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L’armistizio dell’8 settembre 1943
Questo è un anno importante per la svolta della guerra. In particolare, sono due
gli eventi che cambieranno le sorti dell’Italia nel ‘43:
1. Il 10 luglio 1943 è la data dello sbarco delle truppe alleate in Sicilia
nella zona del siracusano e dell’agrigentino.
2. Il 25 luglio dello stesso anno Mussolini si dimette. Mussolini si presenta
al colloquio settimanale che aveva con il re Vittorio Emanuele III,
(perché solo il re poteva decidere se mantenere un governo o
destituirlo) pensando che gli avrebbe confermato la fiducia, ma stavolta
il re gli chiede di dimettersi e di nominare Badoglio come capo del
governo, che si era distinto durante la prima guerra mondiale.
A questo punto si crea una situazione difficile in Italia, perché gli alleati sono in
Sicilia e avanzano, essi riescono ad occupare tutta l’isola ed inoltre essi si
apprestano a preparare un altro sbarco nel continente per cacciare i tedeschi. Qui
si vede la difficoltà che ha il governo italiano con Badoglio ad affrontare la
situazione poiché da una parte si voleva trattare la resa con gli americani e quindi
si voleva la pace, ma dall’altra parte Badoglio dichiara che la guerra sarebbe
continuata a fianco della Germania, sperando di tranquillizzare Hitler ed i nazisti.
Questa situazione ambigua durerà fino il 3 settembre quando viene firmato a
Cassibile in provincia di Siracusa l’armistizio. Inizialmente l’armistizio venne
tenuto segreto perché l’Italia era piena di tedeschi e le loro azioni contro gli
italiani sarebbero state da subito evidenti e immediatamente attuate e, dall’altra
parte gli americani erano solo in Sicilia e non ancora nella parte continentale
dell’Italia. Il patto iniziale prevedeva quindi che l’Italia doveva arrendersi senza
condizioni, assumendo il ruolo di cobelligerante, una sorta di alleata di serie “B”.
Tuttavia questo era uno status ambiguo. Solo cinque giorni dopo, cioè l’8
settembre 1943 alle ore 19.45 dai microfoni dell'E.I.A.R., il Maresciallo Pietro
Badoglio comunicò agli italiani che:
«Il governo italiano riconosciuta l`impossibilità di continuare l`impari lotta contro
la schiacciante potenza avversaria, nell`intento di risparmiare ulteriori e più gravi
danni alla nazione, ha chiesto l'armistizio al generale Eisenhower, comandante in
capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta.
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Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare
da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno a eventuali
attacchi da qualsiasi altra provenienza».
Il re Vittorio Emanuele III fuggiva a Brindisi e il 23 settembre Mussolini proclama
la Repubblica Sociale Italiana (RSI), conosciuta anche come Repubblica di Salò,
rivendicando la propria sovranità (specialmente nei territori del nord Italia)
sostenuto da Hitler e dall’esercito tedesco. In questo caos, ancora una volta,
l’esercito italiano fu lasciato solo e privo d’indicazioni. Non tutte le truppe, infatti,
vennero avvisate che dovevano disarmarsi, dissolvere l’esercito, scappare e
tornare a casa. Accadde infatti che molti italiani vennero catturati dai tedeschi.
La “resistenza” degli IMI
Le parole di Badoglio gettarono l'Italia nel caos più completo e scatenarono
l`immediata reazione della Germania nazista: mentre il re e il governo lasciavano
Roma, i tedeschi scatenarono la controffensiva.
In pochi giorni le truppe italiane, prive di ordini precisi, furono facile preda delle
milizie naziste. Oltre alla disorganizzazione, alle carenze strutturali del regio
esercito e all’incapacità dei comandi italiani di gestire la situazione, in
quell'occasione pesò anche il comportamento disonesto degli ufficiali tedeschi i
quali promisero in perfetta malafede ai loro ex alleati che li avrebbero rimpatriati
una volta consegnate le armi. Nella «retata» organizzata dai nazisti caddero
migliaia e migliaia di soldati:
«Consegnarono le armi circa 416 mila italiani in Italia, nella zona di Roma e
nell'Italia meridionale ne furono disarmati circa 102 mila, nella Francia
meridionale non più di 59 mila e nei Balcani e nelle isole del Mediterraneo orientale
circa 430 mila. Complessivamente furono disarmati quindi 1 milione e 7 mila
italiani» .
Tra i disarmati una parte accettò di restare al servizio dei tedeschi o di passare
alle milizie fasciste, un'altra riuscì in qualche modo a sottrarsi alla prigionia,
mentre una terza, quella più numerosa conobbe la tragica esperienza della
deportazione: tra soldati e ufficiali, circa 716 mila uomini, secondo il calcolo dello
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storico ed ex deportato Claudio Sommaruga, vennero internati nei lager del Terzo
Reich.
L’evento storico che oggi viene maggiormente ricordato è ciò che avvenne a
Cefalonia, un’isola greca, dove un’armata italiana che era insieme ai tedeschi si
rifiutò di consegnare le armi e di farsi prendere prigionieri, per tale ragione
vennero tutti massacrati. Ma non fu l’unico evento.
L’Esercito Italiano contava allora quasi 2.000.000 di combattenti e territoriali,
presenti in Italia e all’estero, ma il giorno dell’armistizio fu fatale: l’esercito fu
assalito dall’illusione del “tutti a casa!” e fu piantato allo sbaraglio senza ordini,
piani, mezzi e collegamenti, dal Re, da Badoglio, da 200 generali in fuga e nell’
indifferenza degli alleati americani. Le eroiche resistenze di 13 nostre divisioni
senza rifornimenti e rinforzi, in Corsica, Italia, nelle isole greche (come a
Cefalonia, Corfù, Lero…) e nei Balcani (Montenegro, Croazia…) furono disarmate
dai tedeschi (1.007.000 militari italiani) con la falsa promessa del rimpatrio.
“Da questi eventi nacquero i primi “NO” della Resistenza all’oppressore tedesca,
dove fu istintivo, corale e disarmato per la maggioranza dei militari italiani, ex
giovani fascisti del “ventennio” in approdo alla democrazia. In Italia alcuni reparti
con le armi, avviavano la resistenza armata popolare partigiana, a maggioranza
social-‐comunista e repubblicana. In Grecia e nei Balcani, la resistenza fu
monarchica badogliana, combattuta da unità del Regio Esercito alleate ai
partigiani locali, per lo più comunisti, oppure fu individuale o di gruppi di militari
sbandati e finiti prigionieri, ausiliari o combattenti, anche in alternanza, nelle
contrapposte bande partigiane (comuniste, nazionaliste ecc.) greche e slave.
Successivamente dall’Italia del sud, ci fu la rimonta del CIL, il Corpo Italiano di
Liberazione del Regio Esercito, cobelligerante degli Alleati. In due parole, la
Resistenza nacque monarchica e si sviluppò preponderantemente repubblicana e
ciò influì, come vedremo, sull’imbarazzata accoglienza in patria dei reduci. La
resistenza degli IMI, nota anche come l’altra resistenza (o quella senza armi…
silenziosa… bianca…) fu reiterata in ogni istante, per venti mesi, stressante più della
fame e pagata con 50.000 caduti. Si attuò direttamente e a rischio di morte, col
sabotaggio, la non collaborazione, il lavoro rallentato anche a un terzo della norma
dell’operaio tedesco e, indirettamente, consumando risorse alimentari ed
economiche e facendo avvicendare per la custodia, in venti mesi, 60.000 militari
tedeschi distolti dai fronti. La resistenza degli IMI non fu quindi passiva e inerme, né
fu moralmente meno valida di quella armata!”.
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Il rifiuto alla RSI
Immediatamente dopo la cattura, gli internati italiani furono sollecitati a mettersi
agli ordini dei comandi nazisti o fascisti: la scelta era tra una vita di stenti nei
lager e il lavoro coatto o un «posto» da soldato regolare del Terzo Reich o della
nascente Repubblica sociale (in quest'ultimo caso con la possibilità di ritornare
subito in patria). Coloro che accettarono furono una minoranza, nel complesso
tra i 716 mila internati, i «sì» furono poco più del 14%. Le adesioni maggiori
furono raccolte tra gli ufficiali (40% circa, contro il 13% dei soldati). Tante
centinaia di migliaia di prigionieri italiani nelle mani dei tedeschi costituiscono
un plebiscito negativo così imponente contro la nascente Repubblica di Salò da
indurre i responsabili nazisti e fascisti a cercare di persuadere gli internati a
continuare la guerra assieme alle forze del Reich. Nei primi giorni dopo la cattura
sono gli ufficiali tedeschi a far leva sul preesistente patto di alleanza, sul
cameratismo nato fra soldati italiani e germanici, per ottenere l'adesione al
nazifascismo. In questa prima fase l'opera di persuasione tende ad avere il
consenso all`inquadramento nei reparti SS, con la rinuncia alla divisa italiana. Il
risultato non fu soddisfacente. Il regime nazista offrì la liberazione dai campi di
prigionia e il rinvio in Italia a quei prigionieri italiani che si fossero arruolati nelle
forze armate tedesche. Una quota di prigionieri aderì a tale proposta, ma il fatto
che la stragrande maggioranza degli Imi rifiutò di aderire alla Rsi costituì (per
Berlino non meno che per Salò) un affronto e un disconoscimento di massa di
altissimo valore politico. Vi sono interpretazioni diverse sulle ragioni che
spinsero la stragrande maggioranza di essi a rifiutare l’alleanza con i tedeschi.
Sommaruga crede che:
“Ebbero gioco, senza dubbio, anche il risentimento e la rabbia per le molte
umiliazioni subite. Ma è più giusto dire che gli Imi affrontarono da soldati quelle
situazioni e seppero resistere come se si trovassero su una ideale prima linea. Una
prima linea che ebbe il suo triste tributo di numerosi caduti, feriti, ammalati,
invalidi e dispersi”.
Uno studio statistico condotto nel 1994 su 431 Imi ha dato i seguenti risultati: il
30% ha detto «no» per ragioni militari («non volevo combattere gli italiani», «ero
stanco della guerra»), il 26% per questioni etiche («fedeltà al giuramento»,
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«dignità», «solidarietà di gruppo»), il 24% per motivi ideologici («anti-‐
nazifascismo», «cattolicesimo», «liberalismo», «marxismo»), il 20%, infine, per
valutazioni diverse. I soldati che fecero questa scelta subirono l`immediata
ritorsione dei tedeschi: gli uomini di truppa furono avviati al lavoro coatto, gli
ufficiali vennero rinchiusi nei campi di detenzione.
La cattura e il trasferimento nei lager
Subito dopo la cattura, l’efficiente apparato burocratico-‐militare nazista
organizzò il trasporto dei militari italiani nei campi di concentramento.
L'obiettivo di Hitler era duplice:
1. eliminare dallo scacchiere di guerra uomini che schierati sul fronte
opposto, avrebbero potuto creare problemi alle sue armate
2. recuperare braccia giovani e forti, a costo zero, da impiegare nella
macchina produttiva tedesca impegnata nello sforzo bellico.
Dopo l’8 settembre, i tedeschi ricavarono un enorme bottino: armi, materiale di
ogni genere e soprattutto uomini. Proprio gli uomini prigionieri di guerra o
lavoratori coatti furono una risorsa importantissima poiché furono adoperati
come manodopera sia nelle fabbriche che nei campi, mentre i soldati tedeschi
erano impegnati su molti fronti. Gli uomini furono impegnati come manovali,
braccianti e anche le donne furono sfruttare per fabbricare camion armati, aerei,
proiettili, cannoni e anche prodotti alimentari destinati all'esercito e alla
popolazione delle città bombardate dagli angloamericani. Inoltre, l’improvvisa
apparizione sul mercato del lavoro dei nuovi schiavi italiani, che è possibile
impiegare senza dover pagare loro alcuna mercede stabilita per contratto, viene
salutata dagli imprenditori gioia. La maggior parte dei soldati italiani fu
deportata nei territori del Reich nei giorni immediatamente successivi alla
cattura. Gli spostamenti avvennero via ferrovia e via nave, in condizioni
disumane. Le numerose testimonianze di chi viaggiò in treno parlano di vagoni
merci pieni fino all'inverosimile, che non venivano aperti per giorni e giorni, dove
mancavano cibo e acqua e persino la possibilità di soddisfare i bisogni corporali.
Chi affrontò il viaggio con la nave testimonia che furono emanati ordini ben
precisi, ad esempio, stabilivano che lo spazio sulle navi dovesse essere utilizzato
fino ai limiti estremi senza tener conto di alcuna considerazione di comodità e
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sicurezza. Nelle stive alcuni energumeni, armati di bastoni, stipavano fino all`orlo
gli italiani via via che giungevano. Il carico era enorme: si stava in piedi uno
accanto all'altro, stretti, senza la possibilità di muoversi, e già dai primi momenti
l'aria era divenuta irrespirabile.
I militari furono divisi in campi diversi a seconda del loro status: i soldati
vennero rinchiusi negli Stammlager Stalag, alle cui dipendenze vi erano spesso gli
Arbeitskommandos (distaccamenti di minori dimensioni ubicati nelle vicinanze
delle fabbriche o dei luoghi di lavoro in cui venivano impiegati). Gli ufficiali
invece furono internati negli Oflager. Altri campi erano poi i Dulag ( i campi di
transito o di smistamento), gli Straflager (i campi di punizione) e i Lazarett (i
campi-‐ospedale, dove venivano ricoverati i militari gravemente ammalati).
Gli italiani vennero distribuiti o smistati in 249 lager principali: 192 ubicati in
Germania, 15 in Polonia, 15 in Russia, 14 in Francia, 11 in Iugoslavia, 2 in Grecia.
All'arrivo a destinazione, la burocrazia del Reich procedeva all’identificazione dei
prigionieri: i tedeschi compilavano una scheda con tutti i dati anagrafici, quindi
assegnavano a ognuno un numero che poi veniva riportato su una piastrina
metallica.
Da prigionieri di guerra (KGF) a internati (IMI-‐Italienische Militär-‐Internierten)
Fin dal 17 settembre 1943, Hitler privò agli italiani il loro status di prigionieri di
guerra con le tutele internazionali di uno stato neutrale e l’assistenza umanitaria
della Croce Rossa Internazionale (CICR). I prigionieri italiani vennero declassati e
marchiati sulle divise con un IMI, una qualifica arbitraria, prevista dalla
Convenzione di Ginevra del 1929 sui prigionieri di guerra, solo in nazioni non
belligeranti. Appena arrivati nel lager di destinazione i soldati italiani si rendono
conto di non godere dello status di prigionieri di guerra e quindi di non essere
tutelati in alcun modo dagli accordi internazionali in materia. Hitler, il 20
settembre 1943, con un provvedimento stabilisce che essi devono essere
identificati come IMI (Internati Militari Italiani). Si tratta di una denominazione
del tutto impropria poiché per internati si dovrebbe intendere i militari che si
rifugiano in uno Stato neutrale in attesa della fine delle ostilità, ma la Germania
non era di certo uno Stato neutrale.
Nel testo originale si legge:
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«Per ordine del Fuhrer e con effetto immediato, i prigionieri di guerra italiani non
devono più essere indicati come tali, bensì con il termine di internati militari
italiani»
Con questa decisione Hitler si vendicava dei soldati italiani , considerati
«traditori», e si garantiva mano libera sul trattamento da riservare loro. Gli Imi
non potevano avvalersi delle protezioni previste dalla Convenzione di Ginevra sul
trattamento dei prigionieri di guerra (27 luglio 1929) e non avevano diritto
all'assistenza della Croce rossa; in sostanza erano abbandonati a se stessi , schiavi
nelle mani della Germania nazista. Come detto in precedenza, i soldati vennero
subito utilizzati nelle fabbriche e nei campi agricoli a sostegno dello sforzo
bellico, mentre gli ufficiali restarono segregati nei lager. Lo status degli Imi
cambiò, ancora una volta, e sempre per volere del Fuhrer. Il 20 luglio del 1944
Hitler e Mussolini strinsero un accordo in base al quale i militari deportati
venivano trasformati in «liberi lavoratori civili»: era l'ennesima tragica beffa. La
formalizzazione del nuovo status non produsse effetti particolari sui soldati. Essi
erano obbligati a lavorare da Imi e avrebbero continuato a farlo da «liberi». Di
fatto Mussolini non volle o non potè far nulla per i militari internati, che rimasero
totalmente alla merce dei nazisti. Infatti chi si sarebbe dovuto interessare dei
prigionieri italiani? Ufficialmente il compito spettava all'ambasciata di Mussolini
a Berlino presso la quale fu allestito nel febbraio del 1944 un Servizio Assistenza
Internati militari italiani e civili (Sai), allo scopo di soccorrere i connazionali fatti
prigionieri dall'alleato. Ma, i responsabili di questo Servizio non poterono far
molto. Essi potevano chiedere, proporre, insistere, sollecitare, ma non erano
assolutamente in grado di agire efficacemente o prendere qualcosa sotto la
propria responsabilità. Ad esempio, i prigionieri delle altre nazionalità
ricevevano settimanalmente qualche pacco dalla Croce Rossa contenente viveri
di conforto, sigarette e altro, mentre i prigionieri italiani non ricevevano mai
nulla. I tedeschi si giustificavano dicendo che, in virtù di un accordo fatto con
Mussolini, i prigionieri italiani dovevano essere considerati lavoratori volontari e,
perciò, non aventi diritto a godere di nessun aiuto. I primi soccorsi arrivarono
con grande ritardo, solo nel maggio del 1944, e in quantità del tutto insufficiente.
Anche il generale Badoglio non si interessò di prestare aiuto agli internati italiani
con la scusa che non poteva intervenire a causa del fronte di guerra che lo
separava da ogni possibile contatto coi l'attuale "nemica" Germania. Qualche
aiuto venne dalle famiglie in patria. La vicenda dei pacchi e delle corrispondenze
è, davvero, illuminante. Mentre, come sottolineato, i prigionieri di altri paesi
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ricevevano pacchi con una certa regolarità dalla Croce rossa o dai rispettivi
governi , gli italiani potevano solo sperare nei propri cari, e per chi non riceveva
nulla (cibo, vestiti, notizie da casa) il senso di abbandono diventava
insopportabile.
Prigionieri di guerra Internati militari Internati militari
italiani (POW inglese, PDG francese
e italiano, KGF tedesco)
“dichiarata” o “non
dichiarata”. Per la
Convenzione di Ginevra
(1929) sono dei combattenti
nemici catturati e concentrati
in “campi” (“Lager” in
tedesco) di transito,
smistamento o detenzione,
sotto tutela e ispezioni di uno
stato tutore neutrale ed
assistenza umanitaria e
ispezioni della Croce Rossa
Internazionale (CICR).
Per la Convenzione di Ginevra
sono militari di stati belligeranti
internati in stati neutrali (stati
terzi non coinvolti nel conflitto)
con semilibertà di movimento
e di lavoro, retribuito come ai
civili locali. Non presenti
ovviamente nel Terzo Reich,
stato belligerante ma in
Svizzera e paradossalmente in
Romania (regno alleato del
Terzo Reich e della RSI ma
con buoni rapporti diplomatici
col Regno d’Italia e al riguardo
neutrale ! ).
Status illegale creato da
Hitler e non previsto dalle
convenzioni perché detenuti
in uno stato belligerante
(Terzo Reich), con uno stato
tutore non neutrale ma
belligerante coinvolto (RSI),
senza assistenza dalla Croce
Rossa Internazionale (CICR)
ma dalla Croce Rossa
fascista della RSI (con sede
a Verona) con assistenza
limitata a recapiti postali e
senza ispezione dei Lager.
Assistenza limitata e
propagandista politica del
SA-IMI (ambasciata RSI di
Berlino).
I lager e i continui trasferimenti
«Il lager» era organizzato su un'area delimitata da una recinzione costituita da
diverse file di reticolati, alternati a fosse riempite con rotoli di filo spinato
aggrovigliato. In alcuni lager il reticolato era percorso dalla corrente ad alta
tensione. Un filo spinato, nel lato interno del perimetro, preavvertiva della
fucilazione chiunque l'avesse toccato o sfiorato accidentalmente. Esso costituiva
così una delle preoccupazioni maggiori degli internati, e al tempo stesso era
anche l'elemento più caratteristico dell'architettura del campo, poiché separava i
vari settori, le viuzze e le baracche. La vigilanza era garantita da un sistema di
torrette ubicate ai lati e agli angoli del campo, e dalle quali era possibile
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controllare l`intera area interna al lager, illuminandola con un riflettore di notte;
sulle torrette prestavano servizio guardie armate di fucili e mitragliatrici. Nel
corso del periodo di detenzione fu abbastanza frequente lo spostamento da un
campo all'altro.
«Chi non l'ha provato difficilmente può immaginare i disagi, le sofferenze e le
umiliazioni che comportava un trasferimento da un lager all'altro».
Accanto alle difficoltà in cui si trovava la rete ferroviaria tedesca per i
bombardamenti, sabotaggi, intasamenti, mancanza di materiale rotabile, c'era la
volontà della scorta di rendere più dura possibile la vita degli internati.
Mediamente un trasferimento durava una settimana, con lunghissime soste sui
binari morti. I viveri della già scarsa razione erano distribuiti, per tre o quattro
giorni soltanto. Vagoni merci ghiacciati. Erano stipati con 40, 50 e in certi casi
perfino 100 uomini per carro, sprangato all'esterno. I portelli si aprivano una sola
volta al giorno e per appena un quarto d'ora, per evacuare a comando. L'acqua
era distribuita quando faceva comodo alle guardie. Le possibilità di riposare
erano scarsissime, anche perché mancava lo spazio per sdraiarsi. Si facevano i
turni, in piedi e coricati. Si doveva urinare in un barattolo, che veniva poi passato
di mano in mano per poterlo vuotare all'esterno, da un pertugio sbarrato dal filo
spinato. E piuttosto spesso, bombardamenti e mitragliamenti aerei, con morti e
feriti: ma i tedeschi non aprivano, rifiutavano aiuti e il viaggio continuava.
Le condizioni di vita nei campi erano, nella maggior parte dei casi, disumane: il
cibo era cattivo e scarsissimo, le baracche in legno (e raramente in muratura) in
cui dormivano i prigionieri (sui cosiddetti «castelli»: letti di due, tre o più piani in
tavolaccio) malsane e sovraffollate, la situazione igienica terribile, dappertutto
c’erano pidocchi, cimici, scarafaggi e topi; l'abbigliamento era spesso costituito di
pochi indumenti laceri, assolutamente inadeguati per combattere i rigori del
freddo pungente che d’inverno, in certe zone, toccava anche i 30-‐40 gradi
sottozero; le malattie erano all'ordine del giorno, moltissimi internati morirono
per sfinimento, denutrizione, tubercolosi, nella totale mancanza di assistenza
medica. Nell'organizzazione dei lager tedeschi è previsto il funzionamento
dell’infermeria del campo, nella quale vengono ricoverati i malati più gravi
provenienti dai campi di lavoro, in teoria per essere curati, in realtà per lasciarli
morire nei lager dove sono registrati. In tutti i lager manca l'assistenza sanitaria
perché quella è la direttiva. I malati gravi vengono abbandonati a loro stessi
perché irrecuperabili per il lavoro. All'assenza di assistenza medica, si devono poi
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aggiungere le continue minacce, umiliazioni, violenze e pressioni psicologiche da
parte dei nazisti: il lager è un autentico inferno. La sporcizia come arma di ricatto.
I nazisti volevano i pidocchi, le cimici, le pulci; volevano che gli indumenti
cadessero in brandelli, che maglie, mutande, calze e pezze da piedi si portassero
per mesi, stagioni e interi semestri senza offrire i mezzi per lavarli o sostituirli.
Non facevano nulla per evitare i malanni derivanti dalla sporcizia, dissenteria o
peggio il tifo. L’interno delle baracche era lurido per l`impossibilità di tenerlo
pulito. Se poi passiamo al capitolo gabinetti...quando andava bene consistevano di
baracche di assi sconnesse che circondavano grandi buche malamente ricoperte
con tavolati pericolanti. Gli escrementi erano dappertutto. Si effettuavano due
appelli giornalieri, uno nel primo mattino, il secondo verso sera. Operazione
teoricamente semplicissima: si trattava di fare qualche somma contando i
presenti in riga e quelli che, indisposti, rimanevano in baracca. Viceversa era raro
che i conti tornassero velocemente: essi venivano fatti e rifatti più volte, baracca
per baracca, poi bisognava fare il computo totale. Conclusione: si doveva stare
all'aperto a lungo, a volte un'ora o due, con qualunque tempo, alla pioggia o sotto
la neve, d’inverno con parecchi gradi sotto zero. Gelando, denutriti e mal vestiti,
la sofferenza si moltiplicava. In più, non di rado, i tedeschi esigevano formalismi
assurdi, in quelle condizioni: posizione di attenti, niente coperte, passamontagna
(chi li aveva) rialzati. Spessissimo erano urlacci degli addetti alla conta, e di tanto
in tanto anche botte, schiaffi, e 'carezze' coi calci dei fucili: anche in faccia. Le
spoliazioni degli averi degli internati e i commerci per procurare cibo, sono due
aspetti di un unico proposito: quello di rapinare tutto ciò che era possibile a
gente indifesa e in momento di estremo bisogno. All’arrivo degli italiani al loro
primo lager i tedeschi dicevano che era severamente proibito tenere oggetti
come radio, bussole, binocoli, macchine fotografiche, pinze; pertanto li
sequestrarono, con modi perfino cortesi, rilasciando quasi sempre delle ricevute
che -‐ dicevano -‐ sarebbero servite per riavere gli oggetti stessi alla fine della
guerra. Inoltre attuavano perquisizioni durante la prigionia. I tedeschi si
prendevano tutto quello che gli internati erano riusciti a salvare nella prima fase
e andavano alla ricerca di: penne stilografiche, accendini, temperini. Senza
ricevute. Durante le perquisizioni "pesanti" cercavano valuta, sterline, oro,
quaderni, appunti. Misero in piedi dei veri e propri commerci all`interno dei
lager, effettuati personalmente da militari e sottufficiali tedeschi, o tramite civili
che bazzicavano nei lager. Questo tipo di furto poteva essere estremamente
redditizio: un orologio d'oro di marca, scambiato per due o tre pagnotte di pane
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nero di segala, una fede matrimoniale per un paio di chili di fagioli, una catenina
d'oro per poche patate. Qualche volta, nel corso di questi commerci clandestini, ci
scappava il morto: la sentinella, avuto l'oggetto attraverso il reticolato, sparava.
Le regole internazionali prescrivono che ai prigionieri di guerra sia riservato un
trattamento alimentare pari a quello che la nazione detentrice offre ai propri
soldati a riposo. Col trucco di non considerarli prigionieri i nazifascisti elusero
questa regola. La novità della qualifica di internati militari italiani offrì loro una
comoda scappatoia per dosare come volevano i viveri. E il dosaggio fu
estremamente parsimonioso... erano razioni teoriche che venivano decurtate in
partenza, assai spesso, per trame dei quantitativi con i quali si alimentava il
mercato nero. Inoltre bisogna tenere conto della qualità dei vari alimenti: ad
esempio, era frequente il caso di fornitura di patate gelate, immangiabili; il pane
conteneva una certa percentuale di segatura ed era sempre umido; la minestra
(sbobba) era priva di grassi e di sostanze proteiche; i cosiddetti generi di
conforto avevano molto saltuariamente, specie negli ultimi mesi
dell`internamento. Comunque la razione teorica era questa: al mattino, un infuso
caldo di erbe varie e fiori di tiglio; per il resto della giornata, 1 litro di sbobba di
rape da foraggio, tagliate a fettucce, amare, disgustose; 300 grammi di pane. Agli
inizi del 1944 calò a 180 grammi e perfino a 150; 200 grammi di patate; 25
grammi di margarina; 20 grammi di zucchero. Quello dell'alimentazione fu il
problema principale per la sopravvivenza nei campi.
I medici e gli economisti nazisti, avevano programmato una razione annonaria
base, per i civili tedeschi, i lavoratori liberi stranieri e i prigionieri, di quasi 1736
kcal/giorno, appena sufficienti per una vita vegetativa, contro le 2300/3500
necessarie per un lavoratore. I contadini si arrangiavano, i cittadini integravano
la tessera con la borsa nera e i lavoratori con integrazioni aziendali. I prigionieri
di guerra alleati (POW -‐ prisoners of war) integravano abbondantemente la
razione coi pacchi da casa e della Croce Rossa.
I prigionieri senza tutela (come gli IMI, i deportati civili, gli ebrei, i KGF russi,
ecc.) avevano una speranza di vita programmata dai tedeschi di soli nove mesi,
ottimizzato con un calcolo ”costi / benefici”, fondato su una dieta base teorica di
1736 kcal/giorno ed un ricambio di schiavi dai territori orientali, possibile
quando le armate tedesche avanzavano.
Con una dieta effettiva di 900/1500 kcal/giorno, per furti delle guardie e
cucinieri, scarti di cucina, punizioni e intimidazioni, veniva a crearsi un deficit di
500/2000 kcal/giorno, che i prigionieri cercavano di colmare con rischiosi
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espedienti ed attingendo alle proprie risorse corporee dell’ordine di 80.000 kcal
utilizzabili. In queste condizioni, pressione sanguigna, battiti cardiaci e peso si
abbassavano fino anche a dimezzarsi e si dimagriva anche di 30/40 kg (grasso,
muscoli…) raggiungendo un peso minimo, mortale, di 30/35 kg (ossa, acqua,
organi vitali, residuo muscolare…), in stato d’inedia, depressione, debolezza
estrema e malattie conseguenti! Gli IMI erano trattati come i prigionieri russi
senza tutele e quanti sopravvissero (il 92%), lo devono agli eventuali pacchi da
casa, qualche chilo di riso e gallette (ma non a tutti) del SA-‐IMI (“Servizio
Assistenza IMI” dell’Ambasciata di Berlino della RSI) e soprattutto a furti di patate
e rifiuti di cucina (vietati), svendite a borsa nera dei pochi effetti personali non
rapinati nelle perquisizioni e autodigerendo le proprie riserve energetiche
corporee!
Secondo studi storici 24 mila dei circa 50 mila caduti nei lager, morirono di fame
e di malattie conseguenti. La dieta quindi, per apporto calorico, era al di sotto del
livello minimo di sopravvivenza. Lo ammette anche l'ambasciatore a Berlino della
Rsi, Filippo Anfuso, che in un rapporto sul lager di Luckenwalde scrive:
«Gli internati si lagnano del nutrimento assolutamente insufficiente. Effettivamente
si riscontrano numerosi casi di edemi da fame e di grave deperimento organico,
spesso seguiti da morte».
La situazione era particolarmente tragica per gli internati utilizzati come
lavoratori coatti nelle fabbriche (quelli che furono impiegati nelle fattorie se la
cavarono meglio). E spesso sono le industrie stesse a farlo presente, lamentando
che il precario stato di salute di molti lavoratori, provocato dalla denutrizione,
condizionava il loro rendimento. «Una dipendenza della Mannesmannrohren-‐
Werken la Heinrich-‐Bierwes-‐Hutte di Duisburg, riferiva:
"Il medico aziendale si è occupato in particolare del cattivo stato nutrizionale degli
internati militari italiani, i quali al momento del loro arrivo in fabbrica erano
talmente denutriti che un certo numero di loro presentava già grossi rigonfiamenti
(edemi da fame) sulle gambe".
Un altro impianto siderurgico della Rurh, la Gutehoffnungshutte di Oberhausen,
che nell'ottobre del 1943 ricevette 1.227 Imi, ci offre un quadro simile:
"La percentuale di ammalati era straordinariamente alta fra gli internati militari
italiani.”
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La causa di ciò va individuata nel fatto che gli italiani giunsero a Oberhausen in
uno stato di totale debilitazione e denutrizione. All’inizio quasi tutti erano in
condizioni tali da non poter essere impiegati al lavoro e soffrivano dei tipici
sintomi della denutrizione. La situazione si ripete uguale dappertutto. Al peggio,
però, non c'è mai fine. l tedeschi, infatti , per risolvere il problema della scarsa
produttività degli italiani, invece di aumentare la quantità delle razioni di cibo,
inventarono l’alimentazione proporzionata alla produttività. Questo metodo,
applicato a partire dall'ottobre del 1942 ai prigionieri sovietici impiegati nelle
miniere di carbone, venne esteso rapidamente a tutto il settore industriale: Esso
consisteva nel dividere i lavoratori stranieri in tre scaglioni: il primo costituito da
coloro che avevano un rendimento pari o superiore all`80% di quello di un
operaio tedesco di pari qualifica; il secondo costituito da coloro il cui rendimento
oscillava tra l'80% e il 60%; e il terzo costituito da coloro il cui rendimento era
inferiore al 60%. Questi ultimi subivano una decurtazione della razione standard
e ciò che veniva tolto a loro veniva assegnato, come premio, a quelli del primo
scaglione. Oltre alla riduzione del vitto erano inoltre previste anche altre
punizioni, come lavoro supplementare e l'assegnazione a incarichi
particolarmente sporchi.
Il lavoro da schiavi
Nei Lager nazisti, la speranza di vita di uno schiavo, non considerando
l’eventualità di morte violenta (criminale o per fatti di guerra) erano ridotte a
pochi mesi, con 75 ore settimanali di lavoro duro in fabbrica o in miniera, ma di
fatto 100 coi servizi al campo e le marce al luogo di lavoro, sempre con la fame, la
debilitazione e le malattie conseguenti.
Come già evidenziato, una volta giunti nei lager i soldati e i sottufficiali vennero
rapidamente avviati al lavoro, mentre gli ufficiali furono chiusi in campi a parte e
momentaneamente esclusi dall'obbligo di lavorare (ma subirono incessanti
pressioni fisiche e psicologiche per convincerli a offrirsi volontariamente). Il tutto
avvenne con le regole di un vero e proprio mercato degli schiavi. Un mercato di
carne umana: giovani da sfruttare fino alla consunzione. È significativo ciò che
scrive, già nel 1942, in una circolare l'Obergruppenfuhrer Oswald Pohl:
«L'impiego della manodopera deve essere completo, nel vero senso della parola, al
fine di ottenere il massimo rendimento... Il tempo di lavoro non ha alcun limite. La
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sua durata dipende dalla struttura del lager... Tutte le circostanze che possono
abbreviare il tempo di lavoro devono essere ridotte al massimo. Spostamenti e
pause di mezzogiorno soltanto per mangiare, che portano via tempo destinato al
lavoro, sono vietati... Il direttore di fabbrica è corresponsabile per i danni aziendali
o economici e gli insuccessi... Deve essere ampliato l`impiego di guardie a cavallo,
cani da guardia, torri di controllo mobili e ostacoli mobili».
Secondo un'analisi riferita al febbraio 1944, gli Imi furono utilizzati in diversi
settori produttivi, con una netta prevalenza dell`industria pesante. I dati parlano
chiaro: il 56% fu impiegato in imprese minerarie, metalmeccaniche e chimiche; il
12% in edilizia; il 10,8% nei settori energia, trasporti e comunicazioni; il 10,6%
in altri comparti industriali, compreso quello alimentare; mentre solo il 6% in
attività agricole o similari. In circostanze particolari, ma non infrequenti, gli Imi
vennero anche utilizzati per rimuovere le macerie delle città bombardate, e
qualcuno ci lasciò la vita. Il lavoro, nella maggior parte dei casi, era durissimo: in
cambio di ore e ore di fatica, sotto la ferrea sorveglianza dei nazisti, gli internati
ricevano un misero vitto e (non sempre) una paga in lager-‐mark, una moneta che
circolava solo nei campi, ma non aveva alcun valore legale all'esterno. Sulle
condizioni di lavoro è significativo l'orario: è tremendo, turni di 12 ore con una
sola mezz'ora d`interruzione per cibarsi con una zuppa di rape.
Un esempio: la sveglia al campo 1011, dove si costruiscono camion armati e
componenti degli aerei, viene data alle 2-‐2.30 di notte. Fino alle 5.30 si svolge
l'appello all'aperto, poi la colonna di forzati si mette in marcia, scortata dagli
addetti alla sicurezza della ditta. Chi non è perfettamente allineato o non
mantiene il passo, per qualunque motivo, viene segnalato al comandante del
campo, un maresciallo tedesco, il quale gli nega la razione giornaliera di pane e in
più lo fa bastonare. Il ritorno avviene alle 18; prima di andare a dormire, si beve
un litro di rancio caldo di rape e si mangia un pezzo di pane, un filone di pane di
circa 200 grammi viene suddiviso tra sette prigionieri con un bilancino, con pochi
grammi di margarina, salame o marmellata. Le fabbriche, le aziende, le fattorie e
gli uffici che comprano gli schiavi sono autorizzati ad allestire alloggiamenti o
piccoli lager nelle vicinanze dei posti di lavoro. Nascono in tal modo migliaia di
centri.
I lavoratori coatti fanno parte di quelli che la burocrazia definisce
Arbeitskommandos, gruppi di lavoro. Restano isolati dagli altri, sorvegliati giorno
e notte, e vengono sfruttati fino al midollo. Molti muoiono per l'esaurimento
conseguente alla fame che riduce la loro resistenza al lavoro forzato, altri si
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ribellano e vengono subito fucilati. In questo scenario mobile, i nazisti hanno
anche modo di lamentarsi. Gli italiani vengono dipinti come lazzaroni, pigri, gente
che non ha voglia di lavorare, che trova ogni scusa per darsi ammalata. Alcune
testimonianze al riguardo (ma ve ne sono molte altre, dello stesso tenore):
«Alla miniera David, su quarantadue lavoratori dichiaratisi malati e visitati dal
medico, soltanto cinque lo erano veramente».
Il medico di Cels dichiara che la maggior parte di coloro che si danno malati vuole
solamente allontanarsi dal posto di lavoro. A Lausitz un lavoratore tedesco si è
visto assegnare sette italiani per lavori stradali.
«Il tedesco lavorava nonostante il freddo mattutino e il sudore della fatica, mentre
gli italiani, con il colletto rialzato, le mani nelle tasche dei pantaloni o del cappotto,
saltellavano su un piede e sull'altro, infreddoliti, intorno all'uomo che lavorava».
Questo pregiudizio e fanatismo anti-‐italiano è alimentato ad arte dalla
propaganda nazista. Gli Imi, quando attraversano un villaggio per recarsi al
lavoro scortati dalle guardie, vengono spesso insultati dalla popolazione civile,
dileggiati con sputi e lanci di pietre, minacciati. Peri tedeschi gli italiani sono
«traditori», «badogliani», «vigliacchi», «maiali», «vermi» e altre amenità del
genere. Il disprezzo è profondo e condiviso.
Le vittime
La vita nei lager era durissima. La fame, il freddo, la pesantezza del lavoro, le
violenze dei tedeschi, la mancanza di assistenza medica provocarono tra gli
internati migliaia di morti. In mancanza di informazioni certe si stima che la
deportazione costò la vita a circa 50 mila persone: circa 20 mila morti nei lager -‐
in base alle informazioni tedesche -‐ una cifra che dovrebbe essere certamente
incompleta; circa 5.400 internati morti o dispersi nella zona di operazioni
dell'esercito sul fronte orientale; circa 13.300 che persero la vita
nell'affondamento delle navi da trasporto; fino a 6.300 trucidati. Senza tener
conto dei caduti in combattimento si tratterrebbe già di 45 mila morti.
Particolarmente significativo è il caso di Dora, la «fabbrica più crudele d'Europa››,
un'immensa officina scavata nel cuore della montagna, dove si producevano le
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temibili V2, i missili a cui Hitler aveva affidato le ultime speranze di vincere la
guerra. In queste officine i turni erano di 12 ore, giorno e notte, e dalle gallerie
non si usciva mai. Morivano in media 200 prigionieri al giorno. Racconta un
sopravvissuto:
“Ogni mattina assistiamo alla raccolta dei morti e al loro trasferimento. Vengono
caricati confusamente su camole o vagoncini, con la testa penzoloni e le membra
consunte da cui sporgono spaventosamente i muscoli irrigiditi per i crampi o per la
paura di una morte infame, senza conforto e assistenza. Talvolta dal mucchio
spunta una testa con le ossa sporgenti e gli occhi che escono dalle orbite. Uno
spettacolo che diventa per noi una visione crudele e indimenticabile, perché si
ripete ogni giorno. Molti prigionieri vengono assassinati per punizione: un nonnulla
e si finisce sulla forca.”
Le cifre della mattanza sono impressionanti: dal 28 agosto 1943 all'aprile 1945,
sui 60 mila prigionieri di circa venti nazioni che hanno popolato l`intero
complesso di Dora, i morti furono oltre 20 mila.
La situazione nei lager si fece particolarmente grave verso la fine della guerra,
quando da Berlino partì I'ordine di cancellare le tracce della loro esistenza,
distruggendo i documenti, le strutture e facendo scomparire i prigionieri. La
decisione di Hitler colpì anche gli Imi, molti dei quali persero la vita in esecuzioni
di massa. Come a Hildesheim, popolosa città della Bassa Sassonia, dove le vittime
furono oltre 200. «I prigionieri» vennero radunati in una baracca, i nazisti li
interrogarono e li malmenarono, dopo di che scegliettero i condannati
all’impiccagione, che a gruppi di tre o quattro, vennero fatti salire su un tavolo. I
carnefici posero loro il cappio intorno al collo, e altri rovesciarono quel tavolo su
cui le vittime stavano ritte, le mani legate dietro la schiena, molte con un pezzo di
legno in bocca per non gridare. Appena terminato con quel gruppo ne avanzava
un altro, mentre altri prigionieri, nell'attesa di morire, prelevavano i cadaveri, li
spogliano e li gettano in una fossa in cui si trovano già altre vittime della Gestapo
o delle ss. Il massacro durò tutta la notte, alcuni vennero uccisi anche con un
colpo di pistola alla nuca.
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La liberazione
La liberazione dei lager avvenne in tempi diversi, con l'avanzare dei fronti, già nel
1944 in Ucraina e Prussia, per lo più tra il gennaio e i primi di maggio del 1945 in
Polonia e Germania e prima ancora nei Balcani. I prigionieri vennero liberati dai
soldati alleati (o si liberarono da soli, fuggendo dai nazisti man mano che
avanzava il fronte di guerra). La liberazione fu un momento di grande gioia. Per
gli Imi significava la fine delle sofferenze e il ritorno a casa. Ma il rimpatrio non fu
immediato. La gran parte di essi, prima di potere rivedere l'Italia, dovette
attendere il proprio turno, anche a lungo. Con le fatiche e i dolori di venti mesi di
prigionia sulle spalle moltissimi non riuscirono a rientrare prima di settembre,
ottobre e anche oltre. Sulla vicenda pesarono il caos seguito alla guerra, i
problemi di organizzazione e il colpevole disinteresse mostrato dal governo
italiano. Gli Imi furono, sostanzialmente, abbandonati a se stessi. La dispersione
degli Imi liberati ritardò il loro raduno in centri di rimpatrio organizzato.
Parecchi tentarono di raggiungere l'Italia per proprio conto. A complicare le cose,
oltre al gran numero, era anche il particolare stato giuridico degli Imi, ignorati
dalla Croce rossa, classificati dagli inglesi come "displaced persons" (Dp,
profughi, apolidi) e dagli americani come "prisoners of war" (Pow), prigionieri di
guerra. Nell'estate del 1945 le vie e i mezzi di comunicazione erano ingolfati da
milioni di soldati vittoriosi e sconfitti, ex prigionieri e profughi tedeschi e di tutte
le nazioni, che si incrociavano da tutte le direzioni cardinali, con ponti di fortuna,
ferrovie malridotte, ingorghi stradali, carenze di mezzi di trasporto. L'Italia,
combinata com'era all`indomani del 25 aprile, non poteva fare molto, e fece
ancora meno, per recuperare quel 'milione' (come lo valutavano allora) di ex
internati… Il rimpatrio si svolse soprattutto nell'estate e nell'autunno 1945, da
Germania, Francia, Balcani e Russia. Quello dalla Germania fu particolarmente
caotico e presentò ritardi per ingolfamenti e scarse sollecitazioni delle nostre
autorità. Nessun rappresentante ufficiale del nostro governo si presentò nei
nostri lager liberati. Dunque, nessun palese interesse dell'Italia, e i "liberatori"
alleati si meravigliavano di non vedere commissioni italiane tra le molte straniere
in visita ai campi liberati. Il rimpatrio, nella maggior parte dei casi, fu gestito dagli
angloamericani e avvenne su camion o via treno, lungo percorsi spesso tortuosi e
accidentati. Varcato il confine, gli Imi provenienti dalle regioni del Reich venivano
solitamente dirottati verso Pescantina, nel veronese, dove era stato istituito un
centro di smistamento e accoglienza, e dove si organizzavano i trasporti verso le
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destinazioni interne al paese. Nella sostanza, nel caos dell'Italia del primo
dopoguerra, la tragica vicenda degli Imi fu presto dimenticata. Di loro non si
occupò e non parlò nessuno, istituzioni comprese, come se non fossero neppure
esistiti. Sugli altari finirono i partigiani, i protagonisti della Resistenza in armi, ma
la resistenza attiva degli ex internati, che pagarono il loro «no» al fascismo con
venti mesi di durissima prigionia, non venne riconosciuta. All`indifferenza che li
aveva accolti in patria gli Imi stessi risposero con il silenzio, facendo scattare un
vero e proprio meccanismo di rimozione della realtà, come se quello che era
successo, fosse capitato a qualcun altro. Dal loro esilio volontario e da una
resistenza attiva, anche se disarmata, dispersi al loro arrivo in Italia e
politicamente non organizzati essi furono accolti nel 1945 con indifferenza e
diffidenza, se non con ostilità, da un popolo che non voleva più sentir parlare di
guerra e stava in bilico tra il post-‐fascismo della Resistenza, prerogativa dei
partigiani e del Corpo di liberazione, l'anticomunismo strumentalizzato dalla
"Guerra fredda" e l'agnosticismo comodo di chi sta alla finestra.
“Gli IMI, reduci dai Lager, non si sentivano eroi perché erano tanti (anche se
individuali) e gli eroi per definizione non possono che essere pochi, ma erano fieri di
aver compiuto fino ai limiti umani il proprio dovere patriottico e umano, leali
all’Esercito, allo Stato legalitario e alla propria coscienza. Ma a guerra finita, il
rimpatrio di questa marea apolitica e traumatizzata di reduci fu accolto con gioia
da milioni di mamme, spose, fidanzate, parenti e amici e con imbarazzo generale
dagli italiani: con diffidenza dai politici (fascisti e antifascisti, monarchici e
repubblicani, resistenti, dissidenti e attendisti, socialcomunisti e laico/cristiani) e
con diffidenza e apprensione dalle autorità, tanto più che gli IMI, per venti mesi,
erano stati camuffati dalla propaganda repubblichina come ”collaboratori” e,
dall’agosto 1944, come “lavoratori liberi” volontari!”
Com’erano visti dunque gli IMI? Per i tedeschi e gl’italiani, nei lager e dopo i
lager, gli IMI erano un rebus di difficile soluzione: di fronte ai tedeschi si
dichiaravano “soldati leali di Sua Maestà il Re d’Italia” e ripudiavano
coraggiosamente la loro gioventù fascista, ma in cuor loro, soprattutto i più
giovani, dopo l’abbandono sabaudo/badogliano dell’“8 settembre”, covavano
risentimenti verso la monarchia e segrete simpatie repubblicane!
Il ritorno degli IMI si svolse quindi nella generale incomprensione, diffidenza e
disinteresse degli italiani, freschi di venti mesi di propaganda repubblichina che
camuffava gli IMI da collaboratori!
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“Ma chi sono mai? – si chiedeva il governo – fascisti… comunisti… gli avranno
lavato il cervello… forse saranno da rieducare… e magari sono anche repubblicani…
e come voteranno?” – in una monarchia traballante che li aveva inguaiati l’ 8
settembre”! – “E che cosa mai rivendicheranno? Ma, insomma… chi gliel’ha fatto
fare di non firmare… di non voler lavorare… almeno mangiavano!”.
Così il governo non sollecitò il rimpatrio dei suoi prigionieri (o addirittura lo
ritardò, come per quelli dalla Romania, sospettati comunisti!), con sorpresa degli
Alleati assillati dagli altri paesi per il rimpatrio dei propri concittadini. Il
rimpatrio degli IMI si svolse un po’ alla spicciolata, per i meno distanti dalla
frontiera e, per gli altri, grazie alla Pontificia Commissione di Assistenza.
Poi gli IMI erano troppi, concorrenti privilegiati nel mercato del lavoro in
un’Italia collassata, piena di disoccupati e si sommavano agli altrettanti ex
prigionieri degli Alleati: erano apolitici e non interessavano i politici, per i media
non facevano notizia come i partigiani, l’olocausto e l’ARMIR, la scuola li ignorava
perché nessuno gliene parlava e l’insegnamento della storia si fermava alla
Grande Guerra, evitando il “ventennio” imbarazzante e infine, la gente, dopo anni
di guerra, non voleva confronti e rievocare tristezze!
Ma allora gli italiani non avevano capito nulla del perché e del duro prezzo dell’
“altra resistenza”! E se quella marea di 700.000 “NO!” fosse stata invece di
700.000 “SI” dando, fin dall’ “8 settembre, il sostegno politico e militare a Hitler e
a Mussolini, quanti sarebbero stati i partigiani, con quali armi, addestrati da chi e
con quali prospettive? Gli Alleati avrebbero vinto lo stesso la guerra, ma che
storia si sarebbe scritta con un’avanzata alleata rallentata, dando per esempio
fiato ai tedeschi nella corsa alle armi missilistiche e atomiche?
I pregiudizi degli italiani offesero e avvilirono gli IMI che finirono, già
traumatizzati dai Lager, a ghettizzarsi tra loro, apolitici ma antifascisti, a
rimuovere la memoria del Lager e della loro scelta, buona o meno buona e forse
inutile ed a chiudersi in sé stessi, anche in famiglia!
Così la storia degli IMI fu psicologicamente, politicamente e colpevolmente
affossata da tutti!
Delusi, gli ex internati ammutolirono, chi per decenni e chi per sempre, rimossero
il "trauma del reticolato" convinti quasi dell`inutilità del sacrificio loro e dei
caduti. Del resto i nazisti l'avevano previsto : "Se mai uno di voi sopravviverà,
qualunque cosa dirà , non gli crederanno". E non parlando gli internati, gli 'altri' li
ignorarono: la stampa, l'opinione pubblica, la scuola, la generazione dei figli. Le
ragioni che precipitarono questa vicenda nell'oblio furono molteplici. Nella
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politica i diversi schieramenti in campo esaltarono (giustamente, ma anche
appropriandosene per il proprio interesse) i meriti della lotta partigiana, quella
con le armi, e il molo decisivo dei liberatori americani. Degli Imi, questo magma
così composito di vite sperse, nessuno sapeva bene cosa farne, dove collocarli
politicamente. Non solo, gli internati militari, nonostante il sacrificio personale e
il fatto che fossero, nella stragrande maggioranza, dei «ragazzotti» trascinati loro
malgrado in una guerra che non avrebbero voluto combattere, rappresentavano
il passato, l'ombra lunga del regime che si stendeva sulla nuova Italia. Gli Imi
erano infatti i resti dell'esercito, prima protagonista e poi vittima della guerra
fascista. Metterli al centro della scena avrebbe implicato una piena assunzione,
nell`identità nazionale, del peso della guerra fascista e della quasi totale
acquiescenza con la quale era stata portata avanti, senza entusiasmo, ma
nemmeno senza apprezzabili forme di dissociazione, fino al disastro finale, ai
bombardamenti, alla fame, all'8 settembre.
Sono queste, probabilmente, le ragioni di fondo per cui per decenni gli internati
militari hanno fruito, tutt'al più, dello status di “assenti giustificati" o di
protagonisti di una “resistenza passiva". L'enorme massa dei reduci è prima di
tutto una massa di ex combattenti e, soprattutto, nel biennio 1943-‐45, di non
combattenti. Nella guerra cui l'antifascismo militante ha affidato la rinascita
morale e politica della nazione -‐ guerra anche civile, di valori di civiltà, armata e
sanguinosa -‐ i militari internati non ci sono. L'oblio è durato a lungo, gli studiosi
hanno cominciato ad occuparsi degli Imi solo dalla metà degli anni Ottanta: tardi,
ma forse ancora in tempo per far conoscere questa pagina di storia e rendere il
giusto omaggio ai «600 mila» che, con il loro sacrificio, contribuirono a portare la
libertà e la democrazia nel nostro paese. Fu un vero atto di resistenza.
Il segretario del partito comunista Alessandro Natta, ex internato, parlò di “altra
resistenza” ma il suo libro fu rifiutato nel 1954 e pubblicato solo quarantadue
anni dopo da Einaudi, che contribuì al riscatto dell’Italia e degli italiani verso la
democrazia e la libertà.
L’esperienza dei lager riguardò (e segnò) anche alcuni tra i più importanti
esponenti della cultura, dell’arte, della politica e delle professioni del dopoguerra,
di cui nel libro sono contenuti diversi scritti inediti dell’epoca (come l’attore
Gianrico Tedeschi, i senatori Paolo Desana e Carmelo Santalco, lo storico Vittorio
Emanuele Giuntella, il manager d’industria Silvio Golzio, l’intellettuale cattolico
Giuseppe Lazzati, il pittore Antonio Martinetti, il caricaturista Giuseppe Novello,
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il filosofo Enzo Paci, il musicista Mario Pozzi, gli scrittori Roberto Rebora, Mario
Rigoni Stern e Giovannino Guareschi)
La rimozione degli IMI e la memoria storica
Come si è detto, il 90% degli IMI rimosse dal 1946, anche in famiglia e con gli
amici, la memoria traumatica dei Lager, per di più complessata dal dubbio di una
scelta continua, a conti fatti forse inutile o sbagliata! Alcune migliaia di diari
clandestini, annotati nei Lager, per lo più da ufficiali e a futura memoria di una
storia altrimenti incredibile e rischiosamente salvati in Italia, finirono al macero
o sbiadirono nei cassetti dei ricordi, rifiutati dall’editoria commerciale. Se si
prescinde dai bestseller autobiografici di Giovannino Guareschi e di Primo Levi e
di quelli antologici di Giulio Bedeschi, offerti in libreria ad un vasto pubblico, nel
dopo guerra sono stati pubblicati, per lo più tardi, in proprio e fuori commercio,
non più di 500 memoriali e antologie, con tirature modeste (300-‐2000 copie per
titolo). Con poco più di 300 saggi storici, si raggiunge una tiratura complessiva, di
pubblicazioni sugli IMI, inferiore al numero dei reduci: meno d’un libro a testa e
non è detto poi lo leggessero!
“Negli ultimi vent’anni, per il tempo libero dei protagonisti ormai pensionati, la
riscoperta dei Lager, dagli anni ’80, dagli storici italiani e tedeschi e dai media, il
battage popolare del “caso Leopoli” (1988), le celebrazioni pluri decennali e le
testimonianze degli ultimi superstiti nelle scuole e nelle “giornate della memoria”,
sono riaffiorati o rielaborati dai dimenticatoi svariati memoriali, ma sempre di
difficile pubblicazione per la mancanza di lettori interessati. Purtroppo gli archivi
istituzionali, trascurati a memoria fresca, sono ancora oggi, colpevolmente e
irrimediabilmente poveri e lacunosi.
Questa è la storia ignorata degli IMI, schiavi di Hitler”, “traditi, disprezzati,
dimenticati…” come li definì lo storico tedesco Gerhard Schreiber e vittime di una
beffa (annunciata) della repubblica Federale Tedesca! Questa, infatti, dopo avere
illuso gli IMI, invitandoli a presentare domanda di indennizzo come “schiavi di
Hitler” e che nessun risarcimento potrà mai saldare, poi li discrimina
pretestuosamente, riclassificandoli “prigionieri di guerra”, obbligati dalle
Convenzioni a lavorare, sorvolando sul fatto che, a differenza degli altri prigionieri,
gli IMI, in quanto “internati” non godevano di tutela e assistenza internazionale,
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dissociando lo stato tedesco dalle violazioni dei diritti umani di Hitler, giudicato
criminale di guerra.
Gli IMI sono pure ignorati se non osteggiati dallo stato italiano, salvo tardivi
attestati di benemerenza, rare formali rievocazioni ed inevase proposte di
cavalierati ed oboli una tantum agli ormai meno di 90.000 reduci ultra ottantenni
ancora (per poco) viventi! Ma i pochi IMI, schiavi di Hitler superstiti dai KZ,
vengono sistematicamente esclusi dai relativi benefici di legge italiani e non difesi
dalla Germania che li beffa. Infine, i contributi alle associazioni combattentistiche,
forse perché antifasciste, sono stati vistosamente tagliati, accelerandone la
chiusura.
Gli IMI, col loro NO individuale e corale, fin dall’8 settembre, scagliarono contro gli
invasori tedeschi il primo sasso della Resistenza, presto seguito da quella armata
dalla Corsica a Roma, a Cefalonia e nelle altre isole greche e nei Balcani ed infine a
quella partigiana. L’8 settembre non c’erano ancora in piazza Mussolini, la
repubblica di Salò e i neofascisti: la Resistenza si svolse come lotta di liberazione e,
solo in un secondo tempo e marginalmente, anche come guerra civile coi
repubblichini, vassalli fiancheggiatori dei tedeschi!”
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CRONOLOGIA
1929
• Convenzione di Ginevra sui ”prigionieri di guerra”, tutelati da un paese
neutrale, assistiti dalla Croce Rossa Int., col lavoro obbligatorio ma
retribuito dei soldati, ma non al fronte o in industrie belliche. Co-‐
nvenzione non firmata dalla Russia, largamente disattesa dalla
Germania (come nel caso degli IMI) e spesso anche dagli Alleati.
1933
• Hitler sale al potere (col 31-‐44 % dei voti all’SNDAP (il partito nazista)
ed è nominato Cancelliere del Reich.
• 20 mar. – Apertura del primo Lager a Dachau (Monaco), destinato agli
oppositori – Istituzione della Gestapo (polizia politica) e del Tribunale
Speciale. – “Rogo dei libri” non graditi.
• Creata l’Organizzazione Todt (O.T.) per lavori pubblici e poi militari,
con volontari tedeschi in un primo tempom poi anche stranieri
volontari o obbligati, Nel 1944 conterà 1,5 milioni di Arbeiter Sklave
(anche italiani civili) e P.O.W e 20.000 deportati, anche IMI, dai Lager
1934
• I campi di concentramento passano sotto il controllo delle SS.
1936
• ”Asse Roma-‐Berlino”– Guerra civile di Spagna con partecipazione di
Italia e Germania (alleati dei falangisti di Franco) e di volontari
internazionali (perlopiù comunisti, alleati dei repubblicani) – (mar.
1936 / mar. 1939).
1938
• mar. – Il Reich annette l’Austria (Anschluss).
• 29 set. – “Conferenza di Monaco”. Il Reich annette i Sudeti e il resto
della Cecoslovacchia
• 1 set. – “Leggi razziali” italiane
• 11 nov. – Grande pogrom in tutto il Reich e prima deportazione di
massa dei primi 10.000 ebrei tedeschi.
1939
• 6 apr. – L’Italia invade l’Albania
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• 22 mag. – Firma del Patto d’Acciaio tra Italia e Germania.
• 15 lug. – Accordo italo-‐tedesco sull’Alto Adige: i cittadini di lingua
tedesca hanno tre anni di tempo per trasferirsi in Germania.
• 1 set. – L’invasione lampo (Blitzkrieg) tedesca della Polonia scatena il
II° Conflitto Mondiale. L’Italia dichiara la “non belligeranza”.
• 30 nov. 1939 – 12 mar. 1940 – Guerra di Finlandia / Russia
1940
• – Occupazione tedesca della Norvegia. e degli stati neutrali di Belgio,
Olanda e Lussemburgo
• 10 giu. – L’Italia si schiera in guerra con la Germania nazista controlla
Gran Bretagna e alla Francia (che firmerà l’Armistizio con l’Italia, il 24
giu.).
• 27 set. – Firma del Patto Tripartito fra Italia, Germania e Giappone.
1941
• 22 giu. – Il Reich apre il fronte russo con l’appoggio dei rumeni,
ungheresi, italiani, finlandesi, slovacchi e
• spagnoli.
• 7 dic. – Attacco giapponese di sorpresa a Pearl Harbour. Inizia la guerra
americana del Pacifico.
• 28 ott. – Attacco fallimentare italiano alla Grecia. Le truppe italiane
ripiegano in Albania.
• 7 dic. – Decreto tedesco ”Nacht und Nebel” per la deportazione, anche
senza riscontri burocratici (= sparizione nella ”notte e nella nebbia”!)
dei sospettati d’attività sovversive o di spionaggio o boicottaggio.
• 11 dic. – La Germania dichiara guerra agli USA.
1942
• 20 feb. – Operazione Kñgel (“pallottola”) che autorizza l’uccisione,
senza processo degli evasi e oppositori.
• 23 ott./4 nov. – 3a battaglia di El Alamein. L’8a Armata inglese
travolge italiani e tedeschi.
1943
• gennaio – Si conclude drammaticamente la ritirata di Russia
dell’ARMIR: per l’Italia è il principio della fine, con 80.000 morti,
dispersi e prigionieri.
• 31 gen./ 2 feb. – Resa dei tedeschi a Stalingrado.
25
• 9 mag. – Hitler ordina il piano per una futura occupazione dell’Italia,
alla prima occasione.
• 12 maggio – Si completa in Tunisia la conquista alleata del Nord Africa.
• 10 giugno – Sbarco alleato a Lampedusa, Linosa e Pantelleria.
• 10 luglio – Sbarco alleato in Sicilia
• 25 luglio – Caduta del fascismo e arresto di Mussolini. Governo
repressivo non democratico di Badoglio: sciolti il Partito Fascista e il
Tribunale Speciale, vietati i partiti politici, le riunioni e gli scioperi,
mantenute le leggi razziali. Liberati i detenuti politici fuorché i
comunisti. “La guerra continua!”, ma i tedeschi iniziano a calare altre 15
divisioni in Italia, in aggiunta alle 3 preesistenti
• 3 settembre – Firma dell’armistizio segreto tra Italia e alleati. Il patto
iniziale prevedeva che l’Italia doveva arrendersi senza condizioni,
assumendo il ruolo di cobelligerante, una sorta di alleata di serie “B”.
• 8 settembre – Proclamazione dell’Armistizio segreto Italia /Alleati.
Scatta l’operazione tedesca “Asse” per la deportazione dell’Esercito
Italiano nel Reich come forza combattente o di lavoro secondo i piani
del 9 maggio.
• 9 settembre – Fuga del Re, Badoglio e Alti Comandi. Esercito allo
sbando, abbandonato senza piani, ordini, mezzi, collegamenti e senza
aiuti degli Alleati, alla furia tedesca – “NO!” a Hitler del 90% degli
800.000 militari italiani catturati.
• 11 settembre – Radio Brindisi precisa che i tedeschi devono essere
considerati nemici.
• 12 sett. – I tedeschi liberano Mussolini.
• 13 sett. – Badoglio ordina di attaccare i tedeschi, ma è troppo tardi. Chi
combatte contro i tedeschi è combattente di “guerra non dichiarata” ma
considerato dai tedeschi come “franco tiratore” passibile di morte
(come a Cefalonia).
• 17 sett. – Hitler considera i prigionieri italiani, con un falso storico,
come “disertori di Badoglio e soldati di Mussolini in attesa d’impiego” e li
classifica, violando la Convenzione di Ginevra (1929) sui prigionieri di
guerra, come “Internati Militari Italiani” (IMI), senza tutele, status non
applicabile ai belligeranti, in stati belligeranti!
• 21-‐25 sett. – Rappresaglia tedesca e assassinio di militari italiani
resistenti catturati nei Balcani, Egeo, Cefalonia e Corfù. Nasce la
26
Resistenza. 21.000 superstiti di truppa saranno inquadrati dai tedeschi
come prigionieri (KGF) senza tutele e ausiliari in battaglioni
militarizzati al servizio della Wehrmacht, ai fronti balcanico e russo.
• 23 settembre – Fondazione a Salò della RSI (“Repubblica Sociale
italiana)
• 7 ott. – Rivolta ed evasione in massa di ebrei dal KZ di Soribor. I
tedeschi rafforzano la sicurezza nei Lager degli IMI.
• 13 ott. – Badoglio, sollecitato da Eisenhower, dichiara guerra al Reich
e alla RSI. In conseguenza RSI costituisce un suo esercito comandato
dal Maresciallo Graziani e impostato sulle Divisioni Graziani (Italia,
Littorio, S.Marco e Monterosa) e sul. Bando Graziani per il ricupero dei
militari italiani ancora sbandati dopo l’8 settembre e dei coscritti delle
classi 1924/1926 (Leva Graziani), con minacce di morte, carcere, pene
ai parenti dei disertori e renitenti e, ciò nonostante, molte defezioni.
• 20 ott. – Apertura in Italia del KZ Risiera di San Sabba (Trieste), unico
campo di sterminio in Italia. Vi transitarono 25.000 persone, con 5.000
caduti.
• 22 ott. – Prime richieste di lavoro volontario agli ufficiali italiani.
• Fine novembre – Sospensione delle opzioni per le SS e inizio delle
opzioni per la RSI.
1944
• 5 gen. – “Frana” dell’Oflag di Biala Podlaska, ora battezzato “Campo
Graziani”, con 2450 optanti e solo 147 “NO!”.
• 30 gen. – Resa tedesca di Stalingrado,
• gennaio/maggio – Offensiva sovietica sul fronte orientale, con suo
arresto in Estonia e sui confini polacchi e romeni.
• marzo – ”Operazione “Eule” (“gufo”) di trasferimento degli IMI dalla
Polonia alla Germania, per l’avanzata dell’ Armata Rossa avvio al lavoro
degli ufficiali.
• 1 mar. – Scioperi nelle grandi città Italiane e rastrellamenti e
deportazioni in Germania.
• 11 mar. – Costituzione clandestina, allo St. 544/28 di
Magdeburgo/Lemsdorf, dell’associazione IMIG (“Internati Militari
Italiani in Germania”)
• 13 mar. – L’URSS riconosce il governo di Badoglio
• 19 mar. – La Germania occupa l’Ungheria.
27
• 28 mar. – L’Armata Rossa penetra in Romania.
• 21 apr. – L’O.K.W. sancisce che i prigionieri di guerra di Badoglio (KGF
del CIL, n.d.r.) vanno trattati come i prigionieri di guerra occidentali
(POW, n.d.r.) e separati dagli IMI nei Lager, sul lavoro e nei
trasferimenti e che il loro trattamento “deve differenziarsi in maniera
evidente da quello degli IMI, nel senso che a questi vanno assegnati gli
alloggi e i posti di lavoro meno favorevoli”. (cfr. Dok. n. 38 Z/OR , inv. N.
58 in “Arch. Commissione per i crimini di guerra in Polonia” presso “Min.
della Giustizia” in Varsavia).
• 4 giu. – Liberazione di Roma.
• 6 giu. – “D-‐day”: operazione “Overlord”, sbarco americano in
Normandia.
• 14 giu. – Comincia il bombardamento dell’Inghilterra con le V1 (armi
segrete).
• Estate / inverno – Offensiva alleata a tutto campo: liberazione del
Belgio, Romania, Bulgaria, Finlandia, Ungheria, Iugoslavia e Grecia. In
Italia dopo l’arresto dell’ avanzata alleata sulla Linea Gotica si attivano
maggiormente i partigiani e sono proclamate 17 repubbliche autonome,
ma di breve durata.
• Luglio – Battaglia di Vilno/Minsk (fronte orientale) e cattura a Vilno,
Minsk, ecc. di circa 5500 prigionieri italiani (dati per dispersi) dei
battaglioni lavoratori militarizzati della Wehrmacht, considerati loro
collaboratori ed avvio in seconda prigionia in Russia (Bielorussia,
Russia, Siberia).
• 20 lug. – Fallito attentato a Hitler a Rastenburg – Incontro
Mussolini-‐Hitler che decidono la “civilizzazione” degli IMI. – Il 21
inizia la repressione nazista ai congiurati, con 5000 giustiziati, la
Wehrmacht passa sotto il controllo delle SS, Himmler è nominato
comandante delle riserve della Wehrmacht e il saluto militare viene
sostituito da quello nazista.
• 1 ago. / 5 ott. – Insurrezione anti tedesca di Varsavia: l’Armata Rossa
sta a guardare!
• 2/19 ago. – Deportazione “politica civile”, come “nemici dell’ Europa” di
369 giovani ufficiali puniti col lavoro forzato nello Straflager /AEL di
Colonia, dipendente dal KZ di eliminazione di Buchenwald e gestito
dalla Gestapo con gursie della Wehrmacht. Tre caduti.
28
• 3 ago. – Proclamazione degli accordi Mussolini / Hitler sulla
smilitarizzazione illegale e ”civilizzazione” forzata degli Italiani.
• 18 ago. – Insurrezione e liberazione di Parigi.
• 20 ago. / 1 set.– Inizio dell’attuazione della “civilizzazione” degli IMI. In
alcuni Lager si celebra l’“apertura dei cancelli”.
• 22 ago. -‐ Liberazione di Firenze. Ritiro dei tedeschi sulla “Linea Gotica”.
• 23/31 ago. – Romania: Bucarest è liberata dall’Armata Rossa dopo
un’insurrezione popolare. Colpo di Stato filo monarchico, armistizio con
la Russia e dichiarazione di guerra alla Germania.
• 29 ago. – L’ “Armata Rossa” entra in Ungheria.
• 30 ago. – La Romania dichiara guerra alla Germania.
• 3 set. – Liberazione del Belgio
• 5/9 set. – L’URSS invade la Bulgaria che dichiara guerra alla Germania.
• 6 set. – Inizio dei bombardamenti tedeschi dell’Inghilterra con le V2.
• 15 set. – Marcia d’evacuazione, per l’avanzata alleata, dei deportati
italiani dello Straflager di Colonia, testimoni imbarazzanti di crimini
nazisti.
• ottobre – Fronte balcanico: cattura in Serbia di circa 5000 prigionieri
italiani dei battaglioni lavoratori militarizzati della Wehrmacht,
considerati collaboratori ed avviati in seconda prigionia nell’URSS
• 4 ott. – Gli Inglesi liberano la Grecia.
• 6 ott. – Inizio della demolizione delle camere a gas nei campi di
sterminio, per non lasciare prove..
• 13 ott. – Liberazione di Atene
• 21 ott. – L’armata Rossa e i “titini” liberano Belgrado. Governo di Tito.
• 23/26 ott. – Invasione sovietica dell’ Ungheria
• 18 nov. – L’esercito partigiano albanese libera Tirana.
• 16 / 24 dic. – Controffensiva alleata nelle Ardenne.
1945
• 20 gen. – Evacuazione dell’Of. 64/Z di Shokken (il “lager dei 209
generalii”) per l’avanzata dell’“Armata Rossa”, con 44 ospedalizzati e
una marcia della morte di 111 generali (con 7 caduti e 12 evasi), per
220 km verso Lukenwalde ma abbandonati dalla scorta a Wugarten.
• 27 gen. – L’Armata Rossa libera il KZ di Auschwitz e Varsavia
• 31 gen. – Ultime opzioni, tra gli IMI, per gli “ausiliari lavoratori”
29
Wehrmacht e Luftwaffe e ordine di lavoro obbligatorio per tutti gli
ufficiali internati.
• 7 mar. – Gli americani varcano il Reno.
• 13 apr. – I russi occupano Vienna.
• 25 apr. – Insurrezione generale del Nord Italia e liberazione di Milano e
Genova.
• 26 apr. – Storico incontro a Torgau, sull’Elba, tra gli Alleati da ovest e
l’Armata Rossa da est: inizia la Guerra Fredda
• 27 apr. – Cattura di Mussolini a Dongo e sua fucilazione il giorno dopo.
• 29 apr /1 mag. – Hitler sposa Eva Braun, nel bunker di Berlino e si
suicida. Gli succede l’Amm. Donitz come Cancelliere e Presidente del
Reich.
• 1 mag. – Occupazione slava di Trieste, con migliaia di infoibati tedeschi,
repubblichini e italiani, da parte dei titini, su una tradizione di
infoibamenti di partigiani italiani e slavi da parte dei nazidasxisti.
• 2 mag.1945 – I russi occupano Berlino. Resa delle forze tedesche in
Italia.
• 8mag. – Resa della Germania: fine della guerra in Europa.
• 16 ago. – Viene fondata nel campo ufficiali di GrossHesepe
un’Associazione Internati in Germania (AIG)
• 2 set. – resa incondizionata del Giappone
• 20 ott. – Inizio del Processo di Norimberga ai criminali nazisti
1946
• 20 mar. – Fine del “Processo di Norimberga”
• 2 giu. – Fine della monarchia e nascita della Repubblica Italiana
• Nasce l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci (ANCR) dalla
fusione della Associazione Nazionale Reduci (ANR) con la storica
Associazione Nazionale Combattenti (ANC).
• Dopo le sezioni provvisorie di Torino e Canelli (dal luglio/agosto 1945),
si costituisce ufficialmente l’Associazione Nazionale Ex Internsati
(ANEI) che tiene il suo primo Congresso nazionale ed è riconosciuta
come Ente Morale.
• 26 ott. – Il Corriere della Sera segnala l’eccidio di 2 IMI di Chelm (1944)
dissotterrati in fosse comuni nel bosco di Borek, battezzato dai polacchi
“la padella degli italiani” . Non fa notizia. La Magistratura polacca
30
indaga.
• Autunno – Prima segnalazione, inosservata, del caso Leopoli (v. 1966 e
1987)
1947
• 20 mar. – Fine del processo di Norimberga.
• 22 dic. – Viene votata la Costituzione italiana, democratica e
repubblicana.
1948
• Dalla contestata fusione nell’ANCR dell’ANC e ANR (v.1945), dalle
ceneri di questa ultima nasce l’Associazione Nazionale Reduci dalla
Prigionia e dalla Guerra di Liberazione (ANRP)
1961
• 2 giu. – La Germania mette a disposizione dell’Italia 61 milioni di DM
per i perseguitati dal nazismo ma la Commissione istituita nel 1963 ne
distribuirà solo 40 milioni di DM a 14.500 cittadini italiani dei 350.000
aventi diritto (dichiarazione del 23.01.1985 del Ministro del Tesoro).
Gli IMI sono praticamente esclusi!
1962
• Riaffiora il “caso Leopoli”, ritenuto a priori inattendibile dalle autorità
italiane e dall’ On. Andreotti pleer non incrinare i rapporti con la DFR
(Germania)
1964
• Ferruccio Parri riconosce, al Congresso ANEI, le incomprensioni iniziali
verso gli IMI e riafferma il valore fondamentale del “NO!” degli IMI per
la nascita della Resistenza
1977
• 24 set. – La Gazzetta Ufficiale tedesca (Bundesgesezblatt, n.64) pubblica
un elenco, non esaustivo, di 1634 campi riconosciuti come KZ e
dipendenze.
1980
• 18 nov. – Col DPR n.791 viene istituito un vitalizio (pari alla pensione
sociale, reversibile dal 1994) a favore degli ex deportati viventi, nei
campi di sterminio (KZ) per ragioni di razza, fede o ideologia (di cui
all’art. 1 del citato DPR 06.10.1963). Viene istituita presso la Presidenza
del Consiglio una apposita Commissione KZ per l’esame delle domande
del vitalizio.
31
1982
• 3 dic. – La Germania, nel Bundgesetzblatt n. 46, aggiorna l’elenco dei
campo KZ del 1977.
1984
• 4/5 ott. – Primo Convegno storico, a Mantova, sui prigioneri italiani
che affronta anche la storiografia dell’internamento fino allora affidata
alla memorialistica.
• 15 set. – I° Raduno del Gruppo Ufficiali Internati nello Straflager di
Colonia (GUISCO), che si costituirà in associazione l’8 maggio 1986, con
sede a Napoli, particolarmente attivo nel campo delle ricerche e
pubblicazioni sull’ ”internamento” e valorizzazione del ruolo degli IMI.
1985
• 14/15 nov. – Primo Convegno storico specifico sull’internamento:
ANEI Firenze, 14-‐15 nov., “I Militari Italiani Internati, ecc.”
1987
• Riscoppia il ”caso Leopoli!”, già affossato nel 1962. Dopo un nuovo
tentativo di insabbiamento, indaga una Commissione del Min.Difesa e
Procura Mil. con una relazione di maggioranza contestata da una di
minoranza,
1988
• Scoppia il “caso Deblin” con un supposto non dimostrato eccidio di IMI
nel 1944.
• 15 set. – GUISCO: Convegno storico di Napoli, “Schiavi allo sbaraglio” .
1990
• Abbattimento del “Muro di Berlino”, fine della “guerra fredda” e
autocritica dei post comunisti.
1991
• Lo storico tedesco Gerhard Schreiber pubblica in Germania, dopo una
ricerca archivistica ventennale, l’opera “Die italienische
Militarinternierten ecc.” fondamentale per la storiografia degli IMI e che
verrà ripubblicata dallo SME, in italiano, nel 1992.
1992
• Apertura degli archivi russi (del KGB, ex NKVD), con gli elenchi dei
prigionieri rimpatriati (20.000) e dei deceduti (40.000), nei Gulag
dell’ARMIR e degli ex prigionieri italiani dei tedeschi superstiti
(11.000) e deceduti nei Gulag (1000) catturati nel 1944 sui fronti
32
orientale e balcanico
1994
• Col “Polo” di Silvio Berlusconi, riemergono al governo gli eredi
nostalgici del fascismo e, con ipocrisia e retorica, si comincerà a parlare
di ”colpi di spugna”, dimenticare, pacificazione, perdono, uguaglianza dei
morti (anche se da vivi erano diversi), rivalutazione dei “ragazzi di Salò”
e delle “due patrie”, ma anche di “Mussolini, il più grande statista del
secolo!”,“il fascismo è morto con Mussolini, l’antifascismo non ha senso”,
onoriamo allo stesso modo gli IMI e i “ragazzi di Salò”, ecc.! Ma
riaffiorano anche rigurgiti razzisti, neo nazisti e neo fascisti!
1998
• 14 gen. – La Corte dei Conti, a sezioni riunite (sentenza n.6/98/QM)
definiva la qualificazione dei campi KZ, fino allora vaga e controversa,
annullando numerosi rigetti della Commissione KZ. 2000
• 30 lug. – Con la legge n. 177 (GU 31.07.2000) viene istituito il “Giorno
della Memoria” “in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del
popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.
Sarà celebrato particolarmente nelle scuole.
1999–2004
• Gli IMI sono nuovamente beffati dalla Germania, che dal 17 set. 1943 li
aveva declassati da KGF (prigionieri) a IMI (internati) e dopo averli
imvitati a presentare, entro il 31 dic. 2001, all’ OIM domanda
d’indennizzo, pretestuosamente li riclassifica “prigionieri di guerra” non
risarcibili come “schiavi di Hitler”, dalla Fondazione “Memoria,
Responsabilità e Futuro” (G.U. I p.1263, 2 ago. 2000). Gli abusi nazisti
sugli IMI, sono riconosciuti deprecabili ma non mutano il loro status
burocratico di prigionieri e civilizzati, discriminando tra l’altro, gli
italiani dagli ex prigionieri polacchi.
2004
• mar. – La Suprema Corte di Cassazione italiana ammette cause di
risarcimento danno davanti ai Tribunali italiani, non riconoscendo
l’immunità dello Stato Tedesco
• 28 giu.– La Corte Costituzionale Federale tedesca conferma che gli IMI
sono prigionieri di guerra, anche se civilizzati nel 1944 e rigetta il
ricorso costituzionale dell’ANRP (con altri 942 ricorrenti)
• 9 set. – Sentenza del Tribunale Amministrativo di Berlino che respinge,
33
ecc. ecc.
2005
• 30 mar. – Ultimo termine per gli IMI (respinti al 31 dic. 2004) per
ricorrere... La beffa della Germania continua.
2006
• Riconoscimento Medaglia d’onore ad ex internati -‐ Legge 27 dicembre
2006, n. 296
2008
• 5 Giugno -‐ La Cassazione a Sezioni Unite rende giustizia agli italiani
(militari e civili) deportati e internati dai nazisti dopo l’8 settembre
1943, ritenendo "l'assoggettamento di quegli uomini al lavoro forzato”
un crimine contro l'umanità.
2009
• Marzo -‐ Viene istituita una commissione formata da storici italiani e
tedeschi con lo scopo di approfondire sul passato di guerra italo-‐
tedesco e in particolare sugli Internati Militari Italiani, come contributo
alla costruzione di una comune cultura della memoria.
2011
• 12 Aprile -‐ La corte d'appello di Firenze ha condannato la Germania a
risarcire un ex deportato italiano per i danni subiti
34
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