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Capitolo 1: L’archeologia dei paesaggi.
“…Ci sono almeno tre categorie di paesaggi: uno del passato; uno del presente che
sta ingiallendo; e uno del sogno…” (P.P.Pasolini)
1.1 Cos’è il paesaggio?
L’archeologia dei paesaggi è quella disciplina che tenta di ricostruire i paesaggi del
passato e il loro stratificarsi, a seconda del periodo storico.
Viene a questo punto doveroso domandarsi che cosa si voglia, o si possa,
intendere con il termine paesaggio. È questo un dibattito assai acceso, che inizia
dall’accezione del termine e passa alla funzione che gli si vuole attribuire.
Quando si parla di paesaggio, generalmente si intende quella porzione di territorio
racchiusa dallo sguardo dell’osservatore. L’idea di paesaggio risulta definita nell’oggettività
dei caratteri fisici del territorio e nella soggettività dei modi con cui tali caratteri vengono
recepiti, in relazione alle differenti articolazioni culturali.1 Da questo nasce l’ambiguità di
1 Cfr. M. Venturi Ferriolo: Etiche del paesaggio relazionato, nell’ambito del convegno La morte del paesaggio naturale, Bologna, 24-29 giugno 2002
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riconoscere il paesaggio nel suo valore estetico, svincolato dal territorio e dalle ragioni
(politiche, economiche, sociali e storiche), che ne hanno determinato il suo particolare
assetto fisico. Vi è un’innegabile necessità di definire il paesaggio, partendo da come è
stato definito nella Conferenza di Rio nel 1992:
«Area problematica dei luoghi plurali della terra, in cui si concentrano la crescente
omologazione tecnica e l’evoluzione naturale e genetica».
Questa definizione attribuisce al paesaggio un ruolo fondamentale “in quanto fattore
di equilibrio tra patrimonio naturale e culturale, riflesso dell’identità e della diversità
europea risorsa economica creatrice di posti di lavoro e legata allo sviluppo di un turismo
sostenibile”.
Ecco come viene sancito successivamente dalla Convenzione Europea del
paesaggio2:
«”Landscape” means an area, as perceived by people, whose character is the result
of the action and interaction of natural and/or human factors (Convenzione europea del
paesaggio, versione ufficiale in inglese del Consiglio d'Europa, Articolo 1) ». ("Paesaggio"
designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle persone, il cui
carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni).
Il paesaggio è oggi visto secondo una percezione dinamica, frutto delle
trasformazioni antropiche; lo si identifica come bene culturale a carattere identitario.
2 La convenzione europea del paesaggio è stata stipulata fra gli stati membri dell’Unione Europea il 20 ottobre 2000; offre la definizione di paesaggio, dispone provvedimenti in tema di riconoscimento e tutela, viene riconosciuta la sua importanza culturale, sociale, storica e ambientale.
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Ma non è sempre stato così: nella costituzione dell’idea moderna di paesaggio
esiste una forte relazione tra idea di paesaggio e le sue immagini. Giorgio Bertone ha
scritto: «L’idea di paesaggio in Occidente nasce e si mantiene legata all’esperienza
culturale di vedere qualcosa non direttamente, ma con la mediazione di una cornice, vera
o finta»3. Da qui le due principali forme di rappresentazione: quella pittoresca (dalla veduta
pittorica alla fotografia) e quella topografica (dalla cartografia all’aerofotogrammetria).
La percezione del paesaggio e il modo di rappresentarlo o descriverlo, ha avuto
successioni non troppo dissimili fra le varie età storiche: in epoca romana era più legata al
concetto di mirabilia oppure alla utilitas. Per il primo caso non possiamo dimenticare Tito
Livio4, che nel descrivere i laghi presso Mantova, paragona il loro colore a quello del
sangue. Per quanto riguarda l’utilitas, possiamo ricordare autori latini come Polibio5 o
Strabone6 che nel commentare la pianura Padana ne sottolineano, oltre alla vastità, la
grande ubertosità. È quindi un’ottica opportunistica, che si concentra sulle fertili pianure,
tralasciando i rilievi; vi è anche un interesse per le acque, prettamente economico, in
quanto viste come un rapido ed economico mezzo di trasporto. In questa visione, il
paesaggio diventa un interlocutore con cui confrontarsi nel momento in cui si devono
progettare e costruire infrastrutture: avveniva un’interazione dialettica tra dato naturale e
dato antropico.
Nelle epoche successive, la vera novità nella rappresentazione del paesaggio sta
nella scoperta della prospettiva e del maggior dettaglio: da Giotto a Leonardo si è passati
da una pars pro toto ad uno studio dettagliato del particolare attraverso l’aria e la luce, ma
il significato recondito non mutava rispetto a quella meraviglia che rimarrà nella pittura
occidentale per molti secoli ancora. 3 G. Bertone, Lo sguardo escluso. L’idea di paesaggio nella letteratura occidentale, Interlinea, Novara, 2000. 4 Cfr. Tito Livio, Ab urbe condita, XXIV,10. 5 Cfr. Polibio, Storie, II 14,7 e 15,1-7. 6 Cfr. Strabone, Geografia, V, 1, 12, c218.
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Spostandoci in ambito geografico, la figura di riferimento è Alexandrer von
Humboldt, una delle figure decisive per la formulazione del moderno concetto di
paesaggio. Nel suo diario del viaggio compiuto ad inizio Ottocento in Sudamerica7, vi sono
accenni di un interessamento alla geografia, alla zoologia, alla botanica, alla geologia. La
descrizione del mondo fisico fa ancora ricorso all’estetica, ma l’immagine pittoresca, quella
geografica e quella geometrica tendono a sovrapporsi; pittoresco e scienza quindi
coesistono. Von Humboldt chiamò "paesaggi" degli insiemi di elementi naturali e umani
comprendenti terre, acque, piante e animali, intuendo la presenza di una "logica" che ne
sottendeva l'organizzazione, i legami reciproci ed il perenne divenire.
Un altro importante resoconto di viaggio è quello di Claude Lévi-Strauss, che in
“Tristi Tropici” sancisce l’addio allo sguardo sul paesaggio, a favore di un discorso
sull’invisibile. Scrive: «Fra qualche secolo, in questo stesso luogo, un altro esploratore
altrettanto disperato, piangerà la sparizione di ciò che avrei potuto vedere e che mi è
sfuggito. Vittima di una doppia incapacità, tutto quel che vedo mi ferisce, e senza tregua
mi rimprovero di non guardare abbastanza .8 È come se il viaggio attraverso la
rappresentazione del paesaggio si concludesse con l’attestazione di cecità.
Vale la pena a questo punto fare una distinzione fra paesaggio, ambiente e
territorio. Il paesaggio dovrebbe suggerire dei minimi comuni denominatori di omogeneità
quali i fattori naturali, anche fra aree geograficamente separate; l’ambiente indicherebbe la
presenza di fattori naturali e antropici, strettamente correlati per intrinseche caratteristiche
e con limiti spaziali ben definiti; il territorio sarebbe invece il risultato di una particolare e
7 A.von Humboldt, Voyage aux régions équinoxiales du Nouveau Continent. 8 C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, Milano: Il Saggiatore, 1960; n. ed. Mondadori, Milano, 1988
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stretta dialettica all’interno dell’ambiente, ma è anche un’area più o meno ampia, afferente,
dal punto di vista amministrativo e giuridico, a un centro direzionale.9
Non dobbiamo dimenticarci delle diverse concezioni del termine paesaggio secondo
il taglio specifico delle diverse analisi.
Paesaggio come immagine artistica, legato alla percezione visiva diretta, di chiaro
stampo estetico.
Paesaggio come fattore fisico, che interviene nell’evoluzione delle proprie forme
precipue.
Paesaggio antropico, dimensione organizzata del territorio nel passato, presente e
futuro, riflesso di coloro che vi vivono.
Paesaggio come risorsa estetica, che favorisce una migliore qualità della vita.
Paesaggio come ecologia, cioè l’insieme delle componenti fisiche e biotiche, causa
e conseguenza delle molteplicità dei processi ecologici, che condizionano le parti
costituenti il paesaggio stesso.
Paesaggio del diritto, con tutte le disquisizioni che ne possono derivare.
Paesaggio economico, come oggetto di sfruttamento, ma anche di tutela.
Paesaggi architettonico, come oggetto da progettare, costruire, pianificare.
Ai giorni nostri i criteri di approccio e lettura del territorio risultano del tutto
rivoluzionati rispetto all’hic et nunc dei secoli passati: si è capovolto il processo conoscitivo
antico, che presupponeva realtà tangibili per ricavarne codici di lettura. Odiernamente si
preferisce il codice, per ottenere in un secondo momento concreti riscontri sul terreno.
Ma il nostro obiettivo è comprendere l’oggetto di studio dell’archeologia del
paesaggio, il quale, può essere identificato come il punto d’incontro fra questa materia e 9G. Rosada, Linee preliminari per lo studio della topografia antica, Aa 2004-05
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l’archeologia stratigrafica: gli attori che intervengono in un ambito a piccola scala, ad
esempio la costruzione di muri, buche, le cui azioni vengono definite Unità stratigrafiche,
su una scala più ampia sono gli stessi attori che recinsero campi, costruirono case, villaggi
e città, cioè compirono quei gesti che possono essere definiti come Unità topografiche.
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Capitolo 2: Breve storia degli studi ragionata.
Fatto un rapido excursus sul significato di paesaggio, è doveroso a questo punto
entrare nel vivo della materia. Il mio obiettivo sarà quello di tracciare delle metodologie
operative che nel corso dei secoli si sono succedute e che possono essermi d’aiuto.
Anche se non si può parlare di archeologia dei paesaggi andando troppo indietro nel
tempo, è comunque importante ravvisare dei metodi d’approccio ai paesaggi antichi, che
sono presenti nel percorso della storia dell’uomo.
2.1 Dall’Umanesimo all’Illuminismo: il paesaggio in rovine.
Il paesaggio in rovine, da sempre noto nello scenario dell’uomo, ha trovato
nell’Umanesimo la sua prima definizione e rappresentazione: i molti dipinti o disegni
raffiguranti resti romani. Tra i primi autori di questo genere possiamo ricordare il Vasari,
Michelangelo e gli allievi della scuola del Ghirlandaio.
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La visibilità dei singoli monumenti era data dalla vicinanza ai tracciati viari, che
insistevano ancora in larga misura, come del resto accade tutt’oggi, sulla rete stradale
romana, in quanto si è notato che la prospettiva dei vari disegni era generata dall’asse del
percorso dei viaggiatori antichi. L’interesse primo di Michelangelo e del Vasari era lo
studio delle tecniche architettoniche romane; quando, qualche tempo dopo, alla
rappresentazione delle strutture cominciarono a sovrapporsi edere ed acanti in quantità,
l’interpretazione storica del paesaggio in rovine cominciò a eclissarsi e la visione
prevalentemente estetica ebbe il sopravvento10.
Era iniziata l’epoca dei Grand Tour, il viaggio era divenuto necessario alla
formazione dei rampolli dell’aristocrazia europea. Tra questi possiamo ricordare i francesi
che fondarono nella seconda metà del Seicento l’Accademia di Francia. Essi, fra i quali il
più famoso fu Montaigne, continuarono gli studi architettonici di Michelangelo.
È giunto ora il momento di parlare dei voyage pittoresque dell’abate di Saint-Non11,
resoconto di un viaggio svolto nel Mezzogiorno a metà Settecento; con il contributo di
illuminati disegnatori tracciò il rilievo dell’impianto urbanistico di Metaponto, basandosi
sulla diversa crescita del grano. Ciò era già stato teorizzato da W.Camden nel primo
Seicento e messo in pratica un secolo dopo dalla Society of Antiquaries. Si erano poste le
basi per la moderna foto interpretazione tramite delle sperimentali tecniche interpretive di
crop-marks.
Nel Seicento e nel Settecento possiamo quindi trovare un insieme vario di
componenti nella ricerca, ma in fase embrionale: dall’antiquaria all’etnografia, fondamenti
dell’archeologia illuminista.
10 F. Cambi, N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, Roma, NIS, 1994 11 J.C.R. de Saint-Non, Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile. 1782
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2.2 Dall’Ottocento al fascismo: la cartografia.
L’archeologia del paesaggio vera e propria ha avuto natali in Gran Bretagna, dove
la ricchezza di documentazione nelle campagne, ha sempre attirato nuovi studi territoriali,
riguardanti i vari insediamenti e il loro rapporto con il terreno che li circondava. In Italia
questa branca dell'archeologia ha avuto uno sviluppo tardo, dovuto alla ricchezza dei
materiali di epoca classica, che ha fatto sì che lo studio dell'arte, della topografia,
dell'urbanistica e dell'architettura del suddetto periodo occupasse la maggior parte delle
strutture burocratiche e della ricerca.
I primi tentativi di costituire una carta archeologica risalgono alla prima metà del XIX
secolo e si devono a studiosi come O. Gerhard12 ed E. Westphal13; l’interesse centrale era
per la ricostruzione del paesaggio antico, basato sulla raffigurazione di monumenti, strade,
confini e opere idriche. Questi tentativi si instaurano come prosecuzione della grande
cartografia di XVII e XVIII secolo.
Nella seconda metà dell’Ottocento, nel clima di tensione e coscienza civile seguito
all’Unità, nasce il progetto della Carta archeologica d’Italia, per la quale i promotori, G.F.
Gamurrini14, A.Cozza e A.Pasqui15, prevedevano una restituzione grafica di 1:50.000, in
cui erano presenti tutte le testimonianze rinvenute sul suolo italiano. Ne furono pubblicati
soltanto due volumi relativi all’Etruria, alla Sabina e all’agro Falisco. L’impostazione è
nuova: in primo luogo si pone sui dati archeologici la base per la ricostruzione storica del
territorio, a differenza di ciò che accade contemporaneamente quando venivano utilizzate
principalmente le fonti per dare una precisazione topografica, con l’ausilio limitato della
12 O. Gerhard, Rapporto intorno i vasi vulcenti, Annali dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica, 1831 13 E. Westphal, Topografia dei contorni di Tarquinii e di Vulci, Annali dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica, 1830 14 G. F. Gamurrini et al., Carta archeologica d'Italia (1881-1897). Materiali per l'Etruria e la Sabina, Firenze 1972. 15 A. Cozza - A. Pasqui, Carta archeologica d'Italia (1881-1897): materiali per l'agro Falisco, Firenze 1981.
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testimonianza archeologica. In secondo luogo è da sottolineare l’integrità della ricerca a
livello territoriale oltre all’utilizzo di ogni tipologia di fonte.
Si arriva a questo punto alla figura di Thomas Ashby, direttore della British School
of Archaeology di Roma, con la quale pubblicò una serie di articoli sulla campagna
romana,16 in cui trattava in modo dettagliato la topografia, nonché i monumenti in essa
presenti. Sono questi gli anni in cui va diffondendosi l’agricoltura meccanizzata, in luoghi in
cui le rovine erano ancora ben presenti. Le ricognizioni eseguite da Ashby e da Rodolfo
Lanciani offrono, attraverso un ampio archivio fotografico, testimonianze non solo della
campagna romana, ma anche di buona parte del centro-sud Italia, sia a carattere
archeologico-paesaggistico, sia etnografico.
La strada tracciata dal Gamurrini e da Ashby non fu continuata dai successori e la
topografia antica finì per divenire esclusivo studio di edifici e dell’urbanistica, tralasciando
paesaggi e di conseguenza il contesto in cui questi monumenti giacevano.
Nel 1927 si svolse il I° Convegno Nazionale di Studi Etruschi e Italici, durante il
quale R. Bianchi Bandinelli e O. Marinelli17 introdussero la proposta per una nuova carta,
modificando i fogli dell’IGM. In questo progetto possiamo ravvisare la novità di una visione
storica, ponendo la carta come strumento conoscitivo e operativo; è stata pensata in modo
da superare la staticità, potendo sovrapporre varie carte tematiche e dando la possibilità di
un continuo aggiornamento tramite schede.
16 Il più importante è sicuramente The Roman Campagna in Classical Times, Tonbridge, 1927. 17 R. Bianchi Bandinelli, O. Marinelli, Carta archeologica d'Etruria - Proposta di una edizione archeologica della Carta d'Italia al 100.000, in Studi Etruschi, I, Firenze 1927.
11
2.3 Dal primo al secondo dopoguerra: L’aerofotografia.
Passiamo ora a parlare di una metodologia che in parte è al servizio all’archeologia
dei paesaggi e che in parte l’ha completata: l’aerofotografia. La tecnica fotografica si
sviluppa attorno alla seconda metà del XIX secolo; le macchine fotografiche del tempo
erano molto pesanti e necessitavano di lunghi tempi d’esposizione, quindi poco adatte ad
essere trasportate su mongolfiere. Il primo tentativo di utilizzo dell’aerofotografia per scopi
archeologici si deve a F. Stolze18, che la utilizzò per una documentazione sugli scavi di
Persepoli. In Italia fu Giacomo Boni che, a fine secolo, utilizzò un pallone aerostatico per
documentare gli scavi del Foro Romano.
Ad inizio Novecento i fratelli Wright realizzarono il primo volo su un aeroplano. Si
apriva così una nuova, grande epoca nei trasporti.
La prima guerra mondiale, che iniziò pochi anni dopo, diede un notevole impulso
allo sviluppo tecnologico sia dell’aereonautica che della fotografia a fini strategici. Finito il
conflitto, un buon numero piloti con capacità osservative, si accorse delle potenzialità
dell’aerofotografia a fini archeologici. Il primo di questi O.G.S. Crawford che nel 1924
dimostrò, basandosi sulle fotografie aeree belliche d’archivio, quindi principalmente su
fotografie verticali, l’articolazione agraria antica nei dintorni di Winchester19. Ne seguì una
grande opera di codifica della metodologia e dei principi fondamentali dell’aerofotografia20.
Negli anni ’30 un altro ex militare, il Maggiore G.W.G. Allen condusse
indipendentemente un programma regolare di fotografie oblique nella valle del Tamigi, che
18 F. Stolze, Persepoli, die achaemenidischen und sasanidischen Denkmäler und Inschriften von Persepolis, Istakhr, Shâpûr, Berlin, 1882 19 O.G.S. Crawford, Air Survay and Archaeology, Ordinance survey professional papers, 7, London, 1924. 20 O.G.S. Crawford, Air Survay and Archaeology, Ordinance survey professional papers, new series, 7 (second edition), London, 1928. O.G.S. Crawford, Air photography for Archaeologist, Ordinance survey professional papers, new series, 12, London, 1929.O.G.S. Crawford, A. Keiller, Wassex from the air, Oxford, 1924.
12
permisero di individuare 150 nuove evidenze. Allen eseguì ripetizioni delle ricognizioni
sullo stesso sito in diverse stagioni e con differenti condizioni meteorologiche; questo ebbe
il fine di documentare, alla diversità di condizioni dello sviluppo vegetativo, le emergenze
riscontrate, che venivano successivamente riportate su una carta allo scopo di ricostruire
la topografia antica dl territorio.
L’Italia nell’aerofotografia fu un paese all’avanguardia nello sviluppo metodologico,
mentre non si videro programmi di ricognizione costanti. Ciò fu dettato da un tardo
apprendimento del metodo e da leggi restrittive. Per quanto riguarda il primo elemento,
soltanto nel 1938 Giuseppe Lugli iniziò un esame su fotografie verticali21, ma venne
fermato dallo scoppio del secondo conflitto mondiale. La legge in materia di riprese aeree
del 1939, invece, rese quasi impossibile ottenere i permessi necessari per effettuare
ricognizioni aeree, scattare, sviluppare e pubblicare materiale fotografico, tanto da
scoraggiarne la continuazione di tale metodologia.
Durante la seconda guerra mondiale furono scattate innumerevoli fotografie
strategiche da parte della RAF, che formarono uno straordinario archivio. Su questo si
basarono molti studiosi come Ferdinando Castagnoli, Nereo Alfieri e Vitale Valvassori, il
primo impegnato nell’identificazione delle centuriazioni romane22, gli altri scopritori della
città di Spina23. Era comunque un’interpretazione di fotografie verticali, quindi di materiale
non acquisito per fini archeologici. È da ricordare negli anni successivi la sistematica
realizzazione di una copertura totale del territorio italiano da parte dell’IGM, pianificata con
regolari prospezioni dal 1954 ogni cinque anni.
21 G. Lugli, Saggi di esplorazione archeologica a mezzo della topografia archeologica, Roma, 1939. G. Lugli, l’importanza del rilievo eareo negli studi di topografia archeologica, in Atti del V Congresso Nazionale di Studi Romani, Roma, 1940. 22 F. Castagnoli, Contributi della fotografia aerea agli studi di topografia antica in Italia, in Atti del VII congresso Internazionale di Archeologia Classica, Roma, 1961. 23 N.Alfieri, V.Valvassori, La scoperta dell’abitato di Spina, apparecchi e tecnica relativi alle prospezioni che hanno portato alla scoperta della città etrusca di Spina, Inedita, vol.2, 1957
13
È giunto ora il momento di parlare di colui che G. Barker24 definì il “creatore
dell’archeologia del paesaggio come disciplina nel senso moderno”, riferendosi all’Italia:
John Ward-Perkins, direttore della British School at Rome dal 1946 al 1974. In quasi
vent’anni svolse ricerche sistematiche nella campagna romana, in un momento in cui i
pascoli venivano trasformati in terreni coltivabili, a seguito della riforma fondiaria del 1950.
Alla ricognizione superficiale, seguì una rapida serie di scavi per ottenere le sequenze
stratigrafiche, atte a datare le insorgenze riscontrate in superficie. Da sottolineare la spinta
verso l’integrazione di altre materie complementari, quali la palinologia e la geomorfologia,
che diede vita ad indagini paleoecologiche25. In seguito furono compilate una serie di
carte sistematiche dell’insediamento antico. Con Ward-Perkins la ricognizione sul campo,
diventa una metodologia facente parte dell’archeologia dei paesaggi, utile ad individuare
modelli insediativi.
2.4 La new archaeology: i modelli interpretativi.
La new archaeology, o archeologia processuale, scoppiata come una bomba negli
anni ’60 del secolo scorso in ambiente anglosassone, portò alla feroce critica da parte di
Binford & Co.26 del principio secondo il quale ciascun fenomeno culturale era unico ed
irripetibile, negando quindi ogni valore ai procedimenti comparativi fra contesti etnici e
storici differenti, sostenuto dallo storicismo culturale/idealista proposto da Franz Boas. La
ricostruzione del passato pareva agli archeologi processualisti più immediata, facendo 24 G. Barker, L’archeologia del paesaggio italiano: nuovi orientamenti e recenti esperienze, in Archeologia Medievale, Firenze, 1986 25 J.B. Ward-Perkins, Landscape and History in Central Italy, Oxford, J. L. Myres Memorial Lecture, 1964. E. BONATTI, Stratigrafta pollinica dei sedimenti postglaciali di Baccano, lago craterico del Lazio, in Atti della Societ‡à Toscana di Scienze Naturali, Ser. A., 70, 1964. G.D.B. JONES, Capena and thè Ager Capenas, Pari II, in Papers of the British School at Rome, 31, 1963. 26 Binford L.R. - Binford S. R., New Perspectives in Archaeology, Chicago 1968
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ricorso a generalizzazioni, identificando delle tendenze nei comportamenti umani
riscontrate in diversi contesti storici. L’obbiettivo era quello di far distaccare l’archeologia
dai vecchi studi di “antiquaria” e farla traslare verso una scienza esatta, a cui poter
applicare il modello scientifico per cui leggi generali venivano riscontrate tramite l’analisi
scientifica.
L’attenzione si spostò da un approccio storicistico ad uno più scientifico, adottando
tecniche proprie delle scienza (fisica, chimica, geografia, ecologia, statistica…) proprio
“dall’apertura di queste nuove porte” si possono riscontrare una serie di analisi territoriali
che in modo più o meno analitico, tentarono di ricostruire l’ambiente arcaico facendo
spesso ricorso a modelli. Alla base di questi stava la convinzione che tutte le comunità
umane potessero reagire nell’analogo modo a stimoli e situazioni. Il “trucco” sostenevano
fosse quello di raccogliere, in modo meticoloso, tutte le possibili variabili, inserendole in un
freddo modello analitico.
Da questo momento si può osservare il nascere di una serie di metodi di analisi
spaziale, mutati da discipline geografiche ed ecologiche. Si è passato all’applicazione in
differenti scale, dalla micro (di un sito) alla macro (di una regione), dello studio della
distribuzione di manufatto o insediamenti, nell’ambito di un determinato spazio,
definendone le varie dipendenze. Il fine era quello di studiare dei “punti” nello spazio di
una carta.
Proverò ora ad esporre alcuni di questi modelli, tentando di trarne preziosi
insegnamenti, in modo da capire cosa ed in che misura poter applicare al mio studio.
15
2.4.1 Regression analysis.
Venne introdotta da da I. Hodder e C.R. Orton per studiare la distribuzione di
ceramica tardo-romana attorno alla città di Oxford27 e permette di descrivere e valutare il
rapporto fra una data variabile (dipendente) e una o più variabili (indipendenti). A
ritrovamenti di particolari materiali provenienti da precise località (in questo caso Oxford)
rinvenute in contesti altri, viene applicata la variabile della distanza dal centro di
produzione. Ne è risultata una, seppur ovvia, relazione inversa fra la distanza del
ritrovamento dal centro produttivo e la quantità di ritrovamento. Nel grafico 1, sulla retta
delle ordinate è posta la percentuale di attestazione della ceramica, sulle ordinate la
distanza (in miglia) dal luogo di produzione. Nel grafico 2 è stata applicata un’ulteriore
variabile data dalle località raggiungibili tramite vie di comunicazione fluviali (pallini neri) e
terrestri (pallini bianchi); ciò dimostra che tramite il trasporto via acqua, più economico e
veloce, le distanze dal centro di produzione hanno inciso in modo minore sul decrescere
delle esportazioni28.
27 I. Hodder, C.R. Orton, Spatial Analysis in Archaeology, Cambridge, 1976 28 P. Moscati, Archeologia e Calcolatori, Giunti Barbera, Firenze 1987
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2.4.2 Trend surface analysis.
Viene utilizzata per studiare la quantità di distribuzione di un certo manufatto,
attraverso carte su cui vengono segnati, attraverso dei limiti, le percentuali di presenza del
dato oggetto. Osservando la semplice distribuzione in forma di punti su una carta, non è
facile trarre molte informazioni; lo strumento metodologico capace di misurare in maniera
esatta e quantificabile, i rapporti all’interno della maglia, è la surface trend analysis, che
permette d’identificare tali rapporti e trasformarli in carte di densità molto accurate,
consentendo al ricercatore di identificare fenomeni e anomalie di particolare interesse in
precedenza invisibili. Un esempio di questa applicazione è uno studio eseguito dai
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ricercatori dell’università di Siena29, applicato a pievi di epoca medievale. Nelle prime
immagini possiamo vedere i singoli punti riferiti alle pievi e delle isolinee indicanti
l’influenza di ognuna sul territorio circostante; nell’ultima, i risultati sono stati messi a
confronto con i confini delle diocesi della regione. Ciò che emerge è che le chiese si
concentrano in modo copioso lungo i confini, lasciando pensare a probabili conflitti tra i
diversi episcopi.
2.4.3 Quadrat count method e distance method.
Sono entrambi dei metodi per rilevare l’esistenza di raggruppamenti (patterns),
all’interno di un’area.
Il quadrat count mathod consiste nel suddividere lo spazio interessato in un numero di
quadrati ed inserire nelle celle così formate, dei simboli indicanti ciò che è d’interesse. Si
potranno formare in questo modo quadrati con dei raggruppamenti di materiali (clustered
patterns), oppure una distribuzione pressoché regolare (regular patterns). Questo metodo
offre il vantaggio di poter individuare concentrazioni, magari anche di materiali diversi. Uno
svantaggio è legato al fatto della difficoltà di definire i limiti di un insediamento (effetto di
bordo).
29 G. Macchi, Il problema della misurazione delle distanze fra insediamenti umani nella ricerca archeologica, in Archeologia Medievale XXVII, 2000.
18
I distance methods, invece, sono basati sul calcolo della distanza fra i punti
rientranti nell’area esaminata. In ambito archeologico è molto diffuso il nearest neighbour
analysis, che viene utilizzato per studiare le caratteristiche di una distribuzione o
confrontarne diverse. Può essere considerata, ad esempio, la tendenza all’aggregazione o
alla dispersione in stanziamenti e rintracciando varie tecniche di occupazione del
paesaggio. Il nearest neighbour analysis consiste nel comparare la distanza di ciascun
punto dal più vicino, con la media della distanza tra i punti. Ne risulta un indice di vicinato
(NNI) che può essere confrontato con opportuni modelli, ad esempio:
NNI>1 distribuzione uniforme
NNI≈1 distribuzione casuale
NNI<1 raggruppamenti in cluster
2.4.4 La stratificazione ambientale.
Quest’analisi consta nello studio dell’influenza dell’ambiente sulle modalità di
popolamento; le variabili sono molte e spesso non facilmente individuabili. Utilizzando
questo metodo, si deve suddividere il territorio in strati, caratterizzati da condizioni
ambientali simili e considerare il comportamento dei siti rispetto a questa scacchiera.
Solitamente gli strati sono scelti in base alla geologia, pedologia, idrografia e altimetria, a
volte anche mescolando queste componenti, in modo da mostrare forti differenze di
densità nei siti presenti e rintracciare possibili confini ambientali rappresentativi. C’è da
ricordare che la scelta insediativa umana dipende in molti, se non nella totalità dei casi
dall’ambiente; lo studio delle stratificazioni ci può illuminare sulla conformazione
socioeconomica dei fondatori, ma anche sulla loro mentalità e concezione paesistica. Uno
dei limiti è la scala, che deve preferibilmente comprendere un discreto numero di siti; un
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altro è che con il metodo della stratificazione ambientale è possibile individuare il punto
preciso in cui si trova il sito, tralasciando il potenziale produttivo delle zone limitrofe, che
possono senza dubbio aver influenzato le scelte insediative antiche.
2.4.5 La site catchment analysis (SCA).
Con la new geography, movimento, per certi versi, parallelo alla new archaeology,
si è iniziato ad osservare che gli insediamenti agricoli moderni, in società preindustriali,
utilizzano un raggio di 2/3 km attorno al sito per ricavarne la maggior parte della
sussistenza. L’analisi del bacino d’approvvigionamento (SCA) consiste proprio nello studio
del contenuto di un sito rintracciandoli delle zone limitrofe, raggiungibili in massimo due
ore, tempo oltre il quale diventa antieconomico: più lontana è l’area delle risorse, meno
probabilmente sarà sfruttata. I risultati vengono poi portati in una carta, tracciando un
cerchio attorno al sito che risulterà distorto a causa dell’altimetria o percorribilità dell’area;
ogni tipo di terreno verrà diversificato in base alle sue possibili utilizzazioni. Per quanto
riguarda l’utilizzo per scopi agricoli del terreno, sarà necessaria un’attenta analisi
geomorfologica, per capire il potenziale utilizzo del suolo nelle varie epoche, applicando gli
strumenti allora disponibili.
La prima applicazione di questa analisi è stata eseguita da C. Vita Finzi e E.S.
Higgs in Palestina30, prendendo in considerazione un raggio di 5 km attorno al sito e
cercandone le proprietà produttive, calcolando la percentuale di terra arabile e a pascolo
di ogni bacino, potendo poi trarre conclusioni circa la natura e le funzioni del sito.
30 C. Vita Finzi e E.S. Higgs, Prehistoric economy in the mount Carmel area of Palestine: site catchment analysis, in Proceedings of the Prehistoric Society, 36
20
Un’altra interessante applicazione è stata svolta da K Flannery e M. Joice31 a San
Josè Mogote, nella valle di Oaxaca; l’analisi si concentrò sulle reali risorse reperibili nel
sito, concentrandosi poi sui probabili luoghi di provenienza, diversificando le zone di
utilizzo delle risorse attorno al sito. Così facendo divenne possibile calcolare il potenziale
produttivo e di conseguenza stimarne la popolazione.
31 M. Joyce; K.V. Flannery, Zapotec Civilization: How Urban Society Evolved in Mexico's Oaxaca Valley. Thames and Hudson, London 1996.
21
2.4.6 I poligoni di Thyssen.
Questo metodo di analisi della distribuzione areale di insediamenti, consiste nel
considerare i siti come punti nello spazio che verrà suddiviso geometricamente in zone di
pertinenza di ogni singolo punto, evidenziando le porzioni di territorio gravitanti attorno ad
ogni singolo sito. L’idea di base è che con l'aumentare della distanza da un centro,
diminuisca la sua influenza sul territorio, fino ad incontrare la zona di influenza di un altro
centro. Tramite questo modello teorico si possono analizzare ampie porzioni di spazio,
assolutamente non vicine alla realtà in quanto viene tralasciato l’aspetto geografico
(geomorfologico, ambientale, orografico…); è necessario inoltre l’applicazione del modello
a siti politicamente omogenei, in caso contrario si deve spostare il confine verso i centri
minori, allargando quelli dei maggiori. È inoltre necessaria una conoscenza totale degli
insediamenti, perché lo spazio di un buco conoscitivo sarebbe occupato dagli insediamenti
limitrofi.
2.4.7 Gli anelli di Von Thünen.
Questo metodo è stato ideato da J.E. von Thünen32, economista tedesco
ottocentesco, il quale si accorse che i centri urbani modificano profondamente il territorio
limitrofo: le attività produttive attorno a questi sono fortemente condizionate dalla distanza
con il centro. Se viene individuata la densità delle attività di produzione, si possono
riscontrare attorno ai nuclei principali degli anelli concentrici, trovando nella zona limitrofa
al centro le attività più intensive e redditizie, comportanti alti costi di movimentazione o
necessitanti continue cure (legname, estrazione mineraria). Le produzioni più estensive
che avranno meno costi di trasporti, si stanzieranno nelle zone più distanti (agricoltura
32 J. H. Von Thünen, Der isolierte Stadt in Beziehung auf Landwirtschaft und Nationaloekonomie, Amburgo, 1826
22
intensiva, agricoltura estensiva, pastorizia). Questo modello è applicabile a città isolate,
con caratteristiche territoriali omogenee
2.4.8 Central place teory.
Sviluppata dal geografo tedesco W. Cristaller33 negli anni Trenta del secolo scorso
e rimodellato da A. Lösch34, questa teoria studia la gerarchizzazione dei centri rurali
attorno ad un centro, in un paesaggio omogeneo, basandosi sul numero dei livelli
gerarchici nel sistema e sul numero dei siti minori per ogni centro egemone. Questo
metodo è scarsamente utilizzabile in archeologia, in quanto necessita della perfetta
conoscenza di dimensioni, funzioni, collegamenti dei siti presi in esame.
33 W. Cristaller, Le località centrali della Germania meridionale, Jena, 1933 34 A. Lösch, The economics of location, New Haven, 1954
23
2.4.9 Rank-size.
Questo modello, ideato per lo studio di sistemi sociali e politici, è utilizzato per
studiare il popolamento ed in particolare il riflesso delle società arcaiche, nella
distribuzione dei siti. È stato ideato da F. Auerbach35, ad inizio ‘900, dopo aver svolto delle
osservazioni su un fenomeno secondo il quale in un territorio, ponendo la dimensione
degli insediamenti in ordine di consistenza demografica si assegnando loro un valore
(rank); moltiplicando il prodotto della popolazione per il rank, si ottiene un coefficiente pari
alla popolazione del centro maggiore. Rappresentata graficamente in un piano cartesiano
(con scala semilogaritmica), risulta una retta inclinata di 45° sulle ascisse. Prendiamo ad
esempio: l’insediamento maggiore di un dato territorio conta 1000 abitanti; il quinto
insediamento in ordine di grandezza dovrebbe avere, secondo questo modello, 250
abitanti. Ovviamente in archeologia non è sempre possibile conoscere la popolazione dei
siti. Di notevole interesse risulta lo studio dello scostamento dalla linea ideale, utilizzato
per ricostruire il sistema insediativo e sociale: se la retta risulta con un profilo concavo ci
troviamo dinanzi ad una società con pochi centri di maggiori dimensioni, rispetto ad una
costellazione di centri molto minori, quindi una società giovane ed in via di sviluppo. Se
l‘andamento risulta vicino alla retta ideale, possiamo parlare di una società matura, con
una capitale e gradualmente dei centri minori. La risultante convessa si riscontra in società
in decadenza, con molti siti in competizione. Ovviamente quest’analisi la si può applicare
allo stesso territorio, prendendo in considerazione tempi diversi, potendo in questo modo
notare l’evoluzione di una società. Ed è quello che è stato fatto ad esempio da A. Guidi36
nel Latium vatus nel X e nell’ VIII sec. a.C..
35 F. Auerbach, Das gesetz der bevolkerungskonzentration, in Pattermann’s Mitteilungen, 59, 1913. 36 A. Guidi, An application of the Rank-Size Rule to Protohistoric Settlements in the Middle Tyrrhenian Area, in C. Malone - S. Stoddart (a cura di), Papers in Italian Archaeology, IV. The Cambridge Conference. Part III; Patterns in Protohistory, Oxford 1985
24
2.5 Gli anni recenti.
Eccoci giunti verso fine del nostro percorso storico, alla scoperta degli uomini e
donne che hanno lasciato un segno tangibile nell’archeologia dei paesaggi. Lo faremo
ripercorrendo le tappe salenti che hanno traghettato il discorso dell’archeologia dei
paesaggi, dagli anni del dopoguerra fino a noi; per semplicità verranno individuate delle
macro-aree geografiche, che individuano dei centri di ricerca in cui le tematiche
paesaggistiche applicate all’archeologia sono state particolarmente approfondite
2.5.1 L’ Italia: realtà universitarie tra Veneto e Toscana.
È ora importante parlare di un progetto che ha riscosso un certo successo: la Carta
Archeologica del Veneto37. È costituita da un riordino di varie documentazioni
disomogenee, ponendo particolare attenzione alla georeferenziazione dei vari dati relativi
37 L. Capuis et al.(a cura di), Carta archeologica del Veneto, 4 voll.,Modena, 1988
25
a ritrovamenti, su una carta con scala 1:25.000. Le emergenze di varie epoche vengono
evidenziate sulla carta con colori differenti e numerate, rimandando alla schedatura che
offre informazioni riguardanti i vari ritrovamenti e relativa bibliografia. Il fine ultimo è la
comprensione delle modalità insediative tramite un modello comune relativo alle varie
epoche. È inoltre un valido strumento per una progettazione territoriale mirata alla
salvaguardia dei beni archeologici presenti sul territorio. È inoltre da sottolineare
l’importante collaborazione, per la realizzazione del progetto, fra enti che spesso tendono
a lavorare in modo individuale e non programmato: regione, soprintendenza e università
(in questo caso di Padova).
Il medesimo progetto è stato realizzato anche in Lombardia, limitatamente alla zona
centro orientale; i cinque volumi, suddivisi per province di Brescia, Bergamo, Lecco e
Como e città di Brescia, sono stati redatti negli anni ’90 da vari autori come Filli Rossi nel
caso della provincia di Brescia o Raffaella Poggiani Keller per quanto riguarda la provincia
di Bergamo. Per il prosieguo del mio lavoro la carta archeologica della provincia di Brescia
sarà senza dubbio un ottimo “alleato”, contenente, oltre alla documentazione di 1800
rilevanza archeologiche, anche la loro localizzazione su mappe topografiche38.
È da sottolineare la posizione di primo piano, per quanto riguarda il dibattito italiano
sul paesaggio antico, di alcuni docenti operanti nell’università patavina: G. Rosada, A. De
Guio e G. Leonardi. Il primo da tempo impegnato nelle tematiche riguardanti la topografia
della X regio Venetia et Histria, in particolar modo per ciò che concerne la ricostruzione
storico-territoriale39 (viabilità, idrografia, porti, direttrici di transumanza, centuriazioni).
38 F.Rossi (a cura di), Carta archeologica della Lombardia, vol.1 Provincia di Brescia, Panini, Modena 1991. 39 G. Rosada, La viabilità nella decima regio (Venetia et Histria). Strade di collegamento e strade di sfruttamento territoriale, III Congresso di Topografia antica (La viabilità romana in Italia. Bilanci e aggiornamenti), in JAT, IX, 1999. G. Rosada, Dal mare alle montagne: aspetti territoriali e viabilità per una economia di allevamento tra Altinum e Feltria/Vom Meer zu den Bergen: Raumordnung und Straßen im Dienste der Viehwirtschaft im Gebiet zwischen Altinum und Feltria, in I territori della Via Claudia Augusta: incontri di archeologia/Leben an der Via Claudia Augusta: archäologische Beiträge, a cura di G. Ciurletti, N. Pisu, Trento 2005.
26
Il prof. A. De Guio si è dimostrato molto più attento a ciò che concerne, da una
parte la riflessione filosofica40, dall’altra l’applicazione metodologica, ad esempio nell’alto-
medio Polesine41 o più recentemente all’Altopiano di Asiago, che esula dai modelli analitici
proposti fino a metà degli anni ’80 (ad esempio i modelli di Thiessen e von Thunen, rank
size rule, site catchment analysis), di estrazione per lo più geografica, ma propone “la
risoluzione critica […] di non perdere troppe energie di percorso nel soffice, accattivante
empireo della speculazione teoretica e di ancorarsi invece saldamente «a terra», nello
specifico con un progetto di lavoro”.42 Ed è quello che tenterò di fare il prima possibile…
La scuola senese, negli ultimi anni si è trovata a fare da capofila nella ricerca ad
ampio raggio spaziale, grazie all’applicazione di tutte le nuove tecnologie oggi disponibili,
per fini archeologici. Questo tipo di approccio è già attivo all’inizio degli anni ’90 con il IV
Ciclo di Lezioni sulla Ricerca Applicata in Archeologia, tenutosi alla Certosa di Pontignano
(Si) nel 199143, interamente dedicato all’archeologia del paesaggio, divenuto uno degli
incontri che ha dato una certa formalizzazione metodologica. Negli anni recenti, grazie alle
pubblicazioni messe a disposizione in modo gratuito, nell’ambito del progetto BibAr44, è
possibile attingere ad un buon numero di articoli che presentano, come uno dei temi
principali, la ricostruzione del paesaggio medievale. In questo modo è possibile avere
accesso alle pubblicazioni di una delle istituzioni più attive nell’ultimo ventennio. Grazie a
figure di riferimento come R. Francovich e a tutto lo staff di collaboratori, è possibile avere
G. Rosada, Altino e la via della transumanza nella Venetia centrale, in Pecus. Man and Animal in Antiquity, Proceedings of the conference at the Swedish Institute in Rome, September 9-12, 2002, ed. B. Santillo Frizell. 40 A. De Guio, Archeologia della complessità e calcolatori: un percorso di sopravvivenza fra teorie del caos, attrattori strani, frattali e... Frattaglie del postmoderno, in m. Bernardi, ( a cura di), 1992, Archeologia del paesaggio, IV Ciclo di Lezioni sulla Ricerca Applicata in Archeologia (Certosa di Pontignano, Siena, 14-26 gennaio 1991), Firenze. 41 A. De Guio, R. Whitehouse, J. Wiekins (a cura di), Progetto Alto-Medio Polesine: quarto rapporto, Quaderni di Archeologia del Veneto, VI, 1990 42 A. De Guio, R. Whitehouse, J. Wiekins (a cura di), Progetto Alto-Medio Polesine: quarto rapporto, Quaderni di Archeologia del Veneto, VI, 1990 43 M. Bernardi ( a cura di), Archeologia del paesaggio, IV Ciclo di Lezioni sulla Ricerca Applicata in Archeologia (Certosa di Pontignano, Siena, 14-26 gennaio 1991), Firenze, 1992 44 http://www.bibar.unisi.it/
27
un’ampia visione sulle applicazioni informatiche adottate dall’archeologia: dal
telerilevamento al GIS, che verranno trattati esaustivamente nel prosieguo di questo
lavoro.
2.4.2 La Spagna:
In Galizia è da anni attivo il Laboratorio de Arquoloxía de Paisaxe, un gruppo di
ricerca a cui fa capo l’università di Santiago. Questo insieme di ricercatori, la cui figura di
riferimento è il prof. Felipe Criado Boado, adotta un’attenzione particolare per il contesto in
cui sono localizzate le rilevanze archeologiche, localizzando il paesaggio come categoria
culturale, contesto antropicamente modificato. L’analisi del paesaggio antropizzato,
secondo il Prof. Crido Boado, permette di ricostruire i principi organizzativi delle società
che lo hanno formato; mentre la prospettiva materialista di stampo neo-marxista, è lo
strumento utilizzato per tentare di comprendere la relazione instaurata tra uomo e natura.
Secondo Criado il paesaggio è il “prodotto socio-culturale creato attraverso
l’oggettivazione dell’azione sociale, sia di carattere materiale che immaginaria,
sull’ambiente”. Quindi l’archeologia del paesaggio diventa lo studio dei processi e delle
forme di elaborazione dello spazio, caratteristica dovuta principalmente all’uomo. Questo
modello di rappresentazione, dipende da un sistema di simboli secondo Ian Hodder,
mentre secondo Criado Boado è dovuto a un modello di razionalità, configurato con forme
regolari spaziali. Dallo studio di queste ultime è possibile risalire a dei codici, cioè un
sistema di convenzioni che si ripetono costantemente.
La metodologia adottata dalla scuola gallega può essere riassunta individuando tre
diversi livelli del paesaggi: lo spazio fisico e ambientale, lo spazio sociale e lo spazio
simbolico.
28
Inoltre i loro studi spesso interessano i petroglifi, di cui è ricca la Galizia, soprattutto
del neolitico e dell’età del bronzo. L’approccio per lo studio dei petroglifi posti in un
paesaggio, è in particolar modo approfondito dall’Università di Santiago. La metodologia
applicata prevede in molti casi la contestualizzazione di petroglifi in un’unità fisiografica
abbastanza ampia, all’interno della quali le rilevanze si dispongono in modo simile nei
diversi contesti: ad esempio a delimitare le vie d’accesso.
A questo proposito è doveroso ricordare un articolo di Bradley, Criado Boado e
Fábregas45, in cui viene effettuata un’attenta lettura non tanto delle tematiche delle
incisioni, ma della loro posizione, a segnare ad esempio linee di transito, zone di interesse
vario. Gli autori sono giunti alla conclusione che sussiste una certa interdipendenza tra la
localizzazione dei petroglifi e quella delle risorse circostanti, in modo da lasciare un segno
tangibile di proprietà dallo spazio.
Un altro tema ben studiato riguarda la monumentalizzazione del paesaggio,
eseguita attraverso il posizionamento di grandi rocce la cui posizione e visibilità è assai
ampia e risalta nel paesaggio. Un altro carattere importante è l’associazione tra
localizzazione e motivi iconografici, è stata ed esempio riscontrata una comunanza fra la
raffigurazione di cervidi e la posizione dei massi in zone centrali, mentre armi vengono
utilizzate su rocce che segnano le vie d’accesso. Un altro elemento interessante è lo
studio della composizione dei petroglifi e la disposizione areale delle singole figure nel
contesto del masso istoriato. Durante alcuni studi46 si è notata la posizione dominante di
scene di guerra, animali selvatici e maschi, mentre nella parte inferiore scene domestiche
animali addomesticati. Ciò secondo Santos Estevez potrebbe essere il riflesso del modello
45 R. Bradley, F. Criado Boado, r. Fábregas, Rock art research and landscape archaeology: a pilot study in GALICIA, northwest Spain, World Archaeology, 25, 1994 46 M. Santos Estevez, Los espacios de arte: el diseño del panel y la articulatión del paisaje en el arte rupestre gallego, Trabajos de preistoria, 55/2, 1998
29
insediativo contemporaneo, con abitati in altura che rimandano alla loro rappresentazione
su di uno spazio simbolico: quello delle rocce incise.
2.4.3 La rivoluzione del G.I.S.
In questo caso possiamo parlare di vera e propria rivoluzione, che si inserisce nella
più generale rivoluzione informatica47 in atto negli ultimi trent’anni, in quanto ha modificato
in modo radicale il modo di approcciarsi al territorio.
I primi calcolatori utilizzati per scopi bellici, alla fine della seconda guerra mondiale,
furono impiegati per la realizzazione di cartografie computerizzate. Successivamente al
lancio nel 1957 dello Sputnik, la NASA riuscì a sviluppare il principio del moderno sistema
GPS, impiegando le onde radio emesse da un satellite posto su un’orbita definita, in grado
di determinare la posizione di un ricevitore sulla Terra. Inoltre furono sviluppate le tecniche
di remote sensing, che consiste nel telerilevamento tramite immagini provenienti da
satelliti in orbita.
L’applicazione ad ambiti civili non tardò: esempi si videro a Chicago e Seattle nel
1959, legati al controllo del traffico. La prima comparsa sotto il nome G.I.S. si vide nei
primi anni ’60 con il Canadian Department of Forestry and Rural Development, più che
una nuova forma di cartografia, concepito per più ambiti d’applicazione. La principale
caratteristica è quella di poter associare ad una base dati georeferenziata, una quantità di
attributi, con capacità di operare incroci e confronti, permettendo manipolazioni e svariate
analisi.
47 Y.Veneris, The Informational Revolution, Cybernetics and Urban Modelling, PhD Thesis, University of Newcastle upon Tyne, UK, 1984 Y. Veneris, Modeling the transition from the Industrial to the Informational Revolution, Environment and Planning A 22(3), 1990
30
Nel 1969 l’Università di Harvard predispose un laboratorio proposto allo sviluppo del
software dedicato, il SYMAP che consentiva output cartografico, operazioni
d’interpolazione, generazione di superfici e manipolazione di variabili internamente ad un
determinato spazio territoriale.
Negli anni ’70, lo sviluppo di agenzie private, come la ESRI (Environmental System
Research Institute), permise lo sviluppo di software, che renderà, negli anni successivi,
l’integrazione di sistemi d’automazione e d’archiviazione con pratiche geografiche; ciò ha
permesso la gestione degli oggetti geometrici, delle loro relazioni spaziali e delle
informazioni descrittive a loro legate.
Gli anni ’90 hanno visto la diffusione capillare della metodologia G.I.S. grazie alla
semplificazione e alla possibilità di essere utilizzata su Pc. I softwares si sono sviluppati in
modo da essere competitivi, sia a livello tecnologico che a livello economico, grazie anche
al parallelo miglioramento hardware.
2.6. Per una storia degli studi locale.
Le aree protagoniste di questo lavoro, vicine a livello areale, ma separate da
diverse dorsali, non sono mai state indagate intensivamente a livello archeologico. Va
aggiunta come causa la selvaggia urbanizzazione che ha obliterato ed irrimediabilmente
cancellato la seppur minima traccia antropica presente sul territorio. In ultimo la mentalità
locale, poco attenta a ciò che riguarda la propria storia e sempre più impegnata
nell’avanguardia economica.
Bisogna quindi riferirsi ad informazioni sporadiche, spesso rinvenimenti fortuiti a
seguito di lavori stradali o edili in genere. Pochi gli scavi eseguiti sul territorio, soprattutto
per ciò che riguarda l’archeologia pre-protostorica. L’interesse maggiore dal XV secolo fino
31
al ‘900 è stato quello per le epigrafi romane, molto diffuse nelle vallate ed in genere nel
territorio bresciano. Un primo lavoro di catalogazione delle rilevanze preistoriche lo si deve
all’Ateneo di Brescia, che organizzò, negli anni di presidenza di Gabriele Rosa, la
Esposizione di Archeologia Preistorica e Belle Arti della Provincia di Brescia nell’agosto
del 1875. Il catalogo della mostra è stato pubblicato nei Commentari dell’Ateneo di Brescia
nell’anno dello svolgimento della mostra, i singoli oggetti vennero suddivisi
cronologicamente in modo sommario e in ordine di proprietario.
Intanto le ricerche continuavano in tutto il primo ‘900 sempre adombrate dalle
eccezionali rilevanze che proprio in quegli anni si stavano scoprendo nella Valle
Camonica. Di fondamentale importanza è la formazione, nel 1954, del Gruppo Grotte
Gavardo, nato da quattro amici (Alfredo Franzini, Alberto Grumi, Piero Simoni e Silvio
Venturelli), appassionati paleontologi che si apprestavano all’esplorazione del Buco del
Frate di Prevalle e l’anno successivo con l’indagine del Buco del Coalghès sul Monte
Magno. Nel 1962 si vide la prima pubblicazione degli Annali del Museo, utilissimo
strumento editoriale di divulgazione delle scoperte che si stavano succedendo. L’anno
seguente si arrivò alla fondazione ufficiale dell’ Associazione Civico Museo Gruppo Grotte,
che trovò la propria sede espositiva in due sale nell’edificio cosiddetto “Castelletto”, che
aumenteranno negli anni successivi, fino ad un trasferimento definitivo a fine anni ’80. Al
museo di Gavardo si deve la grande opera di ricerca, che può svolgere soltanto un organo
presente sul territorio.
Altra importante Istituzione è il Museo Civico di Scienze Naturali di Brescia che dal
1965 pubblica Natura Bresciana, che ha reso possibile la diffusione delle indagini in
campo naturalistico, in cui spesso rientrano anche studi archeologici.
Nel ’64 si forma il Centro Camuno di Studi Preistorici (CCSP), con lo scopo di
organizzare in modo continuativo l’immenso lavoro di studio e documentazione dell’arte
32
rupestre camuna, il cui materiale viene pubblicato nel Bollettino del Centro Camuno di
Studi Preistorici (BCSP) in cui trovano spazio le ricerche effettuate nella zona del Sebino).
Una prima opera di raccolta e catalogazione delle rilevanze archeologiche, la si
deve ad una serie di volumi dedicati ad ogni settore della provincia, editi come Atlanti dalle
Edizioni Grafo nella prima metà degli anni ’80. Per le zone di nostro interesse, la
Valtrompia è stata trattata da Clara Stella48 nel 1982, il Sebino è stato studiato da Luisa
Bezzi Martini49 l’anno successivo. Un’altro lavoro di notevole interesse è quello edito nel
1986 nella serie dei Quaderni Camuni, la cui autrice, Fulvia Abelli Condina50, inserisce la
media e bassa Valcamonica, il Sebino orientale, parte della Valtrompia e Valsabbia.
L’apparato cartografico è di scarso e difficile utilizzo; la grande valenza di queste opere va
ricercata nella raccolta di dati, relativi a siti archeologici, sporadici e di difficoltosa
ricapitolazione, in quanto dispersi in riviste o pubblicazioni di svariato genere, ritrovamenti
casuali, spesso malamente documentati.
Da ricordare le indagini estensive compiute da Paolo Biagi tra gli anni ’70 e ’80 che
hanno riguardato l’intero territorio bresciano e che lo pongono nel ruolo di maggiore
studioso di preistoria locale. Le sue pubblicazioni sono innumerevoli ed inserite in riviste
quali Preistoria Alpina51, Rivista di Scienze Preistoriche52, Natura Bresciana53, oppure in
volumi collettivi come Archeologia in Lombardia54 e Preistoria nel Bresciano55.
48 C.Stella, Schede per una carta archeologica della Valle Trompia, in AA.VV. Atlante Valtrumplino, Edizioni Grafo, Brescia, 1982. 49 L.Bezzi Martini, Schede per una carta archeologica del Sebino e Franciacorta, in AA.VV. Atlante del Sebino e della Franciacorta, Edizioni Grafo, Brescia, 1983. 50 F.Abelli Condina, Carta archeologica della madia e bassa Val Camonica, in Quaderni Camuni, VIII, Brescia, 1986. 51 Preistoria Alpina, numeri: 8, 1972; 9, 1973; 12, 1976; 14, 1978; 16, 1980. Museo Tridentino di Scienze Naturali 52 Rivista di Scienze Preistoriche, numeri: XXV, 1970; XXVI, 1971; XXXII, 1977; XXXIII, 1978; XXXIV, 1979. Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. 53 Natura Bresciana, numeri: 7, 1970; 8, 1971; 12, 1975; 13, 1976; 22 1985; 24, 1987. Museo Civico di Scienze Naturali di Brescia. 54 AA.VV., Archeologia in Lombardia, Silvana, Milano, 1982. 55 AA.VV., Preistoria nel Bresciano, La cultura materiale. Edizioni Grafo, Brescia, 1979.
33
Capitolo 3: L’ambiente.
Veniamo ora ad analizzare più concretamente la zona di nostro interesse. È
indubbiamente di notevole importanza, in quanto l’ambiente è il palcoscenico della vita
umana, lo spazio entro cui l’uomo antico e moderno si muove, caccia, sfrutta le risorse,
costruisce le proprie case, insomma vive. Per poterlo fare in modo adeguato, è a mio
avviso indispensabile avere una conoscenza approfondita di tutte quelle fonti che ci
permettano di far luce sulla natura precipua del nostro territorio.
Siamo di fronte, per lo più, ad un’inesistenza di fonti letterarie, che ci possano
descrivere in modo esaustivo le nostre vallate alpine in epoca precedente alla conquista
romana. Dovremo dunque appellarci a tutto ciò che non è di così facile interpretazione, in
quanto spesso entra in gioco il pensiero, le credenze, le abitudini, di un mondo molto
distante dal nostro, ma che a tratti lo si può ritrovare congelato sotto uno spesso strato di
consuetudini quotidiane. Dovremo quindi ricorrere a svariate branche della ricerca
34
archeologica, sotto il segno di un olismo metodologico, che potrebbe essere necessario
per tentare di tappare i buchi della conoscenza, troppo spesso imperfetta.
Il modello che tenterò di utilizzare è in parte ripreso da Fernand Braudel, il quale nel
1953 pubblicò la sua opera più importante56, che analizza il Mediterraneo all’epoca di
Filippo II. In questo caso il protagonista diviene il Mediterraneo che viene indagato sotto
ogni suo peculiare aspetto, dal clima all’economia, dal colonialismo alla transumanza.
Viene data molta importanza all’interazione uomo/natura, in linea con la cosiddetta scuola
della Sorbonne, il cui capostipite, Vidal De La Blanche, afferma che: “l'uomo compie delle
scelte tra le varie possibilità offerte dal territorio, con la tecnologia e la civiltà riesce
addirittura ad aggirare gli ostacoli della natura, il tutto lasciando la sua impronta
nell’ambiente di vita”57. Quindi il rapporto uomo/ natura è visto in modo biunivoco, in cui
l’uomo riesce a modificare i condizionamenti che la natura gli impone. Ovviamente questo
pensiero va aggiornato e adattato alle nostre esigenze; resta di base l’approccio di
Braudel, che va corretto nelle sue, seppur minime, lacune.
3.1.Aspetti geologici
Il territorio qui analizzato risulta molto vario, ma sostanzialmente compatto. La storia
della vallate prealpine bresciane e in generale delle Alpi, è legata ai fenomeni glaciali
dell’Era Quaternaria (glaciazione di Würm), che hanno formato l’attuale configurazione
territoriale. Attori principali nella storia delle nostre valli sono i fiumi e i laghi: i moderni
insediamenti della Valtrompia e della Valsabbia si sviluppano lungo il lento scorrere dei
fiumi che le hanno formate: il Mella per la prima e il Chiese per la seconda; mentre i laghi, 56 F.Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi,Torino, 1953. 57 P.Vidal De La Blanche, Atlas général: histoire et géographie, 1894.
35
Garda, Iseo e Idro vedono un popolamento diffuso là dove è possibile, là dove le pareti
rocciose lasciano tregua, aprendo brevi spazi, ma sempre ben protetti. Infatti questi laghi
hanno trovato un facile letto dove i ghiacciai hanno letteralmente scavato il paesaggio,
infiltrandosi e facendosi spazio in un mondo di montagne, creando questi corridoi verso la
grande pianura. Tutti i laghi bresciani (oltre 150), hanno un’origine esclusivamente glaciale
o prodotti dall’azione modellatrice dei ghiacciai in aree tectonicamente o morfologicamente
predisposte. Le grandi masse trasportate dall’azione dei ghiacciai hanno portato con sé
una grande quantità di detriti, sia in modo diretto per effetto di pressione ed erosione, sia
in modo indiretto provocato dalle grandi alluvioni negli intervalli interglaciali o quelle post-
glaciali. Attraverso questi depositi di sedimenti si è formata buona parte della pianura
bresciana, come un accumulo di depositi quaternari. Oltre a questi sedimenti i ghiacciai
hanno portato con sé anche massi erratici, frequenti in tutte le vallate del bresciano. Un
altro fenomeno conseguente alle ere glaciali che si possono trovare nel territorio sono le
colline moreniche,: depositi di massi, ciotoli, arenarie, sabbie, disposti nella parte terminale
del fronte del ghiacciaio che hanno dato luogo a sistemi collinari posti a semicerchio fra il
lago e la pianura. Il maggiore che possiamo trovare è l’anfiteatro morenico del Garda,
alimentato dal ghiacciaio dell’Adige, il quale raggiunse una notevole potenza (1000m a
Riva per scendere a 800m a Tremosine, 600m a Gargnano, 400m a Salò e Manerba).
Attorno a 10.000/8.000 anni fa, si stima il termine della presenza di ghiacciai nei solchi
vallivi bresciani.
36
37
La Val Camonica è una lunga valle, chiusa a sud dal lago d’Iseo che nel suo punto
settentrionale, a Pisogne, occupa l’intero spazio della vallata, rendendo difficile il
passaggio. Infatti la montagna è particolarmente scoscesa e rocciosa quindi il transito a
mezzacosta è problematico. La valle è larga nel punto maggiore circa 2 km, ma
risalendola diventa sempre più angusta. È solcata dal fiume Oglio58, al quale affluiscono
numerosi torrenti che scendono dalle valli laterali. Ad ovest è chiusa del gruppo delle
Prealpi Orobie, mentre ad est è il Gruppo dell’Adamello fino al Massiccio delle Tre Valli
che le fa da sponda. Montagne imponenti che superano i 2000 m fino alla cima
dell’Adamello, alta 3500m.
La genesi della Valle Camonica è di epoca quaternaria e fu il risultato di più flussi
glaciali, precisamente le colate provenienti dal plateau del Gavia, quelle provenienti dal
gruppo dell’Adamello e dal ghiacciaio dell’Adda, che hanno scavato profondamente la
vallata. La forma della valle a U ne è il risultato e il prodotto della profonda trasformazione
geomorfologica compiuta; le rocce venivano lisciate e pronte per essere utilizzate come
supporto delle raffigurazioni di epoche successive. Tutto ciò ci interessa in quanto la Val
Camonica è a monte e quindi è estremamente legata alla genesi del Sebino. Superato il
lago d’Iseo, il ghiacciaio, della potenza stimata di 1000m, si è spinto per altri 9-10 km
formando la serie di colline moreniche della Franciacorta.
Diversamente la Valle Trompia non è stata interessata dalle glaciazioni quaternarie,
ma si è formata per la lunga opera erosiva svolta dal fiume Mella in tempi relativamente
recenti, la forma a V ne è testimone. La formazione montuosa è datata all’era Mesozoica
di origine marina, del resto come buona parte del territorio montuoso bresciano. Più
precisamente la media e bassa valle la si fa risalire al periodo Giurassico medio/inferiore
(150/190 M.A.), mentre se si risale la vallata si arriva fino a Collio, la cui formazione è fatta
58 Oi in dialetto locale.
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risalire all’inizio del periodo Permiano, nell’Età Paleozoica (280 M.A.), a seguito di
un’intensa attività vulcanica caratterizzata da effusioni e colate laviche.
Collio e Bovegno si trovano ai piedi della parte centrale del Massiccio cristallino
delle Tre Valli; formazione montuosa che fa da testata alla Val Trompia e la divide dalla
Val Camonica a nord; è il più antico territorio di tutta la provincia di Brescia che sia
sicuramente databile attraverso le testimonianze della flora e della fauna fissili. Gran parte
di tale massiccio, in epoca glaciale, venne ampiamente interessato da potenti coperture
gelate; ne sono testimonianza le rocce striate che si possono trovare nella zona di
Dasdana.
L’ evoluzione nel Quaternario della Valle Sabbia non è troppo dissimile da quello
della Valle Camonica: il flusso glaciale proveniente dalla Val Rendena si unì al ghiacciaio
del fiume Chiese, raggiungendo il lago d’Idro. Secondo Habbe59, la potenza del ghiacciaio
a Ponte Caffaro era di 950m, ad Anfo raggiungeva 800m, ad Idro di 650m. Il fronte
terminale si sarebbe fermato alla stretta di Barghe dopo aver passato la stretta di Idro-
Lavenone. In modo simile il ghiacciaio dell’Adige, sia la parte che scende dalla valle che
da Arco arriva a Riva, sia la parte che proviene dalla sella di Loppio e Mori, andò a
scavare il bacino del Garda, raggiungendo ragguardevoli potenze: 1100m a Riva, 800m a
Tremosine e Malcesine, 600m a Gargnano fino a 400m nell’area di Salò, Manerba,
S.Felice. La cerchia morenica più esterna è fatta risalire alla terza glaciazione (Mindel) che
formò le colline di Montichiari, Calcinato e Carpenedolo. La fascia più interna, è fatta
risalire alla glaciazione Würmiana.
Il ghiaccio modifica e modella l’ambiente, cancellando le precedenti condizioni del
territorio. In tutta la zona interessata dagli sconvolgimenti di età Quaternaria, è dunque
impossibile pensare di trovare resti dell’attività umana, ineluttabilmente cancellati. Sarà
59 K.A. Habbe, die Wurmzeitliche Vergletscherung des Gardasee-Gabietes, Frieburg, Schulz, 1969.
39
possibile trovarne traccia soltanto in quelle zone che non furono toccate dalla coltre
glaciale, rimaste come isole circondate da flussi glaciali e quindi abbastanza indisturbate,
in quanto poste ad altezza superiore.
Figura 1: schema geocronologico della provincia di Brescia, da G. Berruti, Geologia del Territorio bresciano, Grafo Edizioni, Brescia, 1981.
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3.2 Cambiamenti climatici.
Secondo Penk60 il limite delle nevi perenni nel corso dell’era quaternaria nelle Alpi
Meridionali bresciane, si collocava a quota 1700/1800 mslm. Più recentemente tale limite
è stato abbassato da Habbe61 a 1400/1500 mslm. Nelle vallate alpine circondate da alti
rilievi, il livello delle nevi perenni è un fattore decisivo, in quanto determina la presenza o
meno di flora e di fauna, e di conseguenza dell’uomo.
La zona di nostro interesse si presentava come un deserto gelato, ricoperto da un
imponente strato di ghiaccio, fino alla fine del Pleistocene (12.000/8.000 BP), momento
terminale dell’era glaciale di Würm. Con la fine del Pleistocene dobbiamo immaginarci una
situazione con versanti ancora rocciosi e numerosi torrenti che rendevano il fondovalle
acquitrinoso e trascinavano massi erratici. Con lo svilupparsi di alghe e arbusti, uno strato
di humus rese più atto alla vegetazione il fondovalle. La grande quantità di acqua derivata
dallo scioglimento dei ghiacciai, invase le pianure, rendendole grosse paludi solcate da
fiumi. Il grande ghiacciaio si era ritirato lasciandosi dietro un paesaggio deserto.
La fauna era costituita da specie capaci di sopravvivere nelle difficili condizioni
climatiche. Sono documentati i grandi mammiferi ungulati classici della steppa: lo
stambecco, il camoscio, il bisonte, l’alce, il rinoceronte lanoso, l’orso delle caverne, i
grandi pachidermi (mammuouth e successivamente l’elefante) e mammiferi degli ambienti
arborei come il lupo e il cervo, mentre le acque sia del lago che dei fiumi, dovevano
risultare pescose. Si erano inoltre spinte le coperture arboree di foreste di abeti, ontani,
querce, mentre più a valle, noccioli e querce; nelle zone a quota più elevata erano diffuse
le praterie alpine. Da un clima alpino arido e freddo successivo al postglaciale, si passa ad
un clima più temperato e umido con l’introduzione di specie del clima più temperato e poi
60 A. Penk, E. Bruckner, Die Alpen im eiszeitalter, Tauchmitz, Leipzig, 1909. 61 K.A. Habbe, Die Wurmzeitliche vergletscherung des Gardasee- Gebietes, Schulz, Freiburg, 1969.
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termofile. Attorno a 6000 anni fa si nota un aumento di temperatura, il cosiddetto optimum
climatico con la diffusione del querceto misto (quercia, tiglio e olmo) in pianura e in collina,
mentre abete e faggio in zone più elevate. Successivamente il clima si fa più fresco e
secco fino ad arrivare a 4000 anni fa con un clima simile a quello attuale. Con il Neolitico
(dalla seconda metà del v millennio in Italia settentrionale), alla caccia e raccolta si
sostituisce gradualmente, talvolta con una coesistenza delle due economie, l’allevamento
e l’agricoltura.
Ciò è quanto suggerisce Horowitz62 in uno studio sulle variazioni climatiche
intervenute negli ultimi 12.000 anni in Valcamonica. Tale indagine si è basata sull’analisi
dei pollini, delle stratigrafie geologiche e su esami granulometrici.
62 A. Horowitz, Holocene pollen diagrams and paleo-environments of Valcamonica, Northern Italy, in BCSP, XII, 1974
42
Figura 2: tabella delle variazioni climatiche avvenute negli ultimi 12.000 anni, da A. Horowitz, Holocene pollen diagrams and paleo-environments of Valcamonica, Northern Italy, in BCSP, XII, 1974.
Studi più recenti hanno confrontato numerose serie palinologiche lacustri della zona
alpina63, posti a diversa altitudine. I risultati indicano che già tra 16-15,5 mila anni Cal BP,
le principali valli alpine e i versanti esposti a sud fino a oltre 2000 mslm erano sgombri da
ghiaccio, mentre la vegetazione legnosa era scarsa. A quote superiori (attorno a
63 C. Ravazzi et al., L’ultima transizione glaciale-interglaciale sul versante meridionale delle Alpi e in Pianura Padana, in Clima e Cambiamenti Climatici: le attività di ricerca del CNR, CNR, 2007.
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1500mslm) l’ambiente si presentava come una distesa arida, colonizzata qua e là da rada
vegetazione tipica della steppa fredda64.
3.3 Le più antiche presenze umane.
Per una più corretta lettura del territorio e del popolamento che si compì su di esso,
è a mio avviso indispensabile delineare delle linee guida riguardanti le epoche antecedenti
al periodo di nostro interesse. Non mi dilungherò nella critica a posizioni espresse da altri
studiosi, limitandomi a raccoglierle e a proporne un’utile sintesi. Niente si crea da solo,
tutto ha una storia.
3.3.1 Il Paleolitico.
Per il Paleolitico, le attestazioni umane nel bresciano sono scarse, documentando
un intervallo temporale fra i ritrovamenti a volte molto ampio (200.000 anni); è quindi
impossibile delineare un quadro organico del popolamento per tale epoca. Ritrovamenti si
sono susseguiti nell’arco morenico gardesano Mindeliano, il più antico, in cui in stazioni
sulle colline di Carpenedolo, è stata ritrovata industria litica del Paleolitico inferiore (Monte
S.Giorgio65 e Monte Rotondo I66). Sempre ad un momento antico del paleolitico sono da
inserire i manufatti ritrovati a S.Vigilio di Concesio67, costituiti da pochi strumenti a tecnica
64 M.L. Filippi et al., Evoluzione paleoambientale dal Tardoglaciale a oggi ricostruita attraverso lo studio dei sedimenti del Lago di Lavarone (Altopiano di Folgaria e Lavarone, Trentino), Studi Trententini Scienze Naturali, Acta Geol., 82, 2005. 65 66 67 C.Baroni, M.Cremaschi, C.Peretto, Ritrovamenti paleolitici nel Bresciano, in NSAL 1983, Milano, 1984; e C.Baroni, M.Cremaschi, C.PerettoRecenti ritrovamenti paleolitici in Lombardia, in Atti del 2° Convegno Archeologico regionale (1984), Como, 1986.
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protolevalloisiana. Della stessa epoca è pure una scheggia proveniente dalla cavernetta
Ca’ dei Grii a Virle68.
Ad un periodo successivo si datano le rilevanze della collina di Ciliverghe69,
fortemente modificata nel suo aspetto morfologico dall’antropizzazione recente, datate al
Paleolitico medio, probabilmente appartenenti ad un aspetto della Cultura Musteriana,
scarsamente documentata nel bresciano rispetto al vicino veronese. I nuclei, raschiatoi,
punte e schegge di tecnica Levallois, raccolti nel loess superiore all’età würmiana. Ciò
testimonia la presenza di territori a steppe-praterie frequentate da grandi mammiferi,
principale fonte di sussistenza dei gruppi umani. Dello stesso arco temporale è il
ritrovamento lungo il pedemonte di Gavardo, mentre al paleolitico inferiore è ascrivibile
una punta a dorso marginale ritrovata nella località epigravettiana del Büs dei Lader sul
monte Budellone a Prevalle70.
3.3.2 Il Mesolitico.
Per quanto riguarda il Mesolitico le informazioni giunte a noi sono leggermente
superiori: importanti sono le serie di ricognizioni svolte da P.Biagi71 sui laghetti alpini posti
sul Massiccio delle Tre Valli, ad un’altezza di poco inferiore ai 2000 m, sella naturale,
punto di incontro e quindi di passaggio tra la Valle Camonica a est, la Val Trompia a sud e
la Val del Caffaro, tributaria della Val Giudicarie, a nord-ovest. Il fenomeno della presenza
di bivacchi stagionali nei pressi di laghi alpini situati a breve distanza dai passi è assai
68 P.Biagi, Scavi nella cavernetta Cà dei Grii (66 Lo-Bs), in Bollettino del gruppo Grotte Brescia,2, Brescia, 1980. 69 C.Baroni, M.Cremaschi, C.Peretto, Ritrovamenti paleolitici nel Bresciano, in NSAL 1983, Milano, 1984; e C.Baroni, M.Cremaschi, C.PerettoRecenti ritrovamenti paleolitici in Lombardia, in Atti del 2° Convegno Archeologico regionale (1984), Como, 1986; e Baroni, Biagi, 1987, Rinvenimento di manufatti mesolitici sulla collina di Ciliverghe (Brescia), in Natura Bresciana, 24, Brescia, 1987 70P.Biagi, Strumento litico del Paleolitico superiore nella caverna Büs dei Lader, in Natura Bresciana, 13, 1976. 71 P.Biagi, Le più antiche presenze umane, in AA.VV., Laghi alpini del Bresciano. Paesaggio, Natura, Archeologia, Antiche descrizioni, Brescia, 1985.
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frequente in tutto l’arco alpino e nell’Appennino ligure e tosco-emiliano. Il sito meglio
documentato è quello del lago Ravenole72, dove sulla sponda sud sono stati raccolti
materiali di selce scheggiata inquadrabile nel Mesolitico Antico (tra l’ 8500 e il 7500 BP),
durante un momento climatico Boreale; la presenza di nuclei indica la lavorazione il loco
degli strumenti tratti da arnioni importati sul posto. Diviso dal passo di Ravenole, in una
valle sospesa si situa il lago Dasdana73, sulla cui sponda nord si sono raccolti manufatti di
selce scheggiata. Più scarsi i ritrovamenti sulle sponde dei laghi Bruffione74, Vaia75 e Val
Fredda76; mentre ai laghetti del Crestoso77, gli scavi hanno restituito elementi strutturali
(focolari e pozzetti) datati 7770-7550 cal BP e una buona quantità di industria litica. Questi
ritrovamenti sono ascrivibili al Complesso a Triangoli. Confronti con i tipi litici sembrano
ricondurre ai ritrovamenti trentini del Colbricon, inquadrabili nel periodo di tempo Boreale.
Pure la situazione geografica è simile a quella trentina, con accampamenti probabilmente
stagionali, su cui veniva posto un grande controllo su questa direttrice di spostamento
estivo dei capi selvatici. I laghetti servivano probabilmente per l’abbeveraggio degli
ungulati che in questo momento diventavano facile preda dei cacciatori mesolitici. La selce
ritrovata sulle sponde lacustri, non è di origine locale, ma importata forse dalle colline
moreniche del lago d’Iseo. Ed è proprio in questa zona e in generale nei fondovalle
dell’Oglio e del Chiese, che si pensa debbano essere localizzati i campi base da cui
partivano i cacciatori nel periodo estivo.
72 73 P.Biagi, Lago ovest di Ravenole (Bs), in Rivista di Scienze Preistoriche, XXXIII, fasc.2, 1978. 74 P.Biagi, Lago di Bruffione (Bagolino, Bs), in Preistoria Alpina, 12, Trento, 1976. 75 P.Biagi, Le più antiche presenze umane, in AA.VV., Laghi alpini del Bresciano. Paesaggio, Natura, Archeologia, Antiche descrizioni, Brescia, 1985. 76 P.Biagi, Le più antiche presenze umane, in AA.VV., Laghi alpini del Bresciano. Paesaggio, Natura, Archeologia, Antiche descrizioni, Brescia, 1985. 77 P.Biagi, Le più antiche presenze umane, in AA.VV., Laghi alpini del Bresciano. Paesaggio, Natura, Archeologia, Antiche descrizioni, Brescia, 1985 e P.Biagi, Dorsale fra media Val Camonica e alta Val Trompia, in NSAL 1986, Milano, 1987.
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In riva al lago d’Iseo, sono documentate due stazioni: alla Torbiera di Iseo e a
Provaglio d’Iseo78, le quali hanno fornito una gran quantità di nuclei e manufatti non
ritoccati, il che ha fatto pensare che gli arnioni venissero sbozzati in loco per produrre poi
manufatti. L’ipotesi è quella che i campi base fossero dislocati nei fondovalle, mente le
stazioni di alta quota fossero utilizzate stagionalmente per il procacciamento del cibo;
quindi nell’ottica di un nomadismo verticale.
Del momento di transizione fra i Complessi dei Triangoli e quelli dei Trapezi è la
stazione sopra il Fienile Rossino79, sull’altipiano di Cariadeghe, a quota poco inferiore di
78 P.Biagi, Introduzione al Mesolitico della Lombardia, in Atti del 1° Convegno Archeologico Regionale (1980), Brescia 1981. 79 P.Biagi, Il giacimento sopra fienile Rossino sull’Altopiano di Cariadeghe (Serle,Bs), in Preistoria Alpina, 8, Trento, 1972.
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1000 m, nelle immediate vicinanze del passo che conduce verso le Coste di S.Eusebio;
anch’essa zona di passaggio.