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Pagina Fisica: INSERTI - NAZIONALE - 19 - 03/05/08 - Pag. Logica: INSERTI/PAGINE [TUTTOLIBRI_18] - Autore: SILRUF - Ora di stampa: 30/04/08 11.47

TERRA MADREDALL’ AFRICA

ALL’IRAN, ALL’INDIA

TERRA MADREFRA EST

E AMERICA LATINA

Ritorna «Terra Madre», lo spazio ideatodalla Regione Piemonte per incontri eincroci fra lingue e identità delle culturepiù lontane e diverse.Una lettura teatrale consentirà discoprire un classico della letteraturaaraba, i trecenteschi «Viaggi» di IbnBattuta, il Marco Polo dell’Islam, spintosifino all’India e alla Cina.Sarà presentata la casa editrice italianain lingua araba Sharq/Gharb(Est/Ovest): pubblica autori arabi inprima edizioni e autori italiani tradotti inarabo, Cerami e la Ferrante. Un’idea diSandro Ferri, l’editore di e/o.Dall’Africa sono annunciati la gaboneseSandrine Bessora, considerata unanipotina di Queneau e Jarry, e l’ivorianaVéronique Tadjo.La condizione femminile innerva iromanzi della srilankese V. V.Ganeshananthan (Garzanti), dell’indianaSunny Singh (L’ ancora delMediterraneo), della bengalese SelinaSen (Neri Pozza), delle iraniane DaliaSofer (Piemme) e Marina Nemat (Cairo).Nirpal Dhaliwal, nato in Inghilterra dagenitori emigrati dal Punjab, ritrae lasgangherata Londra multiculturale perGuanda. Dalla Turchia Elik Shafak, con«Il Palazzo delle pulci» (Rizzoli). Il primoromanzo le ha attirato gravi minacce,incentrato com’è sul genocidio armeno:ne assunse le difese il Nobel OrhanPamuk. Anch’esso dedicato alla tragediadegli armeni, il romanzo «Heranush mianonna», in chiave palesementeautobiografica, di Fathiye Cetin,pubblicato da Alet.

Significative le voci che provengonodall’Est: il bulgaro Georgi Gospodinov(Voland), il serbo Aleksandr Gatalicapresentato da Predrag Matvejevic(pubblicato da Diabasis), il rumenoitalianizzato Mihai Mircea Butcovan (perBesa racconta le vicissitudini sentimentalidi un immigrato che si innamora di unagiovane leghista brianzola).Dalla Georgia, i poeti e i narratori BesikKharanauli, Lia Sturua, Emzar Kvitaishvilie Levan Beridze.Tra le altri voci alla Fiera, di oggi o di pocofa, il cubano Eduard Manet, narratore,regista, drammaturgo, da quarant’anni aParigi (Ilisso), e César Vallejo, il grandepoeta cileno scomparso settant’anni fa :«Tutte le poesie» sono pubblicate contesto a fronte dall’editore Gorée; gli sirenderà omaggio con il concerto, lospettacolo di chiusura, di Tania Libertad,la «regina del bolero».Altri momenti musicali: il duoisraelo-iranianao Esta & Yarona Harel,l’ensemble mongolo Khukh Mongol, lacantante palestinese Lubna BassalSalameh, Miriam Meghnagi (mescola latradizione ebraica con le più svariateesperienze musicali del Mediterraneo),l’italo-etiope Saba copn il percussionistacamerunense Tatè Nsongan, il senegaleseCheikh Fall, gli argentini Lautaro e MiguelAngel Acosta, impegnati nella diffusionedella musica popolare dell’America Latina.«Lingua Madre» è anche un concorsoletterario nazionale, ideato da DanielaFinocchi, riservato alle donne straniere inItalia, con una sezione dedicata alle donneitaliane. Premiazione lunedì 12.

PLASMAREIL CORPOE’ UN VEROPIACERE

MARCOAIME

Il detto popolare «non è bello ciòche è bello, ma è bello ciò che piace» è unaperfetta e assoluta espressione di pensierorelativista. Lo è se non ci limitiamo a ricono-scere le preferenze individuali, ma se accet-tiamo il fatto che i canoni di bellezza non so-no affatto un dato condiviso, ma sono il pro-dotto di scelte culturali.

Il primo soggetto che le popolazioni uma-ne delegano a esprimere il loro concetto dibellezza è il corpo. Non esiste una cultura almondo, che accetti il corpo così com'è, cosìcome ci viene donato da madre natura. Nes-suna società che accetti di lasciare i capelliincolti, che non limiti la crescita delle un-ghie, che non applichi qualche sostanza sul-la pelle. Il corpo viene poi disegnato, inciso,scolpito, amputato, modellato. Quasi l'uomovolesse sancire con queste operazioni il suodistacco dalla natura, marcarne la differen-za, per spostarlo sul terreno della cultura.

Il corpo diventa in questo modo semprepiù innaturale, per poter apparire «bello»agli occhi di chi lo modella. Tavolozza da co-

lorare con pitture e pigmenti, che se ne an-dranno o da segnare per sempre con tatuag-gi indelebili. Oggetto da incidere come nelcaso delle scarificazioni o delle cicatrici etni-che o in modo ancora più evidente con la cir-concisione e le mutilazioni genitali femmini-li. Materia malleabile, che gli esseri umanimodellano, scolpiscono, amputano. L'allun-

gamento del collo tramite l'apposizione pro-gressiva di anelli di metallo, che caratteriz-za le cosiddette donne-giraffa del gruppo pa-daung, dello Myanmar del sud, i piattelli la-biali portati dalle donne mursi della valledell'Omo (Etiopia meridionale), la dolicoce-falia, cioè l'allungamento del cranio in usotra i mangbetu della Repubblica Democrati-ca del Congo, la compressione dei piedi per

impedirne la crescita, praticata sulle donnecinesi, sono esempi di come il corpo possaessere plasmato, reso, secondo i criteri diuna determinata cultura, più «bello».

Il gusto estetico di una popolazione nonsi limita certo al corpo, ma si estende alla re-altà che la circonda. Per esempio, presso iPeul, popolazione di allevatori nomadi dell'Africa occidentale, la mucca rappresentaun'ideale condiviso di «bello». Infatti, è pro-tagonista della ricchissima letteratura ora-le, che ne esalta la bellezza con poemi raffi-nati, dove viene chiamata «tortora del para-diso». Nel Fantang, un poema mitico, la bel-lezza delle vacche viene addirittura messa aconfronto con quella delle donne, le quali,narra il poema, per essere belle devono in-dossare monili, mentre le vacche «non han-

no braccialetti, né collane d'ambra. Ovun-que passino, di giorno o di notte, si crea unospettacolo».

De gustibus non est disputandum, ma al dilà del relativistico rispetto delle scelte altruiesiste un'idea universale di bellezza oppuresiamo condannati a godere solo delle nostreestetiche, senza mai poter riuscire ad ap-prezzare il bello degli altri?

Ogni gusto è il prodotto di una costruzio-ne culturale specifica, che finisce per radi-carsi nella pratica quotidiana, fino a diveni-re abitudine ed essere pensato come «natu-rale». In realtà, proprio perché costruitostoricamente e non ascritto, ogni canoneestetico è suscettibile di essere trasformato,di arricchirsi di nuovi apporti, di nutrirsidella diversità incontrata. Così accade, cosìè sempre accaduto.

Il piacere del bello non nasce da un'anali-si razionale, ma dall'emozione e dal senti-

mento, i quali, per quanto educati cultural-mente, possono aprirsi a nuovi orizzonti.Per esempio, sul piano musicale l'Africa hamesso in atto negli ultimi cinque-sei decen-ni una vera e propria forma di colonizzazio-ne del nostro immaginario musicale. Dalblues al rap, dal rock 'n roll al soul, la ritmicaafricana ha caratterizzato gran parte dellamusica contemporanea, fondendosi con mil-le altri ritmi e timbri di ogni parte del mon-do. Le espressioni musicali nate da questi in-trecci ci sono divenute familiari e ne apprez-ziamo la bellezza, seppur basata su canoni anoi inconsueti fino a qualche tempo fa.

Andando in giro per il mondo, accadeche gli altri siamo noi. André Schaeffner, ilmusicologo della missione etnologica Dakar-Gibuti del 1931, si rese ben presto conto chenon esisteva un gusto comune e che quellache in Europa veniva chiamata «musica ne-ra» aveva intrapreso un viaggio senza ritor-no. All'ascolto di dischi di jazz gli africani deivillaggi si mostravano assolutamente indif-ferenti, se non addirittura irritati.

È difficile per noi comprendere il com-plesso simbolismo dei dipinti degli aborige-ni australiani, i quali non prevedono neppu-re di essere osservati frontalmente, fissatiin una posizione precisa con un alto e unbasso. In alcuni casi vanno guardati in mo-vimento, o danzando. I complessi intreccidi linee a punti contengono informazioni dicarattere rituale, geografico, anatomico.Senza il necessario bagaglio culturale, nonne capiamo l'intera portata simbolica, maquesto non ci impedisce di gustarne il valo-re estetico, che comunque verrà misuratosecondo il nostro gusto. Si può ammirare ilprofilo stilizzato di una maschera africana,come quella che tanto colpì Picasso, da ispi-rarlo per i volti delle Demoiselles d'Avignon,anche se quella maschera era stata conce-pita per essere utilizzata in un rituale e pos-siede una carica simbolica a noi sconosciu-ta. Possiamo però fare come lo stesso Pi-casso, che ammetteva: «Non so nulla diquesta maschera. Sento solo che emanauna grande forza».

Nessuno lo accetta com’è, vienedisegnato, modellato, amputatoper marcare le differenze:dall’allungamento del colloalla compressione dei piedi

Gli intrecci di lingue, riti,simboli cambiano e arricchisconoil «canone»: basti pensareall’incontro di noi occidentalicon l’arte e la musica africane

Il bello degli «altri» Estetica e gustonon sono dati in natura, ma specificiprodotti di diverse costruzioni culturali

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SABATO 3 MAGGIO 2008LA STAMPA XIX

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