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Ancora oggi, con la regolarità di unamoneta falsa, presunte storie di spionaggioe tradimenti in capo alla Regia Marina du-rante la seconda guerra mondiale continua-no a far capolino sulla stampa quotidiana ein libreria.

In un mondo che continua a credere, alivello diffuso, a leggende come quelledella papessa Giovanna e di Anastasia, fi-glia sopravvissuta dello Zar, le speranzedi riuscire a raddrizzare, col passare deltempo, questo stato di cose sono presso-ché nulle. Niente impedisce, però, di esa-minare, sulla solida base degli atti proces-suali del tempo, quello che successe dav-vero, prima e durante l’ultimo conflittomondiale, tra le file della Marina e di for-mulare, alla fine, qualche conclusione nonperegrina in merito a questa particolareforma di guerra indiretta sul mare, di persé eterna come tutto quello cha attiene al-l’acqua salata.

Dodici pallottole

I termini della questione sono, dal puntodi vista giuridico e procedurale, assoluta-mente netti e definiti. Il reato di spionaggiorientrava, infatti, nella competenza del Tri-bunale Speciale per la difesa dello Stato,istituito dal nascente regime nel 1926 ecompetente esclusivo in materia di «Tradi-mento della Patria». Tra il 1926 e il 1943quella corte, priva della possibilità di ricor-rere in appello o di impugnarne la senten-za, irrogò 42 condanne capitali, 31 dellequali eseguite, tutte mediante fucilazione(1). 25 delle 31 esecuzioni erano attinential reato di spionaggio (2); cinque dei fuci-lati erano coinvolti in episodi relativi allaRegia Marina e tre di costoro erano ufficia-li, sottufficiali o dipendenti di questa ForzaArmata, richiamati oppure in Servizio Per-manente Effettivo. Data una forza media dicirca 80.000 uomini, tra ufficiali, sottuffi-

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MARINAI E SPIE

ENRICO CERNUSCHI (*)

SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE

Processi per spionaggio e fucilazioni in Italia, 1933-1943

(*) Cultore di storia navale fa parte del Comitato scientifico della rivista STORIA militare. Pubblica rego-larmente in Italia, Gran Bretagna e negli Stati Uniti. I suoi libri più recenti sono On Seas Contested e Lenavi ospedale italiane 1935-1945.Classe 1960, è un bolognese radicato a Pavia dove lavora come funziona-rio di una delle maggiori banche italiane.

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ciali, graduati e comuni fino alla guerra edi oltre 250.000 nel corso del conflitto è unpo’ poco per scrivere, come ha fatto qual-cuno, di una: «(…) Marina piena zeppa ditraditori, dalle furerie fino al piano nobiledel Ministero e ai vertici dello Stato Mag-giore, come testimoniano le carte proces-suali», ma andiamo con ordine.

Il primo caso fu quello, emerso nel 1933e descritto con abbondanza di particolari daEnzo Magrì nel di lui saggio citato in bi-bliografia, del Capo Ugo Travaglia. Vittimadel sistema classico consistente nel fargliperdere la testa per una bella francese, anzi

monegasca, anzi italiana da Brescia, taleCamilla Agliardi, afflitta apparentementeda parecchi quattrini, lo sventurato sottuffi-ciale andò incontro alla propria rovina pas-sando al Deuxième Bureau transalpino al-cuni lucidi di disegni relativi ai piani co-struttivi di alcune unità in quel momentosullo scalo. Scoperto affrontò la condanna el’esecuzione, avvenuta a Forte Braschi, congrande dignità. La donna, condannata an-ch’essa e definita, dopo la guerra, con unacerta esagerazione, «la Mata Hari italiana»trascorse i successivi undici anni in prigio-ne prima di essere sbrigativamente liberatadai Francesi grazie alla collaudata acquie-scenza davanti a tutto del primo ministroBadoglio pochissimi giorni prima della dilui caduta e del correlato, definitivo allon-tanamento del Maresciallo dalla vita pub-blica italiana (3).

Seguì, nell’agosto 1938, la scoperta, aopera dei Carabinieri per la Marina e dellaPolizia, di una rete spionistica inglese for-mata in buona parte da elementi già au-striaci passati, dopo il 1919, nelle file dellaRegia Marina. Il maggiore imputato, de-gradato con infamia e fucilato subito dopo,il 6 marzo 1939, da un plotone di marinaial comando del tenente del CREM AntonioLangiu, fu, come ha ricordato l’ammiraglioDe Courten nelle proprie memorie editedall’Ufficio Storico della Marina Militare,il tenente di vascello Antonio Scarpa. Co-stui aveva fatto in precedenza, tra il 1915 eil 1918, per conto degli Italiani, lo stessomestiere di spia fornendo al Reparto Infor-mazioni della Regia Marina parecchie utilinotizie da comandante di torpediniere del-l’Imperial Regia Marina asburgica. Il flus-so di informazioni, spesso molto tempesti-ve, attinenti alle uscite, alle operazioni eagli sbarramenti in Alto Adriatico era statoanzi tale che a un certo punto la KuK Ma-rine, avendo mangiato la foglia, aveva cer-

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Un manifesto italiano dell’epocadi Gino Boccasile celebre illustratore italiano.

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cato con insistenza un inesistente cavo te-legrafico clandestino che, secondo lo StatoMaggiore di Pola, doveva collegare «perforza» la penisola istriana alle coste avver-sarie. In realtà i messaggi erano saltuaria-mente ritirati da idrovolanti della RegiaMarina che ammaravano di notte in due lo-calità convenute.

Contattato dai Britannici nel 1935 Scar-pa, assieme ad altri suoi ex connazionali,era stato successivamente richiamato e as-segnato alla base sommergibili di Augusta,cosa questa che permise agli Inglesi di met-tere le mani, nel 1937, sia sulla prima edi-zione di quell’anno del cifrario di Marico-som SM 19 S sia, per un certo periodo, lerelative tabelle di sopracifratura. Preso incastagna dopo aver comunicato la sistema-zione difensiva di quella piazzaforte fu pro-cessato, condannato e giustiziato. I sospetticirca l’avvenuta compromissione delle co-municazioni dei sommergibili erano peral-tro già emersi, come testimonia il notissimoDiario di Ciano, già l’8 settembre 1937spingendo, di conseguenza, la Marina acambiare immediatamente le tabelle, intro-ducendo quello stesso mese le nuove serieBis e Ter, sia spingendo, di conseguenza,gli Inglesi a rubare, il 7 dicembre 1937, lamacchina cifrante meccanica Enigma ma-tricola «K-203» venduta dai Tedeschi agliSpagnoli avviando poi, a partire dall’aprile1938, una prima stagione di lettura, duratadodici mesi, dei messaggi amministrativitrasmessi dalla Regia Marina con quellamacchina cifrante grazie al periodico acqui-sto (e non, come è stato detto, alla decritta-zione) del relativo libro delle chiavi.

Successivamente, alla fine del maggio1940, essendo ormai imminente l’iniziodella guerra con la Francia, il controspio-naggio della Marina pose termine a un’o-perazione di infiltrazione in atto sin dal-l’anno precedente nei confronti di una rete

informativa transalpina attiva tra la Liguriae Taranto. Come esca fu utilizzato, essendoormai compromesso, il piano delle difesedi Augusta. I vertici dell’organizzazionefrancese (avendo messo le mani, in prece-denza, su una copia dei disegni del torrio-ne delle «Littorio» passati loro da un dise-gnatore dell’Ansaldo) abboccarono e fini-rono con le manette ai polsi nel giro di po-che ore. Nel dicembre 1939 erano già statiarrestati anche due furieri dell’Arsenale diTaranto accusati di aver passato quellostesso anno ai Francesi le veline di alcunelettere dell’Arsenale. Processati assieme alloro contatto italiano, un disertore dell’e-sercito chiamato Aurelio Cocuzza, il cuinome era già stato rivelato da Marc’Anto-nio Bragadin nel 1969, uno degli sciagura-ti dipendenti dell’Arsenale, avvicinati an-ch’essi, inizialmente, da una «bella crude-le», fu condannato a morte e fucilato il 22dicembre 1940. La notizia dell’esecuzionefu opportunamente divulgata per vie tra-verse dando, in questo modo, l’impressio-ne che si trattasse di una vicenda legata al-la di poco precedente «notte di Taranto»dell’11 novembre 1940 allo scopo di soddi-sfare, in questo modo, il turbamento dell’o-pinione pubblica. Si trattò di un’iniziativapropagandistica del partito fascista presa almassimo livello con l’avvallo dello stessoMussolini e destinata, in seguito, come ve-dremo, a dare la stura alle «voci» contro laMarina con esiti negativi ancora oggi at-tuali. Mimmo Franzinelli ha successiva-mente fatto il nome, nel proprio Guerra dispie, del furiere condannato alla pena capi-tale: Francesco Ghezzi.

Più delicato è, per contro, il caso di Lau-ra d’Oriano, unica donna fucilata in Italia,fino all’armistizio dell’8 settembre 1943,per spionaggio. L’esecuzione ebbe luogo il16 gennaio 1943 a poco più di un anno dal-l’arresto, avvenuto il 26 dicembre 1941, e

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del successivo processo. Secondo quanto sidisse la D’Oriano aveva iniziato la propriaattività informativa a beneficio dei France-si e, per il loro tramite, degli Inglesi dal-l’autunno del 1940 in poi. Messa sotto os-servazione, di lì a un anno, dal RepartoInformazioni della Regia Marina, entròclandestinamente in Italia nel dicembre1941. Fece appena in tempo a spedire daGenova un paio di lettere (subito intercet-tate), scritte con l’inchiostro simpatico, re-lative alle navi da guerra osservate in por-to salvo essere arrestata subito dopo. Que-sta vicenda, ricordata anche in televisionenel 2011 mediante un appassionato sceneg-giato televisivo dovuto anche alla devozio-ne di una di lei discendente è, complessiva-mente, abbastanza nota. Anche la memo-rialistica ha ricordato con simpatia questatrentenne sfortunata caduta in un giocotroppo grosso e pericoloso. La verità pro-cessuale, tuttavia, come si insegna a Giuri-sprudenza, non è quella assoluta. Il con-fronto delle fonti permette, pertanto di ap-prezzare qualche cosa di più circa quel ca-so tanto particolare da meritare, a cura delregime, un’insolita pubblicità nel gennaio1943 sul genere di quella, per intenderci,già propagandata nel dicembre 1940.

Il generale Cesare Amé, responsabile delServizio Informazioni Militare del RegioEsercito tra il settembre 1940 e l’agosto1943, ricordò, invero, nel proprio Guerrasegreta in Italia, apparso nel 1954, che: «Susegnalazione del Servizio germanico venneidentificata e arrestata a Bordeaux una gio-vane italiana che, in intimità con militaridella nostra base di sommergibili colà orga-nizzata, segnalava al Servizio nemico i mo-vimenti delle nostre unità subacquee». Inrealtà i Tedeschi, come vedremo, brancola-rono nel buio ancora per due anni e mezzo.La «soffiata» fu viceversa opera, alla fine diagosto del 1941, dei Servizi polacchi. Es-

sendo rimasta Roma, sin dall’ottobre 1939,l’ultima potenza maggiore a riconoscereancora l’originario governo di Varsavia(sbrigativamente internato, su preghiera de-gli Anglo-francesi, in Romania nel settem-bre 1939 e sostituito, a Londra, da un go-verno in esilio creato in provetta dagli In-glesi ricorrendo ad alcuni vecchi fuoriusci-ti di loro gradimento), i Polacchi avevanoinfatti avviato, sin dal maggio 1941, a uncomplesso gioco di sponda volto a preser-vare, per quanto possibile, il loro disgrazia-to Paese e i suoi ancora più sventurati abi-tanti dal doppio incubo nazista e sovieticopassando, in cambio, di tanto in tanto, utiliinformazioni e proponendo i propri buoniservigi in vista dell’auspicata pace generaledata, tra l’altro, l’assenza di uno stato diguerra tra loro e gli Italiani (4).

Fermo restando, pertanto, il fatto chetutti i memoriali postbellici in materia dispionaggio e controspionaggio sono sem-pre da prendere con le molle, gli atti delprocesso affermano, a loro volta, che laD’Oriano svolse una missione informativaa Bordeaux, dove conobbe tra l’altro, nel-l’estate 1941, tre distinti marinai italianiprima di lasciare le coste dell’Atlantico nelsettembre 1941.

In realtà proprio i tempi sono decisiviper definire i corretti contorni, e le correla-te responsabilità, di questa storia. I France-si hanno infatti rivelato da oltre mezzo se-colo l’attività dell’ingegner Jacques Stos-skopf, un alsaziano dipendente dell’Arse-nale di Lorient. Padrone di un tedesco per-fetto e di nervi a tutta prova, Stosskopfgiocò sin dal 19 giugno 1940 il ruolo delperfetto collaborazionista rischiando gros-so con i propri compatrioti salvo passaresin dalle primissime battute ai Britanniciutili informazioni in merito ai movimentidei battelli dell’Asse. La sua rete, allarga-tasi nel tempo e denominata Sea-Star, fu

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infine scoperta dai Tedeschi il 21 febbraio1944. In occasione del processo, indetto aFribourg-en-Brisegau, l’accusa germanicadocumentò la responsabilità di quella retein merito agli affondamenti dei sommergi-bili U51, silurato dal battello inglese Ca-chalot davanti a Belle-île il 20 agosto 1940,Faà di Bruno (distrutto, secondo gli stessiInglesi, su appuntamento, dal caccia ingle-se Havelock l’8 novembre 1940 a ponentedel faro di Cordouan), Tarantini, silurato il15 dicembre 1940 alla foce della Girondadal battello britannico Thunderbolt, eBianchi, affondato dal similare inglese Ti-gris il 5 luglio 1941, ovvero il giorno dopola propria partenza da Bordeaux. Data ladelicatezza della questione è comprensibi-le che non sia mai stato possibile fare pie-na luce sull’intera vicenda anche se Giu-seppe Conti, a pagina 322 del suo Guerradi spie, scrive tra virgolette, riprendendodagli atti del procedimento, che la D’Oria-no «(…) per sua stessa ammissione, avevagià compiuto missioni spionistiche a Bor-deaux,presso quella nostra base di som-mergibili». Stosskopf, preso assieme a 108altri elementi della propria rete informati-va, fu torturato selvaggiamente e infine uc-ciso nel campo di concentramento diStruthof il 1 settembre 1944. Una fine orri-bile, peggiore, se possibile, di quella dellaD’Oriano e analoga all’agonia dei marinaidel Tarantini rimasti bloccati a prora e chetentarono invano di uscire dal battelloaffondato prima di morire soffocati (5).

Il segno dei tempi

Esaurite, in questo modo le quattro, tristivicende di spionaggio ai danni della RegiaMarina passate dall’Aula IV del Tribunaledi Roma dedicata al Tribunale Speciale econcluse con la scarica del plotone di ese-

cuzione, è necessario registrare una curio-sa evoluzione nel tempo di quegli stessifatti. A due generazioni di distanza da que-gli avvenimenti, infatti, il clima e il ricor-do sono mutati, nel tempo. La primogeni-tura di questo stato di cose, destinato evi-dentemente a documentare la fine, psico-logica, delle grandi tensioni italiane legatealla seconda guerra mondiale, spetta alleiniziative, messe in atto nel 1992, di iscri-vere retroattivamente il povero Ugo Tra-vaglia nelle file del socialismo e dei suoimartiri. Si trattava, in assenza di elementiche certo non emergono dalle carte proces-suali (dove una simile circostanza sarebbestata, casomai, un’aggravante) dell’enne-simo frutto del complesso d’inferioritàprovato dal vecchio PSI nei confronti delPartito Comunista sin dal pomeriggio del26 aprile 1945, momento dell’entrata inMilano dei primi contingenti di duri del-l’Oltrepo destinati a prevalere immediata-mente sui pochi «partigiani di città» mene-ghini, «con le scarpe basse e la barba fat-ta» tosto accusati di scarso mordente e, so-prattutto, «di voler fare al rivoluzioned’accordo con la Muti e la Decima MAS».La repentina fine, di lì a poco, di quel par-tito non avrebbe comunque riposto nel di-menticatoio quel remoto caso del 1933.Altri autori, infatti, avrebbero ripresoquella storia ponendo, questa volta, nelruolo dell’eroina, la presunta «Mata Hari»,Camilla, facendone, con disinvoltura, unaprotagonista dell’antifascismo in nome delfemminismo. Il medesimo merito sarebbestato riconosciuto, in seguito, anche allapovera D’Oriano.

Ferma restando la necessità, per qualsia-si giornalista, di edulcorare i fatti per ven-dere i propri prodotti, resta tuttavia da chie-dersi se questo favore a posteriori sia deltutto opportuno. Politici navigati e di granvaglia come, per esempio, Togliatti e La

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Malfa, infatti, oggi annoverati tra i padrinobili della Patria, furono infatti sempre at-tentissimi nell’evitare, durante e dopo laguerra fino a tutti gli anni Sessanta e Set-tanta, qualsiasi coinvolgimento dei partiticomunista e azionista (diventato, in segui-to, repubblicano) con quei fourgons del’adversaire carichi di fuoriusciti copertid’infamia, non a caso, da Stendhal nono-stante le contemporanee critiche di quelgrande scrittore nei confronti di Bonaparte.

Furono così volutamente dimenticate,per il bene delle istituzioni e la concordiadei cittadini, vicende importanti e di gran-de spessore umano quali l’attività di spio-naggio e guerriglia svolta in Africa Orien-tale tra il 1939 e il 1940, per conto di Fran-cesi e Inglesi, di un gruppo di combattentid’eccezione reduci dalla Spagna ricordatiin seguito, e pressoché clandestinamente,nel 1971, da Enzo Rava nel proprio I com-pagni. Parimenti trascurato fu pure il gros-so appoggio logistico assicurato nel 1941,dopo la parentesi del Patto Ribbentrop-Molotov, dalle cellule comuniste della Ve-nezia Giulia ai partigiani sloveni sfociato,infine, dal 1942 in poi, nella lotta armata(6). E anche il tentativo messo in atto in Si-cilia nella primavera 1943, nell’ambitodella concentrazione antifascista, dagliesponenti comunisti Franco Grasso e Giu-seppe Montalbano allo scopo di formaredei nuclei armati destinati a operare dietrole linee italiane e tedesche in vista della fu-tura invasione, fu messo nel dimenticatoio,tanto più che in quell’occasione costoroscoprirono che i separatisti dell’isola (incontatto con gli Inglesi sin dai primi giornidel 1940) avevano già monopolizzato le ar-mi e, soprattutto, gli uomini disposti a bat-tersi in quel senso (7). Parimenti miscono-sciuto restò inoltre il ruolo giocato dai ma-quis formati da lavoratori e fuoriusciti ita-liani in Francia dopo il novembre 1942,

epoca dell’occupazione italo-tedesca dellaZona libera francese. Eppure si trattò diun’azione assai più attiva di quella dei par-tigiani francesi — i quali totalizzarono intutto, tra l’agosto 1941 e la fine del dicem-bre 1943 l’uccisione di appena 41 soldatitedeschi (8) — culminata nell’assalto pres-so Nizza a un furgone portavalori della IVArmata verificatosi l’11 maggio 1943 con-cluso con un grosso grisbì e con la morte didue carabinieri cui seguì una severissimainchiesta e l’arresto dei colpevoli, condan-nati nell’agosto 1943.

Fu necessaria, per contro, una persona-lità controcorrente come quella di IndroMontanelli per dichiarare che nel giugno1943 il Partito d’Azione stava tentando diformare una banda armata in Valsassina(9). L’iniziativa fallì sul nascere in seguitoalla solita retata della polizia, ma non era inrealtà la prima. Forti dei solidi legami mes-si in piedi ben prima della seconda guerramondiale, i Britannici si aspettavano, infat-ti, dai pochi ma apparentemente determi-nati azionisti, molto di più. Già il 20 di-cembre 1940 il ministro Hugh Dalton, Di-rettore del SOE (Special Operations Exe-cutive) aveva chiesto ai «suoi» milanesi diassassinare Mussolini nel corso di una visi-ta del dittatore data per imminente nel ca-poluogo lombardo. La secca replica (Theyall will be killed!, ossia «Si faranno am-mazzare tutti») formulata da Churchill neiconfronti del piano e riportata nel propriodiario dello stesso Dalton va a sua voltamessa a confronto con l’asciutta replica diquel disinvolto ministro, titolare del dica-stero dell’Economic Warfare No doubt.But that is war. If they can add to the con-fusion and loss of morale, they will help usto a victory (10).

Il mancato arrivo a Milano del Capo delgoverno italiano e una certa qual riluttanzadei congiurati provocarono, alla fine, la

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cancellazione dello schema sollevando l’ir-ritazione di Dalton il quale avrebbe parla-to, anche in seguito, fino al 1945, di «scar-so ardimento» dei suoi Italiani (11). Con-vinto, alla fine, che chi fa sa sé fa per treHugh Dalton tentò nuovamente il colponell’agosto 1942. Il 26 di quel mese, infat-ti, tre commandos britannici sbarcarononei pressi di Riccione dal sommergibileTurbolent con l’ordine di uccidere «Mus-so», in quel momento in villeggiatura nellacittadina romagnola, per poi raggiungere laSvizzera grazie ad alcune complicità loca-li. Catturati da uomini della Regia Guardiadi Finanza poco dopo aver preso terra i trefinirono in un campo di prigionia, mentre ilPrimo Ministro italiano rientrò, subito do-po, a Roma in volo (12).

La discrezione che ha avvolto, fino a ie-ri, queste iniziative azioniste è, di per se,tanto più spiacevole in quanto ha impedi-to, tra l’altro, per molto tempo di apprez-zare l’importanza, ai fini storici e correnti,di un dialogo per così dire «socratico» ve-rificatosi mediante uno scambio di lettereavvenuto nel gennaio 1942 tra il ForeignOffice, ovvero il Ministero degli Esteri in-glese, e il SOE. L’oggetto del contenderetra le due organizzazioni era il valore daattribuire alle promesse che i Servizi bri-tannici, sempre tra loro divisi e in guerra,avevano formulato nei confronti dei lorointerlocutori italiani, parimenti l’un control’altro armati, anche se accumunati dal co-mune desiderio di liberare l’Italia dal fa-scismo e di prendere il potere al suo posto.La serena e conclusiva risposta del Mini-stro degli Esteri inglese fu quella di nonpreoccuparsi troppo. L’unico scopo dellevarie promesse più o meno generose fatteera, infatti, soltanto quello di determinareuna …German occupation della penisolain seguito a una crisi politica romana. Do-po di che il peso delle successive, recipro-

che uccisioni tra i due ex partner dell’As-se e le relative distruzioni avrebbero mes-so comunque gli Italiani superstiti nellacondizione di non poter più pretendere, inogni modo, nulla da Londra, neppure nelcaso, giudicato possibile e auspicabile, diun successivo analogo rivolgimento inGermania destinato finalmente a spianarela strada a un’ala ragionevole del partitonazista in vista di un rinnovato accordoanglo-tedesco da sottoscrivere sui cadave-ri francese e italiano sul genere di quellosantificato dal trattato navale tra Londra eBerlino del 18 giugno 1935, successiva-mente rovinato dalle mene del «diavologrosso» Mussolini (13).

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Audiatur et altera pars

Esaurita in questo modo la doverosa ana-lisi delle intenzioni immediate e di lungomoto degli avversari e dei loro più o menoconsapevoli strumenti, è ora opportuno do-mandarsi cosa è successo, contemporanea-mente agli episodi di spionaggio verificati-si ai danni della Regia Marina documentatiin precedenza, dall’altro lato della collina.

I Francesi eseguirono sbrigativamente,nel 1944 e nel 1945, una lunga serie di fu-cilazioni per spionaggio e tradimento cheinteressarono, in primo luogo, numerosicorsi, oltre ad alcuni Italiani, tra i quali lafiglia dell’ammiraglio Giulio Vannutelli,giudicata colpevole di «crimini contro laMarine Nationale».

Gli Inglesi furono parimenti discreti. Lacronaca ricorda, tra gli altri, oltre al casodello sfortunato irredentista maltese Car-melo Borg Pisani, medaglia d’oro e bennoto in Marina, impiccato nel novembre1942, il capitano dei Seaforth HighlandersNorman Baille-Stewart, spia al soldo del-l’Asse e, dopo la fuga in Germania, com-mentatore radiofonico da Berlino durantela guerra o, ancora, Theodore Schurch,iscritto alla British Union of Fascist einformatore dei Servizi italiani in Inghil-terra sin da prima della guerra. Soldato inNord Africa e preso prigioniero a Tobruchnel giugno 1942 si mise immediatamentein contatto con il SIM operando già dallafine di quello stesso mese come finto uffi-ciale britannico riuscendo, in questo modo,a raccogliere diverse utili informazioni neivari campi contumaciali di prigionia dovevenivano confinati i nuovi arrivi. Tra i suoi«clienti» più ingenui figurò il fondatore deicelebri SAS David Stirling, preso dai ca-valleggeri di Monferrato in Tunisia nelgennaio 1943 (14). Schurch proseguì que-st’attività in Italia fino al 1945 e fu impic-

cato in patria il 4 gennaio 1946. Non diver-sa fu la sorte di John Amery, figlio di Leo,ministro per l’India del gabinetto di guerradi Churchill. Fondatore, durante la guerra,del Britisches Freikorps delle SS, fu altre-sì un attivo propagandista in Italia. Cattu-rato a Milano il 29 aprile 1945 fu impicca-to a Londra il 19 dicembre 1945. La sen-tenza pronunciata il mese precedente dalpresidente dell’Alta Corte criminale Justi-ce Humphries: «Hai tradito la Corona e iltuo Paese, e pertanto hai perso il diritto avivere» potrebbe essere definita tacitiana,ance se un po’ brutale e non proprio in li-nea con l’attuale buonismo vigente in Ita-lia (ma non in Gran Bretagna, dove ancoraoggi i bambini festeggiano, il 5 novembre,lo squartamento in piazza del cattolicoGuy Fawkes, protagonista della fallita«Congiura delle polveri» contro il parla-mento protestante).

La medesima sorte capitò a DuncanScott-Ford, un marinaio dell’incrociatoreGloucester nel Mediterraneo durante il1940; lo sventurato, infatti, dimostròun’eccessiva passione per donne troppocostose per la propria modesta paga preci-pitando ben presto in un vortice di furti e,infine, tradimenti e modesti segreti passatial nemico per qualche spicciolo che loportarono, il 3 novembre 1942, a salire itredici gradini della forca.

Altri casi, come quello del capitano del-l’Indian Army Patrick Stanley VaughanHeenan, agente al soldo dei Giapponesi sinda prima della guerra scoppiata, infine, nel1941 centro quel Paese, furono per controsbrigativamente liquidati a botta calda nelcorso del consueto «tentativo di fuga».

Non è viceversa mai emerso il nome delsottufficiale del cacciatorpediniere ingleseDecoy che una notte del novembre 1938passò, a Shanghai, il primo dei due volumi(ovvero il cifrario) del Naval Chypher.

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Quella pubblicazione, contenente gli indi-rizzi, i nomi dei comandanti, delle unitànavali, delle autorità destinatarie, i numeri,le date e i gradi e i primi di latitudine e lon-gitudine, facilitò molto, assieme alla tabel-la delle frequenze, fotografata anch’essa inquella stessa occasione, l’opera di ricostru-zione delle nuove tabelle di sopracifraturadei decrittatori italiani fino al 20 agosto1940 in quanto il Naval Chypher (denomi-nato in seguito No 1) era il principale codi-ce della Marina britannica ed era in dota-zione comune a tutta la Royal Navy a livel-lo planetario. L’intera operazione fu ideatae diretta dal capitano di fregata FrancescoCamicia, comandante dell’avviso Lepantodi stanza in Cina (15).

Gli Statunitensi ricordano a loro volta,ancora oggi con raccapriccio, Rita Zucca,in arte Axis Sally, la voce più sexy della ra-dio durante l’ultimo conflitto mondiale.Speaker italo-americana della radio mila-nese tra il 1942 e il 1945 svolse una non di-menticata opera di propaganda tra i soldatidell’US Army in Nordafrica e in Italia an-nunciando, tra l’altro, la sera dell’8 luglio1943, ai wonderful boys del 504° Reggi-mento paracadutisti dell’82ª Divisioneaviotrasportata Statunitense, che erano at-tesi perché: «(…) i playboy da strapazzodel comando del colonnello Willis Mitchellhanno parlato troppo». «Sappiamo dove vilancerete e vi prenderanno ragazzi, arren-detevi». Previsione puntualmente confer-mata la notte successiva con un totale di ol-tre cinquanta parà presi senza pressochécolpo ferire dal I Gruppo Squadroni Caval-leggeri di Palermo.

Quanto al sottotenente Martin JamesMonti dell’USAAF, disertò col suo aereo il13 ottobre 1944 parlando ogni sera, da allo-ra in poi, alla radio con rara efficacia, tantoda essere definito, in seguito, the most fa-mous propagandist associated with the

American Free Corps, ovvero quella fanto-matica Legione George Washington delleSS che gli Americani hanno esorcizzato alpari del ricordo di Ezra Pound, massimopoeta statunitense del secolo Ventesimo evoce alla radio italiana tra il 1941 e il 1945,oltre che dichiarato estimatore dell’etica(ma forse la parola giusta sarebbe estetica)della Decima MAS e della Marina Repub-blicana dopo l’8 settembre 1943 (16).

Quanto alle Marine jugoslava ed elleni-ca il Reparto Informazioni dello StatoMaggiore curò sin dal 1919 l’infiltrazionedi propri uomini, a partire dall’Accademia,con un particolare riguardo al compartodelle telecomunicazioni. Il risultato di que-sti sforzi facilitò grandemente, in pace e inguerra, dagli anni Trenta in poi, la letturadei codici di quelle Marine balcaniche, sal-vo pagare ulteriori dividendi nel 1940-1941 a partire dalle paralisi delle comuni-cazioni che afflisse la piccola flotta di Bel-grado e che ridusse il capo di Stato Mag-giore di quella Marina, l’ammiraglio JulianLuterotti, a un naufrago isolato e ramingotra le montagne della Bosnia mentre le suenavi (inclusi i sommergibili Ostvenik,Smeli e Hrabri) cadevano intatte in manoitaliana il 17 aprile 1941.

Data la molteplicità e il livello degli epi-sodi appena ricordati appaiono pertantofuori posto certe polemiche che stigmatiz-zano gli episodi documentati verificatisi inItalia citando, per contro, per esempio emodello le altre Marine e, più in generale,le varie nazioni coinvolte in quel medesi-mo conflitto.

Doppio gioco

Uno dei maggiori pericoli connessi alcomplicato gioco delle spie è quello degliagenti doppi. Di per sé inevitabili e, anzi,

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indispensabili, costoro sono infatti esposti,tra i tanti rischi, anche a quello di finiresotto processo in quanto la riservatezzapiù assoluta circa il loro vero ruolo è lacondizione necessaria e sufficiente dellaloro stessa attività. Appare esemplare, sot-to questo aspetto, la vicenda dell’alloraguardiamarina Goliardo Zanfranceschi,offertosi volontario nel 1933 per recitarela parte, di sapore piuttosto letterario, del-l’ufficiale giovane, scioperato e facilmen-te accalappiabile, per qualche tempo, daiServizi avversari. Il contatto, ai danni deiFrancesi, riesce e la cosa si chiude, appa-rentemente, nel giro di qualche mese. Nelgennaio 1939, però, il suo nome tornabuono, in quanto già schedato in preceden-za come possibile fonte dal Duexième Bu-reau, per l’opera di infiltrazione e pedina-mento della rete che porterà, alla fine, adecine di arresti e alla fucilazione di Co-cozza e Ghezzi. Chiamato in correo dalladifesa degli imputati l’ufficiale, diventatonel frattempo comandante di sommergibi-li e giudicato sempre potenzialmente utileper ripetere ancora una volta il gioco, do-vrà aspettare l’occupazione della zona li-bera della Francia del novembre 1942 perpoter essere finalmente prosciolto, il 23del mese successivo, mediante un atto di«giustizia di gabinetto».

Proprio per evitare in futuro altre analo-ghe grane l’ammiraglio Domenico Cava-gnari, capo di Stato Maggiore della Marinatra il 1934 e il 1940, dispose, per il segui-to, che in vista dell’allestimento di altre si-mili trappole, la parte dell’ufficiale troppobrillante e potenzialmente traditore fosseinterpretata da personale, appositamenteaddestrato, non appartenente alla propriaForza Armata. E fu per questo motivo chenel 1939 il capitano dei Reali Carabinieri(poi generale dell’Arma) Giuseppe Scordi-no indossò fittiziamente la divisa della Ma-

rina per risalire le maglie della maggiorerete francese in quel momento attiva in Ita-lia fino all’arresto di tutti gli elementi indi-viduati nel maggio 1940.

Non diversa fu la sorte di un altro ufficia-le di Marina, questa volta nei ruoli della ri-serva, Paolo Tur, fratello del più noto ammi-raglio Vittorio Tur e residente, sin dal 1922,in Francia, dove viveva in odore di antifa-scismo. Avvicinato dai Francesi (per contodei Britannici) nell’estate 1940 fornì loro,per un anno, probabilmente per arrotondare,pezzi e bocconi dell’Almanacco Navale su-scitando, alla fine, la reazione irritata diLondra, finalmente svegliatasi. Il gioco ri-prese, a un più alto livello, nell’autunno1941, dopo che il controspionaggio dellaMarina italiana aveva scoperto alcuni mi-crofoni francesi nascosti nei locali dellaCommissione d’armistizio in Francia e inTunisia. Contemporaneamente, inoltre, iCarabinieri avevano individuato in flagran-za di spionaggio un’avvenente trentennemarsigliese trapiantata a Parigi, Marie-Ma-deline Méric, moglie di un ufficiale superio-re e soprannominata Hérisson (Istrice), in-tenta a carpire informazioni presso il nucleodella Commissione navale italiana di Hyè-res. Sorvegliata, da allora, a sua insaputa, ladonna permise di arrestare, di lì a poco piùdi un anno, oltre trenta esponenti del réseauAlliance, (detto, dagli Italiani, la rete de«Gli animali» data l’abitudine di usare nomidi copertura che spaziavano dall’aquila allostruzzo) onore e vanto, ancora oggi, dellaletteratura spionistica francese, nonostantel’attività di quei volonterosi resistenti d’in-tegerrima fede nazionalista, sparsi lungo laCosta Azzurra e legati anche alla confrater-nita Sea-Star ricordata in precedenza, siastata, in realtà, uno dei più clamorosi fischitransalpini dell’ultima guerra (17). Da allo-ra, infatti, incominciò un complesso gioco,del genere «parlare a suocera affinché nuo-

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ra intenda», diretto dal responsabile dellacommissione, l’ammiraglio Vincenzo DeFeo, durato fino al novembre 1942.

Dopo l’occupazione della Provenza, in-fine, i Francesi del generale Giraud avanza-rono, all’inizio della primavera 1943, pas-sando per Tur, vaghe proposte in vista diuna pace generale di compromesso in Eu-ropa che avrebbe dovuto risparmiare il piùpossibile gli interessi di Roma e Parigi. Da-ta la delicatezza della questione furonoprontamente informati il capo di StatoMaggiore, ammiraglio Arturo Riccardi, iltitolare del Servizio Informazioni Segretedella Marina, l’ammiraglio Franco Mauge-ri, e il Capo del governo. Il governo delNordafrica francese, ancora nominalmentefedele al Maresciallo Pétain, affermava, inbuona sostanza, che una pace europea o,quantomeno, italiana era possibile chieden-do, in cambio dei propri buoni uffici, chefossero risparmiate dalla demolizione ledue navi di linea moderne della Marine Na-tionale sabotate a Tolone in vista di un lororecupero dopo la guerra. Soprattutto do-mandavano che fossero risparmiati i pezzidi grosso calibro di quelle navi.

L’idea dell’esecutivo di Algeri era, infat-ti, quella di riparare e completare, a spesedegli Stati Uniti, sulla scia di quanto stavagià avvenendo, in quel momento, con lagemella Richelieu, anche la moderna navedi linea Jean Bart, a quel tempo adagiatasul fondo a Casablanca, per poter parteci-pare a pieno titolo, nel 1945-1946, conun’omogenea divisione sotto il proprio co-mando, alla guerra del Pacifico contro iGiapponesi allo scopo di conservare inquesto modo il proprio impero indocinese.Disposto come sempre a dar corda a qual-siasi possibilità, per quanto fievole, pur diuscire dal ginepraio della guerra mondialedopo l’entrata degli Stati Uniti nel Medi-terraneo, Mussolini diede il proprio assen-

so riservandosi, come nel caso di altrifunkspiel e utilizzi di agenti doppi, di diri-gere personalmente la cosa (18).

Allo scopo di alimentare questa pianti-cella così promettente e di compromettere,allo stesso tempo, anche il parallelo servi-zio segreto degaullista, in quel momentointento a combattere una lotta mortale coni rivali di Algeri, si decise, nell’aprile 1943,di passare ai transalpini, a mo’ di prova dibuona volontà, una serie di documenti giàcompromessi, ovvero quegli stessi disegnidel torrione del Littorio già copiati e invia-ti in Francia nel 1939, da un disegnatoredell’Ansaldo.

In realtà i Francesi si stavano facendodelle grosse illusioni. Gli Americani, giàoccupatissimi con l’incubo logistico delRichelieu (voluto da Roosevelt e non dal-l’US Navy) avevano infatti già detto, chia-ro e tondo, che non intendevano sprecarealtro tempo e denaro per lo Jean Bart, tan-to più che quella nave aveva una sola torreed era priva di pezzi di grosso calibro. Perniente scoraggiati (19) i transalpini spiega-rono, a loro volta, che quell’unità era desti-nata a servire, un giorno, contro i Giappo-nesi e non in Europa; l’unità avrebbe potu-to essere pertanto dotata dei pezzi da 330mm dei «Dunkerque» qualora fossero statitrovati, tra tutti, dopo la fine delle ostilità,quattro o cinque cannoni di quel tipo anco-ra efficienti; in alternativa, sempre secondoil governo francese del Nordafrica, si sa-rebbe potuto ricorrere, non si sa a quale ti-tolo, ai pezzi di riserva delle «Littorio» del-la Regia Marina. La polizia italiana (e noni Carabinieri, come è stato scritto da qual-che commentatore poco informato) (20) ar-restò però, tra l’aprile e il maggio 1943,nell’ambito di indagini di tutt’altro tipo,tutti i componenti della rete degaullista pri-ma che fossero passati i documenti al ne-mico (21) arrivando, ben presto, anche al

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Tur. Subito dopo i vertici del ServizioInformazioni Militari dell’Esercito si im-padronirono della vicenda e si affrettaronoa depositare il malloppo sulla scrivaniadello stesso Mussolini il quale, probabil-mente sospirando, prese atto della cosa epassò l’incartamento alla Marina «percompetenza» (22).

Lo scandalo, ovviamente, fu grosso e, ascanso di guai con i Tedeschi (oltre che perla natura, tutto sommato piuttosto velleita-ria, delle proposte filtrate da Algeri) il Pri-mo Ministro italiano decise, infine, il 10giugno 1943, di far mozzare con la fiammaossidrica i cannoni del Dunkerque mentrequelli, sabotati senza speranza di riparazio-ne, dello Strasbourg rimasero, apparente-mente, intatti. L’ammiraglio Tur, caduto indisgrazia, fu trasferito a Napoli e suo fra-tello finì, in pendenza di giudizio, in pri-gione fino al maggio 1944. Soltanto alloraMussolini, a cadavere ancora caldo degliammiragli Campioni e Mascherpa (fatti fu-cilare a Parma in nome della ragion di Sta-to e per dare una «spiegazione» all’anda-mento disastroso della guerra avallando,con quell’esecuzione, la leggenda del tra-dimento di Supermarina) si decise, su pres-sioni della Decima, a far rilasciare, contante scuse, il minore dei fratelli Tur, anchese costui dovette aspettare gli anni Cin-quanta per risolvere definitivamente la pro-pria questione personale, sia dal punto divista legale sia amministrativo.

In realtà, però, i contatti italo-francesi invista di una pace di compromesso che tute-lasse entrambe le nazioni latine non cessa-rono mai. Dopo la pausa del maggio-giu-gno 1943, infatti, essi ripresero su iniziati-va della Regia Aeronautica culminando,nell’agosto di quello stesso anno, in undoppio canale informativo con Algeri ge-stito dal SIA (Servizio Informazioni del-l’Aeronautica) (23) fino a quando anche

questo contatto non fu brutalmente tronca-to dal generale Ambrosio, capo di StatoMaggiore Generale, e da Badoglio alloscopo di assicurare al generale Castellanoil monopolio delle trattative armistiziali.

Fermo restando il fatto che i Francesi cirestituirono la cortesia nel giugno 1948quando insistettero più di tutti gli altri perottenere, senza ulteriori ritardi, il taglio deicannoni di grosso calibro delle due«35.000» italiane superstiti, l’intero sche-ma appena descritto non fu mai rivelato alcomandate del Servizio Informazioni Mili-tari dell’Esercito, il generale Cesare Amé.La rigida riservatezza operativa sempre os-servata dalla Marina nei confronti degli al-tri Servizi italiani, al di là dei periodici con-tatti dei relativi vertici e dell’attività, mode-sta, degli ufficiali di collegamento, fu infat-ti sempre rispettata. Non si trattò di unaprecauzione sbagliata a giudicare, peresempio, dal suicidio ad Atene, nel maggio1943, del generale Donato Tripiccione, giàcapo del SIM tra il luglio 1937 e l’agosto1939, dopo che il controspionaggio avevascoperto una bionda inglese «spia patenta-ta» annidata, assieme ad altre allegre colle-ghe, nel vertice del comando dell’XI Arma-ta italiana nella capitale greca (24), tostosostituito in toto confinando agli arresti do-miciliari anche l’ex comandate dell’armata,il generale Carlo Geloso, e affidando l’in-chiesta al sempre severissimo e temibileammiraglio Cavagnari.

Amé tuttavia, perso sin dalla fine del1940 dietro al sogno impossibile di un’uni-ficazione di tutti i Servizi sotto un’unica di-rezione, la sua, destinata a trasformarlo inun capo onnipotente, non accettò mai lescelte, giudicate arroganti e snobistiche,della Marina. Di conseguenza le sue memo-rie non mancano mai di stigmatizzare,neanche tanto velatamente, l’operato delReparto Informazioni dello Stato Maggiore

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della Regia Marina formulando nelle pro-prie memorie ricordate in bibliografia criti-che e accuse come «Nulla veniva modifica-to nei riguardi della competenza in materia(difensiva, nda) della Marina e dell’Aero-nautica»; «Il SIM era l’organo che peresperienza e preparazione aveva capacità dipresidiare, indirizzare e sviluppare tale atti-vità. Il suo compito, peraltro, come ho det-to, era limitato al campo dell’Esercito; —un complesso difensivo apparteneva al Ser-vizio informazioni della Marina ed era daquesto direttamente azionato. Oltre a man-sioni specifiche di polizia militare, essosvolgeva attività di controspionaggio circo-scritta ai territori di interesse militare marit-timo e cioè basi navali, piazze marittime estabilimenti appartenenti alla Marina»; «IlServizio Informazioni delle Marina man-tenne costante atteggiamento di intransi-genza nei riguardi della autonomia dellasua attività di controspionaggio e dellaesclusività di azione dei suoi organi nellezone di sua competenza»; «Tali reti risorse-ro poco dopo e operando per conto del Ser-vizio inglese furono molto dannose a noinel campo navale, come dirò in seguito»;«Solo dopo la liberazione fu dato infatti co-noscere che nel corso degli anni 1941 e1942 il Servizio francese della resistenzaera venuto in possesso di numerose infor-mazioni di alta importanza navale passateagli Inglesi e da questi considerate prezioseper la condotta delle operazioni contro laflotta italiana nel Mediterraneo»; «Intanto,mentre si sviluppava il conflitto, andava fa-cendosi più viva l’attività offensiva del Ser-vizio nemico nel campo navale. Sintomi edelementi sempre più numerosi e chiari lofacevano comprendere»; «Nessuna formadi collaborazione (difensiva con la Marina)venne peraltro né ordinata, né promossa, nérichiesta che valesse a dare unità e conver-genza all’azione». Queste affermazioni al-

tro non erano, come sappiamo oggi, che l’e-co degli incontri periodici tra i generaliAmé e Cavallero verificatesi nel 1941-1943, e documentate nei Diari del Coman-do Supremo, durante i quali i due personag-gi (ben presto spalleggiati dai Tedeschi) siripetevano l’un altro, secondo quanto appa-re dagli ordini del giorno di quei colloqui,che le perdite subite dal traffico con il Nor-dafrica non potevano essere causate chedallo spionaggio avversario (25), nonostan-te l’opinione contraria del contrammiraglioMaugeri, titolare dei servizi della Marinadal giugno 1941, il quale propendeva, caso-mai a favore di un intelligente utilizzo, daparte britannica, della ricognizione fotogra-fica e di decrittazioni dei codici dell’Aero-nautica e dell’Esercito, giudicati tutt’altroche sicuri nonostante i ripetuti ammoni-menti in questo senso avanzati dal RepartoInformazioni della Marina. Trattandosi diuomini nati entrambi nell’Ottocento ed es-sendo, ovviamente, ignari delle decrittazio-ni britanniche nei confronti delle macchinecifranti tedesche e italiane, i generali italia-ni possono, peraltro, essere facilmentecompresi e scusati. Per costoro, infatti, (no-nostante l’esperienza corrente dei buoni ri-sultati ottenuti dai decrittatori dell’Esercitonel campo tattico in Africa) non poteva es-serci, a livello di categoria mentale diffusain merito a un fenomeno così vasto come iltraffico navale nel Mediterraneo, una spie-gazione diversa da quella delle cosiddette«barbe finte» così come avvenne ancora,puntualmente, dieci anni dopo, per Trizzinocon il suo Navi e poltrone.

Amé conservò comunque il dente avve-lenato nei confronti della Marina anche di-versi anni dopo la guerra, tanto da pagaredi tasca propria, durante gli anni Cinquan-ta, un lunghissimo memoriale di Paolo Turvenduto da costui al generale dei Carabi-nieri Giuseppe Pièche quando quest’ultimo

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ricopriva il ruolo di responsabile della si-curezza di una nota impresa torinese. Sitrattò di quattrini sprecati.

In realtà quello che veniva contestatonon era il fatto che la Marina fosse oggettodi contatti e vere e proprie offerte armisti-ziali da parte degli Angloamericani. Ciò av-venne, in effetti, da parte statunitense, nel-l’agosto 1943, quando gli Americani indi-rizzarono una lettera in questo senso al-l’ammiraglio Massimo Girosi; missiva fattasubito propria dal generale Ambrosio all’in-saputa del capo di Stato Maggiore dellaMarina, l’ammiraglio Raffaele de Courten.Un’altra, distinta ed esplicita offerta fu inol-tre avanzata, il 30 agosto 1943, data l’ormaigrossa premura di Washington a sistemarele cose nel Mediterraneo, dall’addetto nava-le dell’US Navy a Lisbona al proprio omo-logo italiano; anche questo contatto fu pe-raltro lasciato cadere, il 3 settembre, da DeCourten, non appena fu informato dell’ac-caduto dall’ammiraglio Maugeri) (26),quanto che gli avversari preferissero rivol-gersi, per i loro feelers, a quella Forza Ar-mata anziché all’Esercito. Sin dall’autunno1942, infatti, se non addirittura dal novem-bre 1940, era in corso a Roma una furiosagara a gomitate tra le varie fazioni del fasci-smo, i generali, esponenti di Casa Savoia ei massimi imprenditori italiani per arrivareprimi al traguardo, giudicato politicamentevincente, di una pace separata con gli An-glosassoni. Proprio il SIM di Amé, tra l’al-tro, dopo aver arrestato, nel settembre 1942,in flagrante reato di spionaggio, la fascino-sa contessa polacca Maria Christina Sa-pieha (nata Radzwill e imparentata con lacasa reale portoghese dei Braganza), avevapensato bene, dopo aver appreso che la stes-sa era in contatto anche con gli Statuniten-si, di relegarla agli arresti domiciliari al-l’Excelsior senza mai mancare di farle ave-re con regolarità fasci di rose rosse allo sco-

po di assicurarsi un possibile canale conWashington (effettivamente attivato, nell’e-state 1943, sotto la direzione del generaleGiulio Fatterappa Sandri, asso del contro-spionaggio del SIM e corrispondente delCorriere della Sera), per conto della Princi-pessa di Piemonte fino a quando il generaleCastellano non riuscì, ai primi di agosto, abloccare anche questo schema inducendo ilRe a relegare la poco amata e invadentenuora a Sant’Anna di Valdieri) (27).

Alla fine, come è noto, Amé fu allonta-nato lui pure, il 18 agosto 1943, dalla dire-zione del SIM (affidata al generale Giaco-mo Carboni) e destinato ad assumere il co-mando della divisione Cacciatori delle Al-pi a Lubiana. Si trattava di un ruolo delica-tissimo visto che la Slovenia era proprio lacerniera dell’atteso congiungimento (nelcaso l’armistizio italiano fosse stato tostoseguito, come si credeva in quel momento,dalla caduta di Hitler e da una pace genera-le successiva a un nuovo novembre 1918tedesco) tra la nuovamente indipendenteAustria e gli Inglesi (28), ma Amé pensòbene di non assumere quell’incarico. Pro-babilmente quel navigato ed esperto uffi-ciale, esponente — proprio a Vienna — deiServizi sin dagli anni Venti e da sempre ag-giornato, al pari dei propri colleghi MarioRoatta (capo di Stato Maggiore dell’Eser-cito) ed Efisio Marras (in quel periodo ad-detto militare a Berlino), di quanto stavarealmente bollendo in pentola in Europadal 1930 in poi, aveva già intuito quelloche stava per succedere: ovvero che la di-lettantesca e gelosa gestione da parte deigenerali Ambrosio e Castellano dell’armi-stizio avrebbe inevitabilmente schiacciatol’Italia tra il martello tedesco e l’incudinebritannica nonostante la buona volontà de-gli ingenui Statunitensi.

Fermo restando il fatto che il doppiogioco è la materia prima di qualsiasi opera-

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zione segreta è evidente, a questo punto,che la Regia Marina non ebbe — per preci-sa volontà propria — alcuna parte nellaconfezione del disastro armistiziale. Le at-tività di double cross, come dicono i Bri-tannici, furono casomai quelle, diciamo co-sì, istituzionali. Spicca, tra queste, la riu-scita infiltrazione delle reti informative in-glesi tra gli operai d’origine slovena deicantieri di Monfalcone e di Trieste ancoraoggi ben documentate dai rapporti dell’In-telligence conservati al PRO. Basti pensa-re, per esempio, alla grossa soddisfazionecon cui, il 7 aprile 1942, il Foreign Officecomunicò all’Ammiragliato, da Berna, chei suoi uomini avevano appreso che erano

stati impostati a Monfalcone five de-stroyers e che, a memoria dell’informatore,era la prima volta che dei cacciatorpedinie-re erano ordinati laggiù. Si trattava, inrealtà, di corvette, ma la notizia era ritenu-ta ancora buona a Londra l’anno successi-vo (29). Il capolavoro di quest’opera di«intossicazione» delle fonti slovene fuperò un rapporto, planato il 9 dicembre1941 sulla scrivania del Primo Lord delMare, l’ammiraglio sir Dudley Pound, chestabiliva definitivamente il fatto che la na-ve da battaglia Cavour, dopo il siluramen-to di Taranto dell’anno prima, era stata ri-parata e che avrebbe ripreso servizio, unavolta addestrato nuovamente l’equipaggio,di lì a tre mesi. A partire dalla primavera1942, pertanto, sarebbe stato necessarioconteggiare nuovamente anche quell’unitànel totale, già giudicato pericolosamentealto, delle corazzate dell’Asse in Europa(30). Anche la successiva pianificazione,fatta all’inizio del giugno 1942, dei dueconvogli inglesi per Malta dava il Cavouroperativo, assieme alle altre tre navi di li-nea ammodernate italiane e a una «35.000»(in realtà erano due) (31) mente il manualeRestricted statunitense ONI 202 del feb-braio 1943 riportava alcune fotografie innavigazione del Cesare scattate dalla rico-gnizione aerea nel 1941 con la didascaliaCavour. Ancora all’epoca dello sbarco inSicilia gli Anglo-americani ritenevano chei due «Cesare» fossero entrambi disponibi-li e tenuti in Adriatico al riparo dalle incur-sioni aeree salvo poter passare nel Mar Jo-nio a seconda delle necessità laddove il Ce-sare era, in realtà, dal gennaio 1943, adibi-to a nave scuola cannonieri a Pola in preca-rie condizioni di efficienza mentre il Ca-vour, una volta ripresi i lavori di nuovoammodernamento sospesi nel giugno1943, non sarebbe stato completato primadi sei mesi.

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Notevole fu pure l’attività del comune di1ª classe Floriano Ghirlandini del SIS (no-me di copertura dato dal contrammiraglioMaugeri al Reparto Informazioni nel giu-gno 1941), il quale, abilmente infiltratosicorrendo rischi enormi, «aveva fatto arre-stare, nel primo semestre 1943, centinaia dipartigiani slavi» (32).

Il traditore senza volto

Dopo aver esaminato alcune delle innu-merevoli sfaccettature che caratterizzanosempre l’attività dell’intelligence, è ora op-portuno tornare all’argomento oggetto diqueste pagine: i traditori nell’ambito nava-le e la loro sorte per far luce, per la primavolta in assoluto, in merito a una delle piùdibattute vicende relative a quest’argomen-to spinoso: la notte di Taranto.

Pochi giorni dopo quel riuscito e irripe-tibile attacco aeronavale britannico (33) ilReparto Informazioni apprese, leggendoun messaggio del Naval Intelligence ingle-se cifrato con un codice, il «No 1 S.P. o 23o 7 P Blok» (34), acquistato qualche tempoprima tramite un intermediario in Svizzera,che il successo dell’azione era stato assicu-rato dalla collaborazione di un alto ufficia-le di Supermarina. La vicenda è nota essen-do stata divulgata, a suo tempo, da una pel-licola di successo e da un eccellente librodi memorie, Uomini ombra, del comandan-te Mario de Monte, pubblicato nel 1955(35). Un po’ meno noto è, per contro, il fat-to che un’identica notizia pervenne con-temporaneamente, alla Pubblica Sicurezza,come ricordò nel 1961, Guido Leto, all’e-poca Capo dei Servizi politici e investiga-tivi della Direzione Generale di Polizia, nelsuo Polizia segreta in Italia scrivendo che:«Una fonte modesta ma preziosa (…) miinformò che esisteva una Fonte Roberts

che comunicava agli Inglesi notizie di al-tissimo interesse per la Marina (…) succes-sivamente fu possibile intercettare qualchecomunicazione radio, che confermò in pie-no l’importanza dell’affare. Il Capo dellaPolizia rese edotto, oltre che Mussolini, ilSottosegretario di Stato alla Marina che pa-re, per altra via, ne fosse informato (…)».

Alcuni elementi di Supermarina (cinquein tutto, tra i quali un ufficiale, cugino del-l’industriale Olivetti, in odore di antifasci-smo radicale) furono allontanati. Pochesettimane dopo seguì un nuovo telegram-ma «P Blok» che riferiva di una truculentariunione di gerarchi nazisti in Austria dovesi sarebbe parlato apertamente di approfit-tare della crisi italiana in Grecia in corso inquel periodo per riannettere, brutalmente,l’Alto Adige e, magari, anche Trieste. Lamisura era ormai colma e le reazioni diMussolini pressoché incontrollabili quan-do, fortunatamente, i decrittatori della Re-gia Marina e, in particolare, l’allora capita-no di corvetta Luigi Donini, riuscirono avenire a capo del mistero.

La Royal Navy, come è stato ricordatoin precedenza, aveva adottato nell’agosto1940 sia un nuovo Cypher sia un nuovoCode oscurando efficacemente, in questomodo, modo, i propri telegrammi più im-portanti. Nell’attesa di riuscire a ricostrui-re, con pazienza, il cifrario e i vermi di so-pracifratura delle tabelle, i decrittatori ita-liani e tedeschi avevano aggredito i codiciminori avversari (ogni Marina aveva, me-diamente, in contemporaneo servizio alme-no una dozzina di codici, di maggiore o mi-nore sicurezza e importanza). Il nuovo co-dice amministrativo appariva, tra tutti,quello potenzialmente più interessante, mafino alla fine di novembre non era statopossibile venirne a capo. Il 30 di quel me-se, improvvisamente, Donini ebbe un’in-tuizione folgorante, ben presto confermata

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nel corso di alcune ore di lavoro intensissi-mo. Il cifrario (ovvero il vocabolario) delnuovo Administrative Code era, in realtà, ilvecchio amico Chyper (ora ribattezzato 1)acquistato in Cina nel 1938. Come gli In-glesi avrebbero confermato dopo la guerrail vecchio 5-Figure code (ovvero a gruppidi 5) era semplicemente stato riutilizzatotale e quale come 4-Figure eliminando laprima cifra. Entro una settimana fu cosìpossibile leggere diversi nuovi telegrammiche, messi a confronto con analoghe infor-mazioni rilevate dal «P-Blok» evidenziaro-no tali e tante contraddizioni da destituireda ogni fondamento il presunto codice bri-tannico comprato in Svizzera e utilizzato,in realtà, da Londra, sin dal principio, persvolgere opera di disinformazione. Due an-ni dopo la Regia Marina avrebbe reso lacortesia agli Inglesi (36), ma nel frattempola questione fu considerata chiusa.

Questa stessa storia tornò tuttavia d’at-tualità nell’ottobre 1942. Il primo di quelmese, infatti, come ebbe infatti modo di ri-cordare, nel 1993, William Millard, SeniorAir Adviser, nel 1942, presso BletchhleyPark, l’oggi celebre sede dei servizi in-terforze di decrittazione inglesi, si verificòun fatto increscioso (37). In seguito a unpiano lungamente studiato una squadrigliadi cacciatorpediniere britannici salpò daAlessandria ai primi del mese allo scopodi intercettare nottetempo un convoglioitaliano diretto a Tobruch la cui partenzaera stata rivelata da un messaggio Enigmadella Luftwaffe messo in chiaro da UL-TRA. Di solito si provvedeva, in questi ca-si, a inviare in zona un ricognitore alloscopo di confermare la notizia e, soprattut-to, di farsi notare, coprendo in questo mo-do la decrittazione. In quel caso, però, nonfu possibile dar corso a quella copertura e,con disappunto (worrying), come scrisse ilMillard, l’uscita andò a vuoto perché il

convoglio fu cancellato. Quest’episodio,per quanto minore, causò grande irritazio-ne sia a Churchill sia all’Ammiragliato.Oltre a confermare, proprio alla vigiliadella battaglia finale di El Alamein, la dan-nata sfortuna che perseguitò sempre, nel1942-1943, l’ammiraglio sir HenryHarwood, successore di Andrew B. Cun-ningham alla testa della MediterraneanFleet, destinatario oltretutto, in quell’oc-casione, di un pesante cicchetto da parte diChurchill in persona, la vicenda fu ulte-riormente complicata dall’intercettazionedi un messaggio avversario nel quale siesprimevano, per la prima volta …doub-ting the security of the Enigma cipher. Al-lo scopo di tutelare il segreto delle propriedecrittazioni l’intelligence inglese …con-trived a notional agent in one of the Adria-tic ports, ovvero denunciò un proprioagente attivo in un porto adriatico.

Ancora una volta, peraltro, i Britanniciconfermarono la loro tendenza a strafare.L’informatore (un maresciallo della RegiaAeronautica presso l’idroscalo di Brindisi)fu infatti indicato, contemporaneamente,mediante i soliti contatti minori e buoniper tutti gli usi, sia al controspionaggio delSIM sia a i Tedeschi, i quali sollevaronoimmediatamente una furiosa polemica inmerito alla rilassatezza della vigilanza deiloro alleati meridionali. Senza sospettaredi essere stato usato, Amé si affrettò a re-carsi dal maresciallo Cavallero rispolve-rando, per l’occasione, tutte le proprie cri-tiche nei confronti della Marina e ottenen-do seduta stante, il 9 ottobre 1942, la fa-coltà di «fare con i suoi agenti invasionein pieno di Brindisi e di Taranto», come ri-ferisce il Diario del maresciallo Cavallero,nonostante il sottocapo di Stato Maggioredella Marina, l’ammiraglio Luigi Sanso-netti, e il responsabile dei Servizi, Mauge-ri, escludessero il fatto che le notizie par-

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tissero dai porti propendendo, casomai,per indiscrezioni verificatesi a Roma, do-ve troppa gente, tra comandi e ministeri,conosceva troppe cose parlandone libera-mente al telefono.

In effetti l’oggetto del contendere erapiuttosto modesto. I Centri CS (ossia con-trospionaggio) della Marina dipendenti dal-l’Ufficio E (retto, a sua volta, durante laguerra, dal maggiore dell’Arma FrancescoPontani, con come secondo il capitanoScordino ) erano 11 nel 1940 e dipendeva-no dai vari Dipartimenti. Formati da un uf-ficiale inferiore dei Reali Carabinieri e dauna dozzina, al massimo, di uomini (inclu-si alcuni informatori fiduciari nei porti e ne-gli stabilimenti d’interesse per la Marina),dovevano occuparsi delle indagini specifi-che e della repressione di attività spionisti-che e sabotatrici, oltre che della propagan-da antimilitare e dell’addestramento degliagenti destinati al servizio offensivo. Coltempo i CS aumentarono fino a 29.

La clamorosa irruzione di Amé non sortìrisultati di sorta, nonostante il 10 ottobre lostesso Mussolini, sempre suggestionato, fi-no all’ultimo, dall’idea delle spie inglesiattive contro le navi di quella Marina cheaveva creato, in vent’anni, con tanti sforzie sacrifici, avesse ordinato di accentrare,con effetto immediato, l’accentramento ditutta l’attività di controspionaggio sotto ladirezione e la responsabilità del responsa-bile del SIM.

Questo provvedimento, a ogni modo,non era destinato a durare. Nel giro di qual-che giorno, infatti, i vertici della Regia Ma-rina persuasero il dittatore a cambiare, an-cora una volta, idea. Superando l’opposi-zione del SIM la Forza Armata ricostituì unproprio servizio di Polizia Militare construttura organica analoga a quella dei sop-pressi centri CS e compiti limitati all’azio-ne preventiva riuscendo a combattere effi-

cacemente, in questo modo, diversi tentati-vi di sabotaggio britannici verificatisi tra laTunisia e Napoli nella primavera 1943, co-me conferma il Diario del Comando Supre-mo alla data del 2 aprile 1943.

Nel frattempo qualche ulteriore, impor-tante dettaglio era emersa nel corso dell’in-terrogatorio di due Italiani, travestiti da uf-ficiali di Marina e al soldo degli Inglesi,catturati il 9 ottobre 1942 in Campania po-che ore dopo essere stati sbarcati dal som-mergibile P 37 proveniente da Malta. Sitrattava dei fratelli Egone e Amauri Zacca-ria, infine fucilati il 10 novembre 1942.Costoro, infatti, dopo aver preso terra clan-destinamente in Calabria, avevano portatoa Taranto, alla fine di febbraio del 1941,una valigia contenente una radio. L’appa-recchio era stato ritirato proprio dal sottuf-ficiale dell’aeronautica appena arrestato, lacui vicenda merita, a questo punto, unabreve descrizione.

In vista dell’attacco notturno di aerosilu-ranti, da lanciare mediante navi portaerei,contro Taranto, messo allo studio nel set-tembre 1940 i Britannici avevano bisogno,ovviamente, di informazioni aggiornate.La ricognizione aerea fotografica, indi-spensabile per questo genere di missione,aveva però incontrato ben presto grossedifficoltà. Un sorvolo a questo scopo effet-tuato dall’idrovolante quadrimotore «Sun-derland N9020» il 1 novembre 1940 par-tendo da Malta si era concluso, infatti, conla perdita del velivolo, intercettato e abbat-tuto sopra Augusta da due «Macchi C.200» del 1° Stormo. Le successive missio-ni di ricognizione sull’obiettivo furonopertanto effettuate dagli assai più veloci bi-motori di costruzione statunitense «MartinMaryland» del 431 Flight di Malta, uno deiquali sfuggì di misura, il 7 novembre, aquattro «C. 200». Le fotografie scattate ri-velarono una serie di macchie che poteva-

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no essere, forse, un inatteso sbarramento dipalloni. Il Comandante in Capo della Me-diterranean Fleet, davanti a quest’imprevi-sto, chiese, secondo quanto riferito da C.Babington Smith nella propria storia dellaricognizione fotografica britannica intito-lata Evidence in Camera, se potesse esser-ci un’altra via per accertare l’esistenza e lecaratteristiche di quei problematici palloniottenendo, come laconica risposta, un «No,assolutamente no». Questo brano indisse asua volta il recensore del libro in parola perla Rivista Marittima, l’ammiraglio AldoCocchia, a scrivere, nell’aprile 1958, che:«È chiaro da questa risposta che i servizibritannici d’informazione avevano in Italiaramificazioni molto meno estese di quandonon si sia vociferato in giro a guerra fini-ta». La versione di quegli stessi avveni-menti narrata, tuttavia, l’anno dopo, daDon Newton e Cecil Hampshire nel pro-prio Taranto è diametralmente opposta inquanto costoro affermarono che, in realtà,l’esistenza delle misteriose macchie comepalloni fu, dopo quel colloquio e prima del-l’attacco, «confermata ufficialmente dalservizio informazioni e determinò le ultimevarianti del piano d’attacco». Dopo aver ri-corso all’Humint per questa bisogna gli In-glesi ordinarono inoltre al loro uomo, sem-pre sotto la minaccia di denunciarlo, di ri-trasmettere, pochi giorni dopo, mediante laradio nella valigia che aveva in dotazionesin da prima della guerra, alcuni lunghimessaggi cifrati inviatigli avendo cura difarlo in un’area presso la città di Taranto.Dopo aver eseguito quest’ultimo, pericolo-sissimo compito avente l’evidente scopo difarlo intercettare e radiogoniometrare, ilsottufficiale distrusse e disperse, come daistruzioni, l’apparecchio, salvo ricevernepuntualmente uno nuovo tre mesi dopo. Lanuova radio fu utilizzata, per il seguito,soltanto per ricevere fino a quando non so-

pravvenne l’arresto.Il sottufficiale, comunque, non arrivò al

processo in quanto la formula utilizzata«colpito dal rimorso o dal destino» lasciasupporre una fine, comune tragica, dellasua vicenda. Chi scrive non intende, inol-tre, divulgarne il nome per buoni motivi: ilprimo è che esiste una legge che impedi-sce la divulgazione delle generalità fino a70 anni dalla morte degli interessati e ilfatto di essere, evidentemente, l’unico a ri-spettarla non priva la norma di efficacia. Ilsecondo è che non mi sento, personalmen-te, sulla base dei pochi elementi che emer-gono dalla documentazione britannica(38), di formulare un giudizio. Qualunquesia stata la molla che ha spinto quell’uomoad agire in quel modo, forse una donna —come spesso accadde i questi casi —, for-se il denaro o, magari, entrambi, l’interes-sato ha pagato il prezzo massimo che sipossa chiedere a un uomo, e ciò chiude laquestione.

Quello che vale la pena di ricordare, percontro, è che in ogni epoca qualsiasi tradi-tore prezzolato, per quanto prezioso, abileo fortunato, può essere sempre venduto inogni istante dal proprio controllore per fa-vorire l’infiltrazione o la copertura diqualcun alto, magari meglio raccomandatoo, addirittura, per proteggere al prezzo del-la sua vita un insieme di circuiti elettrici,tastiere e stampanti.

Dopo quest’ennesima tragedia Amépoté scrivere, infine, nelle proprie memo-rie, che, dal punto di vista della sicurezzadelle notizie sui movimenti navali italiani«(…) al principio del 1943 la situazionepoté essere alquanto migliorata». Si trattò,in realtà, dell’invio, per il seguito, in Tuni-sia, del traffico cifrato mediante la macchi-na meccanica C 38 in dotazione alla Mari-na (e principale obiettivo dei crittografibritannici, data la constatata impenetrabi-

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lità dei cifrari convenzionali redatti dalReparto Telecomunicazioni) ricorrendo almoderno cavo telegrafico sottomarinofrancese posato tra Tunisi e la Sicilia ta-gliato nel giugno 1940, appena ripristinatoe non intercettabile.

Gli altri casi

A questo punto è possibile accennare,brevemente e nell’ordine:— alla sentenza del 6 marzo 1961 che sta-biliva l’innocenza dei capi di Stato Mag-giore della Marina Domenico Cavagnari,Arturo Riccardi e Raffaele de Courten «inordine ai fatti denunciati da Antonino Triz-zino» coi suoi libri;— alla sentenza di condanna, nel 1967, neiconfronti dello stesso Trizzino per la prefa-zione dell’edizione italiana del volume TheQuiet Canadian, di Harford MontgomeryHyde, dove si denunciava con toni apoca-littici il tradimento dell’ammiraglio Alber-to Lais, già capo dei Servizi fino al 1939 e,in seguito, addetto navale a Washington, inquanto costui avrebbe passato a una proca-ce spia inglese, detta Cynthia, il cifrariodella Marina italiana provocando, così, lanotte di Matapan. La consegna del codicesarebbe avvenuta in circostanze boccacce-sche il giorno della partenza di Lais dagliStati Uniti, dopo che era stato dichiarato«persona non grata» da Washington per at-tività clandestine laggiù. Fermo restando ilfatto che non si capiva bene cosa se ne fa-cesse, in America, l’ammiraglio del codiceprincipale della Squadra, bastò esibire lapagina del New York Herald Tribune del26 aprile 1941 con la notizia della parten-za, quel giorno, di Lais, con tanto di foto-grafia scattata a bordo del transatlanticospagnolo Marques de Comillas, per chiu-dere la questione, visto che la notte di Ma-

tapan risaliva al 28 marzo 1941.Non ci voleva, d’altra parte, molto. Come

ha scritto il professor Lucio Ceva, anni do-po, a questo proposito, non senza criticare,in merito a Matapan, il fatto che un certo au-tore di un libro apparso nel 1981 omettesse:«(…) e non ne vediamo la ragione — l’ap-porto arrecato dalla lettura del messaggiodella Luftwaffe sul concentramento dei cac-cia bimotori in Sicilia» che diede l’avvio al-l’intera vicenda, liquida la storia di Cynthiacome una delle tante «favole» e «panzane»britanniche in materia di intelligence e, piùin generale, di guerra, concludendo, parlan-do della Marina italiana: «(…) però nessunoha mani dubitato che essa sia sempre statacomposta di gentlemen. Cosicché non èneppure immaginabile che la segreta inti-mità di una signora abbia potuto essere ri-cambiata con un Morgengabe (il dono mat-tutino alla sposa secondo l’antica usanza te-desca) di così inammissibile grevità qualeun cifrario militare» (39). — alla grottesca vicenda delle «navi ven-dute» (ovvero la pretesa offerta di venderea prezzo di liquidazione, durante l’inverno1940/1941, per qualche decina di migliaiadi dollari, le corazzate italiane agli Inglesida parte dei Capi di Stato Maggiore dellaMarina italiana consegnandole a domicilioin Cirenaica) divulgata con grande battagepubblicitario nel 1982 e rivelatasi una bu-fala presa per buona da qualcuno che ave-va evidentemente scambiato i documentiinglesi, letti in maniera totalmente acriticae senza confronti e verifiche di sorta, per ilVangelo (40).

Avendo così esaurito tutte le storie sipresunti scandali, tradimenti e altre infa-mie attribuite, con leggerezza giornalistica,alla Regia Marina e ai suoi uomini prima edurante la seconda guerra mondiale, è pos-sibile, finalmente, tirare le fila, sine ira etstudio, dell’intera questione.

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Nella sua storia il Tribunale Specialeemise, tra il 1926 e il 1943, 324 sentenzeper spionaggio. 205 di queste risalgono alperiodo compreso tra il gennaio 1940 e illuglio 1943. 55 furono in carico ad attivitàa favore dei Francesi, 74 in merito alla Ju-goslavia, 16 relativamente alla Gran Bre-tagna e 4 in capo agli Stati Uniti, oltre adaltre 56 sentenze non specificate, ma rela-tive a «notizie riferite ad amici» per lequali non mancarono le assoluzioni. Treprocedimenti per spionaggio sovietico fu-rono avviati nel giugno 1943, ma non arri-varono alla sentenza dato il sopravvenutoscioglimento di quella Corte. Il dato pernazionalità di cui sopra è però falsato, poi-ché l’attività contro le reti francesi e jugo-slave portata in tribunale nel 1941-1943per un totale di 98 processi riguardava, inrealtà, operazioni avvenute tutte a benefi-cio britannico.

La possibilità che si verificassero episo-di di spionaggio, legata come è alla naturaumana, era data, in effetti, per scontata sindall’epoca della guerra. Come scrisse, nel1940, l’allora capitano Alberto Bechi Lu-serna, uomo di punta dei Servizi e futuraprima medaglia d’oro, alla memoria, delRegio Esercito dopo l’armistizio dell’8 set-tembre 1943, nel proprio godibilissimoBritannia in Armi: «Il metodo di lavoro delSecret Service è essenzialmente basato sulnobile istituto della corruzione. Valendosicioè della dovizia di fondi a disposizioneesso assolda nel Paese dove opera degliagenti di nazionalità locale — in ogni po-polo vi sono delle scorie umane suscettibi-li di essere comprate — e le fa “lavorare”per loro. È assai raro il caso di un ingleseche sfidi personalmente il rigore delle leg-gi e il controllo delle polizie per tentare dipersona qualche impresa arrischiata dispionaggio. Occorre però convenire, a suadiscolpa, che quelle poche volte in cui uno

slancio di amor patrio lo ha spinto, conadeguata scorta di barbe finte e occhiali ne-ri — a fare dello spionaggio militante, egliha sempre finito col combinare dei guai.Ragion per cui le sue stesse superiori auto-rità fanno su di lui dolce pressione perchése ne stia tranquillo, dietro una scrivania, esfoghi il suo spirito d’avventura leggendoromanzi gialli».

Con la sola variante dello scrivere, anzi-ché soltanto leggere, romanzi del genere sitratta, non a caso, del perfetto ritratto di IanFleming, ex «agente segreto» in pantofolee autore, a partire dal 1953, delle storie di007 James Bond.

Conclusione

L’attività di spionaggio e controspionag-gio, quando è condotta bene (cosa che nonavvenne, per esempio, nel caso dei Tede-schi e dei Giapponesi durante l’ultimo con-flitto mondiale) da entrambe le parti è, co-me la guerra di mine, un tragico gioco asomma zero dove i successi e le perdite siequivalgono in omaggio alla legge deigrandi numeri.

Anche sotto questo punto di vista, per-tanto, la Regia Marina, prima e durante laguerra, non ha demeritato.

Scandali, tradimenti eccetera a opera de-gli «indignati speciali», di turno sono, per-tanto, del tutto fuori luogo. Come ha scrit-to, infatti, recentemente il professor Maria-no Gabriele in merito alle «briciole di ve-rità e non poche spiritose invenzioni bri-tanniche in materia di decrittazioni, spio-naggio eccetera, queste appartengono (…)a quel nutrito consesso di storiografi bri-tannici che scrivono molto su cose che co-noscono poco, ma vengono presi sul seriodal nostro provincialismo nazionale menoinformato di loro» (41). n

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NOTE(1) La macabra contabilità di cui sopra non include, pertanto, le 65 esecuzioni per reati comuni verificatesiin Italia tra il 1931 (epoca della reintroduzione della pena capitale nel Codice Penale) e il 1940 e le succes-sive 22 irrogate per gli stessi motivi fino all’armistizio dell’8 settembre 1943. Tra l’11 giugno 1940 e il 31agosto 1943, inoltre, il Regio Esercito e la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, come ha documen-tato il colonnello Filippo Cappellano (vedi Bibliografia), eseguirono 152 condanne a morte in capo a solda-ti italiani, libici, albanesi, montenegrini o del Regio Corpo Truppe Coloniali per diserzione e reati vari, spio-naggio escluso, e 164 nei confronti di civili giudicati ribelli armati nei Balcani e in Africa Settentrionale.(2) Quattro, eseguite tra il 1928 e il 1933, furono per contro relative a delitti etichettati come politici (i ca-si Della Maggiora, Bovone, Schirru e Sbardellotto, gli ultimi dei due attinenti a progettati attentati a Mus-solini) mentre le altre condanne alla pena capitale, non tutte eseguite, riguardarono, nel 1930 e nel 1941, at-ti definiti di terrorismo in capo a cittadini d’origine slovena. A queste seguirono, nel 1942, oltre ai casi dispionaggio, una serie di sentenze capitali contro partigiani e disertori italiani passati alle bande balcaniche.Nel 1943 si aggiunsero, inoltre, a queste fattispecie alcuni soggetti giudicati rei di episodi di sciacallaggioverificatisi a Torino dopo i bombardamenti aerei del novembre 1942.(3) Dimissionamento cui seguì, il 6 dicembre 1944, come ricorda Falcone Lucifero nel proprio L’ultimo Re,il precipitoso trasferimento del Maresciallo nell’ambasciata inglese di Roma, dove rimase nel corso del1945, in seguito ai provvedimenti presi nei suoi confronti dalla Commissione d’inchiesta in merito agli av-venimenti dell’8 settembre 1943. (4) In particolare la causa scatenate dell’aumentata sorveglianza a Bordeaux fu la notizia del fallito aggua-to teso il 16 agosto 1941 dal sommergibile polacco Sokol, in seguito a precise istruzioni trasmesse dall’Am-miragliato, a un battello italiano atteso davanti alle foci della Gironda e fortunatamente giunto in ritardo al-l’appuntamento in seguito a un’avaria. Lettera all’autore di Andrzej S. Bartelski del 5 febbraio 2011. Per irapporti italo-polacchi del 1939-1943 si veda, per esempio, di Luigi Lerro, Roma chiama Berlino: Libera-te quei professori. L’intervento italiano per i docenti dell’Università di Cracovia arrestati dai nazisti, Nuo-va Storia Contemporanea, n. 4, 2002. Altra cortesia dei polacchi in esilio fu l’avvisarci in merito a una re-te di sabotatori loro connazionali al servizio dei Britannici, ma infiltrati dai Russi, destinata a operare con-tro il nostro naviglio mercantile e prontamente neutralizzata.(5) Dopo la guerra i Francesi intitolarono a Stosskopf, il maggior affondatore della loro Marina nel corsodel Ventesimo secolo, il complesso di bunker ex tedeschi di Lorient destinato ai loro battelli nucleari.(6) Giacomo Scotti, I disertori, Le scelte dei militati italiani sul fronte jugoslavo prima dell’8 settembre, Mur-sia, Milano, 1980. Giacomo de Antonellis, «I sabotaggi che il fascismo non svelò», in Storia Illustrata, Ago-sto 1976.(7) Sandro Attanasio, Gli anni della rabbia, Sicilia 1943-1947, ed. Mursia, Milano, 1984 pagine 87-95. (8) Cristopher Meumaier, «The Escalation of German Reprisal Policy in Occupied France 1941-42», inJournal of Contemporary History, Gennaio 2006.(9) Marcello Staglieno, Montanelli novant’anni controcorrente, ed. Mondatori, Milano, 2001, pagine 168-169. Vedi, inoltre, PRO, FO 898/26, Giustizia e Libertà Project, April and May 1943. (10) British Library of Political and Economic Science, Dalton/1, Dalton diary, Dec. 20 1940. (11) Peter Sebastian, I Servizi Segreti britannici e l’Italia (1940-45), ed. Bonacci, Roma, 1986, pagina 101.(12) Giuseppe Conti, Una guerra segreta, ed. Il Mulino, Bologna, 2009, pagina 329. Arthur Hezlet, Histo-ry of British and Allied Submarine Operations, edizione fuori commercio, Portsmouth, 2002.(13) PRO, FO 371, R 7549/3700/22 ed R 7661/3700/22. Vedi, inoltre, del professor Antonio Varsori, «Italy,Britain and the problem of a separate peace during the second world war», in The Journal of Italian Histo-ry, 1978, n.3. Per la cronaca gli Statunitensi dovettero penare non poco, nel febbraio 1942, per bloccare ilpiano britannico (periodicamente comunque riproposto, in seguito, da Londra, con ostinazione, fino all’e-state 1944) inteso a proclamare in Canadà un governo in esilio tedesco riconosciuto dagli Anglosassoni ecapeggiato da Otto Strasser, capo dell’ala sinistra del partito nazista e rivale in esilio, dal 1933, del borghe-se Hitler. Roosevelt – Churchill, Carteggio segreto di guerra, ed. Mondatori, Milano, 1977, pagina 214.(14) Marziano Brignoli, «A cavallo del carro armato», in Storia Illustrata, aprile 1979.(15) Enrico Cernuschi, «Le decrittazioni della Regia Marina», in Storia Militare, aprile e maggio 2007.(16) Ezra Pound, Radiodiscorsi, Edizioni del girasole, Ravenna, 1998. Luca Gallesi, Ezra Pound, «L’ammi-raglio Degli Uberti e Marina Repubblicana», in Storia Contemporanea, n. II 1996. È rimasta celebre la mas-sima coniata da Pound in occasione della durissima prigionia subita a Pisa, in una gabbia, nel 1945, a ope-ra dei suoi connazionali «Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o le sue ideenon valgono nulla o non vale niente lui».

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(17) Le presunte gesta degli «Animali» furono in seguito ricordate nel celebre film Caccia al ladro, conCary Grant e Grace Kelly, del 1955, e da un serial televisivo della TV francese, con Lilli Palmer nel ruolodi Marie-Madeline Fourcade prodotto nel 1969 e diffuso anche in Italia, a conferma del fatto che in questamateria non contano i risultati, ma il ricordo che si lascia dietro di sé, magari con l’aiuto di un bravo scrit-tore e di uno sceneggiatore.(18) L’entusiasmo iniziale dei Francesi nei confronti «di quei fessi dei miliardari americani» era anzi taleche avevano chiesto, già nel dicembre 1942, alla missione tecnica statunitense appena arrivata a Mers-el-Kébir per liberare dai relitti quel porto, di recuperare dal fondo, raddrizzare e ricostruire la vecchia nave dilinea Bretagne, affondata laggiù a cannonate dagli Inglesi il 3 luglio 1940. Vedi, a questo proposito, i pepa-ti commenti del Direttore del parco di salvataggio statunitense, il comandante Edward Ellsberg, nel suo NoBanners No Bugles, ed Dodd Mead, New York, 1949. Per la storia dell’aiuto statunitense alla risorta Mari-na francese e per i cannoni mancati dello Jean Bart si rimanda, inoltre, all’articolo scritto dall’ammiraglioVezio Vascotto, «La caverna di Alì Babà», in Storia Militare, agosto 2011.(19) Mussolini, in effetti, seguiva personalmente sin dal 1923 tutte le maggiori operazione di infiltrazione.Quest’abitudine, se pure gli assicurò sempre, da un lato, informazioni di prim’ordine fino al 1945, dall’al-tro sviluppò oltre ogni misura la sua personale propensione al cinismo. Probabilmente il commento finalepiù corretto a questo proposito fu quello formulato da Vittorio Emanuele III al proprio Primo aiutante dicampo, il generale Paolo Puntoni, all’indomani del 25 luglio 1943: «Credeva di essere il più furbo di tutti,ma aveva dimenticato che il più furbo, per definizione, non esiste».(20) Mauro Canali, Le spie del regime, ed. Il Mulino, Bologna, 2004, pagina 474.(21) Giuseppe Conti, op. cit., pagina 350. (22) Il contenuto dei documenti in parola è sempre stato descritto in maniera piuttosto fantasiosa. In realtà,oltre ai disegni delle «Littorio» ricordati in precedenza, esistevano una situazione, aggiornata a due mesiprima, del naviglio mercantile e delle unità di scorta tanto generica quanto generosa e notizie sparse sul mo-rale del personale apparentemente scritte apposta per far piacere ai lettori britannici. Vedi Archivio dell’Uf-ficio Storico dell’Esercito, DS –SIM, 9 giungo 1943, all. n. 5 Comando Supremo – SIM, 9 giungo 1943,Promemoria, oggetto: attività del controspionaggio militare. (23) Archivio dell’Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare, Fondo Informazioni, Commissione Italiana diArmistizio con la Francia, busta 14, fascicolo 4; busta 18, fascicolo 3; busta 19 fascicolo 5).(24) Gianfranco Bianchi, «Si paga il fio di tutti gli errori. I diari di De Bono», in Storia Illustrata, dicembre1974.(25) Per esempio, dal Diario del Maresciallo Cavallero pubblicato da Cappelli, Bologna, nel 1948: «26 di-cembre (1941) Ricevo il colonnello Amé. Lo spionaggio a Taranto mediante posta e radio clandestina, de-ve essere stroncato. Faccio presente che stiamo allestendo un convoglio e che siccome nei convogli prece-denti si è sempre incontrata la squadra nemica, è evidente che vi è spionaggio».(26) Per queste vicende si rimanda a Enrico Cernuschi, La vittoria in prestito, supplemento della RivistaMarittima del maggio 2003 e alla successiva edizione ampliata pubblicata da Iuculano editore in Pavia nel2006 e a: Patrizio Rapalino e Giuseppe Schivardi, Tutti a bordo, ed. Mursia, Milano, 2009. L’ammiraglioMaugeri era stato a sua volta informato, la stessa mattina del 3 settembre 1943, dei termini della questionedall’appena rientrato capitano commissario Mario Vespa (padre del noto giornalista televisivo), asso deiServizi inviato appositamente a Lisbona da Maugeri una settimana prima per verificare la validità del con-tatto statunitense, avviato in seguito a precedenti iniziative a titolo personale promosse a luglio, in Porto-gallo, dalla principessa ereditaria Maria José.(27) Aldo Giambartolomei, «I Servizi segreti militari italiani», in Rivista Militare, Maggio-Giugno 1983.(28) Il cui sbarco a Porto Re, senza colpo ferire e subito dopo il previsto annuncio dell’armistizio italiano,era atteso, sin dalla tarda primavera 1943, un po’ da tutti a partire dai nazisti austriaci — i quali contavanodi accogliere a braccia aperte i cugini inglesi — fino ai Cetnici, che attesero vanamente fino alla fine di set-tembre l’arrivo dei Britannici. Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato, ed. Mursia, Milano, 1982.(29) PRO, FO 371, 33218, R 2298.(30) PRO, ADM 205/10, Note by H R M to Pound, 9 Dec. 9 Dec. 1941. (31) PRO, ADM 199/1110 Operation Harpoon.(32) Mauro Canali, op. cit., pagina 495.(33) Per un’analisi del quale mi permetto di rimandare, scusandomi per l’ineleganza dell’autocitazione, al-l’articolo pubblicato dal sottoscritto e da Vincent P. O’Hara su Warship 2010: «Taranto: the Raid and Af-termath».

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Marinai e spie

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(34) E non, come è stato scritto, Block. (35) Testo criticato in passato, salvo essere confermato, in seguito, in pieno a partire dalla nota e decisivadecrittazione italiana all’origine della battaglia di Punta Stilo.(36) Enrico Cernuschi, «Reciproci inganni», in Rivista Marittima, maggio 1999.(37) Codebreakers, the inside story of Bletchley Park (a cura di F.H. Hinsley e Alan Stripp), ed. Oxford Uni-versity Press, 1993, pagina 28.(38) Custodita nel fondo PRO WO169, dove il nome del personaggio, preceduto da una drammatica siglaX seguita da un numero, è in compagnia di altri colleghi, alcuni dei quali bei nomi della politica e dell’im-prenditoria del tempo, nessuno dei quali appartenente alla Marina. (39) Lucio Ceva, «L’intelligence britannico nella seconda guerra mondiale e la sua influenza sulla strategiae sulle operazioni», in Storia Contemporanea, febbraio 1982. (40) Il grande umorista inglese Jerome, quello per intenderci dei Tre uomini in barca, scriveva, non a caso,in merito a certi tipo umani: «Certa gente berrebbe anche acido solforico, purché sull’etichetta fosse scrit-to gin».(41) Mariano Gabriele, «Ultra Intelligence ed Enigma nella Guerra di Spagna», in Nuova Storia Contem-poranea, gennaio-febbraio 2011.

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