Il progetto POF: “Sapori Letterari. Dante ai fornelli”,
nasce per gli alunni delle classi terze , che,
ancora per quest’anno, si preparano a
conseguire la qualifica di “Operatori del
settore della ristorazione e
dell’Enogastronomia”.
Per la realizzazione di questo progetto, abbiamo deciso di unire
i sapori della cucina, con
il piacere letterario, che i poeti sanno trasmettere attraverso le loro opere.
Proprio come fa Dante Alighieri, fiorentino del Trecento, con la sua
"Divina Commedia”.
In particolare, ci siamo soffermati sulla prima Cantica: “L’Inferno”.
In essa, l’Autore non cita in modo particolare nomi di
alimenti, o pietanze che la cucina offre.
Il nostro gruppo, perciò, ha compiuto un lavoro di ricerca
delle ricette, degli alimenti, delle usanze, delle musiche che,
nel Medioevo, erano alla base della vita.
Tra le nostre scoperte, c’è il fatto che i cibi più
apprezzati erano: le frutta secche, i formaggi, i pollami,
la cacciagione, i legumi , i cereali e i sorbetti .
Per adattare il tutto alla nostra cultura locale e al gusto
attuale, sono state apportate delle modifiche nell'utilizzo dei
cibi medievali, la maggior parte delle volte, usando anche un
pizzico di fantasia.
Dominique Cofano, Danilo Cofano, Giovanni Guarnieri,
Il pane “condito” era molto utilizzato, in passato. Si assiste ad un tentativo di recupero di questo alimento, anche ai nostri giorni. Per la sua realizzazione, c‘era l’abitudine di arricchire le farine anche con macinati di derivazione diversa dai cereali. Nell’impasto, poi, si aggiungevano: dell’olio, delle olive, dei pezzetti di zucca,.. in base a quel poco o niente che si aveva in casa. Così facendo si apportava del sapore in più al pasto fatto con solo pane. Questo alle olive che vi proponiamo lo ritroviamo nella nostra regione già al tempo dei romani.
Già all’epoca romana si riferisce anche la preparazione di pare arricchito con frutta fresca, o secca. Ne è un esempio il pane con i fichi inseriti nell’impasto.
non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra con esso un colpo per la man d’Artù; non Focaccia; ….
"Lasciate ogne speranza, voi che gustate"
Aldo Ferrara Chiara Dibello Angelo Meuli
Caron dimonio, con occhi di bragia, loro accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s'adagia
Come d'autunno si levan le foglie l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d'Adamo gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni come augel per suo richiamo. (Dante,Divina Commedia,inferno,Canto III,vv. 111-114-117.)
Ed ecco verso noi venir per nave Un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: «Guai a voi, anime prave! (Divina Commedia, Inferno, Canto III vv. 82-84)
Il Convivio sarà aperto con una barchetta realizzata con un impasto per
taralli, resa più friabile dall’abbondanza di alcuni ingredienti. La preparazione
realizzata a forma di barchetta è ricoperta con crema di formaggio
canestrato, tipico pugliese. Il suo colore bianco, allude alla canizie di Caronte
(Un vecchio, bianco per antico pelo), il traghettatore che accompagnava i
dannati alla loro destinazione finale...
I pezzetti di pera e zenzero candito ricordano l’uso nel medioevo di iniziare il
pasto con verdure e frutta sia fresca che candita.
Sulla barchetta, da un lato, un muscaro fritto con il suo sapore amarognolo, che
simboleggia molto bene la personalità ostile di Caronte. Sul resto della
barchetta ritroviamo verdura disidratata, che richiama “le foglie d’autunno”
citate nel Canto III a v.112.
La barchetta sarà posta su uno specchio di salsa nera, che allude
all’attraversamento del fiume Acheronte (Così sen vanno su per l’onda bruna,…
Canto III vv.118). La salsa “ De piperata” è preparata con una base di pane
tostato, inzuppato in agresto; il tutto è cotto fino ad addensamento.
Fonte: I ricettari di Federico II
Buon assaggio
Aldo Ferrara Chiara Dibello Angelo Meuli
Diavol neri a uncinar le membra
in bollente pece
Poi l’addentar con più di cento raffi, disser: “Coverto convien che qui balli, sì che, se puoi, nascostamente accaffi”. Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli Fanno attuffare in mezzo la caldaia La carne con gli uncin, perché non galli. (DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia. Inferno, XXI, vv. 52-58)
“Se tu se' sì accorto come suoli, non vedi tu ch'e' digrignan li denti, e con le ciglia ne minaccian duoli?». Ed elli a me: «Non vo' che tu paventi; lasciali digrignar pur a lor senno, ch'e' fanno ciò per li lessi dolenti»”. DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia. Inferno, XXI, vv.130-135)
Dante, con questi versi si riferisce ai dannati che
stanno bollendo nella pece
(i barattieri nella V delle “malebolge”, nell’VIII cerchio)
e che lui e Virgilio stanno calpestando.
Ispirandoci a questa scena, abbiamo cercato di creare una pietanza che ne
richiami i colori, le temperature e la consistenza.
Analizzando i vari elementi, troviamo:
• la pece, sostanza semi-liquida in cui i condannati sono immersi e quindi
“bolliti”.Una consistenza brodosa richiama perfettamente lo sfondo del piatto;
• il colore nero, abbiamo trovato un legume: il cece nero, un legume usato già
nel medioevo, nella nostra regione e nella nostra cultura e coltura locali.
• il tutto è arricchito dal sapore pungente dell’aglio (le pungenti salse che
Dante stesso citerà più avanti nella prima Cantica), molto usato al tempo di
Dante.
In abbinamento, un vino pugliese.
Buon assaggio
Girolamo Grazia Rodio Giovanni Gala Francesco
« “…La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? Già son levati tutt'i coperchi, e nessun guardia face. »…” Dante, Divina Commedia, Inferno, canto X, vv. 7- 9
Dissemi: «Qui con più di mille giaccio: qua dentro è ’l secondo Federico Divina Commedia. Inferno, canto X, vv. 119-120
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s’è dritto: da la cintola in sù tutto ’l vedrai». Divina Commedia. Inferno, canto X, vv. 32-34
… ché tra gli avelli fiamme erano sparte, per le quali eran si del tutto accesi, che ferro più non chiede verun’ arte. Dante, Divina Commedia, Inferno, canto IX, vv. 118 - 120
In questi versetti, dal momento che tutti i coperchi dei sepolcri
sono, ormai, alzati e nessun diavolo è di guardia, Dante
chiede alla sua guida, Virgilio, di vedere le anime che
giacciono nei sepolcri, per trovarne una in particolare: quella
di Farinata degli Uberti.
Nel piatto che proponiamo, i ravioli sono realizzati a forma di
“scatoline” aperte, perché il X Canto dell’Inferno è ambientato in
una sorta di cimitero.
Le scatoline ricordano le tombe roventi degli eresiarchi.
Il tutto è appoggiato
su petali di cipolle
rosse, cotte in aceto
e vino rosso, e una
salsa di latte di
mandorle, che
simboleggiano
rispettivamente: “le
fiamme infernali” e
il rogo riservato agli
eretici.
Storia della farina di carrube e delle mandorle:
Il carrubo è un albero spontaneo e sempre verde che, nel medioevo, era già esistente nel bacino orientale del Mediterraneo.
In antichità, le carrube erano utilizzate in molte preparazioni: già nel Medioevo, in genere, la polpa del frutto del carrubo era fatta essiccare e, poi, macinata, in modo da ottenere una polvere da mescolare con altre farine per impasti adatti alla preparazione di pane e pasta.
Anche le mandorle erano molto popolari, importate dall'Asia sin nel nostro Paese dai Fenici oltre che per i dolci, venivano usate come addensante in minestra, stufati e salse, in particolare sotto forma di latte di mandorla.
Buon assaggio
E perché meno ammiri la parola, guarda il calor del sole che si fa vino, giunto a l’omor che de la vite cola. (Dante Alighieri, Divina Commedia. Purgatorio, Canto XXV)
Nel Medioevo, in Puglia si registrano enormi
produzioni di vino: non a caso Dante Alighieri, nei suoi
versi, descrive la Puglia come «terra sitibonda ove il
sole si fa vino».
Per restare nel tema dell’«adattamento» alla nostra
tavola di sapori e profumi medioevali, anche per il vino
vale la ricerca da noi effettuata fino a qui.
Serviremo vini pugliesi,
già conosciuti ed amati
ai tempi di Dante
Alighieri, ma secondo
produzioni e gusti attuali:
Bianco, Rosato, Rosso o
Negramaro della Valle
d’Itria e del Salento, che
ricalcano le produzioni di
allora, tanto care allo
stesso Federico II.
Bruno Federica Zizzi Angelica D’errico Antonio
Grandine grossa, acqua tinta e neve per l’aere si reversa sull’anime
giacenti
"se le fazion che porti non son false,
Venedico se’ tu Caccianemico.
Ma che ti mena a sì pungenti salse?". (Dante, Divina Commedia, canto XVIII, vv. 49-51)
"Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra e 'l ventre largo e unghiate le mani graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra"
(Dante, Divina Commedia, Inferno, canto VI, vv. 16-18)
“similmente a colui che venire sente ‘l porco e la caccia a la sua posta, ch'ode le bestie e le frasche stormire
(Dante,Divina commedia, canto XIII 112 113 114)
Leggendo questi versi, abbiamo scelto di realizzare un
piatto che sarebbe perfetto per i golosi,
collocati Dante nel terzo cerchio dell'Inferno.
Il piatto ricorda i golosi
dannati, che correndo in
cerchio nel fango,
tentavano di sfuggire alla
loro punizione: Cerbero che
li scuoiava e scarnificava
con i suoi artigli.
Il loro castigo, ci ha ispirato la proposta di gustose coscette di
quaglia arricchite con acini di uva all'aceto, avvolti in fette di
pancetta e cotte in forno.
Il petto di quaglia sarà servito, guarnito con una crosta di
pane, zafferano e pepe verde e rosso..... (simboleggiano il
fango, la pioggia, la grandine e la neve), unito ad una fetta di
agnello disossato (scarnificato) cotto arrosto, a mo’ di
porchetta, a simboleggiare la figura di Ciacco il quale da essa
deriverebbe il proprio nome.
La salsa di
accompagnamento sarà
a base di vincotto e
dalla famosa agliata.
Questo piatto sarà
accompagnato da un
contorno a base di cavolo
rosso in agrodolce.
Buon assaggio
Danilo Cofano, Giovanni Guarnieri, Dominique Cofano.
“Rispuose adunque: «l’son frate Alberigo…
…i son quel dalle frutta del mal orto,
che qui riprendo dattero per figo». (Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIII, vv. 118-120)
“Salimmo su, ei primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi delle cose belle
che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo;
e quindi uscimmo a riveder le stelle.”
Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIV vv. 136-139
Sappiamo che una delle immagini tipiche, nel Medioevo, è il
momento del banchetto. La portata più ambita era quella del
dolce, al punto che spesso era ripetuta all’inizio ed alla fine del
pasto.
Il miele, insieme al mosto cotto, erano praticamente i
dolcificanti più conosciuti perché lo zucchero, prodotto
inizialmente solo dalla canna introdotta dagli arabi non era
ancora molto diffuso.
Pasticcio di mele e melecotogne
Il piatto, ispiratoci dai versi del XXXIV Canto, è composto da un piccolo pasticcio a forma di cannolo, (che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo) aromatizzato alla cannella, a base di mele, (“frutto del mal’ orto”) confettura di melecotogne, fichi secchi datteri e mandorle.
“Ov’è la ghiaccia? e questi com’è fitto sì sottosopra? e come, in sì poc’ ora, da sera a mane ha fatto il sol tragitto?”
(DANTE ALIGHIERI,Divina Commedia, Inferno, XXXIV, vv. 103-
105)
… quando noi ci mettemmo per un bosco che da nessun sentier era segnato, (…) … non pomi v'eran ... » (DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia, Inferno, XIII, vv. 2-3; 6)
Da un lato, è collocata una sfera di
sorbetto ai mirtilli neri; dall’altro, è
adagiata della dolce gelatina.
Il tutto poggiato su un coulis di mirtilli
(richiama una sorta di riassunto dei tanti
fiumi incontrati da Dante nell’Inferno.
Anche i frutti di bosco sono carichi di
notizie storiche, nel tempo ha avuto vari
utilizzi, certo è che era conosciuto. In
Svizzera, sono stati rinvenuti reperti
tessili tinti in malva-violetto con succo di
mirtillo.
Nel Medioevo, si utilizzavano queste
deliziose bacche, oltre che per scopi
alimentari dolci e salate, anche per
curare disturbi intestinali e fino al XVIII
secolo si hanno notizie di medici che li
prescrivevano quasi fossero una
panacea.
“D'un corpo usciro; e tutta la Caina potrai cercare, e non troverai ombra degna più d'esser fitta in gelatina.” (Dante,Divina Commedia,inferno,Canto XXX, v 55.)
Le gelatine hanno, in realtà, una lunga storia, iniziata più di
mille anni fa, quando, come agenti gelificanti, si usavano
carcasse e zampe di animali da cortile o spine e interiora di
pesce.
Nel medioevo, le gelatine non erano dolci, ma potevano
contenere una bassa percentuale di zucchero, all’epoca
ancora trattato come una spezia rarissima, tenuta sotto chiave
dalla padrona di casa e usata solo quando si doveva fare
sfoggio di generosità.
… e non troverai ombra degna più d'esser fitta in gelatina; DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia,Inferno,Canto XXXII vv. 59-60
Buon assaggio
NELLA SPERANZA DI
ESSERVI PIACIUTI
FUORI GLI AUTORI