CORSO DI FORMAZIONE SPECIALISTICA
LE NUOVE TIPOLOGIE DI LAVORO FLESSIBILE: COLLABORAZIONI AUTONOME, COLLABORAZIONI EQUIPARATE, PARTITE IVA, ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE, LAVORO ACCESSORIO ROMA, 27 MAGGIO 2016
RELATORE DOTT. PAOLO FERRETTI
CONSULENTE DEL LAVORO IN ANCONA
LA «PARASUBORDINAZIONE»
“La parasubordinazione” è un’espressione elaborata dai
giuslavoristi, priva di denominazione legislativa, che identifica
tutti quei particolari rapporti di lavoro che appartengono ad una
vasta ed eterogenea categoria, di natura autonoma, contraddistinta
dall’obbligazione di fornire una prestazione d’opera continuativa e
coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere
subordinato.
Pertanto il «lavoro parasubordinato» non identifica una
fattispecie tipica (come l’espressione lavoro subordinato), ma, al
contrario, una particolare modalità di svolgimento della
prestazione di lavoro che si concretizza in rapporti di natura e
origine diverse con caratteristiche intermedie tra quelle del lavoro
subordinato e quelle del lavoro autonomo.
LA «PARASUBORDINAZIONE»
Il lavoro subordinato e quello parasubordinato hanno un elemento
connettivo: il vincolo di dipendenza sostanziale e di disparità
contrattuale del prestatore d’opera rispetto al soggetto che
usufruisce della sua prestazione”.
In dottrina, Santoro Passarelli: “tutte quelle prestazioni manuali e
tecniche eseguite personalmente senza vincolo di subordinazione,
ma caratterizzate dalla dipendenza economica e dalla debolezza
contrattuale del prestatore di lavoro”. G. Santoro Passarelli in Il
lavoro “Parasubordinato”, F. Angeli, Milano, 1979, pag. 81
LA «PARASUBORDINAZIONE»
Con l’attuazione della Legge n. 533/1973, le norme del processo
del lavoro vengono estese agli «altri rapporti di collaborazione che
si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata,
prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato».
Nei lavori preparatori emerge la necessità di tutelare questi nuovi
rapporti per la loro posizione di inferiorità simile a quella dei
lavori subordinati e dalla condizione di soggezione socio-
economica.
La mancanza del vincolo della subordinazione caratterizza il
rapporto di lavoro parasubordinato (ed ovviamente lo
differenzia dal lavoro subordinato).
LA «PARASUBORDINAZIONE»
La stessa legge n. 533, nel riformulare l’art.
2113 c.c., estende il regime dell’invalidità delle
rinunzie e transazioni su diritti indisponibili
derivanti da disposizioni inderogabili della legge
e dei contratti e accordi economici collettivi a
tutti i rapporti menzionati dall’art. 409 c.p.c. ,
ivi compresi perciò quelli parasubordinati.
LA «PARASUBORDINAZIONE»
Rientrano nell’area della parasubordinazione
una varietà di rapporti di lavoro autonomo, che
devono presentare i connotati precisati nella
formula generale del 409 c.p.c., sia compresi
nella fattispecie generale del contratto d’opera
(artt. 2222 ss., c.c.), ed in particolare del
contratto d’opera professionale (artt. 2229 ss.,
c.c.), sia distintamente tipizzati e disciplinati dal
codice civile (sempre che non comportino
un’organizzazione imprenditoriale).
LA «PARASUBORDINAZIONE»
Il concetto di «coordinamento/coordinazione»
Il lavoratore parasubordinato deve coordinare
l’attività con le esigenze dell’organizzazione del
committente, con riferimento sia ai tempi sia
alle modalità esecutive concordate. Il requisito
della coordinazione, pertanto, mette in
evidenza il profilo organizzativo del rapporto
di lavoro nel senso che indica il collegamento
funzionale tra l’attività del prestatore d’opera e
quello del committente.
LA «PARASUBORDINAZIONE»
Il concetto di «coordinamento/coordinazione»
«Il coordinamento si realizza allorché vi sia un collegamento
funzionale fra l’attività del professionista e quella del
destinatario della prestazione professionale, nel senso che, l’una
concorra alla realizzazione dell’altra, in un sistema di
distribuzioni attuato da quest’ultimo e di cui possono essere
elementi rivelatori le direttive eventualmente impartite dal
cosiddetto datore di lavoro, ovvero la circostanza che il
professionista assicuri la propria disponibilità in maniera
vincolante ed a discapito della propria autonomia». Cass., 9
novembre 1983, n. 6656
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81/2015
PUNTO DI PARTENZA
La riforma del processo del lavoro (L. 533/1973) include (art. 409,
comma 1, sub 3) nelle controversie di lavoro anche quelle relative
ai rapporti «di collaborazione che si concretino in una prestazione
di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale,
anche se non a carattere subordinato».
Art. 5 DPR 633/1972 e successive modifiche
………………………………omissis…………………Non si
considerano effettuate nell'esercizio di arti e professioni le
prestazioni di servizi inerenti ai rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa di cui all'art. 49 del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597,
omissis………… rese da soggetti che non esercitano per
professione abituale altre attività di lavoro autonomo.
……………………omissis………………..
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L’art. 49 TUIR (prima versione) stabiliva che sono redditi di lavoro
autonomo:
i redditi derivanti dagli uffici di amministratore, sindaco o revisore
di società, associazioni e altri enti con o senza personalità
giuridica, dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e
simili, dalla partecipazione a collegi e commissioni e da altri
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Si
considerano tali i rapporti aventi per oggetto la prestazione di
attività, non rientranti nell'oggetto dell'arte o professione esercitata
da contribuente ai sensi del comma 1, che pur avendo contenuto
intrinsecamente artistico o professionale sono svolte senza vincolo
di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro
di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi
organizzati e con retribuzione periodica prestabilita.
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L’art. 34 della L. 342/2000 ha modificato l’art. 47, 1° comma TUIR
(ora art. 50, 1° comma) ed ha stabilito che sono redditi assimilati a
quello di lavoro dipendente:
"c-bis) le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo
d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di
amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o
senza personalità giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste,
enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni, nonché
quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per
oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a
favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e
continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica
prestabilita, sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti
istituzionali compresi nell'attività di lavoro dipendente di cui all'art. 46,
comma 1, concernente redditi di lavoro dipendente, o nell'oggetto dell'arte o
professione di cui all'art. 49, comma 1, concernente redditi di lavoro
autonomo, esercitate dal contribuente».
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Dal 1° gennaio 2001 è venuta meno la previsione del
contenuto artistico-professionale dell’attività veniva
svolta.
Quindi dal 01/01/2001, anche le attività senza
contenuto artistico o professionale (quindi anche le
attività meramente operative o manuali) potevano
astrattamente essere oggetto di rapporti di cococo
(ferma la necessità della natura autonoma del rapporto
intercorso).
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Art. 2 comma 26 L. 335/1995
A decorrere dal 1 °gennaio 1996, sono tenuti
all'iscrizione presso una apposita Gestione separata,
presso l'INPS…..omissis…..i titolari di rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa, di cui al
comma 2, lettera a ), dell'art. 49 del medesimo testo
unico e gli incaricati alla vendita a domicilio di cui
all'art. 36 della legge 11 giugno 1971, n.
426.……..omissis…………
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Art. 5 D.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38
A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente
decreto legislativo (dal 16 marzo 2000), sono soggetti
all'obbligo assicurativo i lavoratori parasubordinati
indicati all'art. 49, comma 2, lettera a ), del decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917
e successive modificazioni e integrazioni, qualora
svolgano le attività previste dall'art. 1 del testo unico o,
per l'esercizio delle proprie mansioni, si avvalgano,
non in via occasionale, di veicoli a motore da essi
personalmente condotti.
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D.Lgs. 276/2003 – riconduzione delle cococo ad un progetto
Nell’originaria formulazione, l’art. 61 del D.lgs. 2003 n.
276 statuiva che: ”fermo restando la disciplina per gli agenti e i
rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata
e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di
subordinazione, di cui all’art. 409 , n.3, c.p.c. devono essere
riconducibili ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o
fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal
collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del
coordinamento con l’organizzazione del committente e
indipendentemente dal tempo impiegato per la esecuzione della
attività lavorativa”.
Art. 69: assenza di specifico progetto (salvo casi specifici) =
rapporto di lavoro subordinato dall’origine
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Il D.Lgs. 276/2003 non aveva specificato cosa dovesse
intendersi per “progetto, programma di lavoro o fase di esso”.
La giurisprudenza ha tentato di colmare il vuoto (vedi
Tribunale di Genova del 07/04/2006).
Min. Lav. Circ 1/2004: il progetto deve consistere in
un'attività produttiva ben determinata o comunque ben
identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato
risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con
la sua prestazione. Il progetto può essere connesso all’attività
principale o accessoria dell’impresa e le valutazioni e le scelte
tecniche ad esso sottese sono insindacabili.
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L. 92/2012 (Legge Fornero) e successiva modifica ad
opera del DL 76/2013
Viene eliminato il riferimento al programma di lavoro e alle
sue fasi e il co.co.pro. viene ricondotto ad un “progetto
specifico”.
Viene precisato che “il progetto deve essere funzionalmente
collegato ad un determinato risultato finale” e non può né
“consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale
del committente”’ né “comportare lo svolgimento di compiti
meramente esecutivi o ripetitivi, che possono esser
individuati dai contratti collettivi….omissis…..” (vedasi
Circ. Min. Lav. n. 29/2012).
.
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L. 92/2012 (Legge Fornero) e successiva modifica ad
opera del DL 76/2013
Il corrispettivo, oltre ad essere proporzionato alla quantità e
qualità dell’attività svolta (come già previsto nella disciplina
originaria), deve essere fissato, per ciascun settore di attività,
in base ai profili professionali tipici del settore e in ogni caso
sulla base dei minimi salariali per le mansioni comparabili
svolte dai lavoratori dipendenti.
In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso
non deve essere inferiore alle retribuzioni minime indicate dai
contratti collettivi applicati alle figure professionali con
competenza ed esperienza analoghe a quelle del lavoratore a
progetto.
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PUNTO DI ARRIVO
Il 25 giugno 2015 è entrato in vigore il decreto
legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (“Disciplina organica
dei contratti di lavoro e la revisione della normativa in
tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7,
della legge 10 dicembre 2014, n. 183”).
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PUNTO DI ARRIVO
Art. 52 comma del D.lgs. n. 81/2015
«1. Le disposizioni di cui agli articoli da 61 a 69-bis
del decreto legislativo n. 276 del 2003 sono abrogate e
continuano ad applicarsi esclusivamente per la
regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata
in vigore del presente decreto.
2. Resta salvo quanto disposto dall’art. 409 del codice
di procedura civile». La riforma lascia salvo quanto disposto dall’articolo 409 cpc e cioè: «I
rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera
continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a
carattere subordinato»
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PUNTO DI ARRIVO
Abrogazione della normativa riferita al contratto a progetto (e non
solo)
Art. 61 (Definizione e campo di applicazione);
Art. 62 (forma);
Art. 63 (corrispettivo);
Art. 64 (obbligo di riservatezza);
Art. 65 (invenzioni del collaboratore a progetto);
Art. 66 (altri diritti del collaboratore a progetto);
Art. 67 (estinzione del contratto e preavviso);
Art. 68 (rinunzie e transazioni)
Art. 69 (divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
atipici e conversione del contratto);
Art. 69-bis (altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro
autonomo) –
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PUNTO DI ARRIVO
Non è quindi più prevista la tipologia della collaborazione
coordinata e continuativa “a progetto”.
Precisazione: le collaborazioni coordinate e continuative di
cui all’articolo 409 c.p.c., espressamente fatte salve dal 2°
comma dell’articolo 52, possono però essere stipulate con la
previsione di uno specifico progetto (non è il progetto in sé ad
essere stato abrogato, ma la regolamentazione del contratto a
progetto).
La regolamentazione previgente del co.co.pro. continua ad
esistere nel nostro ordinamento qualora i relativi contratti
siano già in atto alla data 25 giugno 2015.
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PUNTO DI ARRIVO
Art. 2 comma 1 del D.Lgs. 81/2015
Collaborazioni organizzate dal committente
«A far data dal 01 gennaio 2016, si applica la disciplina
del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di
collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro
esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di
esecuzione sono organizzate dal committente anche con
riferimento ai tempi e al luogo di lavoro».
Sebbene dal 25 giugno 2015 al 31 dicembre 2015 fosse possibile stipulare
contratti di lavoro autonomo senza che potesse essere applicato, limitatamente
a detto periodo di operatività, l’art. 2 comma 1, il c.d. «semestre bianco» è
stato o avrebbe dovuto essere utilizzato per sanare l’esistente.
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PUNTO DI ARRIVO
L’interpretazione del Ministero nella Circ. 3/2016
«La formulazione utilizzata dal Legislatore, di per sé
generica, lascia intendere l'applicazione di qualsivoglia
istituto, legale o contrattuale (ad es. trattamento retributivo,
orario di lavoro, inquadramento previdenziale, tutele avverso
i licenziamenti illegittimi ecc.), normalmente applicabile in
forza di un rapporto di lavoro subordinato. In altri termini il
Legislatore, rispetto alle fattispecie indicate dall'art. 2,
comma 1, in esame, ha inteso far derivare le medesime
conseguenze legate ad una riqualificazione del rapporto,
semplificando di fatto l'attività del personale ispettivo che - in
tali ipotesi - potrà limitarsi ad accertare la sussistenza di una
etero-organizzazione».
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PUNTO DI ARRIVO
Domanda:
Alle co.co.pro. in corso alla data del 25/06/2015 è applicabile
dal 01/01/2016 la previsione introdotta dall’art. 2?
Risposta:
Circ. Min. Lav. n. 3 del 1° febbraio 2016: sì, in quanto è
applicabile dal 1° gennaio 2016, la disciplina del rapporto di
lavoro subordinato anche alle co.co.pro. stipulate prima del 25
giugno 2015 se etero-organizzate ai sensi del citato 1° comma
dell’art. 2.
Altra risposta: no, stante la diversa ratio delle disposizioni
che mantengono per le vecchie co.co.pro. le presunzioni di
subordinazione del D.Lgs. n. 276/2003.
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PUNTO DI ARRIVO
Domanda:
Dal 01/01/2016, che succede alle cocopro in corso alla data
del 25/06/2015?
Risposta:
I contratti che rispettano i criteri fissati dagli artt. 61 e segg
del D.L.vo n. 276/2003 e che non sono caratterizzati né da
etero direzione, né da etero organizzazione (art. 2 D.lgs. 81),
possono proseguire senza problemi anche dopo il 01/01/2016
sino alla naturale scadenza.
Diversamente: valutare la procedura di stabilizzazione
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PUNTO DI ARRIVO
Domanda:
Dal 01/01/2016, che succede alle cococo stipulate tra il
25/06/2015 ed il 31/12/2015?
Risposta:
I contratti che non sono etero-diretti e nei quali non
concorrono simultaneamente i tre elementi di cui all’art. 2 del
D.lgs. 81/2015 (e quindi non sono neppure etero-
organizzati) possono proseguire senza problemi anche dopo
il 01/01/2016.
Diversamente: valutare la procedura di stabilizzazione
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PUNTO DI ARRIVO
Il contratto di lavoro autonomo con partita IVA ex art. 2222 cod.
civ. non è più soggetto alle limitazioni previste dall’art. 69 bis
della L. 92/2012 (collaborazione con lo stesso committente per 8
mesi per 2 anni consecutivi, corrispettivo derivante dalle
collaborazioni, riconducibile allo stesso centro di imputazione di
interessi, pur se in favore di soggetti diversi, superiore all’80%
nell’arco di due anni solari consecutivi, postazione fissa presso
una delle sedi del committente), fatte salve le ipotesi di
conoscenze teorico – tecniche di grado elevato o valore
reddituale complessivo superiore ad una determinata soglia
( art. 69 – bis, comma 2, lettera b) o prestazioni professionali
per le quali viene richiesta l’iscrizione in albi o registri
professionali, individuati dal D.M. 20 dicembre 2012 (comma
3).
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PUNTO DI ARRIVO
Il lavoro autonomo “consentito” (dopo l’entrata in vigore
del D.lgs. n. 81/2015)
La norma non prevede una tipologia contrattuale particolare:
il riferimento è dunque il contratto di lavoro autonomo ex art.
2222 e segg. cod. civ.
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PUNTO DI ARRIVO
Il lavoro autonomo “consentito” (dopo l’entrata in vigore
del D.lgs. n. 81/2015)
Quindi i contratti di lavoro autonomo sono sostanzialmente
riconducibili a due macro gruppi:
- Lavoro autonomo in regime IVA (lavoro autonomo ex art.
2222 c.c. non necessariamente personale, senza
coordinazione, senza continuatività di rapporto con il
cliente/committente);
- Lavoro autonomo ex art. 2222 c.c anche in regime di
collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409 cpc.
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PUNTO DI ARRIVO La legittimità del contratto di lavoro autonomo dipende dall’assenza di
almeno uno dei parametri indicati nell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015:
esclusiva personalità della prestazione (e non solo «prevalentemente
personale» che invece può connotare una co.co.co. ex articolo 409 c.p.c.);
continuatività della prestazione;
prestazione organizzata dal committente anche con riferimento ai tempi e
al luogo di lavoro.
Dal 1° gennaio 2016, qualora venga riscontrata la contestuale presenza di
tutte le condizioni di cui sopra, gli ispettori applicheranno al rapporto in
esame la disciplina del contratto di lavoro subordinato (dominante nel nostro
ordinamento ex art. 1 D.Lgs. 81/2015).
Semplificazione del compito ispettivo dopo l’accertamento dell’etero
organizzazione: Non necessaria la riqualificazione del rapporto
contrattuale; attribuzione al rapporto della regolamentazione propria del
lavoro subordinato.
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PUNTO DI ARRIVO
Analisi dei parametri in base a Circ. Min. Lav. n. 3/2016
Prestazioni di lavoro esclusivamente personali: quelle rese personalmente
dal collaboratore senza una minima organizzazione e/o senza avvalersi
dell’apporto, sia pur minimo, di altri soggetti;
Prestazioni svolte in via continuativa: possono considerarsi tali quelle che si
ripetono in un determinato arco temporale, comportando un impegno costante
e abbastanza lungo del collaboratore a favore del committente, finalizzato al
conseguimento di una reale utilità.
Svolgimento delle prestazioni etero-organizzate dal committente: è il
committente a definire tempi e luogo di lavoro («ogniqualvolta il
collaboratore operi all’interno di una organizzazione datoriale rispetto alla
quale sia tenuto a osservare determinati orari di lavoro e sia tenuto a
prestare la propria attività presso luoghi di lavoro individuati dallo stesso
committente, si considerano avverate le condizioni di cui all’art. 2, comma 1»
del dlgs n. 81/2015» Circ. 3/2016)
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PUNTO DI ARRIVO
Etero-organizzazione (da non confondere con
«Coordinamento): si concretizza allorché sia il committente a definire
quantomeno i tempi e il luogo di lavoro; la Circ. 3/2016 afferma che si ha
etero-organizzazione «ogniqualvolta il collaboratore operi all’interno di una
organizzazione datoriale rispetto alla quale sia tenuto a osservare
determinati orari di lavoro e sia tenuto a prestare la propria attività presso
luoghi di lavoro individuati dallo stesso committente,…omissis….sempre che
le prestazioni risultino continuative ed esclusivamente personali»
Etero-direzione subordinazione ex art. 2094 c.c., intesa come
sottoposizione del collaboratore al potere direttivo, di controllo e disciplinare
del committente.
Se la etero-organizzazione attiene al «quando» e «dove», la
etero-organizzazione coinvolge anche il «come» effettuare la
prestazione.
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PUNTO DI ARRIVO
Deroghe
Pur presenti le condizioni di cui all’art. 2 co 1 del D.lgs 81/2015, non si
verificano le conseguenze ivi previste nei seguenti casi:
a) collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati da associazioni
sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale
prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e
normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative
del relativo settore;
b) collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali
è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;
c) attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli
organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi
e commissioni.
d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e
società sportive dilettantistiche affiliate a federazioni riconosciute dal Coni.
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PUNTO DI ARRIVO
Deroghe
Per disposizione normativa, la etero-organizzazione
non produce effetti sulle collaborazioni in deroga.
Se però, nelle collaborazioni in deroga, si ravvisasse la
presenza degli elementi della etero-direzione,
scatterebbe comunque la conversione del rapporto
(Circ. 3/2016).
Ipotesi ulteriore: la certificazione del contratto ex
D.Lgs. 276/2003
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PUNTO DI ARRIVO
I rapporti di collaborazione con i pensionati di vecchiaia
(precedentemente svincolati dall’obbligo del progetto e più in
generale dall’applicazione degli abrogati artt. 61 e segg) sono ora
soggetti ai parametri di cui all’art. 2, comma 1.
Le c.d. mini co.co.co. (prestazioni occasionali di durata
complessiva non superiore a 30 gg nell’anno solare con lo stesso
committente, salvo che il compenso non sia superiore ad € 5.000),
precedentemente svincolate dall’obbligo del progetto e
dall’applicazione dell’abrogato art. 61 co 1, sono ora soggette ai
parametri di cui all’art. 2 co 1 (devono quindi rientrare nella
casistica generale, non esistendo più come casistica particolare).
In entrambi i casi siamo ovviamente in presenza, a livello
fiscale, di redditi assimilati a lavoro dipendente
occasionali +
confronto di norme
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PUNTO DI ARRIVO
Continua ad esistere nel ns. ordinamento la norma di cui all’art. 44
co 2 del D.L. 269/2003 conv. in L. 326/2003 (prestazioni occasionali
per le quali l’obbligo di iscrizione alla gestione separata si ha soltanto
al superamento della franchigia di € 5.000).
Il compenso è fiscalmente da inquadrare tra i redditi diversi (art. 61
lett i) TUIR).
Trattasi del c.d. «LAVORO AUTONOMO OCCASIONALE»
caratterizzato dalla completa autonomia del lavoratore circa i
tempi e le modalità di esecuzione del lavoro, dalla mancanza del
requisito della continuità, dal mancato inserimento funzionale del
lavoratore nell’organizzazione aziendale e dal fatto che è esercitato
solo in occasioni definite e non ricorrenti.
Anche per questi rapporti, come per ogni altro rapporto di lavoro
autonomo, si applica l’art. 2 comma 1.
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PUNTO DI ARRIVO
Art. 409.
(Controversie individuali di lavoro)
Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative
a:
………………………omissis……
3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di
collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa
e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere
subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel
rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo
tra le parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività
lavorativa (in rosso la modifica proposta all’art. 409 c.p.c. nel disegno di
legge n. 2233 su lavoro autonomo e lavoro agile).
…………………………omissis……………..
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PUNTO DI ARRIVO
La modifica dell’art. 409 cpc recepirebbe principi
giurisprudenziali che identificano la funzione di coordinamento
quando l’attività è strutturalmente e funzionalmente collegata
alla organizzazione produttiva del committente. Ma la
«connessione funzionale» non deve in ogni caso sconfinare in
una pregnante ingerenza del committente che tolga autonomia al
collaboratore e lo assoggetti alle direttive del committente stesso
(in tal senso, Cassaz. 6752/1996).
Il «coordinamento» comporta che il potere del committente sia
limitato alla richiesta della prestazione contrattualmente
convenuta, non sussistendo invece il potere di determinazione
unilaterale delle modalità di esecuzione della stessa.
LE NOVITÀ PER IL LAVORO ACCESSORIO NEL
D.LGS. 81/2015
Il Decreto detta la nuova disciplina del lavoro
accessorio negli artt. da 48 a 50 (viene abrogata la
disciplina contenuta negli artt. 70 e segg del D.lgs. n.
276/2003).
Le principali novità:
l’ampliamento dell’utilizzo del contratto di lavoro
accessorio mediante aumento del limite complessivo
dei compensi;
previsione stabile di cumulabilità;
divieto di lavoro accessorio per lavori in appalto;
obbligo di comunicazione preventiva alla DTL.
LE NOVITÀ PER IL LAVORO ACCESSORIO NEL
D.LGS. 81/2015
Aumento del limite (soggetto a rivalutazione annuale) dei
compensi che possono essere percepiti dal prestatore di lavoro
dalla totalità dei committenti, che adesso è pari ad euro 7.000,
mentre precedentemente il limite era di euro 5.000.
Rimane invariato il limite previsto dalla previgente normativa
(se il committente è imprenditore o professionista, il lavoratore
potrà percepire un importo massimo di 2.000 euro annui dal
committente).
Il lavoro accessorio ha una qualificazione meramente
economica che prescinde dall’occasionalità della prestazione
(non c’è più, dopo il DL 76/2013, la previsione normativa
della «natura meramente occasionale») In senso contrario:
INPS mess. 9124/2014
LE NOVITÀ PER IL LAVORO ACCESSORIO NEL
D.LGS. 81/2015
Il superamento dei limiti economici comporta la trasformazione
del lavoro accessorio in uno di lavoro subordinato a tempo
indeterminato se le prestazioni sono «verosimilmente fungibili
con le prestazioni rese da altro personale dipendente» Circ.
Min. Lav n 4/2013
Necessità del committente di effettuare richiesta al lavoratore
affinché quest’ultimo rilasci dichiarazione che non è stato
superato il limite degli importi massimi previsti.
In questa ipotesi, nessuna sanzione (Nota Min Lav 3439/2013)
LE NOVITÀ PER IL LAVORO ACCESSORIO NEL
D.LGS. 81/2015
Art. 48 co 1: anno civile (01/01 – 31/12) e
non più, come in precedenza, all’anno
solare.
LE NOVITÀ PER IL LAVORO ACCESSORIO NEL
D.LGS. 81/2015
Il comma 2 dell’art. 48 disciplina, ora
stabilmente, il lavoro accessorio con
riferimento ai percettori di prestazioni
integrative del salario o di sostegno al reddito,
laddove specifica che tali soggetti possono
svolgere lavoro accessorio in tutti i settori
produttivi nel limite complessivo di euro 3.000
di compenso per anno civile.
LE NOVITÀ PER IL LAVORO ACCESSORIO NEL
D.LGS. 81/2015
Il lavoro accessorio nel settore dell’agricoltura, può essere
svolto:
• in attività agricole di carattere stagionale, effettuate da
pensionati e da giovani minori di 25 anni di età, se
regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso un istituto di
qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni
scolastici, oppure in qualunque periodo dell’anno, se
regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l’università;
• in attività agricole svolte a favore di produttori agricoli
con un volume di affari fino ad euro 7.000 (art. 34, comma
6, D.P.R. n. 633/1972), ma che non devono essere svolte da
soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici
dei lavoratori agricoli.
LE NOVITÀ PER IL LAVORO ACCESSORIO NEL
D.LGS. 81/2015
L’art. 48 co 6 vieta il ricorso a prestazioni di
lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione di
appalti di opere o di servizi, tranne nei casi
previsti da D.M. da adottarsi entro 6 mesi
dall’entrata in vigore del Dlgs 81 (termine
ampiamente scaduto)
Il committente deve sempre essere
l’utilizzatore finale della prestazione di lavoro
accessorio (già pacifico in precedenza per Circ.
Min. Lav 4/2013, smentita da Tribunale Milano
10/04/2014 n. 318).
LE NOVITÀ PER IL LAVORO ACCESSORIO NEL
D.LGS. 81/2015
Art. 49 co 3: obbligo di comunicare alla DTL, prima dell’inizio della
prestazione e attraverso modalità telematiche (compresi sms e posta
elettronica), i dati anagrafici ed il codice fiscale del lavoratore, indicando
altresì il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale che non
deve essere superiore ai 30 giorni successivi.
In via transitoria, in attesa che vengano attivate le suddette modalità
telematiche per la comunicazione alla Dtl, il Min. Lav. nota n. 3337/2015, ha
stabilito che la comunicazione preventiva debba essere fatta secondo le
procedure INPS (Circ. INPS 177/2013) essere effettuata secondo le
procedure attuali e cioè deve essere inoltrata all’Inps.
Mancata comunicazione preventiva: Applicazione della maxisanzione
(Circ Min Lav 4/2013) e conversione del rapporto.
Mancata remunerazione di alcune giornate in presenza di comunicazione
preventiva: no maxisanzione (Nota Min Lav 12695/2013), ma conversione
del rapporto.
LE NOVITÀ PER IL LAVORO ACCESSORIO NEL
D.LGS. 81/2015
Novità antielusione in arrivo
Novità in arrivo, preannunciate da una news pubblicata sul sito
del Min Lav il 22 marzo 2016.
Al fine di eliminare gli usi impropri ed illegali del lavoro
accessorio, una norma anti elusione/evasione sarà inserita nel
primo decreto correttivo dei decreti attuativi del Jobs Act.
I voucher saranno pienamente tracciabili.
La tracciabilità sarà assicurata dalla comunicazione telematica
preventiva di:
nominativo e codice fiscale del prestatore;
data e luogo in cui svolgerà la prestazione lavorativa;
durata della prestazione lavorativa.
LE NOVITÀ PER IL LAVORO ACCESSORIO NEL D.LGS. 81/2015
Il voucher ha attualmente un valore orario
nominale di € 10,00 (da intendersi come valore
minimo – Circ. Min. Lav. n. 4/2013), salvo il
settore agricolo.
Il valore nominale comprende la contribuzione
(13%) a favore della gestione separata Inps, il
premio assicurativo INAIL (7%) ed un
compenso al concessionario per la gestione del
servizio (5%).
Il valore netto del voucher è pari ad euro
7,50.
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE NEL D.LGS.
81/2015
Art. 53: Superamento dell’associazione in
partecipazione con apporto di lavoro
1. All'articolo 2549 del codice civile sono apportate le seguenti
modificazioni: a) il secondo comma è sostituito dal
seguente: «Nel caso in cui l'associato sia una persona fisica
l'apporto di cui al primo comma non può consistere,
nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro.»;
2. b) il comma terzo è abrogato.
3. I contratti di associazione in partecipazione in atto alla data
di entrata in vigore del presente decreto, nei quali l'apporto
dell'associato persona fisica consiste, in tutto o in parte, in
una prestazione di lavoro, sono fatti salvi fino alla loro
cessazione.
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE NEL D.LGS.
81/2015
Alla luce delle modifiche, l’art. 2549 così recita:
Nozione
Con il contratto di associazione in partecipazione
l'associante attribuisce all'associato una
partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o
più affari verso il corrispettivo di un determinato
apporto.
Nel caso in cui l'associato sia una persona fisica
l'apporto di cui al primo comma non può consistere,
nemmeno in parte (ndr: quindi, neppure misto), in
una prestazione di lavoro.
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE NEL D.LGS.
81/2015
Rimangono quindi valide le associazioni in
partecipazione:
a) tra impresa associante e persona fisica
associata per apporto di solo capitale;
b) tra impresa associante e persona
giuridica o ente associato per apporto
di capitale o di lavoro o misto
(capitale e lavoro).
.
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE NEL D.LGS.
81/2015
Il Dlgs 81 cancella tutte le presunzioni e divieti
introdotti dalla L. 92/2012 (numero massimo di
associati ecc)
I contratti di associazione in partecipazione con
apporto di lavoro stipulati in data antecedente il
25/06/2015 sono fatti salvi fino alla loro
conclusione, ferma restando la possibilità di
essere ricondotti al lavoro subordinato se carenti
degli elementi di autonomia previsti e degli
elementi tipici della fattispecie contrattuale.
CORSO DI FORMAZIONE SPECIALISTICA
ISPEZIONI E SANZIONI
ROMA, 27 MAGGIO 2016
RELATORE DOTT. PAOLO FERRETTI
CONSULENTE DEL LAVORO IN ANCONA
ASPETTI PATOLOGICI DEL CONTRATTO DI LAVORO AUTONOMO
IL CONTRATTO DI LAVORO AUTONOMO HA DUE POTENZIALI AVVERSARI:
1) LE ISTITUZIONI IN FASE DI CONTROLLO
2) IL LAVORATORE AUTONOMO
ASPETTI PATOLOGICI DEL CONTRATTO DI LAVORO AUTONOMO
LA RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO DA AUTONOMO A SUBORDINATO ED IL «PRINCIPIO DI ASSORBIMENTO»
PRINCIPIO DI ASSORBIMENTO (IN GENERALE)
La regola generale del nostro ordinamento è che la retribuzione pattuita tra datore e lavoratore si presume costituisca il corrispettivo della sola prestazione ordinaria.
Ne consegue che tutte le somme che il datore versa al dipendente in misura eccedente rispetto ai minimi del CCNL rappresentano, in applicazione del principio del favor prestatoris, un trattamento di miglior favore rispetto al trattamento minimo ordinario (e dunque, non comprendono i cosiddetti istituti retributivi indiretti: tredicesima, quattordicesima, indennità per ferie e permessi non goduti, lavoro straordinario e TFR).
PRINCIPIO DI ASSORBIMENTO (IN GENERALE)
La regola generale si applica in ogni caso, a meno che datore e lavoratore non abbiano sottoscritto un accordo (patto di conglobamento) in cui si specifica che il pagamento della retribuzione, globalmente considerata, va a soddisfare ogni diritto del lavoratore connesso all’attività da quest’ultimo svolta, compresi dunque gli istituiti di retribuzione indiretti, eccetto comunque il TFR (Cass. 16/4/1992, n. 4651, Cass. 23/01/2006 n. 1261, Cass. 31/05/2011, n. 12051).
Tale patto di conglobamento è valido solo se da esso “risultino specifici titoli cui è riferibile il compenso complessivo, poiché solo in tal caso si rende superabile la presunzione che il compenso convenuto è dovuto quale corrispettivo della sola prestazione ordinaria e si rende possibile il controllo giudiziale circa l’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettanti per legge o per contratto” (Cass. 7/4/2010, n. 8255).
PRINCIPIO DI ASSORBIMENTO (IN CASO DI RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO)
In caso di riqualificazione del rapporto da autonomo a subordinato, il «principio di assorbimento» è teso a ridurre l’ammontare delle eventuali differenze retributive.
Deve però applicarsi la presunzione inversa a quella che opera rispetto al lavoro subordinato. In questo caso il compenso pattuito dalle parti in relazione ad un rapporto qualificato dalle stesse come autonomo si presume destinato a compensare integralmente l’opera prestata dal lavoratore. Per tale motivo, nel caso in cui detto rapporto sia riconosciuto dal Giudice come subordinato, eventuali differenze retributive a vantaggio del lavoratore vanno calcolate tenendo conto dell’intero trattamento retributivo corrispostogli dal datore. Nel caso poi tale trattamento sia più favorevole rispetto a quello che spetterebbe al lavoratore in base ai minimi del CCNL, gli importi eccedenti vanno imputati agli istituti retributivi indiretti.
PRINCIPIO DI ASSORBIMENTO (IN CASO DI RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO)
“In tema di determinazione del trattamento retributivo spettante al lavoratore subordinato, è stato più volte condivisibilmente affermato da questa Corte, …omissis…, che una volta che sia accertata in giudizio l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in contrasto con la qualificazione del rapporto come autonoma operata dalle parti, ai fini della determinazione del trattamento economico dovuto, si deve considerare nel suo complesso quanto in concreto sia stato già corrisposto al lavoratore e porlo a raffronto con il trattamento minimo dipendente dalla corretta qualificazione del rapporto, con la conseguenza che, ove quest’ultimo sia stato già integralmente corrisposto, non possono essere liquidate mensilità aggiuntive commisurate ai compensi periodicamente erogati” (Cass. 7.2.2013, n. 2937).
PRINCIPIO DI ASSORBIMENTO (IN CASO DI RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO)
In buona sostanza, le somme corrisposte in misura
eccedente la retribuzione prevista dal CCNL,
COMPENSANO, sino a concorrenza, anche gli istituti
retributivi indiretti tipici del lavoro subordinato (es:
mensilità supplementari, straordinario, ferie non godute).
E il TFR?
TFR E PRINCIPIO DI ASSORBIMENTO
In caso di riqualificazione del rapporto da autonomo a subordinato la prevalente giurisprudenza esclude che il TFR rientri nel principio di assorbimento in quanto il TFR matura alla cessazione del rapporto di lavoro e quindi non può considerarsi compreso nella retribuzione ordinaria corrisposta dal datore in costanza di rapporto di lavoro (Cass. 7.2.2013, n. 2937, nonché Cass. 5552/2001, Cass. 14.12.1998, n. 12548).
Tuttavia vi è una minoritaria giurisprudenza di merito che si è più volte pronunciata in maniera difforme, assimilando il TFR agli altri istituti retributivi indiretti e quindi assoggettandolo al principio dell’assorbimento (Trib. Milano, 30 luglio 1997, in Lavoro nella Giur., 1998, 244; App. Milano, 14 dicembre 2000, in Lavoro nella Giur., 2001, 697; App. Milano, 8 luglio 2005, in Lavoro nella Giur., 2006, 4, 401).
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
L’art. 22 del D.Lgs. 151/2015 ha modificato il regime sanzionatorio della maxisanzione sul lavoro sommerso, già previsto dall’art. 3 del D.L. 12/2002, conv. in L. 73/2002.
La norma, anche nella versione delineata dal D.Lgs. 151/2015, seguita a punire specificamente l’impiego di lavoratori subordinati senza comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con esclusione del datore di lavoro domestico, in nulla innovando, quindi, rispetto al testo previgente, né con riferimento all’oggetto (il lavoro “in nero” dei soli lavoratori subordinati), né in merito al campo di applicazione (resta escluso il lavoro domestico).
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
E’ inoltre confermato il contenuto del comma 4 del citato art. 3
che così recita:
4. Le sanzioni di cui al comma 3 non trovano applicazione
qualora, dagli adempimenti di carattere contributivo
precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volontà di
non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente
qualificazione.
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
Non c’è dunque maxisanzione sul lavoro sommerso se,
dagli adempimenti di carattere contributivo
precedentemente svolti, si evidenzia la volontà di non
occultare il rapporto, anche se si tratta di differente
qualificazione.
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
Nota Min. Lav. n. 16920 del 9/10/2014
No maxisanzione in caso di disconoscimento del
rapporto di lavoro autonomo occasionale ex art. 2222
c.c. con partita IVA e/o ritenuta d’acconto qualora per
tale rapporto lavoro sia presente idonea
documentazione fiscale che escluda la volontà di
occultare il rapporto.
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
Nota Min. Lav. n. 16920 del 9/10/2014
Essendo il lavoro autonomo occasionale caratterizzato dall’assenza di obblighi di comunicazione preventiva, si impone infatti di considerare, oltre alla documentazione previdenziale, altri elementi significativi, idonei ad escludere la volontà di occultare il rapporto alla P.A.
Rilevante, a tali fini, la valida documentazione fiscale, quale il versamento delle ritenute d’acconto tramite F24 o la dichiarazione 770, dalla quale emerga la conoscenza da parte della P.A. di un rapporto di lavoro che, quindi, non può ritenersi “in nero” ed esclude l’applicazione della maxisanzione pur a fronte della riqualificazione della prestazione come lavoro subordinato.
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
Art. 22 comma 1 punto 3-quinquies del D.Lgs.
151/2015:
«In caso di irrogazione della sanzione di cui al comma
3 (N.D.R.: maxisanzione), non trovano applicazione le
sanzioni di cui all'articolo 19, commi 2 e 3, del decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276, nonché le
sanzioni di cui all'articolo 39, comma 7, del decreto-
legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133».
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
Dal 01/01/2016, in caso di lavoro autonomo riconducibile nella
disciplina del lavoro subordinato ex art. 2 comma 1 del D.Lgs.
81/2015, trovano applicazione (Circ. Min. Lav. n. 3/2016),
salvo ripensamento ministeriale, le sanzioni di cui all'art. 19
commi 2 e 3, del D.Lgs. 276/2003, ovvero:
a) Sanzione (diffidabile) da € 250 ad 1500 per aver omesso, il
datore di lavoro, di consegnare al lavoratore, all’atto
dell’instaurazione del rapporto e comunque prima dell’inizio
dell’attività di lavoro, una copia della lettera di assunzione (o
documento equipollente);
b) Sanzione (diffidabile) da € 100 a € 500 in quanto il datore di
lavoro, entro il giorno antecedente a quello di instaurazione del
relativo rapporto, deve comunicare al servizio competente gli
estremi dell’assunzione del lavoratore subordinato.
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
Trova inoltre applicazione ogni ulteriore sanzione
riferibile al lavoro subordinato (es: dlgs n. 66/2003 in
caso di violazione della disciplina sui tempi di lavoro
ecc), oltre al recupero dei contributi connessi al
differente inquadramento previdenziale del lavoratore,
nonché l’eventuale emissione del provvedimento di
diffida accertativa relativamente alle differenze
retributive maturate dal lavoratore.
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
L’art. 22 co 7 del D.Lgs. 151/2015 si occupa dei profili sanzionatori
applicabili nei casi di omessa o infedele registrazione dei dati sul libro unico:
art. 22 c.7 – «Salvo i casi di errore meramente materiale, l'omessa o infedele
registrazione dei dati di cui ai commi 1, 2 e 3 che determina differenti
trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali è punita con la sanzione
amministrativa pecuniaria da 150 a 1.500 euro. Se la violazione si riferisce a
più di cinque lavoratori ovvero a un periodo superiore a sei mesi la sanzione
va da 500 a 3.000 euro. Se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori
ovvero a un periodo superiore a dodici mesi la sanzione va da 1.000 a 6.000
euro. Ai fini del primo periodo, la nozione di omessa registrazione si riferisce
alle scritture complessivamente omesse e non a ciascun singolo dato di cui
manchi la registrazione e la nozione di infedele registrazione si riferisce alle
scritturazioni dei dati di cui ai commi 1 e 2 diverse rispetto alla qualità o
quantità della prestazione lavorativa effettivamente resa o alle somme
effettivamente erogate……….omissis……………».
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
Omissione: la registrazione deve essere omessa complessivamente (non è sufficiente la mancanza di uno degli elementi che la registrazione stessa dovrebbe ricomprendere);
Infedeltà: difformità che deve sussistere tra i dati registrati e l’effettiva retribuzione o compenso corrisposto (concetto già espresso dal Min Lav con Circ. 2/2012).
La registrazione è pertanto regolare quando si ha perfetta coincidenza tra lavorato e corrisposto.
E nell’ipotesi di riqualificazione del rapporto o più in generale di riconduzione del lavoro autonomo alla disciplina del lavoro subordinato??
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
In tal senso vedasi Circ. Min. Lav. N. 26/2015:
«E’ quindi da escludersi qualsiasi valutazione in ordine
alla riconduzione del rapporto ad altra tipologia
contrattuale ovvero in ordine alla mancata
corresponsione di determinate somme previste dalla
contrattazione collettiva applicata o applicabile,
rispetto alle quali è fatto salvo evidentemente il potere
di emanare la diffida accertativa al fine di dare
immediata tutela ai lavoratori interessati”.
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
Quindi l’omessa o l’infedele registrazione non si configura nell’ipotesi in cui un determinato rapporto di lavoro venga riqualificato.
Sono quindi regolari le registrazioni effettuate con riferimento ad un rapporto di lavoro successivamente disconosciuto e convertito in un altro in fase di accertamento.
In tale ipotesi non è pertanto applicabile la sanzione di cui all’art. 22 co 7 del D.Lgs. 151/2015.
Sempre possibile è il provvedimento di diffida accertativa per la tutela dei crediti patrimoniali del lavoratore (si rammenti però sul punto il «Principio di assorbimento»).
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
INPS/INAIL Omissione o evasione??
In caso di riqualificazione del rapporto di lavoro il datore di lavoro paga le sanzioni per omissione (e non evasione) contributiva
La Corte di Cassazione - con sentenza n. 1476 depositata in data 27 gennaio 2015 – afferma che in caso di riqualificazione del rapporto di lavoro autonomo in rapporto di lavoro subordinato, con effetto retroattivo, le sanzioni per il mancato versamento dei contributi sono a titolo di omissione contributiva e non di evasione.
Ai fini di configurare la più grave ipotesi dell’evasione occorre che venga totalmente omessa la denuncia dell’esistenza di un rapporto (circostanza che non si verifica se non vi è la volontà del datore di lavoro di occultare il rapporto in quanto, al momento della sua costituzione, ha denunciato in maniera conforme al testo firmato dalle parti il rapporto medesimo).
RIQUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO E SANZIONI
INPS/INAIL
Omissione o evasione??
Circolare INPS n. 74/2003
«Con Circolare n. 110 del 23 maggio 2001, uniformandosi alle linee indicate dal
Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella circolare n. 12 del 22 gennaio 2001,
si è disposto, al p. 1.2, che la simulazione del rapporto di lavoro subordinato
rientrava, ai fini dell'applicazione del regime sanzionatorio, nell'ambito dell'evasione
contributiva, con conseguente applicazione dell'art. 116, comma 8, lett. b) della legge
n. 388/2000.
Su tali indirizzi, peraltro, sono sorte numerose problematiche……omissis…….
In tale quadro è fuor di dubbio che nella simulazione del rapporto, venendo effettuate
una serie di denunce e registrazioni obbligatorie delle quali l'Istituto, non solo ne è a
conoscenza, o può venirvi a conoscenza in sede di accertamento ispettivo, ma è
l'Organo che autorizza l'iscrizione e conseguentemente chiede il pagamento dei
contributi, può mancare del tutto l'intenzionalità, né questa può essere provata in
modo certo e inequivocabile……….omissis……..
Da quanto esposto si ritiene che in tutti i casi si proceda, anche a seguito di
accertamento ispettivo, alla trasformazione del rapporto di lavoro, non possa
configurarsi la fattispecie dell'evasione….omissis…………».
MODIFICA DI DISPOSIZIONI SANZIONATORIE IN MATERIA DI LAVORO E LEGISLAZIONE SOCIALE
La maxi sanzione per il «lavoro nero» è stata di nuovo rivisitata dall’art. 22 del D.Lgs. 151/2015 E’ istituito un sistema che prevede l’applicazione della “sanzione a scaglioni”. Viene reintrodotta la procedura di diffida, ma “condizionata”. E’ prevista la possibilità di ottenere la revoca della sospensione dell'attività imprenditoriale prevista dall’art. 14 del Dlgs. 81/2008, previo pagamento del 25% della somma aggiuntiva dovuta; l'importo residuo, maggiorato del 5%, deve essere versato entro sei mesi dalla data di presentazione dell'istanza di revoca.
ART. 22 MODIFICA DI DISPOSIZIONI SANZIONATORIE IN MATERIA DI LAVORO E LEGISLAZIONE SOCIALE
Viene superata la previsione che scomponeva la sanzione in una parte proporzionale ed una fissa giornaliera, in favore di un sistema che articola la fattispecie in tre ipotesi, graduate secondo la durata (e quindi la gravità) del rapporto irregolare.
Intervallo temporale di irregolarità Importo sanzione
Fino a 30 giorni Da 1.500 a 9.000 euro
Da 31 a 60 giorni Da 3.000 a 18.000 euro
Oltre 60 giorni Da 6.000 a 36.000 euro
ART. 22 MODIFICA DI DISPOSIZIONI SANZIONATORIE IN MATERIA DI LAVORO E LEGISLAZIONE SOCIALE
La diffida è subordinata al verificarsi delle seguenti condizioni: • il periodo prestato in nero deve essere regolarizzato; • il lavoratore, se ancora in forza in “nero”, deve essere assunto con contratto di lavoro subordinato: a tempo indeterminato full-time oppure part-time con riduzione dell’orario di lavoro in misura non superiore al 50% dell’orario a tempo pieno; a tempo determinato con un contratto di durata non inferiore a tre mesi; • il lavoratore assunto deve essere mantenuto in servizio presso il
medesimo datore di lavoro per almeno tre mesi. La prova dell'avvenuta regolarizzazione, nonché del pagamento delle sanzioni e dei contributi e premi previsti, deve essere fornita entro il termine di 120 giorni dalla notifica del relativo accertamento.
CIRCOLARE MINISTERO DEL LAVORO N. 26/2015
Pag. 2: « omissis….consegna lettera di assunzione….omissis»; Pag. 3 lett. a): «Stipulazione di un contratto di lavoro subordinato …omissis» ; Pag. 4 : «il contratto decorrerà dal primo giorno di lavoro nero…omissis»; Pag. 4 : «….omissis….formalizzazione di un contratto decorrente dal primo giorno di lavoro in nero che preveda il mantenimento al lavoro del lavoratore per almeno tre mesi dall’accesso ispettivo».
CHE CONFUSIONE!!!
Linea del tempo
0 1
Lavoratore
Ispettore
Periodo in nero da 0 a 1; accesso dell’ispettore nel momento 1 con rapporto in nero in corso. Condizioni di operatività della diffida: - Regolarizzazione del periodo in nero con versamento di contributi e
premi; - Stipula di un contratto di lavoro a tempo indeterminato (anche part time
non inferiore al 50%) o a tempo determinato non inferiore a 3 mesi (90 giorni di calendario);
- Versamento della sanzione minima edittale (art. 13 D.Lgs. 124/2004). Termine per adempiere: 120 giorni dalla notifica del verbale (art. 13 co 5 D.Lgs. 124/2004).
Periodo in nero
Linea del tempo
0 1
Lavoratore Ispettore
Periodo in nero da 0 a 1 Nel momento 1 il rapporto in nero è cessato Accesso dell’ispettore nel momento 2 ed il lavoratore non è più in forza Condizioni di operatività della diffida: - Regolarizzazione del periodo in nero con versamento di contributi e
premi; - Versamento della sanzione minima edittale (art. 13 D.Lgs. 124/2004). Termine per adempiere: 45 giorni dalla notifica del verbale
2 Cessazione rapporto in nero
Periodo in nero
Linea del tempo
0 1
Lavoratore Lavoratore
Da 0 a 1 il lavoratore è stato in nero; Da 1 a 2 il lavoratore è stato regolarizzato; Da 1 a 2 periodo > 90 giorni; Accertamento ispettivo nel momento 2. Condizioni di operatività della diffida: - Regolarizzazione del periodo in nero con versamento di contributi e
premi; - Pagamento della sanzione minima edittale (art. 13 D.Lgs. 124/2004). Termine per adempiere: 45 giorni dalla notifica del verbale di accertamento
2 Regolarizzazione > 90 giorni
Ispettore
Periodo in nero
Linea del tempo
0 1
Lavoratore
Notifica verbale
Da 0 a 1 il lavoratore è stato in nero; Da 1 a 2 il lavoratore è stato regolarizzato (< 90 giorni); oppure Da 1 a 2 il lavoratore è stato in nero; oppure Da 1 a 2 il lavoratore è stato in parte in bianco (< 90 giorni) e parte in nero; Da 2 a 3 assenza di rapporto tra la cessazione del contratto e la notifica del verbale.
Condizioni di operatività della diffida: - Regolarizzazione del periodo in nero con versamento di contributi e premi; - Stipula di un contratto di lavoro a tempo indeterminato (anche part time non inferiore al 50%) o a
tempo determinato che, in sommatoria ad un eventuale periodo «in bianco» (< 90 giorni), post ispezione, garantisca un periodo complessivo di lavoro «in bianco» non inferiore a complessivi 3 mesi (90 giorni di calendario);
- Versamento della sanzione minima edittale (art. 13 D.Lgs. 124/2004). Termine per adempiere: 120 giorni dalla notifica del verbale (art. 13 co 5 D.Lgs. 124/2004).
2
Cessazione del rapporto per cause non imputabili al datore di lavoro
Ispettore
Periodo in nero
3 Periodo in bianco
ART. 22 MODIFICA DI DISPOSIZIONI SANZIONATORIE IN MATERIA DI LAVORO E LEGISLAZIONE SOCIALE
Il decreto esclude la possibilità di diffida in ipotesi di lavoro “in nero” di lavoratori stranieri irregolari e di minori non in età da lavoro. In tale ipotesi la maxisanzione è maggiorata del 20%.
ART. 22 MODIFICA DI DISPOSIZIONI SANZIONATORIE IN MATERIA DI LAVORO E LEGISLAZIONE SOCIALE
Il decreto esclude espressamente il cumulo della maxisanzione con le sanzioni "formali”, comminate per l'omessa comunicazione di assunzione, per l'omessa consegna del contratto al lavoratore, nonché per le omesse scritturazioni sul Libro unico del lavoro.
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE
L’art. 5 della L. 689/81 prevede che “quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge” e l’art. 6 della L. 689/81 prevede che la persona giuridica o l'ente o l'imprenditore è obbligata in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta.
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE
La normativa definisce “datore di lavoro” ogni soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE
Al fine dunque di evitare le pregiudizievoli conseguenze della possibile moltiplicazione delle sanzioni amministrative riferite alla materia del lavoro ed alla sicurezza sui luoghi di lavoro in conseguenza dell’applicazione degli artt. 5 e 6 della L. 689/81, è opportuno che le Società si dotino di una delibera con data certa, da esibire in caso di accertamento.
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE
Nella delibera sarà individuato un solo soggetto che “in via esclusiva” sia unico responsabile per tutti gli incombenti ed adempimenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro di cui al D.Lgs. 81/2008 e successive modificazioni, nonché per tutti gli adempimenti previsti dalle norme legislative, regolamentari e pattizie in materia di rapporti di lavoro nonché in materia assicurativa e previdenziale.
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE
In presenza di una delibera di data certa con tali contenuti, le eventuali sanzioni graveranno in capo all’unico soggetto che è stato identificato quale responsabile nella predetta delibera e non verranno conseguentemente notificate a tutti gli altri soci e/o amministratori, dovendosi escludere, in simile ipotesi, il concorso di più persone nella violazione previsto dall’art 5 della L. 689/81.
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE NEL SISTEMA PREVIGENTE
Corte costituzionale - Sentenza 13 novembre 2014 n. 254 È incostituzionale, in quanto «sproporzionata» e «irragionevole», la previsione di una «sanzione fissa» di € 3.000 per l'omesso versamento dei contributi previdenziali «indipendentemente dalla durata» della prestazione lavorativa. La Corte costituzionale, con la sentenza 254/2014 , ha bocciato la cd. «maxi sanzione» contro il lavoro nero, voluta nel luglio 2006 dal governo Prodi, e rimpiazzata quattro anni dopo (L. 183/2010) col ritorno (maggiorato) al vecchio
criterio agganciato invece alla durata dell'infrazione.
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE NEL SISTEMA PREVIGENTE
L'articolo 36-bis, comma 7, lettera a), del Dl n. 223 del 2006 aveva introdotto una soglia minima di 3.000 euro ai fini INPS/INAIL per ogni lavoratore. Successivamente, però, il Collegato Lavoro (L.183/2010) è intervenuto eliminando il «tetto minimo» e prevedendo unicamente un aumento del 50% delle sanzioni di cui alla L. 388/2000. Ed infatti, prima del 24/09/2015, le sanzioni civili erano calcolate nella misura del 30% «in ragione d'anno» della contribuzione evasa (fino ad un massimo del 60%) e l'importo così determinato è maggiorato del 50%.
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE NEL SISTEMA PREVIGENTE
La L. n. 9/2014, entrata in vigore il 22 febbraio 2014, ha convertito il D.L. n. 145/2013 (Destinazione Italia) che, all'art. 14, ha previsto una maggiorazione del 30% delle sanzioni amministrative concernenti l'occupazione di lavoratori "in nero", nonché una maggiorazione del 30% delle "somme aggiuntive" da versare ai fini della revoca del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale di cui all'art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008.
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE NEL SISTEMA PREVIGENTE
•violazioni commesse prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 145/2013 (cioè prima del 24 dicembre 2013): si applica la pregressa disciplina, sia per quanto concerne gli importi sanzionatori sia per quanto concerne l'applicazione della diffida di cui all'art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004;
•violazioni commesse a far data dall'entrata in vigore del citato D.L. n. 145/2013 e sino al giorno antecedente alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 9/2014 (cioè dal 24 dicembre 2013 e sino al 21 febbraio 2014 compreso): si applicano le sanzioni amministrative già previste dall'art. 3 del D.L. n. 12/2002 aumentate del 30%, sia per la parte fissa che per la parte variabile, nonché la procedura di diffida di cui all'art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004.
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE NEL SISTEMA PREVIGENTE
• violazioni commesse a far data dall'entrata in vigore della L. n. 9/2014 (ossia a far data dal 22 febbraio 2014): si applicano le sanzioni amministrative già previste dall'art. 3 del D.L. n. 12/2002 aumentate del 30%, sia per la parte fissa che per la parte variabile, ma non la procedura di diffida di cui all'art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004.
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE NEL SISTEMA PREVIGENTE
Maxisanzione "ordinaria"
Sanz. Min. edit. Sanz. Max. edit. Magg. giornaliera
Violazioni consumate entro il 23 dicembre 2013 compreso
1.500 12.000 150
Violazioni consumate dal 24 dicembre 2013 al 21 febbraio 2014 compreso
1.950 15.600 195
Violazioni consumate dal 22 febbraio 2014
1.950 15.600 195
MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELLA SANZIONE NEL SISTEMA PREVIGENTE
Maxisanzione “affievolita“
(nel caso ai cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo)
Sanz. Min. edit. Sanz. Max. edit. Magg. giornaliera
Violazioni consumate entro il 23 dicembre 2013 compreso
1.000 8.000 30
Violazioni consumate dal 24 dicembre 2013 al 21 febbraio 2014 compreso
1.300 10.400 39
Violazioni consumate dal 22 febbraio 2014
1.300 10.400 39
L’ORDINANZA INGIUNZIONE E LA DIFESA IN GIUDIZIO
DEL CONSULENTE DEL LAVORO
Il ricorso giudiziario avverso l’ordinanza ingiunzione è stato regolato per circa 30 anni dall’art. 22 della L. 689/81, ma dal 06/10/2011, data di entrata in vigore del D.Lgs. 150/2011, è regolato dall’art. 6 del citato Decreto (al quale fa ora rinvio l’art. 22 della L. 689/81):
Art. 22 L. 689/81: (Opposizione all'ordinanza-ingiunzione)
Salvo quanto previsto dall'articolo 133 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, e da altre disposizioni di legge, contro l'ordinanza-ingiunzione di pagamento e contro l'ordinanza che dispone la sola confisca gli interessati possono proporre opposizione dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria. L'opposizione è regolata dall'articolo 6 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.
L’ORDINANZA INGIUNZIONE E LA DIFESA IN GIUDIZIO
DEL CONSULENTE DEL LAVORO
Art. 6 Dlgs. 150/2011 Dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione
1. Le controversie previste dall'articolo 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo.
2. 2. L'opposizione si propone davanti al giudice del luogo in cui è stata commessa la violazione.
3. ……omissis.............
4. 4. L'opposizione si propone davanti al tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione concernente disposizioni in materia:
a) di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro;
b) di previdenza e assistenza obbligatoria;
………………………………………………….omissis………………………….
L’ORDINANZA INGIUNZIONE E LA DIFESA IN GIUDIZIO
DEL CONSULENTE DEL LAVORO
Art. 6 D.Lgs. 150/20111 Dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione
5………..omissis…………… 6. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale.
7. L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall'articolo 5.
8. Con il decreto di cui all'articolo 415, secondo comma, del codice di procedura civile il giudice ordina all'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell'udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione. Il ricorso e il decreto sono notificati, a cura della cancelleria, all'opponente e all'autorità che ha emesso l'ordinanza.
L’ORDINANZA INGIUNZIONE E LA DIFESA IN GIUDIZIO
DEL CONSULENTE DEL LAVORO
Art. 6 Dlgs 150/2011 Dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione
9. Nel giudizio di primo grado l'opponente e l'autorità che ha emesso l'ordinanza possono stare in giudizio personalmente. L'autorità che ha emesso l'ordinanza può avvalersi anche di funzionari appositamente delegati…omissis…
10. Alla prima udienza, il giudice:
a) quando il ricorso è proposto oltre i termini di cui al comma 6, lo dichiara inammissibile con sentenza;
b) ………omissis…….
11. Il giudice accoglie l'opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell'opponente.
L’ORDINANZA INGIUNZIONE E LA DIFESA IN GIUDIZIO
DEL CONSULENTE DEL LAVORO
Art. 6 Dlgs 150/2011 Dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione
12. Con la sentenza che accoglie l'opposizione il giudice può annullare in tutto o in parte l'ordinanza o modificarla anche limitatamente all'entità della sanzione dovuta, che è determinata in una misura in ogni caso non inferiore al minimo edittale. ……..omissis…….
L’ORDINANZA INGIUNZIONE E LA DIFESA IN GIUDIZIO
DEL CONSULENTE DEL LAVORO
Nel primo grado di giudizio, tanto l'opponente, quanto la DTL , possono stare in giudizio personalmente, senza l'ausilio di un difensore.
Il trasgressore e l'obbligato in solido potranno quindi rivolgersi sia ad un legale, che al professionista che assiste tecnicamente l'azienda per i profili della gestione e amministrazione del personale ai sensi della legge 11 gennaio 1979, n. 12.
L’ORDINANZA INGIUNZIONE E LA DIFESA IN GIUDIZIO
DEL CONSULENTE DEL LAVORO In dottrina:
Questi (n.d.r.: il consulente) potrà predisporre secondo le proprie competenze professionali il ricorso e redigerlo materialmente, ferma restando l'esclusiva titolarità e sottoscrizione del soggetto interessato (trasgressore e/o obbligato solidale). D’altro canto, può dirsi legittima la presenza del professionista alle udienze, al posto del soggetto interessato, giacché pur senza poter rivestire i panni del sostituto processuale, né tantomeno quelli del procuratore legale, ben potrà il professionista del lavoro, in una applicazione estensiva dell'art. 77, comma 1, c.p.c., rivestire la qualità di “rappresentante processuale volontario”, a seguito di espressa ed esplicita procura da parte del trasgressore e/o dell'obbligato in solido, resa nel ricorso in opposizione ed eventualmente confermata personalmente davanti al giudice dell'opposizione durante la prima udienza, essendo il professionista chiaramente “preposto” agli “affari” inerenti la gestione e l'amministrazione di quei rapporti di lavoro per i quali la Direzione provinciale del lavoro ha proceduto agli accertamenti ispettivi da ultimo consolidatisi nell'ordinanza-ingiunzione impugnata” (P. Rausei – Diritto e Pratica del Lavoro 21/2010).
L’ORDINANZA INGIUNZIONE E LA DIFESA IN GIUDIZIO
DEL CONSULENTE DEL LAVORO
DELEGA DI RAPPRESENTANZA
Il Sottoscritto ………………., nato a ……………. il …………, C.F. ……………. in proprio ed in qualità di legale rappresentante pro tempore della Società……….......con sede a…………. (….) – Via ……………….. n. …., C.F e P.IVA ………….. elettivamente domiciliato in…….. – Via ……. n. ….presso il Consulente del Lavoro………, sta in giudizio personalmente nel presente procedimento ex art. 22 della L. 689/1981, per rinvio all’art. 6 comma 9 del D.Lgs. 150/2011, e/o tramite il Consulente del Lavoro…….al quale viene conferita specifica delega di rappresentanza nella medesima controversia a tutti gli effetti di legge.
……………………. in proprio e nella qualifica
L’ORDINANZA INGIUNZIONE E LA DIFESA IN GIUDIZIO
DEL CONSULENTE DEL LAVORO
La presenza del trasgressore in prima udienza è comunque fondamentale affinché confermi la delega di rappresentanza in favore del consulente, non potendo quest’ultimo autenticare la firma del trasgressore (l’autenticazione della firma è riservata agli avvocati).
L’ORDINANZA INGIUNZIONE E LA DIFESA IN GIUDIZIO
DEL CONSULENTE DEL LAVORO
Nei confronti della sentenza del Tribunale che decide in primo grado il ricorso in opposizione, la parte soccombente può proporre impugnazione, ma non può stare in giudizio personalmente, essendo questa facoltà consentita nel solo primo grado di giudizio.
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
Uno dei metodi più efficaci per prevenire gli aspetti
patologici connessi alla stipula di un contratto di lavoro
autonomo è senz’altro la certificazione.
La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, in data
22 aprile 2016, ha aggiornato la precedente versione
delle Linee guida per la certificazione dei contratti.
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
Art. 2 co 3 D.Lgs. 81/2015
«Le parti possono richiedere alle commissioni di cui
all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003,
n. 276, la certificazione dell'assenza dei requisiti di cui al
comma 1 (ndr: A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina
del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si
concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le
cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con
riferimento ai tempi e al luogo di lavoro). Il lavoratore può farsi
assistere da un rappresentante dell'associazione
sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un
avvocato o da un consulente del lavoro».
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
La norma si limita a prevedere che committente
e collaboratore possono richiedere alle
competenti Commissioni «la certificazione
dell’assenza dei requisiti» che ai sensi del
comma 1 della stessa disposizione
condurrebbero all’applicazione della disciplina
del lavoro subordinato.
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
L’attività di certificazione si concentra dunque
sull’accertamento che nello stipulando contratto di cococo - o nel
rapporto fino ad allora posto in essere fra le parti, se trattasi di
contratto in corso di svolgimento - non sussistono condizioni di
assoggettamento alla organizzazione esclusiva del
committente e quindi la Commissione deve verificare l’assenza
di almeno uno dei seguenti requisiti:
a) natura esclusivamente personale;
b) prestazione continuativa;
c) prestazione organizzata dal committente anche con
riferimento ai tempi di lavoro;
d) prestazione organizzata dal committente anche con
riferimento al luogo di lavoro.
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
La certificazione dei contratti di lavoro (artt. 75 e segg. D.Lgs.
276/2003) è una procedura introdotta con lo scopo di
ridurre/prevenire il contenzioso in materia di lavoro.
L’art. 30 co. 2 della L. 183/2010 ha reso maggiormente
vincolante la certificazione soprattutto nei confronti dell’autorità
giudiziaria:
«Nella qualificazione del contratto di lavoro e
nell'interpretazione delle relative clausole il giudice non può
discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di
certificazione dei contratti di lavoro….omissis…, salvo il caso di
erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di
difformità tra il programma negoziale certificato e la sua
successiva attuazione».
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
Nei confronti dell’atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera
giuridica l’atto stesso è destinato a produrre effetti, possono dunque
proporre ricorso al Giudice del lavoro, per vizi del consenso, per erronea
qualificazione del contratto di lavoro o per difformità tra il programma
negoziale certificato e la sua successiva attuazione.
La certificazione ha pertanto la c.d. efficacia “reale”, nel senso che è
opponibile anche ai terzi e determina la temporanea inefficacia di
qualsiasi atto che presupponga una qualificazione del contratto diversa
da quella certificata.
Tale effetto non è però assoluto, ma può essere superato esclusivamente
attraverso una successiva differente valutazione del giudice al quale il
legislatore non può sottrarre la qualificazione dei rapporti finalizzata al
riconoscimento dei diritti che ne conseguono (art. 24, comma 1, Cost.).
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
Il vizio del consenso è una circostanza di fatto, suscettibile di
rendere invalido il consenso prestato alla stipulazione del
contratto.
1427 c.c.: “il contraente, il cui consenso fu dato per errore,
estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere
l’annullamento del contratto secondo le disposizioni
seguenti” (ossia gli artt. 1428 e segg. c.c.).
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
Vizi del consenso
Errore: si ha quando il contraente ignora, oppure conosce in
modo sbagliato o insufficiente, situazioni determinanti ai fini
della decisione di stipulare o meno il contratto o comunque di
stipularlo in certe condizioni.
Violenza: consiste nella minaccia di un male ingiusto e
notevole per cui il contraente è indotto a stipulare un contratto
che altrimenti non avrebbe stipulato, oppure avrebbe stipulato
in condizioni diverse.
Dolo: si ha quando un contraente è indotto a raggiri o inganni
per stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato
o avrebbe stipulato in condizioni diverse.
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
Solo le parti del contratto (e non anche i terzi interessati)
possono impugnare la certificazione dinanzi all’autorità
giudiziaria per vizi del consenso (gli effetti della Sentenza
retroagiscono sin dal momento della sottoscrizione del
contratto).
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
L’atto di certificazione può essere impugnato dalle parti e dai
terzi interessati anche per erronea qualificazione del contratto
da parte della Commissione di Certificazione. In tal caso
l’effetto dell’accertamento giudiziale decorrerà fin dal momento
della conclusione dell’accordo contrattuale (art. 80, comma 2
D.lgs 276/2003).
L’atto di certificazione può essere impugnato per difformità tra
il programma negoziale e la sua successiva attuazione. In questa
ipotesi, l’effetto dell’accertamento giudiziale decorrerà dal
momento in cui nel giudizio si accerta quando ha avuto inizio la
difformità stessa (art. 80, comma 2 D.lgs 276/2003).
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
Il provvedimento di certificazione può essere impugnato innanzi
al Tribunale Amministrativo Regionale nella cui giurisdizione
ha sede la Commissione che ha certificato il contratto, per
violazioni procedurali o per eccesso di potere (art. 80, co 5,
D.Lgs. 276/2003).
Tale azione è diretta ad ottenere l’annullamento dell’atto di
certificazione, senza incidere sul contratto di lavoro al quale
accede. I vizi procedimentali in questione possono essere fatti
valere sia dalle parti che dai terzi interessati.
LA CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
L’art. 31 co 1 della L. 183/2010 (Collegato lavoro) legge n. 183/2010,
riscrivendo l’art. 410 c.p.c., ha eliminato l’istituto del tentativo
obbligatorio di conciliazione quale condizione di procedibilità del
ricorso innanzi al giudice del lavoro. Rimane obbligatorio soltanto il
tentativo di conciliazione da espletarsi davanti alle Commissioni di
Certificazione, nel caso in cui si impugna l’atto di certificazione (art.
80, comma 4, D.Lgs. n. 276/2003).
Vista l’efficacia giuridica della certificazione anche verso i terzi (art.
79 D.Lgs. n. 276/2003), il tentativo di conciliazione è obbligatorio sia
per le parti che hanno sottoscritto il contratto certificato, sia per i terzi
interessati che intendano agire contro l’atto di certificazione (Min.
lav., nota del 25 novembre 2010).
LA STABILIZZAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
Art. 54 D.lgs 81/2015 Stabilizzazione dei collaboratori coordinati
e continuativi anche a progetto e di persone titolari di partita IVA
1. Al fine di promuovere la stabilizzazione dell'occupazione mediante
il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato
nonche' di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro
autonomo, a decorrere dal 1° gennaio 2016, i datori di lavoro privati
che procedano alla assunzione con contratto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato di soggetti già parti di contratti di
collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di
soggetti titolari di partita IVA con cui abbiano intrattenuto rapporti
di lavoro autonomo, godono degli effetti di cui al comma 2 a
condizione che: segue
LA STABILIZZAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
Art. 54 D.lgs 81/2015 Stabilizzazione dei collaboratori coordinati
e continuativi anche a progetto e di persone titolari di partita IVA
a) i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a
tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso
rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui
all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, o avanti alle
commissioni di certificazione;
b) b) nei dodici mesi successivi alle assunzioni di cui al comma 2, i datori
di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta
causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.
2. L'assunzione a tempo indeterminato alle condizioni di cui al comma 1,
lettere a) e b), comporta l'estinzione degli illeciti amministrativi,
contributivi e fiscali connessi all'erronea qualificazione del rapporto di
lavoro, fatti salvi gli illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati
in data antecedente alla assunzione.
LA STABILIZZAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
Ministero del Lavoro Circ. 3/2016
La procedura può essere attivata anche in relazione a rapporti di
collaborazione/ P.IVA già esauriti.
Non è preclusa l’assunzione part time.
Qualora la procedura di stabilizzazione venga avviata successivamente
all’accesso ispettivo e quindi all’inizio dell’accertamento, non si potrà
beneficiare della estinzione degli illeciti che verranno eventualmente
accertati all’esito dell’ispezione.
Viceversa, qualora l’accesso ispettivo abbia luogo a procedura di
stabilizzazione in corso (ad esempio sia stata già presentata istanza di
conciliazione ovvero non siano ancora trascorsi 12 mesi dall’assunzione
dei lavoratori interessati), il rispetto delle condizioni di cui all’art. 54 del
D.Lgs. n. 81/2015 potrà determinare l’estinzione degli eventuali illeciti
accertati all’esito dell’ispezione.
LA STABILIZZAZIONE DEL CONTRATTO COME
METODO DI PREVENZIONE
Ministero del Lavoro Circ. 3/2016
Il Min. Lav. evidenzia come la procedura di stabilizzazione
non infici la possibilità di avvalersi dell’esonero
contributivo previsto dalla Legge di Stabilita 2016, attesa
l’assenza di esplicite previsioni in senso contrario,
sempreché risultino rispettate anche le altre condizioni che
l’ordinamento richiede per il godimento di benefici
normativi e contributivi (in senso contrario al diritto agli
sgravi contributivi in ipotesi di riqualificazione del
rapporto, vedasi Interpello 2/2016).
IL LAVORO ACCESSORIO
Tribunale di Ancona n. 505/2015 del 19/11/2015
«Si sostiene da parte dell’INPS che l’assunzione con
voucher da parte della XXXXXXXXXXX di dipendenti posti
in mobilità della fallita YYYYYYYYYYY (società con assetto
proprietario coincidente con la prima e già cedente alla
stessa un ramo di azienda) sia avvenuta a fini elusivi, ossia
al fine, da un lato, di non far perdere ai lavoratori
l’indennità di mobilità, dall’altro, di sottrarsi agli obblighi
di subentrare nel rapporto di lavoro con costoro e agli
obblighi contributivi».
IL LAVORO ACCESSORIO
Tribunale di Ancona n. 505/2015 del 19/11/2015
«In proposito, si deve, tuttavia, osservare come appaia
difficile comprendere in che modo l’assunzione degli ex
dipendenti della YYYYYYYYYYYYYYY tramite voucher
possa incidere sull’obbligo di assunzione ai sensi dell’art.
2112 c.c. (ammesso che tale obbligo sia sussistente il che è
assolutamente contestato da parte convenuta). Tale
obbligo, infatti, ove sussistente, rimarrebbe integro in ogni
caso, che sia o meno avvenuta una assunzione a titolo di
prestazione occasionale, non certo paragonabile
all’assunzione con contratto di lavoro a tempo
indeterminato».
Quanto, poi, al fatto che il contratto di lavoro tramite
voucher comporti per il lavoratore la conservazione dello
stato di inoccupazione/disoccupazione e per il datore di
lavoro un minore esborso contributivo, si tratta di
conseguenze tipiche previste dalla legge per tale tipo di
prestazione lavorativa. L’elusione di legge potrebbe,
dunque, ipotizzarsi soltanto laddove si dimostri che il
ricorso ai voucher sia stato compiuto non certo per godere
dei benefici di legge, di per sé assolutamente leciti, quanto,
invece, per nascondere un vero e proprio rapporto di lavoro
subordinato privo dei caratteri dell’accessorietà.
È noto, infatti, che tale istituto, per la sua flessibilità, si
presta a un'agevole messa in atto di condotte improprie tese
a ricondurre, nell'ambito della tipologia flessibile del
voucher, rapporti veri e propri di lavoro, di ben altro tipo,
eludendo la normativa obbligatoria in materia di diritto del
lavoro e della previdenza sociale e quella contrattuale a
tutela del rapporto di lavoro. Nella pratica, i voucher
possono essere, dunque, utilizzati per fornire una apparenza
di regolarità a rapporti di lavoro di notevole intensità
lavorativa, o di notevole continuità della prestazione, non
compatibili con i limiti di remunerazione tramite buoni
lavoro.
In tali casi, infatti, il buono lavoro viene usato, in modo
irregolare, come schermo di regolarità per coprire una
prestazione di lavoro intrattenuta quasi interamente in nero.
Nella specie, tuttavia, alcuna prova in tal senso ha allegato
l’Istituto ricorrente che ha richiamato gli accertamenti
eseguiti in sede ispettiva, dai quali si evince che la natura
ordinariamente subordinata dei rapporti di lavoro
intrattenuti dalla XXXXXXXXXXXX con i lavoratori
convenuti è stata desunta soltanto dalla natura delle
prestazioni rese, ossia le medesime che erano state svolte
presso la ex datrice di lavoro YYYYYYYYYYYYYYYYY
(ossia mansioni impiegatizie, vedi addetti al commerciale o
amministrazione, oppure operaie come addette al
magazzino o taglio). Tale elemento, tuttavia, non è
sufficiente al fine di dimostrare la natura fittizia delle
prestazioni accessorie, alla luce della normativa, come
modificata dalle leggi 92/2012 e 99/13 e vigente nel 2014.
Con la novella di cui al D.L. 76/13 è stato eliminato il
riferimento alla natura meramente occasionale delle
prestazioni in questione, sicché viene unanimemente
affermato che, attualmente, è possibile il ricorso a
prestazioni accessorie tramite voucher per lo svolgimento
di qualsiasi tipo di attività lavorativa, fermo restando il
limite quantitativo previsto dall’art. 70, limite che, nella
specie, è pacifico che non sia stato superato. Pertanto, la
trasformazione del rapporto in quella che è la forma
comune di rapporto di lavoro, ossia in rapporto di natura
subordinata a tempo indeterminato può essere disposta
soltanto al superamento dei limiti quantitativi previsti dalla
legge.
Con questo non si nasconde che l’istituto della prestazione
accessoria, per la sua generale applicabilità come prevista
dagli ultimi interventi legislativi, pone in crisi l’ordinaria
disciplina del lavoro dipendente apparendo difficilmente
compatibile con il sistema del diritto del lavoro, tuttavia,
appare, altresì necessario, a fronte del piano dato testuale
della norma, come recepito anche dagli organi
amministrativi, tutelare il legittimo affidamento di
imprenditori e lavoratori che, in tutta libertà, decidono di
farvi ricorso, nei limiti previsti dalla legge.
Il Min. Lav. evidenzia come la procedura di stabilizzazione
non infici la possibilità di avvalersi dell’esonero
contributivo previsto dalla Legge di Stabilita 2016, attesa
l’assenza di esplicite previsioni in senso contrario,
sempreché risultino rispettate anche le altre condizioni che
l’ordinamento richiede per il godimento di benefici
normativi e contributivi (in senso contrario al diritto agli
sgravi contributivi in ipotesi di riqualificazione del
rapporto, vedasi Interpello 2/2016).
IL LAVORO ACCESSORIO
Tribunale di Ancona n. 505/2015 del 19/11/2015
«Quanto, poi, al fatto che il contratto di lavoro tramite
voucher comporti per il lavoratore la conservazione dello
stato di inoccupazione/disoccupazione e per il datore di
lavoro un minore esborso contributivo, si tratta di
conseguenze tipiche previste dalla legge per tale tipo di
prestazione lavorativa. L’elusione di legge potrebbe,
dunque, ipotizzarsi soltanto laddove si dimostri che il
ricorso ai voucher sia stato compiuto non certo per godere
dei benefici di legge, di per sé assolutamente leciti, quanto,
invece, per nascondere un vero e proprio rapporto di
lavoro subordinato privo dei caratteri dell’accessorietà».
È noto, infatti, che tale istituto, per la sua flessibilità, si
presta a un'agevole messa in atto di condotte improprie tese
a ricondurre, nell'ambito della tipologia flessibile del
voucher, rapporti veri e propri di lavoro, di ben altro tipo,
eludendo la normativa obbligatoria in materia di diritto del
lavoro e della previdenza sociale e quella contrattuale a
tutela del rapporto di lavoro. Nella pratica, i voucher
possono essere, dunque, utilizzati per fornire una apparenza
di regolarità a rapporti di lavoro di notevole intensità
lavorativa, o di notevole continuità della prestazione, non
compatibili con i limiti di remunerazione tramite buoni
lavoro.
In tali casi, infatti, il buono lavoro viene usato, in modo
irregolare, come schermo di regolarità per coprire una
prestazione di lavoro intrattenuta quasi interamente in nero.
Nella specie, tuttavia, alcuna prova in tal senso ha allegato
l’Istituto ricorrente che ha richiamato gli accertamenti
eseguiti in sede ispettiva, dai quali si evince che la natura
ordinariamente subordinata dei rapporti di lavoro
intrattenuti dalla XXXXXXXXXXXX con i lavoratori
convenuti è stata desunta soltanto dalla natura delle
prestazioni rese, ossia le medesime che erano state svolte
presso la ex datrice di lavoro YYYYYYYYYYYYYYYYY
(ossia mansioni impiegatizie, vedi addetti al commerciale o
amministrazione, oppure operaie come addette al
magazzino o taglio). Tale elemento, tuttavia, non è
sufficiente al fine di dimostrare la natura fittizia delle
prestazioni accessorie, alla luce della normativa, come
modificata dalle leggi 92/2012 e 99/13 e vigente nel 2014.
Con la novella di cui al D.L. 76/13 è stato eliminato il
riferimento alla natura meramente occasionale delle
prestazioni in questione, sicché viene unanimemente
affermato che, attualmente, è possibile il ricorso a
prestazioni accessorie tramite voucher per lo svolgimento
di qualsiasi tipo di attività lavorativa, fermo restando il
limite quantitativo previsto dall’art. 70, limite che, nella
specie, è pacifico che non sia stato superato. Pertanto, la
trasformazione del rapporto in quella che è la forma
comune di rapporto di lavoro, ossia in rapporto di natura
subordinata a tempo indeterminato può essere disposta
soltanto al superamento dei limiti quantitativi previsti dalla
legge.
Con questo non si nasconde che l’istituto della prestazione
accessoria, per la sua generale applicabilità come prevista
dagli ultimi interventi legislativi, pone in crisi l’ordinaria
disciplina del lavoro dipendente apparendo difficilmente
compatibile con il sistema del diritto del lavoro, tuttavia,
appare, altresì necessario, a fronte del piano dato testuale
della norma, come recepito anche dagli organi
amministrativi, tutelare il legittimo affidamento di
imprenditori e lavoratori che, in tutta libertà, decidono di
farvi ricorso, nei limiti previsti dalla legge.
Il Min. Lav. evidenzia come la procedura di stabilizzazione
non infici la possibilità di avvalersi dell’esonero
contributivo previsto dalla Legge di Stabilita 2016, attesa
l’assenza di esplicite previsioni in senso contrario,
sempreché risultino rispettate anche le altre condizioni che
l’ordinamento richiede per il godimento di benefici
normativi e contributivi (in senso contrario al diritto agli
sgravi contributivi in ipotesi di riqualificazione del
rapporto, vedasi Interpello 2/2016).
IL LAVORO ACCESSORIO
Tribunale di Ancona n. 505/2015 del 19/11/2015
«È noto, infatti, che tale istituto, per la sua flessibilità, si
presta a un'agevole messa in atto di condotte improprie
tese a ricondurre, nell'ambito della tipologia flessibile del
voucher, rapporti veri e propri di lavoro, di ben altro tipo,
eludendo la normativa obbligatoria in materia di diritto del
lavoro e della previdenza sociale e quella contrattuale a
tutela del rapporto di lavoro. Nella pratica, i voucher
possono essere, dunque, utilizzati per fornire una
apparenza di regolarità a rapporti di lavoro di notevole
intensità lavorativa, o di notevole continuità della
prestazione, non compatibili con i limiti di remunerazione
tramite buoni lavoro».
IL LAVORO ACCESSORIO
Tribunale di Ancona n. 505/2015 del 19/11/2015
«In tali casi, infatti, il buono lavoro viene usato, in modo irregolare, come
schermo di regolarità per coprire una prestazione di lavoro intrattenuta
quasi interamente in nero. Nella specie, tuttavia, alcuna prova in tal senso
ha allegato l’Istituto ricorrente che ha richiamato gli accertamenti eseguiti
in sede ispettiva, dai quali si evince che la natura ordinariamente
subordinata dei rapporti di lavoro intrattenuti dalla XXXXXXXXXXXX con
i lavoratori convenuti è stata desunta soltanto dalla natura delle prestazioni
rese, ossia le medesime che erano state svolte presso la ex datrice di lavoro
YYYYYYYYYYYYYYYYY. Tale elemento, tuttavia, non è sufficiente al fine di
dimostrare la natura fittizia delle prestazioni accessorie, alla luce della
normativa, come modificata dalle leggi 92/2012 e 76/13 e vigente nel
2014».
Con la novella di cui al D.L. 76/13 è stato eliminato il
riferimento alla natura meramente occasionale delle
prestazioni in questione, sicché viene unanimemente
affermato che, attualmente, è possibile il ricorso a
prestazioni accessorie tramite voucher per lo svolgimento
di qualsiasi tipo di attività lavorativa, fermo restando il
limite quantitativo previsto dall’art. 70, limite che, nella
specie, è pacifico che non sia stato superato. Pertanto, la
trasformazione del rapporto in quella che è la forma
comune di rapporto di lavoro, ossia in rapporto di natura
subordinata a tempo indeterminato può essere disposta
soltanto al superamento dei limiti quantitativi previsti dalla
legge.
Con questo non si nasconde che l’istituto della prestazione
accessoria, per la sua generale applicabilità come prevista
dagli ultimi interventi legislativi, pone in crisi l’ordinaria
disciplina del lavoro dipendente apparendo difficilmente
compatibile con il sistema del diritto del lavoro, tuttavia,
appare, altresì necessario, a fronte del piano dato testuale
della norma, come recepito anche dagli organi
amministrativi, tutelare il legittimo affidamento di
imprenditori e lavoratori che, in tutta libertà, decidono di
farvi ricorso, nei limiti previsti dalla legge.
Il Min. Lav. evidenzia come la procedura di stabilizzazione
non infici la possibilità di avvalersi dell’esonero
contributivo previsto dalla Legge di Stabilita 2016, attesa
l’assenza di esplicite previsioni in senso contrario,
sempreché risultino rispettate anche le altre condizioni che
l’ordinamento richiede per il godimento di benefici
normativi e contributivi (in senso contrario al diritto agli
sgravi contributivi in ipotesi di riqualificazione del
rapporto, vedasi Interpello 2/2016).
IL LAVORO ACCESSORIO
Tribunale di Ancona n. 505/2015 del 19/11/2015
«Con la novella di cui al D.L. 76/13 è stato eliminato il riferimento
alla natura meramente occasionale delle prestazioni in questione,
sicché viene unanimemente affermato che, attualmente, è possibile il
ricorso a prestazioni accessorie tramite voucher per lo svolgimento
di qualsiasi tipo di attività lavorativa, fermo restando il limite
quantitativo previsto dall’art. 70, limite che, nella specie, è pacifico
che non sia stato superato. Pertanto, la trasformazione del rapporto
in quella che è la forma comune di rapporto di lavoro, ossia in
rapporto di natura subordinata a tempo indeterminato può essere
disposta soltanto al superamento dei limiti quantitativi previsti dalla
legge».
IL LAVORO ACCESSORIO
Tribunale di Ancona n. 505/2015 del 19/11/2015
«Con questo non si nasconde che l’istituto della prestazione
accessoria, per la sua generale applicabilità come prevista dagli
ultimi interventi legislativi, pone in crisi l’ordinaria disciplina del
lavoro dipendente apparendo difficilmente compatibile con il
sistema del diritto del lavoro, tuttavia, appare, altresì necessario, a
fronte del piano dato testuale della norma, come recepito anche dagli
organi amministrativi, tutelare il legittimo affidamento di
imprenditori e lavoratori che, in tutta libertà, decidono di farvi
ricorso, nei limiti previsti dalla legge».
IL LAVORO ACCESSORIO
Ministero del Lavoro, Circolare 18 gennaio 2013 n. 4:
“il superamento dei limiti quantitativi – e pertanto ‘qualificatori’ –
previsti potrà determinare una ‘trasformazione’ del rapporto in
quella che costituisce la ‘forma comune di rapporto di lavoro, ossia
in un rapporto di natura subordinata a tempo indeterminato, con
applicazione delle relative sanzioni civili ed amministrative”.
Nello stesso senso: Circolari INPS n. 49 del 2013 e n. 176 del 2013
IL LAVORO ACCESSORIO
Vademecum alla L. 92/2012- Lettera Circ Min Lav 7258 del
22/04/2013
“Se la prestazione lavorativa è contenuta entro tali limiti [n.d.r: e cioè nei
limiti di importo consentiti dalla norma], al personale ispettivo non è
consentito entrare nel merito delle modalità di svolgimento della
prestazione, perché ciò finirebbe per vanificare le finalità stesse
dell’istituto. In sostanza, se sono corretti i presupposti di instaurazione del
rapporto, il Legislatore presume che qualunque prestazione rientrante nei
limiti economici sopra descritti sia per definizione occasionale e
accessoria, anche se in azienda sono presenti lavoratori che svolgono la
medesima prestazione con un contratto di lavoro subordinato”.
Ed ancora:
«Nel caso di superamento del limite economico si potrà verificare se la
prestazione svolta sia riconducibile ad un rapporto di tipo autonomo o
subordinato, con eventuali conseguenze sul piano lavoristico e
contributivo».
IL LAVORO ACCESSORIO
E’ totalmente condivisibile la Sentenza Trib. Ancona
505/2015?
Sono totalmente condivisibili le citate disposizioni
amministrative?
Sembrerebbe che i limiti reddituali possano rappresentare
una vera e propria franchigia che non consente una diversa
qualificazione contrattuale del rapporto.
Se così fosse, che fine ha fatto il principio elaborato
dalla giurisprudenza costituzionale (Sent. 121/93 e
115/94) sull’indisponibilità del tipo contrattuale quando
si verifica una sottrazione di tutele ai danni del
lavoratore?
IL LAVORO ACCESSORIO
Le Sentenze di Corte Costit. 121/93 e 115/94 hanno sancito il
principio secondo il quale non è comunque consentito al
legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di
lavoro subordinato a rapporti che abbiano oggettivamente tale
natura, ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme
inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai
principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a
tutela del lavoro subordinato.
Conseguentemente la giurisprudenza di legittimità ha più volte
affermato che, ai fini della qualificazione di un rapporto come
autonomo o subordinato, il discrimine è dato
dall’accertamento della subordinazione (assoggettamento del
lavoratore al potere direttivo e disciplinare).
IL LAVORO ACCESSORIO
Alla luce di detti principi, di rilevanza costituzionale, si pone
una domanda:
Se una prestazione lavorativa viene svolta, nei limiti reddituali
del lavoro accessorio, in presenza però di tutti i requisiti della
subordinazione (pieno assoggettamento al potere direttivo-
gerarchico-disciplinare, il pieno inserimento nell’organizzazione
con vincoli di orario, di luogo della prestazione esclusivamente
personale e senza alcun rischio economico a carico del
prestatore di lavoro), la predetta prestazione deve essere
qualificata come lavoro accessorio, senza alcuna possibilità di
rivendicazione da parte del prestatore e conseguente intervento
giudiziario nella fattispecie per il solo fatto che l’imprenditore
ha scelto di utilizzare il sistema dei voucher??
IL LAVORO ACCESSORIO
Una risposta parziale alla domanda può essere in Sent.
Corte Costit. n. 76/2015 che segna una presa di distanza
dalle Sentenze n. 121/93 e n. 115/94 sulla indisponibilità
del tipo legale.
La Corte ridimensiona la valenza del principio ad
un’esigenza sostanzialmente antielusiva in quanto nel
nuovo sistema del diritto del lavoro (che contempla
molteplici rapporti flessibili, atipici o speciali), risulta
ormai imprescindibile contemperare la rigidità del tipo
legale esclusivo con esigenze derivanti dalle peculiarità di
alcuni settori e di alcune attività lavorative.
IL LAVORO ACCESSORIO
Il principio espresso dalla Corte Costit. nella Sent. 76/2015 è
che ai fini della legittimità di una disciplina speciale, in
qualche modo derogatoria rispetto a quella di carattere
generale che contraddistingue la subordinazione nella sua
tipicità, occorrerebbe prestare preminente attenzione alle
finalità perseguite dal legislatore, se cioè rispondono ad
esigenze meramente elusive della disciplina di tutela del lavoro
dipendente, ovvero se riflettono esigenze specifiche che
contraddistinguono tipicamente una determinata fattispecie
lavorativa (il che non esclude a priori che nella giurisprudenza
di merito e di legittimità di prossima formazione possa
giungersi, sulla scorta di tale principio, a conclusioni anche
diverse da quelle volute dal legislatore).