia.
XXVII. Fa riferimento alla legge di Sparta. Socrate non vuole essere frainteso
come orgoglioso, dispettoso, etc.; ma ha una vera convinzione, di aver agito
secondo la rettitudine. Il tema del dialogo socratico: "se solo Noi..." [cerca
citazione]. Aspirazione di Socrate al prolungamento del dialogo. Questo non si
conclude, lascia aperta la questione, qui si tratta di ASPIRARE a parlare
ancora, ad avere più tempo, a dialogare ancora. Ritornerà nel Fedone e nella
filosofia: ASPIRAZIONE ad un dialogo ininterrotto, infinito; ma l'interruzione
della morte è qualcosa di violento. Nella violenza di non poter continuare il
dialogo, il filosofare, l'interruzione violenta del DIALEGHESTAI, ché forse
thanatos, in greco, ha un campo semantico più ampio, in quanto indica sia la
morte sia la condanna a morte. Trattandosi dei due termini concettuali entro i
quali si determina la scelta, non a caso l’Apologia contiene una riflessione
sulla morte. In conclusione: Socrate crede agli Dei, e lascia a giudici il giudizio
– ha termine la sua difesa.
XXV PARAGRAFO. C’è stata la votazione: su 500, per 30 voti Socrate viene
condannato a morte. Socrate non è stupito della condanna; semmai è stupito
dello scarto minimo tra chi ha votato a favore e chi contro la sua condanna –
ironia: pochi voti e Meleto avrebbe dovuto pagare.
XXVI PARAGRAFO. Quale pena si darebbe Socrate? Qui è in gioco una sua
provocazione. Socrate, prendendo la parola, continua a difendersi: sostiene che
nella vita rinunciò sempre ad ogni quiete e benessere – lui ha scelto la veglia e
l’inquietudine della filosofia, si è privato del benessere per ricercare la verità,
mettendo la polis sopra ogni cosa. Socrate non merita la pena di morte, ma, al
contrario, e qui la sua provocazione, sente di meritare il Pritaneo – questo è il
merito che si attribuisce, per essersi sempre posto al servizio degli uomini. Il
Pritaneo è un edificio ai piedi dell’Acropoli, dove sono mantenuti i grandi
cittadini, il cui merito viene riconosciuto pubblicamente, dalla città – Socrate
meriterebbe questo riconoscimento, essendo lui povero e lo stesso benefattore
dei cittadini. Invece nel Pritaneo sono premiati coloro che vincono le
Olimpiadi, invece lui si ritiene più degno di questo merito – è una
provocazione importante, se si considera il valore che i giochi olimpici
costituivano per i greci. Colui che riporta le vittorie ai giochi olimpici, fa che i
cittadini sembrino felici; Socrate, invece, fa che i cittadini siano felici. Inoltre il
vincitore olimpico non ha bisogno di essere mantenuto; Socrate invece merita
un tale riconoscimento, perché lui, divenuto povero, è il benefattore della polis.
Questo punto costituisce una forte rivendicazione della filosofia.
XXVII PARAGRAFO. Fa riferimento alla legge di Sparta, che concede più
tempo per il processo – Socrate non ha avuto molto tempo, e non vuole
rischiare di essere frainteso, come se il suo fosse un orgoglio dispettoso,
quando invece egli porta avanti la sua convinzione di aver agito sempre
secondo rettitudine. Emerge un tema, anche proprio del Fedone, che riguarda
l’aspirazione di Socrate al dialogo ulteriore – il dialogo socratico non giunge
mai ad una conclusione, lasciando sempre aperta la questione; dunque c’è
insorge sempre l’aspirazione ad avere più tempo per parlare ancora, e in questo
caso, per poter persuadere i suoi concittadini. Il tema che ricorre nella filosofia
potrebbero cambiare idea i concittadini... Qui si apre il discorso sulla
condanna: possibile non ci sia una via d'uscita pragmatica, un'alternativa
pragmatica? Per Socrate non è possibile e dice perché. Storicamente Socrate
avrebbe potuto fuggire da Atene e salvarsi. Socrate non viene a compromessi;
non chiede commutazioni di pena. Carcere=simbolico: legato all'idea, al
concetto orfico del corpo-carcere, il SOMA-SEMA. Perché scegliere un
carcere ulteriore oltre al corpo, dacché la PSYCHE vive già orficamente nel
carcere del corpo, quando la morte è la liberazione dell'anima?! (cfr. Fedone).
L'esilio: ACHME, apice della narrazione. Socrate sa bene, anche per lo scarto
dei voti, che i giudici non vorrebbero condannarlo a morte. Sarebbe un
terremoto per Atene. Socrate sa bene che quello che gli accusatori vogliono,
sia i primi che i secondi, è di liberarsi di lui mediante l'esilio: Socrate non può
accettare l'esilio, e smonterebbe la sua filosofia e la sua autodifesa. Nella
cultura greca l'esilio ha un valore negativo. Ulisse è il paradigma del rifiuto
dell'esilio. Quello che Socrate vive ad Atene si riproporrebbe in qualsiasi altra
città. Questa è anche un po' una metafora.
XXVIII. Socrate come potrebbe stare zitto se egli segue il comando del dio?!
La vita del filosofo è la filosofia. Nessuna separazione tra le due.
VOCAZIONE, e non? [solo?] perché Socrate risponde al Dio. Smettere di
filosofare è smettere di vivere. Wittgenstein dice: "il filosofo non chiude
bottega la sera; ma continua a pensare anche quando non vorrebbe". Queste
righe sono importanti: Platone [gli] fa dire: la filosofia non è un mestiere, è una
VOCAZIONE. Non c'è separazione. Nietzsche teorico di questa impossibile
separazione di vita e filosofia. Socrate non può smettere di interrogare e
interrogarsi (GNOTI SEAUTON). Le altre soluzioni di compromesso
pragmatico non vanno bene per Socrate: sono delle "morti" per lui.
THANATOS è una liberazione. Ritorna Platone? (?: è lui?). Qui finisce la
penultima parte: 38c. L'ultima parte è dedicata ad una condanna di Atene e
degli ateniesi, e una grande riflessione su THANATOS. Diogene Laerzio: libro
è quello del dialogo infinito, per cui arriva un’interruzione, come una cosa
violenta, e qui è la morte; ma la violenza appartiene all’interruzione del
dialogo, del filosofare stesso, del dialeghestai, più che alla morte in sé (non è il
bere la cicuta). Si apre il discorso sulla condanna a morte: possibile che non ci
sia un altro rimedio? Socrate inizia a chiedersi se sia accettabile la condanna a
morte – vi sono, certo, altre vie, che tuttavia Socrate non può tenere in
considerazione per sé, eppure, storicamente, egli avrebbe potuto salvarsi. Una
di queste vie rappresenta il carcere: il “carcere” ha un valore simbolico – è
legato al concetto orfico del corpo come prigione dell’anima; se l’anima è già
nel carcere del soma, perché dovrebbe scegliere un carcere ulteriore? La morte
è proprio la liberazione della psychè dal soma. Qui si arriva all’acmè della
narrazione: Socrate sa bene, a partire dallo scarto dei voti, che i giudici non
vorrebbero condannarlo a morte, poiché questo evento sarebbe un terremoto
per la città di Atene, bensì vorrebbero andasse in esilio – non si
macchierebbero, ma si libererebbero del fastidio della sua persona. Socrate sa
bene che gli accusatori vogliono liberarsi di lui tramite l’esilio; per questo
Socrate non vuole scendere a compromessi, né vuole andare via, per non
smentire la sua autodifesa e la sua filosofia. Non scende a compromessi, anche
perché nella cultura greca l’esilio ha valore negativo – il passaggio da città in
città, come per Ulisse, che vuole tornare in patria, per cui i suoi viaggi sono
disavventure, nonostante la sua proverbiale curiosità. Socrate sa che, pur
andando in esilio, avrebbe comunque tanti giovani al suo seguito, i quali
convincerebbero gli anziani della sua empietà – ciò è per dire che la situazione
che ora lo coinvolge si ripeterebbe comunque.
XXVIII PARAGRAFO. Sarebbe legittimo chiedere a Socrate di preferire una
vita da trascorrere nella quiete, una volta in esilio. Il problema è che Socrate
non può stare quieto, lui che segue il comando del Dio – ma loro non gli
credono su questo punto, come se parlasse per ironia. La sua vita è la filosofia,
non c’è separazione – è una vocazione, per questo risponde al Dio; come può
smettere di interrogare se stesso e gli altri? La filosofia non è un mestiere, essa
coincide con la vita del filosofo, per cui smettere di interrogare/filosofare
sarebbe per Socrate smettere di vivere – la filosofia è inquietudine costante,
una vocazione, e fa tutt’uno con la vita; non si può smettere di filosofare, come
si smette un mestiere, e continuare a vivere. Anche Nietzsche è il teorico
dell’impossibilità di separare la vita e la filosofia. Dunque tutte le altre
soluzioni e compromessi, per Socrate, sono delle effettive morti, invece
thanatos è una liberazione – si sta rovesciando il discorso.
II, capitolo 2, capoverso 40. Ritroviamo i 3 capi d'accusa; ma la gerarchia
(l'ordine) è diversa: differenza di un voto (29) rispetto ai 30 di cui parla
Platone. La provocazione di Socrate modifica il numero di voti per la
condanna. Muore? in prigione dove tenne molti discorsi che Platone conserva
nel Fedone. Testimonianza che in gran parte coincide; ma oltre che dalla
condanna alla morte passano giorni che Socrate trascorre in carcere parlando
della morte. L'ultima parte dell'Apologia prosegue nel Fedone, dove tratta
l'immortalità dell'anima. Aggiunge Laerzio del/riguardo al pentimento degli
ateniesi, della condanna a morte di Meleto e del bandimento di Anito. Diogene
Laerzio conferma il nesso tra l'Apologia e il Fedone.
XXIX. Socrate sdoppia il discorso: si rivolge prima ai giudici favorevoli alla
"morte"; dopo a quelli per l'assoluzione. RIVENDICAZIONE DELLA
DIGNITA' DI SOCRATE. è molto più difficile sfuggire alla malvagità.
Socrate non ha voluto [...] a tutti i costi per evitare la morte, come al peggiore
dei mali. Socrate accetta la morte: c'è sempre questa accettazione del suo
destino; non c'è una volontà di vivere di/in Socrate. Gli preme seguire i suoi
princìpi di rettitudine e non cadere nella malvagità. 39b: Socrate accetta la
morte; sono gli accusatori che si macchiano di delitto. "39b4-7!!!".
XXX. Qui interviene Platone, facendo dire a Socrate "io vi predico!" [cerca
citazione] Scrive a posteriori. 39d: Platone fa dire a Socrate quale vendetta
verrà per aver tolto la parola (VIOLENZA DELL'INTERRUZIONE). Socrate
dice "non si fa così". Socrate muore per la libertà di parola.
XXXI. Socrate insiste: è quasi una resistenza alla violenza, in senso lato:
morte, interruzione, etc. : Socrate resiste fino all'ultimo con la parola, parlando.
L'unica preghiera è l'ascolto: ascoltatemi! Il demone: Socrate si rivolge a
Finisce questa penultima parte, in cui i giudici devono decidere l’applicazione
della pena. L’ultima parte è dedicata ad una condanna di Socrate ad Atene e
agli ateniesi; inoltre ha luogo la sua grande riflessione sul concetto di thanatos.
XXIX PARAGRAFO. Socrate sdoppia il discorso: prima si rivolge ai giudici
che si sono detti favorevoli alla condanna, e dopo a quelli che hanno votato per
la sua assoluzione. Socrate non difettava di argomenti, ma di sfrontatezza e
impudenza – rivendicazione della sua dignità. È più difficile sfuggire alla
malvagità che alla morte; egli non ha voluto evitare la morte a tutti i costi – c’è
un’accettazione del suo destino. Ciò che più gli preme, più della morte, è di
seguire la sua rettitudine e i suoi principi, per non cadere nella malvagità –
decisivo. Il fatto di accettare la morte, per Socrate, vuol dire non cadere nella
malvagità, in realtà sono i suoi accusatori a macchiarsi di un delitto; la
malvagità corre più celere – se Socrate paga il suo debito di morte, gli
accusatori pagheranno la loro malvagità condannati dalla verità, che non è
dalla loro parte.
XXX PARAGRAFO. Qui è la voce di Platone, il quale fa dire a Socrate che lui
predice cosa accadrà – chi è sul punto di morire fa predizioni perché, al limite
estremo, è più vicino all’Ade. Si rivolge a coloro che lo hanno condannato: per
lui è più facile vaticinare sulla vendetta che ricadrà su di loro, perché gli hanno
tolto la parola – violenza dell’interruzione; dovranno dare conto a coloro che
avrebbero voluto prendere posizione a favore di Socrate, ma che da lui sono
stati tenuti a bada – i giovani. Non è così, condannando un innocente, e
macchiandosi di questo delitto, che ci si libera dalle onte – togliendo la parola;
a Socrate viene tolta la parola, viene cioè condannato a morte, proprio perché
lui ha la libertà di parola.
XXXI PARAGRAFO. Si rivolge a chi lo ha assolto. La resistenza di Socrate
contro la violenza è appunto la parola; resiste parlando, perché la parola gli è
stata tolta – e la preghiera che rivolge a costoro è che lo si ascolti, che si
coloro che lo hanno assolto assumendo toni consolatorii: io sono convinto che
quel che mi è successo è meraviglioso, oggi non ho ricevuto il SEGNO DEL
DIO, come in passato. Il SEMEION THEOU non è giunto, non lo ha interrotto.
Socrate interpreta l'assenza del segno come che quello che doveva accadere è
accaduto, ed è un BENE, perché morire non è un male. Se fosse un male,
Socrate avrebbe ricevuto il segno del dio. Sul segno del dio ci sono varie
interpretazioni: la religiosità è molto complessa: è un rimettersi al divino,
rimettersi ai proprii limiti, etc. Questo SEMEION THEOU (segno del dio) è
stato interpretato come un rinvio alla sfera orfica. Il segno del dio viene
interpretato come un segno di quella sfera divina che per gli orfici è l'anima.
Legame lasco con il soma. Si reincarna. Il segno del dio è un segno
dell'Anima. In Socrate, Platone, ed Aristotele non è una parola per "coscienza";
ma questo segno è la VOCE DELLA COSCIENZA: e questa gli "dice" che
l'accaduto è per il meglio. Qui inizia l'ultima parte, bellissima, sulla morte.
XXXII. Non ci deve stupide che tutto finisca con una riflessione sulla morte.
La riflessione sulla morte c'è già nei Presocratici; ma non si interrogano su
cosa vuol dire morire, mentre si concentrano sul passaggio da ESSERE a NON
ESSERE. Qui eco sui Presocratici (40c9). O Morire è migrazione
(trasmigrazione) da qui ad un altro luogo: CONCEZIONE ORFICA.
Migrazione della PSYCHE. Questa resta e vive; muore solo il corpo. OPPURE
Avvicinamento del sonno alla morte (già in Eraclito): nella sua enigmaticità
rinvia alla MORTE. Sonno senza sogni. L'eternità non è più lunga di un'unica
notte. MORTE MERAVIGLIOSA. Concezione profondamente tragica della
vita. Ci sono già i Tragici, e la cultura greca è quella della tragedia, e affronta
tragicamente la morte: molto greco. Meglio il sonno senza sogni dei giorni
della vita. NON LO TROVIAMO IN ALTRE CULTURE: ma ha
inciso/influito sulla nostra. Se c'è una trasmigrazione allora c'è il PASSAGGIO
ALL'ADE: non è solo questo; ma è l'incontro con i già passati all'Ade, e
l'incontro e dialogo con gli immortali: con Omero, Esiodo, etc. SE E' VERO
[però] QUELLO CHE SI DICE! Uno splendido incontro con gli immortali,
dove Socrate vuole -- bellissimo! -- continuare a filosofare.
rimanga ancora con lui. Socrate assume toni consolatori: è convinto che ciò
che gli è accaduto sua una cosa meravigliosa, poiché quel giorno non ha
ricevuto il semeion theù, a differenza di altre occasioni – il segno non gli si è
opposto, non è stato interrotto. Socrate interpreta l’assenza del semeion nel
senso che ciò che doveva accadere ed è accaduto è un bene, perché il morire
non è un male; se fosse stato un male un segno gli si sarebbe opposto. Vi sono
tante interpretazioni a proposito del segno del Dio – la religiosità di Socrate è
molto complessa; è un rimettersi al divino nel riconoscere i propri limiti. Ma
qui il semeion theù viene interpretato maggiormente come un rinvio alla sfera
orfica – il segno del Dio è interpretato come un segno di quella sfera divina che
per gli orfici è la psychè; l’anima è in realtà un segno del Dio. Ancora non c’è
nella filosofia greca, né per Socrate, Platone o Aristotele, la parola coscienza,
ma il segno dell’anima è interpretato come una sorta di richiamo della
coscienza. Il segno dice a Socrate che ciò che è accaduto è per il meglio.
XXXII PARAGRAFO. Quest’ultima parte è dedicata alla morte (thanatos). La
riflessione sulla morte è già presente nei presocratici – che tuttavia si
interrogano soprattutto sul passaggio dall’essere al non-essere. Per la prima
volta ci si interroga invece su che cosa vuol dire morire, e ciò a opera di
Socrate. Egli contempla un’alternativa: 1. Morire è non essere più nulla –
riflesso dei presocratici, per cui morire è non avere più il sentimento di nulla;
2. Morire è il mutamento della psychè da questo a un altro luogo – riflesso
degli orfici, e della teoria riguardo la trasmigrazione dell’anima, che resta,
mentre a morire è solo il corpo. Socrate, riferendosi alla prima visione della
morte, concepisce la morte come un sonno senza sogni – per la prima volta
l’enigmaticità del sonno è accostata all’idea della morte. Secondo questa
visione, l’eternità della morte non è più lunga di un’unica notte – se morire è
non provare nulla, allora è come un sonno senza sogni, che è preferibile ai
giorni inquieti della vita e alle notti affollate di sogni. Concezione tragica – la
cultura greca è la cultura della tragedia, che affronta tragicamente la morte.
Questo discorso di Socrate è dunque tipicamente greco: non è tuttavia la
concezione della morte, come un sonno eterno senza sogni, ad essere tragica,
ma tragica è, di conseguenza, la visione della vita – concezione tipicamente
greca, che non si trova in altre culture, che ha inciso sulla cultura occidentale.
D’altro canto, se si considera la possibilità della trasmigrazione dell’anima,
morire è allora un passaggio nell’Ade; ciò implica l’incontro con quelli già
passati all’Ade, dunque Socrate immagina un dialogo tra immortali, e la
possibilità di continuare a interrogare e filosofare, come il piacere più grande –
XXXIII. Morire per Socrate è liberarsi da ogni pena: liberazione. Che aspetti in
carcere è indicativo: METAFORA DEL CORPO CARCERE. Muore pensando
e parlando della sua liberazione. TORNA IL SEGNO DEL DIO. 42a: con
questa frase è sempre "so di non sapere": solamente sa il Dio. MODESTIA DI
SOCRATE: ACCETTAZIONE DEL LIMITE E DEL LIMITE DELLA VITA.
Socrate accetta il limite della vita. La raffigurazione dell'Ade: ci crede? è
importante l'accettazione del limite. E' IMPORTANTE E ATTUALE: oggi non
si accetta questo limite. Lotta per prolungare la vita, non accettazione.
Accettare la condanna non è solo accettare la POLIS; ma anche THANATOS,
il limite della vita.
---
CRITONE (Aleksis)
Critone: nelle "Vite dei filosofi" c'è una sezione su Critone, filosofo, allievo di
Socrate, e Diogene Laerzio gli attribuisce almeno 14 opere: sicuramente è
certo che Critone -- ritorna nel Fedone -- doveva essere un filosofo mediocre,
non particolarmente portato né originale. Non abbiamo ulteriori riferimenti
oltre a Platone e a Diogene Laerzio. Era il filosofo del "senso comune" --
difenderà delle tesi "pragmatiche", diremmo di "buon senso" (meglio di "senso
comune"). Il buon senso fa a pugni con la filosofia, che necessita radicalità,
come Socrate. Critone è l'allievo che cerca di far ragionare il maestro per
ricondurlo al "buon senso". Dialogo relativamente breve, e ha un significato
più limitato. Si collocherebbe tra i dialoghi socratici, quindi giovanili. Alcuni
“Se è vero quello che si dice”. Socrate già si promette, nel II caso, di
continuare a filosofare anche nell’Ade.
XXXIII PARAGRAFO. Morire per Socrate è liberarsi da ogni pena. Ritorna il
segno del Dio, che non gli si oppone. L’ultima frase ribadisce che lui sa di non
sapere, e cosa sia meglio lo sa solo il Dio – umiltà di Socrate, che è la sua
accettazione del limite del sapere, e a questo punto anche del limite della vita.
Non sa se credere alla sua raffigurazione riguardo all’Ade – incontro con i
grandi; ciò che importa è il fatto di accettare il limite imposto dalla morte.
Accettare la condanna è accettare il bene della polis e thanatos.
Testimonianza di Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, libro II): egli riporta i tre
capi di accusa, cambiando le gerarchie; al momento della provocazione di
Socrate (Peritoneo), si aggiunsero 80 voti di condanna ai precedenti; fu messo
in prigione, passati vari giorni bevve la cicuta, dopo aver tenuto tanti discorsi –
che Platone tiene nel Fedone; dopo la sua morte la città se ne pentì, vennero
chiusi i ginnasi, condannato a morte Meleto, bandito dalla città Anito, e gli
altri esiliati. Da questa testimonianza si ricava il fatto che gli ateniesi si sono
pentiti; e soprattutto che Socrate, nei vari giorni di attesa dell’esecuzione della
condanna, intraprende discorsi sulla morte – che hanno seguito nel Fedone,
insieme al tema dell’immortalità dell’anima; anche Laerzio dunque conferma il
nesso tra i contenuti dell’Apologia e i temi del Fedone.
---
CRITONE (Cecilia)
Dialogo che prende il nome da Critone – in Diogene Laerzio c’è una parte
dedicatagli; per lui Critone era un filosofo, cui attribuisce 14 opere; dalle
testimonianze comunque risulta fosse un allievo di Socrate. Compare anche nel
Fedone; è certo fosse un filosofo mediocre e non tanto originale – infatti non
abbiamo altre testimonianze di Critone. Era il filosofo del “buon senso”, di cui
sostiene tesi pragmatiche, ed il quale ha sempre fatto a pugni con la filosofia,
che invece necessita di radicalità.
In questo dialogo è l’allievo che vuole far ragionare il maestro e ricondurlo al
buon senso. Il dialogo è breve e di significato più limitato rispetto all’Apologia
e al Fedone. Secondo vari interpreti si tratta di un dialogo collocabile tra quelli
dubbi: perplessità di natura non solo filologica; ma anche di contenuto:
incongruenza con il Fedone. Criterio di congruenza tematica: forse risolvibile
spostando più avanti il Critone. La scena del Critone: storicamente tra
Apologia e Fedone; primavera del 399 a.C., siamo a 3 giorni (mattina) prima
della condanna a morte. Carcere. Ci siamo spostati dal processo, scena
sicuramente complessa, ad una scena più intima, perché nel carcere. Scena
anche del Fedone, proseguo del Critone. Fedone: ultimo giorno di Socrate ed
esecuzione della condanna. L'incontro è tra Critone (allievo) e Socrate
(maestro): scena iniziale angosciante, filosofo ma non eroe. Attesa
dell'applicazione della condanna. Si attende il ritorno della nave da Delo --
riferimento al Fedone. Prima del ritorno della nave non si può applicare la
sentenza: situazione di attesa, che consente una riflessione (di Socrate) mentre
per Critone è il momento di convincere il maestro a fuggire. C'è ancora tempo
per fuggire da Atene, per trovare scampo altrove. Perché Socrate non
dovrebbe? soprattutto se la sentenza è ingiusta. E' evidente la condanna
ingiusta. Non si vede perché Socrate debba sottoporsi a queste sentenza
ingiusta. Questa la posizione di Critone. Meraviglia di Critone: perché Socrate
si rimette ad una sentenza che Socrate stesso riconosce ingiusta. Punto cruciale
del dialogo: se all'ingiustizia è lecito rispondere (con l'ingiustizia). Due parole
che scandiscono il dialogo: DIKAIOSUNE --> parola importantissima per
Socrate e per Platone: GIUSTIZIA. NOMOI --> LEGGI, discussione
FUSIS/NOMOS, contesto attuale [all'epoca] in cui si inserisce Socrate:
FUSIS=natura, principio, essenza ,fonte; parola chiave per i Presocratici. [NB:
queste parole già nell'APOLOGIA]. La domanda PERI FUSEOS, intorno alla
natura, intorno al principio da cui tutte le cose derivano. Si fa strada il concetto
di NOMOS: legge; ma anche convenzione (parola chiave dei Sofisti): alcune
istituzioni non sono naturali, dovute alla natura; ma sono NOMOI,
convenzioni, stabilite dagli uomini: i NOMI sono FUSEI, per natura, o sono
NOMOI, dovuti all'accordo, alla legge, alla convenzione tra gli uomini?
Dibattito importantissimo con tanta letteratura secondaria. NOMOS inizia a
circolare nella cultura sofistica, che mette in discussione tutto: per questo i
greci etnocentrici, venendo a contatto con altri popoli, ed istituzioni proiettate
sul divino e sul mito, invecce sono umane, diverse da popolo a popolo: nomi,
leggi, usanze. Da qui nasce un grande dibattito. NOMOI: il protagonista del
Critone sono i NOMOI, più che Socrate. Tutto ruota intorno alle leggi. E'
difficile far affiorare il senso dei NOMOI nel Critone. Non sono in questo caso
il mero plurale di NOMOS; non sono neanche le leggi in senso universale.
Cosa sono? Le due parole chiave [FUSIS e NOMOS/I] sono connesse, e la
giovanili (o socratici) di Platone, in cui appunto la figura principale è quella di
Socrate. Tuttavia alcuni dubbi di natura filologica e contenutistica hanno
portato a credere, sulla base di incongruenza con il Fedone, che il Critone
dovesse essere spostato più in là – criterio dell’incongruenza tematica vigente
nell’800. Generalmente però si pensa sia un dialogo giovanile. Il Critone si
situa tra l’Apologia e il Fedone – primavera del 399, a tre giorni dalla
condanna a morte: Socrate è nel carcere (scena più intima rispetto al contesto
processuale dell’Apologia). Il Fedone è il prosieguo del Critone, in quanto
ricostruzione dell’ultimo giorno di Socrate, al momento dell’esecuzione della
condanna.
Incontro tra Critone e Socrate; Critone va a trovare il maestro – scena
angosciante, che presenta Socrate non come un eroe, ma come un uomo, che è
in attesa dell’applicazione della condanna. Si attende il ritorno della nave di
Delo, prima del quale non si può applicare la sentenza. L’attesa permette una
riflessione di Socrate; e da parte di Critone consente che lui cerchi di
convincere il maestro a fuggire da Atene e trovare scampo altrove – è un
consiglio che viene dal buon senso, e che propone a Socrate di salvarsi vita, dal
momento che la sentenza è ingiusta. Se Socrate è condannato ingiustamente ,
non si vede perché egli debba sottoporsi a questa ingiustizia – punto di vista di
Critone, che non trattiene una certa meraviglia. Perché Socrate si sottopone ad
una sentenza ingiusta? Questa domanda è il nocciolo del dialogo, la quale
avvia un’importante riflessione – è giusto rispondere all’ingiustizia con
l’ingiustizia?
Parole chiave del dialogo: “dikaiosyne” (giustizia) e “nomoi” (leggi). Si pensi
al dibattito culturale che si gioca tra i termini “physis” e “nomoi”, all’interno
del quale si inserisce Socrate: la physis è l’essenza/principio, parola chiave dei
filosofi pre-socratici, la domanda principale su ciò da cui le cose derivano e
scaturiscono; verso il V secolo si fa strada il concetto nomos
(legge/convenzione), che costituisce la parola chiave dei Sofisti, per i quali le
istituzioni sono convenzioni e stabilite dagli uomini (esempio del linguaggio,
dei nomi, nel Cratilo) – la sofistica mette in discussione tutto, avvalendosi del
nomos, termine che compare a partire dal contatto con gli altri popoli.
Anche qui la parola chiave è “nomoi”, termine che funge da protagonista del
dialogo, anche più di Socrate – il filosofo infatti si rimette ai nomoi. È difficile
interpretare questa parola all’interno del dialogo – sicuramente qui i nomoi non
grande questione qui per la prima volta espressa nella filosofia politica: come
rispondere all'ingiustizia, all'ADIKIA? Grande tema mai tramontato. Quel è la
risposta all'ingiustizia palese. Proprio la risposta di Socrate contribuirà in modo
determinante a creare l'icona/immagine di Socrate molto più che filosofo, al di
là della filosofia.
I. c'è subito un Critone che si intrufola, e che viene richiamato da Socrate.
Subito la "corruzione" del custode. Corrompere=rendere peggiori. Come mai il
custode ti ha fatto entrare? richiamo ai NOMOI. Mi conosce, c'è un rapporto
personale che scalza i NOMOI. E' già pregiudicata la DIKAIOSUNE. Gli ha
dato dei soldi. Ricordiamo la mediocrità di Critone anche come personaggio.
Raffigura dei rapporti che c'erano nella POLIS, rapporti che per Socrate
avevano danneggiato la POLIS. Socrate si ferma su quello sopra cui altri
passerebbero sopra, invece di essere grato [e quindi 'sti cazzi]. Critone sveglia
Socrate. Situazione angosciante: chi mai vorrebbe essere sveglio? Cfr. Sonno e
Veglia in filosofia. Socrate è sereno perché dorme il sonno del giusto, dalla
parte della giustizia, e non pensa di allontanarsi da questa [la giustizia]: è
fermo. Meraviglia [intendi: stupore] per il "buon senso". Un altro al posto di
Socrate sarebbe tormentato, inquieto. Quella di Socrate è una non-azione:
nell'essere nel giusto, nel sopportare. Socrate accampa un po' il pretesto
dell'età. Ci viene descritta una situazione limite, estrema: una situazione che
non viviamo quotidianamente: messo ai limiti estremi della morte. Questo qui
e nel Fedone. Critone si reca presto perché è stata avvistata la nave da Delo.
Non ci sarà impedimento per procedere alla condanna (riferimento al Fedone).
Al tempo della sentenza la nave era già partita, quindi niente condanna subito:
inconsueto. Socrate in carcere si spiega per questo motivo. Quindi non si
poteva procedere: sospensione. Questo riferimento è presente anche nel
Fedone. Proprio all'inizio riferimento a questa nave: 58a del Fedone. Il limite
tra storia e mitologia: guerra tra Minosse ed Atene. Téseo, figlio di Egéo, parte
per sconfiggere il Minotauro. Il patto è che Atene mandi una nave in onore del
Dio: quando è in viaggio... Qui avviene che la nave viene avvistata. Finita
l'ambasceria, la delegazione sacra, etc. applicazione della condanna. Critone
foriero di sventura. Importante è che... Téseo: istitutore (etimo) [sarà da
TITHEMI]. Perché Critone si è precipitato? per la nave... bisogna convincere
sono il plurale di nomos in senso sofistico (cioè contrapposto alla physis), né
sono le leggi in senso universale. A cosa fa riferimento Socrate quando parla di
nomoi? Evidentemente la dikaiosyne e i nomoi sono connessi. Il problema che
si delinea è il seguente: come si risponde all’adikia (ingiustizia) quando questa
viene commessa? È un grande tema, molto attuale e mai tramontato – la
giustizia si perde se si perde il rapporto che essa ha con i nomoi. La risposta di
Socrate al problema dell’ingiustizia contribuirà in modo determinante a creare
un’immagine di lui non solo come filosofo, ma come un personaggio che va
anche al di là della filosofia.
I PARAGRAFO. Critone riesce ad intrufolarsi nel carcere, di mattina presto;
Socrate lo richiama per questo. Subito viene introdotto il tema della
corruzione: come mai il custode ha fatto entrare Critone? Perché ormai lo
conosce e dalle sue visite trae “beneficio”. Già qui è presente un richiamo ai
nomoi; Critone sostiene di avere con il custode un rapporto personale, che
scalza i nomoi – dove c’è un rapporto personale e il pregio del beneficio
(denaro) non ci sono i nomoi; da subito quindi viene messa da parte la
dikaiosyne. È già chiaro come Critone sia in realtà un personaggio mediocre,
che difende il buon senso – proprio Critone parla di quel rapporto personale e
del suo beneficio, che per Socrate è la causa della rovina della polis. Critone ha
svegliato Socrate, il quale si trova in una situazione angosciante e Critone
pensa che nessuno vorrebbe restar sveglio in una situazione del genere – nesso
tra il sonno ed il buon senso. Critone era meravigliato che Socrate dormisse in
modo placido; ma Socrate dorme il sonno del giusto, e non ha mai pensato di
allontanarsi da questa dikaiosyne in cui crede – c’è meraviglia da parte del
buon senso: perché Socrate sopporta la sventura senza essere tormentato?
Sopporta perché è dalla parte della giustizia; egli avanza anche il pretesto
dell’età, ma soprattutto si tratta del fatto che non teme la morte perché dalla
parte del giusto. Viene descritta una situazione estrema/limite, cioè una
situazione che non si vive quotidianamente – essere messi di fronte al limite
estremo della morte. Critone da’ a Socrate una notizia dolorosa, cioè l’arrivo
imminente della nave da Delo, ed una volta giunta ad Atene non vi sarà più
alcun impedimento per procedere alla condanna – riferimento ad un passo del
Fedone (58 a). Nel momento in cui viene emessa la sentenza (Apologia) la
nave era già partita da Atene e andata a Delo –ciò spiega perché la condanna
non venga eseguita subito, per cui Socrate deve attendere dei giorni, e ciò era
insolito, ma in questi casi non si poteva procedere con la condanna a morte
(sospensione).
Socrate a fuggire, a trovare scampo da un'ingiustizia che sta per essere
compiuta.
II. Riferimento ad Omero. Riferimento alla patria di Achille. Qui c'è un
conteggio (???): Socrate racconta un sogno: Socrate parla dei suoi sogno.
Niente proto-psicoanalista, però il sogno ha sempre avuto un ruolo
importantissimo nella filosofia [di Socrate?]. Parte introspettiva, GNOTI
SEAUTON. Gli interessa conoscere se stesso, anche interpretando i proprii
sogni. THANATOS è la donna bella. La donna gli riporta un verso di Omero
che vuol dire: "ritornerai in patria". La sua PSYCHE si libererà dal SOMA e
ritornerà al luogo da cui è venuta. Socrate da retta alla sua PSYCHE, e certe
volte è "servizio reso al dio", altre "sogno": dimensione interiore a cui Socrate
è attento. Socrate in questo si distingue. Critone se ne fotte di 'ste cose!
III. Precipita il discorso: mettiti in salvo! Critone pensa a se stesso, sia perché
perderebbe un grande amico; ma anche perché Critone, ricco, potrebbe pagare
per far fuggire Socrate e cosa dirà la gente se Critone non libera Socrate
[pagando profumatamente]? Penseranno che Critone non ha voluto pagare.
Calunnia. Socrate: cosa importa della calunnia e dell'opinione della gente? I
migliori penseranno che le cose sono andate come sono andate. Critone
riafferma che la gente è stata capace di condannare Socrate e questi non è stato
attento: non ha tenuto in conto l'opinione [pubblica].
Nel Fedone viene spiegato questo evento: ogni anno viene mandata
un’ambasceria a Delo da Atene, sulla base di un riferimento mitico – guerra tra
Minosse (Creta) e Atene (figura di Teseo, figlio di Egeo, che secondo la
leggenda ha sconfitto il minotauro con l’aiuto di Arianna); viene istituito un
patto, per cui Atene ogni anno debba spedire una delegazione sacra in onore
del Dio, ed è previsto che durante il viaggio della nave non vi debbano essere
condanne a morte.
Qui avviene che la nave sia stata avvistata, avendo concluso l’ambasceria –
questa è la dolorosa notizia che Critone porta a Socrate, sostenendo la certezza
della morte del maestro all’indomani.
II PARAGRAFO. Perché Critone si è precipitato in carcere? Bisogna
convincere Socrate a trovare una via di scampo da una palese ingiustizia.
Socrate fa nuovamente un riferimento agli dei – “se così piace agli dei”. Egli
inoltre non crede che la nave arriverà quel giorno, per cui la sua morte sarebbe
avvenuta il giorno seguente (così era previsto dalla condanna), perché Socrate
ha fatto un sogno – sulla base di esso c’è un conteggio, per cui Socrate sa di
dover morire non il giorno dopo, ma quello successivo ancora: sogna una bella
donna vestita di bianco che gli annuncia che sarebbe tornato a Ftia (riferimento
a Omero, Achille) passati tre giorni. Socrate parla dei sogni; il sogno, a partire
da Socrate, ha avuto sempre un ruolo importantissimo nella filosofia; è la parte
introspettiva di Socrate, perché a lui interessa conoscere se stesso, è il gnoti
seduto. In questo caso Socrate interpreta il sogno, oltre che a raccontarlo: la
bella donna è l’immagine di thanatos, che non gli fa paura e gli annuncia il suo
ritorno in patria – la sua anima sarà libera dal carcere del corpo e ritornerà da
dove è venuta; è sempre presente questa dimensione psichica, nel senso della
psychè di Socrate, il quale si distingue dagli altri, compreso Critone, perché da’
retta alla sua psychè. Lo stesso Dio a cui si riferisce spesso rientra in questa
dimensione psichica – Socrate è sempre attento alla sua anima.
III PARAGRAFO. A Critone interessa un po’ meno tutto questo discorso,
facendolo precipitare, esortando Socrate a mettersi in salvo. Critone rivela
anche di pensare a se stesso: la morte di Socrate sarebbe una doppia sventura
per lui, perché perderebbe un amico, e perché teme quel che dirà la gente di
lui, che ha il denaro necessario per scendere a compromessi pur di salvare
Socrate e si metterà in giro la voce che lui è spilorcio e non ha voluto pagare –
pericolosità dell’ostilità pubblica, anche a giudizio della sventura di Socrate.
Così Socrate interviene: cosa importa l’opinione della gente, cioè dei più? Ciò
IV. SIKOFANTAI: mettevano in giro voci e ricattavano. Critone: lascia che
paghiamo. Critone giustifica il ricatto dei sicofanti. Critone infondo sta
cercando di convincere Socrate a salvarsi anche a costo di infrangere la sua
etica. Non importa corrompere pagando. Questo compromesso: Critone
esponente del "buon senso" che difende l'immoralità. Basta un cedimento
minimo della DIKAIOSUNE per cadere nel baratro dell'immoralità. Compiere
ed essere complici di atti immorali: anche politicamente tali: ne va della
POLIS. Molto denaro per ottenere la vita. Critone mercanteggia: escalation,
crescendo. I sicofanti sono economici. Poi se non vuoi i miei soldi, ci sono
Simmia e Cebéte. I forestieri che ritornano nel Fedone: sono due pitagorici.
Importanti quando si parlerà dell'immortalità dell'anima. Anche loro sono
disposti a pagare. Critone fa riferimento a Socrate in tribunale, riguardo
all'esilio. Socrate non vuole errare lontano dalla sua città: Critone allora gli
assicura un luogo in Tessaglia. Questo dialogo tra Critone e Socrate: dialogo
faticoso per Socrate perché Critone è interessato a trovare la soluzione a tutti i
costi, agirando gli ostacoli, impiegando il denaro. Parrebbe che Socrate sia
rigido. Critone è flessibile, pragmatico: Critone cerca la via d'uscita perché la
condanna è ingiusta. Socrate è innocente. E' la città che sta commettendo
ingiustizia. E allora, perché Socrate non dovrebbe seguire i consigli di Critone?
Critone gli vuole risolvere i problemi. Socrate non cede, e dunque vedremo che
resta fermo nella sua posizione: io non uscirò dal carcere se non morto. Uscirà
solo la PSYCHE. Mi rimetto alla condanna. Se gli Ateniesi hanno deciso così...
che condanna sia. Socrate riconosce nell'Apologia che la condanna è ingiusta;
ma rimane nel carcere. Perché? 1. per Socrate i NOMOI hanno un valore
assoluto. 2. missione (???) di Socrate: non sa se la morte sia un male e non un
bene. 3. non risponde all'ingiustizia con un'altra ingiustizia: richiamare la città
alla giustizia. 4. avrebbe altrimenti smentito se stesso. 5. Si rimette alla
condanna, all'evento, egli quindi mostra di "sapere di non sapere". Il ruolo dei
NOMOI, il ruolo delle Leggi: Socrate rispetta i NOMOI. Valore non-assoluto
[??? ma non aveva detto il contrario ???]. Non sono al di là della storia. Le
leggi non sono sciolte dalla POLIS; ma si danno nella storia della città. Valore
comune, perché fondano la comunità. Sono comuni perché fondano la POLIS.
che importa è cosa pensano i migliori, i quali penseranno soltanto che le cose
sono andate come sono andate. Ma Critone sa che l’opinione del volgo conta,
altrimenti Socrate non si troverebbe in questa situazione – c’è quasi un
rimprovero a Socrate.
IV-V PARAGRAFO. I sicofanti sono coloro che mettono in giro le voci.
Critone ribadisce che i suoi amici possono far fuggire Socrate, con il denaro
che possono dare – giustifica il ricatto, cioè anche se andranno incontro al
ricatto sborseranno il denaro necessario. Così Critone cerca di convincere
Socrate anche a costo, ormai è chiaro, di infrangere l’etica: non importa pagare
i Sicofanti e il guardiano, basta che gli si salvi la vita – il buon senso difende il
compromesso e l’immoralità, che è anche corruzione. Da questo spunto viene
fuori come sia facile in realtà avere a che fare con la corruzione; anche
distaccandosi solo di poco dalla dikaiosyne si rischia di cadere nel baratro
dell’immoralità – non è semplicemente l’immoralità nel senso più astratto, ma
nel suo stretto rapporto con la polis. I sicofanti si accontentano di poco e, oltre
al suo denaro, c’è quello dei forestieri (Simmia e Cebete) – presenti anche nel
Fedone, sono due pitagorici, che rivestono un ruolo importante nel discorso
sull’immortalità dell’anima, mentre qui fanno sono solo una comparsa.
Critone, secondo questa escalation, si riferisce anche a ciò che Socrate aveva
detto in tribunale, per cui l’esilio avrebbe comportato l’andare errando di luogo
in luogo, aggiungendo quindi che alcune persone di sua conoscenza in
Tessaglia lo avrebbero ospitato – così avrà salva la vita. L’aver salva la vita a
tutti i costi comporta l’aggirare gli ostacoli, l’uso del denaro ecc.
Si può pensare che la posizione di Socrate sia rigida e radicale; Critone è
flessibile perché cerca la via d’uscita da una situazione tragica, dato che la
condanna è ingiusta ed è la città a macchiarsi di ingiustizia. Socrate non cede e
resta fermo nella sua posizione: non uscirà dal carcere se non morto; ad uscire
sarà solo la sua psychè – si rimette cioè alla condanna. In che modo può
legittimarsi questa posizione di Socrate, che potrebbe anche essere criticata,
perché troppo rigida e radicale? Anche Socrate sostiene che la condanna sia
ingiusta; perché allora prendere questa decisione? Per la superiorità dei nomoi,
nel loro valore assoluto; inoltre Socrate ha una missione da portare avanti, per
cui ciò che gli sta per accadere potrebbe anche essere il bene più grande;
specialmente Socrate non può rispondere all’ingiustizia con altra ingiustizia –
deve dare un esempio di rettitudine e, facendo il contrario, avrebbe smentito se
stesso e ciò in cui crede. Lui si rimette alla condanna/decisione, quindi
Da qui la preoccupazione di Socrate per cui la sua risposta [all'ingiustizia con
l'ingiustizia], qualora ingiusta [appunto], pregiudicherebbe i NOMOI, la
comunità, Atene. Se i NOMOI avessero valore assoluto, allora forse... ma i
NOMOI si danno nella comunità, nella POLIS. Preoccupazione di Socrate:
ingiustizia all'ingiustizia. Esiste solo l'ingiustizia. La giustizia non c'è. Il
messaggio di Socrate: l'uomo giusto impersonifica la giustizia. La giustizia c'è
e va difesa, e questo si vede nella massima ingiustizia. Socrate, unico giusto, a
dover difendere la giustizia. Se commettesse anche solo un gesto iniquo,
crollerebbe la giustizia e la comunità. Dice che se non c'è giustizia, non ci può
essere la comunità. Socrate sente il peso, la responsabilità della giustizia, è
chiamato a testimoniare la giustizia, anche nei piccoli gesti. E' evidente che
Socrate non può accettare la via di Critone, quella della fuga. Non si tratta di
coraggio; ma di responsabilità politica nei confronti della POLIS, della
comunità, anche se Atene [con lui] è stata ingiusta. Socrate non si piega,
perché crede nella DIKAIOSUNE fino alla fine. Altrimenti smentirebbe se
stesso. Ciò che ha insegnato [?, stai attento] in vita sarebbe smentito dalla fuga.
La morte del filosofo è la conferma della sua vita: Socrate è consapevole, e non
è detto che questo non sia il bene più grande, AGATHON: la sua
testimonianza di giustizia [compiuta ovviamente tramite il martirio]. Altrimenti
si potrebbe pensare che la DIKAIOSUNE non esiste. Nel Gorgia: meglio
subire che commettere ingiustizia. Rimettersi ai NOMOI anche quando c'è
l'ingiustizia... tratto peculiare della figura di Socrate. Resterà nella storia. Se
fosse fuggito non sarebbe stato assurto ad icona. Affinità con Gesù. Parallelo
con Gesù nella risposta della giustizia all'ingiustizia. Incrinerebbe altrimenti la
giustizia. Non violenza. Giustizia sempre... rimettersi alla condanna. Socrate:
esigenza di fare in modo che la POLIS, comunità, possa (???) uscire dal
carcere dell'ingiustizia. Socrate sa di essere un uomo libero [perché giusto];
non ha bisogno di fuggire.
Oggi l'ultima parte del dialogo: temi della posizione di Socrate -->
all'ingiustizia non si deve rispondere con la medesima, e alla violenza con la
medesima. Il tema dei NOMOI. Le leggi personificate. Sono le Leggi a
prendere la parola. Sono un protagonista del dialogo. Socrate da voce alle
Leggi. Sono personificate. Questo non è un espediente retorico: molto di più.
La personificazione e il loro parlare ci deve far riflettere. Socrate riconosce
loro un'autonomia. I passi sui NOMOI sono celeberrimi non soltanto per la
filosofia. Le pagine dove per la prima volta c'è una riflessione filosofico-
politica sulla comunità giusta retta da leggi da rispettare.
all’evento; lui non sa cosa fare, la sua rigidità è apparente; non sa se questo sia
veramente un bene, per questo si rimette ai nomoi – dimostra ulteriormente di
sapere di non sapere. Se si ribellasse mostrerebbe di essere presuntuoso e
saccente, ma rimettendosi a quanto avvenuto egli dimostra la sua modestia e i
suoi limiti – è per questo che dorme serenamente, perché non osa fare nulla,
mostrando il suo limite. Il ruolo dei nomoi è importante, e Socrate lo rispetta –
che abbiano un valore assoluto non vuole dire che questo valore vada al di là
della storia; i nomoi non sono sciolti dalla polis, ma si danno in essa e nella sua
storia, quindi è più giusto dire che hanno un valore comune, essendo il
fondamento della comunità. La preoccupazione di un’eventuale risposta
ingiusta e non dettata dai nomoi, si deve al fatto che Socrate, qualora agisse
altrimenti dalla sua retta condotta, pregiudicherebbe la sua stessa posizione, e
così anche l’istituzione della polis, fondata in prima istanza dalla dikaiosyne – i
nomoi si danno nella città, per cui una risposta ingiusta alla stessa ingiustizia
significherebbe che esiste solo l’ingiustizia. Invece, è proprio nell’ingiustizia
che va difesa, a maggior ragione, la giustizia; Socrate è l’unico cui spetta di
difenderla, per questo egli deve essere esempio di rettitudine – se compisse un
gesto iniquo crollerebbe la giustizia e quindi la polis. Ma Socrate sostiene la
polis sino all’ultimo, sentendo il peso della giustizia; ed è chiamato a
testimoniare proprio quando c’è ingiustizia. È evidente che Socrate non possa
accettare la via della fuga; è una responsabilità politica, cioè nei confronti della
polis e della comunità, anche se queste si sono rivelate ingiuste. Socrate non si
piega, non per rigidità, ma perché crede nella dikaiosyne fino all’ultimo –
altrimenti smentirebbe se stesso ed il suo insegnamento. Nel Fedone la morte
del filosofo è la conferma della sua vita e del suo insegnamento – Socrate ne è
consapevole. Non è detto che questa testimonianza di giustizia non sia il bene
più grande; se fuggisse si potrebbe legittimare il pensiero dell’ingiustizia.
Anche nel Gorgia c’è il ritorno a questo tema – “meglio subire un’ingiustizia
che farla”. Il rimettersi ai nomoi, specialmente dove c’è ingiustizia, è uno dei
tratti peculiari della figura di Socrate. Affinità con Gesù, che accetta la morte,
rispondendo con la giustizia all’ingiustizia – la risposta della non-violenza alla
violenza; l’ingiustizia, la condanna a morte, è violenta. Nel caso di Socrate c’è
l’esigenza che i cittadini stessi possano, loro sì, uscire dal carcere
dell’ingiustizia – mentre Socrate è un uomo libero e non ha bisogno di fuggire.
L’argomento portante è quello della giustizia e la questione non solo politica
per cui Socrate accetta la condanna a morte, mentre Critone lo invita all’esilio,
perché di fronte alla giustizia è lecito sottrarsi.
L’ultima parte del dialogo tratta i seguenti temi: la posizione assunta da
VI. Socrate teorizza che occorra essere giusti. Essere giusti è il bene più alto.
Non si può e non si deve rispondere all'ingiustizia con l'ingiustizia. Se si fa
così si apre una spirale. La preoccupazione di Socrate è che non solo gli
individui; ma che perisca/venga meno la comunità... preoccupazione per la
POLIS. Critone si preoccupa di salvare la vita di Socrate. Socrate attesta la
differenza tra l'uomo di buon senno (Critone), e il filosofo (Socrate). La
RAGIONE: Socrate rinvia alla sua coscienza (il demone?). Socrate non si fa
balìa delle circostanze. Socrate ha il suo cammino davanti a sé. non si
preoccupa delle circostanze. Coerenza.
VII. Socrate non si fa deviare dalle circostanze; dall'opinione dei più: paragone
col ginnasta --> parallelismo fra corpo e anima. Corpo: diamo retta a chi se ne
intende per non rovinare il corpo: importante per i greci e per Platone, per
quanto ci sia quel dualismo orfico-pitagorico. Anima: la stessa cosa e di più
per l'anima [cura dell'anima]; non ci si può curare dell'opinione dei molti.
Socrate non si fa deviare dall'opinione dei più. Socrate ha la RAGIONE. NB:
non importa solo vivere (ZEN); ma vivere bene (EU ZEN). Non importa vivere
se si va contro la giustizia. Questo il punto del dialogo.
IX. Salvare la vita; ma commettere un'ingiustizia. Questo il paradosso. Oppure
morire per la giustizia. Il grande dilemma del dialogo. La scelta di Socrate è
radicalissima. Vivere sottraendosi alla giustizia? Morire per testimoniare la
giustizia, necessaria per la città. La giustizia esiste. Dilemma etico. Dilemma
filosofico. Socrate non oscilla mai. Sono non valuta i pro e i contra. Posizione
nettissima. 48d: se la fuga proposta da Critone vuol dire commettere ingiustizia
allora dobbiamo ricordare di rimanere fedeli al proprio posto... [cerca
citazione]. NB: Ripresa quasi letterale dei passi dell'Apologia. Socrate non ha
dubbi rispetto al rimanere nel posto dov'è: nel carcere. Deve rimanere perché
per Socrate vuol dire rimanere federe a se stesso e alla propria vita. Già qui --
Socrate per la quale non è lecito rispondere con l’ingiustizia alla stessa
ingiustizia; la questione dei nomoi – le leggi, addirittura personificate da
Socrate, il quale le fa parlare, prendono la parola. Non si tratta di un espediente
retorico; la parola data alle leggi significa la loro autonomia. Sono pagine
celeberrime nella storia della filosofia e della cultura, per la riflessione
filosofico - politica sulla comunità, retta dalle leggi, le quali vanno rispettate.
VI PARAGRAFO. Socrate teorizza l’indispensabilità dell’esser giusti,
ponendo la giustizia come bene più alto per l’uomo. C’è il rischio di una
“spirale” quando alla violenza si risponde con la stessa violenza – la
preoccupazione di Socrate è che periscano sia gli individua sia, specialmente,
la comunità, la quale rischia di venire meno. Mentre la preoccupazione di
Socrate si rivolge, in prima istanza, alla polis, ciò che invece preme Critone è
di salvare la vita di Socrate – grande differenza tra l’uomo di buon senso e il
filosofo: Socrate ha dato retta alla “ragione” (che è il suo daimon), rinviando
così nuovamente ad un richiamo interiore, senza farsi trascinare dalle
circostanze, perché ha il suo cammino davanti a sé. La questione è anche di
coerenza, per cui Socrate non può deviare rispetto alla sua rettitudine
esemplare; non si fa deviare neanche dall’opinione dei più.
VII E VIII PARAGRAFO. Socrate istituisce un parallelismo tra il corpo e
l’anima. Per quanto riguarda il corpo non si da’ retta che all’opinione del
maestro di ginnastica o del medico – il dualismo orfico tra corpo e anima non
impedisce ai greci di dare importanza al corpo. Ciò vale anche per l’anima, che
non può curarsi dell’opinione dei più e farsi deviare – non importa soltanto
vivere, ma vivere bene; aver salva la vita fuggendo va contro la giustizia ed il
vivere bene (Euzen).
IX PARAGRAFO. Salvare la vita vuol dire commettere ingiustizia;
l’alternativa è morire, per salvaguardare la giustizia, per la giustizia stessa –
scelta radicalissima di Socrate. Morire per la giustizia equivale a morire per
testimoniare la giustizia e la sua necessità per la polis – dilemma politico, etico
e filosofico. Non è questo il caso in cui si valutano i pro e i contra rispetto ad
una scelta, non c’è dubbio o esitazione in Socrate, egli rimane fermo nella sua
posizione. Bisogna, per Socrate, rimanere fedeli al proprio posto – c’è una
ripresa quasi letterale di alcuni passi dell’Apologia, in cui Socrate non mostra
di avere dubbi sul fatto di dover rimanere lì dov’è; in questo caso egli intende
rimanere nel carcere, cioè rimanere fedele a se stesso e a ciò che ha fatto. C’è,
cfr. Fedone -- l'esigenza di confermare con e nella morte la propria vita. Non è
indifferente la morte, come si muore. Se Socrate fosse morto diversamente, per
esempio scappando, etc. non sarebbe stato più Socrate. La morte fa parte della
vita. Non è indifferente alla vita trascorsa. Socrate si predispone per questo ad
accettare la morte. Socrate innocente, sentenza ingiusta, etc. perché non
sottrarsi? Critone non propone di sottrarsi alla giustizia; ma all'ingiustizia. Non
è che Critone abbia proprio torto: se la città commette ingiustizia, perché
Socrate non dovrebbe sottrarsi. E' come se la giustizia fosse stata infranta,
sospesa. Qui, in questa pagina, inizia l'argomentazione sottile (molto sottile) di
Socrate. Socrate dice che in nessun modo si deve commettere ingiustizia:
anche se l'intera comunità commette ingiustizia, lui non può: in nessuna
circostanza/occasione/modo. Quale che sia l'occasione: 49b.
X. (49c) "... cosa brutta e turpe in ogni caso!". Per nessuna ragione [quanto
sopra]. Socrate non si cura dei più. Poiché è stabilito che mai, per nessuna
ragione, si ha da fare ingiustizia [cerca citazione]. I motivazione: è cosa brutta
e turpe per chi la fa: corrompe la PSYCHE. Né rispondere né tantomeno fare
del male per vendetta al nostro patimento: non è ragione per restituire il male.
In queste frasi ci sono i principii delle non violenza: Socrate teorico della non
violenza. 49d: Questa posizione non era affatto diffusa all'epoca.
Assolutamente impensabile. Socrate è isolato da questo punto di vista: è una
novità teorizzare per la prima volta ciò. Per i Presocratici non si può parlare di
etica/morale. Tra i sofisti tutt'altro che morale, pensa a Trasimaco. la Legge del
più forte vale per molti sofisti. Qualcosa di completamente nuovo per la morale
greca, improntata alla legge del più forte. Anche punto di vista politico. Questo
danneggerebbe la mia PSYCHE, me... DUE MOTIVI PER LA NON
VIOLENZA: I. riguarda il singolo individuo. Lascio che il male mi corrompa.
Nesso tra giustizia ed anima: bellissimo, da riflettere. Ne va della nostra anima.
Non è qualcosa di esteriore la giustizia, ad esempio esercitata solo nei
tribunali. Questa investe la nostra anima. Corrompere=diventare peggiore. II
motivazione: riguarda la comunità. Per questo Socrate chiama in causa i
NOMOI. Socrate non parla più, perché può parlare solo per sé: discorso
individuale. Ordine individuale, e la PSYCHE della POLIS, della comunità.
Nel caso della comunità, della POLIS, a parlare sono le leggi:
personificazione, solo apparentemente un espediente retorico.
da parte di Socrate, e ancor più nel Fedone, l’esigenza di confermare nella
morte e con la morte ciò che è stata la sua vita; ma non è indifferente come si
muore, bisogna vivere bene, anche per saper morire – Socrate è Socrate
proprio perché è morto in nome della giustizia; egli si predispone ad una
morte, sì ingiusta, ma nel segno della giustizia. L’obiezione di Critone è
proprio questa: la condanna è ingiusta e Socrate innocente – perché non
sottrarsi all’ingiustizia? Infondo Critone non dice a Socrate di sottrarsi alla
giustizia, bensì all’ingiustizia commessa dalla polis. Critone ha ragione, perché
non ha torto: se tutta la città commette un’ingiustizia è come se la giustizia
fosse stata sospesa, non si tratta di un singolo, ma dell’intera comunità; quindi
la giustizia è stata infranta, e Socrate avrebbe ragione a fuggire.
X PARAGRAFO. Così ha inizio l’argomentazione sottile e complessa di
Socrate: in nessun modo, dice il filosofo, si deve commettere ingiustizia; anche
se l’intera città ha commesso ingiustizia rimane il fatto che, in nessuna
circostanza, e come stiano le cose, soprattutto quando la giustizia è stata
pregiudicata, si deve rispondere con l’ingiustizia, per nessuna ragione, perché è
cosa turpe e brutta – frase in cui si compendia l’insegnamento di Socrate sulla
giustizia. L’ingiustizia è cosa turpe per chi la commette, perché essa corrompe
la psychè, la rende peggiore; così come non si deve fare ingiustizia, tanto meno
bisogna fare del male agli uomini, nel caso in cui si abbia patito del male –
questi sono i principi della non-violenza. Socrate è isolato anche in questo
senso: ciò che dice risulta nuovo rispetto all’Atene del tempo; non c’è un’etica
prima di Socrate; anche nei Sofisti le posizioni morali erano tutt’altro che
morale (relativismo) – per cui la posizione di Socrate è veramente nuova,
anche per la morale greca, improntata sulla legge del più forte; quindi si tratta
si una novità anche dal punto di vista politico. La posizione di Socrate ha due
principali motivazioni – l’ingiustizia danneggia l’anima. La prima riguarda
l’individuo: l’ingiustizia corrompe la psychè – nesso tra la giustizia e l’anima,
per cui la giustizia non è qualcosa di esteriore, che si da’ in tribunale, ma
addirittura investe l’anima del singolo, rendendola peggiore. La seconda
motivazione riguarda la comunità intera: l’ingiustizia danneggia l’anima della
polis – senza giustizia non c’è comunità. Il nesso tra la giustizia e la comunità
implica il discorso sulle leggi – Socrate chiama in causa i nomoi, perché il suo
è un parlare individuale, e il parlare del singolo è posto su un piano diverso,
per cui non può valere per l’intera comunità. A parlare sono le leggi, cui si da’
questa personificazione, che solo apparentemente è un espediente retorico.
XI. 50b: personificazione. Se le Leggi ci domandassero... (scena bellissima).
Finzione dell'incontro con le Leggi. Opposizione di privato cittadino e delle
Leggi. Mette a repentaglio la città, la comunità. I NOMOI rappresentano la
comunità. Non può esserci comunità senza leggi. Non c'è politica senza etica.
Socrate è chiamato in causa dalle Leggi, altrimenti sarebbe il privato che si
sottrae alle Leggi. Oppure si potrebbe dire "la sentenza è ingiusta". Dire alle
Leggi che la città ci ha commesso ingiustizia, non ha giudicato rettamente...
Critone qui sarebbe d'accordissimo. Risposta di Socrate
IMPORTANTISSIMA.
XII. 50d: IMPORTANTISSIMO: le Leggi nella finzione accuserebbero
Socrate. Socrate, fuggendo e mettendo in discussione la sentenza, starebbe
uccidendo le Leggi. Intenzione di uccidere le Leggi. Se Socrate seguisse
Critone, allora UCCIDEREBBE le Leggi, darebbe la morte alle Leggi. Sempre
i NOMOI e la POLIS. Tu faresti questo, mentre noi ti abbiamo dato la vita
[cerca citazione]. RADICALISSIMO. Le Leggi costituiscono la comunità. Le
Leggi (la legalità) da cui nasciamo: altrimenti non esisteremmo. [Leggi:
condizione di possibilità della comunità, e quindi anche del cittadino]. Tu sei
nostro figlio: nato, allevato, educato, secondo Noi, secondo le Leggi [le
Norme] [cerca citazione]. Non siamo [noi Leggi] sullo stesso piano: Socrate
non può mettersi sullo stesso piano delle Leggi: bellissimo. Non c'è diritto da
pari a pari: Socrate è privato, singolo. Le Leggi sono la POLIS, la comunità.
Socrate non ha il diritto di rispondere contro le Leggi. Questo punto è
importante: i NOMOI non sono la convenzione di cui parlano i Sofisti. Sono il
fondamento della comunità. Mettendo in questione le Leggi Socrate le
ucciderebbe, mettendosi sul loro stesso piano. Per la prima volta (in filosofia),
per la prima volta il riconoscimento... legittimato il diritto della comunità: non
per essere messo sul piano del singolo/privato/cittadino. Socrate non soltanto
compie la giustizia; ma la compie rispettando le Leggi della città, e quindi la
comunità, altrimenti sarebbe un far precipitare la città. Distinzione importante:
gli uomini che attuano le leggi e le Leggi. Dove non si rispettano le Leggi, la
XI PARAGRAFO. Se Socrate fuggisse dal carcere, le Leggi, così lui
immagina, gli andrebbero incontro, chiedendogli se così fuggendo, lui, privato
cittadino, non metta in discussione i nomoi – dove il privato cittadino si sottrae
alle Leggi, anche se la condanna è ingiusta, viene messa a repentaglio la
comunità. Le leggi sono la comunità, e la politica è l’etica; dunque il problema
etico - politico di Socrate è quello di dover rispondere alle Leggi della città,
perché sottraendosi metterebbe in pericolo le fondamenta stesse della polis.
Oppure si potrebbe dire alle Leggi, dice Socrate, che la sentenza è ingiusta e
che la città non ha sentenziato rettamente – Critone pensa che questa sia la
risposta più ragionevole.
XII PARAGRAFO. Ma le Leggi, qualora trovassero Socrate in fuga, gli
chiederebbero se lui non stesse tentando di dare loro la morte; le Leggi cioè
accusano Socrate del tentativo di ucciderle, nel caso lui fuggisse. Se Socrate
seguisse il consiglio di Critone, cioè sottrarsi alla sentenza, darebbe la morte
alle Leggi e alla città – i nomoi e la polis sono intrinsecamente legate. Le
Leggi hanno dato la vita a Socrate, lo chiamano “figlio”; mentre la sua fuga
vorrebbe dire cercare di dare la morte alle Leggi – idea molto radicale. Sono le
leggi che costituiscono la città, gli stessi cittadini nascono dalla legalità delle
leggi – lo stesso Socrate è nato e stato educato secondo i nomoi. Le Leggi
dicono a Socrate che egli non si può mettere sul loro stesso piano; non c’è un
diritto “pari a pari” tra i nomoi, che rappresentano la comunità, e il singolo
cittadino. Se le Leggi fanno qualcosa contro Socrate, egli sicuramente non
potrà fare altrettanto. Risulta chiaro in questo passo come le Leggi di cui parla
Socrate, non siano le stesse dei Sofisti, i quali parlando di nomoi come
convenzioni, e non come fondamento della città . Se Socrate, sottraendosi,
mettesse in questione la condanna, porrebbe sullo stesso piano il suo diritto
(uccidere le Leggi), con quello delle Leggi stesse. Per la prima volta è
legittimato filosoficamente il diritto della comunità, che sta necessariamente su
un piano diverso da quello del diritto del singolo e privato cittadino. Quindi
Socrate, tenendo presente questi principi, si appresta a difendere e a compiere
la giustizia, nel rispetto delle Leggi della città, dunque nel rispetto della
comunità affonda. E' difficile distinguere l'aspetto politico dall'aspetto etico:
sono inscindibili. Qui il nesso tra etica e politica. Quello che vale pere il
pubblico vale per il privato. E' la stessa giustizia che mantiene non corrotta la
PSYCHE del cittadino e la PSYCHE della POLIS. Qui c'è POROSITA' tra
sfera pubblica e privata. Etica e Politica sono inscindibili. In questa finzione è
come se le Leggi lo richiamassero ad un accordo, ad un patto: OMOLOGIA.
Questo patto non si può violare: significherebbe far IMPLODERE la POLIS.
Delle azioni apparentemente prive di conseguenze per la comunità hanno
invece conseguenze [anche importanti]: [per esempio] la possibile fuga di
Socrate. Socrate si preoccupa delle conseguenze della sua fuga per la
comunità. L'etica è l'attenzione agli esiti delle nostre azioni per gli altri e per la
comunità. Questa attenzione etica di Socrate... senza la quale non c'è né POLIS
né POLITICA. Questa la grande differenza tra Socrate e Critone. I NOMOI
non sono "assoluti", sciolti dalla comunità. C'è reciprocità tra NOMOI e
POLIS. I NOMOI fondano, rendono possibile, accomunano, rendono possibile
la comunanza. Le Leggi non possono essere messe in discussione dal privato
cittadino. La legge perciò non è giusta in sé; ma è la condizione della giustizia.
Sono "storicamente" modificabili. Ma in Platone ed Aristotele non c'è
concezione/concetto di "storia". Le Leggi fanno parte della comunità, e questa
fa parte delle Leggi. Ci sono due livelli: livello intercomunitario e livello
dell'individuo. Non c'era un codice di leggi. Nelle città stato della Grecia c'è
comunque la schiavitù. C'erano però le Leggi che erano tessuto,
COSTITUZIONE [pensa a quello che la parola vuol dire: costituzione, corpo,
oppure costituire, etc.] della città. Socrate non si riferisce alle Leggi non
scritte. Noi viviamo sempre GIA' in una comunità con dei NOMOI. Siamo figli
delle Leggi. Noi veniamo [anche cronologicamente] dopo le Leggi. Siamo
FIGLI della LEGALITA'. Socrate avrebbe potuto dire: "la pena di morte è
sbagliata". Socrate però non lo fa. Le Leggi non sono per definizione giuste,
immobili, etc. Però per prima cosa dobbiamo essere figli delle Leggi. Il 28
febbraio 1933 viene proclamato lo STATO D'ECCEZIONE
(Ausnahmezustand). Vengono sospese le Leggi. Questo spazza via i NOMOI.
Vedremo più avanti con Platone: può suscitare curiosità questo PRIMATO
della comunità... sarà alla base del COMUNISMO di Platone, questa
POLITEIA. Platone metterà qui l'accento sul primato della comunità. Ma non è
il caso di Socrate. Il privato non può... ma c'è bisogno di lui. Socrate non può
fuggire. SPLENDIDA POSIZIONE DI EQUILIBRIO. NOMOI (NB: non
pensare alle leggi non scritte di Antigone): tutte quelle leggi politiche; ma
anche i costumi della città. Socrate vuole con la propria morte confermare il
comunità stessa – se andasse via farebbe precipitare la polis.
Vi è un’importante distinzione tra gli uomini che attuano le leggi e le leggi
stesse: la sentenza applicata dagli uomini può essere ingiusta, ma i nomoi sono
i nomoi e vanno rispettati affinchè la città non affondi. È difficile distinguere
l’aspetto prettamente politico da quello etico, perché il nesso tra l’etica e la
politica è inscindibile, e qui viene messo in luce – se la giustizia vale per la
comunità, essa vale anche per il privato cittadino (punto del discorso molto
attuale). Nella posizione di Socrate non si riesce a scindere l’aspetto politico da
quello etico – la giustizia in egual modo corrompe la psychè della comunità
quanto quella del singolo. C’è un accordo (omologhia) che ogni cittadino
istituisce con le leggi, un patto inviolabile, perché altrimenti la polis
imploderebbe. Anche le azioni che sembrano prive di conseguenze per la
comunità, hanno in realtà delle conseguenze; c’è sempre una responsabilità
individuale che vale per la comunità – qui sta l’etica, nell’attenzione per quegli
effetti che delle semplici azioni rischiano di comportare; si tratta di
quell’attenzione senza la quale non ci sarebbe la polis, né politica. Qui inoltre è
la differenza tra Socrate e Critone. Non bisogna però considerare i nomoi come
assoluti, cioè sciolti dalla città, è evidente che sono in rapporto di reciprocità
con essa: le leggi fondano la comunità, la rendono possibile, la accomunano;
esse inoltre esistono nella misura in cui esiste la comunità, da cui sono
articolate – non possono essere messe in discussione, questo il punto, anche se
la comunità agisce ingiustamente, perché è diverso il diritto del privato
cittadino. Gli uomini possono sbagliare nell’applicazione delle leggi; la Legge
non è giusta in sé, non è assoluta, ma storicamente mutabile con la città –
anche se Socrate e Platone non hanno una concezione di storia – ma la Legge è
sicuramente la condizione della giustizia. Se i nomoi non sono assoluti, è pur
vero che neppure si identificano con le convenzioni dei Sofisti, che cambiano a
seconda delle circostanze del singolo – sono bensì sempre implicate in un
legame di reciprocità con la polis. Ad esempio, in Grecia, nessuno metterebbe
in discussione la schiavitù. Le Leggi sono il tessuto della comunità, ma non in
senso di “codice” da seguire, ma di “costituzione” della polis, che costituisce la
polis nella sua comunità e nel suo essere comunità. Socrate non sta parlando di
leggi non scritte, ma di Leggi che già accomunano e costituiscono la città –
infatti chiamano Socrate “figlio”, perché i cittadini sono figli della legalità;
dove non c’è giustizia, che è anche la condizione del rispetto delle Leggi, non
può esserci comunità. Si pensi infatti allo Stato d’eccezione, proclamato nel
1933 dal III Reich: esso non è altro che una sospensione delle leggi, perché sia
permessa la guerra.
proprio insegnamento in vita: ciascuno di noi è insostituibile, anche per le
nostre azioni per la/nella comunità. Socrate esemplare.
[Complessità del Fedone: dialogo attualissimo per la sua problematica]. Il
confronto con le Leggi (maiuscolo) è un rimettersi a... argomentazione
filosoficamente e politicamente rilevante: Socrate accetta la condanna, per
quanto ingiusta, per non mettere in discussione le Leggi. Il riconoscimento di
Socrate di essere figlio delle Leggi. Non c'è cittadino/cittadinanza senza le
Leggi che fondano la comunità.
XIII. Le leggi hanno generato, allevato, etc. Socrate. Il cittadino è messo al
mondo dalle Leggi: priorità anche cronologica. Le Leggi non frappongono
ostacoli a chi voglia andare via. Chi nella POLIS non rispetta i NOMOI
compie DIKAIOSUNE in 3 modi: 1. non obbedisce alle Leggi che lo hanno
generato: RAPPORTO FILIALE. Le Leggi sono la condizione di possibilità
del cittadino. Cittadinanza solo in virtù delle Leggi. 2. Non rispetto chi lo ha
allevato: siamo fatti di legge, la nostra trama lo è. 3. il cittadino potrebbe
persuadere le Leggi, dacché non è un rapporto autoritario; ma dialogico: le
Leggi dialogano col cittadino. All'occasione sono flessibili: rapporto dialogico.
Se questo non avviene [mutare le leggi?], deve comunque rimettersi alle Leggi.
Sarebbe una viltà sottrarsi alle Leggi con la fuga. Trasgredire i patti e gli
accordi? SUNTHEKE e OMOLOGIA indicano il patto/accordo. Noi siamo
cittadini, e nessuno ci ha chiesto di sottoscrivere le Leggi, ci siamo nato dentro.
Socrate potrebbe andar via; ma questo sarebbe un infrangere i patti che
costituiscono la base delle POLIS, della cittadinanza. La POLIS è fatta di
Leggi. [...] è la strada che porta all'Ade, non alla Tessaglia. Il bivio tra la
Tessaglia (l'esilio) con asilo altrove, di continuare a vivere rispetto alla
condanna ingiusta, e l'Ade, il luogo IMMEMORIALE, dell'oltretomba,
dell'aldilà (cfr. Fedone). Ci si recherà [nell'Ade] la sua anima, non Socrate.
Questa [l'anima] abbandonerà il carcere del corpo. La scelta dell'Ade è di
grande chiarezza: vuol dire che Socrate distingue tra gli uomini e le Leggi.
L'ingiustizia è di chi ha applicato le Leggi, [non delle Leggi stesse]. 54c:
chiarezza della scelta di Socrate: mantenersi nella giustizia, invece di
rispondere all'ingiustizia con l'ingiustizia. E' la scelta dell'Ade. Non è la scelta
di una volontà di vivere a tutti i costi. Rimettersi al limite della vita: la vita ha
Il primato della comunità sarà la base del progetto politico di Platone, un primo
progetto di comunisto della politheia. Anche se il privato cittadino non ha lo
stesso diritto della città, egli risulta indispensabile alla polis, perché se Socrate
fuggisse ne andrebbe della comunità – il singolo è responsabile della comunità.
Le leggi sono i costumi (Sitten) della città. Il singolo è chiamato a testimoniare
la giustizia e la necessità della fondamentalità delle Leggi, della loro legalità;
la posizione di Socrate dunque funge da esemplarità, non da superiorità –
l’esempio, la testimonianza, è insostituibile.
Il dialogo di Socrate con le Leggi è il suo rimettersi ad esse – la sua
argomentazione giustifica il fatto filosoficamente e politicamente rilevante per
cui Socrate resterà ad Atene e accetterà la condanna ingiusta. Riconoscimento
di Socrate: non c’è cittadino senza le leggi.
XIII PARAGRAFO. Viene sottolineata la sovranità, non l’assolutezza delle
Leggi, che mettono al mondo i cittadini – priorità cronologica e ontologica dei
nomoi. Le Leggi dicono di non frapporre ostacoli a chi vuole andare via; ma
chi si ferma a vivere nella polis si obbliga a rispettarle. Altrimenti si è
colpevoli di adikaiosyne in tre modi: 1) il cittadino ha un rapporto filiale con le
Leggi, esse cioè sono la condizione di possibilità del cittadino, per cui
prescindere da esse sarebbe un vero e proprio tradimento; 2) non si tratta solo
di un rapporto filiale, poiché la stessa trama/storia del cittadino è fatta di
Leggi; 3) infondo il cittadino potrebbe anche persuadere le Leggi – è preso in
considerazione il rapporto dialogico e non autoritario tra il cittadino e le Leggi,
per cui egli, dato che le Leggi sono flessibili e modificabili, potrebbe
persuaderle; se non le persuade, tuttavia, si deve rimettere a loro.
XIV-XV PARAGRAFO. Viene considerata nuovamente l’ipotesi avanzata da
Critone che guarda alla via dell’esilio: si prospetta la fuga come una viltà, cioè
trasgredire i patti e gli accordi (syntheke e omologhia) – senza aver istituito un
patto, il cittadino, venendo al mondo, ha partecipato di un patto delle Leggi,
che viene prima di lui. L’esilio equivale quindi ad infrangere i patti alla base
della cittadinanza e della polis – la polis è fatta di Leggi. Qui si staglia il bivio
del Critone, tra la Tessaglia (esilio) e l’Ade (la morte): ma è evidente che
ormai la strada conduca verso l’Ade – luogo dell’al di là, dell’oltretomba
(Fedone), dove si recherà la sua anima, abbandonando il carcere del corpo. È
una strada scelta consapevolmente e chiaramente; Socrate distingue così tra
Leggi e gli uomini che le applicano – le Leggi dicono che l’ingiustizia è stata
commessa dagli uomini, non da loro, e per questo vanno rispettate.
un limite, una fine. E' giunto il momento di morire. Scelta politica della
giustizia, distinguendo Legge da applicazione delle legge, scelta di restare
fermi nella giustizia, di non fuggire. Scelta di non affermare la propria volontà
di vivere; ma di rimettersi alla fine della vita (cfr. Fedone). Questo è il ponte
che ci porta verso il Fedone. Prima di Spinoza è difficile parlare di democrazia
in senso moderno. Potremmo dire che la filosofia [di Platone; ma anche in
generale -- filosofia secondo la nuova accezione di Socrate] nasce dalla
condanna a morte di Socrate. Dopo questo evento, Platone pensa l'utopia della
Repubblica. Da questa esperienza [la morte di Socrate] deriva il costituirsi
della filosofia e il costituirsi di questa in modo antitetico alla politica. Sono le
Leggi di Atene, non tanto il regime democratico o non... Platone andrà a
Siracusa per fondare una nuova POLITEIA... So no [e non l'avrebbe mai fatto].
Socrate è convinto che il luogo e il modo in cui morirà non è indifferente alla
sua vita: deve confermare l'insegnamento della sua vita con la morte. Non è
indifferente.
---
FEDONE (Aleksis)
Difficile definire il tema del Fedone; di solito si dice dialogo dell'immortalità
dell'anima; ma non è solo questo. In realtà ci sono molti temi: è la prima
grande opera filosofica sulla morte. Nessuna opera sulla morte potrà mai
prescindere dal Fedone. Come riferimento, è una pietra miliare. Il tema è
quello della morte del filosofo. Racconto bellissimo e suggestivo del filosofo
che continua a filosofare mentre muore. Già irrigidito e freddo, Socrate
continua a parlare. Si intrecciano molti temi: ad esempio il suicidio. Opera che
delinea il rapporto della filosofia/filosofo con la morte. Filosofare vuol dire
imparare a morire. Siamo qui per imparare a morire. Questo tema viene ripreso
da Cicerone che si rifà al Fedone, da Montaigne, e ancora, nel '900 dallo
Heidegger di Essere e Tempo. Nell'Analitica fondamentale dell'Esserci, questo
è un Essere-per-la-morte, il nostro esistere è per la morte. Filo conduttore dal
Fedro a Heidegger. Anche Moses Mendelsohn, nipote del musicista: filosofo
berlinese dell'illuminismo tedesco. Ha scritto un'opera, Fedone, dove
XVI PARAGRAFO. La scelta di Socrate è mantenersi nella giustizia; non è la
scelta della fuga, ma della morte – non è la scelta di una volontà, ma piuttosto
di rimettersi al limite della vita, alla sua finitezza. È dunque giunto il suo
momento. La scelta politica della giustizia, che implica la distinzione decisa tra
le Leggi e la loro applicazione, di restare quindi presso la giustizia , ad Atene,
è anche la scelta di non affermare la volontà di vivere e di rimettersi alla fine
della vita – ciò si collega al Fedone.
La filosofia nasce dalla condanna a morte del filosofo, di Socrate. Dopo che è
stato condannato Platone pensa al progetto di una politheia, che non si basa sul
potere del demos, ma è un’utopia in cui sono i filosofi a governare – prima
grande utopia politica. Da questa esperienza deriva il costituirsi della filosofia,
che in certi versi è antitetica alla politica, perché sono i filosofi che governano.
È chiaro che però Socrate mantiene la fiducia nelle Leggi della politica di
Atene, a cui si rimette. Cosa sarebbe successo se Socrate fosse andato in esilio?
Avrebbe ucciso le leggi – ma Platone vuole che Socrate testimoni la fiducia in
esse. Platone va a Siracusa, a fondare una nuova polis, ma Socrate resta – il
modo in cui muore non è indifferente rispetto alla sua vita; la morte del
filosofo deve testimoniare con coerenza l’insegnamento della sua vita.
---
FEDONE (Cecilia)
È una delle opere più complesse di Platone. Indubbiamente è il dialogo che
riguarda l’immortalità dell’anima, ma il tema non si riduce solo a questo
aspetto – ci sono molti altri temi importanti, come quello della morte, di cui il
Fedone è una pietra miliare, o comunque la prima celebre opera filosofica sulla
morte, da cui nessuna in seguito può più prescindere. Inoltre è il tema della
morte del filosofo, del racconto soggettivo del filosofo che muore. A questo si
intrecciano molti altri temi, in prima istanza quello del suicidio. Così il Fedone
è un’opera che delinea il rapporto della filosofia con la morte: si dice che
filosofare sia imparare a morire; il tema della filosofia come via per imparare a
morire è ripreso anche da Cicerone, Montaigne, Heidegger (Sein zum Tode),
Mendelssohn – filosofo illuminista tedesco di Berlino che scrive un testo ,
“Fedone”, che riprende il titolo dall’omonima opera di Platone, e in cui si
occupa di un tema dibattuto all’epoca, riguardo l’immortalità dell’anima e
riguardo a cosa avvenga al corpo dopo la morte. Così il Fedone resta un punto
riprendendo il titolo di Platone, tratta dell'immortalità dell'anima. Questo per
dire che il Fedone è un punto di riferimento. Nella Berlino del '700 era un tema
molto dibattuto. L'Al-di-là della morte è un tema sempre attuale: il limite della
morte. Questione che investe l'etica. Questioni di (bio)etica sulla fine della
vita: quando finisce la vita? c'è un enorme dibattito sull'istante ultimo. Quando
il cuore si ferma o il cervello smette di funzionare? Quali organi sono
interessati? Questioni enormi. Molto dibattuto in Italia. Non è una questione
medica, ma filosofica ed etica. I medici sono in disaccordo sulla "fine della
vita": non è una questione scientifica, ma etica. Il modo di Platone resterà in
Occidente. Importante è che connesse al tema della morte ci sono molte
questioni. La prima è quella del suicidio. Prima dobbiamo dire che nella
cultura greca, nella filosofia, già in quella dei Presocratici, il concetto di limite
(peras) -- da cui apeiron, l'illimitato -- è un concetto positivo. Di conseguenza
l'illimitato (n.b. non è infinito) è un concetto negativo. Peras è positivo, è
addirittura il limite da cui nascono gli enti. Limite anche come inizio della vita.
Tutto ciò che è ON, ente, è limitato. Tutto ciò che è/esiste è limitato. Tutti gli
enti come tali sono limitati. Non dobbiamo dimenticare che per noi si da il
contrario: il limite che concetto negativo e l'illimitato come concetto positivo a
cui aspirare. Se THANATOS è limite, non può essere qualcosa di negativo. C'è
però una concezione tragica, anche in Socrate. Il Fedone è un dialogo animato
da una molteplicità di personaggi: Simmia e Cebete (entrambi pitagorici),
Echecrate, Fedone, etc. C'è un contesto pitagorico ed orfico: separazione netta
tra SWMA e PSYCHE. Immediatamente si ponte il problema del suicidio: la
liceità, accettabilità del suicidio. Si può? Socrate in attesa dell'esecuzione:
perché allora non si suicida? non sarebbe un gesto di libertà? perché il filosofo
giunto al punto estremo, in una situazione estrema, non dovrebbe suicidarsi?
Questa questione, che cronologicamente è la prima, si pone alla riflessione
filosofica. Su questo tema non c'è unanimità nella filosofia. Abbiamo voci
discordanti. Ci sono i filosofi contrari, che articolano la loro posizione, e ci
sono i filosofi favorevoli. Sappiamo che queste sono posizione ampiamente
rappresentate nel dibattito contemporaneo, non solo nella storia della filosofia.
[libro sul suicidio: Levare la mano su di sé] Distinzione tra SELBSTMORD --
uccisione di sé; ma anche uccidersi -- e FREITOD -- libera morte. Nietzsche:
estremamente tragico nel senso greco. Per lui è importante sottrarsi al destino,
alla TUCHE, il caso, il fato, il destino... quindi FREITOD, morte scelta
liberamente: è il soggetto che sceglie liberamente il momento di morire, come
gesto di libertà. Il FREITOD è sottrarsi alla tragicità della TUCHE, ad una
predestinazione destinale, per cui scelgo la libertà di togliermi la vita. Io
di riferimento in tutta la filosofia. La questione del limite della morte è di
grande attualità, e investe campi di studio come la bio-etica – grande dibattito
filosofico ed etico su cosa sia la fine della vita, su quale sia l’istante ultimo. Si
tratta di questioni enormi, oggi dibattute. La fine della vita quindi non si riduce
ad una questione medica o scientifica, è bensì etica e filosofica. Il modo in cui,
nel Fedone, viene posto il problema della morte sarà un punto di riferimento
per la cultura. All’interno del tema della morte ci sono altre questioni, tra cui la
prima è quella del suicidio.
La morte è il limite della vita. Nella cultura e nella filosofia greca (a partire dai
presocratici) il concetto di limite (peras) è un concetto positivo; quindi il limite
non è visto negativamente dai Greci – è bensì l’illimitato ad essere un concetto
negativo in tutti i sensi. Il concetto di peras è positivo, perché è il limite da cui
nascono gli enti, è il limite come inizio della vita – tutto ciò che è “on”, cioè
ente, è limitato, tutto ciò che esiste, tutti gli onta in quanto tali sono limitati.
Per noi si da’ invece la difficoltà di concepire positivamente il limite,
nell’aspirazione a qualcosa di illimitato. Se tanathos è il limite della vita, non
può essere qualcosa di negativo per i Greci; c’è una concezione tragica persino
in Socrate. Allora uno dei primi problemi che si pone nel Fedone, in cui si
riscontra una molteplicità di personaggi, e che si apre a partire dalla riflessione
sulla morte, è proprio il tema del suicidio, in particolare della liceità del
suicidio – il tema si pone perché Socrate, arrivato a questo punto, potrebbe
anche avere il pensiero del suicidio, come possibilità di libertà dalla condanna
ingiusta. Però la questione del suicidio è una delle prima che si pone alla
riflessione filosofica sulla morte; su questo tema non c’è per nulla unanimità in
filosofia, vi sono invece tante voci discordanti – filosofi contrari e altri a favore
(Seneca); posizioni che sono rappresentate anche attualmente. Nietzsche era
favorevole al suicidio – Selbstmord (uccisione del sé) e Freitod (libera morte).
Il soggetto che sceglie il momento in cui morire afferma la propria libertà; si
tratta però di un’affermazione tragica, perché il contesto di Nietzsche è tragico,
anche in senso greco: è importante sottrarsi al destino, alla tuchè (caso/sorte) –
il Freitod è il sottrarsi alla tragicità della tuchè, ad una determinazione
destinale, per cui il sé ha la libertà di scegliere di togliersi la vita. L’io libero
che sceglie di morire non si rimette mai all’andamento della vita, non è l’altro
a ucciderlo. L’atteggiamento di Nietzsche è tragico- il destino imperante non
lascia via d’uscita se non quella della libera morte. La posizione di Nietzsche
ha influenzato la modernità e si distingue da quella di Seneca e degli Stoici –
c’è in Nietzsche una critica radicale al Cristianesimo, perché il suicidio è un
concetto che va contro la posizione di gran parte delle religioni. Così anche la
decido il momento in cui muoio, e non mi rimetto all'andamento della vita; ma
decido io la fine. Tutto questo è molto greco. Le pagine di Nietzsche sono
coraggiose, epocali, ed il suo pensiero è diverso da quello degli stoici in cui il
suicidio era contemplato. Nietzsche ha influenzato la modernità ed il nostro
modo di pensare a quella libertà di decidere del TOD, della morte. Sono pagine
tutt'altro che religiose. Il contesto è quello di una critica radicale al
cristianesimo, che dal cristianesimo si allarga alle religioni. Ancora oggi molti
filosofi, pur senza citarlo, fanno riferimento a Nietzsche. Non è tanto una
questione di ateismo. Nietzsche critica fortemente Socrate, che gli è opposto.
Per Socrate non c'è liceità del suicidio. Kant: abbiamo, nella modernità, la
contrapposizione tra Nietzsche e Kant. Nella Fondazione della metafisica dei
costumi viene detto che non possiamo servirci del nostro corpo come mezzo,
che invece è fine in sé. Il suicidio quindi non può essere un Imperativo
Categorico. Quello che tu fai può e deve ergersi a massima universale. Nel
caso del suicidio -- Kant su questo oggi è molto criticato -- è possibile che in
alcuni casi sia lecito; in alcune situazioni concrete, kantianamente potrebbe
andare bene. Per l'etica di Kant non possiamo fare nulla che non si erga ad
universale. Il suicidio contraddice l'imperativo categorico. L'argomentazione di
Kant è prettamente teorica e in parte astratta. Astrattezza di Kant. La posizione
di Socrate non è quella di Kant. La posizione di Socrate è una posizione
"religiosa" -- nel senso della religiosità di Socrate. Nietzsche ha ragione a
criticarla. Per Socrate è importante rimettersi al PERAS della vita. Non sono io
che decido. Altrimenti sarebbe un gesto di presunzione, e Socrate sa di non
sapere. Quindi non un gesto di libertà; ma un gesto di presunzione.
Atteggiamento religioso del rimettersi a ciò che deve accadere. Se Socrate, nel
Fedone, decidesse di suicidarsi, cadrebbe di nuovo nell'incoerenza, quindi
inevitabilmente deve accettare che non è lui che determina la fine della vita. La
sua è una filosofia del limite, filosofia per i mortali (Eraclito)... mortali che
devono riconoscere di essere mortali -- qui torna Heidegger. Socrate si rimette
al fine della vita: non siamo sovrani della nostra vita. Diverso da Kant.
Riflessione molto sfaccettata sul suicidio, e le argomentazioni sono diverse:
Kant ha una posizione etica, rifiuto etico del suicidio. L'argomentazione di
Socrate è diversa; è un rifiuto religioso. Chi sono i mortali per decidere l'istante
della loro morte?
Il tema della morte accompagna la filosofia, e il Fedone è un riferimento
obbligato ed una pietra miliare. Abbiamo visto le posizioni discordanti di Kant
e Nietzsche sul tema del suicidio. La morte fa parte della vita. Fra le tante
posizione di Socrate, molto criticata da Nietzsche, è opposta: per Socrate non
si dà la liceità del suicidio. Tra i filosofi contro il suicidio si schiera Kant,
secondo lui non possiamo servirci del nostro corpo come un mezzo, perché il
corpo è fine in sé; inoltre il suicidio non è lecito perché non è un imperativo
categorico – non si può cioè assumere come un universale trascendentale, per
cui ciò che è lecito deve ergersi a massima universale. Il caso del suicidio in
Kant è discusso e criticato: è possibile che in alcuni casi il suicidio sia lecito,
da un punto di vista concreto; ma il problema, per l’etica di Kant, è che l’uomo
non possa fare nulla che non si erga a massima universale – il suicidio
contraddice l’imperativo categorico, ammetterne la possibilità vorrebbe dire
farne una massima universale. L’argomentazione di Kant è teorica e astratta –
questa la critica mossa all’etica di Kant. La posizione di Socrate non si
avvicina neanche a quella di Kant, con essa non ha nulla a che vedere; quella
di Socrate è invece una posizione religiosa: per Socrate è importante rimettersi
al peras della vita, così come vale per la sua sapienza; sarebbe un gesto di
presunzione decidere per sé la propria fine – quindi per Socrate non si tratta di
un gesto di libertà. L’atteggiamento religioso di Socrate è il rimettersi a ciò che
deve accadere – se Socrate, nel Fedone, decidesse di suicidarsi, cadrebbe di
nuovo nell’incoerenza, sconfessandosi. Così egli inevitabilmente deve
accettare di non essere lui a dover decidere il limite della sua vita. Quella di
Socrate è una filosofia del “limite” – i mortali devono riconoscere di essere
mortali e finiti. Dunque la posizione del rimettersi al fine della vita è distinta
radicalmente dalla posizione di Kant, che è più astratta ed etica, nel senso che
il rifiuto etico del suicidio mina la stessa etica kantiana – per Socrate invece si
da’ un rifiuto religioso del suicidio.
La questione del suicidio si delinea a partire dalla grande questione sulla morte
– la morte è un tema che accompagna la filosofia ma su cui domina il
disaccordo. In queste pagine celebri Socrate prende posizione contro il
suicidio giustificando filosoficamente il suo rifiuto. L’argomento del suicidio
si lega come suddetto ad altri temi, tra cui la grande questione del significato
della fine della vita – che cosa significa morire? Per Socrate la morte è la
separazione dell’anima dal corpo, a cui essa sopravvive – ripresa orfica di un
tema che Socrate argomenta filosoficamente: la filosofia è la stessa conferma
che l’anima e il corpo siano separabili. Questa separazione è una delle più
discutibili della metafisica – di contro si staglia la rivalutazione filosofica del
corpo. Invece il Socrate platonico giustifica questa separazione; la filosofia è
un esercizio dell’anima, ed essa non deve avere nulla a che fare con il corpo –
si tratta di una separazione ontologica, per cui l’anima, che sopravvive al
questioni contemporanee c'è la difficoltà di stabilire il termine della vita.
Apparentemente una questione medica, invece questione fortemente filosofica.
Celeberrime sono le pagine in cui Socrate prende posizione contro il suicidio:
illegittimità del suicidio, che giustifica filosoficamente. Siamo dentro il carcere
e ormai a poche ore dalla morte di Socrate. Il racconto (dialogo raccontato) si
verifica la mattina, al tramonto Socrate deve morire. Il suicidio per il filosofo,
per Socrate, non è lecito: questo argomento si lega a quello della fine della
vita, della morte. Cosa significa morire? per Socrate -- influisce qui il contesto
orfico pitagorico -- significa la separazione dell'anima dal corpo. Questa
sopravvivrà al corpo. E abbiamo un'argomentazione che mira a fondare
filosoficamente la separazione corpo-anima. L'esercizio della filosofia ne è la
conferma: sono separabili anima e corpo. La separazione di anima e corpo è
una delle separazioni metafisiche per eccellenza: oggi la si ritiene discutibile.
Oggi abbiamo di moda una filosofia del corpo: rivalutazione filosofica del
corpo. Platone viene tacciato di metafisica. Il Socrate di Platone giustifica
invece questa separazione. La filosofia come tale non deve avere a che fare col
corpo: la filosofia è esercizio dell'anima. Sono separabili ontologicamente, non
solo distinguibili. La storia del corpo è diversa da quella dell'anima. Questa è il
luogo della filosofia: dove domina il corpo non ci può essere filosofia.
Separazione di carattere metafisico tradizione, oggi molto criticata. L'anima è
separabile (separata dal corpo), e la filosofia è esercizio dell'anima. Questa è la
condizione per mostrare l'immortalità dell'anima. La conseguenza
dell'immortalità: Socrate ritiene che i sensi siano per il filosofo un ostacolo:
fuorviano, deviano. Impediscono la pura teoresi. Impediscono di cogliere
l'essenza delle cose: questo è l'accesso al mondo iperuranio, il mondo delle
idee. Il filosofo è ostacolato dai sensi. Questi non dovrebbe essere esposto a
nessuna sensazione o passione. Accesso al mondo iperuranio: la
contemplazione delle idee. Vedere gli oggetti non è conoscenza, invece lo è
cogliere l'idea dell'oggetto. Iperuranio: il mondo oltre il mondo. C'è una
vulgata di Platone che noi dobbiamo abbandonare per seguire questa
argomentazione. Socrate si prepara a mostrare qualcosa che non è per nulla
scontato: che c'è un mondo oltre il mondo. Il mondo non finisce qui per il
filosofo. Nietzsche qui fortemente critica Platone: Nietzsche propone un
platonismo alla rovescia. Per noi è quasi scontato che ci sia un oltre-il-mondo.
1) un piano religioso, o ancora meglio teologico: per Socrate un mondo aldilà
del mondo di qua; non è solo una questione cronologica, ma anche ontologica:
con questo egli prova l'immortalità dell'anima. Questa vivrà nel mondo al di là.
Aldilà è META. Metafisica, ovvero al di là del mondo fisico. Significato
corpo, è il luogo stesso della filosofia. L’anima è separata dal corpo, la
filosofia è il suo esercizio, ciò vuol dire che questa è per Socrate la condizione
per mostrare l’immortalità dell’anima. Una prima conseguenza della teoria
dell’immortalità dell’anima: i sensi sono per il filosofo un ostacolo, poiché
deviano l’anima, impedendole la pura teoresi e cioè di cogliere l’essenza delle
cose, che è l’accesso al mondo iperuranio, delle Idee – nodo importante della
filosofia di Platone. Il filosofo così non deve essere esposto ad alcun tipo di
sensazione. L’accesso al mondo iperuranio è la contemplazione del mondo
delle Idee – la visione dei meri oggetti non da’ la conoscenza. Bensì, la
conoscenza risiede nella contemplazione di un altro mondo oltre il mondo.
Così Socrate si prepara a mostrare un qualcosa che non è scontato nella
tradizione occidentale, ossia l’esistenza di un mondo oltre il mondo – per i
filosofi il mondo non è questo. Tutto ciò implica diversi piani di riflessione. Il
piano religioso o teologico: per Socrate c’è un mondo di qua e un mondo al di
là (questione ontologica), e ciò gli consente di mostrare l’immortalità
dell’anima, che non muore e continuerà ad esistere nel mondo al di là (metà ta
physikà) – il piano teologico implica che il mondo al di là di cui parla Socrate
sia, più che “dopo”, “oltre” il mondo di qua. Un secondo piano è sicuramente
quello filosofico, importante per la gnoseologia di Platone: l’anima può
accedere al mondo oltre il mondo attraverso la conoscenza, specialmente
attraverso la filosofia, che dischiude questo accesso e che permette di ricordare
le Idee delle cose – gli oggetti sono copie del mondo delle Idee. Il piano
filosofico implica che la vera conoscenza sia solo la conoscenza, la
contemplazione, del mondo delle Idee.
Il dialogo raccontato da Fedone si svolge in un lasso di tempo reale che va
dalla mattina al tramonto, quando Socrate effettivamente muore – Socrate è in
attesa di bere il pharmakon; la riflessione cade sul fatto che egli potrebbe, a
questo punto, compiere un gesto di libertà, il gesto del suicidio.
religioso/teologico: c'è un mondo oltre. 2) significato intrecciato al primo:
significato filosofico importante per la gnoseologica di Platone: la nostra
anima può accedere al mondo oltre il mondo attraverso la conoscenza, la
filosofia: questa dischiude questo accesso, questa lo permette, ricordando le
idee nelle cose. Nel mondo di qua sono le copie delle idee. Solo chi si solleva
da questo mondo può provare ad accedere al mondo delle idee. La conoscenza
è solo quella delle idee.
VI. Socrate fa esplicito riferimento alla concezione orfico pitagorica del corpo
carcere e dell'anima in esilio (la vita). L'anima si è incarnata in un corpo, il
carcere. Posta questa concezione misterica, non è lecito darsi alla fuga,
svignarsela. Questo è lo stesso atteggiamento che Socrate ha nei confronti del
proprio carcere. Non fugge da Atene = non fugge dal carcere = non commette
suicidio (corpo-carcere). Coerenza di Socrate. Riferendosi a questa concezione
misterica, non è bene darsi alla fuga. Non è bene suicidarsi poiché siamo
possesso degli dei. C'è una distinzione importante tra gli dei, e i mortali
(possesso degli dei). Questo significa non affermare una sovranità, in questo
egli è mortale e non sovrano per definizione della propria vita: sono altri che
decidono. Quando si afferma invece la sovranità del mortale, è ovvio che si
ammette il suicidio -- atteggiamento tipico della modernità. I mortali invece
sono possesso degli dei. Questa è la religiosità di Socrate. Gli dei hanno cura di
noi, e noi siamo loro possesso. Socrate non è di sua proprietà: punto decisivo
della filosofia. Se io penso di essere di mia proprietà, allora posso stabilire la
fine pur non avendo stabilito l'inizio della mia vita. Per Socrate espropriazione
del mortale che riguarda l'inizio e la fine della vita. La questione del suicidio
riguarda la possibilità di definire il limite, il PERAS. Socrate dice di non poter
definire il PERAS della fine, come non ha potuto stabilire l'inizio. Coerenza di
Socrate. Socrate si rimette a quel divino a cui si è già rimesso in Apologia e
Critone, e perciò non può commettere suicidio, perché sarebbe empio. Così
facendo confermerebbe che la condanna sarebbe giusta. Il suicidio sarebbe
empietà. Fino alla fine Socrate vuole dimostrare che l'accusa di empietà è
ingiusta. Obiezione di Cebete: dire che il suicidio è illecito ed empio; ma come
mai il filosofo non si duole di morire? non c'è contraddizione? Socrate aveva
detto con convinzione che il filosofo non si duole di morire; e Cebete insiste
sul carattere contraddittorio di questa e dell'altra affermazione di Socrate. Se
rimettersi agli dei, che sono buoni reggitori, buoni governatori, perché non ti
duoli di morire? Per la prima volta nel dialogo la morte vuol dire l'abbandono
di quelli che restano. La morte è un congedo/abbandono di coloro che restano.
VI PARAGRAFO. La posizione di Socrate, facendo esplicito riferimento alla
concezione orfico-pitagorica (Filolao è un pitagorico), è questa: la vita umana
è un esilio, un carcere addirittura, dell’anima incarnata. Posta questa
concezione misterica, ne segue la non liceità della fuga – il suo atteggiamento
si mantiene costante e coerente rispetto alla sua posizione assunta già nel
Critone e nell’Apologia. Dunque Socrate non fugge da Atene, non fugge dal
carcere e non commette il suicidio: tre elementi coerenti, perché, per la
concezione orfico-pitagorica, non è bene darsi alla fuga e quindi neanche
suicidarsi, poiché l’uomo è “possesso degli Dei” – distinzione tra mortali e Dei
presente anche nel Fedro. Non si da’ quindi una sovranità del mortale sulla
propria vita, sono gli altri e sono gli Dei a deciderne – laddove si affermi la
sovranità del mortale, lì si ammette la liceità del suicidio. Socrate da’ così
prova della sua religiosità, affermando allo stesso tempo un punto decisivo
nella filosofia: gli Dei hanno cura dell’uomo e lo hanno in possesso; qualora
l’uomo pensasse di essere di sua stessa proprietà, ne verrebbe anche la
possibilità, per l’uomo, di stabilire almeno la fine della propria vita – invece
per Socrate c’è quest’espropriazione del mortale, e nell’inizio e nella fine della
sua vita. La questione del suicidio riguarda la possibilità di definire il peras:
Socrate non ha potuto stabilire il peras che ha inaugurato la sua vita, tantomeno
potrà stabilire il peras che la chiuderà – Socrate si rimette al divino, così come
ha fatto anche negli altri dialoghi. Commettere il suicidio sarebbe un’empietà,
e quindi un gesto di conferma nei confronti dell’accusa di empietà che gli è
stata rivolta – ma Socrate vuole mostrare fino alla fine che l’accusa di empietà
è ingiusta.
Perché Socrate non si rammarica di questo? Socrate sta insinuando che la
morte è un viaggio/passaggio nell'Ade, e un andare verso il meglio: verso altre
divinità e uomini migliori di quelli che sono qui. Quando Socrate si interrompe
c'è ironia da parte sua. Ci saranno dei migliori, degli uomini migliori non sa
dire e non è troppo convinto. Qui la speranza di Socrate: spera/ha fede di
andare verso qualcosa che sia per i morti, e che sia qualcosa di migliore per i
buoni che per i cattivi. PASSO IMPORTANTISSIMO. Ci sono molti strati,
quello religioso, quello filosofico... metafora del viaggio: il congedo. Socrate
non fugge in Tessaglia; ma sceglie l'Ade. Socrate non è rammaricato perché ha
fede che per i morti ci sia qualcosa. Platone sostiene le la via non finisce qui, al
di là della vita. Per i morti c'è qualcosa di migliore. Qualcosa di meglio per i
buoni che per i cattivi. Contrapposizione tra l'eone di là, e l'eone di qua. Luogo
dove c'è giustizia: ci sarà qualcosa che sarà migliore per i buoni. Il Fedone ha
un ruolo chiave nel cristianesimo. Non potremmo immaginarci il cristianesimo
senza Platone. è dalla concezione della separazione corpo-anima, vita oltre e
immortalità che trae il cristianesimo. C'è una forma platonica e addirittura
orfica. Fonte orfica del cristianesimo. Anche se nella teologia cristiana, che
corre parallela alla filosofia, questi elementi sono variamente interpretati.
Senza il Fedone non potremmo immaginarci il cristianesimo.
VIII. Simmia a Socrate: non vorrai andartene via senza dirci questa tua
persuasione. La preoccupazione di Critone: si preoccupa di mangiare/bere, etc.
è un mediocre. Non è portato per la filosofia. Egli si preoccupa che Socrate si
stia infervorando, e questo lo preoccupa materialmente: siccome il veleno, il
PHARMAKON, agirà pietrificando, gelando gli arti, allora Socrate infervorato
avrà bisogni di più dosi di cicuta. Questo intervento di Critone serve a
introdurre la "materialità": per Platone la filosofia è la negazione di questa.
Socrate rivendica di aver speso tutta la vita nella filosofia: nesso tra filosofia e
vita. La filosofia è la vita del filosofo. Socrate non può né rammaricarsi né
avere timore, perché ha fede che non troverà nella morte niente di peggio.
VII PARAGRAFO. Obiezione di Cebete: come mai il filosofo, a detta di
Socrate, non si duole di morire, eppure non può osare il suicidio? Cebete
individua una contraddizione nella questione del suicidio. Simmia, invece,
mette in luce il motivo della morte come abbandono di coloro che restano –
perché Socrate, che si rimette agli Dei, buoni governatori, non si duole di
abbandonare i suoi cari?
VIII PARAGRAFO. Socrate dice che la morte è un passaggio nell’Ade ed è un
andare verso il meglio – divinità è uomini migliori. Ironia di Socrate: non è
sicuro infondo che ci siano uomini migliori di quelli di questo mondo; almeno
può dire ci saranno Dei migliori. La speranza di Socrate è che ci sia qualcosa
di migliore per i buoni, dopo la morte, più che per i cattivi – ha “fede” in
questo. Inizia a questo punto una lunga e compressa argomentazione, che ha
motivi religiosi e filosofici, riguardo alla metafora del viaggio (morte). Socrate
non è rammaricato di congedarsi, perché è convinto di andare nel mondo
dell’al di là. Platone con ciò sostiene che la vita non finisce con la morte, ma
che ci sia un al di là della vita e, per i buoni, qualcosa di migliore. La
contrapposizione dei due mondi getta luce sul tema della giustizia:
l’oltretomba è anche il luogo della giustizia. Il Fedone ha un ruolo centrale nel
Cristianesimo, riguardo al tema della separazione anima-corpo, della vita oltre
la morte, dell’immortalità dell’anima, che prende vita nel Cristianesimo, a
partire da questa trama platonica e addirittura orfica. Nella teologia cristiana,
che corre parallela alla storia della filosofia, questi elementi sono variamente
interpretati – questo per dire che senza il Fedone non si può immaginare il
Cristianesimo. Dunque Simmia vuole che Socrate esplichi la sua persuasione.
IX. Socrate inizia riprendendo la concezione che del filosofo è la più diffusa ad
Atene: che il filosofo è estraneo alla vita, e che perciò in questo
stato/condizione è più vicino alla morte. E sarebbe assurdo avere poi timore di
morire. Socrate riprende un po' la farsa intorno al filosofo: i filosofi moribondi.
Vita ascetica lontano dalle passioni e dal ritmo della vita altrui. Socrate
riprende l'idea sottesa alla farsa: estraneità del filosofo alla vita. Il filosofo
viene preso in giro (pensa al ritratto di Spinoza) come pallido, emaciato, etc. e
come gli altri vedono il filosofo: qualcuno che si allontana dalla vita e quindi si
avvicina alla morte, un moribondo. colui che si estranea dalla vita e dal ritmo
degli altri. Socrate: prendiamo atto che per la maggior parte della gente i
filosofi sono degli estranei, non condividono la vita degli altri. Peculiare
ATOPIA che Socrate rivendica. C'è qualcosa anche di vero. La morte è
qualcosa o è nulla? domanda parmenidea. La morte è qualcosa dice Socrate, e
soprattutto Platone. Qui per la prima volta definizione della morte
importantissima e chiare: separazione del corpo dall'anima, per cui il corpo
rimane per se stante da solo e vice versa. La morte scioglie il connubio ed è
separazione. Socrate da questa definizione, e prosegue legando la morte alla
filosofia: questa è imparare a morire perché questi è sempre vicino alla morte.
Il filosofo deve essere pronto a sopportare la caricatura, perché il vero filosofo
non si cura di mangiare, bere, delle cose d'amore né delle cose belle se non per
la stretta necessità. Il vero filosofo: c'è del vero nella caricatura che Socrate
rivendica. Socrate offre un insegnamento: come dovrebbe essere il vero
filosofo. Lontano dai piaceri del mondo, della materialità, dai bisogni primarii
del corpo: sete fame, sonno -- chi dorme non è filosofo. Lontano dal materiale,
la filosofia è anima. PSYCHE, non SWMA. Qui si condivide l'insegnamento
dei pitagorici: forma di vita all'interno della scuola. Erano i più ascetici, severi,
intransigenti. Questo è l'ideale di filosofia di Platone. Raro trovare il filosofo
che vive immerso nel mondo. Kant ad esempio vive una vita ascetica. Si
Critone, uomo mediocre, dimostra invece che la sua preoccupazione è che
Socrate si stia infervorando, parlando del mondo al di là – si tratta di una
preoccupazione materiale, perché il veleno che berrà agirà pietrificando gli arti
e tutto il corpo, ma se Socrate si scalda, ci vorranno più dosi di cicuta.
L’intervento di Critone è il pretesto per introdurre la questione della
materialità, di cui la filosofia, per Platone, è la negazione. Socrate rivendica di
aver speso tutta la sua vita nella filosofia; la vita del filosofo coincide
pienamente con la sua filosofia, così Socrate non può né rammaricarsi né avere
timore.
IX PARAGRAFO. Inizia l’argomentazione, riprendendo la concezione più
diffusa del filosofo: una figura estranea alla vita, e per questo più vicina alla
morte; sarebbe quindi assurdo sostenere che il filosofo abbia timore di morire –
Socrate in questo modo fa un po’ sua quella farsa che si era costruita nel
mondo greco, specie ad Atene, per cui i filosofi fanno una vita ascetica e si
tengono lontani dalle passioni, sono quasi dei moribondi. L’idea sottesa alla
farsa in questione è quella dell’estraneità del filosofo alla vita, e Socrate
riprende e fa sua questa idea. Il filosofo è pallido ed emaciato agli occhi altrui
– estraneo alla vita e al ritmo usuale della vita degli altri, e vicino alla morte
(moribondo). Per la maggior parte delle persone i filosofi, essendo estranei alla
vita, non condividono la vita degli altri – peculiarità dell’atopia del filosofo,
che Socrate rivendica.
La domanda, quasi parmenidea, è: la morte è qualcosa, o è nulla? La morte è
qualcosa, dice Socrate e dice Platone – per la prima volta c’è in filosofia una
definizione importante della morte. La morte quindi è separazione dell’anima
dal corpo, per cui l’anima ed il corpo rimangono da soli, per se stanti; la morte
scioglie il connubio tra anima e corpo. Socrate dice chiaramente cosa sia la
morte; prosegue legando questo discorso alla filosofia. La filosofia è imparare
a morire, perché il filosofo, più degli altri, è vicino alla morte – rivendica la
caricatura tipica del filosofo moribondo. Il filosofo è pronto a sopportare la
caricatura, in cui c’è qualcosa di vero: il filosofo non si cura dei beni materiali,
ma solo dello stretto necessario, e in sostanza si occupa solo dell’anima.
Socrate ci sta dicendo come dovrebbe essere il vero filosofo, ossia lontano
dalla materialità e dai bisogni primari, dal piacere e anche dalla stanchezza del
sonno – la filosofia difatti sta nella veglia. La filosofia è psychè, non è soma –
riprende e condivide l’insegnamento dei pitagorici.
Nell’antica Grecia la filosofia era un modo di vita insegnato nelle scuole: i
pitagorici erano i più ascetici e intransigenti, rappresentando al meglio questo
innamorò solo una volta ma fece un passo indietro: celibato del filosofo. La
fama di vita filosofica è il celibato. Per Kant sono tutte misure per vivere la
vita più ascetica possibile. Non ci doveva essere nulla che potesse ostacolare i
suoi pensieri. Questa esigenza della vita filosofica come ascetica, come lontana
dalla materialità... è qui nel Fedone per la prima volta. Fare filosofia è scegliere
una forma di vita. Il filosofo non condivide la vita degli altri, perché deve
allontanarsi dalla materialità, e ciò perché la filosofia ha a che fare con l'anima,
con la PSYCHE. I filosofi, a differenza degli altri che cercano equilibrio tra
anima e corpo, questi NO. solo l'anima. IMP: questo Platone anche in seguito.
I filosofi sono qualcosa a parte: quando parlerà della filosofia nel mito
celeberrimo dirà che i filosofi non sono come/a livello degli altri mortali.
Pensiamo quanto la nostra epoca sia a-filosofica per la sua immanenza nella
materialità. Chi filosofa sta male! rinunzia a quella materialità condivisa dagli
altri. Il volto (perché questa concezione è aristocratica) pensa che il filosofo
non prova piacere alla materialità? Il filosofo prova un altro piacere perché ha
accesso alla PSYCHE. Viene a torto compianto. In questa concezione popolare
il filosofo avrebbe in spregio la vita; ma non è così. Si tratta di scegliere la vita
che si indirizza all'anima e non al corpo, perché altrimenti non potrebbe
mettere quelle ali di cui parla il Fedro.
X. se la filosofia come Platone la delinea: amore per la sapienza, il corpo è un
cattivo compagno? SI'. Passo importante per le conseguenze filosofiche che
avrà: i sensi ingannano, e in particolare vista e udito. Anche se proprio questi
dovrebbero essere i più affidabili, eppure ingannano. Qui ci avviamo verso un
ideale di conoscenza che fa a meno dei sensi: questa concezione dei sensi
attraverserà per secoli la filosofia. Per i greci il senso per eccellenza è la vista.
THEOREIN ha a che fare con la vista. Platone fa dire a Socrate
(coerentemente al rifiuto della materialità) che i sensi ingannano: la
gnoseologia di Platone è tale che i sensi non giocano alcuni ruolo, anzi la
conoscenza si fa come distanza dai sensi. Questo LOGIZESTAI, questo
argomentare/ragionare si da nel congedo dal corpo: questa la condizione del
filosofare. Quindi la filosofia è una forma di morte. La filosofia è un
congedarsi dell'anima dal corpo. 2 profondi significati di filosofia: 1.
congedo/separazione dal corpo; 2. e perché necessità un allontanamento dalla
materialità della vita, così dunque il filosofo non vive. allontanandosi dalla vita
il filosofo non vive. La distanza terribile dagli altri che conducono la vita più
comune: solitudine del filosofo. Nell'antichità c'erano le scuole filosofiche
anche per autodifesa per i filosofi: condividere la forma di vita per proteggersi
modello/ideale del filosofo promosso da Socrate. È raro imbattersi nel filosofo
tutto immerso nel mondo, ed è molto più frequente pensare al filosofo, anche
successivamente a Platone, nella sua vita ascetica. Non si tratta comunque di
un’ideale severo di filosofia, poiché tra i filosofi è piuttosto comune – Kant
adottava una misura di vita molto ascetica, per cui i riti quotidiani sono solo
semplici consuetudini, le più strette necessarie, che non ostacolino i pensieri.
Per la prima volta troviamo questo modello filosofico di vita proprio nel
Fedone. Il filosofo non condivide la vita degli altri, deve allontanarsi dalla
materialità – la vita ha a che fare con la psychè sola. A differenza degli altri
uomini, alla ricerca di un equilibrio tra l’anima e il corpo, al filosofo è dato
curarsi solo dell’anima. I filosofi, ci dice Socrate, non sono come gli altri
mortali – questo dirà Platone quando parlerà della filosofia con il mito, che i
filosofi non sono allo stesso livello degli altri mortali. La filosofia fa star male,
impone la rinuncia della materialità condivisa dagli altri; il volgo pensa che il
filosofo non provi piacere nella materialità; il punto è che egli sa provare un
altro piacere, a cui gli altri uomini non hanno accesso – e per questo viene
compianto. In realtà il filosofo non ha in spregio la vita, avendo
un’inclinazione a morire; ma egli sceglie una vita indirizzata all’anima, non al
corpo.
X PARAGRAFO. In questa ricerca della sophia, il corpo è un cattivo
compagno – i sensi ingannano, specialmente la vista e l’udito, che dovrebbero
anche essere i sensi più affidabili. È evidente che, con questo rovesciamento, ci
si avvia ad un ideale di conoscenza che fa a meno dei sensi – questa
concezione dei sensi attraverserà per secoli la filosofia, e quanto ai greci, che
considerano la vista il senso per eccellenza, ha delle importanti conseguenza. Il
theorein è il vedere – la teoresi ha a che fare con la vista. I sensi che ci
collegano alla materialità non ci portano alla verità, ma ingannano – la
gnoseologia (teoria della conoscenza) di Platone non chiama in gioco i sensi,
anzi, la conoscenza si da’ nella lontananza da essi. Questo loghizomai
(ragionare) si da’ nel congedo dal corpo; la condizione della filosofia è una
sorta di morte, in cui l’anima si separa dal corpo; la filosofia è un congedo
dell’anima dal corpo, come la vera morte, e come tale richiede un
allontanamento dalla materialità. Due sensi profondi di filosofia: chi fa
filosofia non vive, il che implica una distanza terribile dagli altri che
condividono la materialità; quindi per il filosofo si da’ la solitudine.
Nell’antichità le scuole erano una sorta di autodifesa da parte dei filosofi, per
proteggersi rispetto agli altri, e riuscendo a condividere questa forma di vita – è
dagli altri. Un modo per rendere più facile il compito. Anche l'Accademia è
così. Per i greci era importante la forma di vita, lo è anche per Platone. L'anima
ragiona con migliore purezza se non è conturbata. L'esempio della vita di Kant.
L'anima che cerca un accesso alla conoscenza della Verità è quella che si
raccoglie in se stessa (concentrazione dell'anima in se stessa) che noi abbiamo
quasi perduto. Qui Socrate inizia a delineare la dottrina delle idee: è Socrate
che chiede TI ESTI, il che cos'è, e la risposta è la questione dell'essenza. Il
filosofo cerca l'essenza delle cose, cioè una verità che si sottrae ai sensi, una
Verità intima, interna alle cose. La Verità che Socrate cerca è la Verità dietro
alle cose. Noi abbiamo un tale modo metafisico (platonico) di pensare che
questo ci appare ovvio. Come i sensi sono inaffidabili, così il filosofo non può
fermarsi all'esteriorità; ma cerca l'OUSIA, l'essenza. La conoscenza quale il
Socrate platonico qui comincia a delineare è una che va al di là del mondo
apparente. Qui nasce la convinzione che questo sia il mondo apparente. Non
soltanto Platone, ma in quasi tutta la storia della filosofia. Il filosofo non si
accontenta di come il mondo si da nella sua apparenza; ma cerca qualcosa che
si nasconde dietro le cose, una Verità dietro alle cose. Cercare qualcosa di
altro, una Verità altra. Se questi si accontentasse di descrivere il mondo
apparente, non sarebbe più animato dall'aspirazione a scoprire l'Aletheia.
Ormai siamo nel cuore della teoria di Platone. Abbiamo accennato alla teoria
delle idee... incontreremo la parola Verità, che ha avuto una fortuna nella storia
della filosofia. ALETHEIA: parola molto complessa, tradotta con verità, e però
è una parola complessa e su cui dovremo fermarci. non è un caso che sia
introdotta nel Fedone. Parola chiave della filosofia, perché è la prima grande
riflessione sulla Verità in filosofia. Riflessione al limite tra il LOGOS e il
MYTHOS, tra discorso e favola. La ritroveremo nella filosofia di Heidegger,
che egli riprende, e avalla l'etimologia che offre Platone. Questa è costituita da
alpha privativo. La parola inizia con un alpha di significato negativo: 2 rinvii:
1. a LANTHANEIN, dimenticare; 2. al LETHE, fiume che passa nell'Ade. Non
ci stupisce che se ne parli a proposito dell'immortalità dell'anima, e dell'oltre
mondo. Tutto ciò nel solco di Platone.
65b9 quando si dice POTE OUN: parola che ricorrerà ancora e fa parte del
linguaggio di Platone e non di Socrate. Abbiamo affrontato il rapporto tra
filosofia e morte; anzitutto la questione del suicidio, ed abbiamo esaminato in
questo dialogo narrato la posizione molto radicale e decisiva per la tradizione:
morte e filosofia, prepararsi a morire. La filosofia non è una disciplina come le
altre. Oggi è la più reietta, e non è un caso. Per secoli era la regina delle
un modo per rendere più facile il compito di filosofo, che è un percorso di
ascesi. La forma di vita filosofica vuole un’anima non conturbata dalla
materialità, ma raccolta in se stessa; l’anima cerca un accesso alla conoscenza
della verità, nel raccoglimento di se stessa – questo raccogliersi equivale alla
concentrazione, che è il modo per conoscere la verità.
Platone inizia a delineare la dottrina delle Idee – risposta al “ti esti”, la
questione dell’essenza delle cose. Il filosofo cerca l’essenza delle cose, ossia
una verità che si sottrae ai sensi – è una verità intima, interiore, non esterna né
accessibile ai sensi. Il filosofo non si può fermare a ciò che appare e a ciò che
dicono i sensi, se egli cerca la verità interna, l’ousia, l’essenza delle cose. La
conoscenza del Socrate platonico va al di là del mondo apparente; nasce qui la
convinzione che il mondo sia apparente, e che il filosofo debba ricercare una
realtà ulteriore, perché non si accontenti del mondo quale si da’ nell’esteriorità;
così cerca una verità altra, dietro le cose. La filosofia è la ricerca della verità
dietro le cose; se il filosofo si accontentasse di descrivere il mondo apparente
non sarebbe un filosofo, perché non animato dall’aspirazione a scoprire
l’aletheia. Siamo nel cuore della filosofia di Platone, in cui non solo emerge la
dottrina delle Idee ma soprattutto la parola “aletheia” – parola complessa,
tradotta con verità, molto significativa per queste pagine e parola chiave della
filosofia. Si tratta della prima grande riflessione sulla verità nella filosofia, che
nel solco di Platone si situa al limite tra il logos (discorso) e il mythos (favola)
– Heidegger nella sua filosofia riprenderà questo termine nella sua etimologia,
offerta da Platone (a-lethe). La verità comincia quindi con una lettera che ha un
significato privativo e negativo; ci sono anche due rinvii, uno alla parola
“lanthano” (dimenticare) e al lethe (fiume della dimenticanza, che scorre
nell’Ade). La parola aletheia fa parte più che altro del linguaggio di Platone,
non di Socrate.
Fin ora si è affrontata la questione del rapporto tra filosofia e morte, che ha
aperto il problema del suicidio, in un dialogo raccontato che delinea la
posizione di Socrate, radicale e decisiva per lo sviluppo della filosofia su
questo suo legame e nesso fondamentale con la morte. La filosofia quindi non
è una disciplina come le altre; è una forma di vita – separazione della psychè
dal soma, preparazione alla morte (sostrato orfico-pitagorico di Platone)
all’insegna dell’abbandono di tutto ciò che è materiale e della concentrazione
dell’anima su se stessa (posizione connessa con la teoria delle Idee). Per
Platone la verità è opposta all’apparenza sensibile, che inganna la conoscenza
– ciò che appare è appunto apparenza, dietro cui c’è un retro mondo, il mondo
scienze, pur non essendo una di queste: la filosofia (Platone) è una forma di
vita, di concentrazione della PSYCHE con se stessa e allontanamento dal
SOMA. In questa separazione la preparazione alla morte. Non è uno slogan;
ma la convinzione di Platone con sostrato orfico per cui il filosofo debba
separarsi col corpo di tutto ciò che ha a che fare con la sensibilità.
Concentrazione della PSYCHE con se stessa. Non è un dogma; ma è
strettamente connessa con la teoria delle idee: per Platone la verità è separata e
opposta all'apparenza sensibile che inganna. Anche quando si conoscono gli
oggetti bisogna tenersi alla larga dai sensi. Ciò che appare è apparenza, dietro
c'è un retro mondo che è il mondo vero. Nella filosofia contemporanea questa
separazione corpo-anima viene vista, a partire da Nietzsche, come una
separazione metafisica. Imputando Platone viene fortemente contestata come
ipoteca metafisica. Leitmotiv: la Verità e la conoscenza appartengono al retro
mondo. A differenza di Apologia e Critone, nel Fedone c'è molto più di
Platone e soprattutto la narrazione, il racconto della morte di Socrate è
l'occasione per Platone di delineare la sua filosofia, incominciando a delineare
le sue convinzioni filosofiche. Quando leggeremo le 3 prove fornite per
l'immortalità dell'anima... queste possono convincere o no; ma questo sono a
loro volta il modo per introdurre argomenti filosofici della filosofia di Platone.
Su queste 3 prove fiumi d'inchiostro. Mendelsohn ha scritto a sua volta un
Fedone le riprende. Queste tre prove ritorneranno nella storia della filosofia. In
Gadamer (saggio sul Fedone) questi dice: forse Platone stesso non crede a
queste 3 prove. Per Platone stesso queste sono un esercizio dialettico, forse
sono introdotto per acquietare il bambino che è in noi, che ha timore della
morte; ma ci portano al grande finale della fine del filosofo che è conferma
della filosofia di Socrate, indipendentemente dalle 3 prove. Il valore del
Fedone non è legato alle 3 prove; ma è molto di più.
X. Qui viene introdotto un sospetto, quello del filosofo: quello che distingue la
filosofia dal senso comune: i sensi ingannano, e non ci restituiscono le cose
come sono. Se questo vale per vista e udito, figuriamoci per gli altri sensi. Qui
viene raccolto un dubbio che, come già nei presocratici; ma qui è diversa: il
dubbio che questi restituiscono solo l'apparenza, che è al massimo parte della
Verità. La gerarchia dei sensi resta relativamente intatta nella filosofia a partire
da Platone e Aristotele: vista e udito; ma per i greci, e questo determina la
civiltà occidentale, ciò che conta è la vista, non l'udito, anche se Aristotele
riconosce il nesso di questo col linguaggio. Con poche eccezioni le cose
rimangono oggi ancora così. Il corpo è di impedimento alla ricerca della Verità
del vero, che esiste e dove l’anima trasmigra. Nella filosofia contemporanea, a
partire da Nietzsche, la separazione corpo-anima è vista come metafisica, la cui
colpa è imputata a Platone – ma tale separazione e convinzione che la
conoscenza abbia a che fare con il retro mondo è il Leitmotiv di tutta la storia
della filosofia. Con l’immortalità dell’anima, a differenza del Critone e
dell’Apologia, Platone è sicuramente più presente come filosofo, mentre la
figura di Socrate è più circoscritta – il racconto della morte del filosofo è
l’occasione per Platone per delineare la sua filosofia. Le tre prove a venire
dell’immortalità dell’anima potranno essere più o meno convincenti; ma esse
sono specialmente il modo in cui introdurre argomenti filosofici – su esse è
stato comunque scritto molto. Gadamer, a tal proposito, scrive che forse le tre
prove sono una sorta di esercizio dialettico, introdotte per acquietare il
“bambino” nell’uomo che teme la morte; ma è certo che esse conducono al
grande finale del Fedone, ossia la fine del filosofo – la morte è la riconferma
della sua vita, indipendentemente dalle tre prove, che non esauriscono
sicuramente il valore del Fedone.
Quindi, a questo punto del dialogo, viene introdotto un sospetto, che è il
sospetto del filosofo e che distingue la filosofia dal senso comune: il sospetto
riguarda l’affidabilità dei sensi, che invece sono ritenuti ingannevoli e non
idonei a restituire le cose come sono – ciò vale per la vista e per l’udito, e a
maggior ragione per gli altri sensi. Così viene raccolto un dubbio, la
perplessità, che corre anche attraverso i presocratici, cioè che i sensi
restituiscano solo l’apparenza, la quale è solo una parte della verità. La
gerarchia dei sensi resta relativamente intatta nel corso della storia della
filosofia, a partire da Platone e Aristotele. Per i Greci che determineranno la
cultura occidentale ciò che conta è la vista, non l’udito – anche se già
Aristotele riconosce il nesso tra l’udito e il linguaggio. La gerarchia dei sensi,
al cui vertice c’è la vista, resterà intatta salvo poche eccezioni. Il corpo per
Platone è un impedimento nella ricerca della verità, ossia il cammino della
psychè verso l’aletheia; i sensi sono ingannevoli perché sono corporei.
Passo importante, 65. Tutto è formulato in forma di domanda; le domande
sono diverse rispetto ai primi dialoghi, perché sono più retoriche,
presuppongono già una convinzione. Si sta dicendo qualcosa di paradossale:
per cogliere la realtà ultima di un oggetto la vista non aiuta; ma, anzi, ci si
avvicina alla realtà ultima distogliendo lo sguardo. Questo è ciò che dice
Platone e la maggior parte dei filosofi con e dopo di lui – questo è il cuore
della filosofia, dato che il filosofo è convinto ci sia un retro mondo, un mondo
-- PSYCHE verso l'ALETHEIA, e in questo il SOMA è di impedimento. I
sensi sono ingannevoli in quanto corporei, e quindi tocca separarsi dal corpo.
PASSO IMPORTANTISSIMO: tutto è formulato in forma di domanda; ma
differentemente ai primi dialoghi, sono domande retoriche. Qui si dice
qualcosa di "paradossale" (da PARA-DOXA). Qualcuno direbbe che è una
follia dire che la vista non permette di conoscere la foglia, la sua essenza, e
anzi distogliendosi si coglie la realtà ultima della foglia. Eppure è così per
Platone e così per la maggioranza dei filosofi con e dopo Platone. Qui il cuore
della filosofia: il filosofo è convinto che ci sia un retro mondo, un mondo
dietro, una realtà ultima dietro l'apparenza. Per nulla conoscenza attraverso i
sensi e nel cammino delle altre scienze il cammino della filosofia è opposto. E
questo quando c'è il sospetto che il mondo non finisca qui, il filosofo è quello
che cerca la Verità dietro le cose. Qui il cuore della filosofia. Sicuramente per
Platone. E vedremo come Platone costruisce si questo la sua filosofia, e la
maggior parte dei filosofi pensa questo. Qui Platone è l'allievo di Socrate
perché questi introduce il TI ESTI, il che cos'è, ad esempio che cos'è la virtù?
Socrate introduce questa domanda che Wittgenstein nel '900... cfr. LIBRO
BLU E MARRONE: "con questa domanda Socrate introduce la metafisica, e
tutta la tradizione di questa". Socrate non si accontenta, ma chiede "che cos'è",
qual è l'essenza, la definizione, la realtà ultima, l'idea. è fuorviante mettersi ad
ispezionare per conoscere: il filosofo si interroga sull'idea, che è l'essenza
ultima. Qui la differenza tra la domanda scientifica e quella filosofica, lo
scienziato guarda ma ha anche una serie di apparecchi e strumenti. Al filosofo
questo non interessa. Il filosofo fa qualcosa di diverso, non è che rinunzia a
qualcosa. Per il filosofo fare quell'altro è una perdita di tempo. Egli si volta e si
concentra nella sua PSYCHE, per cogliere l'idea, l'essenza, per rispondere al TI
ESTI. Qui lo spartiacque tra domanda scientifica e domanda filosofica. Oggi la
filosofia è messa con le spalle al muro, e oggi è succube della scienza, e si
imita il modello gnoseologico della scienza. Per Platone non è così. Platone
non si lascia distrarre, egli non guarda, non si distoglie. Impostazione
completamente differente della filosofia in genere. Solo chi si appresta a
penetrare con il pensiero... i sensi non servono a nulla, sono fuorvianti. La
conoscenza della filosofia è astrazione dal corpo, dai sensi: così si coglie la
Verità. Chi lascia che la sua PSYCHE imperturbata, nella sua purezza, non
contaminata dai sensi: questa si avvicina all'ALETHEIA, solo questa può. Il TI
ESTI richiede un esercizio dell'anima; senza questo non è possibile avvicinarsi
alla Verità.
ultimo al di là della sua apparenza, e che la conoscenza ultima non passi
attraverso i sensi, né per il cammino delle altre scienze, ma per un cammino
opposto e che parte da quel sospetto che invece inaugura la filosofia, ossia che
il mondo non si esaurisca nell’apparenza. Da questo nucleo Platone costituisce
tutta la sua filosofia; Platone è qui l’allievo di Socrate, il filosofo che introduce
la domanda “ti esti” – che cos’è la virtù/la forza/la grandezza? Socrate nei
dialoghi di Platone introduce la domanda filosofica inaugurale, e che i filosofi
del ‘900 gli rimproverano – Wittgenstein nel libro blu e nel libro marrone dice
che con queste domanda Socrate ha introdotto la metafisica e tutta la tradizione
metafisica. Socrate si chiede l’essenza e la realtà ultima delle cose, perché
infondo non si vuole conoscere l’apparenza degli oggetti o gli esempi concreti,
ma l’idea che c’è dietro questi – differenza tra la domanda scientifica e
filosofica. Il filosofo non rinuncia a qualcosa; ma la conoscenza che si perde
nella ricerca di cose concrete è fuorviante; il filosofo si volta, si raccoglie nella
sua anima per capire l’idea dell’oggetto e coglierne l’essenza e quindi
rispondere alla domanda “ti esti” – questo è lo spartiacque tra la domanda
scientifica e quella filosofica. Ora la filosofia è succube del modello
gnoseologico della scienza – per Platone invece si tratta di impostazioni
completamente differenti. Solo chi si appresta a penetrare l’oggetto con
l’interiorità del pensiero raggiunge la conoscenza. La conoscenza del filosofo è
astrazione dal corpo e dai sensi – non servono a nulla e sono fuorvianti. Invece
chi coglie la verità astrae dai sensi e lascia che la sua anima imperturbata e
pura, cioè non contaminata dai sensi, si avvicini all’aletheia. La domanda
filosofica, ti esti, richiede anche un esercizio dell’anima, perché si avvicini alla
verità.
XI. Qui Platone inizia una riflessione estremamente critica del corpo: ostacolo
e impedimento perché ci rinvia, oltre che alla finitezza, anche alla materialità,
ai bisogni corporei, che ostacolano il cammino dell'Anima verso la Verità. La
filosofia è un esercizio per sottrarsi al dominio del corpo. Dove questo corpo
prevale imponendo i bisogni di cui fanno parte anche paure, passioni,
immaginazioni... qui naufragio del pensiero, nel corpo. Il corpo è ostacolo:
tutto ciò che è dettato dal corpo è negativo: come le guerre ad esempio. Per
questo il filosofo è in contrasto col corpo.
66c "bisogna spogliarsi del corpo, e guardare con la sola anima pura, la pura
realtà delle cose". Questa frase è evidente, è una frase in cui Platone rinvia alla
teoria delle idee. Platone, pur non delineandola in quest'opera, vi fa sempre
riferimento. Solo spogliandosi del corpo, si permette, con l'anima, la pura
contemplazione. AGRAPHTA DOGMATA: secondo la scuola di Tubinga...
sviluppi ulteriori della teoria delle idee. Matematizzazione della teoria, come
teoria delle idee-numeri. La filosofia è contemplazione, e non ce ne stupiamo;
THEOREIN vuol dire vedere, contemplare; ma in modo puro, non
contaminato. Guardare non con gli occhi; ma con l'anima pura la pura realtà:
questa è l'idea, ma che cos'è l'idea? L'oggetto è copia dell'idea, imitazione
dell'idea che è il modello di... IDEA rinvia ad EIDOS e a IDEA, che tutto
sommato sono sinonimi. L'idea è l'essenza, la realtà ultima; ma ancora, cos'è
l'idea? certamente per Platone gli oggetti del mondo in cui noi viviamo sono
imitazioni, copie; questo squalifica enormemente il nostro mondo. Imitazione
dell'idea: tutti gli oggetti reali, concreti, sono imitazione dell'idea, e questa è
molto più reale in quanto è essenza pura di... non ci arriviamo però
kantianamente, esaminando il fenomeno, sapendo che c'è sempre un noumeno,
residuo della cosa in sé... Per Platone noi vediamo l'idea. EIDOS ha a che
vedere con la vista, quella dell'anima. La PSYCHE, concentrandosi, vede l'idea
a cui partecipano gli oggetti. RAPPORTO DI PARTECIPAZIONE, oggetto
partecipa dell'idea di... c'è un mondo delle idee, il mondo VERO, dietro il
mondo degli oggetti apparenti che ne sono imitazione. A questo mondo mira il
filosofo; e il filosofo non ha bisogno di passare attraverso gli oggetti concreti:
la filosofia guarda direttamente all'idea, senza ostacoli. Follia? perché lo dice
in queste pagine? perché questo è il mondo oltre. Il mondo oltre il mondo, il
retro mondo. E ha a che fare con l'immortalità dell'anima, perché la conoscenza
è anamnestica, è ricordo di quello che l'anima ha veduto nel mondo al di là. La
concezione della metempsicosi: trasmigrazione (prima prova) serve a Platone
per dare un fondamento mitologico all'anima, che prima di reincarnarsi ha
XI PARAGRAFO. Platone inizia una riflessione molto critica del corpo: esso è
ostacolo ed impedimento, perché rinvia alla nostra finitezza, specialmente alla
materialità, quindi al bisogno, che va contro rispetto al cammino dell’anima in
cerca della verità. La filosofia, a tutti gli effetti, è un esercizio per sottrarsi al
dominio del corpo – paure, sensazioni, persino immaginazione, dove avviene il
naufragio del pensiero. Il corpo è ostacolo e detta ciò che è negativo, anche le
guerre, e tutti quei bisogni materiali rispetto a cui la filosofia non può che
essere in contrasto. Bisogna spogliarsi del corpo, il che permette la pura
contemplazione della pura realtà delle cose – frase in cui Platone rinvia alla
teoria delle Idee, che è una teoria che in realtà lui non delinea mai davvero in
nessuna opera, ma a cui fa sempre riferimento. Si tratta di una teoria, come gli
agrapha dogmata, non scritta – nella scuola di Tubinga si da’ una
matematizzazione della teoria delle Idee. Platone ci dice anche che la filosofia
è contemplazione – il verbo è “theorein”, cioè “vedere/contemplare” in modo
pure e incontaminato. La contemplazione è lo sguardo della psychè, non degli
occhi, e che guarda alla pura realtà – non è la realtà sensibile di un oggetto, la
cui conoscenza passa attraverso i sensi, bensì, la realtà ultima , è l’idea
dell’oggetto, di cui esso è l’imitazione, la copia. La parola “idea” è “eidos” o
“idea”, che sta anche per “modello”, cioè l’essenza intima – ma che cos’è
quest’idea e da dove viene? Certamente per Platone gli oggetti del mondo in
cui viviamo sono imitazioni e copie dell’idea di un dato oggetto – modo per
squalificare il mondo in cui viviamo. L’idea di un oggetto è paradossalmente
più reale dell’oggetto stesso, di tutte le imitazioni, perché ne costituisce
l’essenza ultima. Quest’idea non è qualcosa a cui si arriva kantianamente, per
cui si cerca di conoscere il fenomeno, sapendo che c’è un noumeno. Invece,
per Platone, noi vediamo l’idea di un oggetto – eidos, idea, ha a che fare con la
vista che appartiene alla psychè, che concentrandosi vede l’idea, a cui
partecipano tutte le sue imitazioni. Quindi il rapporto tra l’idea e la copia è di
partecipazione – c’è un mondo delle Idee, dietro il mondo delle cose che
appaiono, che è il vero mondo. il filosofo guarda l’idea; alla filosofia interessa
il mondo delle Idee – il filosofo non passa per gli oggetti concreti (ostacoli) per
arrivare all’Idea. Perché Platone arriva a dire questo? Il mondo delle Idee è il
mondo oltre, al di là del mondo in cui viviamo, il retro mondo, ed ha a che
vedere con il discorso che tratterà l’immortalità dell’anima. La conoscenza è
anamnestica, cioè ricordo di ciò che l’anima ha visto nel mondo al di là –
concezione della metempsicosi che costituirà la prima prova dell’immortalità
dell’anima serve per dare un fondamento mitologico alla sua convinzione, per
cui l’anima, separata dal corpo, ha potuto contemplare il mondo delle Idee e
potuto contemplare il mondo delle idee, attraversare la PIANURA
DELL'ALETHEIA. Per il filosofo infatti... egli non si accontenta del mondo
che appare, egli si concentra per ricordare le idee che ha visto nel mondo al di
là: LA CONOSCENZA E' RICORDO. Questa contemplazione è stata possibile
in quanto l'anima è stata completamente separata dal corpo, ed è nuovamente
possibile solo se l'anima si scioglie dal corpo.
67a di nuovo la morte acquista un significato di liberazione. Se la filosofia è
sforzo di sciogliere l'anima dal corpo, che solo così ha visto le idee, allora...
Questa concezione della morte come liberazione dal carcere (orfico-pitagorica
e platonica) non è per nulla scontata. Determinerà in modo decisivo la
tradizione filosofica, il cristianesimo, l'Occidente: ha forti ricadute teologiche.
Non è detto che si debba condividere. Fa tutt'uno con l'immortalità dell'anima.
Non troviamo ad esempio questa concezione nell'ebraismo.
p.29 la filosofia è il tentativo continuo e reiterato che l'anima si sciolga dal
corpo, di congedarsi da questo; la morte è il congedo. La morte come evento:
trasmigrazione, e quindi non è un nulla. L'anima va verso il mondo degli dei
dove sarà in compagnia di esseri puri, le idee e potrà contemplare la Verità.
XII. Quando il filosofo è in prossimità della morte non può avere timore,
paura, preoccupazione... solo speranza che si realizzi ciò che ha tentato in vita:
la visione pura delle idee. Estasi di Socrate. I filosofi tentano continuamente di
sciogliere e separare l'anima dal corpo, questo è la morte, e il filosofo gioirà di
questa separazione. Il filosofo si tiene vicino al ??? perché la forma di vita
filosofica è lontana dai sensi, dalle perturbazioni, etc. è quella forma vicina alla
morte. Il filosofo non si rammarica della morte. Per i filosofi una definizione di
filosofia: imparare a morire, avvicinarsi alla morte. Studiando la filosofia si
impara a morire. La filosofia come disciplina ha uno statuto sui generis. Solo la
filosofia ha questo statuto. Per nulla il filosofo può temere la morte. Socrate si
sta preparando alla prova. Superare il limite estremo, deve mostrare agli altri e
a se stesso che egli ha imparato a morire. Mostrarlo agli altri e a se stesso. Se
Socrate fosse preso da paura si contraddirebbe. Nell'Ade c'è ciò a cui ha
sempre aspirato. Socrate si prepara ad affrontare la prova dicendo che il
filosofo è convinto per necessità che dopo la morte troverà nell'Ade ciò che ha
sempre cercato. Il paragone di chi ha perso i cari. Il filosofo troverò nell'Ade la
SOPHIA a cui ha aspirato in vita, altrimenti non è filosofo.
attraversare la pianura dell’aletheia (immagine filosofica della verità). Per il
filosofo non basta il mondo che appare, fatto di copie, ma egli si concentra per
vedere, contemplare e ricordare le Idee che ha visto nel mondo al di là. La
conoscenza è ricordo. Questa contemplazione delle Idee è stata possibile,
quindi l’anima è stata separata dal corpo; è possibile questa contemplazione
quando l’anima si scioglie dal corpo. La morte, per il filosofo, acquista il
significato della liberazione dell’anima dal corpo, per raggiungere la
contemplazione delle Idee – concezione orfico pitagorica, poi platonica, della
separazione anima-corpo, non è scontata, ma determinerà in modo decisivo la
tradizione filosofica occidentale, e soprattutto il Cristianesimo. La concezione
della morte ha forte ricadute teologiche, soprattutto nella teoria
dell’immortalità dell’anima. La filosofia è quel tentativo continuo e reiterato di
far sì che l’anima si congedi dal corpo; invece la morte è il congedo dal corpo
vero e proprio, e come evento costituisce la trasmigrazione dell’anima, che va
verso il mondo delle Idee, in cui sarà in compagnia di esseri liberi e puri, e
dove potrà contemplare la verità.
XII PARAGRAFO. Quando il filosofo è in prossimità della morte non può
avere timore, né può avere altro che la speranza che finalmente si realizzi ciò
che ha tentato in vita – contemplazione delle Idee. I filosofi tentano solo e
sempre di sciogliere l’anima dal corpo, e alla morte gioiranno di questa
separazione. Il filosofo si tiene vicino al morire, perché la forma di vita
filosofica è lontana dai sensi, dalle perturbazioni – quando il morire giunge, il
filosofo non si può rammaricare. Definizione della filosofia: la filosofia è
imparare a morire e avvicinarsi alla morte – la filosofia come disciplina ha uno
statuto sui generis. È evidente che Socrate si stia preparando alla prova:
affrontare il limite estremo della sua vita – deve dimostrare a se stesso e agli
altri che si è esercitato a morire, deve cioè dimostrare il valore della filosofia e
confermare quello che ha detto e fatto in vita, cioè imparare a morire. Infatti, se
egli fosse preso dalla paura, ciò risulterebbe una contraddizione, perché
nell’Ade c’è quel che Socrate ha sempre desiderato – è evidente che Socrate si
prepara alla morte, dicendo che il filosofo è convinto, e non può non esserlo,
che nell’Ade troverà ciò che ha sempre cercato.
XIII. opposizione molto forte tra i più, gli amanti del corpo, che non si curano
e non amano la SOFIA e cedono al corpo, e coloro che la amano e non possono
che scegliere di allontanarsi dal corpo. Elenco delle Virtù.
XIV. Qui cominciano le prove dell'immortalità dell'Anima. La I è la prova dei
contrarii. Ci interessa il modo con cui Platone introduce la prova.
INCREDULITA' e DISINCANTO [non so perché ho scritto Max Weber].
Platone sottolinea l'incredulità che va di pari passo con la paura che l'anima si
dissipi come un soffio al momento della morte. Con l'incredulità si introducono
le prove. Sembra che neanche Platone ci creda alle prove. Sarebbe bellissimo
se l'anima rinascesse tutta racchiusa in se stessa. Le 3 prove dovranno
dimostrare che l'anima continua a vivere conservando potere ed intelligenza.
NB: incredulità che Platone attribuisce agli altri, è l'incredulità di tutti. Platone
introduce le prove; ma sa che il potere di esse è limitato (cfr. Gadamer). Ma le
prove servono a poco. Ciò che dimostra l'immortalità dell'anima è il modo in
cui Socrate muore. Quello che è importante è che Platone riconosca il
disincanto, il "sarebbe bello" dell'anima che contempla il mondo delle idee.
Prove rispetto alle quali Platone stesso è perplesso, e tuttavia sono importanti,
in particolare LA SECONDA: ripresa della teoria della conoscenza delle idee,
dove viene motivato il concetto del ricordo: conoscenza anamnestica. La prima
prova, che come modello di prova filosofica sarà ripresa anche dopo Platone
diverse volte, come modello di riferimento. Questa prova risente delle
riflessioni che noi troviamo nei Presocratici, in particolare la riflessione che
aveva occupato quasi tutti: essere e divenire, e come si può filosoficamente
spiegare il divenire.
XV. L'immortalità dell'anima vuol dire che è possibile che le anime esistano
nell'Ade, nell'oltre-tomba. Questa è una ripresa della teoria della metempsicosi,
della trasmigrazione delle anime. Importantissima in Platone, è importante sia
per il LOGOS che per il MYTHOS: questa una distinzione fittizia in Platone.
La trasmigrazione è il movimento delle anime che da qui vanno nell'Ade, e da
questo ritornano. Non si tratta soltanto del movimento delle Anime all'Aldilà;
ma anche il ritorno di esse qui. Duplice passaggio. Questo complica
enormemente le cose: il passaggio è duplice, non soltanto un passaggio della
vita alla morte, e così nell'immortalità; ma anche dal mondo di là al mondo qui.
Si rigenerano dai morti in nuovi esseri: dottrina orfica complessa. Se i vivi si
rigenerano dai morti, dobbiamo inferire che le anime esistano nell'Ade. Da una
parte si intravede un'esistenza delle anime diversa da quella del corpo, e se
XIII PARAGRAFO. Inoltre c’è una forte opposizione tra i più, che sono
amanti del corpo e non si curano della sophia, cedendo alla materialità, e poi ci
sono coloro che amano la sophia e scelgono di allontanarsi dal corpo.
XIV PARAGRAFO. Cominciano le prove sull’immortalità dell’anima. La
prima prova sarà sui contrari; viene introdotta tramite il discorso sul disincanto
e sull’incredulità – Platone sottolinea che l’incredulità va di pari passo alla
paura che l’anima si dissipi come un soffio e che non sia immortale. Se l’anima
restasse raccolta a contemplare il mondo delle Idee sarebbe bello per Platone –
ma ci crede veramente? Le tre prove dovranno dimostrare che l’anima continua
a vivere e conserva il potere e l’intelligenza dopo la morte del corpo.
L’incredulità di cui parla viene attribuita agli altri, ma in realtà appartiene a
tutti – sa bene Platone che il potere delle prove è limitato, e servono come
esercizio filosofico ad acquietare il “bambino” nell’uomo. Ciò che conta ed è
rilevante è che Platone riconosca il disincanto; e ciò che conta qui è la morte
del filosofo.
Le prime due prove dell’immortalità dell’anima hanno una grande importanza
filosofica, anche se rispetto ad esse Platone stesso esprime le sue perplessità: la
seconda prova è una ripresa della teoria della conoscenza, ossia delle Idee,
dove viene tematizzato il concetto di ricordo; la prima prova invece, come
modello di prova filosofica, dopo Platone sarà un punto di riferimento. La
prima prova risente delle riflessioni già presenti nei frammenti presocratici, e
tra queste in particolar modo la riflessione tipicamente presocratica sull’Essere
e sul divenire – come si può spiegare filosoficamente il divenire.
XV PARAGRAFO. L’immortalità dell’anima implica che le anime esistono
nell’Ade; c’è un’ulteriore ripresa della teoria della metempsicosi
(trasmigrazione), importante per il logos e per il mythos di Platone. “Esistono
anime giunte da qui”: si indica con ciò il movimento delle anime che da qui
vanno nell’Ade e dall’Ade ritornano – duplice movimento della metempsicosi.
Il duplice passaggio complica le cose: esso va non solo dalla vita
all’immortalità, ma anche dal mondo di là al mondo di qui (dottrina orfico-
pitagorica) – l’incarnazione dell’anima implica il passaggio duplice delle
anime. Se dai morti si rigenerano i vivi, si deve inferire che le anime esistono
lì, nell’Ade – non si rigenererebbero se già non esistessero. L’esistenza delle
anime non finisce qui, come quella dei corpi, infatti l’anima continua ad
esistere (esistenza perenne) – la filosofia medievale è modellata su questa
l'anima non finisce, allora continua ad esistere: esistenza perenne dell'Anima.
La filosofia medievale è costruita su questa prova. Qui la questione si amplia:
la questione riguarda tutti gli esseri che hanno una nascita, e tutto ciò si genera
dai contrarii. Teoria del nascimento: tutto ciò che viene ad essere viene dal
contrario, il contrario dal contrario. Qui il riferimento è Eraclito.
PALINTROPOS ARMONIE: armonia dei contrarii per spiegare il divenire
delle cose. Spiegare che il non-essere ha un valore ontologico, la "concordia
discors". Qui il tentativo di spiegare un concetto ampio di divenire che include
ogni modalità di trasformazione come procede dal contrario: qui riprende da
una parte la dottrina orfico-pitagorica, dall'altra parte Eraclito. Ancora nulla di
nuovo. Il problema di Eraclito, è il problema del divenire: riuscire a spiegarlo
sarà uno dei grandi problemi dell'ontologia antica (studio degli enti e della
mutazione di questi).
p. 41 Abbiamo la veglia e il sonno come metafore de vita e morte. La morte è
considerata vicina, familiare al sonno. Uno stato vicino alla morte. Per spiegare
il rapporto vita-morte e la loro relazione, Platone prende la veglia e il sonno.
Sono contrarii, e si generano l'uno dall'altro. Dove non c'è più il sonno...
comincia la veglia. Dove non esiste più... comincia... e vice versa. Dove finisce
l'uno comincia l'altro. Differenza tra contrarii e contraddittorii, grande
conquista della filosofia greca. Su questo torneremo nel Sofista. Siamo, nel
Fedone, in un ambito in cui Platone stesso ancora non distingue, e da un
primato ai contrarii. I contrarii lo sono ontologicamente, i contraddittorii lo
sono logicamente. Contraddizione ontologica tra sonno e veglia, quando
termina l'uno comincia l'altro. Platone prende sonno-veglia per morte-vita. Il
vivere è contrario all'esser morto. Qui la conferma di ciò che abbiamo detto: se
ciascuna cosa viene ad essere dal contrario... il vivo viene ad essere dal
morto... DUNQUE (e questo è l'argomentare filosofico) il morto si genera dal
vivo, e l'altro (ipotetico) che dal morto si generi il vivo. Del primo non
abbiamo dubbi, perché noi esperiamo la morte, e possiamo constatare
"empiricamente" nella realtà che il morto si genera dal vivo. Se si da il primo,
si darà anche il secondo. Processo bi-univoco tra i contrarii, per cui anche in
questo caso avremo che dal morto si genera il vivo. Questo modo di procedere
è importantissimo, indipendentemente dal contenuto: passi pionieristici della
logica. Altrimenti dovremmo sostenere che solo in questo caso non ci sia:
processo solamente univoco. Dovremo ipotizzare che si dia il processo dal
morto al vivo, e che dunque nell'Ade le nostre anime esistano. Trasmigrazione
delle anime. Possibilità di ritorno e di re-incarnazione: questa è l'immortalità
prova. La questione si amplia: si pensa al problema che riguarda tutti gli esseri,
che nascono – tutto ciò che nasce si genera dai contrari. Teoria del nascimento:
tutto ciò che viene ad essere si genera dal contrario – qui il punto di riferimento
è Eraclito, il filosofo della palintropos harmonia (l’armonia dei contrari), con
cui lui spiega il divenire delle cose. Il grande problema di Eraclito è spiegare il
divenire, e insieme il valore ontologico del non-essere (concordia discors), a
differenza di Parmenide, per cui c’è solo l’essere (esti). C’è il tentativo di
spiegare un concetto ampio del divenire, che include qui la modalità di
trasformazione come un procedere dal contrario – fin qui si tratta di una ripresa
degli orfici-pitagorici e delle riflessioni di Eraclito. Il problema di Eraclito è
quello del divenire e di riuscire a spiegarlo, e questo sarà il grande problema
dell’ontologia (studio degli enti e della loro mutazione) e della filosofia – nel
Sofista Platone spiegherà il non-essere, grande problema della filosofia greca.
XVI PARAGRAFO. Per spiegare il rapporto tra la vita e la morte si serve della
metafora della veglia e del sonno: l’uno si genera dall’altro, sono contrari,
dove non c’è più il sonno comincia la veglia e viceversa – dove non esiste più
l’uno esiste l’altro. Grande differenza tra contrario e contraddittorio, che è una
conquista della filosofia greca: contrari sono il sonno e la veglia, la vita e la
morte; contraddittorio è il predicare di uno stesso oggetto due cose differenti
(bianco e non-bianco). Neanche Platone distingue contrario e contraddittorio,
dando un primato ai contrari – comunque i contrari hanno una dimostrazione
ontologica, i contraddittori, invece, logica. Constatazione empirica di Platone:
dove finisce il sonno inizia la veglia; così il vivere è il contrario dell’esser
morto – conferma di ciò che è stato detto all’inizio, che le cose vengono ad
essere dai loro contrari, per cui il vivo si genera dal morto. Dunque, conviene,
le anime sono nell’Ade. Due processi generativi: il morto procede dal vivo; e il
vivo procede dal morto – sul primo processo non abbiamo dubbi, perché
possiamo constatare empiricamente che il morto si genera dal vivo, esperendo
la morte degli altri. Ma se si da’ uno di questi due processi, si deve dare anche
il secondo; il processo dei contrari è biunivoco, non univoco – dunque il vivo
si genera dal morto. Questo modo di argomentare filosofico costituisce i primi
passi della logica. Se il processo non fosse biunivoco, ma univoco (dal vivo al
morto), allora ammetteremmo che la natura sia zoppa, ma non possiamo;
dobbiamo allo stesso modo ipotizzare un processo che va dal morto al vivo, e
che le anime esistano nell’Ade, perché si dia la possibilità del ritorno, del
passaggio dell’anima dal morto al vivo. Più che vivere allora si dovrebbe
parlare di “rivivere”: i vivi sono generati dai morti – c’è qui un’idea del cosmo
dell'anima, perché è il passaggio dal morire al vivere. Rivivere, più che vivere.
I vivi si sono generati dai morti, vuol dire che anche noi ci siamo generati dai
morti. NB: qui c'è una cosmologia e concezione del cosmo, una filosofia della
storia del mondo, che è prettamente greca e la determina. Le anime dei morti
devono esistere in qualche luogo da cui tornano a rigenerarsi.
XVII. Nietzsche riprenderà il ciclo della natura, idea che si ritrova anche in
altre filosofie -religioni. Ciclo della natura. Qui c'è l'idea della ciclicità della
natura e dell'eternità del cosmo, del mondo. Il mondo non può finire. Riguarda
la ciclicità questa prova: siamo in quanto generati all'interno di un ciclo
cosmico. Hegel riprende questo passo.
cesserebbero di rigenerarsi: noi dobbiamo accettare questo, porci al di là delle
nostra credenza: motivi fortemente ontologici con sfumature cosmologiche ed
escatologiche. Questa è la riflessione sull'estremo ultimo: escatologia. Qui c'è
un cerchio che ruota. Noi siamo in questo cerchio, il tornante, la curva. Se ci
fosse una generazione in senso lineare, ad un certo punto arriveremmo ad un
escaton. Per la cultura greca questo è inammissibile. Bisogna ipotizzare la
ciclicità: perenne e continua generazione nella quale noi sempre siamo. Nel
Timeo, Platone arriverà apertamente a dire che il cosmo non può terminare,
immutabile, non può finire. Non c'è un concetto di fine del mondo.
Esattamente l'opposto di quanto avviene in tutte le religioni monoteistiche. Per
Platone non può finire. Questo è un punto di differenza abissale. Non ci
sarebbe fine della storia, infatti i greci non hanno un concetto di "storia". Non
si da sviluppo in senso rettilineo. Se noi ammettiamo questo sviluppo, allora
necessariamente tutto sarebbe morto... che nulla più esista (escaton). Una sorta
di Trionfo della morte, questa corsa rettilinea senza processo inverso, senza
ciclicità, allora alla fine il NULLA, la morte di tutto. "è una realtà il vivere".
Qui abbiamo piani diversi che si intersecano: piano escatologico, cosmologico,
ontologico, e abbiamo alla fine un piano etico-politico. Per Platone è
indispensabile la ciclicità: la natura è il paradigma di ciò, in quanto questa è
ciclica. Modello, punto di riferimento per i greci. Ci deve essere così anche
ciclicità della vita, della storia, delle istituzioni. Queste due tradizioni si
intersecano nel cristianesimo. E' inaccettabile che alla fine ci sia il nulla e la
morte dalla quale non si possa rigenerare la vita. Questi due paradigmi (lineare
e ciclico) che restano nella nostra cultura e nella nostra vita. C'è in questi tempi
tensione fra i due. Il vivere è una realtà e che i vivi si generino dai morti,
immortalità effettiva dell'anima e che necessariamente le anime buono hanno
una sorte migliore delle cattive. Tutto ciò deriva necessariamente dal
prettamente greca e che determina tutta la filosofia greca.
XVII PARAGRAFO. L’idea del ciclo della natura, che è greca ma anche
orientale, è ripresa da Nietzsche. Platone qui ci dice che se non accettiamo
questa ciclicità, allora ammettiamo che il mondo finisca – i greci credono alla
ciclicità e all’eternità del cosmo. Gli esseri, se non ci fosse ciclicità,
smetterebbero di generarsi; noi dobbiamo accettare questa prova – dai motivi
ontologici che hanno sfumature cosmologiche ed escatologiche (discorso
sull’escaton, cioè l’estremo/ultimo). C’è un cerchio che ruota, dove sono gli
esseri, e non c’è una linea retta, dove l’essere si rivolge al suo opposto senza
tornare indietro compiendo un tornante. Se ci fosse soltanto una generazione in
senso lineare arriveremmo ad un escaton, ad un limite estremo, una fine – per
la cultura greca questo è inammissibile, è dunque necessaria l’ipotesi di una
ciclicità della genesi. Nel Timeo, opera tarda, arriverà a dire direttamente che il
cosmo non può terminare; non c’è un concetto di fine del mondo per i greci –
fine che invece si da’ in tutte le religioni monoteiste, per cui c’è una differenza
abissale da Platone, il quale non possiede un concetto di storia, che è lineare.
Non si da’ in Platone uno sviluppo in senso rettilineo – se ammettessimo
l’ipotesi di questo tipo di sviluppo, sarebbe poi necessario ammettere il limite
estremo, in cui niente più vive; sarebbe un trionfo della morte, a cui tende
questa corsa rettilinea, e ci sarebbe il nulla. “È una realtà il rivivere”: ciò
abbraccia diversi piani, quello escatologico, cosmologico, ontologico (essere e
non-essere) e alla fine anche il piano etico-politico – nella ciclicità, per
Platone, la natura è il paradigma, perché ciclica, e allo stesso modo si ammette
una ciclicità nella vita e nelle istituzioni. Nel Cristianesimo si convogliano la
tradizione greca e quella ebraica, profondamente diverse – due paradigmi che
restano nella civiltà occidentale. Le conseguenze del paradigma della ciclicità,
per Platone: i vivi si generano dai morti, il rivivere è realtà, le anime
continuano ad esistere nell’Ade e le anime buone hanno una sorte migliore di
quella delle anime cattive – ci viene anche detto che nel mondo di là c’è quella
giustizia assente nel mondo di qua. Non a caso con la morte di Socrate
comincia l’idea che nell’Ade ci sia quella giustizia che manca ad Atene –
rivendicazione del filosofo. L’anima è affine alle Idee ed essendo immortale
non cessa di esistere, la sua esistenza è di passaggio in questo gioco dei
paradigma ciclico. Il mondo di là è migliore perché c'è giustizia, cosa che qui
non accade. Il giusto Socrate è condannato a morte. Comincia con la morte di
Socrate l'idea che evidentemente nell'Ade c'è quella giustizia che manca in
Atene. Rivendicazione e messaggio: l'uomo giusto troverà la giustizia che non
ha trovato in vita.
L'anima è affine alle idee, e anche immortale, non cessa mai di esistere: c'è
solo una trasmigrazione. Il corpo muore veramente. E' un passaggio da ciò che
è morto al vivo: la nascita non è spiegata ex novo dal nulla; ma dalla morte si
passa alla vita. La nascita ex nihilo / ex novo prevede un inizio, cosa che
Platone nega. Dove c'è fine c'è inizio: è stato creato, e quindi finirà. Per
Platone non c'è né inizio né fine. Perciò c'è continuamente passaggio dal vivo
al morto e dal morto al vivo. Il morto è l'inerte, semplicemente THANATOS
rispetto a BIOS. Dal non-è-più torna all'essere -- questione per Platone
prettamente ontologica. Platone non ha una parola per il nulla. Tutta la
filosofia da Eraclito al Sofista di Platone è un tentativo di spiegare il non-
essere e come questo non significhi non-esiste. Per Platone il "morto" è il non-
c'è-più, e il non-ancora, Parmenide ha problemi con questo non-è-più e non-è-
ancora. Per Platone i contraddittorii non sono contrarii. Il non-essere come
contraddittorio rispetto all'essere. Hegel nelle lezioni di storia della filosofia si
ferma su questo. Ciclicità del divenire senza che ci sia mai fine: come c'è il
passaggio dal un contrario all'altro, così si passa dal morto al vivo. Platone non
ha né parola né concetto di "nulla". Per Platone il mondo è perenne, senza
inizio, non si può concepire che ci sia un inizio, perché ipotizzando ciò ci
sarebbe una fine: è perenne in una ciclicità (cfr. Timeo). Il mondo iperuranio è
il mondo immutabile, fermo, mentre il nostro è in divenire, in una ciclicità
senza inizio né fine. L'iperuranio è eterno, è fermo. Il nostro mondo non è mai
fermo. Platone lo spiega con una ciclicità mantenuta saldamente dal mondo
eterno delle idee. Non c'è né inizio né fine. II prova: argomento molto famoso
e affascinante: Platone è oculatissimo nella scelta delle parole, coerente anche
nello sviluppo degli argomenti. Questa prova si basa sulla reminiscenza, sul
ricordo. Per Platone i sensi sono ingannevoli, e per conoscere le essenze non
dobbiamo affidarci ai sensi; ma al contrario dobbiamo concentrarci perché la
PSYCHE possa vedere l'EIDOS di... argomento della reminiscenza,
originalissimo di Platone: che la nostra conoscenza sia anamnestica. La
conoscenza non è dunque esperienza. Per Platone non è esperienza; ma
ricordo. Perché è molto coerente... perché la conoscenza è ricordo, perché
concentrandosi l'anima ricorda l'idea che ha visto e contemplato nel mondo
iperuranio. Bisogno di allontanamento dal corporeo, dal sensibile, e necessità
contrari; il passaggio dal morto al vivo da’ la possibilità di reincarnazione delle
anime – nella reincarnazione la nascita non consiste in una creazione ex nihilo,
ma nel passaggio dal morto al vivo, perché la creatio ex nihilo prevede anche
un inizio (Bibbia). L’anima deve essere immortale, perché le cose non si
possono generare dal nulla. Invece, nella linea retta, il mondo ha avuto un
inizio e avrà una fine; per Platone il mondo segna una ciclicità, che non inizia e
non finisce – la nascita in questo è solo il passaggio dal morto al vivo, e la
morte è il passaggio dal vivo al morto, cioè solo il passaggio dei contrari, la
morte è ciò che non è più ma che torna ad essere. È una questione ontologica
per Platone, per cui non è possibile prescindere dal discorso sull’Essere e sul
Nulla – non c’è il concetto di nulla, ma tutta la filosofia da Eraclito al Sofista è
uno sforzo enorme di spiegare il non-essere, che non vuol dire solo “non-
esistere”. Platone deve sempre ipotizzare il passaggio: il morto è ciò che non è
più e ciò che non è ancora. Il nulla non è un concetto di Platone: mentre il
morto e il vivo sono contrario, l’è ed il non è sono contraddizioni. La questione
ontologica della spiegazione del divenire è un passo importante per Hegel
(Lezioni della storia della filosofia), che spiega la ciclicità del divenire senza la
fine e la cui condizione è quella di poter passare non solo dal vivo al morto, ma
anche dal morto al vivo. Il mondo è perenne nella ciclicità e nel passaggio; il
mondo delle Idee è il mondo immutabile, mentre il nostro mondo è in divenire,
senza inizio e senza fine – quello iperuranio è eterno e fermo, a differenza del
mondo di qua, che tuttavia non corre verso una fine, per questo c’è la ciclicità,
mantenuta salda, grazie alla presenza immutabile del mondo delle Idee.
XVIII PARAGRAFO. La seconda prova è basata sul tema della reminiscenza,
del ricordo. Per Platone i sensi sono ingannevoli e noi non dobbiamo affidarci
alla vista, ma anzi dobbiamo chiudere gli occhi e far sì che la psychè si
concentri su se stessa affinchè veda la realtà ultima delle cose. L’argomento
della reminiscenza, originale in Platone, dice che la conoscenza è anamnestica
– non è un tema scontato. La conoscenza, se la si pensa come esperienza, è
fuorviante; per Platone è bensì ricordo, il ricordo cui l’anima perviene
concentrandosi, e per cui ha ricordo dell’Idee delle cose, che ha visto e
contemplato nel mondo al di là. L’anima si concentra per ricordare le Idee, che
ha contemplato, e per questo ella non ha bisogno di vedere le imitazioni di
queste. La sua teoria della conoscenza come reminiscenza è contraria alla
teoria della tabula rasa. Il ruolo che la memoria gioca nella conoscenza è
decisivo – anche la conoscenza è ciclica e non nasce ex novo. Se apprendere è
ricordare, allora qui è la prova che l’anima sia stata in un luogo altro, in cui ha
di concentrazione per ricordare cosa ha visto nel mondo al di là: ha
contemplato l'idea, e non ha bisogno di analizzare le copie di quest'idea. Qui
c'è un'idea importantissima, perché è il contrario di quella teoria che è la tabula
rasa. Per questo motivo la concezione di Platone sarà riferimento
importantissimo, più volte ripreso: il ruolo che la memoria gioca nella
conoscenza, per questo in Platone viene espresso in forma mitologica.
L'esempio famosissimo nel dialogo Menone. Ogni nostro apprendimento è
reminiscenza. Quello che apprendiamo è SEMPRE ricordo, reminiscenza e non
esperienza ex novo. Il nostro apprendere è ricordare, e ricordiamo quello che
abbiamo appreso in un tempo anteriore. Questa constatazione è la prova che la
nostra anima è stata in un luogo altro dove ha appreso ciò che ricorda. La
filosofia è l'arte di interrogare, e per Platone è la dialettica: quello che conta è
saper fare domande, non tanto dare delle risposte. Gli uomini rispondono a
quel famoso TI ESTI, riescono a ricordare anamnesticamente l'OUSIA delle
cose perché l'hanno vista nel mondo delle idee.
p.47 Platone introduce la teoria della reminiscenza e Platone è il primo che
lega conoscenza e memoria. Perfino i cognitivisti più scalmanati dicono che
l'esperienza è il ricordo del presente. Ricordo, non quindi tabula rasa.
ANAMNESIS: questa è la seconda prova per l'immortalità, perché se ci
ricordiamo di qualcosa è perché la abbiamo appresa prima, etc. La memoria
per Platone funziona attraverso le somiglianze, le associazioni. Un oggetto ci
rinvia ad un altro, etc. Associazioni che possono essere anche individuali.
Attraverso un'affinità, una somiglianza...
XIX. La ANAMNESIS funziona attraverso somiglianze e dissomiglianze.
Pagina molto bella e diversa dai primi dialoghi: ascesa filosofica
[dell'argomentazione]. Possiamo parlare di uguaglianza e di differenza, perché
abbiamo già l'idea dell'uguale in sé, altrimenti non potremmo fare queste
operazioni di uguaglianza e disuguaglianza. Questo vale anche per il diverso...
etc. Vale per tutto. Tutto ciò che incontriamo risulta carente rispetto all'idea.
L'esempio non è casuale, perché "l'uguale in sé" sarà uno dei generi del
Sofista. Noi abbiamo l'idea dell'uguale in sé, da cui noi muoviamo, che
ricordiamo per poter dire: questo è uguale o non uguale. Questo perché
abbiamo contemplato l'EIDOS dell'uguale in sé, quando eravamo
nell'iperuranio. Noi abbiamo il ricordo dell'uguale in sé. Questo a riprova
dell'immortalità dell'anima: noi abbiamo il ricordo dell'uguale in sé.
Difettano... sono carenti rispetto all'uguale in sé, che è l'idea dell'uguale. Qui è
un rinvio molto chiaro alla teoria delle idee: queste sono enti che esistono per
appreso quello che qui ricorda. La filosofia è l’arte di interrogare, per cui conta
impostare la domanda. Gli uomini ricordano anamnesticamente le cose, perché
ne hanno vista l’ousia. Ora viene introdotta velatamente la teoria della
reminiscenza, attraverso cui Platone è il primo a dire che la conoscenza ha a
che fare con la memoria – grande merito di Platone, da cui la conoscenza non è
più incontro con gli oggetti. La teoria dell’anamnesis è una prova
dell’immortalità dell’anima: se abbiamo ricordo, ci ricordiamo di qualche cosa
che abbiamo appreso; la memoria funziona attraverso le somiglianze, che oggi
diremmo “associazioni”, per dire che un oggetto rinvia ad un altro – così
Platone ci dice che la conoscenza è memoria e che essa si basa sulle
associazioni, per affinità e somiglianze.
XIX PARAGRAFO. L’anamnesis (reminiscenza) funziona attraverso le
somiglianze e dissomiglianze. L’argomento qui riguarda l’Uguale in sé: noi
possiamo fare somiglianze e dissomiglianze, e se noi possiamo, nelle
proposizioni, ravvisare somiglianze o dissomiglianze, è perché possediamo già
l’idea dell’Uguale in sé – non si sta cercando di definire il concetto di
uguaglianza. L’idea dell’Uguale in sé è come l’idea del Diverso in sé: si può
argomentare su un piano di uguaglianza, solo perché abbiamo l’idea
dell’Uguale in sé, da cui muoviamo per dire “questo è uguale a quello”, o il
contrario – allo stesso modo l’anima immortale rende possibile il passaggio
dall’è al non-è. I primi passi della conoscenza si fanno perché si ha il ricordo
dell’Uguale in sé. Gli Uguali che troviamo negli oggetti difettano rispetto
all’idea di cui sono copie, perché l’Uguale in sé è l’idea dell’uguale; ma gli
uguali che riscontriamo nel mondo al di qua sono copie, dunque carenti. Qui
c’è un rinvio chiaro alla teoria delle Idee: le Idee sono enti che esistono per se
se stessi. Tutto quello che io incontro mi rinvia, restando carente, all'idea degli
oggetti. Se non ci fosse questa carenza non ci sarebbe il rinvio. Siamo
circondati da enti imperfetti e dai quali siamo rinviati all'EIDOS dei logo
oggetti. Chi non si accorge di ciò è in un "sonno ontico", e non è filosofo. Il
filosofo veglia. Il mondo dei filosofi è quello delle idee, la sua PSYCHE tende
a questo. La prova è importante perché questo è un punto nodale per Platone.
La II prova del Fedone non è tanto per l'immortalità; ma permette di introdurre
la questione filosofica dell'uguale in sé che poi troveremo nel Sofista. Platone
introduce alcuni elementi fondamentali della sua filosofia: introduce
CICLICAMENTE la teoria delle idee. La seconda prova è la prova della
conoscenza come ANAMNESIS -- la prima è la prova dei contrarii.
ANAMNESIS: teoria "paradossale" e sorprendente per il senso comune: sensi
ingannevoli, etc. La conoscenza non muove dai sensi per farsi un' "idea"; ma
Platone radicale: la conoscenza ha come protagonista la PSYCHE, che deve
allontanarsi dai sensi perché questi, motivatamente e con fondamento, perché
la conoscenza è ricordo. I sensi non ci insegnano nulla; ma gli oggetti ci
rinviano al ricordo delle idee. Le idee sono quegli enti che racchiudono
l'essenza delle cose, le quali sono copie di queste. Riconferma: le idee sono
eterne e sono immutabili; non sono soggette al processo di generazione che
caratterizza e intacca il mondo. Il mondo è un mondo immutabile; non è stato
creato e questo è ripreso dall'ultimo Platone nel Timeo. Il mondo non ha inizio
né fine, e ugualmente il TEMPO non ha né inizio né fine. Tutto questo in virtù
delle idee eterne ed immutabili. Platone dice che la memoria funziona
attraverso somiglianze e dissomiglianze: ASSOCIAZIONI. Così possiamo
dire, ricordare, che questo è uguale a quello, etc. Possiamo fare questo perché
abbiamo l'idea dell'uguale in sé. Abbiamo già, innate, alcune idee. Abbiamo
innata l'idea dell'uguale in sé; e così procediamo per somiglianze e
dissomiglianze (74-75). "dunque è necessario che non che ??? già un'idea
dell'uguale..." Ce ne serviamo, dell'idea dell'uguale, quando incontriamo gli
uguali ci misuriamo con l'idea dell'uguale che non è imitazione né carente
come quelle [le cose concrete]. Questo passo e l'argomentazione è importante
per la teoria delle idee: la diverse realizzazioni dell'uguale in sé sono inferiori;
sono su un piano diverso rispetto alle idee. Questa uguaglianza e
disuguaglianza di un ente è un uguale concreto, inferiore rispetto all'uguale in
sé, all'idea dell'uguale: quest'idea devo presumere di averla già, perché
altrimenti da dove mi verrebbe? L'idea dell'uguale in sé non è una a cui giungo
per induzione empirica (EPAGOGE); ma ce l'ho già, e che [presumo?] ho fin
dalla nascita. Evidente che è un'idea che mi porto dietro dall'aldilà. Conferma
stessi, e stanno nel mondo iperuranio, eterno ed immutabile – le copie sono
carenti ed imperfette, il realizzato è difettoso, altrimenti non ci sarebbe il
rinvio, difatti le copie sono rinviate al loro eidos. Qualora gli enti non
rinviassero all’eidos, allora saremmo nel sonno ontico – il rinvio per il filosofo
è necessario, e la psychè in generale tende al mondo delle Idee. Punto nodale
per Platone: la seconda prova del Fedone, dato che la questione principale non
è quella dell’immortalità dell’anima, fa emergere che la centralità sta nella
questione filosofica che c’è dietro – qui il nodo è l’Uguale in sé, presente
anche nel Sofista.
Platone, nell'argomentazione delle tre prove, introduce gli elementi
fondamentali della sua filosofia, tra i quali è ciclicamente introdotta la teoria
delle Idee.
La seconda prova è la prova della conoscenza come anamnesis - conosciamo
nella misura in cui ricordiamo. I sensi sono ingannevoli e la conoscenza non
può muovere da essi. Platone teorizza che la conoscenza ha come protagonista
la psychè, che si deve allontanare dai sensi, non perchè ci sia una posizione di
principio, ma perchè c'è il fondamento per cui la conoscenza sia ricordo -
l'unico ruolo degli oggetti è quello di rinviarci al ricordo delle Idee che, dice,
sono quegli enti che raccolgono l'essenza delle cose (copie).
Platone introdurrà altri argomenti, uno è quello per cui le Idee sono eterne e
immutabili, non soggette al processo di generazione, che intacca il mondo - il
mondo per Platone è immutabile, proprio perchè le Idee lo sono; il mondo non
è stato creato, non ha nè inizio nè fine, come il tempo (idea ripresa nel Timeo).
Per Platone la memoria funziona attraverso le somiglianze e dissomiglianze,
ossia un processo grazie al quale possiamo dire che questo è uguale a quello -
noi non potremmo far ciò se non avessimo l'idea dell'Uguale in sè. Il motivo
per cui facciamo "associazioni" è perchè le Idee sono innate nella nostra
conoscenza.
Par. 74 - 75. Abbiamo l'idea dell'Uguale in sè e ce ne serviamo quando
incontriamo gli uguali, misurandoli a questa Idea - gli uguali sono carenti
rispetto ad essa. è un passo e un'argomentazione importante per la teoria delle
Idee: gli uguali, le realizzazioni dell'Uguale in sè, sono inferiori, poste su un
livello diverso, più basso - ci sono gli uguali, diversi e inferiori rispetto all'idea
dell’Uguale, che posso usare nei paragoni, perchè devo presupporre di averla
già. Ho già l'idea innata dell'Uguale, da dove mi proverrebbe altrimenti? Non si
giunge all'idea per induzione empirica (epagoghè); ma è un'idea che ho già e
presumo sin dalla nascita - da dove mi viene? è evidente che me la porto dietro
dall' al di là. L'argomento filosofico della conoscenza come reminiscenza è la
dell'esistenza delle anime prima di noi, nell'Ade, etc. Le anime sono immortali.
XX. Perenne rinascere: questo vuol dire più nascite perenni: siamo destinati ad
una rinascita. Platone addirittura diche che il momento della nascita è quello in
cui dimentichiamo tutto quello che sapevamo: segna la dimenticanza. Quello
che sapevamo viene dimenticato: venendo al mondo, allora oblio.
Dimentichiamo di sapere delle idee: di tutte le idee. Per ricordare... l'incontro
con gli oggetti è l'occasione/opportunità offerta all'anima... questa viene
rinviata dagli oggetti alle idee. Dal concreto all'idea [all'astratto?]. Idee innate:
intende che in realtà le idee precedono noi e la nostra nascita, il nostro perenne
rinascere. Inevitabilmente ricordare è sinonimo di conoscere: ricordare è
conoscere, o anche meglio: conoscere è ricordare. La conoscenza è
reminiscenza; ma non tutti ricordiamo e quindi non tutti conosciamo. Non tutti
riescono a ricordare le idee. Differenza con coloro che non ricordano e non
conoscono. Critica di Simmia: Simmia rappresenta il disincanto; non è
convinto, insinua dubbi.
XXII: sostituisci ESSERI con ENTI. Se esistono questi enti a cui riconduciamo
tutto, allora è necessario che esista la nostra anima. Lo stesso nodo: questi enti,
le idee, che ci pre-esistono... e come queste esistono, così anche esiste la nostra
anima. Li abbiamo contemplati attraverso l'anima. Qui comincia ad introdurre
gradi di realtà differenti: le idee esistono nella realtà, e nel grado più alto di
realtà.
XXIII. [o 33? controlla] conclusa la seconda prova/argomentazione. Qui
Simmia introduce un'obiezione: però in questo modo è dimostrato soltanto che
l'anima è immortale in quanto mi precede; ma non è detto che esista dopo di
me. Noi abbiamo parlato dell'anima che pre-esiste, prima di incarnarsi, e la
prova reale per ciò, per il prima... ma per il dopo? Non è dimostrato con questo
argomento che l'anima sopravviva alla mia morte, e che quindi sia
assolutamente immortale. L'anima verrà pure da uno sfondo immemoriale di
eternità; ma dopo? Questo è il vero cruccio, la vera preoccupazione etico-
escatologico-politica: cosa ne è dell'anima dopo la morte? Simmia sottolinea
un limite nell'argomentazione socratica? Qui Simmia ha sempre un ruolo di
mediazione tra Cebéte, l'illuminista scettico, e Socrate. C'è sempre l'obiezione:
com'è che con la morte l'anima non si disperda? Il dubbio di Cebéte: queste
riconferma che le nostre Anime dono esistite prima di noi, nel mondo al di là -
e ciò vuol dire che sono immortali.
XX PARAGRAFO. "Perenne rinascita": non c'è solo una nascita, ma siamo
destinati ad una rinascita perenne. Il momento della nascita ci fa dimenticare
quello che sapevamo - la nascita segna la dimenticanza, il momento in cui
quello che sapevamo cade nell'oblio, per cui si dimentica il sapere di tutte le
Idee. L’incontro con gli oggetti è l'occasione data all'anima per ricordare, per
essere rinviata dagli oggetti alle Idee stesse di questi. Le Idee ci precedono
anche nel nostro riconoscerle. Inevitabilmente il ricordare diventa un sinonimo
di conoscere - sono equivalenti. Il conoscere non ha a che fare con la
sensorialità, ma con il ricordo, quindi con l'interiorità. La conoscenza è
reminiscenza, che però non riguarda tutti - non tutti riescono a ricordare le Idee
del mondo Iperuranio. Viene introdotta una differenza: ci sono coloro che non
ricordano, e dunque non conoscono; e ci sono coloro che ricordano e quindi
possono conoscere.
XXII PARAGRAFO. Simmia rappresenta il disincanto, insinua dubbi - ora c'è
una sintesi importante, da parte di Socrate. Se esistono gli enti (Idee), a cui
riconduciamo tutto, è necessario allora che esista anche l'anima. Si tratta dello
stesso nodo: questi enti (Idee) ci pre-esistono e, come esistono loro, così esiste
anche la nostra anima, perchè attraverso di essa non li abbiamo contemplati.
Ora Platone inizia a introdurre diversi gradi di realtà: le Idee esistono nella
realtà e, anzi, nel suo grado più alto.
XXIII PARAGRAFO. Si conclude la II prova sull’immortalità dell’anima. Ora
Simmia introduce un’obiezione: egli è convinto del fatto che le Idee ci
precedano, motivo per cui ricordiamo e conosciamo, supponendo anche che la
stessa anima ci preceda; ma Socrate ha dimostrato che l’anima è immortale nel
senso che pre-esiste gli uomini, ma non è detto che essa continui a esistere
anche dopo la morte – il ricordo mi assicura che l’anima esista prima della
nascita. Che ne è dell’anima dopo la morte? Ciò ancora non è dimostrato, cioè
che essa mi sopravviva. L’anima viene da uno sfondo immemoriale – il “dopo
la morte” è un discorso quasi etico. Si sottolinea il limite dell’argomentazione,
per ora. Simmia ha un ruolo di mediazione tra Cebete e Socrate – Cebete è
scettico e Simmia, in questo caso, si schiera dalla sua parte. L’obiezione di
Cebete resta: come può essere che, morendo l’uomo, l’anima non si disperda?
pagine hanno attualità per la questione di cosa vuol dire in termini medici
morire? qual è l'istante della morte? chi lo decide? Questioni altamente
filosofiche. Ancora oggi è dibattuto il punto di morte. Qui si comincia nella
storia della filosofia il problema sull'istante della morte: il momento per
Platoneè quello in cui l'anima si distacca dal corpo. INFLUENTE. Ma che vuol
dire? La domanda di Cebéte è giusta: se il corpo muore e si decompone, come
facciamo a dire che l'anima continua ad esistere? Nulla vieta che l'anima sia
pre-esistita e che però poi termini. E' possibile che l'anima si perda. Cebéte si
introduce: è fatto metà del lavoro; ma non la seconda metà. Socrate dice,
attenzione, risposta prettamente filosofica, mentre quella di Cebéte è
filosoficamente rozza. Obiezione senza riflessione, perché basta capire che la
prima parte dimostra, in base alla prima prova, anche la seconda parte della
seconda. Obiezione del cazzo. Questo da modo a Socrate di legare le due
prove.
XXIV. Qui inizia una sorta di intervallo tra le prove: Platone lo colloca tra la II
e la III prova. Negli scritti platonici di Gadamer c'è un saggio in cui dice che è
chiaro che Platone è consapevole dei limiti di queste prove che il suo Socrate -
- attendendo il PHARMAKOS -- ...Platone non crede a queste prove, e infatti
la prova dell'immortalità sarà affidata alla fine del dialogo: è la prova per
eccellenza. Questo intervallo -- per Gadamer -- ci deve far riflettere: Platone è
convinto che c'è il bambino che è in noi, e che rappresenta la parte irrazionale
che non si convincerà mai: questi ha paura della morte, e questa paura non
verrà mai meno. La parte irrazionale può solo al massimo prevalere oppure no.
INDICATIVO DI CIO': "siete come i ragazzi..." Si precisa cosa sia la morte
per Platone: quando l'anima esce dal corpo. La morte è il momento dell'uscita
dell'anima dal corpo, che si iscrive nel contesto orfico-pitagorico del carcere e
della liberazione: triplice liberazione: corpo-carcere-polis. La paura del
bambino è la paura che nel momento in cui l'anima esce dal corpo, che l'anima
si dimostra essere come il corpo. Temiamo che all'ESCATON l'anima si
dissolva che non resti, come vediamo che si dissolve il corpo degli ALTRI.
Socrate dunque fa animo ai suoi compagni. Cebéte fa questa battuta; perché
siamo ragazzi? Socrate è vero che fa coraggio ai suoi allievi, ed è questo forse
il compito del filosofo. Il compito del filosofo: far animo (coraggio) agli altri.
Che ci sia l'immortalità davvero è tutto un altro discorso. E' il bambino che è in
– quello che dice il volgo. Queste pagine sono molto attuali perché parlano di
cosa vuol dire morire, di cosa sia l’ultimo istante della morte, non da un punto
di vista medico, ma filosofico. Il problema dell’ultimo istante prima della
morte si pone per Platone in questi termini: esso è il momento in cui l’anima si
distacca dal corpo – questa teoria avrà forti ripercussioni nella tradizione. Se il
corpo si decompone, come facciamo a dire che l’anima continua ad esistere?
Nulla vieta che essa sia pre-esistita, ma forse anche l’anima ad un certo punto
cessa di esistere. Cebete si introduce nel dialogo dicendo che è sistemata la
prima metà del lavoro, ossia dimostrare che l’anima ci precede, ma la seconda
parte della teoria lo interessa di più, ed è ancora sospesa. Socrate dice che
anche questo è già stato dimostrato, dando una risposta filosofica ad
un’obiezione filosoficamente rozza; Cebete non ha riflettuto abbastanza da
capire che, se è dimostrata la prima parte della teoria, allora è dimostrata anche
la seconda. Non ha riflettuto in profondità, e la profondità è necessaria alla
filosofia – la sua non è una vera e propria obiezione, ma una mancanza di
pensiero filosofico. La seconda parte della teoria si lega alla prima prova dei
contrari.
XXIV PARAGRAFO. C’è una sorta di intervallo tra le prove, che Platone
colloca tra la II e la III prova. Gadamer, negli “Scritti platonici”, dice riguardo
al Fedone che è chiaro che è Platone stesso ad essere consapevole dei limiti
delle prove, che Socrate, nell’attesa di prendere il pharmakon, coglie come
opportunità di riflessione – questo è per Platone il valore delle prove. La prova
dell’immortalità dell’anima sarà infatti alla fine del dialogo – la prova per
eccellenza. Questo intervallo, per Gadamer, è significativo: per Platone il
bambino che è in noi, in quanto parte irrazionale, non si convincerà mai delle
prove, perché ha paura della morte, paura che non verrà mai meno, non fino a
quando la parte razionale non prenda il sopravvento. L’intervallo è in questo
senso sintomatico e indicativo. Socrate si rivolge a Cebete: la morte, precisa, è
il momento in cui l’anima esce dal corpo – è quindi una definizione importante
della morte, che appunto consiste nell’uscita dell’anima dal corpo. Ciò
ovviamente si rifà al contesto orfico-pitagorico della concezione per cui il
corpo è il carcere dell’anima – si pensi alla metafora “Socrate è in carcere”.
Socrate dice che c’è un bambino irrazionale in noi, che ha paura che nel
momento in cui l’anima esce dal corpo si dissolva essa stessa con lui; il timore
riguarda l’eskaton, il limite estremo della morte, e il dubbio che l’anima non
resti e si dissolva come si dissolve il corpo. Cebete fa una battuta, dicendo che
Socrate fa animo, fa coraggio, come se tutti loro fossero ragazzi – difatti
noi che ha paura: dobbiamo ammetterlo. Soltanto così possiamo aprirci e
discutere di morte ed immortalità. Il filosofo deve persuadere a non avere
paura [della morte]. IMPORTANTE: Il filosofo, Socrate, è un incantatore di
paure. Dove andremo a prendere un altro incantatore come te, Socrate, dopo la
tua morte? IMPORTANTE: Socrate dice: cercate nell'Ellade e non per
trovarlo, perché non c'è! modo migliore di spendere i vostri soldi. Compito
completamente diverso dai Sofisti: per questi l'EULEGEIN è la cosa
importante... per difendersi nelle assemblee e nei tribunali. Socrate insegna a
morire. Il filosofo insegna a morire senza paure, incantando il fanciullino.
BELLISSIMO: è ciò che è più lontano dai nostri giorni. Noi viviamo in un
mondo dove la morte è separata dalla vita, dove i malati e i moribondi sono
messi da parte: ospedalizzazione [coatta]. Separazione dei malati dal resto del
mondo. Non si muore più in casa, in un posto... perché c'è la
TABUIZZAZIONE della morte. Morte rimossa, cancellata, messa da parte.
Sempre più "lasco" il rapporto tra la morte e la vita: LEVINAS, HEIDEGGER,
JASPERS. Il '900 è una riflessione sulla messa da parte della morte. I soldi si
spendono per farsi il naso, il viso... si spendono in questa idolatria per il corpo.
Il rapporto si è rovesciato. Oggi sembra ridicolo pagare qualcuno che ci incanti
da questa paura. Lo psicanalista? ha un ruolo diverso! La nostra è un'epoca
prettamente a-filosofica. Proprio quello che dice Socrate ci sembra ridicolo.
Socrate dice: senza badare a denari e a fatiche, per ottenere... imparare a morire
e a non aver paura della morte. Noi siamo fatti di anima E di corpo. La nostra
anima, nel momento in cui esce, continua a mantenere la sua identità? sono io
la mia anima o no? Se l'anima si separa dal corpo per poi re-incarnarsi in un
altro, quando si separa non è più me, e si separerà in un'altra identità. La nostra
identità è fatta di anima e di corpo. Però è anche vero che continuando ad
esistere si porta qualcosa di me. Questo punto vuol dire che resta qualcosa di
noi nell'anima, e questo determinerà la storia successiva di quell'anima. Ci
sono infatti meriti e pene.
XXV. PASSO IMPORTANTE: "la realtà dell'essere [...] permane
invariabilmente costante o è variabile?" Platone introduce l'argomento di
distinzione tra ciò che è composto da elementi e ciò che non lo è: ciò che è
composto, è naturale che si de-componga. Ciò che non è composto non si de-
compone. Ciò che si decompone è variabile, mentre ciò che non si decompone
è perenne. Due differenze fra anima e corpo: l'anima, come le idee, è eterna,
immutabile, invariabile, etc. I corpi invece sono variabili, soggetti ad
alterazione. Qui Platone sta distinguendo due piani di realtà: un piano di
Socrate sta facendo questo, sta cercando di fare coraggio ai suoi allievi, e forse
è questo il compito del filosofo, che ha il merito di avere un rapporto peculiare
con la morte. Il filosofo deve far animo agli altri, deve convincere che c’è
un’immortalità e far coraggio al fanciullino dentro di noi, che ha paura –
dobbiamo ammetterlo e confessarlo, e così facendo possiamo discutere della
morte e dell’immortalità, come può fare Socrate che lo ha ammesso e non ha
paura. Dunque il compito è quello di persuadere a non avere paura; il filosofo è
un incantatore di paure – cosa faranno loro quando Socrate non ci sarà più?
Dove troveranno un altro incantatore come lui? Socrate risponde di cercare
nell’Ellade, anche tra genti straniere, per trovarlo, perché non c’è modo
migliore di spendere il denaro – il compito del filosofo è diverso da quello dei
Sofisti, che si facevano pagare per insegnare a ben parlare, ma Socrate,
l’incantatore di paure, insegna a morire senza paura, incantando il bambino che
è nell’uomo. Questa concezione è molto lontana da quella odierna, che ha
separato la morte e la vita, secondo un processo di “ospedalizzazione”, che
consiste nel mettere da parte i moribondi rispetto al mondo che funziona e alla
sfera della quotidianità – il tabù della morte ha fatto sì che sia stato rimosso il
legame tra la vita e la morte, e tutto il 900 è stato una riflessione sulla morte e
sulla rimozione di questo nesso. Così il rapporto si rovescia, in un’epoca a-
filosofica: si spende il denaro per l’idolatria del corpo, non per qualcuno che
incontri la paura radicale della morte – non si tratta dello psicanalista, che ha
un ruolo diverso da quello del filosofo. Socrate invece sostiene con fermezza
che vivere è imparare a morire e a non avere paura della morte, tutto il
contrario quindi di volerla allontanare.
L’anima si incarna in varie identità, quindi, quest’identità è fatta di anima e
corpo; separandosi la psychè perde l’identità che aveva prima, ma porta
qualcosa di questa con sé, anche dopo la morte; quel che resta di noi
nell’anima determinerà, probabilmente, la storia successiva dell’anima – infatti
ci sono meriti e pene.
XXV PARAGRAFO. Domanda filosofica: la realtà dell’essere rimane costante
o è variabile? Platone introduce la distinzione tra ciò che è composto da
elementi e ciò che non è composto: è naturale che ciò che è composto si
decomponga, e ciò che non è composto (anima) non si decomponga – ciò che
si decompone è variabile, mentre è invariabile ciò che non si decompone.
Come le Idee, l’anima è immutabile ed eterna; mentre, ciò che è corporeo è
variabile e soggetto ad alterazione. Così dicendo Platone distingue due piani di
realtà: uno è quello delle copie/imitazioni, degli oggetti; l’altro piano della
imitazioni, di copie... "che noi diamo lo stesso nome" (cfr. Cratilo). Come lego
le diverse realizzazioni della cavallinità? attraverso il NOME, che è nodo/nesso
tra l'idea in sé e le copie. Come collego una copia all'idea? col nome, che è
categorizzazione della realtà. Ribadiamo, nominando e parlando, questa
distinzione. Distinzione tra due piani della realtà: il piano delle cose/imitazioni
(il nostro piano, il mondo variabile che si muta e si decompone) e il mondo
stabile delle idee. Queste reggono il mondo, sono le fondamenta del mondo
senza il quale questo non esisterebbe -- CONDIZIONE DI POSSIBILITA'. Il
livello dei sensi, ed il livello psichico (PSYCHE) che è SOVRASENSIBILE
(suggerimento di Platone... siamo più platonici di quanto crediamo; siamo
talmente dentro un universo platonico, sotto l'influsso di Platone, che il
contrario ci risulta difficile). Wittgenstein: "tutto lo sforzo è quello di liberarsi
dal platonismo". Wittgenstein mette in discussione il sovrasensibile, "il luogo
occulto chiamato pensiero ed interiorità". Heidegger intende questo rimettersi
dalla metafisica platonica. Queste lezioni sono "anamnestiche"... per noi è
abbastanza scontato distinguere un piano sensibile ed uno sovrasensibile. Cfr.
Wittgenstein, Osservazioni sulla psicologia. Platone introduce questa
distinzione fra due piani distinti della realtà: sensibile e sovrasensibile,
assumendo il sovrasensibile come gerarchicamente più importante. Questo è il
DUALISMO PLATONICO: introduzione di una suddivisione della realtà in un
piano inferiore, svalutato, e il piano delle idee in sé. Quello che importa sono le
idee, fondamenta degli oggetti-copie. Le idee ??? sono invisibili. Anche il
nome ADE ha a che fare con la vista e indicia un'altra modalità del vedere che
non ha a che fare con gli occhi.
La terza prova è una prova più semplice, dove il discorso si fa più chiaro.
Abbiamo letto l'intervallo sul tacitare/incantare il dubbio che è in noi, il dubbio
che teme la morte. Gadamer: "gli argomenti filosofici sono insoddisfacenti
anche se risulta convincente Socrate; la forza pratica è più forte della
virtù/capacità della dimostrazione logica. Questo saggio, uno degli ultimi sul
Fedone da parte di un filosofo -- linea che passa anche attraverso l'opera di
Mendelsohn. La grandezza del Fedone non sta nella dimostrazione logica delle
prove filosofiche. Le prove non convincono del tutto soltanto noi moderni; ma
neanche gli astanti, neanche Platone stesso, che inserisce questo intervallo: non
c'è solo l'enigma della morte; ma un'enigmaticità della paura della morte.
Platone parla del bambino (parte irrazionale) che non si lascia convincere dal
rigore delle prove logiche. Non saremo mai realmente convinti; lo saremo solo
sul piano del ragionamento; ma non su quello che si sottrae, non convinto, al
LOGISMOS. Gadamer riprenderà il dialogo socratico, la figura di Socrate, etc.
realtà è il mondo delle Idee (Iperuranio). Questo passo si lega al Cratilo: come
lego le diverse rappresentazioni di un’idea? Attraverso il nome, che è il nesso,
il nodo tra l’idea e l’oggetto/le copie; il nome ribadisce la divisione della
realtà, introducendo un oggetto nel contesto dell’idea. Il mondo delle Idee
invece è stabile ed eterno, rispetto al mondo variabile che si decompone – le
Idee reggono il mondo, come fondamenta eterne di esso. Due livelli: il livello
sensibile della percezione; il livello psichico nel senso della psychè, ossia il
livello sovrasensibile – questo è il grande influsso platonico nella cultura
occidentale.
Lo sforzo di Wittgenstein, nei confronti di quest’impronta platonica, sarà
quello di liberarsi del platonismo, disfacendo l’idea di interiorità e di pensiero
– è quasi più difficile concepire l’impresa del 900, che consiste nel superare la
metafisica platonica (Heidegger). Capiamo invece che l’universo è letto
attraverso le lenti di Platone – infatti è quasi scontata la distinzione tra due
realtà, quella sensibile e quella sovrasensibile, introdotta da Platone nella
filosofia. Gerarchicamente per Platone è più importante il piano sovrasensibile.
Noi non vediamo le Idee, se non con gli occhi dell’anima – questo è il
dualismo platonico, che impronta tutta la metafisica. Le Idee, dal punto di vista
sensoriale, sono invisibili – sono visibili sul piano sovrasensoriale. Il dualismo
platonico è molto radicale e verrà articolato nella terza prova, che è anche la
più semplice.
[Intervallo: bambino irrazionale che ha paura della morte]
Gadamer negli “Studi platonici” dice, da filosofo, che le gli argomenti
filosofici delle tre prove sull’immortalità dell’anima sono insoddisfacenti. La
forza poetica del Fedone è più grande della forza logico-argomentativa; la
grandezza di quest’opera non sta nell’argomentazione delle prove, che non
convincono del tutto né Simmia, né Cebete, né Platone e neanche il lettore –
infatti non a caso l’intervalle viene inserito prima dell’argomentazione della
terza prova. Il motivo per cui Platone parla del bambino che è in noi e che non
si lascia del tutto convincere dal rigore logico delle prove è che c’è
un’enigmaticità della paura della morte. Si può essere convinti su un piano
razionale (“loghismos” – “ragionamento”), ma non su quello irrazionale, che
non cessa di avere paura. Gadamer dice qualcosa di nuovo sul Fedone: è
un’opera di un’importanza straordinaria, perché la figura di Socrate morente,
che si staglia alla fine del dialogo, sarà un’alternativa alla figura eroica di
Achille – punto di riferimento per i Greci. Socrate è una figura tragica, ma non
si riduce a questo, altrimenti sarebbe perdente, cioè, morendo, perderebbe la
Gadamer dice che il Fedone ha un'importanza straordinaria perché il Socrate
morente alla fine del dialogo diventerà un'alternativa alla figura eroica di
Achille. La figura di Socrate non è eroica, ma tragica; ma non soltanto tragica,
perché non è una figura perdente. Socrate non perde una battaglia; ma vince
morendo. Socrate accetta la giustizia, la ribadisce, etc. il modo di
dignità/compostezza con cui assume il farmaco: non c'è bisogno di eroi; ma di
filosofi. Socrate antitetico agli eroi, anti-eroe. Non è tragico neppure nella
morte: la morte subìta sancisce il suo modo di vivere, e dunque la sua filosofia.
La forza di questo dialogo straordinario e bello non sta nelle prove,
insufficienti non nel rigore logico; ma nella persuasione... la forza sta nella sua
VIS poetica. Questo intervallo viene interpretato come un dubbio di Platone
che le prove non siano sufficienti. Distinzione tra ciò che si decompone e ciò
che non si decompone. Platone ci dice così che le idee sono eterne ed
immutabili.
79a Dualismo platonico determinante per la filosofia di Platone e dopo. XXVI.
Questo dualismo è molto radicale e forte che Platone articola in questa III
prova. NB: 79a6 ORATON (visibile) e AIDES (invisibile: è l'invisibile che fa
riferimento all'etimologia di Ade, che vuol dire proprio l' "invisibile").
[ORATON con SOMA] [AISTES con PSYCHE] Il dualismo si fa dicotomico.
Il corpo è il visibile. Questo nesso da una parte e poi il nesso di anima con
l'invisibile. Questa distinzione dal punto di vista della natura umana, non da
quello degli dei. Noi infatti non possiamo vedere. Stringe la parete tra ANIMA
e ADE... rinvio continuo. Questa distinzione è introdotta dal punto di vista
della natura umana, perché l'anima non la possiamo vedere.
XXVII. Questo dualismo è decisivo sotto tutti gli aspetti: quando l'anima si fa
dominare dal corpo è "conturbata", AMARTEMA, l'anima erra. Differenza di
AMARTEMA con PSEUDOS, l'errore, lo sbaglio. E' come se l'anima
accettasse di vagare lì dove domina l'incostante, il variare: questo ha delle
ripercussioni etiche, esistenziali. Quando l'anima si affida ai sensi e al corpo
nella sua materialità, va ERRANDO nel variabile. Se si ferma e rimane in se
stessa, questo non avviene. Quelli sono gli aggettivi, 79d2. ATHANATON:
immortale. L'anima, se rimane separata lì dove riesce a restare separata dal
corpo, è già quasi immortale. Allora si dirige dov'è il pure, l'eterno,
l'invariabile, l'immortale. Sono questi dei sinonimi? Sicuramente sì. Per
Platone la purezza dell'anima è già il suo dirigersi verso l'immortalità. Quando
l'anima si raccoglie allontanandosi dal corpo in se medesima, in questo vi è
sua battaglia – Socrate invece, proprio nella sua morte, nell’accettazione del
processo e della giustizia, vince la sua battaglia, mostrando di essere il filosofo,
antitetico all’eroe. Non c’è bisogno di eroi tragici, ma di filosofi; il filosofo
non è una figura tragica, neppure nel momento della morte – la morte di
Socrate infatti non sancisce la sua sconfitta, bensì il suo modo di vivere e
quindi la sua filosofia. La bellezza del Fedone non è dunque nelle prove,
insufficienti nella loro capacità persuasiva, che non è logica, ma essa risiede
nella vis poetica di questo dialogo. In definitiva l’intervallo è interpretato, da
Gadamer, come un dubbio che proviene dallo stesso Platone riguardo alla
sufficienza delle prove a livello argomentativo e persuasivo.
XXVI PARAGRAFO. Vengono distinti due piani, quello del visibile (oraton) e
quello dell’invisibile (aides); il piano dell’oraton (da orao), appartiene al soma
(corpo); il piano dell’aides appartiene invece alla psychè – aides, l’invisibile, è
l’etimologia di “Ade”, l’oltretomba e l’invisibile (importante per Platone).
Questo dualismo (visibile e invisibile) costituisce l’ossatura di tutta la filosofia
occidentale – il corpo è visibile e l’anima è invisibile. È una distinzione fatta
dal punto di vista della natura umana, quindi non possiamo dire che valga per
gli Dei: per gli uomini l’anima è invisibile – si stringe la parentela tra l’anima e
l’Ade.
XXVII PARAGRAFO. Quando l’anima si fa dominare dal corpo è conturbata
e fuorviata – é importante distinguere“amartema” (errore, errare) e “pseudos”
(sbaglio). L’anima erra perché si fa dominare dal corpo, cioè
dall’incostante/variabile. In questo modo il dualismo platonico ha anche delle
ripercussioni sull’etica: l’anima che si affida ai sensi e al corpo erra, lì dove è il
variabile; ciò non avviene se invece l’anima si raccoglie in se stessa, tanto che
può vagare dove è il puro (katharon) e l’immortale (athanaton), l’eterno e
l’invariabile – verso di essi (vari sinonimi) si dirige quando è lontana dal
corpo. Quando l’anima si congeda dal corpo e si raccoglie in sé medesima, è
tale che, essendo congenere al pure e all’immortale, torni lì da dove è venuta. Il
corpo è votato all’erranza e porta l’anima ad errare; l’anima è invece
congenere (sunghenesis) a ciò che è eterno e invariabile, cioè partecipa del
CONGENERE di questi aggettivi... allora cessa dal suo errare. Il corpo è ciò
che è variabile, che è votato e che porta l'anima all'erranza, ad errare. NB:
differenza tra errore e sbaglio. Il corpo fa parte di ciò che è visibile, etc.
L'anima fa parte/è congenere dello stesso EIDOS, della stessa IDEA, di ciò che
è... congenere vuol dire che partecipa del genere dell'eterno, dell'invariabile,
etc. CONGENERE=SUNGENESIS. Gli oggetti concreti sono copie dell'idea.
Partecipazione all'EIDOS. L'anima partecipa del genere dell'IMMORTALE. E'
possibile partecipare a più generi? sì. Nel Sofista infatti ci sono generi misti.
Dualismo/dicotomia che ha qualcosa di conflittuale per il rapporto
anima/corpo. L'anima, se cede al corpo, è portata in basso. Il visibile è il modo
dabbasso; mentre l'anima è in alto. L'anima, se guidata dal corpo, non erra solo
orizzontalmente; ma anche verticalmente. Rapporto gerarchico, gerarchia che
resterà per secoli. Solo nel '900 questa viene criticata e messa in discussione
come gerarchia "metafisica". Heidegger dice che la metafisica è costruita
intorno a questa gerarchia platonica: è l'anima che deve dominare, altrimenti
erra.
XXVIII. L'anima deve dominare, il corpo deve servire. Qui la dicotomia
assume contorni più precisi, si va precisando: da una parte il visibile è mortale
(il corpo), dall'altra l'invisibile somiglia al divino (l'anima). Questi aggettivi
sono gli attributi dell'Essere parmenideo. C'è costantemente da parte di Platone
continuamente la preoccupazione di salvare nella riflessione la posizione di
Parmenide e di Eraclito. La teoria delle idee è certamente un tentativo di
risposta a Parmenide ed a Eraclito, mantenendo le esigenze di altri. Una serie
di aggettivi che troviamo in forma analoga nel poema di Parmenide. Il
problema di Parmenide: L'Essere è e non può non essere. Se dico OUK ESTI
mi contraddico, perché dico che l'Essere è e non è. Il problema di Platone è il
problema del non-Essere, che qui inizia a uscir fuori. Per i greci, se dico non-è
intendo un valore ontologico; i greci non distinguono tra il valore logico e
ontologico (soprattutto i Presocratici): il problema predicativo è il problema
della predicazione: intendono [solo ???] in senso ontologico. Il grande
problema di Platone è di non cadere in questa grande contraddizione: di non
arrivare all'esito paradossale di poter dire solo ESTI, solo che E'. Per
Parmenide infatti non posso predicare altro, perché sennò già cado nella
contraddizione tra essere e non-essere. Non posso neanche coniugare il verbo.
La filosofia si ferma a dire EST; ma Parmenide stesso [un po'] cede [ed usa
delle metafore]: inconcusso, immutabile, eterno, etc. Cede all'esigenza di
definire l'Essere; ma in realtà si contraddice, e lascia il problema in "eredità" a
genere dell’eterno, del puro ecc. Gli oggetti concreti sono copie delle Idee, cioè
partecipano del loro genere – lo stesso legame di partecipazione sussiste tra
l’anima e ciò che è immortale. Nel Sofista dirà che si può partecipare a più
generi.
Se l’anima cede al corpo è portata in basse, mentre l’invisibile è in alto;
l’erranza non è solo orizzontale, c’è una vera e propria caduta dell’anima –
rapporto gerarchico che resisterà nei secoli, almeno fino al ‘900, quando questa
gerarchia verrà messa in discussione perché metafisica; ma infondo la
metafisica è essa stessa questa gerarchia, è costruita su di essa (Heidegger).
XXVIII PARAGRAFO. L’anima deve dominare, e il corpo obbedire – come il
Dio comanda al mortale. La dicotomia si va precisando, perché Platone
introduce ulteriori distinzioni: c’è il visibile, che è corporeo e mortale; e c’è
l’invisibile, cioè l’anima, che partecipa al divino – contrapposizione mortale-
divino. La serie di sinonimi che appartengono alla sfera del divino sono in
realtà gli stessi attributi dell’Essere parmenideo: c’è, da parte di Platone, la
continua preoccupazione di salvare la riflessione di Parmenide ed Eraclito – la
teoria delle Idee è certamente un tentativo di risposta a Parmenide e ad
Eraclito. Il problema di Parmenide, nell’usare questi attributi, riguarda il
principio per cui l’essere è e il non-essere non è, e quindi l’essere è e non può
non essere, il non essere non è e non può essere – ma gli attributi, questo il
problema, rischiano di inficiare il principio di base. Parmenide dice che
l’essere è (esti), se dico ouk-esti mi contraddico – Platone eredita il problema
del non-essere, che inizia da qui. Per i greci l’ouk-esti ha valore ontologico e
non viene distinto il valore logico – il problema è quindi quello della
predicazione. “Ouk-esti” secondo la concezione greca vuol dire proprio “non-
esiste”, per cui non si può predicare di una cosa che esiste (esti) e che non
esiste (ouk-esti). Il problema di Platone è quello di non cadere nella
contraddizione – Parmenide trova la soluzione nell’affermazione che l’essere
“è”, cioè dell’essere posso dire solo che è; la stessa filosofia, per Parmenide, si
ferma a dire l’esti. Però poi Parmenide si ritrova con la necessità di doverlo
Platone, il quale lo analizza nel Parmenide e lo risolve nel Sofista: qui il
parricidio, la necessità di risolvere il problema del non-essere, capire cosa vuol
dire "non-è". Con la teoria delle idee Platone sta già cercando una risposta: ha
ragione Parmenide; ma anche Eraclito (il mondo del mutare), che Platone pone
dove c'è il nostro mondo e il SOMA. La teoria delle idee è una risposta ad
entrambi nel farsi carico delle esigenze di entrambi. Platone può in questo
modo usare senza contraddizione gli aggettivi di Parmenide. Necessità di
definire l'istante della morte. Il cadavere si disfa. La nostra esperienza è sempre
del disfacimento del corpo dell'altro. La morte è uno svanire nel nulla -- corpo
[sicuramente]. Le mummie: se queste resistono, perché non l'anima? Questo il
parlare (???) al bambino. Il grande problema della morte: che ci sia qualcosa
che rimanga oltre il nulla entro cui svaniamo. L'anima, congenere all'invisibile,
ritorna all'Ade (ricorda l'etimologia), da dove è venuta, e tornerà
reincarnandosi. Platone introduce il motivo che tanto più ho provveduto in vita
a separarmi dal corpo, tanto più è leggera la mia anima al momento della
morte, e tanto più facilmente riesce a liberarsi dal corpo. Tanto più l'anima ha
vissuto lontano dal corpo, lì dove non domina il corpo, tanto più con la morte
potrà volare verso l'Ade, da dove è venuta.
XXX. Platone da indicazioni: 2 forme di vita che si contrappongono... quella
del dominio del corpo, che influisce non solo al-di-qua ma anche al-di-là. Farci
dominare dal visibile, dalla luce. La forma di vita filosofica invece è votata
all'oscurità, all'invisibile. Questa forma di vita è quella apparentemente più
difficile nell'al-di-qua perché è più lontana dal visibile, e si lascia invece
dominare dalla PSYCHE verso ciò che è più oscuro. La prima è appesantita dal
corporeo. Ripercussioni ed esiti di questa condizione già nell'istante della
morte: l'anima è appesantita dal corpo, fa fatica ad elevarsi e a ritornare da
dove è venuta. L'anima del filosofo ha provveduto invece già in vita a
purificarsi ed è già pronta, nell'istante della morte, a ritornare da dove è già-
venuta. Importante andamento ciclico degli aggettivi, i quali ritornato. Gravità
del corpo. Distinzione terra-cielo. Corpo inchiodato alla gravità della terra.
Questione ripresa da Mendelsohn nel '700. Che cosa avviene dell'anima
all'indomani della morte? Questione anche teologica dai confini labili. Platone
riprende dottrine orfico-pitagoriche anche qui, e mescolate di un sapere
"popolare". L'anima che è rimasta impura, che non è riuscita a liberarsi dalla
pesantezza, è inquieta e non può tornare all'Ade (invisibile) e quindi resta
intorno alla tomba (il SEMA): etimologia che troveremo nel Cratilo, tomba-
segnale. L'anima resta appesantita intorno alla tomba. Idea che l'anima impura
definire, con gli attributi, ma si contraddice. Così Platone eredita il problema di
Parmenide e lo risolve nel Sofista (Parricidio), ossia la questione del non-
essere e di doverlo definire (grande problema filosofico di Platone). Eraclito
ammette invece un variare, che Platone ammette solo per il corpo – mentre le
Idee sono immutabili ed eterne. Così Platone finisce per farsi carico delle
esigenze di entrambi, facendo del non-è un essere-altro/diverso, dal punto di
vista logico, della predicazione.
XXIX PARAGRAFO. È evidente che il cadavere si disfa – esperienza della
morte altrui. La morte è disfacimento e svanire nel nulla – ma al di là del nulla
c’è qualcosa che resta del corpo, questo è il problema della morte; perché
allora non dovrebbe resistere l’anima? Platone parla al bambino che è in noi: la
parte della psychè ritorna all’invisibile (Ade – aides). Ribadisce che la
preparazione alla morte consiste nel separarsi dal corpo durante la vita.
Introduce un motivo: quanto più l’anima ha provveduto in vita a separarsi dal
corpo, tanto più è leggera e riesce a separarsene al momento della morte.
XXX PARAGRAFO. C’è una forma di vita, il di qua, che è dominata dal
corpo e dal visibile, dalla luce; la vita filosofica è invece votata all’oscurità – si
tratta di una forma di vita più difficile nel di qua, perché è anche quella più
lontana dal corpo, ma dominata dall’anima e che guarda a ciò che è oscuro. La
distinzione ontologica di questi due piani non ha certo i suoi esiti nella vita
terrena, ma ha ripercussioni nell’al di là: nella morte, l’anima, appesantita dai
resti del corpo, fa fatica ad elevarsi e a ritornare lì da dove è venuta; invece
l’anima del filosofo ha provveduto in vita a purificarsi, quindi è più leggera e
pura. I sinonimi seguono un andamento ciclico: ciò che attiene al corpo è
pesante, terreno, grave e visibile. Tale questione è ripresa da Mendelssohn, che
apre un dibattito nel ‘700: cosa avviene all’anima all’indomani della morte –
non nell’istante della morte. La dottrina orfico-pitagorica è la fonte del
pensiero di Platone: l’anima, che è rimasta impura ed appesantita dal corpo, è
inquieta e non può tornare immediatamente all’Ade, e dunque resta intorno alla
tomba (sema), perché non riesce a sollevarsi – c’è l’idea che l’anima impura
sia inquieta ed appesantita, perciò resta accanto alla tomba e al corpo. A
Mendelssohn, filosofo ebreo, interessano le due questioni, riguardanti il
distacco dell’anima dal corpo e l’istante della morte – due momenti diversi, la
morte e il congedo dalla morte, che per Mendelssohn avviene dopo un mese.
sia l'anima inquieta, appesantita, che resta accanto al corpo, alla propria tomba.
Mendelsohn è interessato all'istante della morte e del distacco dell'anima: due
momenti differenti e ben distinti. Cfr. tradizione ebraica. La morte è diversa
dal congedo/dipartita dal corpo e dalla tomba. Per Mendelsohn ci vuole un
mese. Anche Platone distingue bene i due momenti. L'anima del filosofo si
solleva immediatamente e non resta nell'inquietudine, e per Platone c'è una
continuità tra al-di-là e al-di-qua. Questo perché si è preparata in vita. Le
anime appesantite non solo sono inquiete; ma partecipano ancora del visibile,
ancora sono visibili. Qui c'è una distinzione tra i buoni e i malvagi: queste
anime sono costrette a vagare, ad ERRARE e così pagano la loro pena. Il
filosofo ovviamente non ha alcuna sete né fame del corporeo. Qui abbiamo
un'idea che avrà grande fortuna nella teologia cristiana: pene e premii, in una
continuità o metempsicosi, etc. A seconda di quello che ha fatto in vita... non
si parla di peccati in senso religioso: a seconda delle abitudini in vita... prende
forma animale (cfr. Timeo). Per i greci questa è una forma inferiore a quella
dell'uomo: i malvagi finiranno per incarnarsi in un animale. Perfino un
cittadino temperante diventerà forse ape, forse vespa o forse [ma non credo
proprio] uomo. Qui c'è l'idea di GIUSTIZIA e una risposta del Socrate di
Platone all'ingiustizia che ha subito. Qui, di qua, può esserci ingiustizia; ma di
là ci sarà la GIUSTIZIA. Spartiacque che segna la filosofia e la tradizione
occidentale. C'è un nesso tra il modo [o mondo ???] di qua e là si paga ciò che
si è fatto: là non ci può essere ingiustizia, perché la giustizia ci sarà e ci dovrà
essere. Le anime si reincarneranno in base a quei caratteri. La metempsicosi
non è una teoria neutrale; ma si coniuga con l'idea della giustizia: la TUCHE
dell'anima dipende dalle scelte fatte in vita. Questo è il modo di Platone per
mantenere l'idea di giustizia. In questo modo assume a voce la fiducia di
Socrate che la giustizia ci sia: non sarà in questo mondo [o di questo mondo];
ma ci sarà. Una giustizia corrispondente alla condotta di vita che si è scelta qui:
le scelte non sono un niente.
XXXII. Rivendicazione fortissima della filosofia. Solo il filosofo può ambire
ad un premio, perché la sua anima già in vita si è congedata dal corpo. Solo il
filosofo, nessun altro. Per i bravi cittadini sono sappiamo... risposta molto forte
anche nei riguardi di chi ha condannato Socrate. Il filosofo non purifica la
propria anima per altri fini: non è guidato da secondi fini; ma lo fa per la
filosofia stessa, per la filosofia e basta. Altrimenti non è un vero filosofo, e per
il filosofo la vita è la filosofia. C'è una differenza tra il filosofo e i bravi
cittadini (cfr. Repubblica). Solo i filosofi possono dirigere la POLITEIA. Il
Anche Platone distingue bene i due momenti e, nella sua concezione, l’anima
del filosofo non resta nell’inquietudine, perché si è preparata in vita –
continuità tra la vita di qui e la vita di là; ciò che si è fatto nella vita terrena ha
ripercussioni nella vita dell’al di là. Le anime inquiete è come se partecipassero
ancora del visibile, per questo anch’esse, come i resti del corpo, sono ancora
visibili, non essendo riuscite a levarsi allo stadio dell’invisibile. Segue da ciò
una distinzione tra buoni e malvagi: le anime dei malvagi sono costrette a
pagare le pene della loro vita, l’insaziabilità del corporeo, vagando ed errando
– il filosofo non ha mai fame di corporeità.
XXXI PARAGRAFO. L’idea delle pene e dei premi avrà fortuna nella
teologia, che sarà una ripresa della teoria della metempsicosi di Platone e degli
orfico-pitagorici – l’anima a seconda delle abitudini della sua vita terrena, dato
che ancora non si parla di peccati, assume le sembianze di un animale, che per
i greci è una forma inferiore all’uomo. C’è un’idea di continuità, soprattutto di
giustizia – qui, la giustizia ultraterrena, è la risposta del Socrate platonico
all’ingiustizia che ha subito; ci può essere ingiustizia qui, ma non nell’aldilà.
Spartiacque che ha segnato la filosofia e la tradizione occidentale: nel mondo
di là si paga, secondo giustizia, quello che si è fatto nel mondo di qua, dove
domina l’ingiustizia. Le anime quindi si reincarnano a seconda delle loro
abitudini in vita – la metempsicosi non è una teoria neutrale, ma si coniuga con
l’idea della giustizia. Platone assume la fiducia di Socrate che la giustizia ci
sia, che non sia di questo mondo, ma del mondo al di là – la giustizia è
rispondente alla condotta di vita.
XXXII PARAGRAFO. C’è una fortissima rivendicazione della filosofia – non
solo Socrate avrà giustizia, ma solamente il filosofo può ambire ad un premio,
perché in vita si è congedato dal corpo. Il filosofo non è preoccupato da altri
fini; c’è chi si astiene dal corpo per avarizia, ma il filosofo non è guidato da
secondo fini, è bensì guidato unicamente dalla sua vocazione filosofica – i
bravi cittadini hanno secondi fini, per questo solo i filosofi, secondo Platone,
possono dirigere la politheia. Il filosofo è padrone di sé ed agisce per amore
della sophia, la quale è una vera forma di vita – la forma di vita filosofica è
filosofo è padrone di sé perché la sua anima si diparte dal corpo. Lo fa per la
filosofia, per quell'amore per la SOFIA che assume i contorni di una forma di
vita dove domina la PSYCHE, e dove non ci sono cedimenti. Grandi
conseguenze di questo nella POLITICA: proiezione di questa visione oggi
molto contestata (cfr. Repubblica). Più si è vicini alla concretezza del SOMA,
meno si può governare [non solamente se stessi], e vice versa. FRONESIS: qui
non è usato in modo tecnico (Aristotele), ed è più nell'accezione del lessico di
omero: quindi non c'è oculatezza semantica (termini tecnici), ma si è nel
linguaggio quotidiano.
Architettura del dialogo: prima di seguire l'andamento della III prova, ci sono
diverse interruzioni da considerare: la prima è questo mito escatologico
dell'anima e del destino dell'anima: di quello che la attende per il suo
comportamento di qua; ce ne sono altre [di interruzioni]. Piccoli intermezzi: il
canto del cigno. Socrate si fermerà a rispondere alla prima obiezione di
Simmia, e poi a quella di Cebéte. Questo prima della terza prova, che riepiloga
le prime due. Perché non ci sbrighiamo? perché Platone non ci dice subito la
sua tesi? perché non ci dice invece la tesi di Socrate? perché non andiamo al
dunque? Perché tante esitazioni, questo continuo fermarsi? perché leggiamo
argomenti al limite del mitologico? perché non c'è apoditticità? Questa è una
giusta domanda: perché queste interruzioni, questo soffermarsi su argomenti
che non hanno tanta attinenza e peso sulla posizione di Socrate e Platone? La
risposta sta nel dialogo platonico, nel modello di dialogo che Platone assume!
Questo punto sarà di differenza sostanziale tra Platone e Aristotele: questi non
scrive dialoghi. Aristotele scrive trattati: stile apodittico, dimostrativo, stile
dimostrativo. L'etica a Nicomaco pure ha uno stile apodittico. Lo stile in
filosofia non è indifferente; ma è fondamentale. Scegliere uno stile influisce
sul modo di pensare: scegliere uno stile dialogico fa una bella differenza:
Platone mantiene sempre, fino alla fine, uno stile e un andamento dialogico
(del pensiero). Lo stile di Aristotele è uno stile dimostrativo. E' evidente che
col Fedone Platone ha anche un intento dimostrativo; ma non solo
[dimostrativo], e non ci vuole arrivare direttamente attraverso l'apodissi. Ci
obbliga a fermarci: è un percorso di tornanti, curve, soste inattese. Questa per
Platone è la filosofia: la filosofia è dialogo. Questo non è qualcosa di esteriore;
ma invece di costitutivo. Da questo consegue che nello stile apodittico, che
sarà lo stile vincente, non conta il confronto con l'altro: opinione dell'altro non
è un punto di riferimento. Viene considerata tacitamente. Si prendono in
considerazione le possibili obiezioni; ma tacitamente. Platone da voce
all'Altro. Le obbiezioni vengono prese in seria considerazione, al punto che il
dominata dalla psychè. Conseguenze sul piano politico: la politheia è un
progetto politico contestato, ma è la proiezione di questo pensiero – più si è
lontani dalla concretezza più si è in grado di governare.
[Architettura del Fedone]
Prima delle terza e ultima prova vi sono diverse interruzioni nel dialogo: la
prima interruzione riguardava il mito escatologico dell’anima e del destino
dell’anima, di ciò che l’attende al di là, a seconda della sua condotta di vita; un
altro intermezzo importante è quello del “canto del cigno”; Socrate poi si
fermerà a rispondere alle obiezioni di Simmia e Cebete; infine la terza prova
riepilogherà le prime due. Perché Platone non arriva subito al punto esponendo
la tesi dell’immortalità dell’anima e le tesi di Socrate? Negli intermezzi vi sono
argomenti al limite tra il filosofico e il mitologico, non si è ancora giunti ad
una vera tesi filosofica; le interruzioni e il soffermarsi su argomenti che non
sembrano poter cambiare la posizione di Socrate e di Platone hanno, in realtà,
ragione di essere nel modello del dialogo platonico. Questo è un punto di
differenza sostanziale tra Platone e Aristotele: Aristotele non scrive dialoghi,
ma trattati, opere filosofiche che hanno uno stile “apodittico”, cioè
dimostrativo – “L’etica a Nicomaco”, intesa concretamente, ha uno stile
apodittico. Lo stile è fondamentale in filosofia, non è un dato irrilevante,
perché influisce sul modo di pensare; per questo c’è una differenza decisiva tra
Aristotele e Platone, il quale mantiene, sino alla fine, salvo poche eccezioni,
uno stile ad andamento dialogico del pensiero – mentre Aristotele mantiene
uno stile dimostrativo. Questo non vuol dire che Platone non abbia un intento
dimostrativo, ma il suo compito filosofico non si riduce a questo, non vuole
arrivare alla dimostrazione per la via diretta dell’apodissi; è dunque con il
dialogo che Platone imposta un percorso che obbliga a fermarsi e ad attendere
– la filosofia si costituisce proprio nell’andamento del dialogo. Da questa
prima differenza, tra Platone e Aristotele, ne consegue un’altra: nello stile
apodittico di Aristotele, che sarà il modello vincente nella filosofia, non conta
il confronto con l’altro e con la sua opinione, cioè non sono punti di
riferimento – sono considerati solo tacitamente, a mo’ di possibili obiezioni.
Nel dialogo socratico di Platone, invece, viene data voce e parola all’altro – le
obiezioni di Simmia e Cebete sono seriamente prese in considerazione, tanto
da interrompere un discorso, e come stessa opportunità per il pensiero
filosofico. La loro posizione è quasi “illuministica” (Gadamer), perché non
credono a quel che dice Socrate, eppure vien data loro la parola – l’accordo, il
consenso dell’altro costituisce l’andamento del dialogo. Il dialogo è sì
dialogo si interrompe. Sia Simmia che Cebéte rappresentano il disincanto
(Gadamer dice: illuministica, illuminismo greco). Non credono a Socrate; ma
viene data comunque loro la parola. IMPORTANTE: il consenso dell'altro, il
dare la parola all'Altro. Dialogo artistico e per questo artificioso: non è a posto.
E' pilotato da Socrate e diretto da Platone. Proprio l'andamento dialogico fa si
che NOI veniamo coinvolti dall'argomentazione. Siamo disorientati. L'apertura
c'è, entro i limiti di un dialogo scritto. Certamente noi siamo abituati ad uno
stile lontano dal dialogo platonico, di fatto nella scrittura non lo è.
XXXIII. [già ??? della forma di vita filosofica (82c)]
Socrate ripete quello che ha già detto sull'anima del filosofo. Ritorna la
concezione negativa dei sensi. L'anima di questo già prima della morte lo
libera dal carcere: l'anima che si contrae -- metafora del concentrarsi,
restringersi dell'anima che permette di pensare. L'anima che si affida alle
sensazioni: qual è l'errore che commette? Attraverso il piacere e il dolore è
portata a credere che ciò che esiste nel visibile esiste ed è vero; mentre in realtà
non è... è ERRARE, perché il vero mondo è il retro mondo delle idee. Ritorna
il Platone parmenideo, ritorna Parmenide e l'esigenza parmenidea e i suoi
aggettivi. L'anima che soggiace alle sue affezioni momentanee è quella che si
fa contaminare dal corpo: non c'è un giudizio etico; ma ontologico. L'anima
che diviene simile al corpo è quella che non segue la sua aspirazione
ontologica; ma si fa incatenare all'immanenza ontica del corpo, e non tende al
dove da cui è venuta: il mondo ontologicamente superiore. Qui c'è un giudizio
ontologico: l'anima si degrada, accetta una degradazione ontologica del mondo
in divenire, non dell'Essere. Esigenza parmenidea, e distinzione tra il mondo
apparente e il mondo dell'Essere che per Platone non è un mondo al singolare
(niente monismo parmenideo); ma pluralità; ma tuttavia è il mondo dell'essere.
Platone risponde all'esigenza parmenidea. L'anima aspira ad appartenere al
mondo dell'Essere. Questa la tesi di Platone: l'anima appartiene al mondo
dell'Essere e per questo è immortale.
XXXIV. Penelope fa e disfa la tela. Questa metafora perché Socrate diche che
l'anima del filosofo non deve fare e disfare: l'anima non deve cadere
nuovamente nelle passioni, affezioni sensazioni. L'anima si disfa perché si
allontana dal compito della filosofia e quindi dalla meta dell'anima. La
filosofia è liberazione, redenzione, scioglimento dalle catene. Se l'anima non è
fedele, si disfa. Lavora per tendenza opposta. Il dramma escatologico
artificioso e pilotato da Socrate e diretto da Platone; noi non possiamo entrare
nel dibattito, ma certo è che l’andamento dialogico coinvolge, ci disorienta
rispetto alle posizioni dei vari personaggi – in realtà l’apertura c’è, nel rispetto
dei limiti del dialogo trascritto. Lo stile della scrittura filosofica odierna è
molto lontana dal dialogo platonico.
XXXIII PARAGRAFO. Si ripete che l’anima del filosofo lo tiene lontano dai
sensi – ritorna sempre la concezione negativa dei sensi e la visione dell’anima
come liberazione dall’incatenamento del corpo. E ancora, l’anima si contrae e
si restringe per potersi allontanare dal corpo e pensare. Al contrario l’anima
che si affida alle sensazioni erra, perché attraverso il piacere ed il dolore è
portata a credere che ciò che esiste nel mondo visibile esista come realtà più
vera, quando invece il vero mondo è il retro-mondo, il mondo delle Idee –
questo è l’errore più grande che l’anima può commettere. Ritorna il Platone
parmenideo, ossia l’esigenza parmenidea del pure e dell’uniforme – ora,
l’anima che soggiace alle affezioni sempre variabile è l’anima che si fa
convincere dal corpo. Non c’è un giudizio etico di Platone, ma ontologico:
l’anima che diviene simile al corpo è l’anima che non segue la sua aspirazione
ontologica, ma si fa incatenare nell’immanenza/sonno ontico del corpo; non
c’è una riprovazione morale, come nel Cristianesimo, invece il giudizio è
ontologico perché riguarda la degradazione dell’anima che soggiace alla
variabilità del mondo in divenire. Quindi, l’esigenza parmenidea riguarda la
distinzione tra il divenire del mondo apparente ed il mondo dell’Essere, che
tuttavia non è monistico, non è un mondo al singolare (Parmenide), ma al
plurale (Idee) – Platone risponde così a quest’esigenza che continua a far
valere. La tesi di Platone: l’anima partecipa al mondo dell’essere, non del
divenire – questa è l’immortalità dell’anima.
XXXIV PARAGRAFO. Penelope fa e disfa la tela: la metafora della tessitura è
inserita perché Socrate dice che l’anima del filosofo non deve fare e disfare,
cioè cadere nuovamente nelle affezioni e sensazioni, perché in questo modo
l’anima “disfa”, cioè si allontana dal suo scopo, che è anche lo scopo della
filosofia, ossia liberare l’anima – la filosofia è liberazione/redenzione e
scoglimento dell’anima dalle catene. Se l’anima del filosofo non fosse severa,
dell'anima è quello di rivelarsi un NULLA, che dopo la morte si dissolva, sia
nulla. Dice Socrate -- inattuale -- che il nutrimento dell'anima, ciò che le da
vita, è ciò che proviene/è affine a ciò che è vero, divino, uniforme e
inconcusso. Tutto ciò che è corpo toglie vita all'anima: il benessere del corpo è
malessere dell'anima. Il benessere viene dalla teoria dell'Essere, del divino. Più
l'anima si è esercitata nella vita filosofica che le consente la separazione dal
corpo, più con la morte potrà librarsi senza il pericolo di diventare nulla: il
dramma del NULLA attraversa tutto il Fedone. Il timore di Simmia e Cebéte
che la morte non sia solo la morte, ma il NULLA. Angoscia. Socrate è ben
consapevole di questo timore: che tutto si dissolva nel nulla.
XXXV. Questo conferma che il dialogo è fatto di pause, di interruzioni, di
silenzii. Pause di silenzio... il dialogo si interrompe. Il dialogo diventa
racconto: Fedone racconta che Simmia e Cebéte discutono tra loro a bassa
voce. FRASE DI SOCRATE IMPORTANTISSIMA: qui Socrate vede Simmia
e Cebéte che parlano tra loro e prende in considerazione le loro perplessità:
loro dubbi: modestia di Socrate che sa di non sapere. Certamente qui si
potrebbero sollevare dubbi; ma c'è un rigore di Socrate: se le difficoltà si
riferiscono a questo, INTERVENITE! Il ritegno di Simmia e Cebéte: non sono
convinti per nulla, e si danno di gomito... avrebbero voglia di interrogare
Socrate... ma come fanno in un momento così brutto. Loro ricadono
nell'opinione, nella concezione negativa della morte, e per Socrate non è così.
Interruzione del canto del cigno: i cigni, animali sacri ad Apollo, sono
"indovini". Il legame di Socrate con Apollo, il legame con la divinazione.
Paragone col canto del cigno, devoto ad Apollo: gli uomini fraintendono, per
paura della morte, il canto del cigno. Socrate paragona le sue parole al canto
del cigno: il canto del filosofo. Simmia e Cebéte sono pronti a parlare, ad
obiettare. Qui inizia un punto importantissimo: Socrate da loro la parola. Le
obiezioni loro sono quelle dei potenziali lettori del dialogo. L'abilità/grandezza
di Platone sta nel rendere dialettico il dialogo: dare la parola (apertura
dialettica) per fare di loro protagonisti da prendere in considerazione.
ZATTERA DEL MARE DELLA VITA: metafora che inizia qui e ritroveremo:
la seconda navigazione di Socrate. Qui preludio importante: si dice che quando
gli argomenti sono complessi, ci sono tre possibilità: apprendere da altri,
trovare da sé, oppure una terza via: la via di Socrate e Platone. Diversa dalle
prime due, accoglie quel LOGOS che sia il migliore e il meno confutabile. Noi
ci muoviamo tra argomenti complessi: non abbiamo a che fare con calcoli, con
agirebbe come Penelope.
Il dramma escatologico dell’anima è quello di rivelarsi nulla – grande timore
che dopo la morte l’anima si dissolva e sia nulla. Dice Socrate che, per
l’anima, tutto ciò che è affine al vero e al divino, è vitale e il suo nutrimento;
ma tutto ciò che ha a vedere con il corpo toglie la vita all’anima – il benessere
del corpo è il malessere dell’anima. Il benessere dell’anima viene dalla teoresi,
dalla contemplazione del vero e divino. Così, più l’anima del filosofo si è
esercitata nella forma di vita filosofica che la separa dal corpo, più potrà
librarsi nell’aria e sciogliersi dal corpo né più potrà rischiare di divenire nulla –
il dramma del Fedone è il Nulla, il dramma espresso da Simmia e Cebete che
la morte sia questo nulla e che tutto si risolva in esso.
XXXV PARAGRAFO. Il dialogo è fatto di pause; il dialogo si interrompe e
segue il silenzio degli interlocutori di Socrate. Qui si fa più che altro il
racconto di cosa succede: Simmia e Cebete discutono tra loro a bassa voce.
Irrompe Socrate, con una frase importante: Socrate vede Simmia e Cebete che
parlano tra loro e prende in considerazione le loro perplessità e i loro dubbi,
qualora ce ne fossero – Socrate esprime anche una grande modestia, lui che
sempre sa di non sapere. Lo sa che si potrebbero sollevare dubbi e obiezioni,
ma se le difficoltà riguardano quanto è stato detto, a maggior ragione Socrate
invita i suoi interlocutori a intervenire. Simmia parla, dicendo che non sono
convinti ed esprimendo allo stesso tempo il loro ritegno, perché vorrebbero
interrompere Socrate, ma considerando il momento delicato in cui egli si trova,
hanno anche paura di disturbarlo – in questo modo Simmia e Cebete ricadono
nella concezione negativa della morte, come se essa fosse un male, ma Socrate
non è disturbato dalla morte e, per questo, essi si sbagliano. L’interruzione del
canto del cigno: Socrate ribadisce che per lui non è un momento malaugurato;
ma riconosce di non riuscire a persuaderli di ciò. Il cigno canta il suo canto più
lungo e bello prima di morire, per la gioia di “ritornare al Dio a cui è devoto”.
Inoltre i cigni sono sacri ad Apollo e sono indovini; anche Socrate ha un
legame con Apollo e con la divinazione – qui è il nesso. Il cigno è legato ad
Apollo, ma la paura della morte, negli uomini, è tale, che essi fraintendono il
suo canto, e ne fanno un lungo lamento – il canto in realtà è per la gioia della
liberazione: così Socrate paragona le sue parole, fraintese anch’esse, al canto
del cigno. Simmia e Cebete ora sono pronti a muovere le loro obiezioni, che
rappresentano anche quelle dei potenziali lettori – l’abilità di Platone è di
rendere dialettico il dialogo e di dargli un’apertura. Viene introdotta un’altra
metafora: la zattera che serve attraversare il mare della vita – metafora che
verità del calcolo; ma con la verità filosofica: ALETHEIA. Non è una verità
come quella della matematica. E' la verità del LOGOS che appare il meno
confutabile e migliore. Il LOGOS è come una zattera di salvataggio: è il
LOGOS che condividiamo con gli altri che ci fa navigare nel mare della vita.
NB: perché torna nella seconda navigazione: la fuga nei logoi. E' una
navigazione più che una fuga. La filosofia è affidata al LOGOS, è affidata al
"discorso": il valore semantico di LOGOS indica un valore LINGUISTICO,
LOGICO e ONTOLOGICO. Valore triplice. A questo è affidata la Verità
platonica. O c'è la divina rivelazione, o -- altrimenti -- c'è la zattera.
XXXVI. Obbiezione di Simmia: in questa obbiezione l'anima viene paragonata
ad un accordo. L'accordo musicale quando gli strumenti cessano non rimane.
Quindi l'anima non resta. Quell'accordo (armonia) che l'anima è per il corpo...
XXXVII. Socrate non risponde immediatamente; ma da la parola a Cebéte.
Cebéte ha ragione nel dire che stiamo battendo sempre lo stesso chiodo: non
andiamo avanti perché non siamo convinti che l'anima resti una volta
decomposto il corpo. Riemerge l'argomento di Cebéte. Nessun problema con la
prima parte dell'argomento; ma sì, con la seconda parte, Cebéte, ed egli è meno
poetico di Simmia: fanculo all'accordo musicale, ed è qui più prosaico.
Abbiamo girato intorno allo stesso punto: andamento ciclico del dialogo anche
attraverso queste interruzioni. Cebéte non condivide la posizione di Simmia:
l'anima non è sullo stesso piano del corpo -- quindi in ciò ha ragione Socrate --
- e ha una più lunga durata. Cebéte anticipa la domanda di Socrate. Le
posizioni sono differenti; mai due interlocutori uguali con posizioni uguali:
non c'è mai nei dialoghi un fronteggiarsi unico contro Socrate. Immagine di
Cebéte: fino a che punto è lecito servirsi in filosofia di immagini? Nel corso
dei secoli viene delineandosi una dicotomia tra immagine e concetto. Hegel: la
fatica del concetto è la peculiarità della filosofia. Differenza con la letteratura.
E' vero che attraverso i secoli la presenza delle immagini nell'argomentazione
filosofica: fino a che punto il concetto è superamento dell'immagine, o fino a
verrà utilizzata quando si parlerà della seconda navigazione di Socrate. Questo
è un preludio ed un punto importante per Platone; quando si trattano complesse
argomentazioni, ci sono tre possibilità di soluzione: nell’apprenderla dagli
altri; nel trovarla da sé; oppure nell’accogliere quel logos che sia il migliore ed
il meno confutabile, che è la via intrapresa da Socrate e Platone. Platone quindi
ci sta dicendo che ci muoviamo tra argomenti complessi e verità che non
appartengono al calcolo, ma alla filosofia – la verità filosofica è complessa, è
la verità del logos, quello che appaia il meno confutabile ed il migliore. Il
logos è come una zattera di salvataggio; il logos che condividiamo con gli altri
ci fa navigare nel mare della vita – metafora che ritorna a proposito della
seconda navigazione di Socrate, altrimenti detta “fuga dai logoi”. La verità
filosofica è, dunque, affidata al logos, che ha un valore triplice: linguistico,
logico ed ontologico – non c’è una traduzione privilegiata. L’alternativa si
gioca tra la divina rivelazione o la zattera del logos.
XXXVI PARAGRAFO. L’obiezione di Simmia, che fa un paragone tra
l’anima e l’accordo musicale, il quale svanisce e non rimane, cade sempre
sullo stesso punto, cioè viene messa in dubbio la sopravvivenza dell’anima. Il
paragone significa che quell’armonia che l’anima è per il corpo, come gli
accordi musicali, svanisce quando il corpo non c’è più.
XXXVII PARAGRAFO. Socrate non risponde subito a Simmia, ma lascia che
Cebete articoli la sua obiezione. Secondo Cebete si è rimasti alla stessa
questione e non si va avanti, rimanendo il dubbio se l’anima resti dopo la
morte del corpo; non si procede perché si fa sempre, in sostanza, lo stesso
ragionamento. Cebete non ha problemi con la prima parte dell’argomento,
sull’esistenza dell’anima prima del corpo; il problema irrisolto riguarda la
permanenza e la sopravvivenza dell’anima, una volta dissoltosi il corpo.
Cebete è meno poetico di Simmia, che ha cercato un paragone, infattiè più
prosaico e va al dunque. L’andamento del dialogo è ciclico, perché, attraverso
gli intermezzi, si torna sempre allo stesso punto. Cebete non condivide la
posizione di Simmia: l’anima non è sullo stesso piano del corpo, ma è di
moltissimo superiore ed ha più lunga resistenza – qui si trova in accordo con
Socrate. Cebete anticipa una domanda di Socrate: se anch’egli sostiene che
l’anima sia superiore al corpo, perché non si convince della sua immortalità?
Le posizioni dei personaggi, nel dialoghi, sono sempre differenti e mai
completamente uguali; neanche quelle di Simmia e Cebete possono costituire
un unico fronte contro Socrate. Cebete, tuttavia, come Simmia, ha bisogno di
quanto sono due alternative? Nel caso di Platone: linguaggio particolarmente
pieno di immagini -- uso addirittura del mito -- e dove questo uso viene detto
apertamente. Il caso di Aristotele è opposto, esente da immagini nello stile: cfr.
Organon. Il greco degli Analitici è facilissimo: è il greci che cerca di essere
vicino ad un uso logico-strumentale della lingua. Il Fedone è pieno di
immagini e di paragoni: qui (nel passo) c'è la rivendicazione di un uso non di
soppiatto. Cebéte HA BISOGNO dell'immagine: questa fa parte della filosofia.
Il paragone e la metafora fanno parte della filosofia. Possibilità di argomentare
filosoficamente: Nietzsche è il primo a porla (???) rivendicando l'autonomia
dell'immagine rispetto al concetto (poi tutto il '900). Platone è il modella del
filosofo che usa l'immagine. Vecchio tessitore morto: si riprende l'immagine di
Penelope, del tessere, la vita come tela (Cfr. Cratilo): la vita viene/va tessuta e
quindi l'anima è paragonata ad un vecchio tessitore morto. NB: ragionamento
logico importantissimo. Cebéte mira a rovesciare l'argomento di Socrate: il
corpo dura più dell'anima, e l'ultimo mantello resta per altro incompiuto.
Questa parte del Fedone, sulle obbiezioni... e dalle domande di Simmia e
Cebéte... abbiamo a che fare con dei veri esercizi di logica: e ne troveremo
molti altri. Ci sono già qui le prime prove di logica nella filosofia greca da cui
verrà la logica predicativa di Aristotele. Qui c'è la concretezza dell'esempio, da
cui Aristotele astrarrà. Eravamo al dubbio di Cebéte, alla sua similitudine
(metafora): ripresa della tela di Penelope: ciascuna anima tesse molti corpi. Il
problema dell'ultimo vestito. Cosa succede quando il tessitore muore? rapporto
di questo con l'ultimo vestito. Cebéte è interessato a mostrare che egli non ha
niente contro la persuasione di Socrate che l'anima pre-esista; ma non che
l'anima sopravviva al corpo. Diverso da Simmia: per Cebéte l'anima è diversa
dal corpo; ma anche l'anima muore. L'anima trasmigra da un corpo all'altro e
nella vita dell'anima arriva alla sua fine e deve lasciare l' "ultimo corpo". Il
rapporto è come quello del tessitore e dell'ultimo mantello. 87d: come si
consumano tanti vestiti, si consumano tanti corpi: corpo-vestito.
Necessariamente l'anima muore prima dell'ultimo corpo che incarna. Anche se
è evidente che il corpo imputridirà. Che la fiducia di Socrate non sia assurda...
[infatti] noi non possiamo sapere che il nostro non sia l'ULTIMO corpo
incarnato. O si dimostra che l'anima è immortale in tutti i sensi
(ATHANATOS); ma se si dimostra solo per la prima parte, allora resta il
dubbio che l'anima perisca nella sua trasmigrazione: allora non possiamo mai
sapere se il mio sia l'ultimo corpo. Cebéte rimane perplesso. La fiducia di
Socrate potrebbe essere assurda e mal riposta. Sono esercizi di logica
importanti, poiché servono a che piano piano si delinei la struttura della logica.
servirsi di un’immagine. Una grande questione in filosofia riguarda proprio la
liceità dell’uso delle immagini; infatti nel corso dei secoli si delinea una
dicotomia tra immagine e concetto – la fatica del concetto di Hegel è in realtà
la peculiarità della filosofia, distinta dalla letteratura, che non conosce la fatica
del concetto. Ma rimane la questione della presenza delle immagini
nell’argomentazione filosofica, questione che riguarda la liceità e la distinzione
tra le due cose. Il caso di Platone offre un linguaggio ricchissimo di immagini,
specialmente nel ricorso al mito, tanto che, a questo punto del dialogo, viene
esplicitata la necessità del ricorso all’immagine, da parte di Cebete – Aristotele
è il caso opposto, il suo stile è esente da immagini. Anzi, proprio nel Fedone e
proprio in questo punto c’è la rivendicazione dell’immagine: Cebete, per farsi
capire, dice che ha bisogno dell’immagine e la rivendica alla filosofia –
l’immagine è il paragone, la metafora, che fa parte dell’argomentazione
filosofica. La questione dell’immagine in filosofia è posta anche da Nietzsche,
che rivendica l’autonomia dell’immagine. Platone invece è il modello del
filosofo che fa uso delle immagini per filosofare. L’immagine proposta da
Cebete, dunque, è quella di un”vecchio tessitore morto”; si rinvia in questo
modo alla metafora della tessitura, ripresa anche nel Cratilo – la vita è una tela
che viene tessuta. L’anima è paragonata da Cebete ad un vecchio tessitore. Il
ragionamento logico sottostante è importante: stando alla visione di Cebete, è
come se Socrate dicesse di un vecchio tessitore morto che è vivo e vegeto;
Cebete ha anche l’intento di rovesciare l’argomento di Socrate, perché risulta
infine che sia il corpo a durare più dell’anima – Socrate dice il contrario. Il
tessitore tesse un mantello dopo l’altro, per poi giungere a tessere l’ultimo suo
mantello, che sopravvive al tessitore – allora è l’anima che termina prima del
corpo, perché, dopo di lei, resta l’ultimo mantello, che è incompiuto.
Il passo di Cebete costituisce uno dei tanti esercizi di logica presenti nel testo;
è importante il nesso tra analogia e logica, infatti l’analogia che lega il
mantello ed il corpo è una delle prime prove di logica della filosofia greca,
prove che in seguito delineeranno la logica vera e propria – uno dei suoi
sviluppi è la logica predicativa di Aristotele. Con Platone si rimane alla
concretezza degli esempi e non si ha ancora quel processo di astrazione che
sarà la logica aristotelica.
La similitudine di Cebete è chiara e riprende la metafora della tela di Penelope,
dicendo che ciascuna anima tesse molti corpi. Il problema che si pone Cebete
riguarda l’”ultimo mantello” – cosa avviene all’ultimo mantello quando il
tessitore muore? La dimostrazione filosofica di Cebete, che non ha nulla contro
la persuasione di Socrate che l’anima preesista al corpo, mette in luce che il
Non sono ridicoli da questo punto di vista. Cebéte un po' produce uno
smarrimento: mette in dubbio quella fiducia ottimistica alimentata da Socrate.
XXXVIII. L'effetto delle parole di Cebéte è di smarrimento: producono il
dubbio: egli è l'uomo del dubbio che attraversa gli astanti. Socrate non dubita.
E' Cebéte che infonde il dubbio. Si fa strada la MISOLOGIA: la sfiducia nei
LOGOI, nei ragionamenti, che appaiono capziosi (intricati, cavillosi,
"ingannevoli": c'è l'idea del raggiro). Viene instillato il dubbio e la sfiducia nei
LOGOI. Fra poco Socrate riflette sulla MISOLOGIA. Echecrate acuisce il
dubbio: a quale ragionamento potremo ancora prestar fede? Il LOGOS di
Socrate ci aveva convinti, eppure è stato smontato. Il ragionamento capzioso ci
ha instillato questo dubbio. Echecrate dubita ed ha bisogno che qualcuno lo
convinca che l'anima non muoia col corpo. Qui c'è una NARRAZIONE di
Fedone. Echecrate partecipa alla narrazione. Echecrate è quasi un personaggio
ulteriore perché partecipa alla narrazione: come ha reagito Socrate? Fedone:
non l'ho mai ammirato tanto come l'ultima volta. ULTIMO TUTTO: CORPO,
VESTITO, VOLTA. Socrate non si è smentito, avrebbe potuto farlo: perché se
tutto finisse con la morte del corpo, cosa gli importerebbe dell'ultima volta?
perché dovrebbe comportarsi bene? perché non si smentisce davanti al nulla
della morte? che ti frega delle ultime ore se tutto finisce e nulla resta? Socrate
non si smentisce e con la morte conferma la sua vita, fermo nelle sue
problema, tuttavia, riguarda la possibile sopravvivenza dell’anima al corpo –
Cebete non è convinto. Egli crede, a differenza di Simmia, che l’anima sia
superiore al corpo e più duratura di esso, ma che, ad un certo punto, anch’essa
muoia; trasmigrando da un corpo all’altro, nel corso della sua vita, anche
l’anima infine giunge a morire – qual è il rapporto tra l’anima e l’ultimo corpo,
e quindi, tra il tessitore e l’ultimo mantello?
[87 d]. L’anima consuma tanti corpi; avviene necessariamente che, alla fine,
l’anima muore prima dell’ultimo corpo che incarna – questa la similitudine
rispetto al tessitore e al mantello. La fiducia di Socrate, per Cebete, potrebbe
essere assurda: non possiamo sapere che il nostro corpo non sia l’ultimo
incarnato dall’anima – al momento del congedo dal corpo, l’anima potrebbe
morire. O si dimostra che l’anima è a-tanathos in tutti i sensi, ossia che preceda
e che sopravviva al corpo; oppure si dimostra solo la prima parte
dell’argomentazione – e così persiste il dubbio che l’anima perisca, il dubbio
che, nella trasmigrazione, il mio corpo sia l’ultimo. Cebete rimane perplesso;
la fiducia di cui Socrate si nutre, ossia che l’anima sopravviva al corpo, può
darsi che sia mal riposta. A tale obiezione di Cebete, che è un esercizio di
logica, sopraggiunge un generale smarrimento che mette in dubbio la fiducia,
quasi ottimistica, che Socrate aveva alimentato.
XXXVIII PARAGRAFO. Le parole di Cebete producono un effetto di
smarrimento – Cebete è l’uomo del dubbio, e il dubbio è il risultato; Socrate,
invece, non ha mai dubitato che la morte sia una liberazione. Si fa strada
intanto ciò che, più avanti, verrà chiamata la “misologia”, cioè la sfiducia nei
logoi, nei ragionamenti che appaiono capziosi, intricati e inviluppati – Socrate
rifletterà sulla misologia.
Parla Echecrate, che acuisce maggiormente il dubbio: il logos di Socrate è stato
smontato; pur nella sua capziosità, il logos di Cebete è riuscito ad instillare il
dubbio nei confronti del logos di Socrate – Echecrate ha bisogno, dubitando,
che qualcuno lo convinca che l’anima non sia mortale. Echecrate partecipa alla
narrazione, interrompendo Fedone che racconta; così egli si fa personaggio
ulteriore del dialogo, perché interviene e al contempo dubita anche lui; in
particolare, Echecrate chiede quale sia stata la reazione di Socrate. Fedone
ritorna a parlare, iniziando con il dire che lui stesso ha sempre ammirato
Socrate, e mai come quell’ultima che parlò. Ritorna il concetto di “ultimo”
(ultimo istante, corpo, mantello) – se tutto finisse con la morte del corpo, cosa
importerebbe a Socrate dell’ultima volta, o di condurre bene la sua vita, di non
smentirsi dinnanzi al limite estremo? L’ultima volta è importante, proprio
convinzioni e nella sua condotta. L'ho ammirato per la BENEVOLENZA con
cui ha accolto i LOGOI di Simmia e di Cebéte: poteva anche non farsi
interrompere da questi LOGOI capziosi, cavillosi... eppure Socrate li ha
accolti. E la penetrazione con cui si è accorto del turbamento altrui... e per il
modo in cui riesce a parare il colpo, a porre RIMEDIO, esortando gli altri a
riesaminare il ragionamento con lui. Fedone è di Elide, è uno straniero e ha
l'abitudine straniera di portare i capelli lunghi: non ti tagliare i capelli per il
lutto, gli dice Socrate. Socrate ribadisce così che la sua anima è immortale e
non c'è motivo di tenere lutto. Fino alla fine Socrate farà anche dei gesti come
questi che dicono: la mia anima non morirà. IMPORTANTE: Socrate dice: noi
entreremo nel rito del lutto (tagliare i capelli) se ci morirà il ragionamento.
Questo conta davvero. E se non potremo farlo rivivere [il ragionamento]: c'è il
timore che si possa perdere la fiducia nel ragionamento e perdere il
ragionamento stesso. Questa sarebbe la perdita definitiva. Perché proprio qui la
preoccupazione per il LOGOS? perché è dalla PSYCHE che scaturisce il
LOGOS, è la fonte del LOGOS, e se il LOGOS sopravvive alla morte... quindi
l'anima sopravvive grazie al LOGOS (questa è la reciproca). E' il LOGOS, che
mantiene l'anima, che va al di là della morte, e qui [finalmente direi] qualcosa
di nuovo. E non per caso a partire da 89d inizia la parte celeberrima dedicata
alla MISOLOGIA. Proprio quando subentra la sfiducia nel LOGOS (valore
semantico ampio), proprio qui interviene Socrate non solo per salvare il
LOGOS, ma per introdurlo saldamente nel dialogo: da qui in poi il ruolo
importantissimo. Socrate pensa l'immortalità attraverso il LOGOS, grazie al
LOGOS. Ciò che resta dell'ANIMA è il LOGOS.
XXXIX. MISOLOGIA: prendere in odio i LOGOI, i "discorsi" -- cattiva
traduzione. REALE traduce con "ragionamenti". IMPORTANTE: parallelo
con la MISANTROPIA, che è un guaio... come si finisce per odiare gli
uomini... così... quando ci affidiamo completamente per poi scoprire che
abbiamo riposto male la nostra fiducia... e poi facciamo di tutta l'erba un
fascio. Questo inconveniente può sorgere anche con i LOGOI. 90b Riferimento
agli Eristi: si dicono tali la seconda generazione dei Sofisti. Li incontriamo nel
Sofista. Eutidemo, Dionisodòro, etc. Platone dedica ad Eutidemo un dialogo
omonimo: è impossibile leggere il Sofista senza far riferimento a questo e ai
Sofisti. Nell'ultimo decennio dibattito sui Sofisti: cfr. Barbara Cassin. Su di noi
pesa il giudizio di Platone e Aristotele: giudizio molto negativo. Quando però
Platone e Aristotele li hanno di mira e non li nominano... non si riferiscono
tanto a Protagora, a Gorigia o a Prodico, padre nella "sinonimica"... non sono
perché non finisce tutto; la morte di Socrate, ulteriormente e fino all’ultimo,
conferma la sua vita, per cui la sua condotta rimane salda. Fedone ha ammirato
Socrate per vari motivi: la benevolenza con cui ha accolto i discorsi degli altri,
cui avrebbe potuto anche non interessarsi, se si considera il fatto che sono stati
logoi cavillosi e che hanno instillato il dubbio; inoltre Socrate ha accolto il
turbamento prodotto negli altri; infine Socrate ha saputo porre rimedio,
esortando gli altri a riesaminare con lui il ragionamento.
Fedone propone una scena concreta: Socrate dice a Fedone di non tagliarsi i
capelli, poiché era usanza quella di tagliarsi i capelli durante il lutto, e il lutto è
un rito – Fedone è di Elide, è uno straniero ad Atene, e soleva portare i capelli
lunghi. Socrate dice che non ci sarà bisogno di tagliare i capelli, perché non ci
sarà lutto, dato che la sua anima è immortale – Socrate sino alla fine compirà
gesti come questo, gesti che vogliono dire che la sua anima non morirà. Tutti si
taglieranno i capelli, entrando nel rito del lutto, se morirà il logos, che è ciò che
conta davvero; se non riusciranno a far rivivere il logos allora saranno in lutto,
per questo Socrate propone di riesaminare il ragionamento – in questa fase c’è
il timore che si possa perdere il ragionamento, il logos stesso, e ciò sarebbe
decisivo. In questo punto del dialogo c’è l’insistenza sul timore di perdere il
logos – nesso tra la morte e il logos. Infondo il timore c’è perché è l’anima che
ragiona; è dalla psychè che scaturisce il logos, per questo il fatto di perderlo
sarebbe un lutto. C’è vuol dire che anche il logos sopravvive alla morte e
l’anima sopravvive grazie al logos, e il logos, allo stesso tempo, scaturisce
dalla psychè; è il logos che va al di là della morte, che sopravvive e che
mantiene l’anima – questo è qualcosa di nuovo nel Fedone.
XXXIX PARAGRAFO. Inizia la parte dedicata alla misologia. Sta avvenendo
qualcosa di nuovo: quando sembra subentrare la sfiducia nel logos, in questo
momento interviene Socrate per salvarlo e per introdurlo saldamente nel
dialogo. A partire da qui il logos svolge un ruolo importante, perché Socrate,
grazie al logos, pensa all’immortalità dell’anima; ciò che resta dell’anima è
logos – per questo viene introdotta la riflessione sulla misologia.
C’è un inconveniente, cioè quello di diventare misologi – la misologia è
prendere in odio i logoi (non è sufficiente dire “ragionamenti”). La misologia e
la misantropia nascono allo stesso modo; la misologia è un guaio al pari della
misantropia – parallelo importante. Come si finisce per odiare gli uomini, così
si finisce per odiare i logoi: si diventa misantropi quando si ripone in qualcuno
la propria fiducia, quando si fa completamente affidamento su qualcuno, per
poi capire che quella fiducia è stata riposta male, e rischiare di estendere questa
tanto i primi sofisti ad essere bersaglio, quanto la seconda generazione: gli
Eristi. Questi determinano uno spostamento della Sofistica, abbandonando
alcuni temi cari ai primi sofisti, come l'EULEGHEIN e le analisi linguistiche...
Protagora si era in impegnato (o ingegnato?) nello studio della lingua omerica:
nasce la grammatica... Gli Eristi [invece] si specializzano nelle DISPUTE:
rendere più forte il discorso più debole e avere la meglio nella disputa:
IMPORSI più che accettare il LOGOS altrui. Un conto è il dialogo socratico,
un conto è la disputa: differenza abissale. Al tempo di Socrate la MAIEUTICA
veniva preso per una DISPUTAZIONE ERISTICA. Il dialogo ne è l'opposto
perché c'è accoglienza del LOGOS dell'altro, anche se capzioso, ridondante, di
interruzione... Socrate si deve distanziare qui dagli Eristi. Il "dialogo": sempre
all'insegna del "so di non sapere". Per l'Erista il rapporto con l'altro è
AGONALE: c'è qualcosa di violento. Gli Eristi eccedono nella necessità di
avere la meglio: ma la cosa è più profonda. Eutidemo sviluppa dei LOGOI
elencati da Platone che costituiranno dei veri problemi logici: PARADOSSI
FILOSOFICI E LOGICI: il mentitore, il sorite... quasi irrisolvibili. Gli Eristi
metteranno in dubbio la possibilità della predicazione: estremizzando
Parmenide mettono in dubbio la possibilità stessa del LOGOS. Giungono a
minare il LOGOS. Sviluppano degli argomenti basati sulla LOGICA
ARCAICA (cfr. Guido Calogero), logica basata sui fondamenti filosofici dei
Presocratici. [Anche] socratici minori. Gli Eristi si incontrano con i Cinici, coi
Cirenaici e finiscono per convergere in questo intendimento di minare il
LOGOS, che sarebbe "unità del molteplice", e quindi contraddizione! infatti si
pretenderebbe di tenere insieme essere e non-essere. Per Platone è un problema
enorme: o egli risolve il problema della predicazione o la filosofia finisce e si
chiude con l'ESTI di Parmenide. Se non si salva il LOGOS, non si salva la
filosofia. Qui si gioca l'immortalità del LOGOS. Nesso anima-LOGOS-
filosofia. Nel "Sofista" c'è la risposta di Platone al problema della
predicazione, e non si tornerà più indietro: pietra miliare anche dal punto di
vista logico-linguistico. Come è possibile l'unità del molteplice e quella
contraddizione parmenidea? cfr. Sofista. Per Socrate gli Eristi perdono il loro
tempo: non c'è né salvezza né verità in questi. L'alternativa drammatica tra
l'ESTI di Parmenide (l'unico discorso vero e reale) e la posizione degli Eristi
(per cui nulla è vero né saldo): da una parte una verità monistica, ferma, troppo
salda, che esclude tutto il resto, e dall'altro il VORTICE degli Eristi. Tutto
diventa un VORTICE in cui non c'è più Vero e Falso. Da una parte la violenza
(perché definitivo) di Parmenide, dall'altro degli Eristi che con la loro
imperizia (?) / vertigine / gioco (?) fanno passare il Falso per Vero e vice versa.
sfiducia a tutti gli uomini – lo stesso inconveniente può sorgere con i logoi.
[90 b]. “Quei tali che perdono il lor tempo a ragionare pro e contro”:
riferimento ai Sofisti e, in particolare, alla seconda generazione dei Sofisti, gli
Eristi – Protagora, Gorgia e Prodico non furono Eristi. Tra i più famosi Eristi
vi sono Eutidemo e Dionisodoro –“Eutidemo” è anche un dialogo di Platone. I
Sofisti non godono di buona fama, nonostante il dibattito dell’ultimo decennio
che ha portato ad una rivalutazione della Sofistica, ma per noi pesa il giudizio
di Platone ed Aristotele, estremamente negativo. In realtà, quando loro
prendono di mira i Sofisti, pur non nominandoli, come accade in questo passo
(“quei tali”), si riferiscono ai Sofisti di seconda generazione, che determinano
uno spostamento della Sofistica, quindi un abbandono di alcuni temi filosofici
cari a Protagora e a Gorgia – tema dell’euleghein e le analisi linguistiche e
grammaticali (Protagora si occupa dei testi omerici). Gli Eristi invece sono
specializzati particolarmente nelle dispute, nel rendere più forte il discorso più
debole; non hanno interesse a cogliere il logos dell’altro, ma a prevalere
sull’altro. Il dialogo socratico è quanto mai lontano dalla disputa sofistica; ma,
ai suoi tempi, venendo Socrate preso per un Sofista, anche la sua maieutica
filosofica passava per una disputa eristica – c’è la costante necessità da parte di
Socrate di prendere le distanze dall’Eristica. Nel dialogo socratico, infatti, c’è
tutt’al più l’accoglienza del logos dell’altro, anche se questo risulta capzioso e
provoca turbamento – infondo è sempre un dialogo all’insegna del “so di non
sapere”, per questo Socrate da’ sempre ragione all’altro. Il rapporto tra l’Erista
e l’altro, al contrario, è agonale, conflittuale, quasi violento: l’Erista deve tener
conto di ciò che vuole far prevalere, e basta; così il linguaggio è una sorta di
arma; la sola necessità è avere la meglio su tutti. Gli Eristi, come Eutidemo,
hanno sviluppato dei logoi, che vengono elencati, e che costituiscono dei veri e
propri problemi logici, dei paradossi filosofici – paradosso del mucchio e del
mentitore (risolto nel ‘900). I paradossi logici non sono solo capziosi, ma quasi
irrisolvibili, e questo è un problema per Platone. In particolar modo, gli Eristi
mettono in dubbio la possibilità della predicazione e del logos, estremizzando
la posizione di Parmenide. Gli Eristi sviluppano argomenti logici, basandosi
sulla logica arcaica (argomenti logici dei presocratici) – studi di Guido
Calogero in merito. Non a caso gli Eristi condividono con alcune scuole
socratiche minori (Cinici, Cireneici) questo intendimento: il logos non è
possibile, perché esso è l’unità del molteplice, la quale a sua volta non è
possibile; inoltre il logos è sempre in contraddizione, perché con esso si
pretende di tenere insieme essere e non-essere – questo è un problema per
Platone, e le soluzioni possono essere solo due: o si risolve il problema della
Per Platone questi instillano la sfiducia nei LOGOI e non sanno ragionare:
Platone eredita (?) il problema della misologia che uccide la filosofia. Questa
non può esserci se c'è quella. La misologia è più grave della misantropia, e gli
Eristi provocano sfiducia nella filosofia: la stravolgono. Con Cebéte finiamo
per avere sfiducia per il LOGOS e la filosofia: se c'è sfiducia nel LOGOS non
ci può essere filosofia. Il filosofo si ferma per fare questo richiamo. Per Platone
la filosofia è fatta di LOGOI (NB) e d'altra parte gli Eristi sono sicuramente un
problema che Platone eredita da Socrate: deve trovare una via d'uscita dal
dramma: Parmenide (l'unico LOGOS vero e reale è quello che dice ESTI) VS
gli Eristi (tutto e il contrario di tutto, a seconda dei casi). SEVERINO: è un
parmenideo, ha rilanciato Parmenide... PARMENIDE: concetto monistico e
violento di ALETHES. Qui Platone si trova davanti ad un'alternativa (molto
attuale): Verità monistica o la molteplicità degli Eristi, che giocano col Vero e
col Falso. Platone mira ad una Verità altra (o alta?) che non mira a farsi
dissolvere eristicamente; ma neanche parmenidea. Verità affidata al LOGOS
salvato, affidata al dialogo socratico.
XL. Non dobbiamo fare come gli Eristi che non si riconoscono la colpa, ma
incolpano i ragionamenti. Gli Eristi non sono veri filosofi: non hanno
un'educazione filosofica, perché vogliono avere ragione a tutti i costi. Quando
discutono di un argomento... il rapporto che hanno con la verità... Socrate ha il
predicazione, oppure la filosofia si chiude con Parmenide. Se non si risolve il
logos non si può salvare la filosofia – il problema riguarda anche l’immortalità
dell’anima, connessa a quella del logos: se non si salva il logos, non si salvano
né l’anima né la filosofia. Il nesso si complica, perché implica il logos, l’anima
e la filosofia. L’excursus sul logos è la risposta che da’ Platone al problema
della predicazione, e da cui non si tornerà più indietro – pietra miliare anche
dal punto di vista logico-linguistico.
Per Socrate gli Eristi argomentano pro e contro e perdono tempo, senza che in
questo ci sia saldezza e verità. L’alternativa di Socrate è drammatica, perché i
suoi due termini sono: l’esti di Parmenide (discorso unico) o la posizione degli
Eristi, ai quali sembra che nulla sia vero e saldo; quindi da una parte c’è una
verità troppo salda, monistica, che esclude le altre e che si impone con una
certe violenza, mentre dall’altra parte ci sono gli eristi, per cui tutto diventa
una specie di vortice, e con la cui imperizia fanno passare il vero per il falso e
viceversa – è un gioco, una vertigine. Gli Eristi sono colpevoli, perché non
sanno ragionare, addossando ingiustamente questa colpa allo stesso logos, che
sarebbe per loro una contraddizione; gli Eristi instillano la sfiducia nei logoi, la
misologia – ma dove c’è la misologia non c’è filosofia. Essi sono colpevoli di
produrre l’odio verso i logoi, dicendo di essi che sono contraddittori. La
misologia, per Socrate, è quasi più grave della misantropia. Quei tali
producono, con ragionamenti capziosi, la sfiducia nella filosofia –
inevitabilmente coinvolgono la filosofia. Il risultato, l’inconveniente, è che non
solo si ha sfiducia nei logoi, bensì, la misologia, comporta al contempo la
sfiducia nella filosofia – la filosofia è fatta di logos. Socrate si ferma per fare
questo richiamo. Per Platone la filosofia è fatta di logoi; per questo rimane
nell’esigenza di trovare una via d’uscita dal dramma di avere da una parte la
verità di chi dice “esti” (unico logos vero e reale), e dall’altra la vertigine di chi
dice tutto il contrario di tutto, del vero che è falso e del falso che è vero, di chi
relativizza la verità a seconda delle circostanze – ma vero è “alette”, quello
violento ed esclusivo di Parmenide. Socrate si trova di fronte ad un’alternativa,
che è molto attuale. Platone invece mira ad un’altra aletheia, che non si riduca
all’esti, e che non dissolva eristicamente; questa verità sarà affidata al logos
(salvato), cioè al dialogo socratico.
XL PARAGRAFO. Non bisogna agire come gli Eristi, che non sanno
ragionare e danno la colpa ai logoi, proiettando su questi la propria mancanza,
e rendendosi maggiormente responsabili. Secondo punto: gli Eristi non sono
veri filosofi, perché chi ha educazione filosofica non vuole aver ragione a tutti
rispetto per la Verità, mentre quelli non si curano di questa [la verità] in ciò di
cui stanno ragionando; ma di imporsi personalmente facendo passare/apparire
vere le loro tesi: non ricercano la Verità. Al filosofo interessa di ricercare la
Verità nella comunanza con gli altri, nel dialogo; mentre quello [l'Erista] ha
bisogno dell'altro solo per avere ragione su di lui. Socrate vuole distanziarsi da
questi: e la differenza sta in questo (nel rapporto con la Verità). E' più
importante la Verità di Socrate stesso; il contrario vale per gli Eristi. IL
GUADAGNO (frase importante). Se è Vero è bene persuadersene, se è Falso
l'inconveniente è nullo, tutto sommato porta un beneficio per la buona morte.
Socrate dice: "io vivrò": quindi o dice il Vero, oppure non ne viene nulla di
male, anzi, perché non ha angustiato gli amici con la propria morte. [parallelo
con la scommessa pascaliana]. La disposizione d'animo di Socrate è la
"serenità": quello che conta è la Verità. QUI PRESA DI POSIZIONE IN DUE
PARTI: 1. quello che Socrate sostiene è un'idea di immortalità che è legata al
LOGOS: di Socrate resterà il LOGOS. Idea di immortalità molto vicina a noi.
Socrate si affiderà al LOGOS e non ne verrà male: lascerà i suoi amici
dialogando. 2. La Verità che sostiene Socrate chiede il consenso agli altri:
TERZA VERITA' rispetto alla posizione di Parmenide e a quella degli Eristi.
Verità che scaturisce dal dialogo con gli altri, che non ci può essere senza
l'accordo con gli altri. L'intermezzo sulla MISOLOGIA è importante, da qui il
dialogo prende una nuova piega. Non sono importanti le prove, perché è al suo
LOGOS che è affidata la sua immortalità, LOGOS affidato ai suoi amici. E da
qui l'importanza del LOGOS.
L'obiezione di Cebéte e risposta di Socrate: la risposta è importante perché qui
si trova una delle testimonianze decisive della posizione di Socrate: il congedo
dai fisiologi... con Socrate la filosofia entra nella POLIS. Socrate parla in
modo autobiografico -- la filosofia di Socrate ha sempre riferimenti
autobiografici -- e Socrate è critico nei confronti dei fisiologi: contro
Empedocle, Anassagora, Archelao. In generale è critico nei confronti di tutta la
filosofia precedente, lasciando da parte i sofisti, bersaglio invece della
misologia. Socrate prende posizione prima nei confronti dei sofisti (e resterà in
eredità a Platone e Aristotele) e poi nei confronti dei fisiologi, i Presocratici.
Non tanto Eraclito e Parmenide, ma di quelli altri: la filosofia ateniese prima di
Socrate; nello specifico: Anassagora e Archelao. Dopo aver criticato questi,
Socrate parlerà della sua conversione/abbandono delle ricerche naturalistiche
per rivolgersi alla seconda navigazione (nome enigmatico): seconda
navigazione o fuga nei LOGOI. Le traduzioni sono molto fuorvianti: LOGOS
come "concetto" o "postulato": proprio NO! la scelta di Reale è coerente con la
i costi; il vero filosofo ha rispetto della verità; gli Eristi si curano soltanto di
imporsi personalmente, di far apparire veri i loro discorsi, ma non si
interessano di ricercare la verità. Al filosofo interessa cercare la verità, ma
questa si trova nel dialogo, nella comunanza con l’altro; l’Erista ha bisogno
dell’altro esclusivamente per far apparire vere le proprie tesi. Per il filosofo è
più importante la verità di Socrate; per l’Erista è più importante l’Eutidemo
della verità. Poi Socrate, con la sua ironia, parla di “guadagno”: se quello che
lui dice risulta vero, allora è bene persuadersene; se non fosse vero, comunque
l’inconveniente non ci sarebbe, anzi, si avrebbe un beneficio – infondo non si
sta lamentando con gli amici, perchè Socrate si rimette tranquillamente alla
giustizia. La sua anima vivrà, questo dice: se fosse vero tanto meglio
persuadersene; se fosse falso allora nulla di male, perché in nessun modo ha
angustiato/infastidito i suoi amici. Resta il fatto che la sua disposizione
d’animo è per la verità. Socrate prende posizione in due modi: 1) quello che lui
sostiene è l’idea dell’immortalità dell’anima, sempre più legata al logos – quel
che resterà di Socrate è il logos, e Socrate si dispone in modo da affidarsi ad
esso, senza infastidire gli amici, ma solo parlando; 2) la verità che lui sostiene
richiede il consenso degli altri, scaturisce dallo stesso dialogo con gli altri – si
tratta di una terza verità, rispetto all’alternativa tragica fra gli Eristi e
Parmenide.
L’intermezzo sulla misologia serve a dare un nuovo slancio al dialogo: non
sono poi così importanti le tre prove, ma ciò che è saldamente importante è di
certo il logos, a cui è affidata l’immortalità di Socrate, poiché la sua parola è
affidata agli amici – qui è il nodo dell’immortalità.
La risposta di Socrate all’obiezione di Cebete è importante, in quanto è la
testimonianza decisiva della posizione di Socrate – congedo dai physiologoi ed
ingresso della filosofia nella polis. La filosofia di Socrate ha sempre degli
elementi autobiografici. La sua critica si rivolge in particolare a tre filosofi:
Empedocle, Anassagora e Archelao – in generale è critico nei confronti della
filosofia che lo ha preceduto, a parte i Sofisti, bersaglio della precedente
risposta. In questa parte del Fedone Socrate prende posizione prima contro i
Sofisti (eredità che lascia a Platone e Aristotele) e poi contro i physiologoi,
cioè i presocratici, eccetto Eraclito e Parmenide. Quella che è la “filosofia
ateniese”, prima di Socrate, è in particolar modo la filosofia di Anassagora e
Archelao. Dopo aver criticato i physiologoi, Socrate parlerà della sua
conversione, cioè l’abbandono delle ricerche naturalistiche, per rivolgersi alla
“seconda navigazione”, anche detta “fuga nei logoi” – denominazione
enigmatica. In greco i “logoi” non sono la stessa cosa che “logos”: qui si parla
sua interpretazione: vede in Platone il fondatore della metafisica e sostenitore
della teoria dei principii. Noi manterremo il termine greco di LOGOS in tutta
la sua estensione e ambiguità. Qui vi è una scelta decisiva da parte di Socrate,
che abbandona non solo le indagini naturalistiche; ma anche la ricerca delle
cause. Abbandona anche una imitazione della scienza: invece Socrate
rivendica l'autonomia della filosofia: Verità non riducibile al percorso
scientifico. 95a: confutazione del dubbio di Cebéte. 95c: ricapitola l'esigenza di
Cebéte. 95d: ... La perplessità di Cebéte riguarda il fatto che l'anima fosse
sottoposta ad un processo di generazione e corruzione: serpeggiata (?) in tutto
il dialogo: la questione è quella del DIVENIRE. Questa implica il passaggio da
ESSERE a non-ESSERE, e vice versa. Sulla base dei principi ontologici di
Parmenide è impossibile il divenire: questo passaggio costituisce un problema
per tutta la filosofia Presocratica. Il grande problema del non-Essere nella
filosofia greca. Che cosa vuol dire non-Essere? se questo ha valore ontologico,
non si spiega il passaggio. Ripercussioni logiche e linguistiche. Il problema dei
contrarii ontologici ha queste conseguenze: è inspiegabile la predicazione e la
SUMPLOCHE'. Socrate per rispondere inizia a criticare i fisiologi: Socrate
non spiega la generazione e la corruzione; ma parla della sua
esperienza/delusione come filosofo. Indagine sulla natura: PERI FUSEOS era
uno dei titoli preferiti dai Presocratici. FUSIS diverso dal nostro NATURA. I
greci intendono il principio da cui tutti gli enti derivano: quindi due questioni
distinte: 1. sull'essenza. 2. sull'origine di tutte le cose. FUSIS = essenza e
origine. Anche Socrate fu affascinato da queste ricerche: Socrate allievo di
Archelao. Socrate ha avuto a che fare con quella filosofia naturalistica --
massimo esponente Anassagora -- esportata dalla Magna Grecia ad Atene. Qui
rimembranza degli anni passati. L'impostazione delle ricerche naturalistiche: la
domanda sulla causa, per sapere perché ciascuna cosa si genera. ATTUALE.
Impostazione causalistica: interrogarsi sulla causa. Esempio su Maurizio
Ferraris: impostazione causalistica... si interroga su "perché". Ad esempio: la
causa della percezione. Fortemente influenzato dall'impostazione scientifica:
causa-effetto. Risalire dall'effetto alla causa. Socrate critica questo -- pagina
spartiacque -- e fa una sorta di DOSSOGRAFIA, riepilogo delle varie
posizioni. Socrate ci dice che i fisiologi si sono posti la questione degli
elementi: esigenza di trovare un principio unitario a partire dal quale spiegare
la natura di tutte le cose. Quello che Socrate qui contesta/critica -- al di là di
identificazione della FUSIS con gli elementi -- è l'impostazione che vale per
l'EPISTEME ma non vale per la filosofia. Linea di demarcazione tra scienza e
filosofia tracciata da Socrate. Non contesta una dottrina precisa di questa
di “concetti” o “postulati”, ma sono traduzioni che non rendono – Reale
traduce con “postulati”, perché, vicino alla scuola di Tubinga, segue la sua
interpretazione di Platone (metafisica e teoria dei principi), vedendo nella
“seconda navigazione” un’esigenza di rigore filosofico. La seconda
navigazione è una via che porta verso i logoi – complessità semantica – è la
scelta decisiva dell’abbandono delle indagini naturalistiche, del procedere per
causa-effetto, si una sorta di imitazione della scienza – visione riduzionista
della filosofia. La scelta della seconda navigazione è la rivendicazione
dell’autonomia della filosofia e di una verità non riducibile alla ricerca
scientifica.
XLIV PARAGRAFO. [95 a – c]. Inizia la terza prova e la risposta a Cebete.
Socrate ricapitola l’esigenza avanzata da Cebete, il quale pensa che, nella
trasmigrazione dell’anima, l’anima termini – dubbio sulla fiducia del filosofo
riposta nella vita al di là; l’anima è sottoposta ad un processo di corruzione,
come il corpo. Cebete dunque pone una questione che era latente nel corso di
tutto il dialogo, ossia la questione del “divenire”, più che della corruzione: il
divenire implica il passaggio dall’essere al non-essere e viceversa, e, sulla base
di principi ontologici sostenuti specialmente da Parmenide, è impossibile il
divenire, perché non è dato il passaggio dall’essere al non-essere – problema
della filosofia presocratica. Il grande problema della filosofia greca è il non-
essere – se il non-essere non ha, come invece l’essere (Parmenide), un valore
ontologico, non si spiega il passaggio. Il problema dei contrari sul piano
ontologico, ha ripercussioni anche sul piano linguistico e logico; risulta
inspiegabile l’intreccio di essere e non-essere nel logos e nella predicazione.
Socrate risponde alla questione, iniziando a criticare i filosofi naturalisti; lui
non spiegherà a Cebete la generazione e la corruzione, ma inizia a raccontargli
la sua personale esperienza come filosofo, che in realtà fu una delusione –
indagini naturalistiche. “Perì physeos” è il titolo più usato dai presocratici; dire
“natura” è fuorviante, piuttosto i Greci intendono il principio da cui gli enti e
tutto ciò che è derivano. Questa accezione implica due questioni: la questione
dell’essenza e la questione dell’origine – ma non sono scindibili. La
“physiologia” prevedeva indagini sul mondo e sul cosmo; lo stesso Socrate era
rimasto affascinato da queste ricerche – risulta che sia stato allievo di
Archelao, che insieme ad Anassagora è un esponente della filosofia
naturalistica , che dalla Magna Grecia è arrivata ad Atene, quindi anche
Socrate ha avuto a che fare con questi studi. Socrate va direttamente alla sua
esperienza, al ricordo degli anni passati. L’impostazione delle ricerche
DOSSOGRAFIA; ma qualcosa di più profondo, fondamentale: contesta il
modo di porre la domanda. La domanda sulla CAUSA è scientifica, ma non
filosofica. Socrate non contesta la scienza; ma che la filosofia possa ridursi alla
ricerca naturalistica, che la domanda filosofica sia uguale a quella scientifica.
Socrate si ritiene NON IDONEO: ironia di Socrate: è un campo che lascio ad
altri, non fa per me. Qui riferimento ai filosofi precedenti (DOSSOGRAFIA):
Empedocle, Anassagora... com'è possibile che mangiando pane aggiungo carne
alla carne? è una domanda ontologica: com'è possibile che dal pane che non è
carne (non-carne) si generi la carne? Apparentemente è una domanda
scientifica, invece rientra nella questione ontologica dei Presocratici: passaggio
di un contrario all'altro nella nutrizione. Per questo Socrate fa questi esempii.
Empedocle: figura leggendaria nel pieno del V secolo; è di Agrigento. Vive
nella Magna Grecia e già avanti negli anni si trasferisce nella Ionia: la
leggenda narra che si gettò nell'Etna. Egli, vivendo nella Magna Grecia, fu
influenzato dalle teorie orfico-pitagoriche che abbraccia: convinto
dell'immortalità, della metempsicosi... e fa dei salti mortali per conciliare la
sua filosofia con l'orfismo. Anche Empedocle fa parte di quella teoria che si
interroga di NASCITA e MORTE di tutte le cose -- grandi temi pei Greci. Dal
punto di vista di Eraclito e Parmenide: come si danno se sono passaggio di
ESSERE in NON-ESSERE e vice versa? Se non si possono spiegare
ontologicamente, allora sono solo apparenza. Empedocle radicalizza questa
apparenza: quello che noi non vediamo è l'incessante menomarsi delle quattro
radici che rimangono sempre identiche a loro stesse, e che si mescolano.
Empedocle la spiega mediante concordia e separazione (2 forze): la concordia
unisce, la separazione fa nascere la particolarità. Vicenda cosmologica del
tutto. Goethe lo amò. Tentativo estremo di salvare il mondo dell'apparenza di
fronte all'ontologia radicale di Parmenide. Anche Nietzsche lo amò. Questa
vicenda cosmologica del tutto ripresa anche da Anassagora: la figura di
filosofo più importante ad Atene prima di Socrate. V secolo. Subisce un
processo e fugge. Coinvolto nelle vicende politiche di Atene. A noi interessa il
suo PERI FUSEOS: sostiene l'irrealtà del nascere e del morire. Riprende la
problematica eleatica e Parmenide. Implicano quel passaggio non spiegabile. 2
fatti dell'apparenza sensibile. Socrate e Platone in questo sono influenzati da
Anassagora: Platone è iscritto in questa linea dossografica: trovare elementi
immutabili nel mondo dell'apparenza sensibile. Anassagora e la nutrizione:
com'è possibile quella cosa del pane e della carne? Introduce due punti
importanti: la dottrina degli elementi, le Omeomerie, i semi di tutte le cose:
tutte le cose costituite da particelle simili (OMOS): questo spiega il paradosso
naturalistiche segue diversi principi: la domanda sulla causa, che implica la
domanda sulla generazione, corruzione ed esistenza delle cose –
l’impostazione causalistica resta fino ad oggi, ed è la domanda sulla causa;
infatti l’impostazione tipicamente scientifica procede secondo l’andamento di
causa-effetto. Socrate critica quest’impostazione. Egli fa una sorta di
dossografia, riepilogando varie posizioni. I physiologoi si son posti la
questione della causa, interrogandosi sull’essenza e sull’origine degli elementi
– per Talete è l’acqua, per Anassimandro è l’apeiron, per Anassimene è l’aria.
Quindi si fa avanti l’esigenza di trovare un principio unitario per spiegare la
natura di tutte le cose. Socrate, al di là dell’identificazione della physis con un
determinato elemento, critica l’impostazione che vale per l’episteme (scienza),
ma che non vale per la filosofia. Socrate traccia una linea di demarcazione tra
la scienza e la filosofia; non contesta una dottrina precisa nella dossografia che
sta delineando – contesta qualcosa di fondamentale, cioè l’impostazione, il
modo di porre la domanda. La domanda sulla causa è scientifica e non può
essere filosofica – contesta che la filosofia si possa ridurre alla ricerca
naturalistica, la sua domanda non è sulla causa. Con la sua ironia Socrate,
inoltre, dice di non essere idoneo a quel tipo di ricerche, è un campo che lascia
ad altri, perché ha scoperto di non essere adatto – ironia del “so di non sapere”.
C’è un riferimento a tre filosofi che lo hanno preceduto, i presocratici, che si
interrogano sulla physis di tutte le cose – alcuni si pongono, ad esempio, la
domanda ontologica sul processo della nutrizione: come è possibile che dal
pane, che non è carne, si generi la carne (e così via)? Apparentemente si tratta
di una domanda scientifica, in realtà rientra nella riflessione ontologica che
attraversa la filosofia presocratica – è un esempio del passaggio da essere a
non-essere, da un contrario all’altro.
Empedocle è una figura leggendaria, che vive, come Anassagora, nel pieno del
V sec.; è di Agrigento, rimane sempre nella Magna Grecia, e solo alla fine
della sua vita si trasferisce nella Ionia. È una figura leggendaria perché si dice
che si buttò nell’Etna – furono trovati i suoi calzari, a prova del fatto che si
gettò nel fuoco. Empedocle, vivendo nella Magna Grecia, fu molto influenzato
dalle teorie orfico-pitagoriche, ed è convinto delle teorie dell’immortalità
dell’anima e della metempsicosi – cercò sempre di conciliare la sua filosofia ,
“perì physeos”, con l’orfismo. In ciò che resta della sua opera (Perì Physeos) si
capisce come Empedocle si interroghi sulla nascita e sulla morte delle cose
(grande tema della filosofia greca), dal punto di vista di Eraclito e Parmenide –
come possono darsi la nascita e la morte , dato che sono un passaggio
dall’essere al non-essere e viceversa? Se non si possono spiegare
di prima: nel pane e nella carne sono presenti le stesse particelle simili. In ogni
ente prevalgono alcune particelle (quantità-qualità). Anassagora introduce il
NOUS (IMPORTANTISSIMO): Mente non va bene, INTELLIGENZA? se le
particelle si possono riunire e separare, questo è dovuto all'opera e al
movimento del NOUS: mente ordinatrice: produce e sovraintende l'ordine
cosmologico e ontologico. Se c'è una mente che ordina, allora c'è un finalismo:
fine, TELOS, e non "a caso". Il NOUS introduce il TELOS: ordina in vista di
un fine. Si tratta quindi di una TELEOLOGIA. Per Socrate quindi la domanda
deve essere coerente, e quindi la domanda da causalistica deve diventare
finalistica. Questo Socrate lo ritrova in Archelao, allievo di Anassagora e
maestro di Socrate. Archelao insiste nel passaggio di Essere in Non-Essere e
vice versa. La grande delusione di Socrate nei confronti della filosofia di Atene
(Anassagora e Archelao) è quella di una mancata domanda finalistica. Critica
feroce ad Anassagora, e quindi al modello della scienza applicato alla filosofia.
L'impostazione causalistica è tale per cui in realtà mentre aveva trovato un
principio ordinatore monistico... Anassagora poi ricade nelle cause legate agli
elementi: ricade nella dottrina dei primi filosofi (cfr. 98b-c). Questa delusione
nei confronti dei fisiologi (i filosofi che studiano la FUSIS, i naturalisti) è tale
che Socrate si convince della necessità della seconda navigazione: 99d.
ontologicamente, la nascita e la morte sono apparenza (Parmenide ed Eraclito)
– questa posizione è radicalizzata da Empedocle, secondo cui il mondo è
costituito da un incessante mescolarsi dei quattro elementi, che rimangono
identici a se stessi, cosa che noi non riusciamo a vedere. Egli spiega la
mescolanza con la concordia, che unifica gli enti, e la separazione, da cui
nascono gli enti che si separano – i quattro elementi, secondo queste due forze
che agiscono, determinano l’universo e l’andamento del mondo. Empedocle fu
molto amato da Goethe, perché egli esprime il tentativo di salvare il mondo
dell’apparenza, rispetto all’ontologia radicale di Parmenide.
Empedocle spiega il mondo come una vicenda cosmologica, cosa che viene
ripresa anche da Anassagora, il quale è stato la figura più importante ad Atene
prima di Socrate. Anche Anassagora subisce un processo e, non accettando la
condanna, fugge. Ciò che ci interessa di Anassagora è la parte della sua opera
“Perì physeos”, in cui sostiene l’irrealtà del nascere e del morire – riprende la
problematica eleatica. Il nascere e il morire non si spiegano, come non si
spiega il passaggio dall’essere al non-essere – sono due fatti che appartengono
all’apparenza sensibile, ma sono irreali. Anche Platone si inscrive all’interno di
questa linea dossografica, nella ricerca di elementi stabili, di contro al continuo
divenire del mondo (apparenza) – Platone è influenzato da Anassagora.
Anassagora si interroga sul nutrimento e altre questioni, dando una spiegazione
per certi versi simile, per altri dissimile, a quella di Empedocle: Anassagora
introduce una dottrina degli elementi, che chiama “Omeomeria” – tutte le cose
sono costituite da particelle/semi simili, e ciò spiega quel passaggio fra i
contrari. Egli arriva anche a spiegare le differenze di quantità e qualità nel
mondo dell’apparenza, che dipende dal prevalere di alcune particelle su altre.
Inoltre, Anassagora introduce il Nous, di difficile traduzione (mente,
intelligenza), che altri filosofi prima di lui non introdussero. Se le omeomerie
si possono riunire o separare, ciò è dovuto all’opera e al movimento prodotti
dal Nous, in quanto mente ordinatrice (prima volta in filosofia) – la mente che
sovrintende l’ordine ontologico e logico delle cose. Anassagora spiega come,
per opera del Nous, si sono separate terra ed aria – l’aria è più leggera. Per
Socrate è importante l’introduzione del Nous, perché l’idea di una mente che
ordina implica il finalismo; ciò che si produce non è in base al caso, ma in base
ad un telos, un fine, secondo cui opera il Nous. Quindi, Anassagora non fa solo
una cosmologia e un’ontologia, ma anche una teleologia. Il problema che si
introduce è questo: la domanda non è più sulla causa, ma sul fine, è quindi una
domanda finalistica. Ma proprio qui naufraga l’impostazione di Anassagora,
cioè qui si ferma, ed egli torna a riproporre un’impostazione causalistica.
XLVIII. Socrate abbandona le indagini naturalistiche: non sono soltanto una
perdita di tempo; ma c'è il pericolo che la sua PSYCHE diventi completamente
cieca. L'anima si accieca perché queste indagini richiedono l'uso dei sensi. Per
Socrate non sono necessari i sensi per arrivare alla Verità. LOGOI: cos'è
questa seconda navigazione o fuga nei LOGOI? questo spartiacque tracciato da
Socrate viene ripreso nel '900: spartiacque per due tipi di filosofia: una che
riguarda all'EPISTEME, e una che segue Socrate. Filosofia ANALITICA e
CONTINENTALE. Ermeneutica filosofica di Gadamer. Già Heidegger che
però aveva il problema che Platone è il padre della metafisica: è un problema
far riferimento a Platone e al suo Socrate. E' l'Ermeneutica che rivendica
questa fuga nei LOGOI, la filosofia, che non ha come modello l'EPISTEME.
Per Gadamer Socrate è il filosofo per eccellenza: Socrate modello inimitabile
ma da imitare. I filosofi della natura pretendono di avere un accesso immediato
alle cose. II navigazione è una metafora: il caso estremo in cui si rema non
essendoci vento. Per Gadamer questa fuga nei LOGOI è un passaggio epocale,
perché è il congedo delle indagini naturalistiche anche da parte di Platone, etc.
La filosofia non sarà più come quelle dei Presocratici. Ma [decisione] decisiva
anche per la filosofia continentale: è questa fuga che la differenzia dalla
filosofia analitica. "Seconda" è importante perché vuol dire "ulteriore".
Attraverso i LOGOI non si pretende l'accesso immediato alle cose: varco
attraverso il linguaggio (i LOGOI) per l'intellegibile. "nel modo in cui noi
parliamo delle cose è in ciò la verità delle cose"... Gadamer che traduce il
Fedone. La II navigazione è il modo in cui noi parliamo delle cose (i LOGOI).
I discorsi della quotidianità (???). Se traduco POSTULATI re-introduco
un'istanza epistemologica. Vuol dire anche un'Apertura verso l'Altro che è il
È un problema che Socrate riscontra anche nel suo maestro Archelao, allievo di
Anassagora. Il giovane Socrate va a scuola da Archelao, ma ne riceve una
delusione: egli pensa che, pur occupandosi di cosmologia, si possa pervenire
alla domanda sul fine, ma questo, per Socrate, non avviene – critica feroce ad
Anassagora che Platone mette in bocca a Socrate. L’impostazione causalistica
è tale, secondo il Socrate platonico, che Anassagora, pur avendo trovato il
principio monistico e ordinatore nel Nous, sia ricaduto comunque
nell’impostazione causalistica, quella che aveva costituito la dottrina dei primi
filosofi.
[98 b – c]. Socrate parla di questa delusione nei confronti dei physiologoi e
della filosofia ad Atene, motivo per cui egli si convince della necessità della
seconda navigazione.
XLVIII PARAGRAFO. La decisione di Socrate è quella di abbandonare le
indagini naturalistiche; non perché siano senza effetto, ma perché in esse si
insidia il pericolo per la psychè di diventare completamente cieca. L’effetto
delle indagini naturalistiche è l’accecamento dell’anima, perché esse
richiedono i sensi, soprattutto la vista, la quale non è necessaria, invece, per la
ricerca filosofica. È per questo che Socrate si rifugia nei logoi.
Che cos’è questa fuga? È uno spartiacque che traccia Socrate, ripreso anche
nel ‘900, per differenziare due tipi di filosofia:una che guarda all’episteme, ed
una invece che pensa che la via da seguire sia la seconda navigazione di
Socrate, ossia l’ermeneutica filosofica (Gadamer) – anche Heidegger faceva
riferimento alla seconda navigazione, ma rimane che per lui Platone sia il
padre della metafisica. L’ermeneutica filosofica rivendica la fuga nei logoi,
rilanciando una filosofia che non abbia come modello la scienza. Socrate è
importante per Gadamer e per la filosofia continentale, divisa dalla filosofia
analitica, proprio per questo motivo; Socrate è il filosofo per eccellenza per
l’ermeneutica filosofica – per l’amore per la sophia, la veglia.
Il timore di Socrate è quello di accecare la propria anima, come fanno i filosofi
della natura, che si avvalgono dei cinque sensi e pretendono di avere un
accesso immediato alle cose, che è la percezione. La seconda navigazione è
una metafora con cui i Greci si riferivano al caso estremo in cui la nave, per
assenza di vento, non poteva che essere spinta dai remi – è una navigazione
altra, meno diretta, che nel Fedone diventa la fuga nei logoi. Per Gadamer si
tratta della svolta epocale della filosofia greca, perché è il congedo dalle
indagini naturalistiche, da parte di Socrate, Platone e la filosofia successiva –
passaggio cruciale per la filosofia greca e anche per quella continentale. La
dialogo socratico: DIALETTICA nasce da questa fuga nei LOGOI -->
DIAIRESIS. Nel Fedro si ritorna su queste cose. A Socrate non interessa
l'impostazione causalistica, gli interessa l'impostazione finalistica. Gli interessa
fare questa domanda attraverso i LOGOI = DIA LOGOI (cfr. Sofista). Non c'è
un accesso immediato agli enti; ma li conosciamo attraverso il modo in cui ne
parliamo con gli altri: questo importante per Heidegger. La domanda filosofica
ha una sua autonomia sulla domanda scientifica. Domanda sul SENSO, sul
FINE; ma non sulla CAUSA. Questa questione divide ancora il campo della
filosofia.
Questione dell'anima nel contesto dell'argomentazione dei contrarii:
immortalità dell'anima ricavata dall'argomento dei contrarii. 2 parti: 1. mito
escatologico di come Platone si figura la terra. Stravagante con dei passi che
preludono al mito della caverna nella Repubblica. 2. le pagine dedicate alla
fine di Socrate. Scorsa volta: fuga nei LOGOI. Decisivo per il Platone
dialettico. Ora una sorta di frattura. Stacco. Da notare. 101: rinvio alla
"dottrina" delle idee (Reale: principii) sottesa all'argomento dei contrarii. La
dottrina ritorna ciclicamente: dottrina cardine della metafisica di Platone per
cui gli ONTA (enti) di questo mondo sono nella misura in cui partecipano alle
idee. Idea della PARTECIPAZIONE (avere parte). C'è una priorità ontologica
delle idee (EIDOS) sugli enti che le partecipano. L'oggetto concreto ha
ONOMA (nome) perché partecipa all'idea di... Il nome sancisce l'appartenenza
dell'ente all'idea. Partecipazione sancita dal nome.
Categorizzazione/articolazione della realtà attraverso l'idea e il nome. Ogni
idea ha un nome. Rapporto idea-nome. La dottrina delle idee è relativamente
semplice: mentre è complicata l'argomentazione sui contrarii. 102b (L): il tema
delle idee contrarie che si escludono a vicenda: qui c'è la tesi che ciascuno di
noi partecipi ad esempio all'idea di "uomo", però ciascuno di noi partecipa
anche ad esempio all'idea di grandezza/piccolezza e non in relazione con gli
altri. Essere al contempo più grande e più piccolo non costituisce un problema,
a seconda delle relazioni in cui compaio. Ciascuno di noi partecipa a più idee,
o meglio, a più generi (Platone). Partecipare contemporaneamente a grandezza
e piccolezza non è contraddizione. Ciò non toglie che grandezza e piccolezza
siano contrarii. Però la grandezza non può partecipare del suo contrario. Limite
della partecipazione. Se la grandezza deve rimanere tale, non può partecipare
del suo contrario. Obiezione di uno (cerca chi): ma non viene così smentita la
generazione? Platone risponde: ci sono sempre due piani: il piano degli enti
concreti che possono partecipare a contrarii assieme e poi il piano dei contrarii.
La filosofia è fatta di finezze. Prima parlano degli enti, ora del contrario in sé.
seconda navigazione si distingue dalla prima, perché quest’ultima è la pretesa
dell’accesso immediato alle cose; la seconda passa per i logoi (linguaggio) e
tende all’intellegibile. Gadamer traduce questo passo dicendo che lui si rifugia
“nel modo in cui noi parliamo delle cose” e in ciò risiede la verità delle cose.
La fuga nei logoi è l’anamnesi del linguaggio – la filosofia non presume più di
vedere le cose nella sua immediatezza, ma è un dialogo, la fede nella parola
dell’altro – questa è l’ispirazione dell’ermeneutica. Così la filosofia entra nella
polis, scoprendo la sua vocazione etico-politica. I logoi sono i discorsi – perché
se dico “postulati” faccio valere l’istanza epistemologica – sono i discorsi della
quotidianità, e qui è la verità. La seconda navigazione è l’ingressi della
filosofia nella polis, e soprattutto è un’apertura verso l’altro, apertura che passa
per il dialogo socratico e nella dialettica di Platone – nel Fedro ritornerà questo
discorso. La dialettica nasce da questa fuga nei logoi; la “diareisis” (dialettica
platonica) non può fare a meno dell’altro. A Socrate non interessa
l’impostazione causalistica e la domanda sulla causa; bensì è interessato alla
domanda finalistica – questo ha imparato dai filosofi ateniesi. La domanda
passa attraverso i logoi – “dia-logoi” (dialoghi); non c’è un accesso immediato
agli enti, alle cose; ma li conosciamo nel modo in cui li incontriamo e ne
parliamo con gli altri. Questa è la grande differenza tra Socrate e i presocratici;
e lo stesso spartiacque vale anche oggi – la domanda filosofica ha una sua
autonomia rispetto alla domanda scientifica.
Temi: argomentazione sui contrari, per la questione dell’immortalità
dell’anima; II mito escatologico, cioè la narrazione del modo in cui Platone si
figura la terra, passi che preludono al mito della caverna (Repubblica); infine
c’è l’ultima parte sulla morte di Socrate.
Pag. 101. C’è qui uno stacco, dopo la parte sulla II navigazione. C’è un rinvio
alla dottrina delle Idee, che ritorna ciclicamente nel dialogo, e che è sottesa
all’argomentazione sui contrari – dottrina cardine della filosofia platonica. Gli
enti del mondo sono nella misura in cui partecipano delle Idee; è importante
l’idea della partecipazione, perché sottolinea la priorità ontologica dell’eidos
sugli enti che vi partecipano. Gli enti hanno un nome perche partecipano delle
Idee: l’onoma sancisce l’appartenenza dell’ente all’Idea; l’articolazione della
realtà avviene attraverso i nomi, che corrispondono alle Idee. La dottrina delle
Idee è relativamente semplice; complicata è l’argomentazione sottostante.
PARAGRAFO L. Il tema è quello delle Idee contrarie. Per la prima volta
incontriamo la tesi per cui ciascuno di noi partecipa all’Idea, ad esempio, di
Platone si avvia verso la distinzione ontologica importante per il rapporto coi
Presocratici: distinzione tra gli enti concreti e le idee. Inconciliabilità delle idee
contrarie (dei contrarii ideali). Un contrario non può essere mai contrario di sé
stesso/medesimo. Qui ne va della filosofia: altrimenti finirebbe la filosofia.
Non siamo ancora alle fatiche di Aristotele che per primo formula il principio
di non-contraddizione. Caldo/Freddo sono principii; mentre neve/fuoco sono
enti. E' una questione non solo logica; ma ontologica. Platone fa un esempio
ricavato da due elementi naturali: non a caso per il loro ruolo nei filosofi
Presocratici. Estensione del principio: neve vs. caldo. Esempio del dispari e del
pari: tanti significati per la filosofia di Platone. I numeri sono importanti per
Platone. Nella formulazione di Platone incontro importantissimo coi Pitagorici.
La scuola di Tubinga: le idee di Platone non si riducono ai generi sommi; ma
alle idee numeri: 1 e la diade (2). Il dispari e il pari sono principi ontologici da
cui si ricava tutto. Il problema dell'incontro di 1 e diade. Filosofia dei principi
matematici. Nell'esempio rinvio ai pitagorici. Dispari/pari = sono contrarii.
Non si possono conciliare. L'idea si costituisce attraverso il nome: il
mantenimento del nome è il mantenimento dell'idea. I due principi di Platone:
en=uno, duas (o dias???)=due o diade. Tutto deriva da qui. il tre deriva dall'uno
e dalla diade. en=l'idea dell'unità; unità anche dell'idea. Mantiene unita l'idea.
Forse il due può essere addirittura più grande dell'uno? Sono numeri e non solo
numeri: sono anche principii. 3=1+2, però apre la serie numerica; dischiude la
serie numerica. è meno importante del 1 e del 2. Tra 1 e 2 e il resto c'è uno
scarto anche ontologico. La filosofia di Platone è una filosofia del 2, della
diade. IMPORTANTE per tutta la filosofia greca e per la filosofia della
matematica. Il 3 è già moltitudine, molteplice, il molteplice. Dopo i principii 1
e 2 vengono i molti: le molte altre cose. Il dispari e il 3 non sono la medesima
cosa. Il 3 partecipa del dispari, così come la neve partecipa del freddo. E così il
5 e la metà [dispari] della serie numerica. Esempio calzante del 3: partecipa del
dispari pur non identificandosi col dispari, comunque vale il principio dei
contrarii: come neve e fuoco. Il 3 non può partecipare del pari. Se il 3
partecipasse del pari, perderebbe la sua OUSIA, la sua essenza. Differenza di
predicati essenziali e accidentali. L'idea del dispari inerisce in modo essenziale
al tre: non sarebbe più tre se partecipasse al pari. L'anima partecipa all'EIDOS
della vita in modo essenziale; non può partecipare all'EIDOS della morte. La
questione dei contrarii. La questione della distinzione tra inerire
essenzialmente e inerire non essenzialmente. Aristotele costruisce su basi
platoniche. Il piano filosofico è il bisogno del concetto di 2, di diade. Sono
principii. Il 2 ha connessione col diverso, con l'eteron, se l'1 invece è l'identico.
uomo; ma allo stesso tempo ciascuno partecipa, per esempio, anche all’idea di
grandezza e piccolezza, per cui si può essere messi in relazione con gli altri –
si è più piccoli o più grandi rispetto a qualcuno – e il fatto di essere più grandi
e più piccoli allo stesso tempo non costituisce alcun problema, perché dipende
dalla relazione in cui ci si trova. Questa è la prima constatazione: ciascuno
partecipa a più Idee, o a quelli che Platoni chiama generi. Seconda
constatazione: non è un problema partecipare al contempo a due Idee – non c’è
contraddizione. Ma è vero che la grandezza e la piccolezza sono contrari: le
Idee non possono partecipare ciascuna al proprio contrario – se la grandezza
partecipasse all’Idea della piccolezza verrebbe meno e viceversa [fino a 103 a].
PARAGRAFO LI. Cebete obietta: prima si diceva che le cose si generano dai
contrari; ma quelli sono in realtà gli enti concreti – distinzione del piano degli
enti, che possono partecipare ai contrari, e il piano delle Idee che è già il piano
dei contrari. Cebete non ha colto la finezza delle due argomentazioni – grande
coerenza di Platone. Allora si parlava della generazione degli enti dai propri
contrari; qui si parla del contrario in sé. Platone si sta avviando ad una
distinzione ontologica importante, che sarà una risposta a questioni poste dai
presocratici (Parmenide ed Eraclito). Si conviene quindi sul punto che il
contrario non può mai essere il contrario di sé medesimo – Aristotele sarà il
primo a formulare il principio di non contraddizione – altrimenti non ci
sarebbe il loghizestai, né il parlare, ed è ciò che volevano i Sofisti.
PARAGRAFO LII. Ora i due principi sono il caldo e il freddo e gli enti che vi
partecipano sono il fuoco e la neve: la neve non può incontrare il caldo, se no
perirebbe, e lo stesso vale per il fuoco, che non può partecipare del freddo –
questione ontologica. Questo esempio è ricavato da due elementi naturali, che
non sono scelti a caso, perché rinviano alla tradizione presocratica. Quindi, la
neve, partecipando dell’Idea del freddo, tanto da prenderne la forma, non può
partecipare all’Idea del caldo: a partire da ciò si introduce un altro esempio,
quello dei dispari e dei contrari. Essi sono importanti per il significato che
hanno nella filosofia di Platone; i numeri son sempre stati una preoccupazione
di Platone – l’incontro con la filosofia pitagorica è stato determinante. Secondo
l’interpretazione della scuola di Tubinga, le Idee di Platone non si riconducono
ai generi sommi, ma alle Idee numero – l’uno e la diade, cioè il dispari e il pari
– in quanto principi numerici e ontologici da cui si ricava tutto. Per Platone si
tratta di far incontrare l’uno e la diade – problema lasciato dalla filosofia
pitagorica. Gli esempi della neve e del fuoco, ripresi dai physiologoi, e del
Il 2 dischiude l'1. La diade è quasi più importante dell'1: dalla diade scaturisce
la molteplicità degli enti e il divenire. L'ultimo Platone è una riflessione sui
principii matematici (bravi quelli di Tubinga). L'anima è immortale perché è
connessa essenzialmente (in questo caso all'OUSIA) della vita. Quindi
Immortale, Imperitura, Incorruttibile. 106b: dove vanno a finire le anime? se
l'anima non è immortale allora 'sti cazzi di prendersene cura. Valenza etico-
politica. Se è immortale ha un destino oltre il corpo. è la totalità del tempo che
conta; non solo questo breve [tempo] della mia vita. Il tempo del mondo in cui
si svolge il destino etico dell'anima dopo la morte ---> 107c. Se l'anima
terminasse, ci guadagnerebbero i malvagi. Essendo imperitura, si porta dietro
con sé ciò che ha compiuto. L'anima attesta ciò che io ho fatto. Sincretismo di
filosofia e teologia cristiana. la partita non si gioca qui; ma al di là, e quella lì è
molto più importante di questa. Argomento capitale dal punto di vista
teologico, etico e politico. cfr. Jacob Taubes. Questa corrente orfico-
pitagorico-platonica si innesta nell'ebraismo (a cui è estranea) e da luogo alla
teologia cristiana dell'immortalità dell'anima. Qui inizia una riflessione
cosmologica che guarda soprattutto alla terra. Per i primi fisiologi la terra era
piccola, e galleggiava su un'immensa distesa d'acqua. 109a: la terra è
straordinariamente grande. Noi abitiamo in una cavità della terra. Da qui nasce
il mito della caverna. La filosofia è uscire dalla caverna. Noi abitiamo in
caverne senza esserne consapevoli. Ma l'interesse qui non è geografico; ma
esistenziale. Solo ai filosofi è dato uscire. Interessante il paragone con il mare:
nel mare filtra il sole e non si immagina che ci sia un confine/limite del mare.
Noi abitiamo dentro una sorta di cupola e non vediamo cosa c'è al di là del
limite. Il cielo è chiuso da una volta, non è infinito. Oltre il cielo c'è
l'Iperuranio. Il cielo è finito, è una sfera... dopo il cielo c'è l'etere. 113d (LXII):
chiarissima l'idea di pene/meriti eterni; c'è anche un luogo di espiazione --->
purgatorio ante litteram. Tartaro=Inferno. La proporzione riguarda il diritto
greco. Questo si proietta/traduce nel destino dell'anima. Per i greci uccidere
con ira era una scusante/attenuante. Il riscatto è possibile anche dopo. L'anima
può essere purificata. Per trovare un riscatto: salvata, sanata. La questione
teologica della salvezza dell'anima. Il destino migliore non è del santo; ma del
filosofo. Questi si è preparato alla morte nell'esercizio della filosofia che
allontana dal corpo e anticipa la purificazione. Questi la compie già durante la
vita. Questo differenzia il filosofo dal non filosofo, perché l'anima del filosofo
è già purificata. Il premio è l'anima pura con un grande destino o la filosofia
stessa? il filosofo partecipa della SOFIA; ma il premio? Platone non risponde.
Domanda inquietante.
dispari e del pari, ripresi dai pitagorici, non sono casuali. Il dispari non si
concilia con il pari, perché sono contrari. L’idea si costituisce attraverso il
nome: il mantenimento del nome è il mantenimento dell’idea – per cui il
dispari dovrà sempre avere questo nome. Per Platone i principi sono: “en”
(uno) e “duas” (diade, due) – tutto deriva da qui. Lo en è importante: è l’idea
dell’unità; l’uno tiene ferma l’’Idea. Ma il due ha un ruolo altrettanto o anche
più importante. Essi sono numeri e sono principi; dopo viene il tre, la somma
dell’uno e del due, ma è anche il numero che apre la serie numerica, e che è
possibile perché vi sono l’uno e il due. Vi è uno scarto ontologico, per Platone,
tra l’uno, il due e il tre. La filosofia di Platone è la filosofia della diade,
concetto importante della filosofia greca e della matematica. Dopo l’uno e il
due c’è la moltitudine, il tre. Il dispari ed il tre non sono la medesima cosa; il
tre è un numero dispari, che partecipa del dispari, così come la neve partecipa
del freddo – e dopo il tre anche l’intera metà della serie dei numeri partecipa
del dispari. Si dipartono due serie di numeri: il pari e il dispari. Il tre partecipa
del dispari, pur non identificandosi con esso – vale il principio dei contrari,
come per la neve, che non può incontrare il caldo, e così il tre non può
partecipare del pari. L’esempio del tre è calzante; la stessa ousia del tre è il
dispari; infatti, se partecipasse del pari, si dissolverebbe nella sua essenza – poi
Aristotele chiarirà questo problema, introducendo la distinzione tra i predicati
essenziali, che ineriscono all’essenza di un ente, e i predicati accidentali, che
non ineriscono all’essenza. Quindi, la partecipazione del tre al dispari è
essenziale. La questione è sollevata quasi strumentalmente, per dire che
l’anima partecipa all’eidos della vita in modo essenziale, per cui non può
partecipare all’eidos della morte. La grande questione dei contrari si lega
quindi alla questione di ciò che inerisce essenzialmente o meno – due punti che
avranno enormi sviluppi.
In che modo il numero due è filosoficamente interessante? Il due ha attinenza
con la questione dei contrari. Il due/la diade è necessario come concetto,
filosoficamente, posto accanto all’uno – non può esserci soltanto l’uno, che si
somma, poiché per farlo ho già bisogno del principio della diade. Il due è
l’eteron, il diverso, mentre l’uno è l’identico – la diade introduce la differenza
rispetto all’identico. In questo senso la diade, per Platone, è più importante
dell’uno, perché da essa nasce il divenire, rispetto alla quale resta solo la
staticità dell’uno. La riflessione di Platone, in questo senso, è sui principi
matematici – Tubinga.
[106 b]. Ora il tema si sposta nuovamente sull’anima, che partecipa dell’Idea
della vita e non può essere connessa alla morte – quindi è imperitura e
incorruttibile. Questione che ci si pone: dove vanno a finire le anime? Discorso
etico: bisogna curarsi dell’anima, proprio perché è immortale e non mi è
indifferente; essa ha un destino ulteriore rispetto al corpo, per questo è
importante averne cura. Conta la totalità del tempo, non il tempo irrisorio della
vita terrena; nel tempo del mondo l’anima rischia di preservarsi uno specifico
destino, a seconda di come mi comporto.
PARAGRAFO LVII. Se l’anima terminasse come termina il corpo, questo
sarebbe un guadagno per i malvagi; ma l’anima, che è imperitura, porta con sé
ciò che essa stessa è e che ha fatto di importante – questo è il punto cui attinge
il Cristianesimo, riguardo alle pene e ai meriti eterni. Il discorso è di natura
etica, poiché la partita si gioca non nel mondo terreno, ma nell’al di là, per cui
conta il tempo totale del mondo; si tratta di un discorso capitale dal punto di
vista teologico, etico e politico – la ricompensa futura diviene un’arma politica
di riscatto. La corrente orfico-pitagorica e platoni si innesta poi nell’ebraismo
dando lluogo alla visione cristiana – l’immortalità dell’anima è estranea
all’ebraismo. Platone sostiene ci sia un percorso, benché invisibile, verso
l’Ade.
Inizia ora una riflessione cosmologica – da “kosmos” (“ordine”) – cioè una
riflessione sull’ordine del mondo; in questo caso Platone guarda soprattutto
alla Terra. I primi physiologoi si immaginavano la terra come una piccola
superficie galleggiante su di una immensa distesa d’acqua.
PARAGRAFO LVIII. La terra, poiché ferma, è esempio di equilibro, per
Platone; essa è straordinariamente grande, mentre gli uomini occupano una
piccola parte della sua superficie; la Terra è formata da cavità, e gli uomini ne
abitano una – da qui nasce il mito della caverna, che ha un valore gnoseologico
ed esistenziale. Prima che la filosofia liberi l’essere umano, egli vive nella
condizione di chi sta dentro la caverna e guarda il fondo, sui cui scorrono le
ombre, che l’uomo crede siano enti reali; la filosofia costituisce l’uscita dalla
caverna, dopo di cui l’uomo rimane accecato dal sole e scopre che ciò che
vedeva sul fondo della caverna non erano che pervenze, ombre degli oggetti
che stavano fuori. Questo mito indica la condizione ontologico-esistenziale
dell’uomo, che abita, qui si dice, in una cavità della terra; solo ai filosofi spetta
di uscire dalla caverna. L’uomo non è consapevole di abitare in una cavità, ma
pensa di abitare sulla superficie della Terra. Viene fatto un paragone con il
mare; chi vive nelle profondità del mare pensa che il cosmo sia quello, perché
filtra la luce del sole, quindi non immagina ci sia un confine del mare. Platone
LXIII. (la morte di Socrate che testimonia fino all'ultimo la sua scelta di vita.
La sua morte è una testimonianza). Tiro a lungo il mio MUTHOS, la mia
favola. Socrate non crede alle prove e lascia intuire che non crede ad
un'immortalità effettiva; ma crede a quella affidata al LOGOS e a quelli che
restano e che porteranno la mia testimonianza. Socrate non ha da temere nulla,
come chi ha curato la sua anima, studiando, apprendendo, e guardando a quei
valori che sono ornamento dell'anima: le virtù cardinali. FARMAKON
ambivalente: medicinale, rimedio; ma è anche il veleno. Critone si preoccupa
delle ultime volontà di Socrate. Socrate risponde che non c'è bisogno di fare
promesse: nulla di nuovo (???), prendendovi cura di voi. Ironia si Socrate:
l'anima del filosofo, pura, vola via e si congeda, e non viene presa/intrappolata
al corpo che si vuole seppellire. La domanda sulla sepoltura ha per tema il
corpo, non l'anima: quindi è una domanda futile. Critone torna sempre alla
questione del corpo... quando Socrate pensa a tutt'altro. Per Critone è come se
prevalesse il pericolo della morte: vede il cadavere, la sua oggettualità, e lo
pensa/confonde per Socrate. Critone insiste e non si convince che Socrate sarà
è convinto che noi si abiti in una sorta di cupola e non immaginiamo questo
limite; il cielo non è l’infinito, perché oltre esso vi sono l’etere e l’iperuranio, il
luogo delle Idee.
PARAGRAFO LXII. È chiara l’idea che ci siano delle pene e dei meriti eterni,
soprattutto l’idea che esista un luogo di purificazione dell’anima – che nella
teologia cristiana è il purgatorio, dove l’anima espia le sue colpe. La
preparazione riguarda il diritto greco: a seconda della gravità della colpa esiste
una diversa pensa – così vale per la condotta dell’anima in vita, a cui spetta, a
seconda delle circostanza, una pena o un merito diversi. Il riscatto è possibile
anche in seguito alla morte, perché l’anima può essere purificata e sanata – da
qui si apre la grande questione teologico-cristiana sulla salvezza dell’anima. Il
destino migliore in assoluto è quello del filosofo – vi è una sorta di “santità”
del filosofo. Egli è colui che si prepara alla morte, tramite l’esercizio della
filosofia, che allontana dal corpo, un percorso di purificazione operante già in
vita. L’anima del filosofo è quindi già staccata dal corpo, perché la filosofia è
questo stesso percorso di purificazione – che le altre anime dovranno compiere
nella vita al di là. Per questo il destino migliore è quello dell’anima del
filosofo. Platone non spiega se la filosofia sia questo mezzo per raggiungere la
salvezza o se essa non sia già un premio del filosofo. Questa domanda resterà
ad inquietare i filosofi.
Epilogo. La morte di Socrate testimonia la sua scelta di vita fino all’ultimo e
senza ombra di titubanza.
PARAGRADO LXII. “Tiro a lungo la mia favola (mythos)”: Socrate non
crede veramente alle tre prove, ma sicuramente crede all’immortalità affidata
al logos, portato come testimonianza da quelli che restano dopo di lui. Non ha
da temere nulla chi in vita ha curato la propria anima, che ha guardato a quei
valori che sono ornamenti dell’anima, non del corpo – giustizia, fortezza,
libertà e verità. “Pharmakon” è un termine usato nella sua ambivalenza: è il
medicinale, il rimedio ed anche il veleno.
PARAGRAFO LXIV. Critone si preoccupa delle ultime volontà di Socrate,
che risponde che non c’è bisogno di fare promesse, ma basta avere cura di se
stessi e nulla di nuovo. “Purchè riusciate a prendermi”: ironia di Socrate, in
quanto l’anima del filosofo è quella che vola via e si congeda dal corpo. La
domanda di Critone in merito alla sepoltura ha, ancora una volta, il corpo come
altrove dopo aver bevuto la cicuta. Socrate un po' è vero che "consola", non
credendo effettivamente all'immortalità [dell'anima]. La difficoltà di Critone è
quella di separare/pensare Socrate dal corpo. L'identità di Socrate è nell'anima
e non resta nel corpo. Questo conferma l'insignificatività del corpo. Perché
preoccuparsi del corpo, se non è più Socrate? L'identità di Socrate. Ritorna la
questione dei LOGOI e della fuga nei LOGOI. Fa male all'anima. Il lavarsi è
un atto ???: chi per tutta la vita si è purificato mediante la filosofia. Socrate lo
fa perché altri non debbano lavare il suo corpo. Affiora questo pensiero: Noi
che restiamo pensiamo alla nostra sventura. Il confronto con la morte del
maestro e dell'amico: saremo orfani. Il tramonto del sole, preparazione alla
dipartita. Le donne e i bambini fanno parte di un mondo dell'immanenza, della
quotidianità che non fa parte della filosofia, e quindi rimante coi suoi amici
filosofi. Le donne e i bambini fanno parte della dimora domestica. Romane coi
filosofi. Al tramonto doveva bere la cicuta. Socrate non se la piglia col messo
degli Undici. Socrate è quello che porta la filosofia nella città, nell'Agorà:
capace di parlare con tutti, anche col suo carceriere (il messo). Tensione tra il
destino che incombe: nesso tragico di tragedia (in senso greco) e
l'atteggiamento non tragico di Socrate. Qui una svolta nella filosofia e nella
cultura greca, segnata dal tragico destino che incombe, dal quale non c'è via
d'uscita o scampo: il singolo resta muto. Il tragico incombe sul messo, sugli
amici, mentre in Socrate resta una serenità non soltanto come scelta
temporanea, ma filosofica e contro il tragico: si sottrae alla tragicità
continuando a parlare con gli amici, affidando[si?] attraverso il LOGOS, a
loro, ai suoi amici. La parola è la via d'uscita dal tragico. Platone non potrà più
prescindere da questo. Con quanta serenità Socrate parla del veleno. Critone fa
notare che c'è ancora un po' di tempo. Socrate potrebbe ancora godere dei
piaceri della vita prima di morire. Socrane non cede MAI. Altri godono perché
pensano diversamente da Socrate: ma questi crede che l'anima sia immortale e
la morte è una liberazione. Non ha senso indugiare, cosa assai ridicola.
LXVI. L'unica preghiera di Socrate è che il trapasso/il transito/la liberazione
avvenga felicemente. C'è questa discrepanza/tensione tra coloro ce lo
circondano, che restano, e Socrate. La differenza nel tragico. La tragedia isola,
separa. Si piange la propria sventura nel venir abbandonati, nel rimanere soli
dall'amico che muore. Critone addirittura va via... il pianto, atto di egoismo...
va via e abbandona Socrate. Socrate li sprona, li esorta. Siate forti e state
quieti. Sta sopraggiungendo il rigor mortis. L'effetto è a partire dalle estremità,
tema, e non l’anima – Critone ritorna sempre al problema del corpo. Per
Critone prevale il pensiero della morte di Socrate come cadavere; vede
l’oggetto e non più la persona di Socrate, ma la sua oggettualità. Critone pensa
come se Socrate volesse consolare se stesso e gli altri – anche se il dialogo ha
in fondo il senso di una consolazione. La difficoltà di Critone è quella di
separare l’anima dal corpo e di concepire il fatto che Socrate non è nel corpo
che verrà sepolto – l’identità di Socrate non è più nel corpo, ma nell’anima,
che abbandona il corpo e lo lascia insignificante. Questione dei logoi: parlare
scorrettamente non è solo una cosa brutta (Sofisti), ma fa male all’anima.
PARAGRAFO LXV. Socrate si va a lavare – atto ulteriore di purificazione.
Per la prima volta affiora il pensiero che la morte di Socrate sia una sventura;
rimangono tutti pensierosi. Anche il tramonto del sole è simbolo della dipartita.
La visita dei figli e delle donne è il simbolo della materialità che resta – anche
questo fa parte della preparazione al congedo dal mondo immanente della
quotidianità. Il messo riconosce che Socrate non si adira con lui, ma con chi ha
emesso la condanna. Socrate porta la filosofia nella polis, è capace di parlare
con tutti, anche con il suo carceriere, che lo andava a trovare – c’è una tensione
nel testo, tra il destino che incombe e l’atteggiamento di Socrate, che non è
tragico. Questa è una svolta nella filosofia e nella cultura greca della tragedia,
in cui il tragico è il destino che incombe e il singolo resta muto perché non ha
via d’uscita. La tragedia e l’angoscia della morte di Socrate incombe su tutti,
ma in Socrate resta sempre la serenità di una scelta filosofica, contro la
tragicità: egli si sottrae alla tragicità continuando a parlare con gli amici,
attraverso il logos – parlare è la via d’uscita alla tragicità, che Socrate ha
trovato. Critone fa notare che manca ancora un po’ di tempo prima che Socrate
beva il veleno – c’è chi prima di morire si gode gli ultimi piaceri della vita, ma
Socrate di nuovo non mostra cedimento. Coloro che pensano diversamente da
lui si godono la vita sino all’ultimo, ma Socrate non ha bisogno di indugiare,
perché sa per certo che continuerà a vivere nell’al di là.
PARAGRAFO LXVI. L’unica preghiera di Socrate è che il trapasso dalla vita
alla morte avvenga felicemente – discrepanza tra la sua serenità, pur prossimo
alla morte, e il senso tragico a cui cedono coloro che resteranno. La tragedia
isola, separa: i suoi amici piangono la loro sventura, piangono se stessi, perché
abbandonati da Socrate – il pianto di Critone, che va via, è quasi un atto di
egoismo. Socrate esorta i suoi amici ad essere forti e quieti. Sopraggiunge il
rigor mortis e Socrate si irrigidisce; il corpo si ferma e al contempo la prigione
perde sensibilità. Il corpo si irrigidisce e il carcere viene meno implodendo e
disgregandosi. Il cuore è l'organo che decide la morte. Quel'è il punto in cui si
muore? Qui è chiarissimo per Platone. E' Critone che chiude gli occhi e le
labbra di Socrate. Socrate ha parlato fino all'ultimo. 118a7: leggi in greco la
frase sul gallo ad Asclepio. Socrate è debitore di un gallo ad Asclepio perché è
guarito. Compendio icastico di tutto il dialogo. Socrate non è che ha
fronteggiato la morte; ma è guarito perché è passato a miglior vita, la vita del
dopo, di ciò che ci sarà. Le ultime parole sono una conferma di ciò che ha detto
per tutto il dialogo. Valgono più queste parole che tutte le argomentazioni e
prove sull'immortalità dell'anima: il filosofo muore assecondando, sereno,
rimettendosi a ciò che avviene: la morte. Il modo in cui Socrate muore è
effettivamente la prova migliore dell'immortalità dell'anima: non le prove
logiche; ma ciò che egli fa e dice alla fine. Questo episodio resterà come
riferimento immortale. Le prove sono "esercizi" filosofici. Cosa resta di
Socrate: la sua testimonianza, per altro orale, dacché non ha mai scritto niente.
Socrate affida il proprio LOGOS, che durerà se si continuerà il dialogo. Sono
legittime anche altre interpretazioni: c'è chi legge le argomentazioni alla lettera
e non vede titubanza e ironia nell'atteggiamento di Socrate.
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del corpo viene meno – duplice accezione. L’ultimo organo intaccato nel
momento della morte è il cuore.
Socrate ha parlato fino all’ultimo, pronunciando parole importanti: “dobbiamo
un gallo ad Asclepio”. Asclepio era il dio della medicina; per i greci, quando si
guariva, era abitudine donare un gallo in tributo al dio – così Socrate, che è
guarito e si è liberato dal carcere del corpo, dice che sono debitori ad Asclepio.
Queste parole sono un compedio di tutto; Socrate non ha fronteggiato la morte,
bensì l’ha assecondata, perché è guarito passando all’al di là – per questo le sue
ultime parole sono ancora la conferma di tutto ciò che ha detto e fatto in vita.
Ciò vale più delle prove: il filosofo muore assecondando la morte, senza
ribellione, ma con serenità e con l’atteggiamento di chi si rimette a ciò che
avviene. Il modo in cui Socrate muore, le sue ultime parole, sono la prova
migliore dell’immortalità dell’anima; non sono realmente importanti le prove
logiche, ma ciò che concretamente ha fatto e ha detto sino all’ultimo – questa
scena resterà nella storia della filosofia. Socrate è ironico e titubante nei
confronti delle prove; affida l’immortalità al logos, alla testimonianza orale –
non sostituisce però l’immortalità dell’anima con quella del logos. Il logos, se
custodito, durerà.
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