COMPENDIO DI
URBANISTICA
Compendio di notizie di carattere generale sui principali temi riguardanti la scienza urbanistica, le leggi vigenti in Italia nonché nozioni di carattere tecnico-applicativo.
a cura di Francesco Occhicone
EDIZIONE 2010
EDIZIONI
Il termine URBANISTICA indica una disciplina intesa a studiare i fenomeni che
caratterizzano le formazioni e trasformazioni urbane. A partire dal secolo scorso, essa si è andata
sempre più specializzando, tendendo sempre più al fine della messa a punto di tecniche capaci di
ridurre i fenomeni urbani a categorie controllabili mediante norme. In precedenza, prescindendo
da questi più recenti aspetti tecnico-specialistici, un’urbanistica in senso più lato, cioè come
pensiero riflessivo sulla realtà urbana, è nata contemporaneamente alle città.
In questa trattazione verrà tralasciata tutta la parte storica di tipo, diciamo così, filosofica,
per restringere il campo di studio alla parte tecnica della disciplina, che si fa partire, appunto, dal
secolo scorso.
Quindi, dopo un generale excursus sulle principali norme giuridiche che si sono
succedute nella storia degli ultimi cento anni circa, ci addentreremo nell’analisi delle varie
tipologie di pianificazione del territorio ai vari livelli e sotto gli aspetti giuridico,
amministrativo-procedurale e tecnico, fornendo infine notizie e considerazioni inerenti la parte
prettamente tecnica delle problematiche urbanistiche.
* * * * *
La scelta di porre come limite temporale il 1985 a questa breve e sintetica rassegna di
legislazione urbanistica è stata dettata dalla necessità di delineare un quadro di riferimento
essenziale ad uso degli allievi del quinto anno del corso per geometri; quadro che può consentire
di percepire la difficile problematica della gestione del territorio.
Sommario
• Necessità di una disciplina urbanistica
• L.N. 2359 del 25/6/1865, “Disciplina delle espropriazioni forzate per causa di
pubblica utilità”
• L.N. 2892 del 15/1/1885, “Legge per il risanamento della città di Napoli”
• L.N. 320 dell’8/7/1904
• L.N. 502 dell’11/7/1907
• L.N. 1150 del 17/8/1942, “Legge Urbanistica Nazionale”
• D.l. n 154 del 1/3/1945, “Piani di ricostruzione degli abitati danneggiati dalla
guerra”
• D.L. n 1402 del 27/10/1951
• L.N. 1357 del 21/12/1955, “Proroga dei termini per l’attuazione dei PRG e dei PR e
disposizioni per il rilascio di licenze in deroga al regolamento edilizio”
• L.N. 167 del 18/4/1962, “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili
per l’edilizia economica e popolare”
• L.N. 765 del 6/8/1967, nota come “Legge ponte”
• L.N. 865 del 22/10/1971, “Legge per la casa”
• L.n. 10 del 28/1/1977, “Norme per l’edificabilità dei suoli”, nota come “legge
Bucalossi”
• L.N. 513 del 8/8/1977, “Provvedimenti urgenti per l’accelerazione dei programmi in
corso”
• L.N. 457 del 5/8/1978, “Norme per l’edilizia residenziale”,
• L.N. 94 del 25/3/1982, “Norme per l’edilizia residenziale”
• L.N. 47 del 28/2/1985, “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistica ed
edilizia. Sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie”
• APPROFONDIMENTI
NECESSITA’ DI UNA DISCIPLINA URBANISTICA
Tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento quel complesso fenomeno economico e
culturale che va sotto il nome di Rivoluzione Industriale determina, dapprima in Inghilterra poi in Germania
e in Francia, e più tardi in tutta l’Europa, radicali mutamenti e profonde lacerazioni in un tessuto fisico e
sociale ancora impreparato ad affrontare i molteplici problemi, non solo economici, derivanti dai nuovi
modi di produzione. Le città sono congestionate da un’espansione fortemente accelerata, messa in crisi
dalla rottura dell’antico equilibrio con la campagna. Basti pensare che, un esempio per tutti, la città inglese
di Manchester, che intorno al 1750 contava meno di 12.000 abitanti, nel 1850, cioè nel giro di un secolo,
arriva ad oltre 400.000.
Alla congestione delle aree urbane contribuisce il progresso dei mezzi di comunicazione (strade,
canali navigabili, ferrovie, linee di navigazione servite dalle nuove navi a vapore), che consentono una
mobilità sociale senza precedenti. Città e territorio, pertanto, diventano oggetto di importanti riflessioni
critiche; in tutta Europa, a partire dall’Inghilterra e dalla Francia, vengono votate le prime leggi sanitarie
che saranno alla base della legislazione urbanistica. Dal corpus normativo delle leggi igienico-sanitarie
derivano i “regolamenti edilizi”: uno strumento tecnico che riveste un ruolo primario nella formazione della
città dell’Ottocento.
Tuttavia i primi esempi di programmazione completa li si comincia ad avere solo verso la fine del
XIX sec.. Tra le varie proposte degne di nota sono quelle della “Città Giardino”, di Ebenezer Howard (in
cui rilevante era il rapporto “campagna-città” con grandi spazi verdi tra i vari caseggiati, proposta questa,
comunque, alquanto utopistica) e della “Città Industriale”, di Tony Garnier (sicuramente innovativa e più
concreta perché proponeva soluzioni di problemi concreti e affrontava la struttura organizzativa, spaziale e
funzionale della nuova città, prodotto dell’era industriale, finalmente accettata come dato economico e
culturale imprescindibile).
Nella prima metà del Novecento, nei venti anni che intercorrono tra le due guerre mondiali, le varie
correnti del Razionalismo architettonico incidono profondamente sullo sviluppo del pensiero urbanistico.
Al centro della riflessione critica sui fenomeni urbani sta il problema dell’abitare concepito come momento
fondamentale dell’esistenza dell’individuo e della società e in rapporto a funzioni determinate e costanti.
Contemporaneamente, il rapido progresso tecnologico apre la strada all’impiego di materiali nuovi (acciaio
e cemento armato) e all’uso di nuove tecniche nelle costruzioni. Le nuove possibilità così consentite alla
concezione stessa degli edifici e alla loro espressione formale vanno definitivamente trasformando il volto
della città, mettendone in crisi le tradizionali forme di controllo. Le nuove proposte supportate dalle dette
considerazioni hanno tutte come nucleo portante la dimensione innovativa del quartiere, e non più la
singola abitazione, si tendono cioè sempre più a programmare le città non come aggregazione di singole
abitazioni, ma ad organizzare gli spazi e le grandi aree tendendo a renderle sempre più indipendenti e
autosufficienti. In questo contesto sicuramente esemplare è il caso della cosiddetta “utopia lecorbusierana”
(dal nome di LE CORBUSIER, che ne è l’autore), che proponeva una città “a dimensione d’uomo”
suddividendo l’organizzazione urbana in quattro settori chiave: abitare-lavorare-ricrearsi-circolare. La
residenza (l’”abitare”) è ancora il centro dell’operare urbanistico e il punto di partenza per la successione
delle integrazioni e delle connessioni che, mettendo in relazione le “funzioni chiave”, danno luogo al
quartiere e, ampliando la scala, alla città.
Dopo la seconda guerra mondiale, l’enorme sforzo economico e politico della ricostruzione
costringe i paesi europei ad affrontare problematiche urbanistiche assai complesse, a ragionare su una scala
che supera la dimensione storica della città per coinvolgere ambiti territoriali sempre più vasti. Le
formulazioni teoriche del razionalismo degli anni Venti e Trenta appaiono troppo limitate e superate dalla
dimensione territoriale degli interventi necessari. Tuttavia l’ipotesi del quartiere come nucleo di base dello
sviluppo urbano resta a fondamento di alcune esperienze urbanistiche di quest’epoca: dalle realizzazioni
dell’edilizia economica e popolare dell’INA Casa in Italia, alle new towns inglesi, agli interventi di
decentramento effettuati nei paesi scandinavi. E proprio il decentramento urbano, inteso come strumento di
riequilibrio territoriale, è il tema urbanistico centrale di questo periodo. In quest’ ambito, mentre si pone il
problema del coordinamento della città con le attività produttive trasportate al di fuori dei suoi limiti e con i
nuovi insediamenti suburbani, un ruolo sempre più importante viene assegnato, dal dibattito urbanistico, al
concetto di integrazione tra città e campagna.
Pertanto, nell’eccezionale circostanza della ricostruzione postbellica, il pensiero urbanistico si fa
più maturo. Al suo interno emerge un filone di studi scientifici (economici, geografici, sociologici) che
orientano in modo nuovo e diverso, nel senso di un’effettiva pianificazione, gli obiettivi operativi della
disciplina urbanistica. Da questo filone non soltanto nascono nuove metodologie di analisi urbana e
territoriale, ma si sviluppano importanti innovazioni nella concezione normativa.
NORMATIVA URBANISTICA ESSENZIALE
Gli anni che seguirono l’unità d’Italia videro un crescente bisogno, da parte del nuovo stato, di
promuovere le disuguaglianze economiche che affliggevano il territorio nazionale. La pesante eredità degli
stati pre-unitari si concretizzava nella mancanza di efficienti vie di comunicazione ed in un sistema
economico disomogeneo; al nord una nascente industrializzazione, al sud estesi latifondi ed un’agricoltura
arcaica.
Per l’urgente esigenza della creazione di una rete stradale e ferroviaria che promuovesse i commerci il
Parlamento pose mano ad una legge che consentisse gli espropri necessari. La materia fu regolata dalla:
L.N. 2359 del 25/6/1865, “Disciplina delle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità”
Con la suddetta legge si introducono i Piani Regolatori Edilizi ed i Piani di Ampliamento. Il primo,
destinato al centro storico da risanare, consentiva di allargare o aprire nuove strade, di fissare le altezze e gli
allineamenti degli edifici ricostruiti, di definire le aree di demolizione e di ricostruzione; il secondo,
destinato all’espansione della città, dettava disposizioni in merito all’individuazione delle aree per
l’edificazione, i collegamenti con la viabilità preesistente, le opere di urbanizzazione.
La legge stabilisce inoltre la non obbligatorietà dei PRE che, comunque, possono essere adottati solo dai
comuni con più di 10000 ab. Stabilisce il termine di 25 anni per la loro attuazione ed il riconoscimento
implicito nel PR della dichiarazione di pubblica utilità. Nei Piani di Ampliamento si stabilisce l’obbligo di
cedere il terreno per la viabilità, dietro compenso per l’esproprio.
Questa legge ha come criterio base il pagamento di un indennizzo che risarcisca completamente il danno
economico subito, senza tener conto, ovviamente, del valore affettivo che il proprietario ha nei riguardi del
bene. In essa si prende, come riferimento per l’indennizzo, il valore del terreno insieme al reddito
agricolo da esso prodotto; tale valore va ricavato mediante stima e perciò fa riferimento al valore di
mercato.
La legge non ebbe una vasta applicazione a causa del forte onere economico derivante ai comuni soprattutto
nel caso di esproprio di edifici.
Sia prima che dopo l’unità d’Italia le grandi città, cresciute sia per lo sviluppo industriale che per la spinta
demografica, manifestano urgenti problemi di assetto urbanistico. Essi vennero affrontati dalle
amministrazioni locali principalmente attraverso disposizioni finalizzate al miglioramento dell’igiene
pubblica e al conseguimento dell’ideale, allora in voga, del “bello e ordinato”.
Gli interventi erano principalmente concentrati nelle zone dei centri urbani, solitamente i più degradati,
dove furono frequenti le demolizioni per garantire la sicurezza statica e gli allineamenti stradali.
Questi interventi restavano comunque limitati e parziali (diversamente da quanto si stava realizzando in
tutte le grandi città europee). Ciò però conferma la gravità della situazione che attraversavano le nostre
città.
Fu proprio il Sud che fornì al legislatore la ragione di un successivo intervento. Il centro antico di Napoli
superaffollato e privo di un decente sistema fognario subì, nel 1884, un’epidemia di colera. Il Parlamento
affrontò il problema con un intervento straordinario mediante la:
L.N. 2892 del 15/1/1885, “Legge per il risanamento della città di Napoli”
Questa legge, come avverte l’intestazione, fu varata solo per il caso particolare della città di Napoli, onde
demolire e ricostruire un quartiere malsano colpito da epidemia di colera, causata dalle condizioni
antigieniche e dal sovraffollamento delle abitazioni. In parole povere lo scopo che si prefiggeva il
legislatore era quello di “espropriare molto e pagare poco”, dovendosi adattare alle condizioni
economiche del tempo e del luogo, con finalità sociali.
L’art. 13 stabilisce che l’indennità dovuta ai proprietari va determinata effettuando la media del valore
venale e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio con data certa. In difetto di tali fitti accertati, si deve
sostituirli con l’imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui fabbricati.
Negli anni seguenti furono messi in atto interventi legislativi particolari per alcune grandi città:
L.N. 320 dell’8/7/1904
Introduce per la città di Roma l’imposta sulle aree fabbricabili;tale legge era comunque valida per tutti i
comuni che reputassero necessario promuovere nuove edificazioni.
L.N. 502 dell’11/7/1907
Destina metà del ricavato delle imposte sulle aree fabbricabili a beneficio dello IACP (istituto autonomo
case popolari) di Roma; tale legge dichiarava inoltre fabbricabili tutte le aree comprese nel perimetro del
PR di Roma (precedentemente la legge Luzzati sulle case operaie, del 1903, aveva introdotto l’edilizia
popolare in Italia; a questa legge risalgono i primi Istituti Case Popolari).
Dal punto di vista urbanistico questa innovazione è assai importante perché in opposizione al concetto
tradizionale di edificabilità come diritto connaturato ad ogni suolo, stabilisce il principio che sono
fabbricabili solo le aree comprese nel perimetro del Piano Regolatore
Altra innovazione è l’aver introdotto l’obbligo per i Comuni di dotarsi di Regolamento Edilizio, strumento
che, a quella data, era limitato al controllo dell’espansione edilizia e non a regolare tutta l’attività edilizia
come avviene oggi.
Il ripetersi del ricorso alle leggi speciali per risolvere situazioni contingenti fece sì che da più parti si
sentisse la necessità di una disciplina urbanistica integrale, organica e autonoma, alla quale si poteva
giungere solo separando le norme urbanistiche da quelle riguardanti l’esproprio, evitando l’equivoco che
il PR (piano regolatore) fosse solo una particolare ipotesi di dichiarazione di pubblica utilità.
Il Piano Regolatore infatti, pur introducendo il vincolo sulla proprietà privata per l’esecuzione di certe
opere, non è soltanto un progetto di opere pubbliche ma, soprattutto, uno strumento guida per la gestione
del territorio. Si pervenne, in tal modo, alla legge istitutiva del piano regolatore per la città di Roma.
1931 - Con la legge istitutiva del PR di Roma si introdussero alcuni principi fondamentali in materia di
procedura urbanistica, fra i quali quello della lottizzazione dei terreni per nuovi insediamenti abitativi e
quello sulla formazione dei comparti edilizi.
Tali principi formeranno la base per la futura:
L.N. 1150 del 17/8/1942, “Legge Urbanistica Nazionale”
La legge n. 1150 entrò in vigore durante la guerra e rimase inattuata per molti anni. Ad essa doveva far
seguito il regolamento di attuazione per renderla operativa, ma al termine del periodo bellico, a causa della
situazione d’emergenza, il legislatore si orientò a favore dell’approvazione di “Piani di Ricostruzione” che
tra il 1945 ed il 1951 furono introdotti nella normativa italiana per porre mano alla ricostruzione
postbellica.
In essa si stabiliva, inoltre, che la disciplina urbanistica doveva attuarsi mediante piani regolatori di vario
ordine, tra cui, i piani regolatori ed i piani particolareggiati.
I Piani di Ricostruzione riunendo in un unico atto le previsioni dei Piani Regolatori e dei Piani
Particolareggiati costituirono, di fatto, una prima deroga alla legge del 1942 e ne ritardarono l’attuazione.
La LUN è l’unica legge organica in materia urbanistica alla quale, nel corso degli anni, successive
leggi hanno apportato modifiche sostanziali senza, peraltro, sostituirla. È tuttora in vigore nelle sue
linee sostanziali. Le modificazioni più significative alla LUN sono state introdotte con
la L.n. 765 del 1967 (se vuoi saperne di più sulle leggi 1150/1942 e 765/1967 scorri la pagina sino agli
approfondimenti).
La ricostruzione postbellica fu un’occasione perduta per l’urbanistica italiana. Anziché realizzare veri e
propri interventi di riprogettazione urbanistica, come avveniva nelle altre nazioni europee coinvolte nella
guerra, si decise di procedere per mezzo di decreti legge che autorizzassero e aiutassero la ricostruzione di
ciò che era come era.
Il primo emanato riguardò l’Italia a sud della “Linea Gotica”, già liberata dalle truppe alleate, e fu il:
D.l. n 154 del 1/3/1945, “Piani di ricostruzione degli abitati danneggiati dalla guerra”
L’ultimo fu il:
D.L. n 1402 del 27/10/1951
Questi lodevoli interventi pensati per garantire un tetto agli italiani venivano calati in una situazione
caratterizzata da controlli inesistenti ed inefficienza amministrativa che inibirono una corretta
pianificazione delle aree urbane distrutte nonché quelle periferiche prese d’assalto dalla speculazione
edilizia.
Ma la voglia di approfittare ancora di un regime transitorio e rimandare ancora la predisposizione dei piani
regolatori resta forte a tal punto che il Parlamento nel 1955 emana la:
L.N. 1357 del 21/12/1955, “Proroga dei termini per l’attuazione dei PRG e dei PR e disposizioni per il
rilascio di licenze in deroga al regolamento edilizio”
Non stupiamoci di questo modo di far leggi perché ancora nel 1993 la L.n. 317 annuncia “Norme generali
per il completamento dei piani di ricostruzione postbellica”.
I successivi anni ’60 videro un grande riequilibrio sociale ed economico tra industria e agricoltura e tra
nord e sud Italia. Il “miracolo economico” provocò lo svuotamento delle campagne del sud e il
sovraffollamento delle città del nord, per cui a causa della diffusa povertà delle masse operaie e
bracciantili si dovette affrontare il problema degli alloggi per i lavoratori e le categorie svantaggiate.
La problematica venne affrontata con la:
L.N. 167 del 18/4/1962, “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia
economica e popolare”
In essa, i Comuni con popolazione superiore ai 50000 abitanti, sono obbligati a dotarsi di piani di zona o
PEEP comprensivi di opere di urbanizzazione, attrezzature di servizio e, finalmente, di verde pubblico.
Con l’art. 10 la legge consente inoltre ai Comuni di espropriare fino al 50% delle aree per riutilizzarle in
proprio o per rivenderle ai privati che si impegnano a costruire case con caratteristiche (per prezzi e
qualità) economiche e popolari. La restante parte resta a disposizione dello Stato per alloggi demaniali, o
delle Regioni, o degli istituti INA-Casa, cooperative, ecc.
L’art. 12 contiene un principio dirompente: l’indennità di esproprio va determinata dall’Ufficio Tecnico
Erariale sulla base del valore del terreno senza tener conto del suo incremento dipeso direttamente o
indirettamente dalla formazione e attuazione dei piani urbanistici. Viene così azzerato il valore delle aree
periferiche.
Riepilogando la 167/1962 è assai importante perché con lo snellimento delle procedure, con la
dichiarazione di pubblica utilità per l’edilizia residenziale, con la previsione delle opere di urbanizzazione
nonché l’acquisizione delle aree da parte dei Comuni a prezzo di terreno agricolo costituisce una coraggiosa
rottura con la prassi degli anni precedenti.
La cronica scarsità di risorse finanziarie fece sì che la legge trovasse attuazione pratica soltanto nelle
regioni del nord e, per di più, nelle città più grandi; inoltre la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo l’art
10 poiché è giustificabile l’esproprio delle aree destinate ad usi pubblici da parte della collettività (strade,
parcheggi, verde, ecc.), ma non altrettanto può dirsi per le aree destinate alla residenza che, perciò, hanno
un uso strettamente privatistico; e comunque queste aree non possono essere valutate con il criterio del
prezzo agricolo, ma riferendosi al prezzo di mercato.
La frenetica attività edilizia seguita al “miracolo economico”, che caratterizzò l’Italia dalla fine degli anni
’50 alla fine degli anni ’60, aveva prodotto un’espansione disordinata delle città con indici di affollamento
inaccettabili e tutto ciò aggirando norme e vincoli con ogni sorta di abuso generalizzato che
comprometteva ogni successiva possibilità d’intervento di pianificazione.
Da più parti si chiedeva una riformulazione sostanziale della legge urbanistica. Nel 1966 tre eventi
catastrofici (la frana di Agrigento che fece sprofondare un intero quartiere, e le alluvioni di Firenze e del
Veneto) convinsero il Parlamento che era giunto il momento di fare qualcosa. L’intervento legislativo
mirava quindi ad abbattere la speculazione edilizia ed a salvaguardare il patrimonio culturale e
paesaggistico nazionale.
Si pervenne cosi alla:
L.N. 765 del 6/8/1967, nota come “Legge ponte”
Tale legge avrebbe dovuto finalmente consentire sostanziali mutamenti nella politica urbanistica italiana
poiché stabiliva la demolizione per le opre eseguite senza licenza edilizia o in modo difforme da questa, la
licenza inoltre poteva essere rilasciata solo se l’area fosse già servita da opere di urbanizzazione, infine le
nuove lottizzazioni erano subordinate alla stipulazione di una convenzione tra privati e Comune. Fissava,
inoltre, consistenti limitazioni all’edificazione in quei Comuni ancora sprovvisti di strumenti urbanistici e
stabiliva anche che ogni nuova costruzione fosse dotata di parcheggi auto in misura non inferiore ad 1
m2 ogni 20 m2 di superficie.
La legge si concludeva preannunciando l’emanazione di norme relative agli standard urbanistici e i limiti
all’edificazione per mezzo di decreti ministeriali. (I D.M. 1404 e 1444 furono emanati nel 1968 e se vuoi
saperne di più clicca su di essi).
Nonostante il nostro Paese attualmente non stia attraversando un periodo economico favorevole, non è
facile capire o ricordare le difficoltà e i disagi che molti italiani hanno dovuto sopportare in una fase
storica di grandi riequilibri economici e di fortissima emigrazione interna quale è stato il periodo degli
anni Sessanta.
La contestazione giovanile del 1968, le grandi lotte operaie e la mobilitazione dei sindacati sul problema
degli alloggi, culminata nello sciopero generale per la casa del 1970, indussero il Parlamento a varare la:
L.N. 865 del 22/10/1971, “Legge per la casa”
Nelle intenzioni del legislatore essa avrebbe consentito di operare in modo organico e definitivo su di un
bene fondamentale quale la casa.
Con essa viene istituito un comitato, il CER, con compiti di orientamento, controllo e coordinamento dei
programmi per l’edilizia; si ritorna, nel caso di espropri, all’indennizzo stabilito sulla base del valore medio
agricolo determinato dall’UTE; vengono estesi i programmi pubblici di edilizia residenziale ad abitazioni
malsane o colpite da calamità naturali; viene ampiamente trattata l’edilizia agevolata e convenzionata. Si
cerca, poi, di orientare gli operatori del settore verso il recupero edilizio.
La prima metà degli anni Settanta è caratterizzata anche da leggi e decreti che, pur non avendo
connotazioni strettamente urbanistiche, hanno a che vedere con l’edilizia: si tratta della L.N. 1086/1971
“Norme per la disciplina delle opere in conglomerato cementizio armato e precompresso e a struttura
metallica”, dei Decreti Delegati del 1972 che trasferiscono alle Regioni a statuto ordinario alcune
competenze in materia urbanistica e della L.N. 64/1974 “Provvedimenti per le costruzioni con particolari
prescrizioni per le zone sismiche”. Da questo momento in poi tutte le figure professionali coinvolte nel
processo edilizio, limitatamente all’ambito di rispettiva competenza, saranno chiamate a rispondere dei
propri atti davanti alla legge.
Giungiamo alla fine degli anni Settanta che vedono la promulgazione della:
L.n. 10 del 28/1/1977, “Norme per l’edificabilità dei suoli”, nota come “legge Bucalossi”
La legge contiene importanti elementi innovativi alcuni dei quali, secondo il parere degli esperti, non ben
formulati. Innanzitutto introduce il programma pluriennale di attuazione (p.p.a.), mediante il quale
l’Amministrazione comunale stabilisce i tempi e i modi degli interventi edificatori; l’altra grande novità
riguarda la possibilità o meno di concedere il permesso a qualsiasi trasformazione dei suoli; comunque chi
ottiene tale permesso deve pagare un contributo destinato a coprire i costi di urbanizzazione.
Ciò, in sostanza, equivale alla separazione dello jus ædificandi dallo jus possidendi, ma questo la legge
Bucalossi non lo dice esplicitamente. Ragion per cui la Corte Costituzionale sarà chiamata in causa per le
controversie sollevate dai proprietari di aree fabbricabili che vedevano lesi i loro diritti naturali (se vuoi
saperne di più sulla legge Bucalossi, sullo jus ædificandi e lo jus possidendi scorri la pagina sino agli
approfondimenti).
Con la:
L.N. 513 del 8/8/1977, “Provvedimenti urgenti per l’accelerazione dei programmi in corso”
e con la:
L.N. 457 del 5/8/1978, “Norme per l’edilizia residenziale”,
si assiste, finalmente, ad una ripresa del settore edilizio che, non dimentichiamolo, è un settore trainante
poiché fa da volano a molteplici attività e settori ad esso collegati. In particolare la L.N. 457 introduce un
piano decennale che riguarda tutti gli interventi di edilizia sovvenzionata, convenzionata e agevolata
finalizzati alla costruzione di abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio esistente, nonché
l’acquisizione e l’urbanizzazione di aree destinate agli insediamenti residenziali.
Siamo così giunti agli anni Ottanta che vedono l’intervento della Corte Costituzionale e, in seguito, il
primo condono edilizio.
La Corte, con sentenza n. 5 del 30/1/1980, definiva illegittimo l’indennizzo delle aree espropriate calcolato
sulla base del loro valore agricolo. Ciò avrebbe comportato un enorme esborso di denaro in più per quelle
amministrazioni che si erano impegnate in programmi di edilizia pubblica. Per evitare un tracollo delle
casse comunali il Parlamento provvide ad apporre una “toppa”, con la L.N. 385 del 31/12/1980, mediante
la quale veniva prorogata la validità degli indennizzi con possibilità di un conguaglio successivo e in
attesa di una nuova e risolutiva norma.
Ma il problema della casa restava comunque di difficile soluzione, anche perché la situazione economica
del paese presentava ancora prospettive negative. In questa cupa atmosfera il Governo ricorse ad
interventi straordinari varando la:
L.N. 94 del 25/3/1982, “Norme per l’edilizia residenziale”
Essa concedeva mutui a tasso zero ai Comuni che si impegnavano in programmi di acquisizione di aree da
urbanizzare e destinare all’edilizia residenziale, arrivando ad ipotizzare l’occupazione d’urgenza delle aree.
La legge elencava anche una serie di opere non soggette a concessione ma a semplice autorizzazione
gratuita ed arrivando alla implicita ammissione di impossibilità di controllo del processo pianificatorio con
l’introduzione del principio del silenzio-assenso.
La semplificazione delle procedure introdotte dalla legge 94/1982 fu intesa dagli operatori del settore e dai
singoli proprietari di aree edificabili non già come una accelerazione dei tempi lenti della burocrazia, ma
come un tacito invito ad arrangiarsi con probabile garanzia d’impunità. Gli italiani, nonostante leggi,
decreti, circolari esplicative, PRG, PP e quant’altro, continuavano ad impegnarsi in uno degli sport
preferiti: costruire dovunque e comunque abusivamente eludendo vincoli, norme, piani regolatori, tasse. Le
stime di questo fenomeno, peraltro approssimate, davano i brividi: circa il 30 – 40% del patrimonio
edilizio. Alcune località erano (e sono) abusive al 90% includendo anche gli edifici pubblici.
L’indulgenza con relativa assoluzione dai peccati venne sotto forma di condono edilizio; tale rimedio
invocato a gran voce dagli italiani fu introdotto dal Parlamento con la:
L.N. 47 del 28/2/1985, “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistica ed edilizia. Sanzioni,
recupero e sanatoria delle opere edilizie”
La legge nei primi articoli elenca i casi di opere abusive e prosegue annunciando la concessione in sanatoria
previo pagamento della oblazione. Si rendono nulli gli atti di compravendita relativi ad edifici abusivi o
lottizzazioni abusive; si dispone la confisca delle lottizzazioni abusive e si annunciano controlli periodici
del territorio mediante rilevamenti aerofotogrammetrici.
Per quanto riguarda lo snellimento delle procedure urbanistiche ed edilizie si specificano le categorie di
opere edilizie per le quali non è più necessaria la concessione e l’autorizzazione, ma una semplice relazione
che descriva le opere da eseguirsi nel rispetto delle norme vigenti, presentata all’inizio dei lavori, e firmata
da un professionista abilitato.
Che dire di ciò che è successo in campo legislativo ed urbanistico dal 1985 sino ai giorni nostri?
Molto semplicemente che gli italiani, un po’ per necessità e, un po’ per naturale inclinazione, hanno
continuato a costruire abusivamente in spregio alle leggi, tanto è che nel 1994 sono stati riaperti i termini
del condono edilizio (ma forse anche per la cronica necessità che hanno le casse dello Stato di denaro).
Ancora nel corrente anno, 2004, ci viene riproposta una nuova sanatoria edilizia.
Concludendo possiamo affermare che la nostra normativa è affetta da:
� complessità organizzativa;
� difficoltà interpretativa;
� sovrapposizione di competenze.
APPROFONDIMENTI
L.U. n°1150 del 1942
Analizziamo più dettagliatamente i punti significativi della legge urbanistica nazionale n° 1150 del 1942.
Essa si articola in quattro titoli suddivisi, a loro volta, in capi.
Il titolo I riguarda l’ordinamento statale dei servizi urbanistici ed all’art. 1 si afferma che:”L’assetto e
l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio dello Stato sono
disciplinati dalla presente legge. Il Ministro dei lavori Pubblici vigila sull’attività urbanistica anche allo
scopo di assicurare, nel rinnovamento ed ampliamento edilizio delle città, il rispetto dei caratteri
tradizionali, di favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all’urbanesimo.”
Il titolo II tratta della disciplina urbanistica. Nei capi che lo costituiscono si stabilisce che essa è
regolamentata da piani regolatori di vario ordine i quali devono essere corredati di norme di attuazione.
Viene inoltre introdotto per la prima volta il concetto di Piano Territoriale di Coordinamento
(PTC) (senza però dire se si tratta di piani regionali o provinciali).
Vengono definite le caratteristiche dei Piani Regolatori Generali (PRG) che devono estendersi a tutto il
territorio comunale qualificandone la destinazione d’uso (zonizzazione); essi, una volta approvati, hanno
durata a tempo indeterminato.
Introduce, poi, i Piani Particolareggiati Esecutivi (PPE) che sono i veri strumenti di attuazione dei PRG.
I PPE devono essere corredati da un piano finanziario che specifichi le risorse destinate alla sua attuazione
(costi di acquisizione aree, pagamento opere di urbanizzazione, ecc.). La loro approvazione equivale a
dichiarazione di pubblica utilità (con durata limitata a 5 e 10 anni) e quindi rende possibile l’espropriazione
delle aree ad esso necessarie.
Tra i contenuti delle norme di attuazione dei PPE vi è l’epropriabilità delle aree inedificate o di quelle su
cui insistono costruzioni in contrasto con la destinazione di zona.
I proprietari di piccole aree o di zone con confini di proprietà irregolari tali da non consentirne un utilizzo
efficace possono costituire volontariamente dei comparti edificatori.
Si introduce l’obbligatorietà della licenza per qualsiasi costruzione. L’art. 33 definisce i contenuti
del Regolamento Edilizio (RE); l’art. 34, poi, consente ai piccoli Comuni di dotarsi di uno strumento
urbanistico più agile, il Programma di Fabbricazione (P.d.F) da allegare al proprio regolamento edilizio.
Il titolo III tratta della determinazione della indennità di espropriazione, per la quale l’art. 37 fa
riferimento alla l.n. 2359 del 25/6/1865, stabilendo inoltre il criterio che nessun indennizzo è dovuto ai
proprietari per le limitazioni ed i vincoli derivanti alla loro proprietà a causa dell’approvazione del PRG.
Il titolo IV contiene le disposizioni generali e transitorie con riferimento alla pubblicazione di un successivo
regolamento di attuazione che non ebbe mai seguito.
Riepilogando la Legge Urbanistica Nazionale ha portato profonde modificazioni all’assetto giuridico in
materia urbanistica introducendo innovazioni riguardanti principalmente:
� I PRINCIPI NORMATIVI
� L’ORGANIZZAZIONE DELLA PIANIFICAZIONE
� I POTERI CONFERITI AI COMUNI
Principi normativi
Principali innovazioni introdotte dalla legge:
� la pianificazione urbanistica riguarda tutto il territorio nazionale;
� l’attività edilizia, sino ad ora regolamentata all’interno dei centri abitati, viene regolamentata in
tutto il territorio dello Stato;
� obbligo della licenza edilizia;
� la licenza edilizia è subordinata all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla
realizzazione delle stesse da parte del Comune nel triennio successivo, o all’impegno dei privati di
realizzarle contemporaneamente alle opere oggetto della licenza;
� responsabilità del titolare della licenza, del Direttore dei lavori e dell’assuntore per ogni
inosservanza delle norme di legge fissate nella licenza;
� attribuzione al Sindaco della vigilanza sull’attività edilizia;
� vengono introdotte sanzioni penali per le infrazioni e le violazioni di legge.
Organizzazione della pianificazione
La pianificazione urbanistica si attua mediante due livelli:
� un primo livello territoriale mediante i PIANI TERRITORIALI;
� un secondo livello locale mediante STRUMENTI URBANISTICI GENERALI ED
ESECUTIVI.
La pianificazione locale si articola ulteriormente in due fasi:
� fase previsionale mediante il Piano Regolatore Generale (PRG), che ha vigore a tempo
indeterminato;
� fase attuativa mediante i Piani Particolareggiati Esecutivi (PPE), esecuzione di iniziativa
pubblica e validità decennale.
Vengono anche disciplinate le Lottizzazioni di aree a scopo edilizio che dopo la L.n. 765/1967 si
configureranno come veri e propri strumenti di attuazione del PRG ad opera dell’iniziativa privata.
Poteri conferiti ai Comuni
La LUN estende a tutti i Comuni la facoltà di dotarsi di PR; questa facoltà antecedentemente alla L.U.N.
era limitata ai Comuni con almeno 10000 ab. (ricordiamo la L.n. 2359 del 1865). Nella LUN è inserito un
elenco di Comuni di preminente importanza per i quali vige l’obbligo di dotarsi di PR. I Comuni, inoltre,
possono espropriare, entro i limiti di espansione dell’abitato, le aree inedificate e quelle su cui insistono
costruzioni in contrasto con le destinazioni attribuite all’area dal piano, onde realizzare su di esse residenze,
industrie o opere pubbliche di competenza di Comuni, Province, Regioni, Stato e altri enti pubblici o di
diritto pubblico.
Da un punto di vista amministrativo il P.R.G. (oggi ridenominato P.U.C. – Piano Urbanistico Comunale)
per poter entrare in vigore deve seguire un iter abbastanza laborioso ma che ne garantisce (almeno nelle
intenzioni) trasparenza e massimo controllo del rispetto delle norme. Alla pagina che segue si riporta uno
schema dell’iter di approvazione del PUC.
Come conclusione possiamo dire che il potere che hanno i Comuni di predisporre il PRG e di attuarlo si
scontra con la cronica carenza di mezzi tecnici e finanziari da parte di questi; inoltre le difficoltà nella
procedura di predisposizione e approvazione dei PRG e gli strumenti d’intervento assai scarsi si sono
rivelati ostacoli insormontabili per la piena attuazione della legge. Si dovette attendere sino al 1967 perché
finalmente la normativa urbanistica si arricchisse di disposizioni che prendessero il posto dei decreti
attuativi promessi dalla L.n. 1150/42 e mai emanati.
Legge n° 765 del 6/8/1967
Il Parlamento nel 1967 approva la L. n° 765/67 anche conosciuta con il nome di “Legge ponte”. Tale legge
avrebbe finalmente consentito sostanziali mutamenti nella politica urbanistica italiana.
I primi articoli stabiliscono tempi più brevi per la formazione dei piani; gli artt. 6 e 7 affermano che le
opere eseguite senza licenza edilizia o in modo difforme da questa o che siano in contrasto con le
indicazioni del PRG devono essere demolite e gli atti relativi (compravendita) devono essere
annullati.
Anche l’art. 8 è assai importante perché stabilisce, per la prima volta, che le nuove lottizzazioni sono
subordinate alla stipulazione di una convenzione tra privati e Comune.
La legge, tra le altre cose, demandava al Ministero dei Lavori Pubblici l’emanazione di appositi decreti tesi
a migliorare l’attività edilizia.
I decreti furono pubblicati nel 1968; essi sono:
� il D.M. n. 1404/68, “Distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella
edificazione fuori dai centri abitati e nei nuovi insediamenti previsti dagli strumenti urbanistici”;
� il D.M. n. 1444/68, “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati e
rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici...”.
Ecco in sintesi il contenuto dei due decreti.
Il D.M. n. 1404, dopo aver determinato all’art. 1 il campo di applicazione estendendolo a tutte la rete viaria
nazionale, definisce, all’art. 2, il “ciglio stradale” come il
limite della sede o piattaforma stradale comprendente
tutte le sedi viabili sia veicolari che pedonali, incluse le
banchine quando siano transitabili, nonché le strutture di
delimitazione non transitabili, come parapetti arginetti e
simili. Si veda, a maggior chiarimento la figura riportata a
fianco.
Ai successivi artt. 3 e 4 definisce la classificazione delle strade tenendo conto della funzione che svolgono e
ne determina la distanza minima delle costruzioni.
Si hanno così:
a) autostrade, e raccordi autostradali: distanza minima di edificabilità dal ciglio 60 m;
b) strade statali di interesse nazionale e internazionale, strade di grande comunicazione o ad elevato
traffico (statali), tangenziali e raccordi di scorrimento veloce: distanza minima 40 m;
c) altre strade statali, strade provinciali e comunali di larghezza /10,50 m: distanza minima 30 m;
d) altre strade provinciali e comunali: distanza minima 20 m.
Il nuovo Codice della Strada (D.P.R. del 26/4/1993) si sovrappone al suddetto decreto con dei limiti più
articolati che si riportano nella seguente tabella:
Strade urbane Nei centri abitati Tipo
di strada
Strade extraurbane Fuori dai centri abitati ma all’interno del perimetro urbano Con PRG Senza
PRG A 60 30 30 30 B 40 20 - - C 30 10 - - D - - 20 20
E - non stabilita non stabilita 20
F 20 (10 se strade vicinali) non stabilita non
stabilita 10
Per gli edifici esistenti che ricadono in zona di rispetto stradale possono essere autorizzati solo il restauro e
la ristrutturazione senza modifiche planimetriche o aumenti di
volume.
L’art. 5, infine, dispone che in corrispondenza degli
incroci le distanze vanno raddoppiate, così come mostrato in
figura a lato.
Il D.M. n. 1444 stabilisce limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati nonché
le zone omogenee nel seguente modo:
� Zone tipo A: il territorio interessato da agglomerati urbani che hanno carattere storico, artistico
o di particolare pregio ambientale.
� Zone tipo B: il territorio totalmente o parzialmente edificato, diverso dalle zone A. Si intendono
parzialmente edificate le zone la cui superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al
12,50 % (1/8) della superficie fondiaria.
� Zone tipo C: il territorio destinato a nuovi complessi abitativi inedificato o in cui non si
raggiunga il limite di superficie di cui alla zona di tipo B.
� Zone tipo D: il territorio destinato a nuovi insediamenti industriali.
� Zone tipo E: il territorio destinato ad usi agricoli.
� Zone tipo F: il territorio destinato ad attrezzature e impianti di interesse generale quali:
attrezzature per l’istruzione superiore all’obbligo, sanitarie e ospedaliere, parchi pubblici urbani e
territoriali.
La capacità insediativa di un’area viene stabilita assegnando a ciascun abitante una superficie di 20
m2 esclusivamente residenziali oltre a 5 m2 per i servizi di prima necessità (pari a un volume convenzionale
rispettivamente di 80 e 20 m3).
Al fine di garantire ai Comuni una conveniente disponibilità di aree per le attrezzature di interesse
pubblico (istruzione, sanità, assistenza, culto, cultura, etc.; sport e tempo libero, parcheggi) gli articoli 3, 4,
e 5 stabiliscono, per le diverse zone omogenee le quantità minime di suolo da destinare agli scopi anzidetti
(in aggiunta alle aree destinate alle sedi viarie) negli strumenti urbanistici (vedasi tabella riportata alle
pagine seguenti).
Zona territoriale omogenea Dotazione minima inderogabile in m2 per abitante insediato o insediabile esclusi gli spazi per sedi viarie (2) Limiti all’edificazione
Densità edilizia (in m3/m2)
Altezza H di edificazione in metri
Distanza D tra edifici antistanti (come in figura)
Edificazione in zona C Classe Carattere o
destinazione
Assistenza prescolastica
scuole d’obbligo
a
Attrezzature d’interesse
comune b
Verde attrezzato
c
Parcheggi pubblici
d
Totale
a+b+c+d Risanamento: minore o uguale ai valori preesistenti, escluse le sovrastrutture e le aggiunte recenti
A
- Esistente con carattere storico artistico o di particolare pregio ambientale - Zone circostanti integrative di tale carattere
4,5 2 9 2,5+4 (1)
18+4 (1),(3),(4)
Nuove costruzioni: [del 50% della densità media della zona e comunque [5
Nuove costruzioni: [dell’altezza media di edifici storico-artistici situati in prossimità
[ delle preesistenti, escluse le sovrastrutture e le aggiunte recenti senza valore storico-artistico
Distanze minime tra edifici con e senza strada interclusa, da applicare in zona C
B
- Esistente ma senza il carattere della zona A - Edificata totalmente - Edificata parzialmente ma con rapporto di copertura fondiario / 1/8e con densità territoriale / 1,5 m3/m2
4,5 2 9 2,5+4 (1)
18+4 (1),(3),(4)
Secondo PRG o PdiF Ricostruzioni: [ 5 sino a 50000 ab. [ 6 sino a 200000 ab. [ 7 oltre 200000 ab. Densità > ammesse se [70% delle preesistenti
Nuove costruzioni: [ altezze edifici preesistenti e circostanti, salvo pianificazione esecutiva
C
- Inedificata destinata a nuovi complessi insediativi; edificata parzialmente con rapporto di copertura [ 1/8 e
4,5
2
9
2,5+4 (1)
18+4 (1)
Secondo PRG o PdiF
Secondo PRG o RE - In contiguità a zone A , H compatibili con quelle della zona A contigua
D minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti
Vedi disegno 1
con densità territoriale [ 1,5 m3/m2 - Id. per zone contigue o in rapporto con preesistenze amb. art. e archeologiche - Id. per Comuni con pop. prevista[ 10000 ab.
4,5 4
2 2
15 4
2,5+4 (1)
2+4 (1)
24+4 (1)
12+4 (1)
D
Per nuovi insediamenti industriali e assimilabili
10% dell’intera superficie utile della zona 10%
Secondo PRG o PdiF
Secondo PRG o PdiF
E Per usi agricoli 6 6 Secondo PRG o
PdiF Abitazioni: [0,03
Secondo PRG o PdiF
Istruzione superiore all’obbligo
Attrezzature sanitarie ed ospedaliere
Parchi urbani e territoriali
F
Per attrezzature e impianti di interesse generale, anche sovracomunale
1,5 1 15
Dotazione in m2 per 100 m2 di sup. lorda di pavimento degli edifici previsti
80
Per complessi commerci
ali e direzionali
Centri commerciali e zone direzionali
/ 40+16(1) Min. 40 80+16(1)
Secondo PRG o PdiF (preferire alla densità l’indice di sfruttamento in m2/m2
Secondo PRG o PdiF
Vedi disegno 2
(1) Previsto dall’art. 41 sexies della LUN. (2) Per la sola residenza si considerano 20 m2/ab. (pari a 80 m3/ab.), per residenza e servizi integrativi si considerano 25 m2/ab. (100 m3/ab.) (3) Salvo impossibilità. (4) In caso di impossibilità si possono reperire gli spazi nelle adiacenze.
Questi indici fissano misure e dimensioni da rispettare nella progettazione urbanistica dei piani
particolareggiati e nella costruzione degli edifici per consentire alla popolazione insediata di poter contare
su una edilizia rispettosa dei moderni criteri dimensionali.
Gli artt. 7, 8 e 9 fissano norme più propriamente edilizie. In particolare, l’art. 7 fissa i limiti di
densità edilizia per le varie zone; l’art. 8 fissa i limiti di altezza degli edifici; l’art. 9 fissa i limiti di minimi
di distanza tra fabbricati e di questi dai confini. Per quest’ultima norma si vedano esempi riportati nelle
figure seguenti.
L. n. 865 del 22/10/1971 nota come “Legge per la casa”
Tale legge ha 76 articoli divisi in 5 titoli e, forse per questa ragione, fu definita “legge fiume”.
In essa si stabiliscono tempi e modi per la formazione ed il finanziamento dei programmi per l’edilizia.
Viene prevista la costituzione del Comitato per l’edilizia residenziale (CER), con compiti di
orientamento controllo e coordinamento di enti e strutture destinati a fornire case ai lavoratori.
L’intero titolo II (artt. 9-25)contiene le norme sulle espropriazioni per pubblica utilità. Dal momento che si
afferma il principio di “casa come servizio sociale” gli indennizzi vengono stabiliti sulla base del valore
medio agricolo determinato dall’UTE (Ufficio Tecnico Erariale); se le aree ricadono nel perimetro urbano è
previsto un incremento di valore con modalità variabili in base alla dimensione numerica del Comune.
Poiché si estende la facoltà di esproprio alle zone costruite, ma da risanare (centri storici), si deduce un
chiaro intento del legislatore di orientare gli operatori verso il recupero edilizio.
I successivi titoli trattano la materia dei programmi pubblici di edilizia residenziale, edilizia agevolata e
convenzionata.
Nonostante le grandi aspettative questa legge subì gravi ritardi applicativi, ma soprattutto divenne operativa
in un periodo di grande crisi che colpì l’economia mondiale (guerra del Kippur che vide Israele scontrarsi
con i Paesi Arabi del Medio Oriente), causando un forte rincaro dei prodotti petroliferi con conseguenze
inevitabili sulla traballante economia nazionale.
L. n. 10 del 28/1/1977 - “Norme per l’edificabilità dei suoli”, nota come “legge Bucalossi”, dal nome
del Ministro dei Lavori Pubblici che la firmò.
Tale provvedimento si configura come legge quadro in materia urbanistico-edilizia cioè come legge che
pone i principi fondamentali ai quali dovranno adeguarsi le Regioni nell’emanare le proprie leggi
urbanistiche. Ai Comuni spetteranno le funzioni di adozione dei piani urbanistici, l’emanazione dei
regolamenti edilizi ed il rilascio della concessione edilizia. Essa è inoltre caratterizzata da buone intenzioni:
per esempio quella di rendere uguali nei confronti della pianificazione urbanistica tutti i proprietari di aree
di espansione che attraverso il programma pluriennale di attuazione vedono stabilito come, dove e
quando è possibile realizzare gli interventi previsti. Ciò allo scopo di graduare la realizzazione delle
necessarie opere di urbanizzazione primaria e secondaria nonché l’attività edificatoria, onde evitare che la
città si sviluppi in modo caotico e disomogeneo.
L’altra buona intenzione riguarda la possibilità, oppure no, di concedere il permesso a qualsiasi
trasformazione dei suoli e degli immobili.
Il Decreto Legge Bucalossi, di fatto, istituiva il principio giuridico della separazione fra il diritto di
proprietà (jus possidendi) e il diritto di costruire (jus ædificandi), riservando quest’ultimo alla collettività.
Mancando, però, una esplicita dichiarazione di ciò che si voleva perseguire (come già detto la separazione
dello jus ædificandi dallo jus possidenti), tre anni dopo la Corte Costituzionale con sentenza n.5 del
30/1/1980, concludendo un’importante disputa giuridica, affermava che il diritto ad edificare continuava ad
essere un requisito del diritto di proprietà. Il fatto che la legge avesse trasformato la “licenza edilizia” in
“concessione onerosa” non poteva modificare un tale stato delle cose.
Lo spirito innovativo con cui era stata formulata la legge fu, dunque, vanificato dal parere negativo della
Corte Costituzionale e l’Italia perse un’altra occasione per uniformarsi allo standard di altre nazioni europee
in materia di proprietà dei suoli. La legge n. 10/77 non era riuscita ad affermare un nuovo ed importante
principio di utilità sociale:anteporre il beneficio collettivo al privilegio del singolo. Negli estensori e
promotori della legge rimaneva la consolazione che, se non altro, la concessione introduceva un onere che
andava in parte a finanziare opere essenziali di urbanizzazione a beneficio della collettività.
Riassumendo, i punti qualificanti della legge sono:
� la nuova disciplina della Concessione Edilizia (che sostituisce la Licenza edilizia);
� l’introduzione del Programma Pluriennale di Attuazione del piano regolatore (PPA).
Le caratteristiche della Concessione Edilizia sono:
� irrevocabilità: una volta rilasciata la concessione edilizia non può essere ritirata o diventare
inefficace se non nei casi previsti di annullamento o decadenza.
� trasferibilità: tale ipotesi si verifica nel caso in cui il titolare cede ad altri tale diritto per
propria volontà o per causa di morte.
� onerosità: viene rilasciata dietro versamento di un contributo, salvo i casi di gratuità
� validità: limitata nel tempo; i lavori devono iniziare entro un anno dalla data del rilascio e
l’ultimazione deve avvenire entro tre anni dalla data d’inizio dei lavori.
� pubblicità: l’avvenuto rilascio della concessione viene comunicato al pubblico tramite
affissione all’albo pretorio del Comune.
Programma Pluriennale di Attuazione
Anche il PPA è stato oggetto di critiche da parte della Corte Costituzionale poiché non è possibile rinviare a
tempo indeterminato l’edificabilità di un suolo senza un adeguato indennizzo. Così il PPA è stato abrogato
e poi sospeso in atteso di qualcosa che lo sostituisse, ma che ancora non si è visto.
Opere ed oneri di urbanizzazione
Per opere di urbanizzazione si intendono gli impianti e le attrezzature che i Comuni devono realizzare per
conferire ad un territorio le caratteristiche urbane; gli oneri sono ovviamente le spese che si sostengono per
realizzarle.
Le opere di urbanizzazione sono di due tipi: primarie e secondarie.
Primarie: Secondarie: a) strade residenziali; a) asili nido e scuole materne;
b) spazi sosta e parcheggio; b) scuole dell’obbligo;
c) fognature; c) mercati di quartiere;
d) rete idrica; d) uffici comunali;
e) rete distribuzione energia elettrica e gas; e) chiese e servizi religiosi;
f) illuminazione pubblica; f) impianti sportivi di quartiere;
g) spazi di verde attrezzato. g) centri sociali;
h) aree verdi di quartiere.
L. n.457 del 5/8/1978 - “Norme per l’edilizia residenziale”
Questa legge, nata con lo scopo di incrementare gli interventi di edilizia residenziale, nel Titolo IV
introduce delle norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente.
Tali norme configurano un nuovo sistema di programmazione degli interventi di recupero così strutturato:
� individuazione delle zone da recuperare da parte della pubblica amministrazione;
� perimetrazione, all’interno di esse, degli immobili o complessi edilizi, degli isolati e delle aree
oggetto del recupero.
Il Comune opererà tale scelta in base a criteri discrezionali con la sola ed unica condizione: che sussista un
effettivo stato di degrado. Altrettanto discrezionale è l’individuazione degli immobili da assoggettare a
Piano di Recupero.
Il Piano di Recupero (PdR) è stato introdotto con lo scopo di fornire agli operatori pubblici e privati uno
strumento di dettaglio con un iter di approvazione più agevole rispetto a quello dei Piani Particolareggiati e
quindi più appropriato alla complessa problematica del recupero edilizio.
Vi sono inoltre definiti i seguenti tipi d’intervento:
� interventi di manutenzione ordinaria: quelli riguardanti opere di riparazione, rinnovamento e
sostituzione delle finiture degli edifici o quelle necessarie a mantenere in efficienza gli impianti
tecnologici esistenti;
� interventi di manutenzione straordinaria: opere e modifiche necessarie per rinnovare e
sostituire parti anche strutturali degli edifici, per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e
tecnologici, purché non alterino i volumi, le superfici e non modifichino la destinazione d’uso delle
unità immobiliari;
� interventi di restauro e risanamento conservativo: quelli miranti a conservare l’organismo
edilizio e ad assicurarne la funzionalità. Essi comprendono il consolidamento, il ripristino e il
rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio e l’eliminazione degli elementi estranei
all’organismo edilizio;
� interventi di ristrutturazione edilizia: quelli volti a trasformare gli organismi edilizi mediante
un insieme di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte nuovo;
� interventi di ristrutturazione urbanistica: quelli volti a sostituire il tessuto urbanistico
esistente con altro diverso mediante modificazione dei lotti, degli isolati e della rete stradale.
L. n. 47 del 28/2/1985 - “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia; sanzioni,
recupero e sanatoria delle opere abusive”
La legge in questione affronta due problematiche per mezzo delle quali combattere l’abusivismo: controllo
dell’attività edilizia e sanatoria per le opere realizzate abusivamente prima del 1-10-83.
La prima viene combattuta attraverso l’inasprimento delle sanzioni. La seconda attraverso una
regolamentazione delle situazioni derivanti dall’abusivismo passato.
La legge si articola in cinque capitoli:
Capo I: norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia. Sanzioni amministrative e penali.
Capo II: snellimento delle procedure urbanistiche ed edilizie.
Capo III: recupero urbanistico di insediamenti abusivi.
Capo IV: opere sanabili. Soggetti legittimati.
Capo V: disposizioni finali.
Le disposizioni contenute nel capo I rafforzano i poteri del Sindaco in materia di vigilanza; estendono le
responsabilità del Direttore dei lavori relativamente alla non conformità delle opere alla Concessione
edilizia; sanciscono la nullità degli atti di trasferimento di opere edilizie abusive e di terreni lottizzati
abusivamente; inaspriscono le sanzioni civili e penali per le trasgressioni in materia urbanistico-edilizia.
Nel capo II invece sono contenute le disposizioni finalizzate allo snellimento ed alla semplificazione delle
procedure urbanistiche ed edilizie.
L’approvazione degli strumenti urbanistici esecutivi (del Piano Regolatore) non è più di competenza delle
Regioni ma del Comune.
La legge n° 47/85 introduce anche una nuova categoria di opere edilizie che non era presente nella
precedente legislazione: le “opere interne” per le quali non si richiede né concessione né autorizzazione,
purché:
� non comportino modifiche alla sagoma delle costruzioni ed ai prospetti;
� non comportino aumento delle superfici utili e delle unità immobiliari;
� non modifichino le destinazioni d’uso;
� non rechino pregiudizio alla statica della costruzione;
� nel caso di immobili in centri storici rispettino le caratteristiche costruttive originarie.
Per l’esecuzione delle opere interne basta presentare al Sindaco una relazione firmata da un professionista
abilitato alla progettazione.
Jus ædificandi e jus possidendi
Il concetto del diritto di proprietà ci accompagna fin dai tempi dell’antica Roma. Da allora è rimasto quasi
inalterato: dallo Statuto Albertino al Codice italiano del 1865, ed in seguito nella Costituzione della
Repubblica e nel Codice Civile che conferma la pienezza del dominio seppure con alcuni limiti.
Ai cittadini è riconosciuto il diritto di risiedere in un determinato luogo e la libertà di edificare sul terreno di
proprietà, pur nel rispetto del diritto dei confinanti e delle regole di igiene e sicurezza stabilite dai
regolamenti.
Nel diritto di proprietà è quindi insito il diritto di edificare. Sembra perciò più appropriato il termine di
licenza edilizia con cui il sindaco autorizza una costruzione. La licenza è un atto dovuto e, se il richiedente
rispetta le regole, non può essere negata.
La concessione onerosa introdotta dalla legge Bucalossi con cui la pubblica amministrazione consente al
privato di realizzare qualcosa, potrebbe lasciar intendere che tale diritto esercitato dalla amministrazione
stessa possa essere trasferito al privato dietro pagamento di una quota; con ciò il diritto ad edificare non
sarebbe più insito nel diritto di proprietà.
Ecco perché la Corte Costituzionale con sentenza n. 5 del 30/1/1980 decise che la L. 10/1977 (nota come
“legge Bucalossi”) non poteva arrogarsi il potere di trasferire questo diritto. La Corte stessa accettò,
comunque, il principio che la licenza edilizia (gratuita) poteva essere trasformata in concessione onerosa.
Concetto di vincolo
Nel linguaggio giuridico il significato di vincolo è: “l’assoggettamento o la soggezione di una persona in
quanto titolare, dal lato passivo, di una situazione cui fa riscontro un diritto soggettivo altrui”; tale concetto
è tipico del rapporto obbligatorio in cui alla situazione giuridica attiva del creditore (dir. sogg. di credito),
corrisponde l’obbligo del debitore di adempiere. In generale potremmo dire anche: “la limitazione del
diritto di proprietà su un bene”.
Tale concetto compare in modi e con contenuti diversi. Si possono quindi avere:
� vincoli speciali (ambientali, territoriali): agiscono su un territorio, o parte di esso, ma anche su
singoli edifici; a questa categoria appartengono i vincoli paesaggistici, i vincoli posti dalle
Soprintendenze su immobili di interesse storico e artistico; sono di questo tipo i vincoli dipendenti
da zone di rispetto di strade, aeroporti, cimiteri, aree archeologiche, ecc.
Nelle zone sottoposte a tale tipo di vincolo non vige l’inedificabilità assoluta, ma qualsiasi
realizzazione o intervento deve sottostare al nulla-osta dell’Ente che gestisce il vincolo;
� vincoli urbanistici: dipendono dalla destinazione d’uso delle aree previste dal PRG. Nella
maggior parte dei casi essi non prevedono l’inedificabilità, ma la definiscono in modo preciso;
� vincoli edilizi: discendono dall’applicazione di norme e regolamenti, e si concretizzano in
limiti alle modalità di costruzione;
� vincoli procedurali: riguardano i tempi e i modi di operare.
Con particolare riferimento al diritto amministrativo si può affermare che il vincolo assoluto e a tempo
indeterminato rientra nel concetto di espropriazione con conseguente obbligo d’indennizzo.
La giurisprudenza ha infatti parlato, con riferimento a queste ipotesi, di “espropriazioni non traslative”
contrapponendole a quelle traslative nelle quali vi è il passaggio di titolarità dall’espropriato
all’espropriante.
IL REGOLAMENTO EDILIZIO
Il Regolamento Edilizio (RE) è uno strumento normativo che ha validità nell’ambito del Comune e ha lo
scopo di limitare o orientare l’attività edificatoria privata; è obbligatorio, per legge, per tutti i Comuni.
La legge n. 1150/42 stabilisce all’art. 34 che, in assenza di piano Regolatore, il Regolamento Edilizio sia
integrato da un Programma di Fabbricazione.
Le materie regolamentate dal R.E. vengono indicate nell’art. 33 della L.U.N. n.1150/42, e vengono ad
integrare quelle contenute nei regolamenti delle leggi comunali e provinciali. Tale elencazione non è
tassativa, quindi i Comuni hanno facoltà di emanare norme regolamentari anche in altre materie non
espressamente richiamate dal citato art. 33.
A titolo di esempio si fornisce un elenco incompleto delle materie regolamentate:
� formazione, attribuzioni, e funzionamento della Commissione Edilizia Comunale;
� presentazione delle domande di concessione e autorizzazione;
� richiesta di punti di allineamento e di livello per le nuove costruzioni;
� compilazione di progetti di opere edilizie e la direzione dei lavori di costruzione;
� altezza massima e minima dei fabbricati secondo le zone;
� eventuali distacchi dai fabbricati vicini e dal filo stradale;
� ampiezza e formazione dei cortili e degli spazi interni;
� sporgenze su vie e spazi pubblici;
� aspetto dei fabbricati, decoro dei servizi, e degli impianti che interessano l’estetica dell’edilizia
urbana;
� norme igieniche di interesse edilizio;
� recinzione e manutenzione aree scoperte, parchi e giardini privati;
� vigilanza sull’esecuzione dei lavori;
Le norme del R.E. si suddividono in tre gruppi:
� norme di procedura, riguardanti composizione, competenza e funzionamento della
Commissione Edilizia, ecc.;
� norme di carattere edilizio e urbanistico, riguardanti la definizione degli indici e dei
parametri edilizi, ecc.;
� norme di carattere igienico-sanitario, riguardanti le dimensioni dei locali, l’illuminazione e
l’aerazione degli stessi, i servizi igienici ecc.
Il contenuto delle norme del R.E. tende a ridursi per effetto del passaggio di molte prescrizioni nelle Norme
Tecniche di Attuazione dei Piani Regolatori.
Alcune, infine, possono essere integrative del Codice Civile con riferimento alla disciplina:
� della proprietà edilizia;
� delle distanze nelle costruzioni;
� delle luci e delle vedute;
� dello stillicidio, ecc.
Procedura di formazione del Regolamento Edilizio
Il R.E. è adottato con deliberazione del Consiglio Comunale e trasmesso alla Regione per l’approvazione.
In sede di approvazione la Regione può introdurre modifiche al R.E. Tali modifiche sono comunicate al
Comune che entro 60 giorni adotta le proprie controdeduzioni.