UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
TESI DI LAUREA IN DIRITTO EUROPEO DELL’IMMIGRAZIONE
IL PROCESSO EUROPEO DI ESTERNALIZZAZIONE DELLE RESPONSABILITÀ IN MATERIA DI ASILO:
IL CASO DELLA DICHIARAZIONE UE-‐TURCHIA DEL 18 MARZO 2016
Relatrice: Prof.ssa Alessandra Annoni
Correlatrici: Prof.ssa Cristiana Fioravanti Prof.ssa Serena Forlati
Laureanda: Martina Ramacciotti
Anno Accademico 2016-‐2017
3
Indice
ABBREVIAZIONI .......................................................................................................... 7
INTRODUZIONE ........................................................................................................ 9
1. Premessa ............................................................................................................ 9
2. Il diritto di asilo fra norme universali e dimensione regionale ..................... 11
CAPITOLO I
EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI ASILO
SEZIONE I: DAGLI ACCORDI DI SCHENGEN AL PRIMO PACCHETTO ASILO ........................................................................................................................... 15
1. Gli accordi di Schengen e il regolamento Dublino I ......................................... 16
2. Il Trattato di Maastricht ..................................................................................... 19
3. Il Trattato di Amsterdam ................................................................................... 20
4. Il vertice di Tampere .......................................................................................... 23
5. Il Trattato di Lisbona ......................................................................................... 25
SEZIONE II: LA SECONDA FASE TAMPERE. LA NORMATIVA VIGENTE .......... 30
1. Le direttive “qualifiche” e “accoglienza”. La protezione sussidiaria e la protezione temporanea ............................................................................... 31
2. La direttiva “procedure” ................................................................................. 36
3. Il regolamento “Dublino III” ........................................................................... 41
CAPITOLO II
LE RISPOSTE DELL’UE ALLA CRISI MIGRATORIA
SEZIONE I: L’INADEGUATEZZA DEL SECA E IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ ............................................................................................................ 47
1. Il fallimento delle misure improntate alla solidarietà interna. Il programma di ricollocazione ......................................................................... 49
Indice
4
2. Le misure di solidarietà esterna. Il programma di reinsediamento e l’ammissione umanitaria dalla Turchia ......................................................... 56
3. Prospettive di modifica del Sistema Europeo Comune di Asilo .................. 58
SEZIONE II: LA COOPERAZIONE CON I PAESI DI ORIGINE E DI TRANSITO .................................................................................................................. 66
1. Le spinte politiche verso il processo di esternalizzazione ........................... 66
2. Gli strumenti finanziari come risposta alla questione migratoria .............. 70
3. L’intensificazione degli sforzi in materia di rimpatrio e riammissione. La formula dei “compacts" .................................................................................. 74
4. La Dichiarazione UE-‐Turchia del 18 Marzo 2016 come modello di una nuova strategia europea ................................................................................. 76
5. Le tappe delle relazioni UE-‐Turchia e il contenuto della Dichiarazione ... 78
CAPITOLO III
LA NATURA DELLA DICHIARAZIONE DEL 18 MARZO 2016
1. Natura giuridica della Dichiarazione: mero impegno politico o trattato internazionale? ................................................................................................. 81
2. Le parti dell’accordo: Unione europea o singoli Stati membri? .................. 88
3. Validità formale della Dichiarazione sul piano del diritto internazionale . 99
CAPITOLO IV
IL CONTENUTO DELLA DICHIARAZIONE DEL 18 MARZO 2016
SEZIONE I: IL RIMPATRIO DI TUTTI I MIGRANTI IRREGOLARI ...................... 102
1. Il concetto di Paese sicuro ............................................................................. 102
2. Applicazione del concetto di Paese sicuro in ambito extra-‐UE ................. 106
3. Il concetto di Paese sicuro nel diritto UE ..................................................... 110
4. Il sistema di protezione internazionale offerto dalla Turchia ..................... 121
5. (segue) La Turchia come Paese sicuro ai sensi del diritto UE .................... 127
6. La legittimità delle misure di rimpatrio alla luce della Convenzione di Ginevra del 1951 .............................................................................................. 132
Indice
5
7. La legittimità delle misure di rimpatrio alla luce della Convenzione Europea dei Diritti Umani ............................................................................. 137
8. Le misure applicative adottate dalla Grecia ................................................. 140
SEZIONE II: IL MECCANISMO 1:1 ........................................................................... 145
Considerazioni conclusive ........................................................................................ 149
Bibliografia ................................................................................................................. 153
Indice dei siti web consultati .................................................................................... 167
ABBREVIAZIONI
CEDU Convenzione Europea dei Diritti Umani
CGSR Convenzione di Ginevra relativa allo Status dei Rifugiati
CGUE Corte di Giustizia dell’Unione Europea
CIG Corte Internazionale di Giustizia
Corte EDU Corte Europea dei Diritti Umani
LFIP Law on Foreigners and International Protection
NATO Organizzazione del Trattato Nord Atlantico
TFUE Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea
TPR Temporary Protection Regulation
TUE Trattato sull’Unione Europea
UNHCR Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
9
INTRODUZIONE
1. Premessa
Con l’emergere della cd. “crisi dei migranti” del 2014, gli Stati europei sono stati
costretti a confrontarsi con un vertiginoso aumento delle richieste di protezione
internazionale presentate da cittadini di Paesi terzi: tale circostanza ha reso
inevitabile una presa di posizione da parte dell’Unione Europea nel contesto delle
proprie politiche in materia di immigrazione e asilo – contesto, del resto,
caratterizzato da un travagliato processo di armonizzazione che ad oggi non
manca di incontrare considerevoli difficoltà. Di fronte ad uno scenario percepito
in termini emergenziali, le reazioni dell’Unione si sono concentrate
principalmente nell’obiettivo di realizzare il contenimento dei flussi migratori,
più che una politica di accoglienza “a porte aperte”. È in quest’ottica che si colloca
la Dichiarazione con la Turchia adottata il 18 Marzo 20161: tale documento delinea
tre principali linee di azione, rappresentate dalla cooperazione volta alla
prevenzione della migrazione irregolare, l’applicazione di misure di rimpatrio
latu sensu sanzionatorie nei confronti dei migranti irregolari, e l’apertura di
canali legali alternativi per l’ingresso in Europa. Mentre il primo obiettivo verrà
realizzato attraverso l’impegno da parte della Turchia a prevenire l’apertura di
nuove rotte marittime o terrestri di migrazione irregolare, con la cooperazione tra
l’agenzia Frontex e le forze NATO a supporto delle attività delle guardie costiere
di Grecia e Turchia2, il secondo e il terzo obiettivo contemplano, rispettivamente,
l’impegno della Turchia ad accettare il rimpatrio dalle isole greche dei migranti
“irregolari” (categoria in cui verranno compresi anche i richiedenti asilo) e
l’impegno da parte dell’UE di reinsediare cittadini siriani nel proprio territorio
secondo il “meccanismo 1:1”, ovvero prevedendo che per ogni siriano rimpatriato
1 Cfr. Dichiarazione UE-Turchia, 18 Marzo 2016, il cui testo è disponibile sul sito del Consiglio europeo: http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2016/03/18-eu-turkey-statement/, ultima consultazione 15.6.2017. 2 Cfr. le raccomandazioni dell’UNHCR al riguardo, UNHCR, 8 Marzo 2016, General legal considerations of relevance to NATO’S engagement with the refugee and migrant movements in the Aegean sea, http://www.refworld.org/docid/56f3eeee4.html, ultima consultazione 17.6.2017.
Introduzione
10
in Turchia dalle isole egee, un altro siriano sarà reinsediato dalla Turchia all’UE.
Per assicurare la collaborazione da parte della Turchia, l’Unione ha promesso
l’erogazione di un contributo finanziario di tre miliardi di euro (destinati ad
essere raddoppiati nel 2018) e l’accelerazione del processo di esenzione
dell’obbligo di visto per i cittadini turchi e del processo di adesione all’UE della
Turchia.
Scopo del presente elaborato è indagare da un lato la natura giuridica di tale
intesa e le modalità attraverso le quali è stata raggiunta, e dall’altro la
compatibilità dei suoi contenuti sostanziali alla luce delle norme rilevanti di
diritto internazionale e dell’Unione europea. Per cogliere la portata e le
implicazioni della Dichiarazione UE-‐Turchia è quindi necessario darvi adeguata
collocazione all’interno della cornice normativa internazionale. Un’analisi
esauriente richiede di prendere in considerazione il panorama giuridico su un
duplice piano normativo: quello universale – e in particolare la norma di diritto
internazionale generale che vieta il refoulement – e quello regionale, tanto in
materia di diritti umani (su tutti, gli obblighi derivanti dalla Convenzione
Europea dei Diritti Umani) quanto il diritto UE. L’approccio proposto prende in
considerazione l’esame della normativa europea in tema di protezione
internazionale, a partire da una sintesi delle tappe di evoluzione del diritto
primario, necessaria per comprendere lo spirito che ha portato il legislatore alla
costruzione dell’attuale Sistema comune europeo di asilo tramite gli strumenti di
diritto secondario. Per quanto riguarda la disciplina internazionale e quella in
materia di diritti umani si propone invece un approccio trasversale: analizzando il
contenuto della Dichiarazione si porrà, di volta in volta, la questione della sua
compatibilità con tali discipline, rinviando ad altre trattazioni per uno sguardo
più completo.
Introduzione
11
2. Il diritto di asilo fra norme universali e dimensione regionale
La dottrina internazionale3 ha definito il diritto di asilo come “la protezione
accordata da uno Stato all’interno della propria sfera territoriale (asilo
territoriale) o in altro luogo (asilo extra-‐territoriale) ad uno straniero che ne
faccia richiesta in quanto perseguitato per motivi politici”4. Definire i confini
dell’asilo e il suo contenuto giuridico non è però agevole: tale istituto trova
fondamento in una pluralità di regole (interne, europee e internazionali). Sul
piano del diritto internazionale, il diritto di asilo è stato anzitutto sancito dalla
Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948, e ha poi visto il proprio punto
di riferimento nella Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati del 1951
(CGSR) e nel relativo Protocollo addizionale5. Tali trattati, promossi
dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, hanno istituito un regime giuridico
protettivo in favore di soggetti indicati come “richiedenti asilo” o “asilanti”,
qualificabili come tali – ai sensi della stessa Convenzione – qualora ricorrano una
serie di circostanze: si tratta di coloro che si trovano fuori dal proprio Paese e non
possono farvi ritorno il timore di una persecuzione individuale determinata da
motivi di razza, nazionalità, religione, opinione politica o appartenenza ad un
determinato gruppo sociale6. Tale apparato normativo tutela in sostanza la libertà
3 Definizione elaborata dall’Institut de droit international nella sessione congressuale di Bath del 1950, cfr. Résolutions de l’Institut de droit international 1873-1956, Bâle, 1957, p. 58, traduzione a cura di RESCIGNO, Il diritto di asilo, Carocci, Roma, 2011. 4 Sulla distinzione tra asilo territoriale ed extra-‐territoriale (o diplomatico) cfr. GIULIANO, Asilo (diritto di), diritto internazionale, in Enciclopedia del diritto, vol. 3, Milano, 1958, p. 204; MIGLIAZZA, Asilo. Diritto internazionale, in Novissimo Digesto Italiano, vol. 1, n. 2, Utet, Torino, 1958, pag. 1039. 5 Il Protocollo di New York del 1967 ha rimosso le iniziali limitazioni previste dalla Convenzione di Ginevra del 1951, configurandone così la portata universale. 6 La nozione di rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951 è stata oggetto di un’interpretazione evolutiva (in forza dell’art. 33 par. 3 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, per cui l’interpretazione di un trattato può avvalersi degli elementi successivi della prassi degli Stati e di ogni altra regola internazionale rilevante) che ha permesso di ricondurvi, ad esempio, anche le ipotesi di coloro che fuggono da conflitti interni o da Stati “falliti” – qualora ricorra il fondato timore di persecuzione per una delle cause indicate dalla Convenzione del 1951. Non di meno, un altro fattore di interpretazione evolutiva è rappresentato dallo speciale legame della Convenzione con l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Cfr. SALERNO, L’obbligo internazionale di non-‐refoulement dei richiedenti asilo, Diritti umani e diritto internazionale, vol. 4, 2010, pag. 487-‐
Introduzione
12
del richiedente asilo di lasciare il proprio Stato di cittadinanza (o di abituale
residenza, se apolide), e di entrare – anche illegalmente – in un altro Stato, il
quale è obbligato offrirgli protezione. La Convenzione del 1951 si pone in una
posizione peculiare, in quanto presenta le caratteristiche di un “trattato-‐regime”,
ovvero di un trattato che dispone una disciplina “obiettiva” in qualche modo
rilevante anche per Stati terzi che non ne siano parte, derogando così al principio
di relatività dei trattati. Il suo impatto non è circoscritto al solo ordinamento
interno degli Stati che vi abbiano aderito, in quanto gli stessi sono tenuti a
cooperare per promuoverne “a universal and full implementation”7. Il carattere
centrale della Convenzione si fa ancora più marcato nel momento in cui va ad
intrecciarsi con un obbligo internazionale di natura consuetudinaria dal quale
discendono obblighi di natura solidale8, il cd. principio di non-‐refoulement, in
forza del quale “no contracting State shall expel or return (“refouler”) a refugee in
any manner whatsoever to the frontiers of territories where his life or freedom
would be threatened on account of his race, religion, nationality, membership of
a particular social group or political opinion”9. Secondo alcuni, tale principio
avrebbe inoltre valenza di norma imperativa di diritto internazionale generale
(jus cogens), tale per cui un trattato concluso in violazione della stessa sarebbe
affetto da invalidità assoluta, ai sensi dell’art. 53 della Convenzione di Vienna sul
diritto dei trattati10. La Convenzione del 1951 si pone in un rapporto di stretto
dialogo con molteplici discipline di portata regionale11, le quali, pur stabilendo
talora norme talora più protettive, fanno sempre salvo il “primato” universale
515. 7 UNHCR, EXCOM, Conclusion n. 85 (XLIX), 1998. 8 Cfr. SALERNO, L’obbligo internazionale di non-‐refoulement… cit. 9 Il principio di non-‐refoulement è riconosciuto all’art. 33, par. 1 della Convenzione del 1951, senza che gli Stati vi possano apporre riserve (art. 42, par. 1). Le uniche ipotesi in cui sia consentito derogare alla sua applicazione sono indicate al par. 2: “the benefit of the present provision may not, however, be claimed by a refugee whom there are reasonable grounds for regarding as a danger to the security of the Country in which he is, or who, having been convicted by a final judgment of a particularly serious crime, constitutes a danger to the community of that Country”. 10 Cfr. ALLAIN, The jus cogens nature of non-‐refoulement, International journal of refugee law, vol. 13, n. 4, 2001, pag 533-‐558. 11 Tra cui, ad esempio, la Dichiarazione di principi adottata a Bangkok nel 1966 dalla Asian African Legal Consultative Organization, la Convenzione dell’OUA sui rifugiati del 1969, la Dichiarazione di Cartagena del 1984 per i Paesi dell’America centrale, e l’acquis europeo in materia di asilo.
Introduzione
13
della Convenzione. In particolare, la disciplina dell’Unione Europea vi si richiama
espressamente all’art. 78, par. 1 TFUE, il quale, unitamente all’art. 67 par. 2 TFUE
e all’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea rappresenta la
base giuridica del diritto di asilo in ambito UE. Né il Trattato né la Carta
forniscono una definizione dei termini di “asilo” e di “rifugiato”, ma fanno
entrambi esplicitamente riferimento alla Convenzione di Ginevra del 1951 e al
Protocollo del 1968, ratificati da tutti gli Stati parte dell’UE; inoltre la stessa Corte
di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha definito la Convenzione come la
“pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione
dei rifugiati”12. Gli Stati membri hanno delineato una serie di regole comuni per
completare e, ove possibile, rafforzare il sistema ginevrino, attraverso una politica
dell’asilo che abbraccia non soltanto i soggetti beneficiari della Convenzione ma
anche ulteriori categorie di migranti forzati13. Come si vedrà, però,
l’atteggiamento dell’Unione Europea nei confronti di quanti richiedono
protezione sembra avere talvolta inclinazioni schizofreniche: se da un lato
l’intento è quello di offrire una tutela maggiore e più completa rispetto alla
Convenzione, dall’altro non mancano di farsi sentire tendenze volte a contenere il
più possibile il riconoscimento della protezione, al punto da indurre alcuni ad
accostare l’immagine dell’Unione a quella di un’impenetrabile “fortezza”.
12 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 2 Marzo 2010, cause riunite C-‐175/08, C-‐178/08 e C-‐179/08, Salahadin Abdulla, par. 52. 13 Il concetto di migrante forzato rappresenta un insieme più ampio, in cui la nozione di richiedente asilo si inscrive pur senza esaurirlo. In particolare, merita di essere almeno citata la problematica dei “migranti ambientali”, coloro cioè che lasciano il proprio Paese a seguito di catastrofi e cambiamenti climatici. La questione si è posta negli ultimi anni ed è al centro di un acceso dibattito a livello internazionale. Per approfondimenti cfr. MCADAM, Climate Change, Forced Migration, and International Law, Oxford University Press, New York, 2012.
CAPITOLO I
EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI ASILO
Sommario: SEZIONE I: Dagli accordi di Schengen al primo pacchetto asilo: 1. Gli accordi di Schengen e il regolamento “Dublino I”; -‐ 2. Il trattato di Maastricht; -‐ 3. Il trattato di Amsterdam; -‐ 4. Il vertice di Tampere; -‐ 5. Il trattato di Lisbona. SEZIONE II: La seconda fase Tampere. La normativa vigente: 1. Le direttive “qualifiche” e “accoglienza”. La protezione sussidiaria e la protezione temporanea; -‐ 2. La direttiva “procedure”; -‐ 3. Il regolamento “Dublino III”.
SEZIONE I: DAGLI ACCORDI DI SCHENGEN AL PRIMO PACCHETTO ASILO14
La cooperazione europea in materia di asilo ha inizio a partire dalla metà degli
anni ottanta15: in tale momento storico gli Stati europei devono fronteggiare un
ingente aumento dei flussi migratori (incentivato dall’evoluzione del sistema dei
trasporti e delle comunicazioni e dalla presenza di conflitti in varie zone del
mondo), che si caratterizzano come “flussi misti”, composti cioè di rifugiati cd.
“genuini” e di cd. “migranti economici”. La natura ambivalente dei movimenti
14 Per ulteriori approfondimenti, cfr. RESCIGNO, op. cit.; PIZZOLANTE, Diritto di asilo e nuove esigenze di protezione internazionale nell’Unione Europea, Cacucci, Bari, 2012, pag. 13 ss. 15 Mentre le disposizioni del Trattato di Roma del 1957 non prevedevano alcuna competenza in materia di asilo, tra i primi atti che testimoniano un interessamento alla tematica meritano di essere ricordati: la comunicazione sugli orientamenti per una politica comunitaria delle migrazioni, dove si sottolinea l’esigenza di una concertazione degli stati membri in materia (comunicazione della Commissione COM(85)48 del 7 Marzo 1958, e conseguente decisione del Consiglio del 16 Luglio 1958); il Libro Bianco della Commissione del 1985, nel quale viene delineato l’obiettivo di eliminare i controlli alle frontiere interne e si auspica il coordinamento delle politiche migratorie, dei visti e dell’asilo; l’Atto unico europeo del 1986, che introduce nel Trattato di Roma l’art. 8 lett. a) (che definisce la libera circolazione delle persone come uno dei quattro elementi costitutivi del mercato unico e viene trasferita tra le competenze comunitarie); le comunicazioni sull’immigrazione e sul diritto d’asilo che richiamano il principio basilare di parità di trattamento di tutti gli individui regolarmente residenti nella Comunità in relazione alle condizioni di vita e lavoro (Comunicazioni della Commissione SEC(91) 1855 e SEC(91) 1857 dell’11 Ottobre 1991).
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
16
migratori ha comportato la necessità di affrontare in un unico contesto
normativo tanto la disciplina in materia di diritto di asilo tanto quella in materia
di immigrazione: alla costruzione di uno spazio in cui i cittadini UE e i loro
familiari possono circolare liberamente si è gradualmente affiancata, su una sorta
di “piano parallelo”, la costruzione di un regime di ingresso dei cittadini di Stati
terzi improntato ad una logica di controllo degli arrivi: già con il Consiglio
Europeo di Londra del 1986 emerge infatti la volontà di dare priorità alla “lotta
contro l’abuso dell’istituto del diritto di asilo” rispetto alla “armonizzazione del
diritto di asilo formale e materiale a livello comunitario”16. I governi dei Paesi di
accoglienza scelsero di puntare su una politica comune del “non ingresso”,
piuttosto che sulla realizzazione di una politica europea che contemplasse un
regime comune di asilo, una politica cioè di respingimento alla frontiera e
espulsione dei richiedenti asilo “abusivi”, attraverso una determinazione molto
rigida dello Stato responsabile per l’esame della domanda di asilo e la previsione
di procedure abbreviate per l’accertamento prima facie della fondatezza delle
richieste. Inoltre, gli Stati membri si dimostrarono poco inclini a cedere la propria
sovranità alle istituzioni sovranazionali in materia di immigrazione. Queste
tendenze accompagneranno il percorso evolutivo del diritto di asilo nel panorama
europeo fino ai giorni nostri.
1. Gli accordi di Schengen e il regolamento “Dublino I”
Nel Luglio 1985, mossi dalla volontà di creare una frontiera esterna unica per la
Comunità e di abolire le frontiere interne di sopprimendo i controlli, Germania,
Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi firmarono l’accordo di Schengen, poi
ripreso e ampliato con la Convenzione di Schengen del 1990, nata come accordo
intergovernativo ma esplicitamente collegata alla Comunità Europea. Con
l’abolizione dei controlli alle frontiere interne è parallelamente emersa la 16 Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo sul diritto di asilo, SEC(91) 1857, 18 Ottobre 1991
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
17
necessità di intensificare i controlli alle frontiere esterne, ponendosi così
l’esigenza di creare una politica di stampo europeo in materia di immigrazione e
asilo. Il capitolo VII della Convenzione di Schengen è infatti dedicato
espressamente all’asilo, e stabilisce i criteri per la determinazione dello Stato
competente all’esame della domanda di asilo: la competenza viene radicata in
capo allo Stato che ha rilasciato un visto o un titolo di soggiorno, salva l’ipotesi in
cui, essendovi più Stati che rispondono a tali requisiti, divenga responsabile il
Paese che ha rilasciato il titolo di soggiorno con una durata maggiore (se il
richiedente asilo ha invece fatto ingresso illegalmente nel territorio dello Stato, è
dichiarato responsabile lo Stato in cui il richiedente ha fatto il suo primo
ingresso). Con tali criteri, indicati dall’art. 30 della Convenzione, si affaccia un
elemento che caratterizzerà in maniera cruciale il sistema d’asilo in Europa: non
esistendo un organo europeo a ciò deputato, le domande di asilo sono raccolte ed
esaminate dai singoli Stati membri. Tale assetto è accompagnato dalla creazione
del sistema SIS (Sistema Informatico Schengen), ideato per permettere agli Stati
di collaborare tra loro scambiandosi informazioni rilevanti per il controllo delle
frontiere. La Convenzione prevede inoltre agli artt. 37 e 38 che le parti si
scambino reciprocamente informazioni sia sulle normative, le statistiche e
l’andamento dei flussi dei richiedenti asilo, sia sui dati riguardanti l’identità, i
movimenti ed eventuali domande già presentate da singoli richiedenti. Tra gli
obiettivi del sistema Schengen (la cui rigidità gli regalerà l’epiteto di “fortezza
Schengen”) vi è quello di impedire la simultanea presentazione di domande
multiple, presentate in più Stati per aumentare le possibilità di ottenere lo status
di rifugiato; di contenere il fenomeno dei cd. “rifugiati in orbita” (richiedenti asilo
rinviati da uno Stato membro ad un altro senza che nessuno di questi Stati si
riconosca competente per l’esame della loro domanda); e di negare al richiedente
la possibilità di scegliere liberamente il Paese a cui chiedere protezione (evitando
il cd. “asylum shopping”).
Alla Convenzione di Schengen fa seguito la Convenzione di Dublino sulla
determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
18
presentata in uno degli Stati membri delle Comunità Europee, firmata il 15
Giugno 1990 entrata in vigore nel Settembre 1997 ai sensi del protocollo di Bonn17.
Il contenuto delle disposizioni in materia di asilo è essenzialmente lo stesso della
Convenzione di Schengen18: gli obiettivi rimangono i medesimi (evitare domande
multiple e “rifugiati in orbita”, prevenire l’asylum shopping). Si riconferma anche
la cd. one chance rule, la regola per cui ogni individuo ha diritto ad un’unica
possibilità di esame della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato,
riproponendo così anche l’assetto per cui tale responsabilità ricade sul Paese di
“primo ingresso”. Il sistema si caratterizza nondimeno per una generale
incertezza ed aleatorietà: tanto la Convenzione di Schengen quanto quella di
Dublino del 1990 lasciano invariate le procedure nazionali di ammissione nel
territorio dei singoli Stati membri nonché le rispettive legislazioni e procedure
concernenti l’esame delle domande (aumentando così il rischio di
discriminazioni, in quanto di fronte a situazioni uguali potrebbero conseguire
trattamenti differenti). Siffatta impostazione ha avuto la conseguenza di creare
un eccesso di richieste nei confronti degli Stati caratterizzati da da determinate
collocazioni geografiche e da una politica di asilo più indulgente rispetto ad altri.
Oltre all’individuazione del Paese competente ad esaminare la richiesta, l’acquis
Schengen/Dublino stabilisce inoltre delle regole circa l’extra-‐territorialità delle
decisioni dei singoli Stati in materia di asilo: l’esito negativo della domanda
comporta il rifiuto da parte degli altri Stati membri, rendendo così impossibile
presentare nuovamente la domanda, aumentando così inevitabilmente il rischio
di refoulement.
17 Cfr. Convenzione relativa alla determinazione dello Stato responsabile dell’esame delle domande di asilo presentate negli Stati membri delle Comunità Europee, Dublino, 15 Giugno 1990; Protocollo relativo alle conseguenze dell’entrata in vigore della Convenzione di Dublino al riguardo di determinate disposizioni della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, Bonn, 26 Aprile 1994. 18 In alcuni punti vi sono comunque delle differenze: al momento del respingimento del richiedente asilo la Convenzione di Schengen disponeva che l’allontanamento dovesse avvenire in conformità alle proprie disposizioni nazionali e in accordo con gli obblighi internazionali; mentre la Convenzione di Dublino si limita a richiamare la Convenzione di Ginevra e il Protocollo di New York, offrendo, di fatto, una minore tutela al richiedente.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
19
2. Il Trattato di Maastricht
Con il Trattato di Maastricht, firmato il 7 Febbraio 1991 ed entrato in vigore il 1
Novembre 1993, l’Unione Europea acquisisce la nota struttura a “tempio”,
caratterizzata da tre principali “pilastri”: la dimensione comunitaria, la
cooperazione in materia di politica estera e sicurezza comune (PESC) e la
cooperazione in materia di giustizia e affari interni (GAI). Le politiche
appartenenti al primo pilastro, regolato dalle disposizioni contenute nei trattati
istitutivi delle Comunità Europee, sono caratterizzate dal metodo comunitario, in
forza del quale il ruolo degli Stati membri è marginalizzato a favore delle
istituzioni; mentre le politiche rientranti nel secondo e terzo pilastro, disciplinate
ai titoli V e VI del Trattato sull’Unione Europea, sono improntate al metodo di
cooperazione intergovernativa.
È nell’ambito del terzo pilastro che rientra la politica di asilo, collocata al primo
posto della lista di “questioni di interesse comune”19 contenuta nell’art. K.120: gli
Stati membri sono quindi ancora pienamente sovrani nel regolare tali materie21. Il
19 Tra le altre questioni di interesse comune rientrano: le condizioni di entrata, circolazione, e soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi nel territorio degli Stati membri, compresi il ricongiungimento familiare e l’accesso all’occupazione; la lotta contro l’immigrazione, il soggiorno e il lavoro irregolari di cittadini di Paesi terzi nel territorio degli Stati membri; la lotta contro la tossicodipendenza e la frode su scala internazionale; la cooperazione giudiziaria in materia civile; la cooperazione giudiziaria in materia penale; la cooperazione doganale; la cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta contro il terrorismo, il traffico illecito di droga e altre forme gravi di criminalità internazionale. Va rilevato che l’art. K.1 non fornisce una definizione specifica di asilo, permettendo così di poter ricomprendere in essa un ampio numero di interventi, non necessariamente vincolati alla definizione di rifugiato. 20 L’art. K.2 stabilisce inoltre che la cooperazione deve avvenire “nel rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio 1951”, per la prima volta menzionate in un documento ufficiale del processo di integrazione europeo. 21 Va tuttavia segnalato che nel quadro del sistema comunitario è prevista la possibilità per il Consiglio di adottare all’unanimità strumenti di cooperazione come le “posizioni comuni” o le “azioni comuni”. A tale riguardo, è utile richiamare la risoluzione del 21 settembre 1995, con la quale il Parlamento Europeo sottolinea la necessità che gli atti adottati in materia di asilo “essendo stati sottratti ingiustificatamente al controllo parlamentare e giudiziario”, prima della loro adozione, siano ad esso sottoposti per consultazione. Inoltre, lo stesso Parlamento chiede al consiglio di presentare “almeno una volta l’anno una relazione scritta nel quadro dei preparativi per la discussione annuale sugli sviluppi dell’attuazione delle politiche di cui al terzo pilastro”. Cfr. PIZZOLANTE, Diritto di asilo e nuove esigenze di protezione internazionale nell’Unione Europea
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
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Trattato di Maastricht realizza però un’apertura verso la “comunitarizzazione”
grazie all’art. K9, una cd. passerelle clause, che prevede la possibilità per il
Consiglio di estendere ai settori contemplati dall’art K.1 l’applicazione dell’art.
100C22 del Trattato CE, consentendo quindi a siffatte politiche di passare
nell’ambito del primo pilastro, di competenza comunitaria23. E’ interessante
inoltre notare che, malgrado il Titolo VI del TUE sia in linea di principio sottratto
al controllo della Corte di giustizia, la Corte stessa si sia pronunciata24 in senso
contrario, affermando l’esistenza di un proprio potere di controllo sull’attività
svolta in seno al terzo pilastro, per quanto tale controllo sarebbe limitato
all’accertamento che gli atti adottati nel Titolo VI non violino le disposizioni
comunitarie.
3. Il Trattato di Amsterdam
Il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 Ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1°
Maggio 1999, costituisce il primo incisivo tassello verso il processo di
“comunitarizzazione”25 della materia dell’asilo e dell’immigrazione, che vengono
trasferite dal terzo al primo pilastro dell’Unione, passando così dalla competenza
intergovernativa a quella comunitaria26. Il nuovo Titolo IV, direttamente incluso
cit. 22 L’art 100C costituisce una novità nelle competenze comunitarie, cui riconduce la politica comune dei visti. Si prevede che il Consiglio deliberi all’unanimità, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento, quali siano i Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri. Tuttavia, nel caso in cui una situazione di emergenza insorta in un Paese terzo minacci un improvviso afflusso, il Consiglio può decidere senza consultare il Parlamento e a maggioranza qualificata, di imporre l’obbligo di visto per i cittadini provenienti dal Paese in questione per un periodo non superiore ai sei mesi. 23 G. STROZZI, R. MASTROIANNI, Diritto dell’Unione Europea, Giappichelli, Torino, 2013, pag. 11-‐14. 24 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 12 Maggio 1998, C-‐170/96, Commissione c. Consiglio dell’UE, ECLI:ECLI:EU:C:1998:219. 25 Per un approfondimento sulla comunitarizzazione della materia, cfr. NASCIMBENE, MAFROLLA, Recenti sviluppi della politica comunitaria in materia di immigrazione e asilo, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, vol.1, 2002, pag. 13-‐36. 26 Tra gli obiettivi che pone il Trattato, vi è infatti quello di “conservare e sviluppare l’Unione
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
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nel TCE, è infatti intitolato “Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse
con la libera circolazione delle persone”: le materie elencate dall’art. K.1 del
Trattato di Maastricht vengono trasferite al primo pilastro, eccezion fatta per la
cooperazione di polizia e la cooperazione in materia penale, che restano al terzo
pilastro del TUE, rimanendo quindi oggetto di accordi intergovernativi.
Per quel che concerne i meccanismi decisionali, a regolare tale passaggio è l’art.
67 TCE, che dispone un periodo transitorio della durata di cinque anni (dal 1999
al 2004), durante il quale le decisioni devono essere adottate all’unanimità del
Consiglio (configurando così una deroga al sistema decisionale comunitario,
basato normalmente sul meccanismo della maggioranza qualificata), su iniziativa
della Commissione e degli Stati membri27. Al termine della fase transitoria, il
potere di iniziativa diviene esclusivo della Commissione (gli Stati membri
possono, al più, inviare delle proposte alla Commissione affinché le sottoponga al
Consiglio), e il Consiglio può scegliere28 di assoggettare tutti o parte dei settori di
cui al Titolo IV alla procedura codecisionale ex art. 251 TCE, che contempla il voto
a maggioranza qualificata del Consiglio per l’adozione degli atti e un ruolo più
incisivo del Parlamento europeo29.
L’art. 63 TCE prende espressamente in considerazione l’asilo, indicando un elenco
di misure che devono essere adottate nel corso dei cinque anni dall’entrata in
vigore del Trattato di Amsterdam: in particolare, misure relative ai criteri per la
determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda di
asilo, norme minime relative all’accoglienza, alla qualifica di rifugiato e alle
quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima” 27 In tale fase il metodo di lavoro è ancora fortemente connesso a quello intergovernativo, poiché il potere di iniziativa è condiviso da Commissione e Stati membri, che possono presentare proposte sulle quali deve poi pronunciarsi il Consiglio previa consultazione del Parlamento Europeo. 28 Deliberando all’unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo. 29 Ai sensi dell’art. 67 par. 3 TCE, alla procedura di cui all’art. 251 TCE restano parzialmente escluse le misure sui regimi dei visti: è previsto il voto a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento con riguardo alla predisposizione dell’elenco dei Paesi per i quali è richiesto che i cittadini siano in possesso di un visto all’atto di attraversamento delle frontiere esterne dell’Unione, e per le norme sul modello uniforme dei visti.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
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procedure per la concessione o la revoca dello status30; ed è sempre l’art. 63 TCE
ad introdurre il criterio del burden sharing, volto alla promozione di un equilibrio
tra Stati membri per quel che riguarda gli oneri conseguenti all’accoglienza. Il
cammino verso un sistema europeo comune di asilo vede però il proprio
avversario principale nelle reticenze degli Stati membri a cedere la propria
sovranità in materia: a frenare tale percorso si pongono infatti da un lato l’art. 64
TCE, il quale dispone che il Titolo IV “non osta all’esercizio delle responsabilità
incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la
salvaguardia della sicurezza interna” (che si traduce sostanzialmente nella
possibilità di limitare gli ingressi); e dall’altro alcuni tra i Protocolli addizionali al
Trattato stesso: in primo luogo, il Protocollo n. 29 del 1997, riguardante le
domande di asilo presentate ad uno Stato membro da parte di un cittadino di un
altro Stato membro dell’Unione, ne sancisce l’infondatezza sulla base del
concetto di “Paese di origine sicuro” 31; in secondo luogo, rilevano i Protocolli che
definiscono la posizione di Regno Unito, Irlanda e Danimarca rispetto
all’acquisizione dell’acquis di Schengen32 nel quadro dell’Unione Europea. Se è
vero che siffatta integrazione non può che costituire un considerevole passo in
avanti, è anche vero che la portata di tali previsioni risulta fortemente
ridimensionata dalla differenziazione prevista per gli Stati in questione, che li
esclude dall’adozione delle misure riguardanti i settori compresi al Titolo IV.
Merita infine, nella medesima ottica, di essere sottolineata la previsione di cui
all’art. 68 TCE, in cui viene regolato il ruolo della Corte di giustizia dell’Unione
Europea rispetto alle questioni inerenti al Titolo IV: tale disposizione inserisce la
regola del previo esaurimento dei ricorsi interni, per cui non è possibile rivolgersi
alla CGUE senza che siano prima esaurite le vie di ricorso interne; e stabilisce
30 Viene per la prima volta considerato, all’art. 63, par. 2, lett. a) TCE, anche l’aspetto dell’asilo umanitario, lo strumento di protezione temporanea relativo ai richiedenti con caratteristiche che non rientrano nei requisiti della Convenzione di Ginevra, prevedendo anche in questo caso l’adozione di norme minime. 31 Per ulteriori approfondimenti circa le criticità relative a tale impostazione, cfr. RESCIGNO, Il diritto di asilo cit., pag. 122. 32 Costituito dalla Convenzione di Schengen, dalla Convenzione di Dublino e dalle decisioni del Comitato Esecutivo e degli organi da esso istituiti.
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l’incompetenza della Corte a pronunciarsi in merito alle misure relative al
controllo delle frontiere motivate dal mantenimento dell’ordine pubblico e dalla
salvaguardia della sicurezza interna.
4. Il vertice di Tampere
La tappa successiva nel processo di costruzione di un sistema comune di asilo è
rappresentata dal vertice di Tampere del 15 e 16 Ottobre 1999. L’obiettivo politico
di tale vertice è quello di dare attuazione alle disposizioni del Trattato di
Amsterdam concernenti uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in particolare
attraverso l’istituzione di un regime comune europeo in materia di asilo, che deve
basarsi “sull’applicazione della Convenzione di Ginevra in ogni sua componente,
garantendo in tal modo che nessuno venga esposto nuovamente alla
persecuzione, ossia mantenendo il principio di non-‐refoulement”33. Dal vertice di
Tampere emerge l’intenzione di voler procedere in due tappe: una prima fase, che
deve trovare attuazione nel breve periodo, dedicata alla realizzazione delle
quattro pietre miliari dell’asilo – la determinazione con chiarezza e praticità dello
Stato competente per l’esame delle domande, di norme comuni per la procedura
di concessione dell’asilo, di condizioni comuni minime per l’accoglienza dei
richiedenti asilo, e il ravvicinamento delle normative relative al riconoscimento e
agli elementi sostanziali dello status di rifugiato34 – e una seconda fase, da
esplicarsi nel lungo periodo, che pone come obiettivo l’instaurazione di una
procedura comune in materia di asilo e uno status uniforme valido in tutta
l’Unione per coloro che hanno ottenuto l’asilo35.
Nella prima fase sono quindi stati emanati, nel periodo 1999-‐2005, quattro
regolamenti36 e quattro direttive: il cd. regolamento “Dublino II”37 (e relativo
33 Cfr. conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 Ottobre 1999, par. 13. 34 Ivi, par. 14. 35 Ivi, par. 15. 36 Cui deve aggiungersi anche il regolamento (CE) 2007/2004 del Consiglio, del 26 Ottobre 2004,
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24
regolamento di attuazione38) e il cd. regolamento “Eurodac”39 (e relativo
regolamento di attuazione40), e le direttive “protezione temporanea41”,
“accoglienza42”, “qualifiche43” e “procedure44”.
Gli obiettivi di armonizzazione stabiliti a Tampere vengono confermati anche
nelle successive tappe del percorso comunitario, in particolare: il Programma
dell’Aja adottato dal Consiglio europeo nel Novembre 200445, da attuarsi nel
periodo 2004-‐2009; il Libro Verde sul futuro regime di asilo europeo in materia di
asilo del Giugno 200746; il Piano strategico sull’asilo presentato nel Giugno 2008
dalla Commissione47; il Patto europeo sull’immigrazione e asilo adottato dal
che istituisce un’Agenzia per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea (Frontex). 37 Cfr. regolamento (CE) 343/2003 del Consiglio, del 18 Febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo. 38 Cfr. regolamento (CE) 1560/2003 della Commissione, del 2 Settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo. 39 Cfr. regolamento (CE) 2725/2000 del Consiglio, dell’11 Dicembre 2000, che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della convenzione di Dublino. 40 Cfr. regolamento (CE) 407/2002 del Consiglio, del 28 Febbraio 2002, che definisce talune modalità di applicazione del regolamento (CE) 2725/2000 che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della convenzione di Dublino. 41 Cfr. direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 Luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi. 42 Cfr. direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 Gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. 43 Cfr. direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 Aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. 44 Cfr. direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° Dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. 45 Cfr. programma dell’Aja: rafforzamento delle libertà, della sicurezza e della giustizia nell’Unione Europea, adottato dal Consiglio europeo del 4 e 5 Novembre 2004. 46 Cfr. COM(2007)301, del 6 Giugno 2007, Libro verde sul futuro regime europeo in materia di asilo. 47 Cfr. COM(2008)360, del 17 Giugno 2008, Piano strategico sull’asilo: un approccio integrato in materia di protezione nell’ Unione Europea. In particolare, il Piano propone una strategia tripartita basata su una maggiore armonizzazione degli standard di protezione, su una cooperazione pratica effettiva e su maggiori responsabilità e solidarietà, sia fra Stati membri sia fra Unione e Stati membri.
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25
Consiglio europeo nell’Ottobre 200848.
I risultati prefissati a Tampere non sono però riusciti ad avere piena realizzazione:
si è passati dall’ambizioso obiettivo di “standard comuni” a un compromesso
costituito da “norme minime comuni”, che lascia ampia discrezionalità agli Stati
nella disciplina della materia, escludendo l’armonizzazione. La stessa
Commissione ha rilevato, nel Piano strategico sull’asilo, come “anche dopo una
certa armonizzazione legislativa a livello europeo, vari fattori, fra cui la mancanza
di prassi comuni, le differenti tradizioni e le diversità delle fonti di informazione
sui Paesi di origine, intervengono a determinare risultati divergenti. Ne
conseguono movimenti secondari e ciò è contrario al principio della parità di
accesso alla protezione in tutta L’UE”49, e il Consiglio europeo, nello stesso anno,
prendeva atto dell’esistenza di “forti divergenze tra gli Stati membri per quanto
riguarda la concessione della protezione e le forme di quest’ultima”50.
5. Il Trattato di Lisbona
Con il Trattato di Lisbona51, firmato il 13 Dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1°
Dicembre 200952, sono state apportate numerose modifiche ai Trattati vigenti, sia
per quel che concerne le competenze dell’Unione Europea, sia la composizione
delle sue istituzioni; il Trattato sulla Comunità Europea viene denominato
Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e, unitamente al Trattato
sull’Unione Europea (TUE), costituisce la base giuridica dell’Unione. Con il
48 Cfr. Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, adottato dal Consiglio europeo del 15 e 16 Ottobre 2008. 49 Cfr. COM(2008) 360 cit., pag. 3. 50 Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo cit. 51 Per approfondimenti, cfr. FAVILLI, Il Trattato di Lisbona e la politica dell’Unione Europea in materia di visti, asilo e immigrazione, Diritto, immigrazione e cittadinanza, vol. 2, 2010, pag. 13-‐35; NASCIMBENE, Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia a due anni dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ivi, vol. 4, 2011, pag. 13-‐26. 52 Il Trattato di Lisbona nasce – riprendendone in parte i contenuti – dal fallimento del progetto di adozione di una Costituzione Europea, che avrebbe dovuto trovare fondamento nel Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa firmato il 29 Ottobre 2004, mai entrato in vigore a causa del rifiuto da parte di Francia e Paesi Bassi a seguito delle rispettive consultazioni popolari.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
26
Trattato di Lisbona viene meno la struttura a tre pilastri creata con il trattato di
Maastricht: la competenza in materia di visti, asilo e immigrazione viene
trasferita interamente nell’ambito del TFUE, e in particolare nel Titolo V,
denominato “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (artt. 67-‐89 TFUE). Sulla
scorta delle difficoltà riscontrate nel sistema previgente, viene introdotta la
previsione di cui all’art. 67 par. 2 TFUE, per il quale l’Unione sviluppa una
“politica comune” in materia di frontiere, visti e immigrazione. Tale disposizione
permette l’adozione di qualunque tipologia di atto legislativo, e in particolare dei
regolamenti, strumenti che consentono la massima armonizzazione e si
caratterizzano per essere direttamente applicabili. La politica comune, inoltre, è
fondata sul principio di solidarietà tra Stati membri e deve – blandamente –
essere “equa”53 nei confronti dei cittadini dei Paesi terzi. Così come previsto dal
Trattato di Amsterdam, anche in questo caso le deroghe prese in considerazione
sono rappresentate dai concetti di “ordine pubblico” e “sicurezza interna” (ai
sensi dell’art. 72 TFUE, in forza del quale “Il presente titolo non osta all'esercizio
delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine
pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna”)54.
Nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia l’art. 68 TFUE attribuisce
al Consiglio55 la competenza a definire gli orientamenti politici generali sulla base
di una programmazione quinquennale56; mentre il potere di iniziativa legislativa è
53 La previsione dell’obiettivo dell’equità va a sostituire quello, previgente, della tendenziale parità di trattamento tra cittadini comunitari e cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti nel territorio dell’Unione. 54 È necessario però tenere presente che ordine pubblico e sicurezza interna sono nozioni che devono essere interpretate conformemente agli orientamenti della Corte di giustizia dell’Unione Europea, in quanto nozioni di diritto dell’Unione. 55 È stato osservato che tale disposizione, valorizzando il ruolo del Consiglio europeo, comporterebbe da un lato un indebolimento della Commissione nella composizione dei diversi orientamenti nazionali e, dall’altro lato, il rischio che vengano pregiudicati gli interessi degli Stai membri che esprimano posizione minoritaria. Cfr. ADINOLFI, La “politica comune dell’immigrazione” a cinque anni dal trattato di Lisbona: linee di sviluppo e questioni aperte, AMADEO, SPITALIERI (a cura di), Le garanzie fondamentali dell’immigrato in Europa, Giappichelli, Torino, 2015, pag. 26. 56 La programmazione quinquennale si è articolata nei programmi di Tampere (1999-‐2004), dell’Aja (2004-‐2009) e di Stoccolma (2009-‐2013), anteriori al Trattato di Lisbona. Per approfondimenti circa il programma di Stoccolma, cfr. MORGESE, Gli sviluppi della politica dell’Unione Europea in materia di asilo in base al Programma di Stoccolma, Gli Stranieri, vol. 1, 2011,
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
27
di competenza esclusiva della Commissione (non però per le materie della
cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, dove il potere di iniziativa
è attribuito anche a un quarto degli Stati membri). Per l’adozione di tali atti è
prevista la procedura legislativa ordinaria di cui agli articoli 289 e 284 TFUE,
corrispondente sostanzialmente alla codecisione dell’ex art. 251 TCE57. Va
sottolineato che la competenza dell’Unione in questa materia ha natura
concorrente, per cui la titolarità della materia è sia degli Stati membri sia
dell’Unione: gli Stati membri possono legiferare soltanto finché l’Unione non
abbia esercitato la competenza o abbia deciso di cessare una competenza già
avviata, il tutto nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità,
contemplati dal Protocollo n. 2 allegato ai Trattati.
Anche in questo caso, è prevista una posizione differenziata per Regno Unito,
Irlanda e Danimarca: mentre le prime due, in forza del Protocollo n. 21 sulla
posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sono
escluse dall’applicazione di tutte le norme di cui al Titolo V; la terza, sulla base
del Protocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca, può invece partecipare alle
misure dirette a sviluppare l’acquis di Schengen, alle misure che determinano
quali siano i Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto all’atto
dell’attraversamento delle frontiere esterne e a quelle relative all’instaurazione di
un modello uniforme per i visti58.
Per quel che concerne le disposizioni specificamente dedicate al diritto di asilo,
rileva in questa sede l’art. 78 TFUE, il quale al par. 1 dispone che “L’Unione
sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di
protezione temporanea, volta ad offrire uno status appropriato a qualsiasi
pag. 155-‐166. 57 La procedura ordinaria, definita nel dettaglio all’art. 294 TFUE, consiste nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo (che ha quindi un ruolo di codecisore) e del Consiglio, su proposta della Commissione. Va segnalato che tale procedura era già in buona parte vigente in materia di visti, asilo e immigrazione grazie al combinato disposto dell’art. 67 TCE e della decisione 2004/927/CE (cfr. decisione 2004/297/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2004, che assoggetta taluni settori contemplati dal titolo IV, parte terza del Trattato che istituisce la Comunità Europea alla procedura di cui all’articolo 251 di detto trattato). 58 Cfr. artt. 4 e 6 Protocollo n. 22.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
28
cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale e a
garantire il principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme
alla Convenzione di Ginevra del 28 Luglio 1951 e al Protocollo del 31 Gennaio 1967
relativi allo status dei rifugiati, e agli altri trattati pertinenti”. A tali fini, dispone il
par. 2, il Parlamento e il Consiglio adottano le misure relative a un sistema
europeo comune di asilo, qualificando per la prima volta l’asilo come asilo
europeo.
L’art 78 par. 3 TFUE stabilisce invece che qualora uno o più Stati membri
debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso
improvviso di cittadini di Paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione,
può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati
membri interessati. La novità introdotta dal Trattato di Lisbona consiste nella
previsione della consultazione del Parlamento e nell’abolizione della previsione
per cui le misure adottate sulla base di questi presupposti non debbano avere una
durata superiore ai sei mesi.
Secondo quanto disposto dall’art. 80 TFUE, alla base delle politiche dell’Unione
relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione59 stanno i principi di
solidarietà ed equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul
piano finanziario – in tal modo, il TFUE recepisce il principio di burden sharing
già enunciato dall’art. 63 TCE.
Tra le innovazioni conseguenti al Trattato di Lisbona, merita di essere citato l’art.
6 TUE, in forza del quale la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
(proclamata una prima volta il 7 Dicembre 2000 a Nizza, e una seconda volta, in
versione adattata, il 12 Dicembre 2007 a Strasburgo) acquisisce lo stesso valore
giuridico dei Trattati. In particolare, l’art. 18 della Carta stabilisce che “Il diritto di
asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra
del 28 Luglio 1951 e del Protocollo del 31 Gennaio 1967, relativi allo status dei
rifugiati, e a norma del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea, mentre l’art. 19 afferma il divieto di
59 Regolate nell’ambito del Titolo V, Capo 2, artt. 77-‐80 TFUE.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
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espulsioni collettive e il principio di non-‐refoulement, in forza del quale “nessuno
può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio
serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o
trattamenti inumani o degradanti”60.
Per quanto riguarda infine la Corte di giustizia dell’Unione Europea, il Trattato di
Lisbona ha consentito di ampliarne la competenza, in particolare per quanto
riguarda il rinvio pregiudiziale: in materia di visti, asilo e immigrazione infatti la
Corte è ora competente a conoscere dei ricorsi in via pregiudiziale presentati da
qualsiasi giurisdizione, sia di seconda sia di ultima istanza, in base ai presupposti
ex art. 267 TFUE.
60 Secondo quanto affermato nelle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, GUUE C 303, 14 Dicembre 2007, pag. 17 ss., “il paragrafo 2 incorpora la pertinente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani relativa all’articolo 3 della CEDU (cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, 17 Dicembre 1996, 25964/94, Ahmed c. Austria; Corte Europea dei Diritti Umani, 7 Luglio 1989, 14038/88, Soering c. Regno Unito).
SEZIONE II: LA SECONDA FASE TAMPERE. LA NORMATIVA VIGENTE
L’obiettivo della seconda tappa prospettata al vertice di Tampere è quello di
pervenire alla realizzazione di un’armonizzazione vera e propria, attraverso la
creazione di uno status uniforme valido in tutta l’Unione e di un insieme di
regole procedurali più puntuali, che lascino minori margini di discrezionalità. Per
raggiungere tale traguardo la Commissione ha elaborato, nell’arco temporale
2005-‐2013, una serie di strumenti che compongono il nuovo “pacchetto asilo”,
impiegando come base giuridica l’articolo 78, par. 1, del TFUE61. I nuovi atti si
presentano come atti di rifusione, che vanno cioè ad integrare in un unico testo le
modificazioni sostanziali rispetto all’atto precedente e le disposizioni rimaste
invece immutate62. Si hanno così una nuova direttiva “qualifiche”63,
“accoglienza”64 e “procedure”65, nonché il nuovo regolamento “Dublino III”66. Alla
“seconda fase Tampere” si accosta inoltre la creazione dell’Ufficio europeo di
sostegno per l’asilo (EASO)67, il cui scopo è quello di sostenere la cooperazione
tra Stati membri in materia di asilo, sostenere i Paesi europei sottoposti a
particolare pressione migratoria e migliorare l’attuazione del sistema europeo
comune di asilo (SECA).
61 Sebbene le rispettive proposte, presentate tra Dicembre 2008 e Ottobre 2009, trovassero la loro base giuridica nel “vecchio” art. 67 TCE. 62 Per ulteriori approfondimenti riguardo alla riforma del pacchetto asilo e al suo recepimento da parte dell’Italia, vedi MORGESE, La riforma del sistema europeo comune di asilo e i suoi principali riflessi nell’ordinamento italiano, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, vol. 4, 2013, pag. 15-‐35. 63 Direttiva 2011/95/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 13 Dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta. 64 Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 Giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. 65 Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 Giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale. 66 Regolamento 604/2013 del Parlamento europeo e del consiglio, del 26 Giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide. 67 Istituito con regolamento 439/2010/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 Maggio 2010.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
31
1. Le direttive “qualifiche” e “accoglienza”. La protezione sussidiaria e la
protezione temporanea
Come già osservato, la disciplina europea in materia di protezione internazionale
si pone in rapporto di costante dialogo con la Convenzione di Ginevra del 1951.
Per quel che riguarda le norme volte a delineare il contenuto degli status dal
punto di vista sostanziale, è opportuno distinguere tra le disposizioni volte ad
approfondire la Convenzione e le norme atte a configurare regimi di protezione
ad essa complementare68: al primo gruppo appartengono alcune norme della
direttiva qualifiche e la direttiva accoglienza, mentre il secondo abbraccia gli
istituti della protezione temporanea (disciplinata dalla direttiva 2001/55)69 e della
protezione sussidiaria (disciplinata all’interno della direttiva qualifiche, ai capi V
e VI).
Per quanto riguarda le disposizioni della direttiva qualifiche che approfondiscono
la Convenzione di Ginevra, esse superano alcune questioni interpretative in
ordine agli elementi che compongono la definizione di rifugiato contenuta in tale
Convenzione70: nozioni quali “atti di persecuzione”71, “fondato timore”72, “agente
di persecuzione”73, “motivi di persecuzione”74 vengono specificate in un’ottica
evolutiva e di armonizzazione, e vengono regolati aspetti tralasciati dalla
Convenzione, come il rilascio di un permesso di soggiorno (valido per un periodo
di almeno tre anni e rinnovabile)75, il diritto all’unità familiare76 e la situazione
68 Impostazione proposta da DI FILIPPO, La circolazione dello straniero nel diritto dell’Unione Europea: una geometria variabile dei diritti e delle garanzie, Immigrazione, diritto e diritti: profili internazionalistici ed europei, (a cura di) CALAMIA, DI FILIPPO e GESTRI, Cedam, 2012, pag. 242-‐259. 69 Direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 Luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi. 70 Cfr. art. 2 lett. d) direttiva 2011/95. 71 Cfr. art. 9 direttiva 2011/95. 72 Cfr. artt. 4-‐5 direttiva 2011/95. 73 Cfr. art. 6 direttiva 2011/95. 74 Cfr. art. 10 direttiva 2011/95. 75 Cfr. art. 24 direttiva 2011/95. 76 Cfr. art. 23 direttiva 2011/95.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
32
dei minori non accompagnati77. La direttiva realizza anche un miglioramento
della posizione del rifugiato equiparandola a quella dei cittadini dello Stato
membro ospite, in particolare per quel che riguarda l’accesso all’occupazione78 e
all’istruzione79, il riconoscimento delle qualifiche80, l’accesso all’assistenza
sociale81, e all’assistenza sanitaria82. Gli Stati hanno inoltre l’obbligo di garantire a
tutti i beneficiari informazioni su diritti e obblighi previsti dallo status di
protezione83 e di garantire il diritto di circolazione sul territorio nazionale84. Sono
poi previste disposizioni in tema di accesso all’alloggio85 e agli strumenti di
integrazione86, e in tema di assistenza in caso di rimpatrio volontario87. Tra le
novità apportate dal testo del 2011, è poi degna di nota la previsione dell’obbligo
di prendere in considerazione il sesso del richiedente ai fini della sua
appartenenza ad un determinato gruppo sociale88. Inoltre, anche qualora un
rifugiato venga privato del titolo di soggiorno, egli ha comunque diritto a
conservare i vantaggi riconosciuti dalla direttiva qualifiche (primo tra tutti, il
diritto al non respingimento), come sottolineato dalla Corte di Giustizia nel caso
H.T.89.
77 Cfr. art. 31 direttiva 2011/95. 78 Cfr. art. 26 direttiva 2011/95. 79 Cfr. art. 27 direttiva 2011/95. 80 Cfr. art. 28 direttiva 2011/95. 81 Cfr. art. 29 direttiva 2011/95. 82 Cfr. art. 30 direttiva 2011/95. 83 Cfr. art. 22 direttiva 2011/95. 84 Cfr. art. 33 direttiva 2011/95. 85 Cfr. art. 32 direttiva 2011/95. 86 Cfr. art. 34 direttiva 2011/95. 87 Cfr. art. 35 direttiva 2011/95. 88 Cfr. art. 10 par.1 lett. d) direttiva 2011/95. 89 In tale occasione, la CGUE ha osservato che “anche se privo del permesso di soggiorno, l’interessato resta un rifugiato e conserva a tale titolo il diritto alle prestazioni che il capo VII [della direttiva qualifiche] garantisce a qualsiasi rifugiato, in particolare il diritto alla protezione contro il respingimento, al mantenimento dell’unità familiare, al rilascio di documenti di viaggio, all’accesso all’occupazione e all’istruzione, all’assistenza sociale, all’assistenza sanitaria e all’alloggio, alla libertà di circolazione all’interno dello Stato membro e all’accesso agli strumenti di integrazione. In altri termini, uno Stato membro non dispone di alcun potere discrezionale per continuare a concedere a tale rifugiato le prestazioni concrete garantite dalla […] direttiva [qualifiche] o per rifiutargliele”. Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 24 Giugno 2015, C-‐373/13, H.T., EU:C:2014:413, par. 95. Per approfondimenti sulle recenti pronunce della CGUE in tema di qualifiche, e più in generale di immigrazione cfr. MENGOZZI, L’immigrazione e la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Il diritto dell’Unione Europea, vol. 3,
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
33
La Convenzione di Ginevra è inoltre integrata dalle disposizioni contenute nella
direttiva accoglienza, che stabilisce una serie di norme in merito al trattamento
dei richiedenti asilo durante il procedimento atto a verificare il possesso dei
relativi requisiti90. È fatto obbligo agli Stati di garantire ai richiedenti e ai loro
familiari91 informazioni relative ai benefici e agli obblighi loro spettanti92 e di
rilasciare la documentazione attestante il loro status o che autorizzi il soggiorno
in pendenza della domanda93. Anche in questo caso sono previste disposizioni
circa il diritto di circolazione sul territorio dello Stato94, il rispetto dell’unità del
nucleo familiare95, il diritto di accesso all’istruzione96 e di accesso al mercato del
lavoro97, alla formazione professionale98 e all’assistenza sanitaria99. Si hanno poi
norme specifiche in merito alle condizioni materiali di accoglienza100, circa la
tutela delle persone vulnerabili101 e in tema di assistenza e rappresentanza
legali102. Il nuovo testo del 2011 riformula inoltre la disciplina del trattenimento
dei richiedenti103, affermando il principio in forza del quale un soggetto non può
essere trattenuto per il solo fatto di aver presentato richiesta di protezione104.
2016, pag. 587-‐604. 90 Tale aspetto non è preso in considerazione dalla Convenzione (se non all’art. 31 par. 2, con una disposizione assai poco favorevole al richiedente asilo), creando una significativa lacuna, stante la possibilità che il procedimento di accertamento dei requisiti abbia durata considerevole, specialmente in caso di ricorso in sede amministrativa o giurisdizionale. 91 Nella nozione di familiari sono ricompresi il coniuge, il partner non legato da vincoli di matrimonio e i figli non coniugati. La direttiva del 2013 ha esteso il novero anche al padre, alla madre e a qualunque altro adulto responsabile del richiedente (qualora si tratti di minore e non coniugato). 92 Cfr. art. 5 direttiva 2013/33. Tali informazioni devono essere fornite entro quindici giorni dalla data di presentazione domanda. 93 Cfr. art. 6 direttiva 2013/33. La documentazione in questione deve essere rilasciata entro tre giorni dalla data di presentazione della domanda. 94Cfr. art. 7 direttiva 2013/33. Viene fatta salva la possibilità per gli Stati di stabilire un luogo di residenza per motivi di pubblico interesse, ordine pubblico, o, dove necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda. 95 Cfr. art. 12 direttiva 2913/33. 96 Cfr. art. 14 direttiva 2013/33. 97 Cfr. art. 15 direttiva 2013/33. 98 Cfr. art. 16 direttiva 2013/33. 99 Cfr. art. 19 direttiva 2013/33. 100 Cfr. artt. 17 e 18 direttiva 2013/33. 101 Cfr. artt. 21-‐25 direttiva 2013/33. 102 Cfr. art. 26 direttiva 2013/33. 103 Cfr. artt. 8-‐11 direttiva 2013/33. 104 Il trattenimento può essere disposto solo ove necessario, in mancanza di misure alternative
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
34
Le lacune della Convenzione di Ginevra sono state poi affrontate dall’Unione
Europea delineando due schemi di accoglienza e protezione ulteriori rispetto a
quello proprio dei rifugiati: la protezione sussidiaria e la protezione temporanea.
Queste tipologie di protezione rappresentano la vera innovazione della disciplina
europea, poiché interessano tipologie di soggetti non suscettibili di ricadere nella
nozione di rifugiato ai sensi della Convenzione.
Per quanto riguarda la protezione sussidiaria, coloro che possono ottenere tale
status sono individuati “in negativo”, sulla base del combinato disposto dell’art. 2
par. 1 lett. f) e dell’art. 15: ha titolo a beneficiare di tale protezione il cittadino di
Paese terzo (o apolide) che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come
rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi per ritenere che, se
ritornasse nel Paese di origine (o, se apolide, nel Paese in cui aveva la dimora
abituale), correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, e il quale non
può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese.
Il “grave danno” in questione è definito dall’art. 15, in forza del quale sono
considerati danni gravi: i) la condanna o l’esecuzione della pena di morte; ii) la
tortura o altra forma di pena o trattamento inumato o degradante; iii) la minaccia
grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza
indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Con la
direttiva qualifiche del 2011 si è realizzato un ravvicinamento degli istituti del
rifugio e della protezione sussidiaria, il cui contenuto, pur mantenendo delle
differenze, tende ora a sovrapporsi: lo status è praticamente identico per
entrambe le categorie di soggetti. Rimane in piedi un regime differenziato
soltanto in tema di rilascio dei permessi di soggiorno, che per i beneficiari della
altrettanto efficaci, in base ad un esame individuale e solo per determinati motivi, e è fatto obbligo per gli Stati hanno l’obbligo di prevedere disposizioni alternative al trattenimento. La direttiva si occupa inoltre di specificare le garanzie minime per i trattenuti, le condizioni del trattenimento e una serie di disposizioni per le persone vulnerabili e/o con esigenze di accoglienza particolari. Inoltre, l’art. 8 della direttiva 2013/32 prevede l’obbligo di garantire informazioni circa la possibilità di richiedere protezione a coloro che sono trattenuti o che si trovino ai valichi di frontiera, (ma solo qualora vi siano “indicazioni” che tali cittadini desiderino presentare la domanda), nonché di garantire a organizzazioni o persone che prestano consulenza in materia di asilo l’accesso in tali luoghi.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
35
protezione sussidiaria deve avere durata non inferiore ad un anno105, e per quanto
riguarda l’accesso all’assistenza sociale, che lo Stato ospite può limitare alle sole
prestazioni essenziali106. La sovrapposizione tra i due istituti è confermata anche
dalla direttiva accoglienza, le cui disposizioni si applicano infatti anche al titolare
di protezione sussidiaria107. Tanto nella nuova direttiva qualifiche quanto nella
nuova direttiva accoglienza (e, come si vedrà più avanti, anche nella nuova
direttiva procedure), non si parla più di “norme minime”, proprio alla luce degli
obiettivi di ravvicinamento e armonizzazione posti a Tampere. Per quanto si sia
realizzato un innalzamento qualitativo della tutela e un ravvicinamento delle
normative nazionali, però, l’effettiva realizzazione di tale risultato sembra ancora
lontana, soprattutto alla luce delle disposizioni che consentono agli Stati parte di
introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli108.
Quanto alla protezione temporanea, tale istituto trova la sua disciplina nella
direttiva 2001/55, e prende in considerazione le situazioni di afflusso massiccio di
sfollati alle frontiere di uno o più Stati membri. Per “sfollati” si intendono quei
cittadini di Paesi terzi o apolidi che hanno dovuto abbandonare il loro Paese o
regione d’origine o che sono stati evacuati, ed il cui rimpatrio in condizioni sicure
e stabili risulta impossibile a causa della situazione nel Paese stesso. In
particolare: i) le persone fuggite da zone di conflitto armato o di violenza
endemica; ii) le persone che siano soggette a rischio grave di violazioni
sistematiche o generalizzate dei diritti umani o siano state vittime di siffatte
violazioni109. La nozione di “afflusso massiccio” viene invece indicata come l'arrivo
nella Comunità di un numero considerevole di sfollati, provenienti da un Paese
determinato o da una zona geografica determinata, indipendentemente dal fatto
che il loro arrivo abbia carattere spontaneo o sia stato agevolato, ad esempio
mediante un programma di evacuazione110. Tale istituto ha destato alcune
105 Cfr. art. 24 par. 2 direttiva 2011/95. 106 Cfr. art. 29 par. 2 direttiva 2011/95. 107 Cfr. considerando n. 13 direttiva 2013/32. 108 Cfr. art. 3 direttiva 2011/95 e art. 4 direttiva 2013/33. 109 Cfr. art. 2 par. 2 lett. c) direttiva 2001/55. 110 Cfr. art. 2 par. 1 lett. d) direttiva 2001/55
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
36
perplessità111 per il suo carattere discrezionale, poiché si presenta come uno
strumento che non opera in via continuativa, ma la cui applicazione in una
specifica situazione è subordinata ad una decisione del Consiglio adottata a
maggioranza qualificata su proposta della Commissione, ed è sempre il Consiglio
a dover decidere come ripartire gli oneri di accoglienza degli sfollati, in base alle
disponibilità indicate dagli Stati membri. Ad ogni modo, si tratta di uno
strumento che ad oggi non ha mai avuto applicazione concreta.
2. La direttiva “procedure”
La direttiva procedure si occupa di disciplinare le procedure relative al
riconoscimento e alla revoca dello status di protezione internazionale. Le
deroghe facoltative contenute nella versione del 2005 hanno portato alla
creazione di regimi sensibilmente divergenti tra gli Stati membri112, che il nuovo
testo si propone di uniformare113. In particolare, le previsioni vengono estese a
tutte le domande di protezione114 presentate nel territorio degli Stati115, nonché
alla revoca della protezione116. Le decisioni sulle domande sono assunte da
apposite autorità che gli Stati hanno l’obbligo di individuare117, e la domanda deve
111 Cfr. DI FILIPPO, Immigrazione, diritto e diritti cit. 112 Cfr. la relazione della Commissione sull’applicazione della direttiva 2005/85, COM(2010)465, dell’8 Settembre 2010. 113 Cfr. considerando n. 11 direttiva 2013/32. 114 Non più soltanto a quelle di rifugio, come previsto nella direttiva 2005/85, che lasciava però la facoltà di estensione anche alle domande di protezione sussidiaria. Tutti gli Stati eccetto l’Irlanda avevano istituito infatti un’unica procedura per entrambi gli status. Anche la direttiva 2013/32/UE prevede comunque la possibilità di applicare le stesse disposizioni ai procedimenti di esame di domande intese a ottenere qualsiasi forma di protezione che esula dall’ambito di applicazione della direttiva 2011/95/UE 115 Comprese quelle alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito, mentre sono escluse le domande di asilo diplomatico o territoriale presentate presso le rappresentanze degli Stati membri. Sui risvolti critici di tale impostazione, vedi DI FILIPPO, Immigrazione, diritto e diritti, cit. pag. 256-‐258 116 Cfr. art. 3 direttiva 2013/32. 117 Cfr. art. 4 direttiva 2013/32. Gli Stati hanno l’obbligo di garantire che la formazione di tali autorità sia pari a quella dei funzionari dell’EASO. In Italia tali autorità sono autorità amministrative, le Commissioni territoriali, composte da quattro membri (di cui due appartenenti al ministero dell’Interno, un rappresentante del sistema delle autonomie e un rappresentante
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
37
essere registrata entro tre giorni lavorativi dalla presentazione118. Gli Stati possono
esigere che la domanda sia introdotta personalmente e/o in un luogo designato, e
possono considerare presentata la domanda tramite formulario119, e vi sono
disposizioni particolari per quanto riguarda le domande presentate per conto di
persone a carico o minori120. I richiedenti hanno il diritto di rimanere nello Stato
durante l’esame della domanda e fino all’adozione della decisione121, che deve
essere comunicata necessariamente per iscritto, e in caso di diniego deve essere
corredata da motivazioni di fatto e di diritto e dall’indicazione dei mezzi di
impugnazione122. Le domande non possono essere respinte o non esaminate solo
in base alla loro tardiva presentazione, ma è necessario accertare in primo luogo
la sussistenza dei requisiti del rifugio e, in caso di esito negativo, quelli della
protezione sussidiaria, e l’esame deve essere condotto in modo individuale,
obiettivo ed imparziale123. In capo ai richiedenti è riconosciuta una serie di
garanzie124 e di obblighi125, dei quali devono essere informati in una lingua ad essi
comprensibile, o che è ragionevole supporre possano comprendere, ed è prevista
la facoltà per il richiedente di sostenere, prima della decisione, un colloquio
personale sul merito della domanda, la cui mancanza non impedisce però di
assumere ugualmente la decisione126. Su istanza del richiedente, gli Stati devono
dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite). 118 Termine che si innalza a sei giorni nel caso in cui la domanda sia presentata ad altre autorità preposte alla ricezione ma non alla registrazione della richiesta. Ha sollevato alcune perplessità il mancato riferimento al “diritto di presentare una domanda”, sostituito con la previsione per cui gli Stati membri provvedono affinché chiunque abbia presentato una domanda abbia un’effettiva possibilità di inoltrarla quanto prima, ma nel caso in cui ciò non avvenga gli Stati possono equiparare gli effetti della mancata presentazione della domanda a quelli che conseguono al ritiro implicito o alla rinuncia della stessa ai sensi dell’art. 28 della direttiva 2013/32/UE. 119 Cfr. art. 6 direttiva 2013/32. 120 Cfr. art. 7 direttiva 2013/32. 121 Cfr. art. 9 direttiva 2013/32. 122 Cfr. art. 11 direttiva 2013/32. 123 Cfr. art. 10 direttiva 2013/32. 124 Cfr. art. 12 direttiva 2013/32. 125 Cfr. art. 13 direttiva 2013/32. 126 Cfr. art. 14 direttiva 2013/32. Il colloquio è condotto dal personale dell’autorità competente per la decisione, ma può essere svolto anche dal personale di altra autorità, nel caso in cui vi siano domande simultanee da parte di un numero elevato di richiedenti, tale da rendere impossibile lo svolgimento tempestivo dei colloqui sul merito. Quando tale colloquio abbia luogo, deve essere condotto secondo determinati criteri (artt. 15 e 16 direttiva 2013/32) e deve esserne redatto verbale (art. 17 direttiva 2013/32).
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
38
fornire gratuitamente alcune informazioni sulle procedure di primo grado127 e
servizi di assistenza e rappresentanza legali gratuite nei giudizi di
impugnazione128. Sono inoltre previste disposizioni ad hoc per richiedenti che
necessitano di garanzie procedurali particolari129 e per i minori non
accompagnati130. Per quanto riguarda il ritiro della domanda, questo può essere
esplicito131 o implicito132: nel primo caso gli Stati hanno la facoltà di decidere se
sospendere l’esame o respingere la domanda, mentre in caso di ritiro implicito il
respingimento della domanda è subordinato ad un adeguato esame nel merito133.
Gli Stati hanno inoltre l’obbligo, nel caso in cui il richiedente si ripresenti dopo
che sia stata presa una decisione di sospensione dell’esame, di permettere al
richiedente la riapertura del caso o di presentare una nuova domanda, che non
127 Cfr. art. 19 direttiva 2013/32. 128 Cfr. artt. 20-‐23 direttiva 2013/32. 129 Cfr. art. 24 direttiva 2013/32. 130 In relazione a tale categoria, gli Stati membri sono tenuti a rispettare il principio fondamentale rappresentato dall’interesse superiore del minore. Alla luce di tale criterio, l’art. 25 della direttiva procedure prevede una serie di garanzie particolari a favore dei minori non accompagnati, in particolare: deve essere disposta la nomina, di cui il minore deve essere immediatamente informato, di un rappresentante che rappresenti e assista il minore per consentirgli di godere dei diritti e adempiere gli obblighi indicati nella stessa direttiva; deve essere riconosciuta la possibilità, per detto rappresentante, di informare il minore in merito al significato e alle conseguenze del colloquio personale, e, dove opportuno, di informarlo su come prepararsi ad esso; la possibilità per il rappresentante (o l’avvocato, o altro consulente legale) di partecipare al colloquio; il colloquio deve essere condotto da una persona dotata della competenza necessaria a trattare i particolari bisogni dei minori; la decisione sulla richiesta di protezione internazionale deve essere adottata da un funzionario dotato della medesima competenza; e devono essere fornite gratuitamente al minore le informazioni giuridiche e procedurali di cui all’art. 19 della direttiva 2013/32. Qualora gli Stati membri, dove nutrano dubbi al riguardo, sottopongano il minore a visite mediche volte ad accertarne l’età, il minore ha diritto ad esserne informato prima dell’esame della domanda, in una lingua che comprende o sia ragionevole supporre possa comprendere; affinché la visita sia disposta è necessario il consenso del minore o del rappresentante; inoltre, la decisione di respingere la domanda di protezione internazionale non può essere fondata esclusivamente sull’eventuale rifiuto da parte del minore di sottoporsi alla visita medica. Cfr. art. 25 direttiva 2013/32. 131 Cfr. art. 27 direttiva 2013/32. 132 Si parla di ritiro implicito dove vi siano ragionevoli motivi per ritenere che il richiedente abbia implicitamente ritirato la domanda o rinunciato ad essa L’esame nel merito deve essere condotto in linea con quanto disposto dall’art. 4 della direttiva 2011/95/UE. Gli Stati possono presumere di trovarsi di fronte ad un ritiro implicito soltanto in determinate condizioni: i) in caso di mancata presentazione al colloquio personale (salvo che il richiedente dimostri cause di forza maggiore) e mancata risposta alla richiesta di fornire informazioni essenziali per la domanda; ii) in caso di allontanamento dal luogo in cui il richiedente viveva o era trattenuto senza aver contattato le autorità entro un termine ragionevole (salvo che dimostri che ciò era dovuto a circostanze che sfuggono al suo controllo). 133 Cfr. art. 28 direttiva 2013/32.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
39
sarà considerata come domanda reiterata134.
La direttiva prevede un “doppio binario” procedurale, accostando alla procedura
ordinaria due procedure speciali: la procedura in via prioritaria e la procedura
accelerata. La procedura “normale” di primo grado135 deve essere espletata quanto
prima, fatto salvo un esame adeguato e completo, e deve concludersi entro tempi
stringenti136: entro sei mesi dalla presentazione della domanda, salvo altri nove
mesi in casi particolari (questioni complesse in fatto e/o in diritto, afflusso
massiccio e simultaneo di richiedenti; ritardo imputabile al richiedente) e
ulteriori tre in casi eccezionali debitamente motivati, ed è inoltre possibile
rimandare la conclusione della procedura di esame qualora vi sia una situazione
temporaneamente incerta nel Paese di origine del richiedente137. In ogni caso, è
previsto un termine massimo generale di ventuno mesi a decorrere dalla data di
presentazione della domanda138. Nella procedura “in via prioritaria” le domande
vengono esaminate prima delle altre, e può essere attivata nel caso in cui la
domanda sia verosimilmente fondata e quando il richiedente sia da considerarsi
vulnerabile ai sensi della direttiva “accoglienza” o necessita di garanzie
procedurali particolari, specialmente ove si tratti di minore non accompagnato139.
La procedura “accelerata”, e/o svolta alla frontiera o in zone di transito, è invece
caratterizzata da tempistiche più brevi rispetto a quella ordinaria, e può essere
instaurata in una serie di ipotesi, tassativamente elencate, che evidenziano una
scarsa attendibilità del richiedente, tra cui la sua provenienza da un “Paese di
134 Gli Stati possono però fissare un termine, di durata non inferiore a nove mesi, scaduto il quale è possibile non riaprire un caso sospeso a seguito di ritiro implicito o considerare come reiterata la nuova domanda. Per quanto riguarda la riapertura del caso precedentemente sospeso, la nuova direttiva prevede una disciplina più favorevole al richiedente rispetto a quanto originariamente previsto dalla direttiva 2005/85. 135 Cfr. art. 31 direttiva 2013/32. 136 Si tratta di una significativa novità rispetto alla precedente direttiva, che non prevedeva invece alcun termine massimo, ma si limitava a stabilire soltanto l’obbligo per gli Stati di informare il richiedente nel caso in cui non fosse stata presa una decisione entro sei mesi. 137 In tal caso, gli Stati hanno l’obbligo di riesaminare la situazione di tale Paese almeno ogni sei mesi; di comunicare al richiedente, entro un termine ragionevole, le ragioni del rinvio; di comunicare alla Commissione il rinvio della procedura. 138 Tali disposizioni possono però essere recepite dagli Stati entro il 20 Luglio 2018, e non entro il 20 Luglio 2015, come previsto per la restante normativa. 139 Cfr. art. 31 par. 7 direttiva 2013/32.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
40
origine sicuro”140.
Vengono definite le ipotesi in cui la domanda deve essere considerata infondata141
o inammissibile (dove non vi sia cioè un esame nel merito)142: in particolare
l’inammissibilità può derivare dal fatto che il richiedente abbia già ottenuto la
protezione in un altro Stato (si parlerà allora di “Paese di primo asilo”) o possa
essere rinviato verso un “Paese terzo sicuro” disposto a riconoscerla; o in caso di
domande reiterate, se da un esame preliminare non emergano elementi nuovi che
aumentino in modo significativo la probabilità che al richiedente possa essere
riconosciuto la protezione143. Sono disposte una serie di garanzie in caso di revoca
della protezione, che può essere disposta nel momento in cui emergano elementi
140 Cfr. art. 31 par. 8 direttiva 2013/32. Rispetto al testo della direttiva 2005/85, le ipotesi in cui è possibile ricorrere alla procedura accelerata sono state ridotte. Oggi è possibile instaurare tale procedura: i) se il richiedente nel presentare la domanda ha sollevato questioni che non che non hanno alcuna pertinenza per esaminare se attribuirgli lo status; ii) se il richiedente proviene da un Paese di origine sicuro; iii) se il richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi relativi alla sua identità o cittadinanza che avrebbero potuto influire negativamente; iv) se è probabile che, in mala fede, il richiedente abbia distrutto o comunque fatto sparire un documento di identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l’identità o la cittadinanza; v) in caso di dichiarazioni del richiedente palesemente incoerenti e contraddittorie, palesemente false o evidentemente improbabili, in contraddizione con informazioni sufficientemente verificate sul Paese di origine e che rendano pertanto chiaramente non convincente la sua asserzione; vi) in caso di domanda reiterata; vii) se la domanda è presentata al solo scopo di ritardare o impedire una decisione (anteriore o imminente) di allontanamento; viii) se il richiedente è entrato illegalmente nel territorio o vi è rimasto illegalmente e, senza un valido motivo, non si è presentato alle autorità o non ha presentato domanda di protezione internazionale quanto prima possibile; ix) qualora il richiedente rifiuti di farsi prendere le impronte ai sensi del regolamento Eurodac; x) se il richiedente, per gravi ragioni, può essere considerato un pericolo per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico. Per la nozione di “Paese sicuro”, cfr. Capitolo IV, Sezione I. 141 L’infondatezza della domanda (art. 32 direttiva 2013/32) si avrà nel momento in cui l’autorità abbia stabilito che al richiedente non è attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva qualifiche, mentre sarà manifestamente infondata ove ricorra una delle circostanze che possono portare ad una procedura accelerata. 142 L’inammissibilità della domanda (art. 33 direttiva 2013/32), in forza della quale gli Stati non sono tenuti ad esaminarla, si ha in una serie di circostanze tassative: i) se uno altro Stato membro ha riconosciuto la protezione internazionale; ii) se uno Stato terzo è considerato Paese di primo asilo; iii) se uno Stato terzo è considerato Paese terzo sicuro; iv) in caso di domanda reiterata; v) in caso di domanda presentata da persona a carico che aveva in precedenza acconsentito a che la domanda fosse presentata a suo nome e qualora non vi siano elementi che giustificano una domanda separata. Gli Stati membri hanno tuttavia l’obbligo (art. 34) di consentire al richiedente di esprimersi in merito in un colloquio personale (tranne in caso di domanda reiterata), prima di considerare la domanda come inammissibile Anche in questo caso le ipotesi originariamente previste dalla direttiva 2005/85 sono state ridotte. 143 È possibile così derogare al diritto del soggetto di rimanere sul territorio senza violare il principio di non refoulement. Cfr. art. 40-‐42 direttiva 2013/32.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
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nuovi dai quali risulti che vi siano motivi per riesaminare la validità della
protezione, (quale ad esempio l’informazione per iscritto del riesame e la
possibilità di ottenere un colloquio personale)144. Per quanto riguarda le
procedure di impugnazione145 è stabilito il diritto del richiedente a un “ricorso
effettivo” dinanzi ad un’autorità giurisdizionale, che deve contemplare l’esame
completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto. Gli Stati hanno l’obbligo
di prevedere dei termini ragionevoli e che non rendano impossibile o
eccessivamente difficile l’accesso al ricorso, e di assicurare ai richiedenti il diritto
di rimanere sul territorio in attesa del suo esito (una delle novità apportate nel
2011 è infatti la previsione dell’effetto sospensivo del ricorso, che rappresentava
una notevole lacuna nel testo precedente).
3. Il regolamento “Dublino III”
Il regolamento Dublino III ha come obiettivo l’individuazione dello Stato
membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale,
attraverso l’applicazione di una serie di criteri che consentono di radicare in via
tendenzialmente esclusiva tale competenza. Come già osservato146, l’idea di
concepire un sistema che stabilisca la competenza in capo ad un unico Stato
muove dall’esigenza di contrastare una serie di fenomeni che si sono presentati
parallelamente alla creazione dello spazio di libera circolazione nel territorio
europeo, come la presentazione di domande multiple, l’asylum shopping e il
fenomeno dei cd. rifugiati in orbita. Tale obiettivo va letto congiuntamente ai
risultati di armonizzazione prefissati a Tampere: senza l’individuazione di uno
Stato competente, l’armonizzazione normativa avrebbe l’effetto opposto di
favorire la circolazione, visto che con sistemi di asilo equivalenti una persona
144 Cfr. artt. 44-‐45 direttiva 2013/32. 145 Cfr. art. 46 direttiva 2013/32. 146 Infra, Sezione I, par. 1.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
42
potrebbe scegliere l’uno o l’altro senza temere alcuna penalizzazione147. Per tali
ragioni il regolamento stabilisce, al Capo III (artt. 7-‐15) una serie di criteri
gerarchicamente ordinati: sarà competente in prima battuta lo Stato dove hanno
già ricevuto rifugio determinati familiari148; poi lo Stato che ha già rilasciato al
richiedente un titolo di soggiorno o un visto ad altri fini; infine lo Stato in cui per
primo il soggetto ha fatto ingresso, legalmente o illegalmente. Si instaura così una
sorta di “procedura nella procedura”: la procedura Dublino, volta
all’individuazione dello Stato competente, è a sua volta funzionale all’avvio della
procedura per l’esame della domanda di protezione. Il presupposto di tale sistema
è costituito dal principio di “reciproca fiducia” tra Stati membri, in forza del quale
gli stessi si dichiarano tutti “sicuri”149 ai fini della presentazione delle domande di
protezione, sulla base del rispetto del principio di non refoulement e dei principi e
dei diritti riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Questa
presunzione, funzionale ad assicurare l’attuazione del sistema nei termini più
147 Come osservato da FAVILLI, Reciproca fiducia, mutuo riconoscimento e libertà di circolazione di rifugiati e richiedenti protezione internazionale nell’Unione Europea, Rivista di diritto internazionale, vol. 3, 2015, pag. 701-‐747. 148 Viene accolta una nozione ristretta di familiari, che si limita alla famiglia nucleare: coniuge o partner (dove lo Stato membro in questione abbia assimilato tali unioni al matrimonio ai fini della legislazione sull’immigrazione); figli minori, che non siano coniugati e a carico; genitori o tutori, nel caso in cui il richiedente sia minorenne e non coniugato. Inoltre è necessario che il familiare già presente in territorio UE abbia ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale o vi abbia fatto richiesta. Lo Stato dove si trova legalmente un familiare per motivi diversi dalla protezione internazionale si prende in considerazione solo nel caso in cui il richiedente sia un minore non accompagnato. 149 Cfr. considerando n. 3 regolamento 604/2013. Gli Stati membri hanno adottato una dichiarazione di sicurezza reciproca non soltanto rispetto alle richieste presentate da cittadini di Paesi terzi o apolidi, ma anche in relazione alle richieste presentate da cittadini UE: il Protocollo n. 24 allegato al TFUE stabilisce che tali domande non possono essere prese in esame o dichiarate ammissibili da un altro Stato membro, a meno che non ricorrano circostanze particolari indicate dal medesimo Protocollo. Tale statuizione introdurrebbe una sorta di riserva geografica alla Convenzione di Ginevra del 1951: alcuni autori hanno sollevato perplessità in ordine alla compatibilità di una simile limitazione con l’art. 3 della Convenzione del 1951, che impone agli Stati parte il divieto di discriminazioni sulla base del Paese di origine (cfr. BANK, The emergent EU policy on asylum and refugees: the new framework set by the Treaty of Amsterdam: Landmark or landstill?, Nordic journal of international law, vol. 68, n. 1, 1999, pag. 1-‐29). Inoltre, pur trattandosi di una presunzione relativa, essa indurrebbe a trattare sommariamente le richieste provenienti da cittadini UE, aspetto particolarmente problematico dove vi siano agenti di persecuzione privati non adeguatamente contrastati dagli Stati membri (cfr. DI FILIPPO, Immigrazione, diritto e diritti cit.)
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
43
rapidi possibili150, era formulata in termini assoluti, nel senso di considerare
equivalenti tutti i sistemi di asilo degli Stati membri. A tal proposito, è stato
notato151 come il sistema Dublino sia permeato da un’ambiguità di fondo, per cui
si è partiti da una disciplina che postula la reciproca fiducia (e quindi la
presunzione di sicurezza tra Stati membri) e solo in seguito (e con non poche
difficoltà) si è arrivati a costruire un sistema comune di asilo, mentre i due
elementi sarebbero dovuti andare di pari passo, perché la prima non può essere
concepita disgiuntamente da un apparato normativo che sia il più armonizzato
possibile. Siffatta presunzione di sicurezza è stata rovesciata ad opera della Corte
di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza N.S. e altri c. Regno Unito152,
sulla scia dell’orientamento già definito dalla Corte EDU nella sentenza M.S.S. c.
Belgio e Grecia153. Il regolamento prevede che dove una domanda di protezione sia
presentata in uno Stato non competente, di regola il richiedente venga trasferito
verso lo Stato competente senza un esame nel merito della richiesta (cd.
trasferimento Dublino): a fronte di tale assetto, nel caso M.S.S. la Corte EDU ha
condannato il Belgio per i trasferimenti verso la Grecia, stabilendo che i
trasferimenti Dublino non devono esporre le persone ad un rischio reale di subire
una violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione154. In sintesi, per la Corte
EDU la presunzione di sicurezza deve essere concepita in termini relativi, salvo
comunque il diritto ad un ricorso effettivo ex art. 13 per potersi opporre al
trasferimento. La Corte ha sottolineato in quell’occasione che non rileva il fatto
che il trasferimento costituisca attuazione di un obbligo europeo, perché in
questo caso gli Stati Membri mantengono – in forza della clausola di sovranità
prevista all’art. 17 del regolamento – un margine di discrezionalità
nell’applicazione dell’obbligo UE, e rimangono quindi pienamente responsabili 150 Cfr. considerando n. 4 e 5 regolamento 604/2013. 151 Cfr. FAVILLI, Reciproca fiducia, mutuo riconoscimento e libertà di circolazione di rifugiati e richiedenti protezione internazionale nell’Unione Europea, cit. 152 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 21 Dicembre 2011, C-‐411/10, N.S., ECLI:EU:C:2011:865. 153 Corte Europea dei Diritti Umani, 21 Gennaio 2011, 30969/09, M.S.S. c. Belgio e Grecia. 154 I profili problematici dei rinvii in Grecia erano stati evidenziati anche dall’UNHCR, cfr. UNHCR, 15 Aprile 2008, Posizione dell’UNHCR sul rinvio di richiedenti asilo verso la Grecia in attuazione del regolamento Dublino.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
44
per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla Convenzione155. La Corte di
giustizia nel caso N.S. ha ripreso alcune delle considerazioni della Corte EDU,
dandone però un’interpretazione più riduttiva, individuando due situazioni
distinte: la violazione delle singole disposizioni delle direttive e la presenza di
carenze sistemiche nel sistema di asilo di uno Stato membro, ritenendo che
soltanto in quest’ultimo caso il trasferimento nei confronti di detto Stato possa
considerarsi illegittimo156. Le determinazioni della Corte di giustizia sono
intervenute mentre erano in corso i negoziati per l’adozione del regolamento
Dublino III, e sono infatti state codificate al secondo capoverso del par. 2 dell’art.
3 del nuovo regolamento, che stabilisce che “qualora sia impossibile trasferire un
richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in
quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche
nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale
Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante
ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”
debba aversi la sospensione dei trasferimenti Dublino e la conseguente
applicazione dei restanti criteri. Sulla scorta di tale previsione, infatti, è stata
disposta la sospensione dei trasferimenti dalla Grecia a partire dal 2011157.
155 Cfr. par. 338 sent. cit. 156 In tema, cfr. RAVO, La giurisprudenza N.S. e altri c. Regno unito e il problema della solidarietà tra Stati membri in materia di asilo, in AMADEO, SPITALIERI (a cura di), Le garanzie fondamentali dell’immigrato in Europa cit., pag. 245-‐290; MORGESE, Regolamento Dublino II e applicazione del principio di mutua fiducia tra Stati membri: la pronunzia della Corte di giustizia del caso N.S. e altri, Studi sull’integrazione europea, vol. 1, 2012, pag. 147-‐162; FAVILLI, Reciproca fiducia, mutuo riconoscimento e libertà di circolazione di rifugiati e richiedenti protezione internazionale nell’Unione Europea, cit.. In particolare l’autrice osserva che tra le ipotesi di carenze sistemiche e violazione di uno specifico diritto vi sono delle differenze, soprattutto per quel che riguarda l’onere della prova, in quanto in presenza di carenze sistemiche il soggetto è sollevato dal dover provare l’esistenza di rischi individuali (rimane però la possibilità che ci siano carenze non sistemiche ma comunque tali da costituire, in relazione alle circostanze e alle caratteristiche della persona, la presenza di rischi in ordine alla violazione di diritti individuali), e si configurerebbe inoltre un obbligo procedurale in capo allo Stato di verificare la “sicurezza” dello Stato di destinazione, che deve comunque far salvo il diritto di impugnare il trasferimento con un mezzo di ricorso effettivo. 157 Con la raccomandazione dell’8 Dicembre 2016 la Commissione ha indicato l’opportunità di riprendere i trasferimenti Dublino verso la Grecia a partire dal 15 Marzo 2017, specificando che dovrebbero comunque rimanerne esentati i soggetti vulnerabili e i minori non accompagnati (cfr. raccomandazione della Commissione dell'8 dicembre agli Stati membri sulla ripresa dei trasferimenti verso la Grecia a norma del regolamento 604/2013 del Parlamento europeo e del
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
45
Gli oneri che il regolamento Dublino assegna allo Stato membro individuato
come competente non si esauriscono quindi nella semplice valutazione della
domanda: radicare la competenza in capo ad uno Stato implica che questo avrà
l’obbligo di seguire la procedura per il riconoscimento dello status e di garantire
gli standard minimi di accoglienza. Individuare lo Stato membro competente
significa quindi decidere dove il richiedente dovrà vivere158, e spesso tale Stato
coincide con lo Stato di primo ingresso: così congegnato, il sistema Dublino ha
prestato il fianco a numerose critiche, mosse a fronte delle svariate inefficienze
che ha comportato sul piano pratico. In primo luogo, gli Stati collocati alle
frontiere esterne dell’Unione finiscono con l’essere sovraccaricati, scatenando un
atteggiamento reticente che li ha portati a “chiudere un occhio”, non applicando
o applicando ad intermittenza le disposizioni del regolamento (e contribuendo
così al maturare di un panorama applicativo confuso, in contrasto con il principio
di certezza del diritto). A tal riguardo, è stato notato come la determinazione
dello Stato in via esclusiva sembrerebbe in contrasto con il principio di solidarietà
riconosciuto dall’art. 80 TFUE159. In secondo luogo sono spesso gli stessi
richiedenti a cercare di eludere le procedure, rendendosi irreperibili o cercando di
sottrarsi ai rilievi dattiloscopici richiesti dalla normativa Eurodac. Quest’ultimo
punto merita particolare attenzione, perché a determinare questi comportamenti
è (anche) il persistere, malgrado due generazioni di direttive e regolamenti, di
differenze tra i sistemi nazionali per quanto riguarda le condizioni di accoglienza,
il tasso di riconoscimento delle domande e le prospettive di integrazione: in altri
termini, di una mancanza di omogeneità tra le normative degli Stati membri,
dovuta tanto ai margini di discrezionalità lasciati dalle direttive quanto al fatto
che le stesse vengono attuate da autorità statali che hanno spesso modi diversi di Consiglio). Tuttavia, al 2 Maggio 2017 i trasferimenti sono ancora sospesi (cfr. comunicato stampa della Commissione, 2 Maggio 2017, ritorno a Schengen: la Commissione raccomanda la graduale abolizione dei controlli temporanei alle frontiere nei prossimi sei mesi). 158 A tal fine è infatti previsto l’obbligo di informare il richiedente dello Stato in cui verrà inviato, in modo da permettergli di far valere altri criteri. Cfr. art. 4 regolamento 604/2013. 159 Cfr. MORGESE, Solidarietà e ripartizione degli oneri in materia di asilo nell’Unione Europea, I percorsi giuridici per l’integrazione, (a cura di) CAGGIANO, Giappichelli, Torino, 2014; e PAPA, Crisi dei rifugiati, principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri dell’Unione Europea, costituzionalismo.it, vol. 3, 2016.
Capitolo I Evoluzione della normativa europea in materia di asilo
46
operare. In sostanza, si finisce con l’incentivare proprio uno di quei fenomeni che
ci si proponeva di arginare, ovvero i movimenti secondari.
47
CAPITOLO II
LE RISPOSTE DELL’UE ALLA CRISI MIGRATORIA
Sommario: SEZIONE I: L’inadeguatezza del Sistema europeo comune di asilo e il principio di solidarietà: 1. Il fallimento delle misure improntate alla solidarietà interna. Il programma di ricollocazione; -‐ 2. Le misure di solidarietà esterna. Il programma di reinsediamento e l’ammissione umanitaria dalla Turchia; -‐ 3. Prospettive di modifica del Sistema europeo comune di asilo. SEZIONE II: La cooperazione con i Paesi di origine e di transito: 1. Le spinte politiche verso il processo di esternalizzazione; -‐ 2. Gli strumenti finanziari come risposta alla questione migratoria; -‐ 3. L’intensificazione degli sforzi in materia di rimpatrio e riammissione. La formula dei “compacts"; -‐ 4. La Dichiarazione UE-‐Turchia del 18 Marzo 2016 come modello di una nuova strategia europea; -‐ 5. Le tappe delle relazioni UE-‐Turchia e il contenuto della Dichiarazione.
SEZIONE I: L’INADEGUATEZZA DEL SECA E IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ
In un contesto in cui il fallimento della costruzione di un sistema comune
europeo di asilo e il persistere di sensibili differenze tra gli ordinamenti nazionali
sono ormai evidenti, l’Unione ha dovuto confrontarsi, dal 2014 in poi, con un
aumento dei flussi migratori in entrata che ha determinato la cd. “crisi europea
dei migranti”160. Gli spostamenti hanno seguito principalmente la cd. “rotta
mediterranea” e la cd. “rotta balcanica”, e soprattutto a fronte del conflitto che ha
interessato la Siria a partire dal 2011, le richieste di protezione internazionale sono
quasi triplicate161, comportando un appesantimento degli oneri di presa in carico
160 Cfr. UNHCR, 30 Dicembre 2015, Over one million sea arrivals reach Europe in 2015, http://www.unhcr.org/5683d0b56.html, ultima consultazione 6.6.2017. 161 I dati relativi alle richieste di protezione sono reperibili sulle pagine delle agenzie europee FRONTEX (www.frontex.europa.eu) ed EASO (www.easo.europa.eu), come pure sul sito dell’UNHCR (www.unhcr.it).
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
48
in capo a Stati posti ai confini esterni dell’Unione (in particolare Italia e Grecia). I
disastri in mare del 2015 hanno reso inevitabile una presa di posizione da parte
dell’Unione Europea, che si è risolta nell’Agenda europea per l’immigrazione del
13 Maggio 2015162: in tale comunicazione la Commissione ha riconosciuto che “la
politica europea comune in materia non si è rivelata all’altezza”, rendendo così
necessari interventi di emergenza, ed ha individuato una serie di azioni da
attuarsi nel breve, medio e lungo periodo. Per quanto riguarda il breve periodo,
vengono presi in considerazione principalmente quattro punti: i) il
potenziamento delle operazioni congiunte Triton e Poseidon per arginare la
perdita di vite umane in mare163; ii) la lotta alle reti criminali di trafficanti; iii) la
previsione di meccanismi di ricollocazione; iv) e di reinsediamento. Anche sul
medio periodo le linee direttive si articolano in quattro pilastri: i) la riduzione agli
incentivi di immigrazione irregolare (in particolare attraverso i partenariati con i
Paesi di origine e di transito, la lotta ai trafficanti e il rafforzamento del sistema
dei rimpatri); ii) il rafforzamento del ruolo e delle capacità dell’agenzia Frontex;
iii) il miglioramento del sistema europeo comune di asilo (ventilando una
possibile revisione del sistema Dublino); iv) una nuova politica di immigrazione
legale. Per quanto riguarda infine il lungo periodo, la Commissione si è limitata a
ribadire laconicamente alcuni concetti già espressi: il completamento del sistema
europeo comune di asilo, una gestione comune delle frontiere europee, un nuovo
162 COM(2015) 240, Comunicazione della commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Agenda europea sulla migrazione, 13 Maggio 2015. L’agenda è stata preceduta da un piano d’azione in dieci punti presentato il 20 Aprile 2015 dal Commissario Avramopoulos a una riunione dei ministri degli esteri e dell’interno, presieduta dall’Alto rappresentante Mogherini, poi raffinato durante la riunione del Consiglio europeo straordinario del 23 Aprile 2015. Cfr. FAVILLI, 27 Aprile 2015, Le responsabilità dei governi degli Stati membri nella difficile costruzione di un’autentica politica dell’Unione Europea di immigrazione e asilo, www.sidiblog.org, ultima consultazione 8.12.2016. 163 Triton e Poseidon si qualificano come operazioni congiunte dell’agenzia Frontex, finalizzate a coadiuvare rispettivamente Italia e Grecia per quanto riguarda il rafforzamento del controllo delle frontiere marittime e attività di ricerca e soccorso in mare. Mentre l’area operativa di Triton comprende le acque territoriali italiane e parte delle zone di ricerca e soccorso maltesi, Poseidon agisce nei confini marittimi tra Grecia e Turchia, e nelle isole greche. Cfr. documento della Commissione “EU operations in the Mediterranean sea”, disponibile su https://ec.europa.eu/home-‐affairs/sites/homeaffairs/files/what-‐we-‐do/policies/securing-‐eu-‐borders/fact-‐sheets/docs/20161006/eu_operations_in_the_mediterranean_sea_en.pdf, ultima consultazione 6.6.2017.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
49
modello di migrazione legale. Di seguito ci si soffermerà su alcuni dei punti
prospettati in tale documento e sulle loro applicazioni e prospettive di sviluppo:
gli istituti della ricollocazione e del reinsediamento, la discussione sulla riforma
del sistema Dublino e la cooperazione con i Paesi terzi (in particolare con la
Turchia). Le determinazioni dell’Agenda per la migrazione avrebbero potuto
costituire un ottimo trampolino di lancio per un cambio radicale di prospettiva in
materia di asilo e immigrazione, ma come si vedrà, le logiche di fondo finiranno
con il rimanere sostanzialmente invariate: i programmi di relocation e di
resettlement incontreranno un atteggiamento fondamentalmente indifferente –
se non ostile – da parte di alcuni Stati membri; la discussione sulla riforma del
sistema Dublino pare destinata a risolversi in modifiche marginali che non ne
intaccano le fondamenta; e la cooperazione con i Paesi di origine e di transito
darà luogo ad una serie di intese (tra tutte, la Dichiarazione congiunta con la
Turchia del 18 Marzo 2016) dall’ambigua natura giuridica; inoltre l’inefficienza
delle misure adottate dall’Unione ha determinato la scelta da parte di alcuni Stati
membri di ripristinare i controlli alle frontiere interne164, contribuendo così a
creare, anche in territorio europeo, un clima di progressiva sfiducia165.
1. Il fallimento delle misure improntate alla solidarietà interna. Il
programma di ricollocazione
Come osservato, tra i principi di diritto dell’Unione in materia di immigrazione si
ritrova il principio di solidarietà di cui all’art. 80 TFUE. Le misure espressive di
164 Cfr. Commissione europea, States’ notifications of the temporary reintroduction of border control at internal borders pursuant at article 25 et seq. Of the Schengen Borders Code, https://ec.europa.eu/home-‐affairs/what-‐we-‐do/policies/borders-‐and-‐visas/schengen/reintroduction-‐border-‐control_en, ultima consultazione 7.6.2017. 165 In tema di Agenda europea per la migrazione, cfr. CHERUBINI, 3 Giugno 2015, L’agenda europea sulla migrazione: la macchina ora (forse?) funziona, ma ne occorre comunque un’altra, www.sidiblog.org, ultima consultazione 8.12.2016; e DI PASCALE, 9 Aprile 2015, La futura agenda europea per l’immigrazione: alla ricerca di soluzioni per la gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo, www.eurojus.it, ultima consultazione 8.12.2016.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
50
tale principio possono essere suddivise in due tipologie principali166: quelle di
carattere pratico e quelle (solamente) finanziarie167. Le misure di carattere pratico
possono essere a loro volta suddivise in due sottoinsiemi, a seconda della loro
proiezione “interna” o “esterna” all’Unione: tra le prime si ritrovano la
cooperazione amministrativa, la ricollocazione e il trattamento congiunto delle
domande; mentre tra le seconde si hanno il reinsediamento, i programmi di
protezione regionale e le procedure di ingresso protetto (PIP)168. In tale sede si
propone l’analisi di uno strumento di solidarietà “interna”, quale la ricollocazione
166 Come proposto da MORGESE, Solidarietà e ripartizione degli oneri in materia di asilo nell’Unione Europea, cit. 167 Tra le forme di attuazione del principio di solidarietà in termini finanziari si ritrovano ad esempio: il Fondo per le frontiere esterne (decisione 574/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 Maggio 2007, che istituisce Fondo per le frontiere esterne per il periodo 2007-‐2013, nell’ambito del programma generale “Solidarietà e gestione dei flussi migratori”), il Fondo europeo per i rifugiati (decisione 573/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 Maggio 2007, che istituisce il Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2008-‐2013, nell’ambito del programma generale “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” e che abroga la decisione 2004/904 del Consiglio) e il Fondo europeo per i rimpatri (decisione 575/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 Maggio 2007, che istituisce il Fondo europeo per i rimpatri per il periodo 2008-‐2013, nell’ambito del programma generale “Solidarietà e gestione dei flussi migratori”). 168 Le PIP permetterebbero di sottoporre la domanda di protezione internazionale presso le rappresentanze diplomatiche e consolari dello Stato ospitante, tuttavia la loro praticabilità è, come già osservato, ostacolata dall’art. 3 par. 2 della direttiva procedure. Su un tema simile si è recentemente espressa la Corte di Giustizia dell’Unione Europea: mediante ricorso pregiudiziale, un giudice belga ha richiesto alla Corte se l’art. 25, par. 1 lett. a) del codice dei visti (cfr. regolamento (CE) 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 Luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti) dovesse essere interpretato nel senso di poter configurare a carico degli Stati membri l’obbligo di concedere i visti umanitari qualora sia dimostrato il rischio di violazione dell’art. 4 e/o dell’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, o di un altro obbligo internazionale derivante dalla CEDU o dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra. Nel caso di specie, si trattava di una famiglia siriana intenzionata a recarsi in Belgio per presentarvi domanda di protezione internazionale. La CGUE, pur riconoscendo la sussistenza del rischio di esposizione a trattamenti inumani o degradanti, ha ritenuto che la fattispecie non rientri nell’ambito di applicazione del codice dei visti, e dal momento in cui l’UE non ha (allo stato attuale) adottato alcun atto sulla base dell’art. 79, par. 2, lett. a) TFUE, la questione deve essere regolata unicamente dal diritto nazionale. Parte del ragionamento della CGUE fa inoltre leva proprio sull’art. 3 par. 1 e 2 della direttiva procedure e sugli artt. 1 e 3 del regolamento Dublino III, sottolineando che l’accoglimento delle richieste dei ricorrenti “lederebbe l’impianto generale” del sistema istituito da tale regolamento. Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 7 Marzo 2017, C-‐638/16, X. e X. c. Belgio, ECLI:EU:C:2017:273, par. 48. In senso critico, cfr. BROUWER, 16 Marzo 2017, The European Court of Justice on humanitarian visas: legal integrity vs. political opportunism?, CEPS commentary, https://www.ceps.eu/publications/european-‐court-‐justice-‐humanitarian-‐visas-‐legal-‐integrity-‐vs-‐political-‐opportunism, ultima consultazione 7.6.2017; DEL GUERCIO, La sentenza X. E X. Della Corte di Giustizia sul rilascio del visto umanitario:analisi critica di un’occasione persa, European papers, European Forum, 12 Maggio 2017, pag. 1-‐21.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
51
e le relative decisioni 2015/1523 e 2015/1601 del Consiglio; e di due strumenti di
solidarietà “esterna”, ovvero il programma di reinsediamento e il programma di
ammissione umanitaria dalla Turchia, proposti rispettivamente con le
raccomandazioni 2015/914 e 2015/9490 della Commissione e aventi la finalità di
garantire un ingresso ordinato nel territorio dell’Unione da parte di cittadini
provenienti da Paesi terzi.
Per quanto riguarda l’istituto della ricollocazione, questo prende in
considerazione il trasferimento da uno Stato membro all’altro di richiedenti
protezione internazionale (o di persone che abbiano già ottenuto la protezione)
già presenti sul territorio europeo. Nel Settembre 2015 il Consiglio ha adottato
due decisioni169 che dispongono un meccanismo provvisorio di ricollocazione: la
base giuridica impiegata in tale occasione non è però costituita dall’art. 80 TFUE,
bensì dal disposto dell’art. 78 par. 3 TFUE, il quale, come già visto, prevede la
possibilità di adottare misure temporanee a beneficio di uno o più Stati membri
che debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso
improvviso di cittadini di Paesi terzi170. Il carattere eccezionale di tali misure
comporta una deroga temporanea ai criteri previsti dal regolamento Dublino171
destinata ad operare per i due anni successivi a partire dall’entrata in vigore delle
stesse172. Per quanto riguarda l’ambito di applicazione, le misure sono disposte a
beneficio di Italia e Grecia173, che devono per contro presentare alla Commissione
169 Cfr. Decisione (UE) del Consiglio 2015/1523, del 14 Settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia; e decisione (UE) del Consiglio 2015/1601, del 22 Settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia. 170 Cfr. BORRACCETTI, 31 Luglio 2015, “To quota” or not “to quota”? The EU facing the effective solidarity in its asylum policy, www.eurojus.it, ultima consultazione 18.01.2017, che mette in discussione il riferimento all’art. 78 par. 3 TFUE, sostenendo che non vi sarebbero gli estremi per ricorrere a tale previsione in quanto non si può correttamente parlare di afflusso “improvviso”. Contra, cfr. PEERS, 24 Settembre 2015, Relocation of asylum-‐seekers in the EU: law and policy, www.eulawanalysis.blogspot.com, ultima consultazione 31.11.2015. 171 Ad essere oggetto di deroga è l’art. 13 par. 1 del regolamento 604/2013. 172 Cfr. PEERS, Relocation of asylum-‐seekers in the EU: law and policy, cit., che osserva come la durata biennale delle decisioni mal si concilierebbe con il carattere necessariamente temporaneo imposto dall’art. 78 par. 3 TFUE. 173 Ma non è esclusa la possibilità di attivare il meccanismo anche nei confronti di un altro Stato membro che si ritrovi in analoga situazione. Cfr. considerando n. 16 decisione 2015/1523 e considerando n. 21 decisione 2015/1601.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
52
una tabella di marcia che comprende misure adeguate nei settori dell’asilo della
prima accoglienza e del rimpatrio dirette a migliorare le capacità, la qualità e
l’efficacia dei loro sistemi in questi settori, e a garantire la corretta applicazione
della decisione. Le decisioni operano nei confronti di quanti hanno presentato
domanda in detti Stati (o nei cui confronti tali Stati sarebbero stati altrimenti
responsabili174), e siano in “evidente bisogno” di protezione internazionale, vale a
dire coloro che appartengono a una nazionalità per la quale la percentuale delle
decisioni di riconoscimento (in base agli ultimi dai trimestrali Eurostat relativi a
tutta l’UE) sia pari o superiore al 75% delle decisioni in primo grado175.
La procedura prevede che i richiedenti vengano identificati176 da Italia e Grecia177,
ed è improntata ad esigenze di rapidità: è infatti previsto che debba completarsi il
più rapidamente possibile e non più tardi di due mesi178, ma gli Stati di
destinazione conservano comunque sempre il diritto applicare un “meccanismo
di filtro”, rifiutando in trasferimento nel momento in cui sussistano fondati
motivi per ritenere che il richiedente costituisca un pericolo per la sicurezza
nazionale o l’ordine pubblico, o in presenza di seri motivi per applicare le
disposizioni in materia di esclusione dalla protezione internazionale179. Degna di
nota è inoltre la previsione di una serie di indicazioni di cui “si dovrebbe” tenere
conto nel determinare lo Stato di ricollocazione, che prendono in considerazione
una serie di legami effettivi tra richiedente e Stato di destinazione e sono
174 Ciò significa che se la competenza risultasse, in base al regolamento 604/2013, individuata in capo ad un altro Stato, ad esempio in forza dell’applicazione dei criteri sul ricongiungimento familiare, tali soggetti sarebbero trasferiti in detto Stato senza rientrare nel computo dei ricollocati. Vale la pena notare che, per tutto quanto non disposto dalle decisioni, le disposizioni del regolamento Dublino rimangono in vigore. 175 A soddisfare tale requisito alla data di entrata in vigore delle decisioni sono soltanto i richiedenti provenienti da Siria, Eritrea e Iraq. 176 A tal fine, ogni tre mesi gli Stati membri devono comunicare a Italia e Grecia il numero di richiedenti che sono in grado di ricollocare rapidamente nel loro territorio. 177 Nell’indicare i richiedenti che beneficiano della ricollocazione, Italia e Grecia devono dare priorità ai soggetti vulnerabili ai sensi della direttiva accoglienza. Cfr. art. 5 par. 3 di entrambe le decisioni. 178 E’ possibile in alcuni casi prorogare tale termine fino ad un mese e mezzo, e in generale è sempre consentita la possibilità di concordare con gli altri Stati una “proroga ragionevole”. Cfr. art. 5 par. 10 decisione 2015/1523 e art. 5 par. 6 decisione 2015/1601. 179 Cfr. art. 5 par. 7 di entrambe le decisioni.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
53
finalizzate a facilitarne l’integrazione180. Le due decisioni, per quanto molto simili
nei contenuti, presentano però due differenze principali: la prima riguarda il
numero di persone da ricollocare181; la seconda sta nel fatto che mentre la
decisione 2015/1523 prevede l’attivazione dello schema di ricollocazione in forza
di una mera dichiarazione di impegno da parte degli Stati membri182, la decisione
2015/1601 prevede vere e proprie quote vincolanti, individuate sulla base di una
serie di parametri oggettivi (cd. chiavi di distribuzione) indicati negli allegati I e
II183.
Analizzata la disciplina, si impongono ora alcune considerazioni critiche184: in
primo luogo, è stato osservato che la scelta di predeterminare la nazionalità dei
beneficiari comporta l’esclusione di un altissimo numero di potenziali richiedenti
e che, anche per quanto riguarda le nazionalità interessate, la misura è poco
“attraente”, in quanto possono rientrarvi solo coloro che sono stati sottoposti ad
identificazione e, nel caso in cui la ricollocazione non dovesse andare a buon fine,
la competenza verrebbe quindi comunque radicata in capo allo Stato di primo
ingresso. In secondo luogo, la disciplina non sembra prevedere un
coinvolgimento attivo del richiedente, per il quale non viene prevista né la
possibilità di prestare il proprio consenso al trasferimento né tantomeno di
richiedere l’attivazione della procedura. Malgrado l’indicazione contenuta nei
180 Cfr. considerando n. 28 decisione 2015/1523 e considerando n. 34 decisione 2015/1601. 181 La prima decisione prevede la ricollocazione di 40.000 richiedenti (24.000 dall’Italia e 16.000 dalla Grecia), mentre la seconda interessa 120.000 persone (15.600 dall'Italia e 50.400 dalla Grecia, nonché altre 54.000, originariamente dall'Ungheria, che avrebbero dovuto ripartirsi proporzionalmente tra Italia e Grecia – tuttavia, tale quota è stata considerata ai fini del reinsediamento ai sensi del cd. meccanismo 1:1, sul quale cfr. Capitolo III, Sezione II). Vi rientrano sia i richiedenti giunti sul territorio di Italia e Grecia durante i due anni di vigenza delle decisioni, sia coloro che erano già presenti a partire dal 15 Agosto 2015 (per la prima decisione) o dal 24 Marzo 2015 (per la seconda decisione). 182 In tal proposito, cfr. MORI, Le politiche relative all’asilo e all’immigrazione tra garanzie giurisdizionali e ragioni della politica, Il diritto dell’Unione Europea, vol. 1, 2016, pag. 103-‐114, che osserva come in tale occasione sia stato effettuato un irrituale ricorso al metodo intergovernativo, di dubbia conformità al diritto primario dell’Unione. 183 Gli Stati devono cioè tener conto dei seguenti fattori: popolazione complessiva di ciascuno Stato (40%), il suo PIL totale (40%); numero di rifugiati reinsediati sul territorio per milione di abitanti nel periodo 2010-‐2014 (10%) e tasso di disoccupazione (10%). 184 Cfr. DI FILIPPO, Le misure sulla ricollocazione dei richiedenti asilo adottate dall’Unione Europea nel 2015: considerazioni critiche e prospettive, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, vol. 2, 2015, pag. 33-‐60; e PEERS, Relocation of asylum-‐seekers in the EU: law and policy, cit.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
54
preamboli di tener conto della presenza di legami sostanziali tra richiedente e
Stato di destinazione, tali prescrizioni, visto il tenore letterale delle disposizioni,
non sembrano avere però carattere vincolante: anche ove il richiedente le
invocasse in sede di colloquio personale (di cui all’art. 5 del regolamento
Dublino), le autorità non avrebbero alcun obbligo di disporre il trasferimento alla
luce di tali criteri. In terzo luogo, non è espressamente contemplata la possibilità
di fare ricorso avverso la decisione di trasferimento, in particolare rispetto
all’ipotesi in cui venga presa a fronte dell’attivazione del “meccanismo di filtro” in
merito a richiedenti che presentano profili di pericolosità sociale. Il carattere
definitivo e insindacabile che la decisione sembra porre problemi soprattutto nel
momento in cui le autorità non tengano conto dei legami sostanziali: vero è che il
ricorso può essere esperito in forza dell’art. 27 del regolamento Dublino, ma le
decisioni specificano anche che deve essere finalizzato solamente ad assicurare il
rispetto dei diritti fondamentali, perché non è previsto un diritto in capo al
richiedente di scegliere lo Stato membro competente per l’esame della domanda.
Parrebbe quindi che il ricorso possa essere effettuato solo nel momento in cui
siano stati illegittimamente esclusi dalla procedura i soggetti vulnerabili ai sensi
della direttiva accoglienza185. In quarta ed ultima istanza, le decisioni sono atti
vincolanti, che pongono obblighi di risultato sia in capo agli Stati membri
beneficiari del meccanismo sia agli altri Stati membri186, e qualora non venga data
corretta attuazione alle prescrizioni in esse contenute, si realizza una violazione
185 In tal senso PEERS, Relocation of asylum seekers… cit., contra DI FILIPPO, Le misure sulla ricollocazione… cit., che invece riconosce carattere vincolante a tali criteri e riconduce il loro mancato rispetto a legittimo motivo di ricorso avverso la decisione di trasferimento. 186 In particolare, i primi hanno obbligo di porre in essere misure per rafforzare i propri sistemi di asilo e di rimpatrio (monitorato dalla commissione in base alla tabella di marcia, che può decidere d sospendere l’applicazione delle decisioni fino a 3 mesi), mentre i secondi hanno l’obbligo generale di accettare una quota massima di richiedenti. Il carattere vincolante delle decisioni viene meno soltanto nelle ipotesi in cui: i) si verifichi una situazione di emergenza in un altro Stato membro, che potrà quindi richiedere modifiche allo schema di ricollocazione ai sensi dell’art. 4 par.3 decisione 2015/1601; ii) venga attivato il meccanismo ex art. 4 par. 5 decisione 2015/1601, per cui uno Stato membro notifica alla Commissione la propria temporanea incapacità a partecipare alla ricollocazione fino al 30% dei richiedenti a esso assegnati, e solo quando ricorrano motivi debitamente giustificati e compatibili con i valori fondamentali dell’UE; iii) a fronte dell’adozione di misure temporanee a beneficio di uno Stato membro ex art. 78 par. 3 TFUE, tali misure comprendano la sospensione della partecipazione al meccanismo di ricollocazione, come previsto dall’art. 9 di entrambe le decisioni.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
55
del diritto UE. Ma mentre nel caso in cui la violazione sia posta in essere da Italia
o Grecia è prevista una sanzione specifica (che consiste nella sospensione, ad
opera della Commissione, dell’applicazione delle decisioni per un periodo
massimo di tre mesi)187, quando a non rispettare gli obblighi comunitari siano gli
altri Stati membri, l’unico rimedio previsto è la più generale – e lenta – procedura
di infrazione di cui agli artt. 258 ss. TFUE, senza contare che mentre i primi
hanno come “controparte” la Commissione, i secondi vedono il Consiglio – in cui
essi stessi sono rappresentati – come unico soggetto dotato di potere decisionale
in merito alla sospensione delle quote di ricollocazione o a variazioni a proprio
favore dello schema di ricollocazione188.
Al netto delle considerazioni in merito agli aspetti sostanziali della disciplina,
preme sottolineare che il meccanismo di ricollocazione si è risolto, di fatto, in un
fallimento: al 22 marzo 2017 sono stati ricollocati 14.759 richiedenti sui 160.000
totali previsti da entrambe le decisioni, a fronte di 26.790 posti messi a
disposizione dagli Stati membri189: come ha osservato la Commissione in un
recente comunicato stampa190, “il ritmo attuale delle ricollocazioni rimane ben al
di sotto delle attese”. Tale dato va letto alla luce degli atteggiamenti fortemente
contrari di molti Stati membri: Regno Unito e Danimarca si sono avvalsi delle
clausole di opting out; rispetto alla prima decisione e facendo leva sul suo
carattere volontario, Austria e Ungheria di non hanno messo a disposizione alcun
posto; e il carattere vincolante delle quote previste dalla seconda decisione ha
determinato la ferma opposizione di Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e
187 Cfr. art. 8 di entrambe le decisioni. E’ interessante rilevare come nell’originaria proposta della Commissione della decisione 1601 era previsto un meccanismo sanzionatorio (cfr. art. 4 par. 2 COM(2015)451) anche per gli Stati diversi da quelli beneficiari della ricollocazione. PEERS in Relocation of asylum-‐seekers.. cit., osserva però che sarebbe stato più opportuno concepire una simile previsione non tanto in termini sanzionatori, quanto come un’ulteriore modalità di condivisione degli oneri. 188 La decisione finale circa l’applicazione di modifiche o deroghe al meccanismo di ricollocazione (cfr. supra, nota 27) spetta infatti al Consiglio. 189 Secondo quanto indicato nello state of play pubblicato sul sito della Commissione europea, https://ec.europa.eu/home-‐affairs/sites/homeaffairs/files/what-‐we-‐do/policies/european-‐agenda-‐migration/press-‐material/docs/state_of_play_-‐_relocation_en.pdf 190 Cfr. comunicato stampa della Commissione europea, 2 Marzo 2017, La commissione chiede un rinnovato impegno nell’attuare le misure di solidarietà previste dall’Agenda europea sulla migrazione.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
56
Ungheria, che hanno manifestato il proprio dissenso in sede di adozione dello
strumento. In particolare l’Ungheria ha dichiarato di non voler partecipare alla
ricollocazione, pur essendo originariamente contemplata tra gli Stati beneficiari,
e ha presentato, unitamente alla Slovacchia, un ricorso di annullamento contro
tale decisione dinanzi alla Corte di giustizia191.
2. Le misure di solidarietà esterna. Il programma di reinsediamento e
l’ammissione umanitaria dalla Turchia
L’istituto del reinsediamento contempla la possibilità di trasferire in uno Stato
membro i beneficiari di protezione presenti nel territorio di uno Stato terzo, sul
presupposto che tale Stato non riconosca protezione o comunque non la fornisca
a livelli adeguati. L’Unione aveva già in precedenza previsto degli incentivi di
ordine economico per sostenere simili iniziative da parte degli Stati membri192, e
con la raccomandazione 2015/914193 la Commissione ha richiesto agli Stati membri
di reinsediare 20.000 persone nell’arco di due anni a decorrere dalla sua entrata in
vigore, cifra innalzata a 22.504 dai rappresentanti degli Stati membri riuniti in
sede di Consiglio il 20 Luglio 2015194. Il programma interessa i “profughi in
evidente bisogno di protezione internazionale”, in particolare coloro che
provengono da Medio Oriente, Nord Africa e Corno d’Africa195, e si realizza su
proposta dell’UNHCR196, al quale è demandato il compito di selezionare i
191 Entrambi i ricorsi sono attualmente pendenti di fronte alla Corte, C-‐643/15 e C-‐647/15. 192 Cfr. decisione 573/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 Maggio 2007, che istituisce il fondo europeo per i rifugiati e metteva a disposizione degli Stati un importo fisso di 4.000 euro per ogni persona reinsediata; decisione 281/2012/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 Marzo 2012, che modifica la regola precedente; regolamento n. 516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 Aprile 2014, che istituisce il Fondo asilo, migrazione e integrazione, artt. 7 e 17. 193 Raccomandazione 2015/914 della Commissione, dell’8 Giugno 2015, relativa a un programma di reinsediamento europeo. 194 Anche con riferimento a tale ipotesi ci si può chiedere se il ricorso al metodo intergovernativo sia compatibile con il diritto primario dell’Unione. Cfr. MORI, Le politiche relative all’asilo e all’immigrazione… cit. 195 Cfr. art. 6 raccomandazione 2015/914. 196 Cfr. art. 2 raccomandazione 2015/914.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
57
candidati ammissibili. Le decisioni di ammissione rimangono comunque di
competenza degli Stati, sulla scorta di controlli medici e di sicurezza197. Gli oneri
relativi al reinsediamento dovrebbero essere ripartiti tra gli Stati secondo uno
schema simile a quello previsto nell’ambito della seconda decisione sulla
ricollocazione, tenendo in considerazione: i) la popolazione (40%), ii) il PIL
(40%), iii) la media delle domande di asilo presentate spontaneamente e il
numero di rifugiati reinsediati per milione di abitanti tra il 2010 e il 2014 (10%), iv)
il tasso di disoccupazione (10%)198. Una volta reinsediati, i soggetti interessati
devono essere inseriti nella procedura di protezione internazionale, che qualora
abbia esito positivo comporta il riconoscimento dei diritti derivanti da tale status,
e viene specificato che ciò include le “condizioni e restrizioni” in materia di libera
circolazione nel territorio dell’Unione, per ribadire l’intenzione di contrastare i
movimenti secondari: chi si dovesse spostare in un altro Stato verrebbe quindi
rinviato nello Stato di reinsediamento199. A tal fine, i candidati al programma
devono essere informati dei loro diritti e obblighi prima del trasferimento200. Il
programma di reinsediamento, però, essendo disposto con raccomandazione
assume le caratteristiche di atto non vincolante: gli Stati membri non hanno
alcun obbligo di darvi attuazione e la loro partecipazione ha carattere meramente
volontario.
Nella stessa ottica si colloca il progetto di ammissione umanitaria gestito con la
Turchia a favore degli sfollati siriani bisognosi di protezione internazionale201.
Quest’ultimo è indirizzato alle persone sfollate a causa del conflitto in Siria
registrate dalle autorità turche prima del 29 Novembre 2015 e – salvi alcuni
accorgimenti – segue una procedura sostanzialmente identica a quella prevista in
tema di reinsediamento. Anche tale misura, in quanto adottata mediante
raccomandazione, non riveste carattere vincolante.
197 Cfr. art. 7 raccomandazione 2015/914. 198 Cfr. allegato I alla raccomandazione 2015/914. 199 Cfr. artt. 8, 9 e 11 raccomandazione 2015/915. 200 Cfr. art 10 raccomandazione 2015/914. 201 Cfr. raccomandazione 2015/9490 della Commissione, dell’11 Gennaio 2016, per un programma di ammissione umanitaria gestito con la Turchia.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
58
Per quanto riguarda la loro applicazione pratica, tali strumenti si sono rivelati di
scarsa incisività: al termine del 2015 sono stati reinsediati 3.358 richiedenti a
fronte dei 5.331 previsti, e il programma di ammissione umanitaria dalla Turchia è
stato rinviato al non meglio definito momento in cui vi sarà una sostanziale
riduzione dei flussi irregolari dalla Turchia. Quest’ultima previsione, in
particolare, è contenuta nel testo della dichiarazione UE-‐Turchia del 18 Marzo
2016, che, come si vedrà, ha introdotto un ulteriore meccanismo di
reinsediamento (il cd. “meccanismo 1:1”)202.
3. Prospettive di modifica del Sistema Europeo Comune di Asilo
Il fallimento del sistema di ricollocazione e la scarsa incisività del progetto di
reinsediamento hanno accelerato l’esigenza di ripensare l’approccio comunitario
alla crisi dei migranti. Le riflessioni si sono articolate secondo due direttive
principali: da un lato si è posta l’esigenza di ripensare il Sistema Europeo Comune
di Asilo, e dall’altro di intensificare la cooperazione con i Paesi terzi di origine e di
transito.
In merito al primo aspetto, il 6 aprile 2016 la Commissione europea ha pubblicato
una comunicazione203 in cui ipotizzava due possibili approcci alla revisione del
regolamento Dublino III: la prima soluzione considerava un intervento
marginale, che mantenesse nella sostanza la struttura dell’attuale sistema di
riparto di competenza, apportandovi però un “meccanismo di equità correttivo”
destinato ad operare a fronte di afflussi massicci; mentre la seconda e più audace
soluzione ipotizzava un nuovo sistema di distribuzione delle domande d’asilo,
basato non più sulla competenza dello Stato di primo ingresso ma su una “chiave
di distribuzione” che rifletta in termini relativi dimensioni, ricchezza e capacità di
202 Sul programma di reinsediamento e di ammissione umanitaria dalla Turchia, cfr. MORGESE, Recenti iniziative dell’Unione Europea per affrontare la crisi dei rifugiati, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, vol. 3-‐4, 2015, pag. 15-‐49. Sul meccanismo 1:1, infra, Capitolo IV, Sezione II. 203 COM(2016) 197 del 6 Aprile 2016, Riformare il sistema europeo comune di asilo e potenziare le vie legali di accesso all’Europa.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
59
assorbimento degli Stati membri. La Commissione sceglierà però di scartare l’idea
di una revisione radicale del sistema: nelle proposte presentate il 4 Maggio204 e il
13 Luglio 2016205, di cui si darà di seguito un breve accenno, è evidente l’intento di
mantenere invariato l’attuale assetto: l’obiettivo è ancora una volta quello di
limitare i movimenti secondari, da un lato attraverso procedure ridotte e veloci
per l’esame delle domande; e dall’altro attraverso la “retrocessione” della
responsabilità di tale esame ai Paesi di primo asilo o terzi sicuri di transito, o il
rinvio dei richiedenti a Paesi di origine considerati sicuri206. Il primo pacchetto di
riforme contiene tre proposte di regolamenti, riguardanti la rifusione del
regolamento Dublino, la nuova Agenzia europea per il sostegno all’asilo e la
riforma del sistema Eurodac (le ultime due, in particolare, si pongono in rapporto
di funzionalità con la prima); mentre il secondo pacchetto consiste in due
proposte di regolamento (segnatamente, procedure e qualifiche) e una proposta
di rifusione della direttiva accoglienza, aventi la finalità di creare una procedura
comune per la protezione internazionale e di uniformare gli standard di
204 COM(2016) 270, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide (rifusione); COM(2016) 271, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo e che abroga il regolamento (UE) n.439/2010; COM(2016) 272, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del consiglio che istituisce l’”Eurodac” per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n.604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide, per l’identificazione di cittadini di Paesi terzi o apolidi il cui soggiorno è irregolare e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol ai fini di contrasto (rifusione). 205 COM(2016) 465, Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione); COM(2016) 466, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria e sul contenuto della protezione riconosciuta, che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo; COM(2016) 467, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE. 206 Come osservato da CAGGIANO, 3 Ottobre 2016, Prime riflessioni sulle proposte di riforma del Sistema europeo comune d’asilo in materia di qualifiche, procedure e accoglienza, in www.sidiblog.org, ultima consultazione 8.12.2016. Cfr. art. 5 n. 1 COM(2016) 270.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
60
protezione, in linea con gli obiettivi sul lungo periodo delineati a Tampere. La
scelta di adottare i regolamenti come strumento normativo principale è coerente
con l’obiettivo di realizzare una disciplina europea armonizzata in materia di
asilo: essi sono infatti vincolanti in tutti i loro elementi, mentre le direttive si
limitano a delineare obblighi di risultato, lasciando agli Stati membri maggiore
discrezionalità in ordine alla realizzazione degli obiettivi posti dal legislatore UE.
Proprio la minore invasività delle direttive sembra porsi del resto a base della
scelta di mantenere tale strumento per la disciplina relativa all’accoglienza, a
fronte della particolare sensibilità del settore – a rischio, però, di mantenere
differenze anche sensibili nelle varie discipline nazionali.
In tema di qualifiche, va letta positivamente la decisione di estendere la nozione
di familiare ai fini del ricongiungimento, rilevando a tale scopo anche i legami
che si sono formati prima dell’arrivo in territorio europeo (e non più soltanto nel
Paese di origine)207; mentre lo stesso non si può dire per una delle novità più
rilevanti in tema di accoglienza, che contempla la sanzione dell’esclusione dalle
misure di accoglienza208 nei confronti di chi si sia spostato senza autorizzazione o
non abbia rispettato l’obbligo di presentare la domanda di protezione nello Stato
di primo ingresso (esplicitamente stabilito nella proposta di regolamento Dublino
IV, pena la valutazione della richiesta mediante procedura accelerata)209.
Per quanto riguarda il regolamento procedure, si segnalano l’introduzione di
207 Tra le altre novità in tema di qualifiche, si segnalano l’introduzione dell’obbligo per il richiedente di fornire, al momento di presentazione della domanda, tutti gli elementi a propria disposizione, cooperare con le autorità e restare sul territorio nel corso della procedura (art 4.1); l’introduzione di una condizione risolutiva in caso di cessazione delle circostanze esistenti al momento del riconoscimento della protezione internazionale (che si sostanzia quindi in un obbligo di revisione a carico degli Stati, al momento del rinnovo dei permessi) (art 14.1 e 20.1); il divieto per l’autorità di decidere sul presupposto che il richiedente si comporterà discretamente o si asterrà da pratiche inerenti la sua identità nel suo Paese di origine (art. 10.3), l’esclusione del riconoscimento della qualifica a fronte della commissione di taluni reati (art. 12.5), alcune modifiche in merito ai documenti di soggiorno e di viaggio e l’accesso ai diritti di carattere sociale (artt. 26 ss.) e la possibilità di limitare la libertà di movimento del richiedente nel territorio dello stato membro al fine di favorirne l’integrazione (art. 28.2). 208 Cfr. art. 17 COM(2016) 465. 209 Anche rispetto all’accoglienza, è prevista la possibilità di limitare la libertà di circolazione all’interno dello Stato (art. 7), la cui violazione è sanzionabile con la detenzione se vi è il rischio che il richiedente possa darsi alla fuga (art. 8.3), e la possibilità di limitare la parità di trattamento in alcuni settori sociali (art. 15).
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
61
scadenze più ravvicinate per la conclusione dell’iter complessivo, l’obbligatorietà
di condurre la procedura accelerata qualora ne ricorrano le circostanze (che ha
invece attualmente carattere facoltativo) e la previsione del termine di dieci
giorni per stabilire l’inammissibilità della domanda qualora dipenda
dall’applicazione dei concetti di Paese di primo asilo o Paese terzo sicuro (che
vengono a loro volta ridefiniti, infra Capitolo IV, Sezione I, par. 3).
Rispetto alla proposta di regolamento Dublino IV, le novità più consistenti
riguardano invece la previsione di una fase “pre-‐Dublino” 210 e di un meccanismo
permanente di ricollocazione211: il primo punto consiste nell’introduzione di una
fase preliminare, da condursi prima dell’applicazione dei criteri Dublino, volta ad
accertare l’inammissibilità della domanda in base ai concetti di Paese di primo
asilo o terzo sicuro, o ad applicare la procedura accelerata qualora il richiedente
provenga da un Paese di origine sicuro o possa, per gravi ragioni, essere
considerato un pericolo per la sicurezza nazionale o per l’ordine pubblico dello
Stato membro. In questi casi, lo Stato di primo ingresso rimane competente per
l’esame di ogni ulteriore dichiarazione o domanda reiterata. Il secondo punto
propone invece l’introduzione di meccanismo correttivo in base a una quota
limite (calcolata per il 50% in base a numero di abitanti e per il 50% in base al
PIL) di ciascuno Stato membro: dove le domande dello Stato beneficiario
superino il 150% della quota di riferimento, i richiedenti dovranno essere
ricollocati in un altro Stato membro di assegnazione, che diverrà competente per
l’esame della domanda212. Si tratterebbe, in altre parole, di un meccanismo di
assegnazione automatica delle domande nuove ad altri Stati membri, che
avrebbero però la possibilità di non partecipare a tale meccanismo versando un
210 Cfr. art. 3 par. 3, 4 e 5 COM(2016) 270. 211 Cfr. art. 34-‐43 COM(2016) 270. 212 Non è così nel caso di minori non accompagnati, soggetti che abbiano diritto al ricongiungimento familiare, persone a carico, soggetti che abbiano fatto ingresso nel territorio di uno Stato membro con esenzione del visto, soggetti che abbiano presentato la domanda di protezione internazionale nelle zone di transito di un aeroporto. In questi casi, sarà un terzo Stato membro ad essere competente per l’esame della domanda: lo Stato di assegnazione dovrà richiedere a detto Stato membro di prendere in carico il richiedente, e, se del caso, scegliere se trasferirlo in tale Stato membro o esaminare direttamente la domanda in qualità di Stato membro competente. Cfr. art. 39 COM(2016) 270.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
62
contributo finanziario.
La proposta di regolamento Dublino IV lascia molti dubbi circa l’effettiva
realizzazione del principio di solidarietà di cui all’art. 80 TFUE: le contraddizioni
relative al mantenimento della regola della competenza dello Stato membro di
primo ingresso, parallelamente all’introduzione di un meccanismo di
ricollocazione, sono del resto già emerse in ordine all’applicazione delle decisioni
sulla ricollocazione del 2015213; inoltre la fase “pre-‐Dublino” si risolverebbe, di
fatto, in una responsabilità addizionale dello Stato membro di primo ingresso,
poiché “obbliga” gli Stati di frontiera a farsi carico del 150% della quota di
domande che gli sarebbe normalmente assegnata214 – considerando in particolar
modo che dove le richieste risultino inammissibili o debbano essere soggette a
procedura accelerata, il meccanismo correttivo non troverebbe applicazione. I
criteri in forza dei quali deve essere individuato lo Stato membro di
ricollocazione non sono indicati con chiarezza, rischiando così di configurare il
sistema in termini di “blind-‐lottery approach”215, e la possibilità per gli Stati di
sottrarsi alla procedura di ricollocazione potrebbe contribuire alla creazione di un
sistema in cui è possibile “comprare” la solidarietà216.
Per la verità, già da tempo in dottrina erano stati avanzati dei suggerimenti per
213 Cfr. lo studio condotto da COSTELLO, GUILD, MORENO-‐LAX per la Commissione LIBE del Parlamento europeo, Implementation of the 2015 Council decisions establishing provisional measures in the area of international protection for the benefit of Italy and Greece, Marzo 2017. Nel caso italiano, il numero dei richiedenti inviati nuovamente in Italia mediante i trasferimenti Dublino ha superato il numero di richiedenti ricollocati dall’Italia, evidenziando l’assurdità del meccanismo “giving with one hand what is taken away with another”) 214 Cfr. GAUCI, 4 Maggio 2016, Leap ahead or more of the same? The european commission’s proposed revisions to Dublin system, in www.ejiltalk.org, ultima consultazione 18.01.2016. Per ulteriori commenti critici alla proposta di revisione del sistema Dublino, cfr. MORI, 7 settembre 2016, La proposta del sistema europeo comune d’asilo: verso Dublino IV?, in www.rivista.euojus.it, ultima consultazione 20.12.2016; HRUSCHKA, 17 Maggio 2016, Dublin is dead, long live Dublin!, in www.eumigrationlawblog.eu, ultima consultazione 18.01.2017; nonché lo studio condotto da MAIANI per la Commissione LIBE del Parlamento europeo, The reform of the Dublin III regulation, Giugno 2016; la relazione redatta da ECRE, ECRE comments on the Commission proposal for a Dublin IV regulation, Ottobre 2016; la lista di emendamenti proposti da DI FILIPPO e SCHIAVONE al progetto di relazione presentato dall’on.le Wilkstrröm al Parlamento europeo, reperibile su http://immigrazione.jus.unipi.it/wp-‐content/uploads/2017/03/The-‐Dublin-‐Reform-‐in-‐the-‐EP-‐Selected-‐Amendments-‐final.pdf. 215 Cfr. DI FILIPPO, 12 Ottobre 2016, Dublin “reloaded” or time for ambitious pragmatism?, , www.eumigrationlawblog.eu, ultima consultazione 8.12.2016. 216 Cfr. GAUCI, Leap ahead or more of the same?... cit.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
63
far fronte ai malfunzionamenti del sistema Dublino. Per ragioni di opportunità, in
tale sede ci si limiterà a dar conto di due proposte particolarmente interessanti: la
tesi che propone il mutuo riconoscimento dei provvedimenti di protezione
internazionale e l’estensione della libertà di movimento dei richiedenti, e la tesi
del “regolamento Atene”.
La prima tesi217 muove dal presupposto che il principio del mutuo riconoscimento
non riveste, allo stato attuale, nella materia della protezione internazionale il
medesimo ruolo che invece gli è riconosciuto in altri settori del diritto europeo (e
in particolare, dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia): a rivestire un ambito
di efficacia europeo è soltanto il diniego dello status, mentre il suo
riconoscimento spiega i suoi effetti unicamente sul territorio dello Stato
competente. Il beneficiario di protezione internazionale agli occhi degli altri Stati
membri appare come uno straniero “ordinario”. Un primo passo, per quanto
tardivo, si è realizzato con la direttiva 2011/51218, che modifica la direttiva 2003/109
per i residenti di lungo periodo, includendo rifugiati e titolari di protezione
sussidiaria tra i beneficiari di tale status, riconoscendo quindi la possibilità di
circolare liberamente nell’area Schengen per un massimo di novanta giorni in un
intervallo di sei mesi. Oltre a tale possibilità, però, non è riconosciuto ai titolari di
protezione alcun diritto di risiedere in un altro Stato. Garantire il pieno
riconoscimento dei provvedimenti ricognitivi della protezione e garantire la
libertà di circolazione potrebbe attenuare molte criticità: i richiedenti, sapendo di
potersi poi spostare in un secondo momento, non sarebbero incentivati
all’adozione di comportamenti elusivi, con un guadagno anche in termini di
rapidità delle procedure. Tale proposta trova la sua base giuridica nella
considerazione del fatto che il principio del mutuo riconoscimento sarebbe già
implicito nel disposto dell’art. 78 par. 2 lett. a) TFUE, ed estendere il diritto di
217 Proposta da FAVILLI, Reciproca fiducia, mutuo riconoscimento…, cit. 218 Direttiva 2001/51 del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11 Maggio 2011, che modifica la direttiva 2003/109 del Consiglio per estenderne l’ambito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale. E’ interessante sottolineare come tale direttiva è stata fondata sull’art. 79 par. 2 lett. a) e b) TFUE, e non sull’art. 78 par. 2 lett. a), del quale non è fatto alcun cenno nel preambolo della direttiva.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
64
circolazione anche ai cittadini di Paesi terzi rientrerebbe nei poteri dell’Unione ai
sensi dell’art. 79 par. 2 lett. b)219.
La seconda tesi220 parte invece dalla considerazione che il regolamento Dublino,
stabilendo criteri oggettivi per la determinazione dello Stato competente, non
lascia alcuno spazio alla volontà del richiedente, e in particolar modo non
vengono considerate le sue prospettive di integrazione e di emancipazione dal
sistema pubblico di accoglienza e integrazione. Si realizza così una situazione
lose-‐lose, per cui gli effetti negativi si riverberano tanto sui richiedenti quanto
sullo Stato di accoglienza, in termini di peso sul suo sistema di welfare, e sulla
stessa Unione, in quanto i fondi appositamente allocati dalla stessa rischiano di
rivelarsi inutili. Ciò posto, è possibile muovere una serie di critiche alla prima tesi,
osservando come il mutuo riconoscimento non sarebbe in realtà una vera e
propria “panacea”, poiché da un lato l’individuazione dei requisiti per godere del
diritto di soggiorno in uno Stato diverso da quello che ha accolto la domanda
potrebbe rivelarsi difficoltosa, e dall’altro perché dati i tempi spesso dilatati delle
procedure di riconoscimento, parrebbe illogico costringere un soggetto a
rimanere per molti mesi in un Paese per riconoscergli solo in seguito la possibilità
di spostarsi. La più ambiziosa soluzione proposta è quella di radicare, fin dal
principio, la competenza nello Stato membro più adatto, individuato sulla base di
una serie di “genuine links” che permettano di considerare il richiedente non
come mero “oggetto” della procedura, ma come soggetto co-‐partecipante. In
particolare, viene suggerito un “approccio olistico”, che pur riconoscendo la
necessità di elaborare soluzioni anche sul piano esterno221, propone l’adozione di
219 Inoltre, in alcune previsioni del sistema Dublino il principio di mutuo riconoscimento è già operativo: in particolare, cfr. art. 18 par. 1 lett. d) reg. 604/2013 e art. 33 par. 2 lett. d) direttiva 2013/32. 220 Proposta da DI FILIPPO, Considerazioni critiche in tema di sistema di asilo dell’UE e condivisione degli oneri, I diritti dell’uomo, vol. 1, 2015, pag. 47-‐60; sempre DI FILIPPO, From Dublin to Athens: a plea for a radical rethinking af the allocation of jurisdiction in asylum procedures, International Institute of Humanitarian Law, Policy Brief, January 2016. Dello stesso avviso PEERS, 8 Settembre 2015, The refugee crisis: what should the EU do next?, www.eulawanalysis.blogspot.it, ultima consultazione 8.12.2016 221 Quali un programma di reinsediamento funzionante, la previsione di ulteriori vie legali per l’accesso nell’Unione Europea (come l’ampliamento dei requisiti familiari per il ricongiungimento, una cooperazione con i Paesi di origine e di transito e la riduzione dei cd. push-‐factors).
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
65
un sistema di quote e il superamento del regolamento Dublino attraverso un
sistema denominato “regolamento Atene”, in forza del quale i criteri che
individuano lo Stato competente non sono più criteri puramente oggettivi, ma
prendono in considerazione fattori soggettivi quali la presenza di familiari
(definiti secondo un’accezione più ampia di quella attuale), l’aver svolto pregresse
esperienze lavorative o di studio nello Stato interessato, il possesso di qualifiche
professionali riconoscibili in quello Stato, le conoscenze linguistiche, altri legami
sociali come la presenza di amici o di associazioni di connazionali, l’esistenza di
uno sponsor locale che si occupi di accoglienza.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
66
SEZIONE II: LA COOPERAZIONE CON I PAESI DI ORIGINE E DI TRANSITO
1. Le spinte politiche verso il processo di esternalizzazione
La cooperazione con i Paesi terzi è indicata dall’Agenda europea sulla migrazione
tra le azioni fondamentali in tema di politica dell’immigrazione222. Le materie di
immigrazione e asilo sono naturalmente orientate verso una dimensione
“esterna”: il particolare carattere di tali settori ha reso inevitabile il profilarsi di
una profonda connessione tra le politiche interne dell’Unione e le sue azioni sul
piano esterno, soprattutto attraverso la conclusione di accordi internazionali e la
promozione di quadri di partenariato e cooperazione con Stati terzi. Infatti, è
possibile sostenere che la stessa effettività delle misure dell’Unione in tema di
asilo e immigrazione dipenda in larga misura dalla sua azione esterna, dovendosi
intendere come complementare rispetto alle misure interne223. Questa stretta
connessione ha altresì comportato il riverbero sul piano esterno di quelle
inefficienze delle politiche interne analizzate nei paragrafi precedenti, portando
così ad un’azione sempre più massiccia dell’Unione al di fuori delle proprie
frontiere, proprio al fine di sopperire a tali mancanze. Le ragioni di questo
processo di “esternalizzazione” devono però essere ricercate non soltanto su un
piano strettamente giuridico, ma anche politico. Soprattutto nei tempi più
recenti, nel dibattito pubblico si è assistito al crescente montare di sentimenti di
diffidenza nei confronti dello “straniero”, e in particolare del richiedente asilo,
facendo leva sul sospetto che dietro a chi richiede protezione si possa nascondere
un potenziale terrorista o un “semplice” migrante economico, non realmente
bisognoso di protezione internazionale. Questi sentimenti hanno reso la materia
dell’immigrazione sempre più politicizzata e hanno richiesto una risposta da
222 Per uno sguardo generale alle iniziative dell’Unione in tema di cooperazione con gli Stati terzi in materia di migrazione, cfr. lo studio condotto da GARCÍA ANDRADE, MARTÍN, VITA, MANANASHVILI per la Commissione LIBE del Parlamento europeo, Eu cooperation with third countries in the field of migration, Ottobre 2015. 223 Cfr. MONAR, The EU as international actor in the domain of justice and home affairs, European foreign affairs review, vol. 1, 2004, pag. 395-‐398.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
67
parte dei governi degli Stati membri che fosse, di fatto, improntata a una più
efficace gestione delle frontiere e al contenimento dei flussi migratori. La risposta
dei governi non si è fatta attendere, e si è manifestata con un particolare
attivismo nel campo delle relazioni esterne, attraverso azioni extraterritoriali
mirate fondamentalmente a rendere più difficoltoso l’ingresso dei migranti –
compresi i richiedenti asilo – e spesso presentate come funzionali alla
realizzazione di obiettivi di sicurezza e salvataggio di vite umane (e a combattere,
di conseguenza, le reti di trafficanti), piuttosto che come strategie di controllo e
contenimento delle migrazioni. Questo tipo di politiche prevede quindi il
coinvolgimento degli Stati terzi, da un lato attraverso l’assistenza allo sviluppo
nei confronti dei Paesi di origine, e dall’altro attraverso l’assistenza ai Paesi di
transito per quanto riguarda la gestione e il controllo dei flussi, indirizzando la
cooperazione principalmente alla riammissione dei migranti irregolari, al
controllo delle frontiere e alla presa in carico dei richiedenti asilo da parte di
Paesi terzi. L’ultimo punto interessa in particolare l’altro aspetto delle politiche di
esternalizzazione: non più e non solo esternalizzazione della gestione dei flussi
migratori e delle frontiere, ma esternalizzazione dei doveri inerenti alla
protezione internazionale. Questo tipo di pratiche trova il proprio fondamento
nei concetti di “Paese terzo sicuro” e di “Paese di primo asilo”, in forza dei quali ai
richiedenti protezione internazionale può essere impedito l’ingresso in un
determinato Stato, o può esserne disposto il trasferimento in uno Stato terzo
(normalmente, uno Stato di transito), sul presupposto che quest’ultimo possa
fornire (nel caso del Paese terzo sicuro) o abbia fornito (nel caso del Paese di
primo asilo) la medesima protezione o una protezione equivalente. Questa
tipologia di pratiche si presenta come discutibile per un ampio ordine di ragioni.
In primo luogo, la premessa concettuale da cui prende le mosse: l’obiettivo di
contenere i flussi diventa predominante rispetto all’obbligo di fornire protezione,
fino ad affievolire le differenze di posizione tra migranti “economici” e richiedenti
asilo, generando così un’insidiosa semplificazione che rischia di vedere entrambe
le categorie assorbite nel più ampio (e parimenti confuso) insieme dei migranti
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
68
“irregolari”. In secondo luogo, la compatibilità di questo tipo di politiche con gli
obblighi internazionali: spesso gli Stati terzi in considerazione non sono Stati
particolarmente virtuosi in tema di rispetto dei diritti umani, e lo Stato di
destinazione che abbia rimpatriato un asilante in uno di questi Stati terzi
potrebbe incorrere a sua volta in una violazione di obblighi internazionali (come
il divieto di refoulement indiretto).
Gli interventi guidati da questa logica di “esternalizzazione” sono molteplici e
non è possibile, per ragioni di opportunità, analizzarli tutti in questa sede. Giovi
soltanto ricordare che questo tipo di approccio non ha attecchito solamente in
territorio europeo, ma sembra aver assunto un’estensione sempre più globale –
basti guardare, a tal fine, alle politiche condotte da Stati Uniti e Australia224.
Tornando alla dimensione europea, la spinta verso l’esternalizzazione non è poi
così recente: già nel 2003 l’allora primo ministro britannico Tony Blair fece
circolare il documento “A new vision for refugees”, tramite il quale proponeva
l’istituzione di “Regional Protection Areas” (RPA) nei Paesi limitrofi ai Paesi di
origine dei richiedenti asilo. Le RPA avrebbero dovuto trovare collocazione nei
Paesi terzi in cui i richiedenti giunti in Europa avrebbero dovuto essere
rimpatriati, e in cui avrebbero in un secondo momento potuto presentare
richiesta di reinsediamento in uno Stato Europeo. La proposta però non trovò
l’appoggio sperato e fu ritirata prima del Consiglio europeo di Salonicco del
Giugno 2003, senza essere quindi mai formalmente messa in discussione225.
Questa “nuova visione” non è però stata abbandonata: sullo schema delle RPA,
nel Giugno 2004 la Commissione europea propose l’istituzione di “Programmi di
Protezione Regionale” (PPR) finalizzati “al rafforzamento della capacità delle aree
224 Si veda in questo senso FRELICK, KYSEL e PODKUL, The impact of externalization of migration controls on the rights of asylum seekers and other migrants, in Journal of migration and human security, vol. 4 n. 4, 2016, i quali prendono in considerazione, oltre alle politiche europee, le azioni di esternalizzazione da parte di Australia e Stati Uniti. Sull’argomento cfr. anche GARCÉS-‐MASCAREÑAS, 5 Gennaio 2017, More externalisation of migration control, pubblicato su http://www.statewatch.org/news/2017/jan/more-‐externalisation-‐migration.htm, ultima consultazione 4.5.2017. 225 Cfr. Human Rights Watch, 17 Giugno 2003, An unjust “vision” for Europe’s refugees, Human Rights Watch commentary on the U.K.’s “vision” proposal for the establishment of refugee processing centers abroad.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
69
situate in prossimità delle regioni di origine dei rifugiati”226. Già all’epoca vennero
sottolineate le preoccupazioni inerenti alla circostanza che l’obiettivo dell’Unione
fosse quello di utilizzare questi strumenti allo scopo di dichiarare i Paesi terzi
interessati come “Paesi terzi sicuri”, e rimpatriare di conseguenza di richiedenti
sulla base di accordi di riammissione stipulati con tali Paesi227. Alle porte del 2016,
di fronte alla comparsa della “crisi migratoria”, il leader del partito laburista dei
Paesi Bassi Diederik Samsom ha rilasciato al quotidiano “De Volkstrant”
un’intervista in cui esponeva la sua proposta (poi ribattezzata “piano Samsom”)
per ridurre radicalmente il numero di migranti e richiedenti asilo provenienti
dalla Turchia228: in cambio del reinsediamento annuale di un certo numero di
rifugiati (tra 150,000 e 250,000) dalla Turchia negli Stati membri che avessero
prestato il loro consenso (secondo Samsom, dieci Stati sarebbero stati sufficienti),
la Turchia avrebbe dovuto consentire al rimpatrio di tutti i migranti e richiedenti
asilo che avessero attraversato irregolarmente il confine greco-‐turco, facendosi
carico degli oneri di accoglienza e di quelli relativi alla presentazione delle
domande di protezione internazionale. Siffatta proposta differiva dal precedente
piano di azione UE-‐Turchia di Ottobre 2015 (infra, par. 5), poiché si rivolgeva
indifferentemente a migranti irregolari e richiedenti asilo, e conteneva l’implicita
affermazione del riconoscimento della Turchia come Paese terzo sicuro. Il “piano
Samsom” è particolarmente rilevante, perché si presenta come antesignano della
Dichiarazione UE-‐Turchia del 18 Marzo 2016 (che ne riprenderà le logiche di
fondo), e poiché rappresenta appieno la filosofia alla base dell’approccio europeo
alla questione migratoria: la criminalizzazione per se dello straniero e la
226 COM(2004) 410, Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo del 14 Giugno 2004, Migliorare l’accesso a soluzioni durature; cfr. anche COM(2005) 388, Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo del 1 Settembre 2005, relativa ai programmi di protezione regionale. 227 Cfr, fra i tanti, Human Rights Watch, Managing migrations means potential EU complicity in neighboring States’ abuse of migrants and refugees, Ottobre 2006, disponibile su http://www.refworld.org/docid/4534a3152.html, ultima consultazione 5.5.2017. 228 Una traduzione in inglese dell’intervista è disponibile su http://www.esiweb.org/rumeliobserver/2016/01/29/interview-‐with-‐diederich-‐samsom-‐on-‐his-‐plan-‐translated-‐28-‐january/, ultima consultazione 8.5.2017, mentre l’articolo originale in olandese è disponibile su http://www.volkskrant.nl/politiek/nederland-‐wil-‐vluchtelingen-‐per-‐kerende-‐veerboot-‐terugsturen-‐naar-‐turkije~a4233530/, ultima consultazione 8.5.2017.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
70
sovrapposizione di due categorie giuridiche tra loro distinte (i migranti
“irregolari” e i richiedenti asilo) per promuovere misure di controllo della
migrazione i cui effetti si ripercuotano non solo sui migranti non bisognosi di
protezione ma anche su coloro che invece presentano effettivamente tali bisogni.
Del resto, lo stesso piano di azione UE-‐Turchia nella sua prima sezione affronta la
questione migratoria come questione relativa ai rifugiati, mentre nella seconda
sezione viene esaminata invece come questione relativa alla migrazione
irregolare.
In tale humus politico hanno quindi iniziato ad abbozzarsi le risposte esterne
dell’Unione e dei suoi Stati membri alla “questione migranti”: le iniziative
dell’Unione sul piano esterno si sono quindi articolate prevalentemente in due
direzioni tra loro connesse, vale a dire l’impiego di strumenti finanziari a favore
dei Paesi terzi di origine e di transito, e il rafforzamento dei dialoghi in materia di
rimpatrio e riammissione, attraverso la conclusione di veri e propri accordi
internazionali o mediante la formula dei cd. “compacts”229.
2. Gli strumenti finanziari come risposta alla questione migratoria
Per quanto riguarda le risposte “finanziarie” alla crisi dei migranti del 2015, tra i
principali strumenti impiegati dalle politiche europee rientrano il Fondo europeo
fiduciario per l’Africa230, lo Strumento per i rifugiati in Turchia231 e il Fondo
fiduciario regionale dell’UE in risposta alla crisi siriana232. L’azione dell’Unione al
229 Sul punto, cfr. VITIELLO, L’azione esterna dell’Unione Europea in materia di immigrazione e asilo: linee di tendenza e proposte per il futuro, Diritto, immigrazione e cittadinanza, vol. 3-‐4, pag. 9-‐38. 230 Istituito con decisione della Commissione C(2015) 7293 del 20 Ottobre 2015. 231 Istituito con decisione della Commissione C(2015) 9500 del 24 Novembre 2015, relativa al coordinamento delle iniziative dell’Unione e degli Stati membri tramite un meccanismo di coordinamento – lo strumento per la Turchia a favore dei rifugiati, modificata dalla decisione della Commissione C(2016) 60/03 del 10 Febbraio 2016. 232 Istituito con decisione della Commissione C(2014) 9615 del 10 Dicembre 2014.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
71
riguardo è considerata al Titolo III, Parte V del TFUE, intitolato “cooperazione
con i Paesi terzi e aiuto umanitario”233.
L’11 e il 12 Novembre 2015 si è tenuto a La Valletta (Malta) il vertice sulle
migrazioni tra i capi di Stato o di Governo europei ed africani, organizzato dal
Consiglio europeo sulla scia dei processi di Rabat e di Khartoum, al termine del
quale è stata resa nota una “dichiarazione politica” pubblicata sul sito del
Consiglio, avente, tra gli altri, lo scopo di “rafforzare la lotta all’immigrazione
irregolare, in linea con gli accordi in tema di rimpatrio e riammissione”. Per
realizzare le indicazioni contenute nella dichiarazione, i partecipanti al summit
hanno concordato234 di dare attuazione al “piano di azione congiunto” annesso
alla dichiarazione, parimenti pubblicato sul sito web del Consiglio235. Il piano
d’azione ha previsto, tra i vari interventi, l’istituzione del Fondo europeo
fiduciario per l’Africa (EUTF) da parte di 25 Stati membri dell’Unione e di
Norvegia e Svizzera, come strumento finanziario destinato a “combattere le cause
profonde dell’immigrazione”, c’est-‐à-‐dire bloccare i flussi migratori, attraverso la
promozione di progetti di sviluppo, sull’assunto che un maggiore sviluppo
comporti una riduzione dei flussi migratori236. A tal fine la Commissione ha
233 Mentre il Fondo fiduciario dell’UE in risposta alla crisi siriana e il Fondo europeo fiduciario per l’Africa sono improntati, rispettivamente, all’aiuto umanitario e alla cooperazione allo sviluppo, lo Strumento per i rifugiati in Turchia sembrerebbe avere carattere trasversale: con la decisione istitutiva, la Commissione ha infatti effettuato esplicito riferimento agli artt. 210 par. 2 e 214 par. 6 TFUE. Per quanto cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario si configurino come politiche tra loro distinte, sembrerebbe che si tratti di una divisione “più formale che sostanziale” (cfr. FERRI, Convergenza delle politiche migratorie e di cooperazione allo sviluppo dell’Unione Europea e accordi con Stati terzi, Diritto, immigrazione e cittadinanza, vol. 3-‐4, 2016, pag. 36-‐69. 234 Nella versione originale in inglese “agreed”. 235 I testi di entrambi i documenti sono disponibili su http://www.consilium.europa.eu/it/meetings/international-‐summit/2015/11/11-‐12/, ultima consultazione 5.5.2017. 236 Interessante a tale proposito è il commento del rapporteur per i diritti dei migranti alle Nazioni Unite François Crepeau: “Toutes les études que j’ai consultées montrent l’inverse : plus de développement entraîne plus de migration. Car toutes les personnes qui voulaient partir depuis longtemps, mais n’en avaient pas les moyens, ont tout à coup les moyens de partir, donc elles quittent leur pays.”, pubblicato su http://www.euractiv.fr/section/aide-‐au-‐developpement/ news/le-‐developpement-‐accentue-‐les-‐migrations-‐affirme-‐un-‐rapporteur-‐de-‐l-‐onu/, ultima consultazione 4.05.2017.. Sul punto cfr. anche DE HAAS, Turning the tide? Why development will not stop migration, Development and change, vol. 38, n. 5, 2007, pag. 819-‐841; CLEMENS, Gli aiuti allo sviluppo non raggiungeranno il loro scopo, Diritto, immigrazione e cittadinanza, vol. 3-‐4, 2016, pag. 70-‐73.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
72
messo a disposizione 1,8 miliardi provenienti principalmente da Fondi allo
sviluppo: il 77% dalle riserve dell’undicesimo Fondo europeo allo sviluppo (EDF),
il resto integrato da specifici fondi regionali per l’Africa Centrale, l’Africa
dell’Ovest e il Corno d’Africa, dallo Strumento di cooperazione allo sviluppo
(DCI) e dallo Strumento europeo di vicinato (ENI). I Fondi Fiduciari sono
indirizzati ai Paesi principalmente interessati dalla rotta mediterranea: la regione
del Sahel e del lago Ciad, il Corno d’Africa e l’Africa del Nord. Al 2017 l’importo
totale del Fondo ammonta a 2,5 miliardi, dei quali 2,4 forniti dal Fondo Europeo
allo Sviluppo e 152 milioni da parte degli Stati membri237.
Per quanto riguarda lo Strumento per i rifugiati in Turchia, invece, tale intervento
finanziario si colloca nel complesso quadro di relazioni instaurato tra i Paesi
europei e la Turchia sfociato nella Dichiarazione del 18 Marzo 2016. A differenza
del Fondo europeo fiduciario per l’Africa, lo Strumento per i rifugiati in Turchia fa
esplicito riferimento alla crisi siriana, ed annovera, tra gli altri, l’obiettivo del
“migration management”238. L’ammontare del Fondo per i rifugiati in Turchia è
pari a 3 miliardi, di cui 1 miliardo proveniente dal bilancio dell’UE e 2 miliardi in
finanziamenti aggiuntivi degli Stati membri, e comprende due voci principali
indirizzate all’aiuto umanitario e non umanitario. Per quel che concerne la quota
a carico dell’Unione, le fonti vanno rinvenute tra il regolamento (CE) n. 1257/96
del Consiglio relativo all’aiuto umanitario (HUMA), lo Strumento europeo di
vicinato (ENI), lo Strumento di cooperazione allo sviluppo (DCI), lo Strumento di
237 Dati presentati dal documento della Commissione “EU Emercency trust fund for Africa, trust fund for stability and addressing root causes of irregular migration and displaced persons in Africa”, disponibile su https://eeas.europa.eu/sites/eeas/files/factsheet_ec_format_eu_ emergency_trust_fund_for_africa_2017.pdf, ultima consultazione 5.5.2017. In particolare, l’Italia ha sostenuto il Fondo Fiduciario istituito alla Valletta con 10 milioni di euro, posizionandosi così tra i primi due Paesi, insieme al Belgio, ad aver maggiormente contribuito. Per un commento circa le azioni dell’Unione e le proposte del governo italiano in tema di contenimento dei flussi migratori, cfr. il rapporto ARCI Le tappe del processo di esternalizzazione del controllo delle frontiere in Africa, dal Summit della Valletta ad oggi, Giugno 2016, pubblicato su http://www.integrationarci.it/wpcontent/uploads/2016/06/esternalizzazione_docanalisiARCI_IT.pdf , ultima consultazione 4.5.2017. 238 È interessante notare come, mentre nella decisione della Commissione di istituzione del fondo non venga esplicitamente fatto riferimento al “migration mangement”, la prima relazione annuale sullo strumento per i rifugiati in Turchia (COM(2017) 130 del 2 Marzo 2017), nel richiamare l’art. 3 par. 2 della prima decisione della Commissione collochi invece la “gestione della migrazione” al secondo posto tra i settori prioritari cui il Fondo deve essere indirizzato.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
73
assistenza preadesione (IPA II) e lo Strumento inteso a contribuire alla stabilità e
alla pace (IcSP).
In ordine al ricorso a tale tipo di strumenti si impongono una serie di
considerazioni circa il ruolo ricoperto da questa strategia, al di là della
realizzazione delle misure operative considerate. In primo luogo, l’allocazione di
fondi da parte della Commissione riveste una valenza simbolica e comunicativa:
risponde ad un’esigenza di “rassicurazione” nei confronti degli Stati membri, degli
Stati terzi e, più in generale, dell’opinione pubblica, per lanciare il messaggio che
l’Unione abbia assunto un “reale” impegno in termini di gestione della crisi.
Inoltre, in entrambi gli strumenti considerati, così come nel caso del Fondo
fiduciario regionale dell’Ue in risposta alla crisi siriana, è mancato quasi
completamente qualsivoglia tipo di coinvolgimento del Parlamento europeo239
(esclusione solo parziale per quanto riguarda lo Strumento per i rifugiati in
Turchia, per cui soltanto la parte a carico del bilancio dell’UE deve essere soggetta
ad approvazione congiunta da parte del Parlamento europeo e Consiglio, ma
solamente nei casi in cui sia necessario un emendamento all’atto di bilancio). Ad
ogni modo, per quanto qui interessa, il contesto emergenziale in cui sono stati
realizzati ha reso possibile un “cambiamento di rotta” in ordine agli obiettivi cui
tali dispositivi sono preordinati, passando dall’obiettivo dello sviluppo a quello
della gestione delle migrazioni. Ad esempio, per quanto riguarda il Fondo
fiduciario per l’Africa (malgrado la sua denominazione faccia riferimento alla
necessità di “combattere le cause profonde delle cause della migrazione”), i
documenti relativi agli interventi dedicati al settore del Nord Africa (in quanto i
239 In ordine all’esclusione del Parlamento europeo rispetto ai Fondi fiduciari per l’Africa, cfr. PRESTIANNI, Le torbide basi economiche dell’esternalizzazione delle politiche di immigrazione e asilo dell’Unione Europea in Africa, Diritto, immigrazione e cittadinanza, vol. 3-‐4, pag. 74-‐81.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
74
Paesi di tale zona sono per lo più Paesi di transito)240, e alla regione del Sahel e
del lago Ciad241 ne sono testimonianza242.
3. L’intensificazione degli sforzi in materia di rimpatrio e riammissione. La
formula dei “compacts"
Le politiche di gestione delle migrazioni si indirizzano, inoltre, ad una maggiore
efficacia delle operazioni di rimpatrio e riammissione. Del resto, il piano d’azione
relativo al vertice de La Valletta 2015 esplicita la necessità di rafforzare la
cooperazione al fine di facilitare i rimpatri, e richiama a tale scopo l’art. 13
dell’Accordo di Cotonou tra Unione Europea e Paesi ACP (Africa, Caraibi e
Pacifico)243, il cui par. 5 lett. c) fa riferimento all’obbligo degli Stati firmatari di
collaborare alla riammissione dei propri cittadini. Il collegamento tra impiego di
strumenti finanziari e collaborazione dei Paesi terzi interessati in tema di
gestione delle frontiere e di rimpatrio ha indotto alcuni a parlare di
“monetizzazione” della gestione della crisi migratoria, e a denunciare il pericolo
della condizionalità degli aiuti allo sviluppo in quest’ottica. Emblematico, in
questo senso, è quanto affermato nelle conclusioni del Consiglio europeo del 15
Ottobre 2015, in cui viene sottolineata la necessità di “rafforzare ulteriormente
l'effetto leva nei settori del rimpatrio e della riammissione, ricorrendo se del caso
al principio ‘di più a chi fa di più’".
240 Cfr. Commissione europea, The European Union emergency trust fund for stability and addressing root causes of irregular migration and displaced persons in Africa – Strategic orientation document, North Africa window, pag. 25 e ss. 241 Cfr. il comunicato stampa della Commissione del 13 Giugno 2016, Description of the six new measures adopted to tackle the root causes of irregular migration and displaced persons in the Sahel region and Lake Chad Basin. 242 Come osservato da DEN HERTOG, EU budgetary responses to the “refugee crisis” reconfiguring the funding landscape, CEPS papers n. 93, Maggio 2016. L’autore sottolinea inoltre come queste azioni sollevino una serie di perplessità in ordine ai pericoli inerenti alla “monetizzazione” di questioni inerenti a rifugiati e protezione internazionale, alla compatibilità con le norme e i principi relativi ai fondi UE già esistenti da cui sono state prelevate le risorse, e all’esiguo spazio riservato alle organizzazioni non governative. 243 Accordo di partenariato 2000/483/CE tra i membri del gruppo dei Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico e l’Unione Europea, firmato a Cotonou il 23 Giugno 2000.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
75
L’aumento dei tassi di rimpatrio è posto tra gli obiettivi principali anche dalla
comunicazione della Commissione del 7 Giugno 2016 sulla creazione di un nuovo
quadro di partenariato con i Paesi terzi244. Prendendo atto della presenza di “un
divario fra aspettative e risultati in termini di rimpatrio e riammissione”, la
Commissione ha nei mesi seguenti intensificato i propri sforzi in questa
direzione, proponendo la formula dei cd. “compacts” (nella versione italiana,
“patti”), definiti come “un nuovo quadro politico per una cooperazione costante e
operativa”245, da cui “possono scaturire accordi internazionali ufficiali, come gli
accordi di riammissione”. Allo stesso tempo però la Commissione si premura di
specificare che “l’approccio basato sui patti evita tuttavia il rischio che
l’attuazione pratica venga ritardata da negoziati tecnici per un accordo formale a
tutto tondo”. Quest’ultimo assunto sembra quasi assumere le vesti di una
dichiarazione-‐manifesto: sulla base della (poco convincente) esigenza di evitare
inutili negoziati, la Commissione si professa pronta ad assumere impegni
internazionali, senza però ricorrere agli strumenti formali messi a disposizione a
tal fine dal diritto internazionale: i trattati internazionali. Questa linea politica
sarà effettivamente seguita dall’Unione nelle sue azioni successive246, delineando
così un quadro giuridico confuso che vede da un lato l’assunzione di impegni da
parte dell’Unione per mezzo di una condotta irrispettosa del diritto
internazionale, e dall’altro un nuovo protagonismo degli Stati membri sulla scena
internazionale247.
244 COM(2016)385, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca europea per gli investimenti sulla creazione di un nuovo quadro di partenariato con i Paesi terzi nell’ambito dell’agenda europea sulla migrazione. 245 COM(2016) 700, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, prima relazione sui progressi compiuti relativamente al nuovo quadro di partenariato con i Paesi terzi nell’ambito dell’agenda europea sulla migrazione. 246 Cfr. in tal senso Association européenne pour la défense de droits de l’homme, “Partnerships”, “migration compacts” … the new dress up of the externalisation of the european migration policy, disponibile su http://www.aedh.eu/Partnerships-‐migration-‐compacts.html, ultima consultazione 5.5.2017. 247 Si veda in tal senso il memorandum recentemente concluso dallo Stato Italiano con la Libia, Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana, il cui testo è reperibile su http://www.meltingpot.org/Memorandum-‐d-‐
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
76
4. La Dichiarazione UE-‐Turchia del 18 Marzo 2016 come modello di una
nuova strategia europea
Il risultato più evidente di tale strategia è la Dichiarazione UE-‐Turchia del 18
Marzo 2016 (come denominata sul sito del Consiglio europeo, di seguito
“Dichiarazione”), che sarà oggetto di analisi nei paragrafi successivi. L’importanza
di tale documento viene in rilievo in quanto lo stesso rischia di configurarsi come
“capostipite” di una serie di interventi mirati ad una gestione delle migrazioni
improntata ad una logica di contenimento a scapito dei diritti dei richiedenti
asilo e degli altri obblighi internazionali in materia: in tal senso, il “Joint Way
Forward on migration issues” concluso dall’Unione Europea con la Repubblica
Islamica dell’Afghanistan del 2 Ottobre 2016 sembra essere stato concepito sulla
falsariga della Dichiarazione con la Turchia248.
La Dichiarazione è stata definita come “semplice” manifesto politico da parte
degli attori istituzionali coinvolti, ma sembra presentare una serie di aspetti
chiaroscurali che hanno portato a mettere in dubbio il carattere della sua
struttura, inducendo alcuni ad affermare che si tratti non già di una mera
dichiarazione di intenti, bensì di un vero e proprio accordo internazionale.
Chiamato, tra le altre questioni, a rispondere sul punto249, il Tribunale
dell’Unione Europea ha accuratamente evitato di pronunciarsi al riguardo,
lasciando la questione tutt’altro che risolta. Qualora si scelga di sposare la tesi del
carattere vincolante della Dichiarazione, come nel presente elaborato (cfr.
intesa-‐Italia-‐Libia.html#.WQyv_VJaaCQ. È interessante notare come l’applicazione delle previsioni contenute nel memorandum sia stata formalmente sospesa in via cautelare dal Tribunale amministrativo di Tripoli il 22 Marzo 2017, cfr. il commento di ASGI disponibile su https://www.asgi.it/wp-‐content/uploads/2017/03/2017_3_26_Sospensione-‐del-‐memorandum_Nota_ASGI.pdf, ultima consultazione 5.5.2017 e GIUFFRE, 20 Marzo 2017, From Turkey to Libya: the EU migration partnership from bad to worse, Eurojus.it, http://rivista.eurojus.it/from-‐turkey-‐to-‐libya-‐the-‐eu-‐migration-‐partnership-‐from-‐bad-‐to-‐worse/, ultima consultazione 20.5.2017. 248 Joint way forward on migration issues between Afghanistan and the EU, il cui testo è reperibile su https://eeas.europa.eu/sites/eeas/files/eu_afghanistan_joint_way_forward_on_migration_issues.pdf, ultima consultazione 7.5.2017. 249 Cfr. ordinanze del Tribunale del 28 Febbraio 2017, T-‐192/16, T-‐193/16, T-‐257/15, N.F., N.G. e N.M. v. Consiglio Europeo, del 28 Febbraio 2017.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
77
Capitolo III, par. 1), si pongono una serie di considerazioni. Anzitutto, la
questione inerente all’individuazione dei suoi autori: su tali aspetti il Tribunale ha
invece espresso una posizione definita, stabilendo che se un accordo
internazionale è stato concluso, la sua paternità deve essere rinvenuta in capo, da
un lato, alla Repubblica di Turchia, e dall’altro (non all’Unione Europea bensì) ai
capi di Stato o di Governo degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio.
Qualora una simile impostazione dovesse essere confermata dalla Corte – le
ordinanze sono infatti state impugnate dinanzi alla CGUE, ai sensi dell’art. 256
par. 1, secondo periodo TFUE – le preoccupazioni di quanti vedono in atto un
processo di “disintegrazione” dell’Unione Europea finirebbero, probabilmente,
con il trovare una giustificazione, a fronte del delinearsi di un quadro di
retrocessione dal metodo “comunitario” al metodo intergovernativo. Come si
vedrà, inoltre, considerare la Dichiarazione come un trattato internazionale
comporta un’ulteriore conseguenza: quella del mancato rispetto delle
disposizioni procedurali in tema di conclusione dei trattati, previste
rispettivamente dal diritto dell’Unione e dalle norme nazionali degli Stati membri
in tema di ratifica (in altre parole, tale problema procedurale si presenterebbe sia
che si scelga di ricondurre la responsabilità della Dichiarazione all’Unione, sia che
si scelga di identificarla in capo agli Stati membri che la compongono).
In secondo luogo, l’ulteriore insieme di complicazioni generate dalla
Dichiarazione inerisce al suo contenuto sostanziale. Il testo della Dichiarazione
contiene una serie di previsioni che sollevano seri dubbi di compatibilità con una
serie di principi fondamentali del diritto d’asilo e di tutela dei diritti umani, tra
tutti, il divieto di refoulement, il divieto di espulsioni collettive riconosciuto
dall’art. 4 del Protocollo addizionale n. 4 CEDU e il divieto di discriminazione
sulla base del Paese d’origine, sancito dall’art. 3 della Convenzione di Ginevra
sullo status dei rifugiati.
La Dichiarazione del 18 Marzo 2016 costituisce quindi il modello di una duplice
tendenza: da un lato, la spinta verso l’esternalizzazione della gestione delle
frontiere e delle procedure di asilo attraverso un impiego strumentale di risorse
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
78
finanziarie che dovrebbero essere destinate allo sviluppo e all’aiuto umanitario, e
dall’altro la spinta centrifuga verso un sempre più marcato protagonismo degli
Stati membri a detrimento del ruolo internazionale dell’Unione Europea e delle
conquiste ottenute grazie al Trattato di Lisbona, come del resto testimoniato
dalla bozza di accordo pre-‐Brexit “Una nuova intesa per il Regno Unito
nell’Unione Europea”, esplicitamente indirizzato ad erodere il traguardo di
un’Unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa riconosciuto dal preambolo e
dall’art. 1 TUE250.
L’analisi della Dichiarazione sarà quindi suddivisa in due principali ambiti di
studio: la prima parte sarà focalizzata sulla sua ambigua natura giuridica, la
seconda avrà invece ad oggetto il suo contenuto e la sua compatibilità con i
principi in materia di asilo e diritti umani.
5. Le tappe delle relazioni UE-‐Turchia e il contenuto della Dichiarazione
Dopo aver riconosciuto il carattere essenziale dei partenariati con i Paesi di
origine e di transito – menzionando gli schemi già in atto, come i cd. processi di
Rabat e di Khartoum – la Turchia viene indicata nell’Agenda per le migrazioni
come “un buon esempio di quanto ci sia da guadagnare nell’intensificare la
cooperazione”251. In una successiva comunicazione252, riconoscendo la Turchia
come uno dei Paesi che subiscono maggiormente la pressione migratoria
(assieme a Giordania e Libano), la Commissione anticipa di aver avviato un ampio
dialogo su tutti gli aspetti della migrazione. Tale trattativa ha in verità origini più
risalenti, e vede da un lato la stretta connessione tra la disponibilità della Turchia 250 Cfr. Una nuova intesa per il Regno Unito nell’Unione Europea, 23 Febbraio 2016, OJ C 691. Per un commento relativo a tale accordo, cfr. WEISS, BLOCKMANS, The EU deal to avoid Brexit: take it or leave, CEPS special report, n. 131, Febbraio 2016; PISTOIA, 15 Giugno 2016, Brexit: Should they stay…, http://www.sidiblog.org/2016/06/15/i-‐brexit-‐should-‐they-‐stay/, ultima consultazione 12.6.2017. 251 COM(2015) 240 cit., pag. 9. 252 COM(2015)490, Comunicazione della commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, Gestire la crisi dei rifugiati: misure operative, finanziarie e giuridiche immediate nel quadro dell’Agenda europea sulla migrazione.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
79
a negoziare accordi di riammissione e dall’altro la disponibilità dell’Unione a
concludere gli accordi sull’adesione e sulla liberalizzazione dei visti. Un accordo
di riammissione253 è stato effettivamente concluso nel 2013, ma l’entrata in vigore
delle disposizioni relative alla riammissione dei cittadini di Paesi terzi e apolidi254
è stata posticipata al 1 Ottobre 2017, proprio perché era in programma di
concludere l’accordo sulla liberalizzazione dei visti entro lo stesso anno.
Dalla seconda metà del 2015 prendono piede una serie di incontri bilaterali per
incrementare la cooperazione e stabilire nuovi vincoli: in tale contesto viene
definito il Piano di azione comune UE-‐Turchia del 15 Ottobre 2015255, che
individua due obiettivi principali: il supporto ai Siriani beneficiari di protezione
temporanea in Turchia e il rafforzamento della cooperazione per prevenire
l’immigrazione irregolare. In ordine al secondo punto, a carico dell’Unione
vengono definiti impegni di tipo prevalentemente economico, volti a supportare
la Turchia per il soddisfacimento dei requisiti necessari nell’ambito del dialogo
per la liberalizzazione dei visti e a incrementare lo sviluppo del sistema di asilo
turco, mentre tra i vincoli in capo alla Turchia viene menzionata l’accelerazione
delle procedure relative alla riammissione dei migranti irregolari. Inoltre, in base
a tale piano è stata adottata la raccomandazione sul piano di ammissione
umanitaria a favore degli sfollati (infra, Sezione I, par. 2). Nel medesimo contesto
si collocano le conclusioni del Consiglio europeo del 15 Ottobre 2015 – nelle quali
viene esplicitato l’obiettivo del contenimento dei flussi, cui tale cooperazione è
funzionale – e la dichiarazione dei capi di Stato o di Governo del 7 Marzo 2016, in
cui si rileva che “nonostante i progressi realizzati nell’attuazione del Piano di
azione UE-‐Turchia, il numero di ingressi illegali dalla Turchia continuava ad
essere troppo alto ed era necessario ridurlo considerevolmente”. Sulla base di tali 253 Accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare tra l’Unione Europea e la Repubblica di Turchia, 7 Maggio 2014. 254 Artt. 4 e 6 di detto accordo. L’entrata in vigore di tali disposizioni sarà poi riportata al 1 Giugno 2016 con decisione 2016/551 del Consiglio del 23 Marzo 2016 che stabilisce la posizione che dev'essere adottata a nome dell'Unione europea in sede di comitato misto per la riammissione in merito a una decisione del comitato misto per la riammissione sulle modalità di attuazione per applicare gli articoli 4 e 6 dell'accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare tra l'Unione europea e la Repubblica di Turchia a decorrere dal 1° giugno 2016. 255 Piano di azione comune UE-‐Turchia del 15 Ottobre 2015, attivato il 29 Novembre 2015.
Capitolo II Le risposte dell’UE alla crisi migratoria
80
presupposti, vengono delineati i punti principali che formeranno oggetto della
successiva Dichiarazione del 18 Marzo: i) il ritorno di tutti i nuovi migranti
irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche; ii) il
reinsediamento, per ogni siriano che la Turchia riammette dalle isole greche, di
un altro siriano dalla Turchia all’UE (cd. meccanismo 1:1); iii) l’impegno da parte
della Turchia ad adottare qualsiasi misura necessaria per evitare nuove rotte
marittime o terrestri di migrazioni irregolari verso l’UE, e a collaborare con la
stessa UE e con i Paesi vicini a tale scopo; iv) l’accelerazione dell’attuazione della
tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti; v) l’accelerazione dell’erogazione
dei 3 miliardi di euro previsti nell’ambito dello Strumento per i rifugiati in
Turchia; vi) l’apertura di nuovi capitoli dei negoziati di adesione della Turchia
all’Unione Europea; vii) la previsione di una collaborazione tra UE e Turchia per
migliorare la situazione umanitaria in Siria.
81
CAPITOLO III
LA NATURA DELLA DICHIARAZIONE DEL 18 MARZO 2016
Sommario: 1. Natura giuridica della dichiarazione: mero impegno politico o trattato internazionale?; -‐ 2. Le parti dell’accordo: Unione Europea o singoli Stati membri?; -‐ 3. Validità formale della Dichiarazione sul piano del diritto internazionale.
1. Natura giuridica della Dichiarazione: mero impegno politico o trattato
internazionale?
La prima questione che è necessario chiarificare inerisce all’individuazione del
carattere vincolante o meno della Dichiarazione. Il testo della Dichiarazione è
stato oggetto di tre ricorsi presentati di fronte al Tribunale dell’Unione Europea:
in tale occasione ricorrenti hanno affermato che la Dichiarazione rappresenta un
accordo internazionale riconducibile all’Unione Europea, lamentando al
contempo la violazione del principio di non respingimento e del divieto di
espulsioni collettive. Il Tribunale ha esplicitamente richiesto al Consiglio
europeo, al Consiglio e alla Commissione di specificare se il meeting del 18 Marzo
2016 avesse dato luogo ad un accordo scritto, e di fornire la documentazione
necessaria per l’identificazione dei suoi autori256. Per quanto riguarda la posizione
delle istituzioni europee chiamate in causa, il Consiglio europeo ha affermato che
“to the best of its knowledge, no agreement or treaty […] had been concluded
between the European Union and the Republic of Turkey”, aggiungendo che la
Dichiarazione sarebbe soltanto il frutto di un dialogo internazionale tra gli Stati
membri e la Repubblica di Turchia e che – alla luce del suo contenuto e
dell’intenzione dei suoi autori – non era mirata a produrre effetti legalmente
256 Cfr. par. 26 ordinanza T-‐192/16. Per ragioni di economia, i riferimenti verranno effettuati solo all’ordinanza T-‐192/16, avendo i tre ricorsi contenuto fondamentalmente analogo.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
82
vincolanti né a costituire un accordo o trattato257. Tale posizione è stata
pienamente condivisa dal Consiglio258 e dalla Commissione, la quale ha aggiunto
che “it is clear form the vocabulary used in the EU-‐Turkey Statement […] that this
was not a legally binding agreement, but a political arrangement”259. Da parte sua,
il Tribunale ha scelto di non prendere posizione, limitandosi ad affermare che
“even supposing that an international agreement could have informally
concluded during the meeting of 18 March 2016 […], that agreement would have
been an agreement concluded by the Heads of State or Government of the
Member States of the European Union and the Turkish Prime Minister”260,
concludendo di non avere giurisdizione per quanto riguarda gli accordi conclusi
da parte degli Stati membri261: ai sensi dell’articolo 263 TFUE, infatti la Corte può
esercitare un controllo di legittimità solo su atti riferibili all’Unione europea. La
posizione sostenuta dalle istituzioni ha trovato appoggio anche da una parte della
letteratura, principalmente facendo leva su tre argomenti: la circostanza che la
forma assunta dalla Dichiarazione è quella, appunto, di una dichiarazione
(“statement”); che le espressioni in essa utilizzate sarebbero quelle proprie degli
strumenti non vincolanti (in particolare l’uso del verbo modale “will”, in luogo di
“shall”) e che la Dichiarazione non conterrebbe nuovi obblighi ma si limiterebbe a
ribadire obblighi giuridici preesistenti. Effettivamente, la Dichiarazione non è
denominata come “accordo”, non è stata firmata né pubblicata dalle parti
interessate e il suo contenuto deriva da una pluralità di documenti (in particolare
due comunicati stampa, una comunicazione della Commissione e un Piano
d’azione) di per sé non definibili come accordi262.
257 Cfr. par. 27 ordinanza T-‐192/16. 258 Cfr. par. 31 ordinanza T-‐192/16. 259 Cfr. par. 29 ordinanza T-‐192716. Dello stesso avviso è il parere del Servizio giuridico del Parlamento europeo. Esposto oralmente nella seduta del 9 Maggio 2016 della Commissione libertà civili, giustizia e affari interni – LIBE – del Parlamento europeo: aspetti giuridici della dichiarazione UE-‐Turchia del 18 Marzo 2016, LIBE/8/06399, presentazione a cura del Servizio giuridico, disponibile su www.europarl.eu. 260 Cfr. par. 72 ordinanza T-‐192/16. 261 Cfr. par. 73 ordinanza T-‐192/16. 262 Cfr., tra gli altri, FERNÁNDEZ ARRIBAS, The EU-‐Turkey agreement: a controversial attempt at patching up a major problem, European Papers, vol. 1, n. 3, 2016, pag. 1097-‐1104; CIERVO, Ai confini di Schengen, la crisi dell’Unione Europea tra “Sistema hotspot” e Brexit, Costituzionalismo.it, vol. 3,
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
83
In primo luogo, è doveroso sottolineare che l’adozione di strumenti non
vincolanti non comporta, di per sé, l’esclusione di qualsiasi tipo di effetto
giuridico sul piano del diritto internazionale, in quanto, sulla base del principio di
buona fede, possono generare quantomeno le aspettative degli Stati parte in
ordine al rispetto delle previsioni in essi contenute263. Ad ogni modo, da altra
parte della letteratura sono state sollevate svariate obiezioni riguardo alla natura
della Dichiarazione, volte a questionare il carattere di soft law che le è stato
attribuito264. Per quanto riguarda la prima argomentazione, le Convenzioni di
Vienna sul diritto dei Trattati265 definiscono (articolo 2, par. 1 lettera a) di
2016; PEERS, The Draft EU/Turkey deal on migration and refugees: is it legal?, 16 Marzo 2016, http://eulawanalysis.blogspot.it/2016/03/the-‐draft-‐euturkey-‐deal-‐on-‐migration.html, ultima consultazione 24.11.16. L’autore osserva però che I singoli elementi che compongono la Dichiarazione hanno invece di per sé efficacia vincolante, suggerendo la possibilità di impugnazione (ormai improponibile, a fronte della scadenza del termine di due mesi previsto dall’art 263) da parte del Parlamento europeo o degli Stati membri di un particolare strumento vincolante: la decisione 2016/551 del Consiglio concernente la posizione dell’UE in merito all’accordo di riammissione UE-‐Turchia. Dell’avviso per cui non si tratti un vero e proprio accordo dell’UE, cfr. anche il comunicato ASGI L’accordo tra il Consiglio europeo e la Turchia del 17/18 marzo 2016 è illegale, disponibile su http://www.asgi.it/wp-‐content/uploads/2016/03/2016-‐_Comunicato_accordi-‐turchia-‐17-‐18-‐marzo-‐2016.pdf, ultima consultazione 8.5.2017. 263 Cfr. DAILLIER, FORTEAU, PELLET, Droit international public, LGDJ, Paris, 2009, pag. 30. 264 Cfr. FAVILLI, La cooperazione UE-‐Turchia per contenere il flusso dei migranti e richiedenti asilo: obiettivo riuscito?, Diritti umani e diritto internazionale, vol. 10, n. 2, 2016, pag. 405-‐426; CANNIZZARO, Disintegration through law?, European Papers, vol. 1, n. 1, 2016, pag. 3-‐6; SPIJKERBOER, Minimalist reflections on Europe, refugees and law, European Papers, vol. 1, n. 2, 2016, pag. 533-‐558; CORTEN, DONY, Accord politique ou juridique: quelle est la nature du “machin”conclu entre l’UE et la Turquie en matière d’asile?, EU Immigration and Asylum Law Policy, 10 Giugno 2016, http://eumigrationlawblog.eu/accord-‐politique-‐ou-‐juridique-‐quelle-‐est-‐la-‐nature-‐du-‐machin-‐conclu-‐entre-‐lue-‐et-‐la-‐turquie-‐en-‐matiere-‐dasile/, ultima consultazione 2.4.2017 ore 15.45; DEN HEIJER, SPIJKERBOER, Is the EU-‐Turkey refugee deal a treaty?, EU law analysis, 7 Aprile 2016, http://eulawanalysis.blogspot.it/2016/04/is-‐eu-‐turkey-‐refugee-‐and-‐migration-‐deal.html, ultima consultazione 20.10.2016; GATTI, The EU-‐Turkey statement: a treaty that violates democracy, EJIL: Talk!, 18 Aprile 2016, https://www.ejiltalk.org/the-‐eu-‐turkey-‐statement-‐a-‐treaty-‐that-‐violates-‐democracy-‐part-‐1-‐of-‐2/, ultima consultazione 24.11.2016, e La dichiarazione UE-‐Turchia sulla migrazione: un trattato concluso in violazione delle prerogative del Parlamento?, Eurojus.it, 11 Aprile 2016, http://rivista.eurojus.it/la-‐dichiarazione-‐ue-‐turchia-‐sulla-‐migrazione-‐un-‐trattato-‐concluso-‐in-‐violazione-‐delle-‐prerogative-‐del-‐parlamento/ ultima consultazione 25.10.2016; DANISI, Taking the “Union” out of “EU”: The EU-‐Turkey statement on the Syrian refugee crisi sas an agreement between States under international law, EJIL: Talk!, 20 Aprile 2017, https://www.ejiltalk.org/taking-‐the-‐union-‐out-‐of-‐eu-‐the-‐eu-‐turkey-‐statement-‐on-‐the-‐syrian-‐refugee-‐crisis-‐as-‐an-‐agreement-‐between-‐states-‐under-‐international-‐law/, ultima consultazione 28.4.2017. 265 Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969 adottata il 22 Maggio 1969 e Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali, adottata il 21 Marzo 1986, entrambe generalmente ritenute
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
84
entrambe le Convenzioni) un trattato come “an international agreement
concluded between States in written form and governed by international law,
whether embodied in a single instrument or in two or more related instruments
and whatever its particular designation”. In tema di diritto dei trattati vige quindi
il principio di libertà delle forme, e la Corte Internazionale di Giustizia ha avuto
modo di pronunciarsi al riguardo in numerose occasioni: nel caso Aegean Sea
continental shelf (Grecia c. Turchia)266 ha affermato che in linea di principio può
costituire un accordo internazionale anche un comunicato congiunto adottato
dalle parti al termine di una conferenza diplomatica, stabilendo che, per
verificare la natura dell’atto in questione, fosse necessario prestare attenzione alla
natura del documento, avendo riguardo alle sue clausole effettive e alle particolari
circostanze nelle quali è stato redatto267. Seguendo i medesimi principi, la Corte
ha riconosciuto che anche altri strumenti atipici come processi verbali268, scambi
ampiamente ricognitive delle regole di diritto consuetudinario in materia di conclusione di trattati internazionali. 266 Cfr. Corte Internazionale di Giustizia, Aegean Sea continental shelf case (Greece v. Turkey), 19 Dicembre 1978. Nel caso di specie, la Grecia aveva presentato un ricorso presso la CIG rispetto ad una controversia concernente la delimitazione delle rispettive piattaforme continentali nel Mar Egeo, facendo leva sul fatto che il comunicato congiunto emanato a Bruxelles il 31 Maggio 1975 a seguito di un incontro tra i primi ministri greco e turco indicasse il preciso impegno delle parti a deferire alla CIG le eventuali controversie sulla questione relativa alla piattaforma, mentre invece il Governo turco negava che tal comunicato potesse costituire un accordo ai sensi del diritto internazionale. Nel caso di specie, la Corte ritenne di non poter prendere in considerazione il ricorso presentato dalla Grecia, riconoscendo che il comunicato in questione non costituiva un accordo ai sensi del diritto internazionale. 267 “Accordingly, whether the Brussels Communiqué of 31 May 1975 does or does not constitute such an agreement essentially depends on the nature of the act or transaction to which the Communiqué gives expression; and it does not settle the question simply to refer to the form -‐a communiqué-‐ in which that act or transaction is embodied. On the contrary, in determining what was indeed the nature of the act or transaction embodied in the Brussels Communiqué, the Court must have regard above al1 to its actual terms and to the particular circumstances in which it was drawn up”. Cfr. par. 96, Aegean Sea continental shelf case cit. 268 Cfr. Corte Internazionale di Giustizia, Case concerning maritime delimitation and territorial questions between Qatar and Bahrain (Qatar v. Bahrain), 1 Luglio 1994, par. 23-‐25. La controversia riguardava alcune questioni inerenti alla sovranità delle isole Hawar, delle secche di Dibal e Qit’ at Jaradeh e la delimitazione delle rispettive aree marittime, sulle quali gli Stati del Qatar e del Bahrein non erano riusciti negli anni precedenti a trovare un accordo. La quesitone era stata oggetto di discussione in occasione dell’incontro annuale del Consiglio di Cooperazione degli Stati arabi de Golfo, tenutosi a Doha nel Dicembre 1990, a conclusione del quale i ministri degli esteri del Bahrain, del Qatar e dell’Arabia Saudita avevano sottoscritto i processi verbali dell’incontro, nei quali veniva fatto riferimento alla possibilità per le parti di ricorrere alla CIG qualora non fosse stato concluso un accordo nel termine fissato. Nel caso di specie, la Corte riconobbe che i processi verbali in questione costituissero a tutti gli effetti un accordo internazionale.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
85
di lettere269 o dichiarazioni comuni270 possono costituire un trattato ai sensi della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Quindi, ciò che rileva non è la
forma, bensì le clausole effettive contenute nel documento e le particolari
circostanze nelle quali è stato composto: ogni strumento che definisca ciò che è
stato concordato tra le parti e che enumeri gli impegni a cui le parti hanno
prestato il proprio consenso crea diritti e obblighi ai sensi del diritto
internazionale. Non vi è alcuna ragione per non estendere tale giurisprudenza
anche all’Unione Europea, anche se, come organizzazione internazionale, non ha
aderito alla Convenzione di Vienna del 1986: la stessa Corte di Giustizia
dell’Unione Europea ha in più circostanze riconosciuto che una serie di previsioni
della Convenzione sono ricognitive di diritto internazionale consuetudinario, e
sono quindi vincolanti nei confronti dell’Unione stessa e dei suoi Stati membri271.
Sul tema, inoltre, la CGUE ha sostanzialmente seguito il medesimo approccio
della CIG, riconoscendo il principio di libertà delle forme272 e stabilendo che per
accertare se un documento abbia o meno forza vincolante, è necessario far
riferimento non tanto alla forma adottata quanto all’intenzione delle parti273.
Per quel che concerne la seconda argomentazione, in forza della quale la
terminologia impiegata sottenderebbe l’assenza di volontà delle parti a vincolarsi
in un accordo internazionale, invece, è possibile obiettare che dal testo della
stessa Dichiarazione emergono formule che possono portare alla conclusione
opposta: risulta, infatti, che le parti “hanno deciso di porre fine all’immigrazione
irregolare dalla Turchia verso l’UE; (e) per conseguire questo obiettivo hanno
concordato (dei) punti di azione”. Inoltre, in alcuni atti successivi la stessa
269 Corte Internazionale di Giustizia, Case concerning the territorial dispute (Libyan Arab Jamahiriya v . Chad), 3 Febbraio 1994, par. 23. 270 Corte Internazionale di Giustizia, Case concerning the land and maritime boundary between Cameroon and Nigeria (Cameroon v. Nigeria), 10 Ottobre 2002, par. 263. 271 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 25 Febbraio 2010, C-‐386/08, Firma Brita GmbH c. Hauptzollamt Hamburg-‐Hafen., EU:C:2010:91, par. 40-‐41. 272 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, parere 11 Novembre 1975, 1/75, EU:C:1975:145; parere 24 Marzo 1995, 2/92, EU:C:1995:83, par. 8; sentenza 9 Agosto 1994, C-‐327/91, Francia c. Commissione, EU:C:1994/305, par. 27; sentenza 26 Novembre 2014, C-‐103/12 e C-‐165/12, Parlamento europeo e Commissione europea c. Consiglio dell’Unione Europea, EU:C:2014:2400, par. 83. 273 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 23 Marzo 2004, C-‐233/02, Francia c. Commissione, EU:C:2004:173, par. 32.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
86
Commissione ha fatto riferimento alla Dichiarazione come ad un “accordo” (in
particolare, nella comunicazione del 6 Aprile 2016 e nella proposta di decisione
per modificare la decisione 2015/1601 sul reinsediamento)274.
Per quanto riguarda la terza argomentazione, se alcuni degli impegni contenuti
nella Dichiarazione hanno certamente la funzione di ribadire impegni già assunti
(come le previsioni in tema di riammissione dei migranti irregolari, di
accelerazione del processo relativo alla liberalizzazione dei visti e al processo di
adesione), altri invece si pongono come previsioni inedite. A fronte del principio
di libertà delle forme, il principio giuridico rilevante per determinare se ci si trovi
o meno in presenza di un trattato internazionale è quindi la presenza di autentici
obblighi giuridici in capo alle parti: in questo senso la Dichiarazione contiene
almeno tre elementi innovativi rispetto al quadro giuridico preesistente e
suscettibili di essere qualificati come obblighi giuridici.
Il primo elemento è rappresentato dal meccanismo di rimpatrio in forza del quale
“tutti i nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia
alle isole greche a decorrere dal 20 Marzo 2016 saranno rimpatriati in Turchia”,
che trova il suo presupposto nell’apprezzamento della Turchia come Paese di
primo asilo e terzo sicuro ai sensi della direttiva 2013/32, la quale contempla la
possibilità per gli Stati membri di prevedere tali concetti nei propri ordinamenti,
ma senza prevedere alcun obbligo a carico degli Stati in tal senso. La
Dichiarazione, invece, si basa sul presupposto che tali nozioni facciano già parte
dei sistemi di asilo nazionali, e ritiene implicitamente che la Turchia soddisfi le
condizioni richieste dalla direttiva procedure ai fini di tale qualificazione275.
Il secondo elemento è invece costituito dal cd. meccanismo 1:1. Tale previsione
non è contenuta nell’accordo di riammissione, ma è menzionata nel piano di
azione comune e nella dichiarazione dei capi di Stato o di Governo del 7 Marzo
274 COM(2016) 197, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, Riformare il Sistema europeo comune di asilo e potenziare le vie legali di accesso all’Europa; COM(2016) 171, Proposta di decisione del Consiglio che modifica la decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, del 22 Settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia. 275 Cfr. DEN HEIJER, SPIJKERBOER, Is the EU-‐Turkey refugee deal a treaty? cit; FAVILLI, La cooperazione UE-‐Turchia… cit.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
87
2016. Nessuno dei due documenti sembra però avere carattere vincolante: mentre
il piano d’azione indica ciò che ogni parte “intende” fare, nella dichiarazione del 7
Marzo le parti hanno effettivamente “convenuto” di lavorare sulla base dei
principi contenuti nelle proposte avanzate dalla Turchia, ma non si parla di
impegni precisi. Sembra perciò ragionevole ipotizzare che la Dichiarazione del 18
Marzo sia stata adottata proprio per trasformare dei generici impegni politici in
obblighi giuridici276.
Il terzo elemento attiene, infine, agli impegni finanziari, aumentati dai 79 milioni
previsti a Settembre 2015 ai 3 miliardi considerati nel piano d’azione comune (con
la previsione di stanziare altri 3 miliardi una volta conclusi gli impegni finanziati
con la prima erogazione), e alla costituzione dello Strumento per i rifugiati in
Turchia, generato sulla base del piano d’azione e della Dichiarazione277.
Sulla base di tali considerazioni, quindi, non sembra che il testo della
Dichiarazione sia qualificabile come mera riproduzione di obblighi preesistenti, e
parimenti non pare avere contenuto solamente programmatico: non si limita cioè
a raggiungere un generale compromesso sulla gestione dei flussi, né tantomeno
sembra rinviare alla successiva negoziazione di un accordo più dettagliato, ma
contiene indicazioni precise, suscettibili di essere qualificate come impegni
giuridici delle parti, e ciò alla luce del contenuto e del contesto in cui si collocano,
in particolare con riferimento alle misure adottate in ordine alla sua
applicazione.278 Del resto, la stessa circostanza che lo Strumento per i rifugiati in
Turchia sia parzialmente finanziato dallo Strumento pre-‐adesione sembrerebbe
276 Cfr. DEN HEIJER, SPIJKERBOER, Is the EU-‐Turkey refugee deal a treaty? cit.; GATTI, La dichiarazione UE-‐Turchia… cit. 277 Cfr. FAVILLI, La cooperazione UE-‐Turchia… cit. 278 Cfr. la decisione del Consiglio che modifica la precedente decisione in tema di ricollocazione per inserirvi il cd. Meccanismo 1:1, Decisione (UE) 2016/1754 del Consiglio, del 29 Settembre 2016, che modifica la decisione (UE) 2015/1601del Consiglio che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia. Inoltre, è interessante notare, a tal riguardo, che le stesse autorità greche hanno fatto riferimento alla Dichiarazione come autonoma base giuridica per effettuare i rimpatri. Cfr. Il sito del dipartimento di politica digitale, telecomunicazioni e informazione del Governo Greco, http://mindigital.gr/index.php/προσφυγικό-‐ζήτημα-‐refugee-‐crisis/1016-‐10, ultima consultazione 11.5.2017.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
88
un ulteriore fattore per ricondurre la dichiarazione allo schema do ut des tipico
dei trattati.
Circa l’ulteriore osservazione in forza della quale dovrebbe escludersi l’esistenza
un accordo a fronte della circostanza per cui il Consiglio europeo sarebbe privo
dei poteri di rappresentanza necessari per concludere un trattato, è sufficiente
osservare che tali poteri a stipulare sono invece ben presenti in capo ai membri
della suddetta istituzione, cioè i capi di Stato e di Governo degli Stati membri:
tale considerazione militerebbe se mai a favore della tesi per cui un trattato
sarebbe stato concluso non già tra Unione e Turchia, ma tra Stati membri e
Turchia (infra, par. 2), come del resto sostenuto dal Tribunale nelle recenti
ordinanze279.
In conclusione, alla luce del fatto che la materia regolata – circolazione delle
persone e diritto d’asilo – è senza dubbio rilevante nell’ordine giuridico
internazionale, è possibile quindi affermare che la Dichiarazione del 18 Marzo
2016 costituisce un accordo ai sensi del diritto internazionale pubblico. Rimane
aperta, ad ogni modo, la possibilità che la questione possa venire in futuro
deferita alla Corte Internazionale di Giustizia, qualora la Turchia scegliesse di
instaurare una controversia a fronte dell’eventuale inadempimento di uno dei
vincoli considerati dalla Dichiarazione.
2. Le parti dell’accordo: Unione europea o singoli Stati membri?
Appurata la natura della Dichiarazione come trattato internazionale, è necessario
chiedersi quali siano i soggetti vincolati dagli obblighi in esso contenuti. La
posizione delle istituzioni europee, a fronte della richiesta del Tribunale di
279 Per tali osservazioni, cfr. FERNÁNDEZ-‐ARRIBAS, The EU-‐Turkey Statement, the treaty-‐making process and competent organs. Is the Statement an international agreement?, European Papers, European Forum, 9 Aprile 2017, pag. 1-‐7. In particolare, l’autrice fa leva sul disposto dell’art. 7 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, e sul fatto che l’art 218 TFUE in materia di competenza a stipulare non considera il Consiglio europeo tra le istituzioni dotate di poteri di rappresentanza dell’UE sul piano esterno.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
89
esprimersi circa il proprio coinvolgimento, si è orientata nel senso di una loro
totale estraneità. Nello specifico, il Consiglio europeo ha fornito una serie di
documenti per supportare la tesi in forza della quale la Dichiarazione sarebbe
stata adottata nell’ambito di un summit internazionale tra i capi di Stato o di
Governo degli Stati membri e i rappresentati della Repubblica di Turchia tenutosi
il 18 Marzo280. Il Consiglio ha inoltre sostenuto che l’espressione “membri del
Consiglio europeo”, impiegata nel testo della Dichiarazione, dovrebbe essere
intesa come riferimento ai “capi di Stato o di Governo degli Stati membri”, in
quanto membri del Consiglio europeo; e che la dicitura per cui “l’UE e la Turchia”
si sarebbero accordate su alcuni punti d’azione si spiegherebbe in base ad una
necessità di semplificazione “giornalistica” nei confronti del pubblico. Quindi,
secondo il Consiglio europeo, l’impiego delle espressioni “membri del Consiglio
europeo” e “Unione europea” non deve essere in alcun modo inteso nel senso di
vincolare l’Unione europea281. Anche rispetto a tali elementi, la posizione del
Consiglio europeo è stata condivisa da Commissione e Consiglio282.
Il Tribunale, pur riconoscendo che il comunicato stampa attraverso il quale è
stata pubblicata la Dichiarazione contiene delle “imprecisioni”283 ed è formulato
in maniera “ambigua”284, ha accolto la tesi sostenuta dal Consiglio europeo per
cui nelle giornate del 17 e 18 Marzo 2016 si sarebbero svolti due meeting separati:
una riunione del Consiglio europeo (il 17 Marzo) e un summit internazionale dei
capi di Stato o di Governo degli Stati membri (il 18 Marzo), e la Dichiarazione
sarebbe stata adottata nel contesto di quest’ultimo. In questo senso la versione
280 Cfr. par. 28 ordinanza T-‐192/16. 281 Cfr. par. 57-‐60 ordinanza T-‐192/16. 282 Cfr. par. 28-‐29 ordinanza T-‐192/16. Tale argomentazione in particolare sembra la meno convincente: impiegare termini confusionari (“UE” al posto di “rappresentanti degli Stati membri”) con la giustificazione di creare meno confusione nei confronti del “pubblico” è di per sé tautologico. 283 Ironicamente, tale espressione è contenuta solamente nel comunicato stampa del Tribunale relativo alla pronuncia e non nella pronuncia stessa (cfr. comunicato stampa del Tribunale dell’Unione Europea n. 19/17). È interessante notare come il Tribunale abbia fatto leva proprio su tale argomento per deviare dalla regola standard per cui nel momento in cui un ricorso viene respinto, a sopportare le spese processuali è la parte che lo ha proposto. In questo caso, invece, invocando ragioni di “equità”, il Tribunale ha ritenuto che ogni parte dovesse sopportare le proprie spese processuali (cfr. par. 77 ordinanza T-‐192/16). 284 Cfr. par. 66 e 77 ordinanza T-‐192/16.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
90
HTML e PDF in cui il testo della Dichiarazione è stato reso pubblico avrebbero
giocato un ruolo chiave, in quanto solamente la versione PDF contiene
l’espressione “summit internazionale” (per quanto accostata al logo del Consiglio
europeo). Circa la presenza del presidente del Consiglio europeo e del presidente
della Commissione (non formalmente invitati a partecipare a tale summit),
invece, tale circostanza non sarebbe secondo il Tribunale di per sé sufficiente per
concludere che si sia trattato di una riunione tra il Consiglio europeo e il primo
ministro turco. In particolare, la presenza del presidente del Consiglio europeo si
spiegherebbe sulla scorta del fatto che i capi di Stato o di Governo avrebbero
affidato al allo stesso un incarico di rappresentanza e coordinamento dei
negoziati in loro nome con la Repubblica di Turchia; mentre la presenza del
presidente della Commissione sarebbe giustificata dal fatto che tale summit
internazionale è inscritto nell’ambito del dialogo con la Turchia iniziato dalla
Commissione nell’Ottobre 2015285. In definitiva, per il Tribunale, anche
supponendo che sia stato informalmente concluso un accordo internazionale
durante il meeting del 18 Marzo, si tratterebbe di un accordo concluso tra i capi di
Stato o di Governo degli Stati membri e dal primo ministro turco286: per tale
ragione, ha rigettato i ricorsi presentati riconoscendo di non avere giurisdizione
per pronunciarsi al riguardo, in virtù della giurisprudenza CGUE in forza della
quale “gli atti adottati dai rappresentanti degli Stati membri che agiscono non in
qualità non di membri del Consiglio, ma in qualità di rappresentanti dei loro
governi, e che esercitino in tal modo collettivamente i poteri degli Stati membri,
non sono soggetti al sindacato di legittimità esercitato dalla Corte”287.
Alla luce delle determinazioni del Tribunale (e in attesa dell’esito delle
impugnazioni proposte contro le ordinanze in questione) è però necessario
chiedersi se siano possibili delle letture alternative. Nella sua pronuncia, il
Tribunale non ha infatti preso in considerazione la questione inerente alle
285 Cfr. par. 67-‐68 ordinanza T-‐192/16. 286 Cfr. par. 72 ordinanza T-‐192/16. 287 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 30 Giugno 1993, C-‐181/91 e C-‐248/91, Parlamento c. Consiglio e Commissione, EU:C:1993:271, par. 12.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
91
competenze di Unione e Stati membri, che si porrebbe, invece, come centrale per
la risoluzione de problema288. A fronte del disposto dell’art. 4 par. 2 TFUE, che
colloca la materia dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (in cui rientrano
anche le materie dell’asilo e dell’immigrazione) tra le competenze concorrenti di
Unione e Stati membri, sarebbe necessario comprendere se sia possibile
ricostruire l’esistenza di una competenza esterna dell’Unione per quanto riguarda
la conclusione dell’accordo di cui si discute, e quale sia la natura di tale
competenza, al fine di stabilire se l’azione degli Stati membri possa dirsi o meno
legittima ai sensi del diritto europeo. Tra le principali disposizioni che vengono in
rilievo rientrano l’art. 216 par. 1 TFUE e l’art. 3 par. 2 TFUE. Il primo identifica le
ipotesi in cui l’Unione può concludere accordi internazionali con Stati terzi,
stabilendo che “l’Unione può concludere un accordo con uno o più Paesi terzi o
organizzazioni internazionali qualora i trattati lo prevedano, o qualora la
conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare, nell’ambito delle politiche
dell’Unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati, o sia prevista in un atto
giuridico vincolante dell’Unione, oppure possa incidere su norme comuni o
alterarne la portata”. Tale disposizione deve essere letta congiuntamente all’art. 3
par. 2 TFUE, che identifica invece le ipotesi in cui tale competenza è esclusiva:
“l’Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi
internazionali allorché tale conclusione è prevista in un atto legislativo
dell’Unione o è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello
interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la
portata”.
Queste previsioni si pongono come il risultato della codificazione di una lunga,
complessa e non sempre coerente giurisprudenza della Corte di Giustizia: la cd.
dottrina “dei poteri impliciti”, o dottrina AETS (emersa con la sentenza AETS289 e
288 Cfr. la nota realizzata da NEFRAMI per la Commissione LIBE del Parlamento europeo, Ripartizione delle competenze tra l’Unione Europea e i suoi Stati membri in materia di immigrazione, Maggio 2011. 289 Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 21 Marzo 1971, C-‐22/70, Commissione c. Consiglio, EU:C:1971:32. Nel caso di specie, si trattava di un ricorso proposto dalla Commissione contro la deliberazione con cui il Consiglio aveva determinato l’atteggiamento degli stati membri
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
92
sviluppata in una serie di pronunce successive290), in forza della quale la Corte ha
riconosciuto la possibilità di configurare una competenza esterna in capo
all’Unione anche qualora non vi sia un espresso riconoscimento in tal senso da
parte dei Trattati, trattandosi quindi di competenza esterna “implicita”, che può
discendere da altre disposizioni del Trattato e da atti adottati dalle istituzioni
europee: la Corte ha infatti stabilito che “ogniqualvolta il diritto [europeo] abbia
attribuito alle istituzioni europee determinati poteri sul piano interno, onde
realizzare un certo obiettivo, [l’Unione] è competente ad assumere gli impegni
internazionali necessari per raggiungere tale obiettivo, anche in mancanza di
espresse disposizioni al riguardo”291.
La questione relativa all’esistenza di una competenza implicita in capo all’Unione
va però tenuta distinta dalla natura (concorrente o esclusiva) di tale competenza.
In particolare, essa assume carattere esclusivo in due ipotesi: i) quando “la
competenza interna può essere esercitata utilmente soltanto
contemporaneamente alla competenza esterna, quando cioè è necessaria la
conclusione di un accordo internazionale per realizzare determinati obiettivi del
durante i negoziati per la conclusione di un accordo europeo relativo al lavoro degli equipaggi dei veicoli che effettuano trasporti internazionali su strada (AETS). La Commissione sostenne che la competenza a negoziare e concludere l’accordo spettasse alla CEE, e che la materia oggetto dell’accordo fosse ormai disciplinata in via esclusiva dal diritto comunitario (per via dell’adozione del regolamento 543/69, relativo all’armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada). 290 Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 14 Luglio 1976, cause riunite 3, 4 e 6/76, Cornelis Kramer ed altri, ECLI:ECLI:EU:C:1976:114; parere 1/76 del 26 Aprile 1977, ECLI:ECLI:EU:C:1977:63; parere 2/91 del 19 Marzo 1993, ECLI:ECLI:EU:C:1993:106; sentenze del 5 Novembre 2002, “Open skies”, C-‐467/98, Commissione c. Danimarca, ECLI:ECLI:EU:C:2002:625; C-‐468/98, Commissione c. Svezia, ECLI:ECLI:EU:C:2002:626; C-‐469/98, Commissione c. Finlandia, ECLI:ECLI:EU:C:2002:627; C-‐471/98, Commissione c. Belgio, ECLI:ECLI:EU:C:2002:628; C-‐472/98 Commissione c. Lussemburgo, ECLI:ECLI:EU:C:2002:629; C-‐475/98 Commissione c. Austria, ECLI:ECLI:EU:C:2002:630; C-‐476/98, Commissione c. Germania, ECLI:ECLI:EU:C:2002:631; parere 1/03 del 7 Febbraio 2006, ECLI:ECLI:EU:C:2006:81. Sul tema cfr., tra i tanti, VAN VOOREN, The principle of pre-‐emption after opinion 1/2003 and coherence in EU readmission policy, The external dimension of the european Union’s area of freedom ,security and justice, (a cura di) CREMONA, MONAR, POLI, Brussels, 2011; MIGNOLLI, L’azione esterna dell’Unione Europea e il principio della coerenza, Jovene, Napoli, 2009; CANNIZZARO, Le relazioni esterne della Comunità: verso un nuovo paradigma unitario?, Il diritto dell’Unione Europea, n. 2, 2007, HILLION, ERTA, ECHR and Open Skies: laying the grounds of the EU system of external relations, The past and future of EU law – the classics of EU law revisited on the 50th anniversary of the Rome Treaty, (a cura di) POIARES MADURO, AZOULAI, Oxford, 2010. 291 Cfr. parere 1/03 cit., par 114.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
93
Trattato che non potevano essere raggiunti mediante l’instaurazione di norme
autonome”292; e ii) qualora siano state – sotto qualsiasi forma – adottate norme
comuni da parte dell’Unione: in tal caso “gli Stati membri non hanno più il potere
– né individualmente né collettivamente – di contrarre con gli Stati terzi
obbligazioni che incidano su dette norme”293. In entrambi i casi, si realizzerebbe il
meccanismo di pre-‐emption in forza del quale il carattere esclusivo della
competenza si pone come conseguenza dell’azione dell’UE in una determinata
materia. Per quanto riguarda la seconda ipotesi, la CGUE ha inizialmente indicato
tre circostanze in cui si verificherebbe senz’altro la pre-‐emption: gli obblighi
internazionali degli Stati membri inciderebbero sulle norme comuni “if they
apply to an area which is already largely covered by such rules”294; vi sarebbe
competenza esclusiva dell’ Unione ogniqualvolta essa includa nei suoi atti
legislativi interni “clausole relative al trattamento da riservare ai cittadini di Paesi
terzi o conferisce espressamente alle proprie istituzioni una competenza a
negoziare con i Paesi terzi”295; e ugualmente si avrebbe competenza esclusiva
quando gli accordi internazionali degli Stati membri riguardino una materia
completamente armonizzata296. In un secondo momento, la Corte ha però
puntualizzato che tali ipotesi sarebbero solo “esempi la cui formulazione trova la
sua origine nei contesti particolari presi in considerazione dalla Corte297,
indicando che la valutazione in ordine all’operatività della pre-‐emption deve
essere condotta alla luce dell’obiettivo di “garantire un’applicazione uniforme e
coerente delle disposizioni [europee] ed un corretto funzionamento del sistema
che esse istituiscono”, mediante “un’analisi concreta del rapporto esistente tra
l’accordo previsto e il diritto [europeo] in vigore”298. Tale scrutinio può essere
sintetizzato in tre passaggi principali299: in primo luogo, è necessario verificare se
292 Cfr. parere 1/03 cit., par. 115. 293 Cfr. parere 1/03 cit., par 116. 294 Cfr. parere 1/91 cit., par 25-‐26. 295 Cfr. parere 1/91 cit., par. 95. 296 Cfr. Commissione c. Danimarca cit., par. 84. 297 Cfr. parere 1/03 cit., par. 121. 298 Cfr. parere 1/03 cit., par. 124. 299 Come proposto da VAN VOOREN, The principle of pre-‐emption… cit.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
94
vi sia o meno sovrapposizione sostanziale tra il settore disciplinato dal trattato e
dalle norme europee. In secondo luogo, dove tale esame dia esito positivo,
bisognerà valutare se tale settore sia già in gran parte disciplinato dal diritto UE; a
questo punto, la terza valutazione inerisce alla natura e al contenuto delle norme
prese in considerazione: in altre parole, bisogna chiedersi se la natura e il
contenuto delle norme in questione siano tali da pregiudicare l’applicazione
uniforme e coerente delle norme europee e il corretto funzionamento del sistema
che esse istituiscono, tenendo in considerazione non soltanto lo stato attuale del
diritto UE in tale settore, ma anche le sue prospettive di evoluzione.
Alla luce di quanto considerato, sembra possibile affermare l’esistenza di una
competenza esterna implicita300 dell’Unione per quanto riguarda le materie di
asilo e immigrazione, a fronte dell’attribuzione di poteri sul piano da parte degli
articoli 78 e 79 TFUE – del resto, data la natura stessa della materia pare difficile
non immaginare la possibilità per l’UE di agire sul piano esterno301. Per quanto
riguarda la natura di tale competenza, nel caso di specie e è necessario applicare il
“test” AETS: la Dichiarazione, nel considerare l’applicazione dei rimpatri nei
confronti di “tutti i migranti irregolari”, interessa tanto il settore relativo
all’immigrazione quanto il settore in materia di asilo, andando così a creare una
sovrapposizione materiale con le norme adottate dall’UE, in particolare con la
direttiva procedure (primo passaggio del “test” AETS). Infatti, pur non
prevedendo espressamente l’applicazione di tali concetti, la Dichiarazione
presuppone la designazione, da parte degli Stati membri, dei concetti di Paese di
primo asilo e Paese terzo sicuro (disciplinati agli articoli 35 e 38 della direttiva
2013/32) nei confronti della Turchia. È necessario quindi chiedersi se il settore in
materia di asilo, in particolare in materia di procedure comuni relative alla
protezione internazionale, sia “disciplinato in gran parte” dal diritto UE (secondo
300 Non è così nel caso della competenza relativa agli accordi di riammissione, espressamente indicata dall’art. 79 par. 3 TFUE. 301 Come osservato da DE BAERE, The framework of EU external competences for developing the external dimensions of EU asylum and migration policy, Leuven centre for global governance studies, working paper n. 50, Maggio 2010. Del resto, la corte stessa ha dato rilievo alla natura della materia nella citata sentenza Kramer, per quanto ai fini di ricondurre la competenza esterna esclusiva dell’UE alla necessità di perseguire un fine posto dai trattati.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
95
passaggio del “test” AETS): è vero che la direttiva procedure lascia agli Stati
membri un margine di discrezionalità in ordine all’applicazione dei concetti di
cui agli articoli 35 e 38 della direttiva 2013/32, ma non pare che tale circostanza
possa di per sé implicare che il settore non sia “largely covered” dal diritto UE. Su
una questione simile si è recentemente espressa la CGUE nel parere 3/15302
relativo alla conclusione del trattato di Marrakech, volto a facilitare l’accesso alle
opere pubblicate per le persone non vedenti, con disabilità visive o con altre
difficoltà nella lettura dei testi a stampa (trattato di Marrakech). In tale
occasione, la Corte ha riconosciuto che la discrezionalità lasciata agli Stati
membri dalla direttiva UE sul diritto d’autore303 non si configurerebbe tanto come
competenza “preservata”, quanto come opzione “concessa/autorizzata” dal diritto
UE, che deve essere esercitata “rispettando i confini tracciati dal diritto
dell’Unione”304. Anche nel caso dell’applicazione dei concetti di Paese di primo
asilo e terzo sicuro, la discrezionalità degli Stati membri deve rispettare i requisiti
indicati dal legislatore UE agli articoli 35 e 38 della direttiva 2013/32: è necessario
quindi chiedersi se le disposizioni contenute nella Dichiarazione siano suscettibili
di incidere su dette norme, pregiudicandone l’applicazione uniforme e coerente e
pregiudicando il corretto funzionamento del sistema da esse istituito (terzo
passaggio del “test” AETS). La questione sarebbe relativa non tanto all’art. 35,
quanto all’art. 38 della direttiva procedure: la Dichiarazione presuppone
l’interpretazione della condizione di cui alla lett. e) di detto articolo nel senso di
escludere la necessità della ratifica della Convenzione di Ginevra del 1951 da parte
dello Stato terzo che si intende designare come Paese terzo sicuro, e tale
interpretazione sarebbe contraria al dettato della norma stessa305. Tenendo
302 Cfr. parere 3/15 del 14 Febbraio 2017, ECLI:EU:C:2017:114. Sul tema, cfr. KÜBEK, The Marrakech treaty judgment: the ECJ clarifies EU external powers over copyright law, 17 Febbraio 2017, http://eulawanalysis.blogspot.it/2017/02/the-‐marrakesh-‐treaty-‐judgment-‐ecj.html, ultima consultazione 9.6.2017. 303 Cfr. direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 Maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione. 304 Cfr. parere 3/15 cit., par. 35-‐37. 305 L’art. 38 non richiede espressamente la ratifica della Convenzione di Ginevra, ma si limita a prevedere la necessità di una protezione “conforme” a tale Convenzione. Sul punto, è in corso un
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
96
inoltre in considerazione le prospettive di evoluzione del diritto UE, se da un lato
la recente proposta di regolamento procedure della Commissione306 testimonia la
volontà di raggiungere un più ampio livello di armonizzazione in tale materia,
dall’altro essa dimostra che il Sistema europeo relativo al diritto di asilo non
comprende, allo stato attuale, elementi come quelli menzionati nella
Dichiarazione307. Sembrerebbe, quindi, condivisibile la tesi per cui sussiste una
competenza esclusiva in capo all’Unione Europea per quanto riguarda la
conclusione di tale accordo308. Tale conclusione rende però particolarmente
problematica l’individuazione della paternità della Dichiarazione: ai sensi del
diritto europeo, infatti, gli Stati membri non avrebbero potuto concludere
l’accordo per proprio conto – proprio perché trattasi di competenza esclusiva
acceso dibattito dottrinale: tuttavia, sembra maggiormente convincente l’interpretazione che individua nella lett. e) dell’art. 38 direttiva 2013/32 la necessità della ratifica della Convenzione del 1951 (cfr. Capitolo IV, Sezione I, par. 5). 306 Cfr. COM(2016) 467, proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE. 307 Del resto, non rileverebbe nemmeno il fatto che la proposta della Commissione vada nella medesima direzione della Dichiarazione: la competenza dell’UE può assumere carattere esclusivo anche dove non vi siano contraddizioni tra il testo dell’accordo e la (in questo caso, futura) normativa europea (cfr. parere 2/91 cit., par. 25-‐26, parere 1/03 cit., par. 82). 308 Concludono per la sussistenza di una competenza esclusiva dell’UE: CARRERA, DEN HERTOG, STEFAN, It wasn’t me! The Luxembourg Court orders on the EU-‐Turkey refugee deal, CEPS papers n. 15, Aprile 2017; FAVILLI, La cooperazione UE-‐Turchia… cit.; CANNIZZARO, Disintegration through law? cit. In particolare quest’ultimo fonda il carattere esclusivo della competenza anche sulla circostanza che la Dichiarazione andrebbe ad incidere su un campo già coperto dall’accordo di riammissione UE-‐Turchia del 2013. La semplice circostanza che sia già stato concluso un accordo di riammissione da parte dell’Unione non sembrerebbe, di per sé, sufficiente per affermare l’esistenza di una competenza di carattere esclusivo, almeno non nel caso di specie: l’accordo di riammissione UE-‐Turchia contiene infatti, all’art. 21, una “non-‐affectation clause”, per la quale “[…] le disposizioni del presente accordo prevalgono su quelle di qualsiasi strumento giuridicamente vincolante di riammissione delle persone in posizione irregolare concluso tra i singoli Stati membri e la Turchia o che potrebbero essere conclusi […], nella misura in cui risultino incompatibili con le disposizioni di cui al presente accordo”. Tale formulazione porterebbe a propendere per l’esistenza di una competenza di tipo concorrente (cfr. VAN VOOREN, The principle of pre-‐emption… cit.), per cui non sarebbe preclusa la conclusione di ulteriori accordi da parte degli Stati membri, purché non siano incompatibili con l’accordo di riammissione già concluso dall’Unione (conclude in ordine alla sussistenza di una competenza condivisa DANISI, Taking the “Union” out of “EU”… cit., proprio sulla base del fatto che gli art 4 e 6 dell’accordo di riammissione UE-‐Turchia non hanno ancora trovato applicazione, e sarebbe quindi stato necessario il coinvolgimento dei capi di Stato e di Governo non in funzione di membri del Consiglio europeo, ma di rappresentanti degli Stati membri). Ad ogni modo, dei profili di incompatibilità potrebbero rilevare, eventualmente, in relazione all’ulteriore clausola di non incidenza di cui all’art. 18 dell’accordo di riammissione UE-‐Turchia, che fa in ogni caso salvi i diritti e le garanzie stabilite dalla direttiva procedure.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
97
dell’UE; ma al tempo stesso nemmeno il Consiglio europeo avrebbe avuto
legittimazione in tal senso, poiché la norma relativa al procedimento di
conclusione dei trattati da parte dell’UE, l’art. 218 TFUE309, non contempla tale
istituzione tra i soggetti coinvolti in siffatta procedura. Una possibilità
risiederebbe nell’individuare un’azione dei capi di Stato o di Governo degli Stati
membri per conto dell’Unione Europea: in questo caso, si avrebbe un accordo
riconducibile all’Unione, ma concluso attraverso una procedura irrituale che vede
il proprio fondamento nel consenso unanime degli Stati membri che la
compongono, che, presumibilmente, permetterebbe di aggirare gli ostacoli
dell’art. 218 TFUE. Sarebbe quindi il diritto internazionale la fonte giuridica posta
a fondamento di una simile iniziativa, con il risultato di configurare un’azione dei
capi di Stato o di Governo particolarmente “libera”310. La scelta degli Stati membri
309 Tale articolo avrebbe in questo caso dovuto trovare applicazione, in quanto le materie interessate – le politiche in tema di asilo ex art. 79 TFUE par. 2 e le politiche in tema di immigrazione ex art. 79 TFUE par. 2 – richiedono la procedura legislativa ordinaria. In particolare, l’art 218 TFUE prevede una disciplina di carattere generale da applicarsi ogniqualvolta l’Unione intenda concludere un accordo con un Paese terzo o un’organizzazione internazionale (con la sola eccezione degli accordi in materia di politica commerciale comune e degli accordi in materia di regime monetario o valutario, che devono invece seguire la procedura stabilita dagli art. 207 e 219 TFUE), dove il ruolo di negoziatore è affidato alla Commissione (eccezion fatta per gli accordi che riguardino esclusivamente o principalmente la PESC, in cui tale ruolo è svolto dall’Alto rappresentante), ed è previsto in capo al Consiglio dell’Unione il compito di adottare, su proposta del negoziatore, una decisione che autorizzi la firma dell’accordo e una decisione relativa alla sua conclusione. Quest’ultima è soggetta, in una serie di ipotesi tassativamente indicate – tra cui rientrano gli accordi che riguardano settori ai quali si applica la procedura legislativa ordinaria – alla previa approvazione da parte del Parlamento europeo (negli altri casi, invece, è richiesta la sola consultazione dello stesso), che deve, inoltre, essere immediatamente e pienamente informato in tutte le fasi della procedura. Infine, è previsto uno scrutinio preventivo da parte della Corte di Giustizia, cui uno Stato membro, il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione o la Commissione possono richiedere un parere circa la compatibilità con i Trattati di un accordo previsto, che, in caso di parere negativo, non può entrare in vigore. 310 Concludono in questo senso CANNIZZARO, Disintegration through law? cit., FAVILLI, La cooperazione UE-‐Turchia… cit. Se gli Stati membri avessero agito per proprio conto, avrebbero del resto incontrato i limiti procedurali posti dai rispettivi ordinamenti interni: nel caso dell’Italia, l’art. 80 della Costituzione richiede l’intervento del parlamento attraverso la legge di autorizzazione alla ratifica per i trattati di natura politica, che importano modificazioni di legge e che importano oneri alle finanze, che non potrebbero quindi essere conclusi in forma semplificata. La Dichiarazione vi rientrerebbe a triplice titolo: in primo luogo poiché la materia dell’immigrazione sarebbe compresa nella natura “politica” dell’accordo (sul punto, cfr. FAVILLI, Quali modalità di attuazione degli accordi internazionali in materia di immigrazione?, Rivista di diritto internazionale, vol. 88, n. 1, 2005, pag. 156-‐165); in secondo luogo, l’adozione delle nozioni di Paese di primo asilo e terzo sicuro comporterebbe una modificazione di legge; e in terzo luogo si avrebbe un onere finanziario rappresentato dai contributi allo Strumento per i rifugiati in Turchia (sulla prassi del Governo relativa all’adozione di accordi in forma semplificata in materie
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
98
di aggirare i limiti e le garanzie posti dall’art. 218 TFUE è particolarmente grave
nel momento in cui si considera che uno degli obiettivi fondamentali del Trattato
di Lisbona era l’espansione del metodo “comunitario” a tutta l’area dello spazio di
libertà, sicurezza e giustizia (in cui sono ricomprese le materie di asilo e
immigrazione): in questo caso si è invece scelto di retrocedere alla cooperazione
intergovernativa, e al contempo di escludere qualsivoglia forma di controllo da
parte del Parlamento europeo e della CGUE. L’esclusione di tali istituzioni è
particolarmente delicata: la stessa Corte ha avuto modo di specificare che “il
coinvolgimento del Parlamento europeo nel processo decisionale è il riflesso, al
livello dell’Unione, di un principio democratico fondamentale in base al quale i
popoli partecipano all’esercizio del potere per il tramite di un’assemblea
rappresentativa”311. Anche per quanto riguarda la CGUE, non pare irragionevole
ritenere che tale esclusione sia frutto di una scelta deliberata, in quanto non
sembra vi fossero ragioni per eludere la procedura prevista dall’art. 218 TFUE se
non quella di non porre la Corte di Giustizia nella (scomoda) posizione di dover
valutare la compatibilità del contenuto dell’accordo con la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea312. Venendo a mancare un atto decisionale
riconducibile al Consiglio europeo, si esclude infatti il controllo giurisdizionale ai
sensi dell’art 263 TFUE che, come è noto, può intervenire soltanto nei confronti di
un atto attribuibile ad un’istituzione europea: qualora la Dichiarazione fosse stata
adottata nel quadro dell’Unione, lo scrutinio della Corte non avrebbe potuto
che ricadrebbero nell’art. 80 Cost. e sul relativo dibattito dottrinale, cfr. SALERNO, Diritto internazionale. Principi e norme, CEDAM, Padova, 2013, pag. 87-‐94; FRANCHINI, I poteri del Governo nella conclusione di accordi internazionali, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1980, pag. 26-‐66; BARBERA, Gli accordi internazionali: tra Governo, Parlamento e corpo elettorale, Quaderni costituzionali, n. 3, 1984, pag. 439-‐475). Inoltre, ulteriori limiti deriverebbero dall’art. 10, co. 2 della Costituzione, che pone una riserva di legge in ordine al regolamento della condizione giuridica dello straniero (cfr. in questo senso FAVILLI, La cooperazione UE-‐Turchia… cit.). 311 Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 29 Ottobre 1980, C-‐138/79, Roquette Frères c. Consiglio, ECLI:EU:C:1980:249 par. 33; sentenza del 19 Luglio 2012, C-‐130/10, Parlamento c. Consiglio, ECLI:EU:C:2012:472, par. 81.; sentenza del 24 Giugno 2014, C-‐658/11, Parlamento e Commissione c. Consiglio, ECLI:EU:C:2014:2025, par. 81. 312 L’argomento per cui le misure contemplate dalla Dichiarazione si collocano in un contesto “emergenziale”, che avrebbe richiesto una maggiore speditezza e celerità, non sembra convincente: sarebbe stato possibile infatti accelerare la procedura di cui all’art. 218 TFUE, concordando un termine per l’approvazione da parte del Parlamento ex art. 218 par. 6. In tal senso, cfr. DEN HEIJER, SPIJKERBOER, Is the EU-‐Turkey refugee deal a treaty? cit.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
99
investire direttamente l’accordo in quanto tale, ma soltanto l’atto per mezzo del
quale l’Unione avesse inteso vincolarsi313. La possibilità inerente all’instaurazione
di una procedura di infrazione dinanzi alla CGUE nei confronti degli Stati
membri per violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art 4. Par. 3
TUE sembra infine improbabile, poiché sarebbe necessario in tal senso un
intervento della Commissione, attraverso un parere motivato ai sensi dell’art. 258
TFUE, o di uno Stato membro ai sensi dell’art 259 TFUE. Al riguardo, la
Commissione ha dimostrato di aver disatteso il proprio ruolo di garante dei
Trattati riconosciutole dall’art. 17 par. 1 TUE, non essendosi posta a difesa delle
proprie prerogative al riguardo, come invece non ha mancato di fare in numerose
altre occasioni314: sembrerebbe in questo senso che via sia una certa
condiscendenza, se non un vero e proprio supporto, da parte delle istituzioni
europee ad azioni degli Stati membri adottate secondo una modalità irrituale che
sfugge ai limiti imposti dai Trattati.
3. Validità formale della Dichiarazione sul piano del diritto internazionale
Per quel che concerne le conseguenze sul piano del diritto internazionale, il
mancato rispetto della procedura contemplata dall’art. 218 TFUE in tema di
competenza non va ad inficiare l’esistenza dell’accordo stesso ma può, qualora
ricorrano talune condizioni, portare ad una situazione di invalidità relativa315.
L’ipotesi è prevista dall’art. 46 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati
del 1986, in forza del quale “an international organization may not invoke the fact
that its consent to be bound by a treaty has been expressed in violation of the
rules of the organization regarding competence to conclude treaties as
invalidating its consent unless that violation was manifest and concerned a rule
313 Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 9 agosto 1994 C-‐327/91, Francia c. Commissione, ECLI.EU:C:1994:305, par. 13-‐17. 314 Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenze Open Skies cit. 315 Cfr. SALERNO, Diritto internazionale. Principi e norme cit.
Capitolo III La natura della Dichiarazione del 18 marzo 2016
100
of fundamental importance”. Il par. 3 specifica in quali circostanze la violazione
debba considerarsi manifesta, stabilendo che ciò si verifica “if it would be
objectively evident to any State or any international organization conducting
itself in the matter in accordance with the normal practice of States and, where
appropriate, of international organizations and in good faith”.
Tale norma realizza in questo senso un bilanciamento tra il principio di
conservazione dei valori e il principio di buona fede dello Stato contraente,
richiedendo però la corrispondenza ad un parametro oggettivo rappresentato
dalla prassi seguita dallo Stato o (dove appropriato316) dall’organizzazione
internazionale interessati dal vizio in questione. Nel caso di specie, il mancato
rispetto dell’art. 218 TFUE potrebbe permettere di far valere tale causa di
invalidità relativa: la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che le norme
relative al potere di uno Stato di concludere un trattato sono da considerarsi di
importanza fondamentale, e la loro violazione è qualificabile come manifesta
qualora sia stata resa pubblica in maniera appropriata317. Non essendovi ragioni
per non ritenere tali considerazioni applicabili anche alle organizzazioni
internazionali, è possibile rilevare che in questo caso il carattere pubblico dell’art.
218 TFUE risulterebbe per definizione, data la sua previsione in uno dei Trattati
europei318.
316 Nel caso della Dichiarazione, la prassi seguita dall’Unione Europea dovrebbe essere tenuta in considerazione: per quanto la formulazione dell’art. 218 TFUE sia relativamente recente, la procedura ivi prevista ha trovato effettiva applicazione. 317 Corte Internazionale di Giustizia, Frontiera terrestre marittima tra Camerun e Nigeria, 10 Ottobre 2002 par. 265. 318 In questo senso, cfr. CORTEN, DONY, Accord politique ou juridique… cit.
102
CAPITOLO IV
IL CONTENUTO DELLA DICHIARAZIONE DEL 18 MARZO 2016
Sommario: SEZIONE I: Il rimpatrio di tutti i migranti irregolari: 1. Il concetto di Paese sicuro; -‐ 2. Applicazione del concetto di Paese sicuro in ambito extra-‐UE; -‐ 3. Il concetto di Paese sicuro nel diritto UE; -‐ 4. Il sistema di protezione internazionale offerto dalla Turchia; -‐ 5. (segue) La Turchia come Paese sicuro ai sensi del diritto UE; -‐ 6. La legittimità delle misure di rimpatrio alla luce della Convenzione di Ginevra del 1951; -‐ 7. La legittimità delle misure di rimpatrio alla luce della Convenzione Europea dei Diritti Umani; -‐ 8. Le misure applicative adottate dalla Grecia. SEZIONE II: Il meccanismo 1:1.
SEZIONE I: IL RIMPATRIO DI TUTTI I MIGRANTI IRREGOLARI
1. Il concetto di Paese sicuro
Il principale obiettivo politico dell’accordo, come dichiarato dalla Commissione
nel comunicato stampa del 19 Marzo 2016319, si sostanzia nel contenimento degli
ingressi irregolari attraverso lo smantellamento del sistema gestito dai trafficanti
e la rimozione degli incentivi agli ingressi irregolari nel territorio dell’Unione
Europea. Uno dei principali strumenti tramite i quali realizzare tale finalità
consiste nel rimpatrio, a decorrere dal 20 Marzo 2016, di “tutti i nuovi migranti
irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche320”.
Tale previsione si è posta, unitamente alle disposizioni concernenti il
“meccanismo 1:1”, al cuore del dibattito che interessa la Dichiarazione, e ha
319 Cfr. Commissione Europea, EU-‐Turkey statement: questions and answers, 19 Marzo 2016, http://europa.eu/rapid/press-‐release_MEMO-‐16-‐963_en.htm, ultima consultazione 25.05.2017. 320 Cfr. Dichiarazione UE-‐Turchia cit.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
103
attirato l’attenzione internazionale dei primi commentatori321 scatenando
perplessità anche da parte dell’UNHCR322, del Consiglio d’Europa323 e di svariate
associazioni non governative.
La misura del rimpatrio, descritta come “temporanea e straordinaria”324 e
funzionale a “porre fine alle sofferenze umane e ristabilire l’ordine pubblico”325, è
suscettibile di applicazione nei confronti di tre categorie di soggetti: i) i migranti
che non abbiano presentato domanda di protezione internazionale; ii) i migranti
321 Cfr. FAVILLI, La cooperazione UE-‐Turchia… cit., PEERS, ROMAN, 5 Febbraio 2016, The EU,Turkey and the refugee crisis: what could possibly go wrong?, http://eulawanalysis.blogspot.it/2016/02/the-‐eu-‐turkey-‐and-‐refugee-‐crisis-‐what.html, ultima consultazione 24.11.2016; PEERS, 18 Marzo 2016, The final EU-‐Turkey refugee deal: a legal assessment, http://eulawanalysis.blogspot.it/2016/03/the-‐final-‐euturkey-‐refugee-‐deal-‐legal.html, ultima consultazione 3.11.2016; FERNÁNDEZ-‐ARRIBAS, The EU-‐Turkey agreement: a controversial attempt… cit.; POON, EU-‐Turkey deal: violation of, or consisentcy with, international law?, European Papers, vol. 1, n. 3, 2016, pag. 1195-‐1203; GIUFFRE, From Turkey to Libya… cit.; HATHAWAY, 9 Marzo 2016, Three legal requirements for the EU-‐Turkey deal: an interview with James Hathaway, http://verfassungsblog.de/three-‐legal-‐requirements-‐for-‐the-‐eu-‐turkey-‐deal-‐an-‐interview-‐with-‐james-‐hathaway/, ultima consultazione 10.4.2017 e 12 Marzo 2016, Taking refugee rights seriously: a reply to professor Hailbronner, http://verfassungsblog.de/taking-‐refugee-‐rights-‐seriously-‐a-‐reply-‐to-‐professor-‐hailbronner/, ultima consultazione 5.4.2017, HAILBRONNER, 11 Marzo 2016, Legal requirements for the EU-‐Turkey refugee deal: a reply to J. Hathaway, http://verfassungsblog.de/legal-‐requirements-‐for-‐the-‐eu-‐turkey-‐refugee-‐agreement-‐a-‐reply-‐to-‐j-‐hathaway/, ultima consultazione 10.4.2017; ROMAN, L’accordo UE-‐Turchia: le criticità di un accordo a tutti i costi, 21 Marzo 2016, http://www.sidiblog.org/2016/03/21/laccordo-‐ue-‐turchia-‐le-‐criticita-‐di-‐un-‐accordo-‐a-‐tutti-‐i-‐costi/, ultima consultazione 3.11.2016; MANDAL, 23 Marzo 2016, EU-‐Turkey refugee deal is vulnerable to legal challenge, https://www.chathamhouse.org/expert/comment/eu-‐turkey-‐refugee-‐deal-‐vulnerable-‐legal-‐challenge, ultima consultazione 3.11.2016; LABAYLE, DE BRUYCKER, 23 Marzo 2016, L’accord Union Européenne – Turquie: faux semblant ou marché de dupes?, http://www.gdr-‐elsj.eu/2016/03/23/asile/laccord-‐union-‐europeenne-‐turquie-‐faux-‐semblant-‐ou-‐marche-‐de-‐dupes/, ultima consultazione 3.11.2016, e 9 Marzo 2016, La marche turque: quand l’Union sous-‐traite le respect de ses valeurs à un État tiers, http://www.gdr-‐elsj.eu/2016/03/09/asile/la-‐marche-‐turque-‐quand-‐lunion-‐sous-‐traite-‐le-‐respect-‐de-‐ses-‐valeurs-‐a-‐un-‐etat-‐tiers/, ultima consultazione 18.01.2017; CARRERA, GUILD, EU-‐Turkey plan for handling refugees is fraught with legal and procedural challenges, CEPS commentary, 10 Marzo 2016; FARCY, 7 Dicembre 2015, EU-‐Turkey agreement: solving the EU asylum crisis or creating a new Calais in Bodrum?, http://eumigrationlawblog.eu/eu-‐turkey-‐agreement-‐solving-‐the-‐eu-‐asylum-‐crisis-‐or-‐creating-‐a-‐new-‐calais-‐in-‐bodrum/, ultima consultazione 26.4.2017; BABICKÁ, 23 Marzo 2016, EU-‐Turkey deal seems to be schizophrenic, http://migrationonline.cz/en/eu-‐turkey-‐deal-‐seems-‐to-‐be-‐schizophrenic, ultima consultazione 8.4.2017. 322 Cfr. UNHCR, Legal considerations on the return of asylum-‐seekers and refugees from Greece to Turkey as a part of the EU-‐Turkey cooperation in tackling the migration crisis under the safe third country and first country of asylum concept, 23 Marzo 2016, http://www.unhcr.org/56f3ec5a9.pdf, ultima consultazione 25.5.2017. 323 Cfr. Consiglio d’Europa, The situation of refugees and migrants under the EU-‐Turkey agreement of 18 March 2016, risoluzione 2109(2016) del 20 Aprile 2016. 324 Cfr. Dichiarazione UE-‐Turchia cit. 325 Ivi
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
104
la cui domanda sia ritenuta infondata; iii) i migranti la cui domanda sia ritenuta
inammissibile. L’ultima ipotesi è maggiormente meritevole di attenzione, poiché
l’inammissibilità della domanda può essere dichiarata facendo ricorso al concetto
di “Paese sicuro”, non espressamente considerato dal testo della Dichiarazione
(né tantomeno dalla Convenzione di Ginevra del 1951), ma disciplinato all’interno
della direttiva 2013/32, che, come si vedrà, ne subordina l’applicazione al rispetto
di una serie di garanzie.
La nozione di Paese sicuro è un concetto relativamente recente in diritto
internazionale326, ed è uno degli strumenti attraverso i quali gli Stati perseguono
tipicamente l’obiettivo di limitare l’accesso al proprio territorio e ai propri sistemi
di asilo. Nondimeno, tale strumento pone una serie di frizioni rispetto al divieto
di refoulement e alle altre prescrizioni contenute nella Convenzione di Ginevra
del 1951, al punto che si tratterebbe, secondo alcuni, di “uno degli stratagemmi cui
gli Stati […] fanno ricorso per aggirare il principale obbligo che il divieto di
refoulement […] implica e presuppone (l’accesso a una fair procedure nelle more
della quale il richiedente ha diritto a permanere nel territorio dello Stato)”327. Non
a caso, infatti, la Dichiarazione specifica che i rimpatri debbano essere realizzati
assicurando ai migranti protezione “in conformità alle pertinenti norme
internazionali e nel rispetto del principio di non-‐refoulement”, aggiungendo
inoltre che ciò debba avvenire “nel pieno rispetto del diritto dell’UE e
internazionale, escludendo pertanto qualsiasi forma di espulsione collettiva”.
Tradizionalmente, la nozione di Paese sicuro persegue la funzione di realizzare,
attraverso procedure sommarie, l’allontanamento di un richiedente protezione
verso uno Stato terzo sulla base di un “collegamento” del richiedente con detto
Stato, che, si ritiene, possa offrigli un sufficiente grado di protezione. Tale 326 Cfr. HATHAWAY, The rights of refugees under international law, Cambridge University Press, New York, 2005, pag. 293 e ss., MORENO-‐LAX, The legality of the “safe third country” notion contested: insights from the law of treaties, Migration and refugee protection in the 21st century, international legal aspects, (a cura di) GOODWIN-‐GILL, WECKEL, Nijhoff, Leiden, Boston, 2015, pag 665-‐721; GIL-‐BAZO, Practice of mediterranean states in the context of the European Union’s Justice and Home Affairs external dimension, The safe third country concept revisited, International journal of refugee law, vol. 18, n. 3-‐4, 2006, pag. 571-‐600. 327 CHERUBINI, L’asilo dalla Convenzione di Ginevra al diritto dell’Unione Europea, Cacucci, Bari, 2012, pag. 81 e ss.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
105
collegamento può essere più o meno stringente, e consente di suddividere
l’istituto in tre tipologie principali: il collegamento può essere rappresentato dalla
cittadinanza dello Stato terzo, e si parla in tal caso di “Paese di origine sicuro”;
può essere costituito dal previo riconoscimento della protezione da parte dello
Stato terzo, si parlerà allora di “Paese di primo asilo”; fino ad essere identificato,
nella sua forma più flebile, nel mero transito in uno Stato terzo, configurando
così il concetto di “Paese terzo sicuro”. Le conseguenze giuridiche della
Dichiarazione si concentrano sulle ultime due nozioni, sulla scorta del
presupposto che la Turchia o abbia già riconosciuto protezione ai migranti giunti
in Grecia, o che gli stessi avrebbero dovuto ivi cercare protezione (in particolare,
l’idea di Paese terzo sicuro riposa sulla mera possibilità di ricevere asilo da parte
dello Stato terzo). Tali nozioni trovano fondamento nella principale premessa per
cui l’obbligo di riconoscere lo status di rifugiato sorgerebbe solo nei confronti di
quanti vi abbiano “davvero” necessità e, per quanto riguarda i Paesi terzi sicuri,
sull’ulteriore premessa che sussisterebbe in capo all’asilante una sorta di onere di
richiedere protezione nello Stato geograficamente più vicino al luogo in cui teme
di subire una persecuzione. L’idea di fondo è cioè che coloro che non presentino
domanda di asilo nel primo Stato “disponibile”, non sarebbero in realtà dei
richiedenti genuini, ma meri migranti economici alla “semplice” ricerca di
migliori condizioni di vita. Tali considerazioni muovono inoltre dall’assunto che
non sarebbe riconosciuto in capo al richiedente alcun diritto di scegliere il Paese
di destinazione328, portando di conseguenza a percepire i movimenti secondari
come asylum shopping e, quindi, come un abuso del sistema di protezione.
Vi è poi un'altra considerazione che viene in gioco: la Convenzione di Ginevra del
1951 non prevede un sistema di ripartizione delle responsabilità in ordine alla
328 Del resto lo stesso UNHCR ha cambiato posizione sul tema nel corso degli anni: inizialmente, ha affermato che “asylum should not be refused solely on the ground that it could be sought from another State”, e che “the intentions of the asylum-‐seeker as regards the country in which he wishes to request asylum should as far as possible be taken into account”, per poi sostenere in un secondo momento che “refugees and asylum-‐seekers, who have found protection in a particular country, should normally not move from that country in an irregular manner in order to find durable solutions elsewhere”. Cfr. UNHCR, EXCOM Conclusion n. 15 (XXX) 1979; EXCOM Conclusion n. 58 (XL) 1989. [lingua ufficiale]
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
106
determinazione dello Stato competente ad esaminare le richieste di protezione, e
in tal senso ricorrere a dei criteri di collegamento è un modo per ovviare a tale
carenza. Il concetto di Paese sicuro non è quindi funzionale solamente a
prevenire l’asylum shopping, ma costituisce anche un modo per realizzare il
principio di solidarietà internazionale e condivisione degli oneri (burden-‐sharing).
L’istituto del Paese sicuro interessa quindi le relazioni internazionali tra Stati, in
quanto implica la dichiarazione unilaterale, da parte dello Stato che intende
procedere al rimpatrio, in ordine alla responsabilità di uno Stato terzo circa
l’esame della richiesta di protezione, in assenza però del consenso dello Stato
terzo interessato: solitamente, il problema viene risolto attraverso la conclusione
di appositi accordi bilaterali di riammissione con gli Stati terzi interessati329.
Ad ogni modo, è doveroso sottolineare come l’imposizione al richiedente
dell’onere di presentare la propria domanda nel luogo geograficamente più
vicino, qualora non sia accompagnata da adeguate garanzie, può portare al
risultato opposto di quello che si intenderebbe raggiungere, accrescendo
esponenzialmente il rischio di movimenti secondari e di refoulement, creando un
“effetto domino” di respingimenti a catena330.
2. Applicazione del concetto di Paese sicuro in ambito extra-‐UE
Un esempio di applicazione del concetto di Paese sicuro attraverso l’impiego di
strumenti multilaterali è dato dall’accordo tra Stati Uniti e Canada del 2002331.
Quest’ultimo prevede che la competenza ad esaminare una domanda di 329 Cfr. LAVENEX, Safe third countries: extend the EU asylum and immigration policies to central and eastern europe, Central European university press, Budapest, 1999, pag. 76-‐89, in particolare con riferimento alla collocazione di tali politiche nell’ambito dei processi di pre-‐adesione all’Unione Europea. 330 Cfr. HURWITZ, The collective responsibility of States to protect refugees, Oxford University Press, New York, 2009. 331 Agreement between the Government of Canada and the Government of the United States of America for co-‐operation in the examination of refugee status claims from nationals of third countries, 5 Dicembre 2002. Sulla politica di “protection elsewhere”, e in particolare su tale accordo cfr. FOSTER, Responsibility sharing or shifting? “Safe third countries and international law, Refuge: Canada’s journal on refugees, vol. 25, n. 2, 2008, pag. 64-‐ 78.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
107
protezione internazionale venga radicata in capo allo Stato di “last presence” del
richiedente, riconoscendo quindi il transito come principale criterio di
collegamento, sulla premessa che entrambi i Paesi si riconoscono
vicendevolmente sicuri (pur riconoscendo alcune eccezioni, analoghe alle
previsioni contenute nel Regolamento Dublino III, in merito al rispetto dell’unità
familiare o ai soggetti vulnerabili332). L’accordo in questione è stato oggetto di
ricorso da parte di alcune associazioni a tutela dei diritti umani di fronte alla
Corte Federale Canadese333, la quale, dopo aver in un primo momento accolto le
censure proposte334, le ha rigettate in grado di appello, lasciando però aperta la
possibilità che si possa avere, nel caso concreto, una violazione del divieto di
refoulement335. Vale la pena notare che in tal caso, a differenza di quanto accaduto
nel contesto europeo per il regolamento Dublino III, alla controversia giudiziaria
non è seguita una modifica del testo dell’accordo volta ad esplicitare il carattere
relativo di tale presunzione, continuando tuttora a mancare una previsione
espressa che disponga delle garanzie individuali qualora vi sia il rischio che il
332 Cfr. art. 4 dell’accordo citato. 333 In particolare, le censure proposte riguardavano la designazione degli Stati Uniti come Paese sicuro, a fronte del rischio che i richiedenti, una volta ivi rimpatriati, potessero essere nuovamente respinti verso Stati terzi non sicuri. Sul punto, cfr. MOORE, Unsafe in America: a review of the U.S.-‐Canada safe third Country agreement, Santa Clara law review, vol. 47, n. 2, 2007, pag. 201-‐284. Recentemente, nuove critiche sono state avanzate nei confronti degli Stati Uniti a seguito dell’adozione delle misure adottate dal presidente Trump il 27 Gennaio 2017 (cd. “muslim-‐ban”), sul punto cfr. Canadian council for refugees, CCR responds to ant-‐refugee, anti-‐muslim measures, 29 Gennaio 2017, http://ccrweb.ca/en/responding-‐us-‐anti-‐refugee-‐anti-‐muslim-‐measures, ultima consultazione 25.5.2017. 334 Corte federale canadese, Canadian council for refugees et al. v. H.M. The Queen, 29 Novembre 2007, testo disponibile su https://www.canlii.org/en/ca/fct/doc/2007/2007fc1262/2007fc1262.html, ultima consultazione 16.6.2017. 335 “Border officer’s lack of discretion to forgo returning a claimant to the U.S. for reasons other than the enumerated exceptions […] should be assessed in a proper factual context – that is, when advanced by a refugee who as been denied asylum in Canada pursuant to the Regulations and faces a real risk of refoulement in being sent back to the U.S. pursuant the Safe Third Country Agreement” (Corte federale d’appello canadese, H.M. The Queen v. Canadian council for refugees et al., 29 Giugno 2008, par. 103, testo disponibile su http://decisions.fca-‐caf.gc.ca/fca-‐caf/decisions/en/item/36041/index.do, ultima consultazione 16.6.2017). La questione venne poi deferita alla Corte suprema canadese, che ha però rigettato il ricorso riconoscendo di non avere competenza circa la valutazione della compatibilità dell’accordo con la Convenzione di Ginevra del 1951 e con gli altri strumenti inerenti alla tutela dei diritti umani di cui il Canada sia parte, confermando così la decisione adottata dalla Corte federale d’appello canadese (Corte suprema Canadese, Canadian council for refugees et al. v. H.M. The Queen, 5 Febbraio 2009, testo disponibile su http://ccrweb.ca/en/bulletin/09/02/05, ultima consultazione 16.6.2017).
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
108
richiedente venga esposto a persecuzione o a trattamenti inumani o degradanti.
L’accordo si limita infatti a prevedere una clausola di sovranità simile a quella
contenuta nel regolamento Dublino, stabilendo che “ciascuna delle parti potrà a
sua discrezione esaminare una richiesta di asilo ad essa presentata qualora ritenga
che ciò rientri nel proprio pubblico interesse”336, e a prevedere il divieto di
rimpatrio verso altri Paesi terzi sicuri che non siano parti dell’accordo stesso337.
Tale ultima previsione sembra lasciare però dei dubbi circa la possibilità che, in
assenza di specifiche garanzie, il rimpatrio verso uno Stato che non sia parte
dell’accordo possa comunque avvenire su altre basi338.
Un esempio di impiego della nozione di Paese sicuro attraverso azioni unilaterali
risiede invece nel caso dell’Australia: il concetto fu inizialmente proposto dalla
Corte Federale australiana nel caso Thiyagarajah339, per poi essere sviluppato
dalla giurisprudenza successiva340 ed essere espressamente considerato dagli
336 Cfr. art. 6 dell’accordo citato. 337 Cfr. Art. 3 par. 2 dell’accordo citato, in forza del quale “the Parties shall not remove a refugee status claimant returned to the country of last presence under the terms of this Agreement to another country pursuant to any other safe third country agreement or regulatory designation”. 338 Cfr. in tal senso CARASCO, Canada-‐United States “safe third country agreement”: to what purpose?, Canadian yearbook of international law, vol. 41, pag. 305-‐342. 339 Nel caso di specie, il rimpatrio in Francia di un cittadino dello Sri Lanka venne considerato legittimo ai sensi dell’art 36 del Migration Act del 1958, sulla base del fatto che, avendo ottenuto lo status di rifugiato in Francia, la stesso avrebbe potuto godere di effettiva protezione (“As a matter of domestic and international law, Australia does not owe protection obligations to the respondent as he is a person who has effective protection in France which has accorded him refugee status”), Full federal court, Minister of integration and multicultural affairs v. Thiyagarajah, 2 Marzo 2000, par. 565, testo disponibile su http://www.refworld.org/docid/3ae6b7648.html, ultima consultazione 16.6.2017. 340 Corte federale australiana, Rajendran v. Minister for immigration and multicultural affairs, 4 Settembre 1998, in cui la Corte ha affermato che non sussiste l’obbligo di garantire protezione internazionale nei confronti di un soggetto che, pur non godendo dello status di rifugiato, sia in possesso di un visto d’ingresso per il lungo soggiorno e abbia la possibilità di richiedere un permesso di soggiorno dallo Stato terzo in questione; Corte federale Australiana, Minister for immigration and multicultural affairs v. Gnanapiragasam, 25 Settembre 1998, in cui la Corte ha stabilito che il temporaneo diritto di fare nuovamente ingresso in uno Stato terzo, in pendenza dell’esame della domanda di protezione internazionale ivi presentata, sia di per sé sufficiente per ritenere che sia fornita una protezione effettiva; Corte federale australiana, Al-‐Rahal v. Minister for immigration and multicultural affairs, 20 Agosto 2001, per cui non è richiesta l’esplicita previsione del diritto di ingresso nello Stato terzo; Corte federale australiana, Al-‐Zafiry v. Minister for immigration and multicultural affairs, 18 Settembre 2001, in cui la Corte parimenti ha affermato che non sia necessario che i diritti di ingresso e residenza siano giuridicamente applicabili dallo Stato terzo, qualora possano essere esercitati sul piano concreto, in quanto al richiedente sarebbe “probabilmente” riconosciuta una protezione effettiva (par. 26); Corte federale australiana, Minister for immigration and multicultural affairs v. Al-‐Sallal, 29 Ottobre 1999, per cui la ratifica
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
109
articoli 36 e 91M – 91Q del Migration act 1958341. In particolare, l’art. 36 prevede
l’esclusione degli obblighi di protezione qualora il richiedente non abbia fatto
“quanto possibile” per ottenere il diritto di ingresso e soggiorno in uno Stato
diverso dall’Australia (compresi gli Stati di cui il soggetto sia cittadino), sia esso
temporaneo o permanente, e indipendentemente dal modo in cui tale diritto si
sia manifestato o sia espresso342; mentre gli art. 91M – 91Q contengono
un’espressa codificazione della nozione di Paese terzo sicuro343. Inoltre, attraverso
il Migration amendment act 2001344, venne realizzata una strategia di
esternalizzazione della valutazione delle domande di protezione, la cd. “Pacific
solution”, consistente nell’introduzione una finzione giuridica in forza della quale
una serie di isole australiane sarebbero state escluse dalla cd. “migration zone”, in
modo che coloro che avessero fatto ingresso in Australia attraverso quei territori
non avrebbero potuto accedere alle procedure ordinarie per il riconoscimento
della protezione internazionale, ma avrebbero dovuto invece essere inviati in
Stati terzi dichiarati sicuri dal Ministro competente (in particolare, Nauru e
Papua Nuova Guinea). Tale strategia fu abbandonata nel 2008 (mantenendone
però l’operatività nel territorio dell’Isola di Natale), ma già nel Maggio 2013, con il
Migration amendment bill 2012345, venne invece estesa all’intero territorio
australiano: ad oggi, tutti i migranti giunti irregolarmente via mare non possono della CGSR da Paese terzo non costituirebbe un fattore decisivo per determinare la disponibilità di una protezione effettiva; Corte federale australiana, Patto v. Minister for immigration and multicultural affairs, 2 Novembre 2000, per cui i rimpatri verso uno Stato terzo sicuro non violerebbero il divieto di refoulement in tre situazioni: i) qualora il soggetto abbia diritto di soggiorno in tale Stato e non sia soggetto a persecuzione ai sensi della CGSR 1951, ii) qualora, indipendentemente dal fatto che il soggetto goda o meno di permesso di soggiorno, lo Stato terzo in questione abbia ratificato la CGSR e si possa ritenere che sul piano pratico gli obblighi in essa contenuti siano rispettati, iii) qualora, indipendentemente dal fatto che il soggetto goda di permesso di soggiorno e lo Stato terzo abbia ratificato la CGSR, si possa ritenere che tale Stato offra altrimenti protezione effettiva rispetto alle minacce alla vita e alla libertà del soggetto. 341 Australia, Migration act 1958. 342 Cfr. art. 36 par. 3 Migration Act 1958. In particolare, lo stesso articolo identifica I casi in cui tale disposizione non trova applicazione nelle ipotesi dove il richiedente abbia il fondato timore di subire persecuzione ai sensi della CGSR nello Stato terzo, o dove vi sia il rischio di refoulement indiretto. 343 Cfr. art. 91M – 91Q Migration act 1958. Le previsioni contenute negli art. 36 e 91M – 91Q sono state introdotte con il Border protection legislation amendment act del 1999. 344 Australia, Migration amendment (excision from the migration zone) act 2001. 345 Australia, Migration amendment (unauthorised maritime arrivals and other measures) bill 2012.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
110
richiedere protezione internazionale in Australia, ma sono sottoposti a
detenzione e presi in considerazione per l’ammissione nel territorio di uno Stato
partner, verso il quale possono essere espulsi346.
3. Il concetto di Paese sicuro nel diritto UE
Nell’ambito del diritto dell’Unione Europea la nozione di Paese sicuro è declinata
su un duplice livello, uno “interno” e uno “esterno”. Per quanto riguarda il livello
interno, questo è rappresentato dallo stesso regolamento Dublino III, il quale
presuppone una dichiarazione di sicurezza nei confronti di tutti gli Stati membri,
in ordine alla presentazione delle domande di protezione (infra, Capitolo I,
Sezione II, par. 3). Il livello esterno comprende invece il riconoscimento della
possibilità, per gli Stati membri, di designare uno Stato non membro come sicuro
qualora ricorrano determinate circostanze, individuate dalla direttiva 2013/32. Il
sistema considera una pluralità di nozioni di Paese sicuro, in particolare, i
concetti di “Paese di origine sicuro”, “Paese di primo asilo”, “Paese terzo sicuro” e
“Paese terzo europeo sicuro” 347. Le conseguenze che derivano sul piano giuridico
dall’applicazione di tali nozioni sono però tra loro differenziate: mentre la
richiesta di protezione internazionale presentata dai cittadini di un Paese di
origine sicuro potrà essere sottoposta a procedura accelerata348 e andare incontro
ad una dichiarazione di infondatezza349, la richiesta presentata da coloro che
provengano da un Paese di primo asilo, da un Paese terzo sicuro o da un Paese
europeo sicuro, potrà essere considerata inammissibile350.
346 Cfr. MOTTA, “Between a rock and a hard place”: Australia’s mandatory detention of asylum seekers, Refuge, vol. 20, n. 3, 2002, pag. 12-‐43. 347 Simili concetti sono stati per la prima volta considerati dalle cd. risoluzioni del Consiglio Europeo di Londra del 1992, cfr. Resolution on manifestly unfounded applications for asylum, 1 Dicembre 1992; Resolution on a harmonized approach to questions concerning host third countries, 1 Dicembre 1992; Conclusion on countries in which there is generally no serious risk of persecution, 1 Dicembre 1992. 348 Cfr. art. 31 par. 8 lett. b) direttiva 2013/32. 349 Cfr. art. 32 par. 2 direttiva 2013/32. 350 Cfr. art. 33 par. 2 lett. b), c), e art. 39 par. 1 direttiva 2013/32.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
111
Per quanto riguarda il concetto di Paese di origine sicuro, esso è definito dalla
direttiva 2013/32 agli articoli 36 e 37: la normativa riconosce la possibilità per gli
Stati membri di designare a livello nazionale una lista di tali Paesi ai fini
dell’esame delle domande di protezione internazionale, prevedendo al contempo
l’obbligo di condurre un esame periodico della situazione nei Paesi designati351. La
designazione, così come l’esame periodico, deve basarsi su una serie di fonti di
informazione, tra cui figurano gli altri Stati membri, l’EASO352, l’UNHCR, il
Consiglio d’Europa e altre organizzazioni internazionali competenti, e
presuppone che l’accertamento avvenga sulla base di una serie di circostanze
elencate nell’allegato I della direttiva 2013/32. Tale allegato stabilisce la necessità
di dimostrare che non sono “generalmente e costantemente” presenti
persecuzioni, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o
degradante, né tantomeno pericoli a causa di violenza indiscriminata in
situazioni di conflitto armato o internazionale353. La direttiva fornisce inoltre una
lista non esaustiva di criteri alla luce dei quali tale esame deve essere condotto: è
necessario fare riferimento alle disposizioni legislative in vigore in tale Paese e
alla loro concreta applicazione; alla situazione politica generale; al rispetto di una
serie di trattati in materia di diritti umani354; al rispetto del divieto di refoulement;
all’esistenza di un sistema di ricorsi effettivi qualora si verifichino violazioni
relative ai diritti umani. In particolare, un Paese di origine può essere considerato
sicuro per un determinato richiedente soltanto se questi ne ha la cittadinanza o è
un apolide che prima vi soggiornava abitualmente, e viene fatta salva la
possibilità per il richiedente di questionare l’applicazione di tale concetto
351 Non è stata riprodotta la disposizione che prevedeva la possibilità per il Consiglio di adottare un “elenco comune minimo di Paesi terzi considerati Paesi di origine sicuri”, anche in ragione della sentenza della Corte di Giustizia del 6 Maggio 2008, causa C-‐133/06, Parlamento Europeo c. Consiglio, che ha disposto l’annullamento dei paragrafi 1 e 2 dell’art. 29 direttiva 2005/85. 352 In particolare, l’EASO mette adisposizione degli Stati membri il portale informativo COI (common Country of Origin Information). 353 La nozione di “persecuzione” deve intendersi come riferita a quella contenuta all’art. 9 della direttiva 2011/95. 354 In particolare, la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti Umani e delle libertà fondamentali del 1950, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984. In particolare, deve essere riservata specifica attenzione al rispetto dei diritti inderogabili ai sensi dell’art. 15 par. 2 CEDU.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
112
invocando gravi motivi per ritenere che quel Paese non sia un Paese di origine
sicuro, in relazione alle circostanze specifiche in cui il richiedente stesso si
trova355. Del resto, lo stesso preambolo della direttiva riconosce che la
presunzione in ordine alla sicurezza del Paese di origine non può avere carattere
assoluto, poiché “per sua stessa natura, la valutazione alla base della designazione
può tener conto soltanto della situazione civile, giuridica e politica generale in
tale Paese”356.
I concetti di Paese di primo asilo e di Paese terzo sicuro sono invece considerati
dalla direttiva 2013/32 agli articoli 35 e 38. Per Paese di primo asilo la direttiva
procedure indica lo Stato in cui il richiedente è stato riconosciuto come rifugiato
e possa avvalersi di tale protezione, o goda altrimenti di “protezione sufficiente”
(senza però fornire una definizione esaustiva di cosa si intenda con tale termine,
limitandosi a menzionare la necessità di poter beneficiare del principio di non
refoulement), a patto che sia riammesso in tale Paese; mentre per Paese terzo
sicuro si intende uno Stato terzo (diverso quindi dal Paese di origine del
richiedente e dallo Stato che procede all’esame della domanda di protezione) che,
a seguito di accertamento da parte delle autorità competenti, sia in grado di
garantire al richiedente un trattamento conforme a determinati criteri, quali: i)
non sussistenza di minacce alla vita e libertà del richiedente per ragioni di razza,
religione, nazionalità, opinioni politiche appartenenza a un determinato gruppo
sociale; ii) non sussistenza del rischio di un danno grave così come definito dalla
direttiva 2011/95 – la condanna o l’esecuzione della pena di morte; la tortura o
altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente
nel suo Paese di origine; o la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona
di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto
armato; iii) rispetto del principio di non refoulement; iv) rispetto del divieto di
allontanamento in caso di rischio di torture o trattamenti crudeli, disumani o
degradanti; v) esistenza della possibilità di chiedere lo status di rifugiato e di
355 Il considerando n. 42 ricorda infatti che “[l]a designazione di un […] Paese di origine sicuro […] non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale Paese”. 356 Cfr. considerando n. 42 direttiva 2013/32.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
113
ottenere protezione in conformità alla Convenzione di Ginevra. A tali criteri gli
Stati membri possono fare riferimento anche nell’applicazione del concetto di
Paese di primo asilo, senza tuttavia che si possa configurare un vero e proprio
obbligo a riguardo. Per quanto attiene alle norme nazionali con cui gli Stati
membri designano Paesi terzi come sicuri, esse devono essere strutturate secondo
le indicazioni della direttiva 2013/32. In particolare, le norme nazionali devono:
permettere di accertare la sussistenza di un legame tra il richiedente e lo Stato
terzo, che renda ragionevole il suo trasferimento; prevedere le modalità con cui le
autorità competenti accertano che il concetto di Paese terzo sicuro possa essere
applicato ad un determinato richiedente, attraverso un esame caso per caso della
sicurezza del Paese nei confronti di quel richiedente, e/o una disposizione
nazionale dei Paesi terzi che possono essere considerati generalmente sicuri;
consentire di accertare, conformemente al diritto internazionale, la sicurezza del
Paese per un determinato richiedente attraverso un esame caso per caso; e
consentire al richiedente di impugnare l’applicazione di tale concetto nei suoi
confronti, a motivo del fatto che il Paese terzo in questione non è sicuro nel suo
caso specifico, e di contestare l’esistenza di un legame con tale Paese terzo.
L’art. 39 della direttiva 2013/32 considera, infine, un’ulteriore tipologia: il concetto
di Paese terzo europeo sicuro, o cd. “supersicuro”, ovvero un Paese che abbia
ratificato e osservi la Convenzione di Ginevra senza limitazioni geografiche,
disponga di una procedura di asilo prescritta per legge, e abbia ratificato la
Convenzione Europea dei Diritti Umani e ne rispetti le disposizioni (comprese, in
particolare, le norme riguardati il diritto ad un ricorso effettivo). Anche in questo
caso, viene comunque fatta salva la possibilità per il richiedente di impugnare
l’applicabilità di tale concetto in relazione alle sue condizioni specifiche.
In tutti i casi in cui venga applicata la nozione di Paese sicuro, è riconosciuta al
richiedente la possibilità di presentare ricorso contro la decisione dell’autorità
competente, ma con una sostanziale differenza in ordine all’effetto sospensivo di
tale ricorso: qualora ad essere contestata sia l’applicazione della nozione di Paese
terzo sicuro, al richiedente è riconosciuto automaticamente il diritto di
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
114
permanere nel territorio dello Stato membro in questione in attesa della scadenza
del termine per esercitare tale diritto o in attesa della definizione del ricorso;
mentre nel caso dell’applicazione dei concetti di Paese di origine sicuro, Paese di
primo asilo e Paese terzo europeo sicuro tale possibilità è rimessa alla
discrezionalità dell’autorità giudiziaria, che potrà disporre, d’ufficio o su istanza
del richiedente, il diritto dello stesso alla permanenza sul territorio dello Stato
membro357.
Qualora vengano applicati i concetti di Paese terzo sicuro o europeo sicuro, nel
caso in cui il Paese terzo interessato non riammetta il richiedente, gli Stati
membri hanno l’obbligo di assicurare allo stesso l’accesso ad una procedura di
esame in conformità ai principi e alle garanzie fondamentali stabiliti dalla stessa
direttiva. In ogni caso, quando gli Stati membri applicano i concetti di Paese di
origine sicuro, Paese terzo sicuro o europeo sicuro, è fatto obbligo agli Stati
membri di comunicare periodicamente alla Commissione a quali Stati applicano
tali nozioni.
Analizzata la normativa vigente, è necessario tenere però in considerazione lo
spazio che la Commissione ha riservato alle nozioni di Paese sicuro nella recente
proposta di regolamento procedure, attualmente in fase di discussione358. Essa
contiene infatti da un lato delle sostanziali novità, e dall’altro una specificazione
dei concetti già esistenti, che meritano particolare attenzione specialmente a
fronte del contesto temporale in cui si inserisce, solo pochi mesi dopo la
conclusione dell’accordo del 18 Marzo 2016. Le nuove previsioni si rapportano
357 Cfr. art. 46 par. 5 e par. 6 lett. a), b), d) direttiva 2013/32. Tale previsione si può porre in contrasto con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani in ordine agli art. 3 e 13 della CEDU, per la quale “data la natura irreversibile del danno che potrebbe verificarsi se il presunto rischio di tortura o maltrattamento si verificasse e l’importanza che riveste l’art. 3, la nozione di rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 richiede uno scrutinio indipendente e rigoroso del ricorso in ordine all’esistenza di serie ragioni per temere il rischio di un trattamento contrario all’art. 3, e la possibilità di sospendere l’applicazione della misura oggetto di ricorso.” (cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, 11 Luglio 2000, 40035/98, Jabari c. Turchia; nello stesso senso cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, 26 Aprile 2008, 25389/05, Gebremedhin c. Francia) 358 Cfr. COM(2016) 467. Cfr. Il commento a cura dell’International Commission of jurists, ICJ comments on the current proposal of the regulation, Aprile 2017, http://www.statewatch.org/news/2017/apr/eu-‐icj-‐comments-‐eu-‐asylum-‐procedures-‐directive-‐4-‐17.pdf, ultima consultazione 30.5.2017.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
115
all’obiettivo di realizzare l’armonizzazione anche rispetto a tali nozioni,
considerate le prassi (talora sensibilmente) divergenti adottate dagli Stati membri
nel corso degli anni mediante la designazione a livello nazionale: è infatti previsto
che l’adozione delle nozioni di Paese di origine sicuro e Paese terzo sicuro
avvenga “a livello di Unione”, a seguito di un periodo transitorio di cinque anni
nel quale gli Stati membri hanno comunque la possibilità di mantenere le proprie
liste nazionali359. La questione è però tutt’altro che pacifica: la proposta stessa
riconosce l’esistenza di “pareri divergenti” tra gli Stati membri circa
l’obbligatorietà in ordine all’applicazione di tali concetti. La maggior parte degli
Stati membri, infatti, pur essendo favorevole alla compilazione di liste comuni,
preferisce “mantenere anche la possibilità di elenchi nazionali”, manifestando,
ancora una volta, ritrosia a cedere le proprie competenze in nome
dell’armonizzazione360. È previsto inoltre l’intervento della Commissione,
coadiuvata dalla nuova Agenzia dell’Unione Europea per l’asilo, in ordine
all’esame periodico della situazione in tali Paesi, alla possibilità di adottare con
atto delegato la sospensione di tali designazioni, e l’eventuale depennamento
degli Stati terzi in questione dalle liste comuni attraverso una proposta di
modifica del regolamento procedure361.
Ad ogni modo, la designazione a livello di Unione dovrebbe avvenire attraverso la
procedura di codecisione, mediante una successiva modifica dello stesso
359 Cfr. art 50 COM(2016) 467. 360 Cfr. COM(2016) 467, pag. 8. 361 Cfr. Art. 46, 48, 49 COM(2016) 467. In particolare, per quanto riguarda la sospensione, questa avverrà attraverso l’adozione da parte della Commissione di un atto delegato, per un periodo di sei mesi, qualora si verifichi un cambiamento repentino della situazione nel Paese terzo in questione, e a seguito di una valutazione circostanziata non ritenga più soddisfatti i criteri sostanziali ai fini della designazione. La Commissione è poi tenuta a riesaminare “costantemente la situazione nel Paese terzo tenendo conto, tra l’altro, delle informazioni fornite dagli Stati membri in merito all’ulteriore evoluzione” (sembrerebbe, in particolare, che le informazioni da parte degli Stati membri rivestano un ruolo preminente rispetto alle altre fonti di informazione). Entro tre mesi la Commissione ha la possibilità di presentare una proposta di modifica del regolamento procedure finalizzata alla designazione di Paese terzo sicuro o di depennare il Paese dall’elenco comune di Paesi di origine sicuri. Se entro tre mesi la Commissione non presenta tale proposta, l’atto delegato che dispone la sospensione cessa di avere efficacia, dove invece la proposta sia presentata nel termine di tre mesi, la Commissione ha, in base ad una valutazione circostanziata, il potere di prorogare la validità dell’atto delegato per un periodo di sei mesi, rinnovabile una sola volta.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
116
regolamento procedure per quanto riguarda i Paesi terzi sicuri e l’incorporazione
del (futuro) regolamento che stabilisce una lista comune di Paesi di origine
sicuri362. Nel 2015 infatti la commissione ha presentato l’adozione di tale lista con
una proposta di regolamento363, indicando nel preambolo la possibilità di tener
conto di una serie di criteri addizionali rispetto a quelli già previsti nella direttiva
2013/32, in ordine alla valutazione dei Paesi da inserire nella lista comune (in
particolare, il numero di violazioni della CEDU accertate dalla Corte di
Strasburgo nel 2014, il tasso di riconoscimento di protezione internazionale nei
confronti dei cittadini provenienti dagli Stati interessati, e le tappe raggiunte da
parte di alcuni degli Stati candidati all’adesione364), che sono stati ripresi nella
proposta del 2016365, lasciando intatte le perplessità che a loro tempo
generarono366.
Tornando alla proposta della Commissione di regolamento procedure, per quel
che concerne gli aspetti prettamente procedurali è proposto l’inserimento del
termine di un mese entro cui deve concludersi la procedura finalizzata al giudizio 362 Cfr. COM(2016) 476 pag. 18 – 19. 363 Cfr. COM(2015) 452, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un elenco comune dell’UE di Paesi di origine sicuri ai fini della direttiva 2013/32 del Parlamento europeo e del Consiglio recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, e che modifica la direttiva 2013/32/UE. L’opportunità di adottare una lista comune di Paesi di origine era già stata affacciata in sede di negoziati della prima versione della direttiva procedure (direttiva 2005/85). In tale occasione, gli Stati non riuscirono a raggiungere il consenso unanime necessario in ordine ai Paesi da inserire in tale lista, sicché si convenne di lasciare all’interno della direttiva 2005/85 una disposizione che avrebbe successivamente permesso al Consiglio di adottare la lista comune (cfr. art. 29 direttiva 2005/85). Tale clausola fu però oggetto di ricorso da parte del Parlamento europeo davanti alla CGUE, che la censurò per ragioni prettamente procedurali, in quanto, se avesse potuto autonomamente adottare la lista comune, il Consiglio avrebbe sforato le proprie competenze – mentre invece la corretta procedura per l’adozione di tale lista avrebbe dovuto essere identificata nella procedura di codecisione (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 6 Maggio 2998, C-‐133/06, Parlamento europeo c. Consiglio, ECLI:EU:C:2008:257). 364 Cfr. considerando n. 10-‐16 COM(2015) 452. 365 Cfr. considerando n. 53 – 62 COM(2016) 467. 366 In particolare, il criterio che tiene conto del numero di violazioni accertate dalla Corte EDU non considera una serie di elementi, tra cui il numero di ricorso che hanno portato ad un’effettiva decisione nel merito, il lasso di tempo intercorso tra il momento in cui la violazione si è verificata e la decisione della Corte, quanti ricorsi sono stati proposti da cittadini di quello Stato in particolare, quali erano le violazioni lamentate nei ricorsi. Cfr. in tal senso PEERS, 14 Settembre 2015, “Safe Countries of origin”: assessing the new proposal, http://eulawanalysis.blogspot.it/2015/09/safe-‐countries-‐of-‐origin-‐assessing-‐new.html, ultima consultazione 8 Dicembre 2016; AIDA, “Safe Countries of origin”: a safe concept?, AIDA legal briefing n. 3, Settembre 2015.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
117
di ammissibilità della richiesta, termine che viene però ridotto a dieci giorni
qualora il giudizio riguardi l’applicazione dei concetti di Paese di primo asilo o
Paese terzo sicuro367. Viene inoltre espressamente riconosciuta la possibilità per il
richiedente di contestare l’applicazione di tali concetti prima che intervenga
l’eventuale decisione di inammissibilità, in sede di presentazione della domanda e
durante il colloquio sull’ammissibilità368. In merito alla procedura accelerata,
l’adozione della stessa è sottratta alla discrezionalità degli Stati membri, e sono
previsti termini per la sua conclusione (assenti, invece, nell’attuale normativa, che
si limita a richiedere la “ragionevolezza” di tali termini369), per cui nell’ipotesi in
cui venga applicato il concetto di Paese di origine sicuro – così come negli altri
casi in cui debba adottarsi la procedura accelerata – la procedura d’esame deve
concludersi entro due mesi dalla presentazione della domanda370.
La Sezione V, Capo III, della proposta contiene invece le definizioni sostanziali
dei concetti di Paese sicuro: per quanto riguarda la nozione di Paese di origine
sicuro371, tra le fonti di informazione cui è necessario fare riferimento vengono
inseriti il Servizio europeo per l’azione esterna e l’analisi comune delle
informazioni sui Paesi di origine realizzata dall’Agenzia europea per l’asilo372,
mentre per quanto riguarda i criteri che devono trovare applicazione in ordine
alla valutazione viene meglio specificata la portata del divieto di refoulement,
eliminando il riferimento alla “conformità alla Convenzione di Ginevra”373.
367 Cfr. art. 34. par. 1, par. 2 COM(2016) 467. 368 La Commissione, nel proporre di mantenere le differenze previste dalla vigente direttiva procedure in ordine all’automaticità dell’effetto sospensivo del ricorso, si preoccupa di specificare le ragioni di tale differenziazione, affermando che “si ritiene infatti che il rischio di violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani quando si applica il concetto di Paese terzo sicuro”. Cfr. COM(2016) 467 pag. 18. 369 Cfr. art. 31 par. 9 direttiva 2013/32. 370 Cfr. art. 40 par. 1, par. 2 COM(2016) 467. 371 Cfr. art. 47 COM(2016) 467. 372 Cfr. art. 10 COM(2016) 271. 373 In particolare, viene stabilito che la protezione offerta dal Paese terzo dovrà comportare “l’assenza di espulsione, allontanamento o estradizione dei propri cittadini verso Paesi terzi in cui, tra l’altro, sarebbero esposti al grave rischio di essere esposti alla pena di morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, ovvero in cui la loro vita o libertà sarebbero minacciate a motivo della razza, della religione, della nazionalità, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche o ancora in cui sarebbero esposti al grave rischio di espulsione, allontanamento o
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
118
Rispetto alla nozione di Paese di primo asilo, la proposta colma le lacune presenti
nell’attuale direttiva e fornisce una specificazione di “protezione sufficiente”: si
avrà protezione sufficiente qualora ricorrano gli stessi elementi previsti dall’art.
38 par. 1 lett. a) – e) della direttiva 2013/32 per l’applicazione del concetto di Paese
terzo sicuro (in questo modo, gli Stati membri non sarebbero più liberi di
scegliere se applicare o meno tali criteri, ma sarebbero invece tenuti a farlo) con
l’aggiunta di tre ulteriori criteri che devono essere parimenti tenuti in
considerazione: per lo Stato terzo in questione deve vigere il diritto di soggiorno
legale; deve essere assicurato un accesso adeguato al mercato del lavoro, alle
strutture di accoglienza, all’assistenza sanitaria e all’istruzione; e deve vigere un
diritto al ricongiungimento familiare conforme alle norme internazionali sui
diritti umani374.
Per quanto riguarda il concetto di Paese terzo sicuro, il riferimento alla
“possibilità di chiedere lo status di rifugiato” è sostituito con la “possibilità di
godere, secondo il caso, di protezione in virtù delle norme sostanziali della
Convenzione di Ginevra o di protezione sufficiente”, come definita rispetto al
concetto di Paese di primo asilo. Inoltre, in merito al legame che il richiedente
deve possedere con la Stato terzo, viene espressamente menzionato il transito, “in
quanto geograficamente il Paese terzo è vicino al suo Paese di origine”375.
Mentre sembra essere stata rimossa la nozione di Paese terzo europeo sicuro,
un’ultima novità attiene alla situazione giuridica dei minori non accompagnati: la
normativa vigente non pone particolari limitazioni all’applicazione della nozione
di Paese di origine sicuro nei confronti di tali soggetti, mentre delle parziali
garanzie particolari sono previste per i minori che provengano da un Paese di
primo asilo, per cui non sono soggetti alla procedura di frontiera, e per i minori
estradizione verso un altro Paese terzo”. Positivamente degna di nota è l’inserimento del riferimento all’orientamento sessuale: in questo senso la proposta è innovativa rispetto alla Convenzione del 1951, dove tale menzione è invece assente. 374 Cfr. art 44 COM(2016) 467. 375 Cfr. art. 45 COM (2016) 467.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
119
che provengano da un Paese terzo sicuro376, per i quali l’inammissibilità della
relativa richiesta può essere dichiarata solamente dove ciò sia nell’interesse
superiore del minore377. La proposta della Commissione elimina quest’ultimo
riferimento, subordinando l’applicazione della nozione di Paese terzo sicuro al
minore non accompagnato al solo requisito della conferma, da parte delle
autorità dello Stato terzo, circa la ripresa in carico del minore e la possibilità per
lo stesso di avere accesso ad una forma di protezione in virtù delle norme
sostanziali della Convenzione di Ginevra del 1951, o di protezione sufficiente.
Dato conto dei principali contenuti della proposta di regolamento procedure, per
quanto qui interessa, sono necessarie alcune considerazioni a commento di tale
iniziativa. In primo luogo, è stato notato come le designazioni di Paese di origine
sicuro (ma lo stesso può dirsi per le designazioni di Paese di primo asilo e Paese
terzo sicuro) limitino, in una certa misura, l’autonomia decisionale delle autorità
nazionali competenti per l’accertamento della protezione internazionale378. Vero
è che la composizione degli organi a ciò deputati varia sensibilmente da Stato
membro a Stato membro, presentando in alcuni casi un’autonomia più marcata
rispetto ad altri, ma in questo senso si porrebbe l’opportunità di considerare
un’armonizzazione a livello UE anche in ordine a tale elemento, possibilmente
nella direzione di un elevato grado di indipendenza di tali autorità. Inoltre, nella
stessa ottica, perplessità sono state avanzate circa il ruolo dell’EASO, la cui
struttura è fortemente influenzata dalla componente governativa – basti
considerare che il Consiglio di Amministrazione dell’EASO è composto in buona
misura da rappresentanti dei governi degli Stati membri, eccezion fatta per due
rappresentanti della Commissione e un rappresentante dell’UNHCR.
Inoltre, risulta abbastanza chiaro che il collegamento tra valutazioni politiche e
impiego dei concetti di Paese sicuro sia predominante: non sembra casuale
376 Cfr. art. 25 par. 6 lett. b) direttiva 2913/32, che non prevede la possibilità di applicare l’art. 43, relative alla procedura alla frontiera, ai minori non accompagnati che provengano da un Paese di primo asilo. 377 Cfr. art. 25 par. 6 lett. c) direttiva 2013/32. 378 Cfr. COSTELLO, Safe Country? Says who?, International journal of refugee law, vol. 28, n. 4, 2016, pag. 601-‐622.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
120
l’inserimento della Turchia nella proposta di regolamento per l’istituzione di una
lista comune di Paesi di origine sicuri del 2015, specialmente considerando che,
mentre gli altri Stati inseriti in tale lista (Albania, Bosnia-‐Erzegovina, ex
Repubblica jugoslava di Macedonia, Kosovo, Montenegro e Serbia) erano già
presenti nelle designazioni nazionali, nessuno Stato membro aveva designato la
Turchia come Paese di origine sicuro. Ugualmente, le determinazioni politiche in
materia di visti sono spesso connesse all’applicazione della nozione di Paese di
origine sicuro: dove si vogliano limitare gli ingressi ma non sia più possibile
mantenere l’obbligo del visto (vuoi perché formalmente abolito, vuoi perché
siano in corso dei negoziati per l’esenzione), la designazione come Paese di
origine sicuro è un’alternativa in grado di garantire il medesimo effetto. Allo
stesso modo, l’espressa previsione del transito come criterio di collegamento con
lo Stato terzo ai fini della sua valutazione come Paese terzo sicuro, l’eliminazione
del riferimento alla possibilità di ottenere lo status di rifugiato e la specificazione
della nozione di protezione sufficiente contribuiscono a dirimere, in una certa
misura, parte delle argomentazioni che sono state avanzate in ordine alla
possibilità di qualificare la Turchia come Paese di primo asilo o terzo sicuro (sulle
quali cfr. il paragrafo successivo). Se forse sarebbe troppo audace affermare che si
tratti di previsioni ad hoc, la contiguità temporale in cui si pongono la
Dichiarazione del 18 Marzo 2016 e le proposte di regolamento della Commissione
suscita, quantomeno, una certa diffidenza. La volontà di realizzare un’effettiva
armonizzazione UE nelle materie dell’asilo e dell’immigrazione non può certo
essere criticata per se, ma una volta stabilito lo strumento, è necessario
interrogarsi sul suo contenuto e sull’obiettivo perseguito: se il fine cui si tende sia
in altre parole garantire un’effettiva e completa tutela a quanti richiedono
protezione, o piuttosto trasferire la responsabilità di tale tutela a partners che, in
vista della propria collocazione geografica e della propria posizione nella scena
politica internazionale, siano disposti ad accettare siffatto trasferimento. Del
resto, la posizione della Turchia al riguardo non è sempre stata accomodante379:
379 Cfr. HURWITZ, The collective responsibility of States… cit.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
121
un simile revirement non può non essere letto alla luce dell’interesse politico che
riveste in ordine all’esenzione dell’obbligo del visto per i propri cittadini e al
processo di adesione in corso. Al contrario, il processo di armonizzazione
andrebbe valorizzato nel senso di perseguire un effettivo innalzamento degli
standard di tutela: a tal riguardo, sembra che la Commissione, nelle sue proposte,
faccia, per così dire, “di tutto” pur di non richiedere espressamente la ratifica
della Convenzione di Ginevra da parte dello Stato terzo nei cui confronti si
vorrebbero effettuare i rimpatri. Se tale obiettivo può sembrare a prima vista
pretenzioso alla luce della situazione politica internazionale, sarebbe forse
opportuno ragionare su quali siano le effettive ragioni che spingono gli Stati
europei a invocare principi di solidarietà nei confronti di Stati terzi: se non si
tratti, in altre parole, di voler mantenere a tutti i costi un sistema – il sistema
Dublino – che ha già dato prova di iniquità per quanto riguarda la condivisione
degli oneri tra Stati membri. L’impressione è che, pur di non rinunciarvi, gli Stati
membri siano disposti ad accettare un abbassamento qualitativo della tutela
offerta ai richiedenti.
4. Il sistema di protezione internazionale offerto dalla Turchia
Il ruolo della Turchia viene in rilievo sotto un duplice aspetto: da un lato, essa è
candidata ad essere designata come Paese di origine sicuro in merito all’adozione
di una lista comune di Paesi di origine sicuri, e dall’altro, pur non essendo
espressamente riconosciuta come tale dal testo della Dichiarazione del 18 Marzo
2016, deve essere considerata Paese di primo asilo o Paese terzo sicuro affinché i
rimpatri dalla Grecia possano essere considerati legittimi. In ordine al primo
profilo, l’attuale situazione generale in ordine al rispetto dei diritti umani in
Turchia fa sorgere molteplici dubbi circa la possibilità di applicarvi la nozione di
Paese di origine sicuro, in special modo alla luce dello stato di emergenza
dichiarato a seguito del tentato colpo di Stato di Luglio 2016 e della relativa
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
122
sospensione della Convenzione Europea dei Diritti Umani380, nonché della deriva
sempre più autoritaria che pare profilarsi a seguito del referendum costituzionale
del 16 Aprile 2017381. Per quanto qui interessa, di seguito ci si concentrerà sul
secondo profilo, considerando i tratti salienti del sistema di protezione
internazionale offerto dalla Turchia e la sua compatibilità con i requisiti posti
dall’attuale direttiva 2013/32.
La Turchia si è formalmente dotata di un sistema di protezione solo in tempi
recenti, con la Law on foreigners and international protection (LFIP) 382, entrata in
vigore nel 2014, a cui deve aggiungersi il Temporary Protection Regulation
(TPR)383, un sistema di protezione temporanea che trova attualmente
applicazione nei confronti dei richiedenti siriani. Pur avendo ratificato la
Convenzione di Ginevra del 1951, la Turchia ha mantenuto una riserva geografica
per cui è tenuta a riconoscere lo status di rifugiato solamente a cittadini europei
(intesi come cittadini di Stati membri del Consiglio d’Europa384). La struttura del
LFIP riflette tale limitazione, riconoscendo principalmente tre tipologie di status
di protezione internazionale: lo status di rifugiato, lo status di rifugiato
380 Cfr. SOMMARIO, La deroga turca alla Convenzione Europea dei Diritti Umani ed il tentato colpo di Stato del Luglio 2016, Diritti umani e diritto internazionale, vol. 3, 2016, pag 720-‐727; GALIMBERTI, Il mancato golpe turco e I decreti legge di emergenza: l’allarme lanciato dalla Commissione di Venezia, Quaderni costituzionali, vol. 1, 2017, pag. 169-‐173; BAĞLAYAN, 3 Gennaio 2017, The turkish state of emergency under consitutional law and international human rights law, https://www.asil.org/insights/volume/21/issue/1/turkish-‐state-‐emergency-‐under-‐turkish-‐constitutional-‐law-‐and, ultima consultazione 20.5.2017. 381 Cfr. The New York Times, Erdogan claims vast powers in Turkey after narrow victory in referendum, 16 Aprile 2017, https://www.nytimes.com/2017/04/16/world/europe/turkey-‐referendum-‐polls-‐erdogan.html?_r=0, ultima consultazione 30.5.2017. 382 Yabancılar ve Uluslararası Koruma Kanunu (law on foreigners and international protection), 10 Aprile 2013, il cui testo in inglese è reperibile su http://www.goc.gov.tr/files/files/eng_minikanun_5_son.pdf. Fino ad allora, la materia è stata disciplinata attraverso fonti regolamentari. Cfr. Norwegian Organisation for Asylum Seekers, Seeking asylum in Turkey. A critical review of Turkey’s asylum laws and practices, 2016, http://www.asylumineurope.org/sites/default/files/resources/noas-‐rapport-‐tyrkia-‐april-‐2016_0.pdf, ultima consultazione 30.5.2017; AÇIKGÖZ, ARINER, Turkey’s new law on foreigners and international protection: an introduction, Turkish migration studies group at Oxford, Briefing Paper n. 2, Gennaio 2014; DARDAĞAN KİBAR, An overview and discussion of the new turkish law on foreigners and international protection, Perceptions, vol. 18, n. 3, 2013, pag 109-‐128. 383 Geçici Koruma Yönetmeliği (temporary protection regulation), 22 Ottobre 2014, il cui testo è reperibile in inglese su http://www.goc.gov.tr/files/_dokuman28.pdf. 384 Cfr. Art. 3, par. 1 lett. b), art. 61 LFIP.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
123
condizionato e la protezione sussidiaria. A trovare generalmente applicazione385
nei confronti dei richiedenti è la categoria di rifugiato condizionato386, in quanto
riferita ad “eventi che si sono verificati all’infuori dei Paesi europei”. Essa si
configura come tipologia di protezione a carattere temporaneo e prevede
l’accesso ad una serie limitata di diritti – ad esempio, i beneficiari non godono
automaticamente dell’accesso al lavoro, né dei diritti in tema di
ricongiungimento familiare. Per quanto riguarda la protezione sussidiaria387, essa
ricalca la nozione fatta propria dall’acquis europeo: si tratta di una categoria
residuale che trova applicazione nei confronti di quanti non possano essere
qualificati come rifugiati o rifugiati condizionati ma che necessitano comunque di
una forma di protezione, poiché, se rimpatriati nel Paese di origine o di abituale
residenza, correrebbero il rischio di essere esposti: i) alla condanna o
all’esecuzione della pena di morte; ii) a tortura o altri trattamenti inumani o
degradanti; iii) alla minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante
dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o
internazionale. A differenza dei rifugiati condizionati, ai titolari di protezione
sussidiaria sono riconosciuti i diritti di accesso al lavoro e al ricongiungimento
familiare, ma la forma di protezione offerta ha carattere parimenti temporaneo.
Un discorso differente deve essere riservato al TPR: esso consiste in una fonte
regolamentare388 rappresentata da una direttiva del Consiglio dei Ministri,
emanata in base all’art. 91 del LFIP, in forza del quale “la protezione temporanea
può essere riconosciuta a stranieri che siano stati costretti a lasciare il proprio
Paese e non possano farvi ritorno, siano giunti alle frontiere della Turchia o le
abbiano attraversate in una situazione di influsso massiccio e cerchino protezione
immediata e temporanea”. Il regolamento istituisce una forma di protezione
alternativa rispetto alle tipologie considerate dal LFIP, ed è entrato in vigore con
385 Principalmente cittadini iracheni, afghani, iraniani e somali. 386 Cfr. art. 62 LFIP. 387 Cfr. art. 63 LFIP. 388 Vale la pena sottolineare che, in questo caso, materie quali il riconoscimento di diritti fondamentali e la determinazione di obblighi e garanzie in capo ai richiedenti sono state definite da una fonte secondaria, e non da una fonte legislativa.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
124
effetto retroattivo nei confronti dei cittadini siriani, degli apolidi (ad esempio,
palestinesi) e dei rifugiati (cittadini non siriani che erano riconosciuti come
rifugiati in Siria) che siano giunti dalla Siria a partire dal 28 Aprile 2011. A seguito
dell’entrata in vigore della Dichiarazione del 18 Marzo 2016, il 7 Aprile 2016 il TPR
è stato oggetto di modifica per consentire a quanti fossero stati rimpatriati dalla
Grecia di accedere a tale forma di protezione – per la prima volta, per coloro che
non fossero stati registrati in Turchia; e una seconda volta, per coloro che fossero
già stati registrati (le previsioni previgenti contemplavano infatti la perdita dello
status qualora il beneficiario si fosse ingiustificatamente allontanato dal territorio
turco).
Per quanto riguarda le autorità competenti in ordine all’esame delle richieste di
protezione internazionale (tanto le tipologie di protezione disciplinate dal LFIP
quanto la protezione temporanea), la gestione del sistema è affidata al
Directorate General of Migration Management (DGMM), un’agenzia governativa
creata tramite il LFIP e dislocata a livello provinciale389. Parallelamente, anche
l’UNHCR svolge un’attività in ordine alla ricezione delle richieste di protezione390.
Le condizioni materiali di accoglienza sono spesso subordinate alle risorse
finanziarie disponibili: in particolare, alloggio in natura, assistenza sociale e
accesso alle cure mediche sono riservati a coloro che non siano provvisti di
assicurazione medica o dei mezzi finanziari adeguati391. Normalmente, i
389 Prima dell’entrata in vigore del LFIP, vigeva un sistema centralizzato in forza del quale le richieste erano processate ad Ankara, presso la polizia nazionale – la materia della protezione internazionale era infatti concepita come questione di “sicurezza nazionale”. 390 I richiedenti protezione internazionale (esclusi i siriani) possono registrarsi anche presso gli uffici dell’UNHCR, le cui determinazioni (in ordine alla sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione e per il reinsediamento), pur non avendo carattere vincolante, erano normalmente seguite dall’autorità centralizzata precedente all’istituzione del DGMM. È stata rilevata però un’inversione di tendenza da parte di quest’ultimo, che tende ad imporsi come unico decision-‐maker al riguardo. Cfr. BAIRD, RADCLIFFE, ROMAN, Why Turkey is not a “safe country”, Statewatch analysis, Febbraio 2016, http://www.statewatch.org/analyses/no-‐283-‐why-‐turkey-‐is-‐not-‐a-‐safe-‐country.pdf, ultima consultazione 31.5.2017. 391 Cfr. art. 89 par. 3 LFIP, art. 26 TPR. La limitazione in ordine alla possibilità di fruire di cure mediche non si applica ai siriani beneficiari di protezione temporanea. Tuttavia, sembra che tale possibilità sia, in concreto, garantita a tutti i richiedenti. Cfr. AIDA, Country report: Turkey, Dicembre 2015, pag. 87.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
125
beneficiari di protezione392 sono distribuiti secondo un sistema di allocazione che
esclude i grandi centri abitati, ed è prevista la possibilità per il DGMM di mettere
a disposizione delle strutture di accoglienza, così come il diritto all’istruzione
primaria e secondaria393. Per quanto riguarda l’istruzione, sembra che gli ostacoli
linguistici costituiscano una delle maggiori barriere in ordine all’effettiva
fruizione di tale diritto. L’accesso al mercato del lavoro è invece differenziato
rispetto alla tipologia di protezione accordata: mentre i titolari dello status di
rifugiato e i beneficiari di protezione sussidiaria vi hanno accesso al momento del
riconoscimento della protezione, i rifugiati condizionati sono tenuti ad attendere
un periodo di sei mesi a decorrere dal momento di presentazione della domanda,
e vige per essi il medesimo regime ordinario previsto per gli stranieri che non
abbiano effettuato richiesta di protezione internazionale, che contempla permessi
di lavoro “sponsorizzati” da un datore di lavoro specifico, non particolarmente
diffusi sul piano pratico a causa dei costi finanziari ed amministrativi che
comportano per il datore di lavoro stesso394. Inoltre, l’allocazione al di fuori dei
grandi centri abitati rende spesso difficoltoso l’accesso effettivo al mercato del
lavoro per tali soggetti. Per quanto riguarda i siriani, a seguito dell’emanazione di
un apposito regolamento nel Gennaio 2016, è parimenti riconosciuta la possibilità
di accedere al mercato del lavoro dopo sei mesi dalla presentazione della
domanda, ma tale diritto è limitato da una serie di restrizioni, tra cui
l’applicazione di un sistema di quote in forza del quale, ad esempio, il numero di
beneficiari protezione temporanea impiegati in un dato luogo di lavoro non può
eccedere il 10% dei cittadini turchi impiegati nel medesimo luogo (limitazione
che non si applica però rispetto ai lavori agricoli e di allevamento stagionali).
Nelle città di frontiera, in cui la presenza di siriani è particolarmente elevata, ciò
si traduce spesso nella prestazione di lavoro irregolare.
392 Tale sistema non trova però applicazione nei confronti dei titolari di protezione temporanea, che possono invece risiedere nelle grandi città . Inoltre, per tali soggetti sono stati istituiti degli appositi campi di accoglienza, la cui capacità contenitiva è però sufficiente solamente per il 10% dei beneficiari. 393 Cfr. art. 89 par. 1 LFIP, art. 26 TPR. 394 Cfr. art. 89 par. 4 LFIP, art. 26 TPR.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
126
Per quel che concerne le misure di detenzione, sono previste principalmente due
tipologie: una in pendenza dell’esame della richiesta di protezione, la cui durata
non può eccedere trenta giorni, e che può essere disposta solamente nelle ipotesi
tassativamente indicate dal LFIP e solamente ove non siano possibili altre
misure395; e una preordinata al rimpatrio, che deve essere soggetta
all’approvazione dell’autorità amministrativa provinciale competente, che non
può eccedere il termine di sei mesi e può ugualmente essere disposta solo nei casi
espressamente indicati396. In entrambi i casi, è possibile presentare ricorso
all’autorità giudiziaria, che è tenuta a pronunciarsi entro il termine di cinque
giorni con decisione non appellabile. Il TPR indica inoltre la possibilità di una
forma di detenzione “informale” (ulteriore alle due tipologie previste dal LFIP),
stabilendo che coloro che sono esclusi dalla protezione temporanea possono
essere “accomodati”, per ragioni umanitarie e fino al momento del rimpatrio, nei
centri di accoglienza temporanei o altri luoghi determinati dall’autorità
provinciale competente, “senza che sia necessaria la decisione di detenzione
amministrativa richiesta dal LFIP”, configurando, attraverso una fonte di rango
regolamentare, quella che sembrerebbe una forma di detenzione informale che
sfugge ai requisiti stabiliti dalla legge397.
Le decisioni assunte ai sensi del LFIP e del TPR possono essere oggetto di ricorso,
in particolare, le decisioni in ordine alla detenzione, all’inammissibilità e alle
procedure accelerate sono riservate alla competenza dell’autorità giudiziaria398: a
tal fine, qualora non si disponga dei mezzi necessari, è prevista la possibilità di
fruire di assistenza legale gratuita, alle medesime condizioni stabilite cittadini
turchi. È stato però riportato come spesso l’effettiva possibilità di comunicare con 395 Cfr. art. 68 LFIP. Va sottolineato però come alcune delle ipotesi previste siano formulate in termini molto ampi, ad esempio qualora il richiedente costituisca una seria minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica. 396 Cfr. art 57 LFIP. È stato rilevato che nei casi in cui la domanda di protezione internazionale venga presentata durante il periodo di detenzione finalizzata al rimpatrio, lo status detentivo del richiedente non viene modificato, eccedendo così il limite di trenta giorni. 397 Cfr. art. 8 par. 3 TPR. 398 Le altre decisioni possono ugualmente essere oggetto di ricorso, ma dinanzi all’autorità amministrativa. Per quanto riguarda i ricorsi presentati all’autorità giudiziaria, essa è tenuta a pronunciarsi entro cinque giorni per le decisioni in ordine alla detenzione, ed entro quindici giorni in ordine all’inammissibilità e alle procedure accelerate, con decisione non appellabile.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
127
gli avvocati sia ostacolata dalla mancanza di interpreti, e sia stato in alcune
occasioni impedito ai legali di avere accesso alla documentazione necessaria399.
5. (segue) La Turchia come Paese sicuro ai sensi del diritto UE
Per valutare se la Turchia possa essere considerata Paese di primo asilo o terzo
sicuro, è in primo luogo necessaria una premessa di ordine interpretativo. La
questione risente infatti dell’ambiguità con cui i requisiti ai fini di tale
qualificazione sono formulati dalla direttiva 2013/32: rispettivamente, in ordine
alla nozione di “protezione sufficiente” di cui all’art. 35 lett. b) della direttiva
2013/32, e alla nozione di “protezione in conformità alla Convenzione di Ginevra”
di cui all’articolo 38 lett. e) della medesima direttiva. Il dibattito si è infatti
incentrato sulla portata, tutt’altro che univoca, di tali indicazioni, in particolare
sul disposto dell’art. 38 lett. e) della direttiva procedure.
È stato infatti sostenuto che tale requisito non si sostanzierebbe nella necessità da
parte del Paese terzo in questione della ratifica della Convenzione di Ginevra del
1951 senza limitazione geografica, e l’argomentazione principale portata a
supporto di tale tesi consiste nell’osservazione che, mentre tale requisito è
espressamente richiesto dall’art. 39 per la designazione come Paese europeo
sicuro, è invece assente nel dettato dell’art. 38 della direttiva 2013/32400. Tale
lettura non merita di essere condivisa. In primo luogo, se è vero che il legislatore
europeo si è riferito alla riserva geografica come (mancata) condizione per la
qualificazione come Paese terzo europeo sicuro, è altrettanto vero che quando ha
voluto fare riferimento ad una forma di protezione diversa da quella fornita dalla
Convenzione di Ginevra del 1951, lo ha fatto espressamente – in particolare, all’art.
35 lett. b) della direttiva 2013/32 – pertanto, le due considerazioni a contrario si
399 Norwegian Organisation for Asylum Seekers, Seeking asylum in Turkey… cit. pag. 35. 400 THYM, Why the EU-‐Turkey deal is legal and a step in the right direction, 9 Marzo 2016, http://verfassungsblog.de/why-‐the-‐eu-‐turkey-‐deal-‐is-‐legal-‐and-‐a-‐step-‐in-‐the-‐right-‐direction/, ultima consultazione 2.4.2017; HAILBRONNER, Legal requirements for the EU-‐Turkey refugee deal… cit.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
128
annullano a vicenda. In secondo luogo, la storia legislativa della direttiva
procedure supporta l’interpretazione per cui l’art. 38 richiederebbe la rimozione
della riserva geografica: il draft del 2002 prevedeva espressamente che la
disposizione potesse applicarsi anche a Stati che non avessero ratificato la
Convenzione del 1951, ma tale riferimento è stato rimosso durante i negoziati. In
terzo luogo, il testo dell’art. 38 non si riferisce solo alla “protezione in
conformità”, ma anche alla “possibilità di chiedere lo status di rifugiato”: come
può essere possibile ottenere lo status di rifugiato in conformità alla Convenzione
del 1951 da parte di uno Stato che non l’abbia ratificata, o non la applichi
pienamente? Ugualmente, non è possibile sostenere che i termini “rifugiato” e
“status di rifugiato” debbano essere intesi esclusivamente ai fini della direttiva
2013/32, poiché l’art. 38 ha una proiezione “esterna”: non si riferisce agli Stati
membri, ma a Stati che non siano parte dell’Unione Europea (allo stesso modo
deve intendersi il riferimento dell’art. 35 lett. a) allo status di rifugiato, proprio in
ragione del fatto che la lett. b) contempla una forma di protezione differente)401.
Per tali ragioni, si deve ritenere che l’art. 38 lett. e) della direttiva procedure
debba essere interpretato nel senso di richiedere la ratifica senza limitazioni della
Convenzione del 1951, escludendo così l’applicabilità dello stesso nei confronti
della Turchia.
Per quanto riguarda invece la nozione di “protezione sufficiente” ex art. 35 lett.
b), come osservato, essa non sembra richiedere la ratifica della Convenzione del
1951: se mai, si porrebbe la questione di verificare se la portata di tale previsione
debba intendersi come riferita esclusivamente al divieto di refoulement, o sia
invece suscettibile di un’interpretazione estensiva atta a comprendere una più
ampia gamma di diritti402.
401 PEERS, The EU, Turkey and the refugee crisis… cit.; FAVILLI, La cooperazione UE-‐Turchia... cit. Dell’avviso per cui l’art. 38 lett. e) direttiva 2013/32 dovrebbe essere interpretato nel senso della completa ratifica della Convenzione di Ginevra, cfr. anche la posizione dell’UNHCR, Legal considerations on the return of asylum seekers… cit. 402 In questo senso si è espresso l’UNHCR, sottolineando come tale nozione dovrebbe ricomprendere anche: i) la tutela dal rischio di persecuzione ai sensi della CGSR o dal rischio di danno grave ai sensi dell’art. 15 della direttiva 2011/95 ; ii) il rispetto, sia sul piano giuridico che sul piano concreto, degli standard internazionali rilevanti in materia di diritti umani, incluse
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
129
Ciò posto, anche volendo interpretare le disposizioni della direttiva 2013/32 nel
senso di non ritenere necessaria la rimozione della riserva geografica, è necessario
verificare se la Turchia rispetti, sul piano pratico, gli altri requisiti contemplati403.
La lett. a) dell’art. 38 della direttiva 2013/32 richiede che “non sussistano minacce
alla vita e alla libertà [del richiedente] per ragioni di razza, religione, nazionalità,
opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale”: al riguardo,
per quanto non sia possibile affermare la sussistenza di simili minacce, va
sottolineato come sia stata riportata la presenza un certo grado di ostilità da parte
della società turca nei confronti di richiedenti e titolari di protezione, che
potrebbero contribuire a ingenerare situazioni di violenza404.
La lett. b) dell’art. 38 direttiva 2013/32 richiede l’assenza di un danno grave ai
sensi della direttiva 2011/95: va rilevato come da un lato, siano state riportate
violazioni circa le condizioni di detenzione nei centri di rimpatrio, tanto da
ONG405 quanto dalla Corte EDU406; dall’altro va tenuto in considerazione il
conflitto interno tra le autorità Turche e ribelli curdi nel sud del Paese,
cirrcostanza che può costituire una minaccia per i richiedenti o titolari di
protezione che si trovino in quella zona407.
adeguate condizioni di vita, accesso al lavoro, alle cure mediche e all’educazione; iii) la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno; iv) l’assistenza nei confronti di persone vulnerabili; v) l’accesso, in tempi ragionevoli, ad una soluzione a lungo termine. Cfr. UNHCR, Legal considerations on the return of asylum seekers… cit. Nello stesso documento, viene sottolineata inoltre l’opportunità di sottoporre la questione ad una pronuncia pregiudiziale della CGUE, ai sensi dell’art. 267 lett. b) TFUE. Parallelamente la Commissione ha ritenuto che il sistema di protezione fornito dalla Turchia costituisca “protezione sufficiente” ai sensi dell’art. 35 lett. b) direttiva 2013/21, cfr. http://europa.eu/rapid/press-‐release_MEMO-‐16-‐4321_en.htm, ultima consultazione 1.6.2017. 403 Cfr. BAIRD, RADCLIFFE, ROMAN, Why Turkey is not a “safe country” cit. 404 Norwegian Organisation for Asylum Seekers, Seeking asylum in Turkey… cit pag 19, CHATTY, The syrian humanitarian disaster: disparities in perception, aspirations and behaviour in Lebanon, Jordan and Turkey, University of Oxford refugee study centre, RSC research brief n. 3, Dicembre 2015; IDIZ, Attacks on syrians in Turkey increasing, 20 Maggio 2015, Al Monitor, http://www.al-‐monitor.com/pulse/originals/2015/05/turkey-‐attack-‐on-‐syrians-‐in-‐country-‐on-‐the-‐rise.html. 405 Cfr. Amnesty International, Europe’s gatekeeper. Unlawful detention and deportation of refugees from Turkey, Dicembre 2015, https://www.amnesty.org/en/documents/eur44/3022/2015/en/, ultima consultazione 31.5.2017. 406 Cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, 22 Settembre 2009, 30471/08, Abdolkhani e Karimnia c. Turchia; Corte Europea dei Diritti Umani, 15 Dicembre 2015, 74535/10, S.A. c. Turchia. 407 Amnesty international, Annual report Turkey 2016/2017, https://www.amnesty.org/en/countries/europe-‐and-‐central-‐asia/turkey/report-‐turkey/, ultima consultazione 31.5.2017.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
130
Sia l’art. 38 lett. c) che l’art. 35 par. 2 richiedono la garanzia contro il refoulement:
anche rispetto a tale elemento, a fronte delle testimonianze fornite dalle ONG,
non sembra che la Turchia possa offrire adeguata protezione in tal senso. Va
rilevato al riguardo che la Turchia ha abbandonato le politiche “open doors”
adottate negli anni precedenti, al punto da aver avviato la costruzione di una
muraglia al confine con la Siria, presso il quale sono stati documentati push-‐backs
e violenze ai danni di quanti tentino di attraversarlo: al termine del 2016,
l’Osservatorio siriano per i diritti umani ha riportato che nel corso dell’anno 165
cittadini siriani sarebbero stati uccisi dalle guardie di frontiera turche408. Inoltre,
da un lato l’art. 11 del TPR non impone all’autorità competente l’obbligo di
motivare le decisioni in ordine alla concessione della protezione temporanea
(elemento che potrebbe, nella pratica, dare luogo a pratiche di refoulement), e
dall’altro le modifiche introdotte il 7 Aprile 2016 dal governo turco non
garantiscono l’automatico riacquisto della protezione temporanea, ma sembra
che sia lasciata alle autorità competenti una certa discrezionalità al riguardo. Per
quanto riguarda i non siriani, per quanto le autorità turche abbiano fornito
garanzie alla Commissione in termini di protezione dal refoulement409, una volta
rimpatriati in Turchia essi sono sottoposti a detenzione nel centro di Kirklareli
per aver precedentemente violato le norme nazionali turche in materia
408 Cfr. Amnesty international, Europe’s gatekeeper… cit; Amnesty international, 1 Aprile 2016, Turkey: illegal mass returns of Syrian refugees expose fatal flaws in EU-‐Turkey deal, https://www.amnesty.org/en/press-‐releases/2016/04/turkey-‐illegal-‐mass-‐returns-‐of-‐syrian-‐refugees-‐expose-‐fatal-‐flaws-‐in-‐eu-‐turkey-‐deal/, ultima consultazione 31.5.2017; Amnesty international, Annual report Turkey 2015/2016, https://www.amnesty.org/en/latest/research/2016/02/annual-‐report-‐201516/, ultima consultazione 31.5.2017; Human Rights Watch, 23 Novembre 2015, Turkey: Syrians pushed back at the border, https://www.hrw.org/news/2015/11/23/turkey-‐syrians-‐pushed-‐back-‐border, ultima consultazione 31.5.2017; ECRE, 24 Ottobre 2016, Extension of the border wall and ongoing violence at the turkish syrian border, https://www.ecre.org/extension-‐of-‐the-‐border-‐wall-‐and-‐ongoing-‐violence-‐at-‐the-‐turkish-‐syrian-‐border/, ultima consultazione 1.6.2017; ECRE, 28 Aprile 2017, Refugees have their backs against the Turkey-‐Syria border wall: first phase of the construction finalised, https://www.ecre.org/refugees-‐has-‐their-‐backs-‐against-‐the-‐turkey-‐syria-‐border-‐wall-‐first-‐phase-‐of-‐construction-‐finalized/, ultima consultazione 1.6.2017, Syrian observatory for human rights, 6 Dicembre 2016, 165 syrians citizens killed by the turkish border guards and SOHR calls for Turkey to punish the responsible, http://www.syriahr.com/en/?p=56414, ultima consultazione 1.6.2017. 409 COM(2016) 349, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, seconda relazione sui progressi compiuti nell’attuazione della dichiarazione UE-‐Turchia.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
131
attraversamento delle frontiere, e vedono le proprie richieste di protezione
sottoposte a procedura accelerata. A tutto ciò, si aggiunga la modifica introdotta
dal decreto 676 nel contesto dello stato di emergenza dichiarato dopo il tentativo
di colpo di Stato del Luglio 2016, in forza del quale può essere adottata una
decisione di rimpatrio nei confronti di un beneficiario di protezione
internazionale dove questi debba considerarsi collegato ad un’organizzazione
terroristica410.
Infine, si impongono due ulteriori considerazioni. In primo luogo, il sistema di
protezione offerto dalla Turchia, così strutturato, impedisce ai beneficiari di
ottenere una soluzione durevole: il carattere temporaneo dello status di rifugiato
condizionato, della protezione sussidiaria e della protezione temporanea ai sensi
del TPR esclude, per definizione, la prospettiva di un’integrazione a lungo
termine. In particolare, il tempo trascorso durante il godimento della protezione
internazionale non è computabile ai fini degli otto anni necessari per il
conseguimento del permesso di soggiorno a lungo termine considerato dal
LFIP411; inoltre per quanto riguarda la protezione temporanea, il Consiglio dei
ministri turco ha piena discrezionalità circa la durata della sua applicazione.
In secondo luogo, il sistema di protezione offerto dalla Turchia è relativamente
giovane: ciò permette di avanzare perplessità in ordine alla preparazione e alla
capacità da parte del personale del DGMM e degli operatori del diritto al
riguardo, specialmente a fronte di una situazione in cui la pressione sul sistema è
particolarmente marcata a causa dell’alto numero di richiedenti presenti sul
territorio412.
410 ECRE, 17 Marzo 2017, Op-‐ed by Cavid Saykan: the EU-‐Turkey deal one year on: the rise of the walls of shame…, https://www.ecre.org/op-‐ed-‐by-‐cavidan-‐soykan-‐the-‐eu-‐turkey-‐deal-‐one-‐year-‐on-‐the-‐rise-‐of-‐walls-‐of-‐shame/, ultima conultazione 1.6.2017 ore 12.20. 411 Cfr. Art. 42 LFIP. 412 Cfr. ULUSOY, Turkey as a safe third Country?, 29 Marzo 2016, https://www.law.ox.ac.uk/research-‐subject-‐groups/centre-‐criminology/centreborder-‐criminologies/blog/2016/03/turkey-‐safe-‐third, ultima consultazione 19.5.2017; Amnesty international, No safe refuge. Asylum seekers and refugees denied effective protection in Turkey, Marzo 2016, https://www.amnesty.org/en/documents/eur44/3825/2016/en/, ultima consultazione 31.5.2017.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
132
6. La legittimità delle misure di rimpatrio alla luce della Convenzione di
Ginevra del 1951
Il dibattito che ruota attorno alla Dichiarazione (ma, più in generale, attorno alla
nozione di Paese sicuro) si è concentrato principalmente su rilievi che attengono
alla legittimità dei rimpatri ai sensi del diritto UE, e in particolare
sull’applicabilità dei concetti di Paese di primo asilo e terzo sicuro nei confronti
della Turchia, senza però porre in discussione la legittimità delle stesse nozioni
alla luce delle disposizioni della Convenzione di Ginevra del 1951. Vero è che tale
Convenzione non autorizza espressamente, né tantomeno proibisce413 questo tipo
di pratiche, ma sembra utile interrogarsi da un lato sulle basi giuridiche
solitamente richiamate a fondamento delle nozioni di Paese di primo asilo e
Paese terzo sicuro (gli art. 31 e 33 CGSR), e dall’altro sull’esistenza, da parte degli
Stati firmatari, di obblighi ulteriori nei confronti dei richiedenti asilo rispetto al
divieto di refoulement414.
Per quanto riguarda l’art. 31 CGSR, esso al par. 1 dispone che “the Contracting
States shall not impose penalties, on account of their illegal entry or presence, on
refugees who, coming directly from a territory where their life or freedom was
threatened in the sense of article 1, enter or are present in their territory without
authorization, provided they present themselves without delay to the authorities
and show good cause for their illegal entry or presence”415. È stato sostenuto che il
riferimento al divieto di imporre sanzioni qualora vi sia stato un ingresso diretto,
consentirebbe di argomentare a contrario che dove l’ingresso non provenga 413 Cfr. FOSTER, Protection elsewhere: the legal implications of requiring refugees to seek protection in another State, Michigan journal of international law, vol. 28, n. 2, 2007, pag. 223-‐286. 414 Cfr. MORENO-‐LAX, The legality of the “safe third country” notion… cit. Di seguito non verrà analizzata invece la compatibilità della nozione di Paese di origine sicuro ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951. Al riguardo, basti accennare che anche tale concetto, per come interpretato ai sensi del diritto UE, mal si concilia con lo spirito di tale trattato: uno Stato in cui non vi siano “generalmente e costantemente” persecuzioni è uno Stato in cui tali persecuzioni non si verificano nei confronti della maggior parte dei propri cittadini, mentre la protezione offerta dalla Convenzione del 1951 trova spesso applicazione nei confronti di soggetti appartenenti a minoranze. 415 Corsivo aggiunto.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
133
direttamente dal luogo in cui si teme la persecuzione, sarebbe consentita la
previsione di tali sanzioni416: per analogia, gli Stati hanno ritenuto di non avere
alcun obbligo di esaminare una richiesta di protezione in un simile contesto, e di
poter legittimamente rimpatriare il richiedente nello Stato “intermedio”417.
Applicando il disposto dell’art. 31 par. 1 della Convenzione di Vienna sul diritto
dei Trattati del 1969, in forza del quale “a treaty shall be interpreted in good faith
in accordance with the ordinary meaning to be given to the terms of the treaty in
their context and in the light of its object and purpose”, si può rilevare che,
rispetto al contesto in cui si colloca, il campo di applicazione dell’art. 31 CGSR
sembrerebbe riferito non tanto all’accertamento del diritto alla protezione, ma
alla semplice circostanza dell’ingresso nel territorio: interpretare l’ingresso
“diretto” come requisito necessario ai fini del riconoscimento dello status si
porrebbe in contrasto, rischiando di privarlo del suo effetto utile, con l’art. 1, sez.
A, par. 2 della medesima Convenzione, che definisce gli elementi necessari ai fini
di tale accertamento418, poiché si finirebbe con dare più rilevanza al tragitto
compiuto rispetto alle ragioni poste alla base della domanda di protezione. Vero è
che l’art. 31 par. 3 lett. b) della Convenzione di Vienna del 1969 prescrive di tener
conto anche di “any subsequent practice in the application of the treaty which
establishes the agreement of the parties regarding its interpretation”, ma per
quanto via sia una certa diffusione tra le pratiche degli Stati in ordine al ricorso
alla nozione di Paese di primo asilo e terzo sicuro, non sembra vi siano gli
elementi sufficienti per poter affermare la presenza di una consuetudine
internazionale al riguardo419.
416 Cfr. HAILBRONNER, The concept of “Safe Country” and expeditious asylum procedures: a western European perspective, International journal of refugee law, vol. 5, n. 1, 1993, pag. 31-‐65, Legal requirements for the EU-‐Turkey agreement: a reply… cit. Il termine “sanzione penale” deve essere inteso in senso estensivo, comprensivo dei limiti procedurali in ordine alla presentazione della domanda di protezione – un’interpretazione in senso restrittivo sarebbe contraria allo scopo della norma. Cfr. GOODWIN-‐GILL, MCADAM, The refugee in international law, Oxford University Press, Oxford, 2007. 417 HURWITZ, The collective responsibility of States… cit. 418 Previsione, per altro, insuscettibile di essere sottoposta a qualsivoglia tipo di riserva, secondo quanto disposto dall’art. 46 CGSR. 419 Cfr. HURWITZ, The collective responsibility of States… cit. Vale la pena notare che, se la proposta di regolamento procedure della Commissione dovesse essere approvata, si potrebbe
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
134
Una seconda argomentazione riguarda l’art. 33 CGSR. In base ad esso “no
Contracting State shall expel or return (“refouler”) a refugee in any manner
whatsoever to the frontiers of territories where his life or freedom would be
threatened on account of his race, religion, nationality, membership of a
particular social group or political opinion”, e, secondo alcuni, tale previsione si
porrebbe come unico limite ai rimpatri “sicuri”. Ma affermare ciò significherebbe
legittimare una catena potenzialmente infinita di rimpatri (fintanto che venga
rispettato il divieto di refoulement diretto e indiretto), vorrebbe in altre parole
dire che nessuno Stato parte della Convenzione del 1951 è tenuto a fornire
protezione nei confronti di un richiedente che possa avanzare richiesta di
protezione ad un altro Stato, o che abbia già ricevuto una protezione minima che
lo protegga dal refoulement. In questo modo si finirebbe per privare le altre
disposizioni della Convenzione del 1951 di qualunque effetto utile. Infatti, gli Stati
parte non sono tenuti a rispettare soltanto il divieto di non-‐refoulement, ma
anche quell’insieme di doveri di protezione che scaturiscono dalla semplice
presenza (simple presence) del richiedente sul loro territorio420. Asserire che tali
diritti avrebbero carattere meramente provvisorio – poiché non verrebbero
trasferiti a loro volta, assieme al richiedente, nello Stato terzo – equivarrebbe a
dire che gli Stati sono liberi di svincolarsi da tali obblighi: se i trasferimenti
avvengono verso uno Stato non parte della Convenzione421, questi non è tenuto a
garantirne il rispetto, con il risultato che il richiedente, dopo averli acquisiti sul
territorio dello Stato parte, se ne vedrebbe privare una volta rimpatriato verso lo
Stato non parte422. Si potrebbe argomentare che, qualora tale complesso di diritti
porre in futuro la questione di comprendere se sia o meno ricostruibile una consuetudine di portata regionale. 420 Cfr. HATHAWAY, The rights of refugees… cit. In particolare, ci si riferisce agli art: 3, 4, 13, 16 par. 1, 20, 22, 25, 27, 29, 31, 33, 34 CGSR. 421 La Turchia, in questo senso, si porrebbe in posizione analoga a quella di uno Stato non firmatario, a fronte della riserva geografica mantenuta. 422 Cfr. HATHAWAY, Taking refugees’s rights seriously cit. Per l’autore il problema risiederebbe nel fatto che una simile interpretazione andrebbe a minare il vincolo posto dalla Convenzione del 1951 in ordine all’emancipazione dei rifugiati nel Paesi in cui hanno ottenuto protezione, derivato dal complesso degli art. 2 – 34 della medesima Convenzione. Sul tema, secondo Hathaway bisognerebbe inoltre fare riferimento non soltanto all’art. 33 CGSR, ma anche all’art. 32 CGSR: il combinato disposto di tali norme consentirebbe di identificare nella “regolarizzazione” – nel
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
135
fosse in concreto assicurato dal Paese terzo sicuro, non vi sarebbe alcuna
violazione, ma si porrebbe nuovamente il dilemma affrontato nei paragrafi
precedenti, se cioè sia o meno necessaria la rimozione da parte della Turchia della
riserva geografica alla Convenzione del 1951. Alla luce della natura solidale degli
obblighi nascenti dalla Convenzione di Ginevra, consegnare un richiedente ad
uno Stato che non ne sia parte rischierebbe di far venir meno l’effetto utile stessa
Convenzione, e ciò indipendentemente dal tipo di protezione offerta in concreto
da tale Stato: tanto più che le stesse eccezioni previste dall’art. 33 par. 2 CGSR non
consentirebbero di precludere al richiedente il diritto ad ottenere lo status di
rifugiato423. Infatti, dove si vogliano invocare tali circostanze, il richiedente non
può essere respinto direttamente in un altro Stato, ma sarà necessario attendere
che questi abbia legittimamente effettuato una nuova domanda nei confronti
dello Stato di rinvio, domanda che dovrà essere preordinata al riconoscimento di
tale status424. La previsione del rimpatrio dei richiedenti verso la Turchia
costituisce, per ciò, una violazione della Convenzione di Ginevra da parte degli
Stati membri dell’Unione Europea.
Ci si può chiedere se la Dichiarazione del 18 Marzo 2016 possa essere vista come
accordo inter se tra Stati parti della Convenzione di Ginevra del 1951, volta a
passaggio da “simple” a “legal” presence – della posizione del richiedente l’unico modo per evitare i rimpatri “sicuri” (cfr. HATHAWAY, Refugee law is not immigration law, World refugee survey 2002, pag. 38-‐42). In senso critico, cfr. MORENO-‐LAX, The safe third country notion… cit., che sottolinea come la discrezionalità riconosciuta agli Stati nel determinare le modalità tale passaggio debba necessariamente leggersi alla luce del principio di buona fede nell’esecuzione dei trattati e del principio di effettività correlato all’interpretazione dei trattati, nel senso di renderne effettivamente possibile la realizzazione. Inoltre, con riferimento al contesto dell’Unione Europea, l’autrice sostiene che il considerando n. 9 della direttiva 2008/115 (“[…] il soggiorno di un cittadino di un Paese terzo che abbia chiesto asilo in uno Stato membro non dovrebbe essere considerato irregolare nel territorio di tale Stato membro finché non sia entrata in vigore una decisione negativa in merito alla sua domanda d’asilo o una decisione che pone fine al suo diritto di soggiorno quale richiedente asilo”), ripreso dalla CGUE nella sentenza Kazdoev (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 30 Novembre 2009, C-‐357/09, Kadzoev, ECLI:EU:C:2009:741), consentirebbe di asserire che nel caso del diritto UE il passaggio da “simple presence” a “legal presence” sarebbe quasi automatico, poiché dipenderebbe dalla semplice presentazione della domanda di protezione. L’ultima argomentazione non sembra però condivisibile, alla luce del fatto che le indicazioni contenute nei preamboli non rivestono valenza normativa. 423 Poiché trovano fondamento in ragioni diverse da quelle indicate all’art. 1 sez. F della Convenzione del 1951, che stabiliscono invece le circostanze in cui non è possibile riconoscere lo status. 424 Cfr. SALERNO, L’obbligo internazionale non refoulement… cit.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
136
modificare la stessa Convenzione nei rapporti tra alcune soltanto delle parti (gli
Stati membri da un lato, e la Turchia dall’altro). Sul tema, l’art. 41 della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 pone una serie di requisiti:
è necessario che la possibilità di una modifica sia prevista dal trattato o
quantomeno non vietata, che essa non pregiudichi in alcun modo per le altre
parti il godimento dei diritti derivanti dal trattato né l’adempimento dei loro
obblighi e non verta su una disposizione dalla quale non si possa derogare senza
che vi sia un’incompatibilità con effettiva realizzazione dell’oggetto e dello scopo
del trattato. In particolare l’ultimo requisito non sembrerebbe essere rispettato:
scopo della Convenzione del 1951 è “to assure refugees the widest possible
exercise of these fundamental rights and freedoms”, e il rimpatrio verso un Paese,
come la Turchia, che riconosce un livello di protezione qualitativamente minore
rispetto a quello offerto dagli Stati che hanno ratificato la convenzione senza
limitazioni geografiche, non sembra andare in questa direzione. Inoltre, non
sarebbe stata effettuata nemmeno la notifica agli altri Stati parti della
Convenzione del 1951 richiesta dall’art. 41 par. 2 della Convenzione di Vienna sul
diritto dei trattati del 1969.
Infine, un ulteriore elemento che deve essere tenuto in considerazione attiene
alla natura della Convenzione del 1951 di “trattato-‐regime”, ovvero quella
tipologia di accordi internazionali che stabiliscono una disciplina “obiettiva”,
rilevante in qualche modo anche per Stati terzi, poiché configura un regime
indivisibile cui sottende un interesse generale della comunità internazionale425.
Malgrado non si configurino obblighi specifici in capo agli Stati non parte, la
libertà internazionale di questi ultimi è tenuta a confrontarsi con tale interesse
generale, tanto più dove il trattato presenti una connessione con norme
internazionali generalmente riconosciute – come, in questo caso, il divieto di
425 Tale tipologia di accordi non è presa in considerazione dalle Convenzioni di Vienna sul diritto dei trattati, in quanto modellata principalmente sul tradizionale modello sinallagmatico. Una simile circostanza, più che costituire un argomento a favore dell’illegittimità di tale categoria, sembra riflettere il carattere non esaustivo delle Convenzioni. Cfr. SALERNO, Diritto internazionale. Principi e norme cit.; L’obbligo internazionale di non-‐refoulement… cit.; e Treaties establishing objective regimes, in CANNIZZARO (a cura di) The law of treaties beyond the Vienna Convention, Oxford University Press, New York, 2011, pag. 225-‐243.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
137
refoulement. Mentre gli Stati firmatari sono tenuti a promuovere l’applicazione
della Convenzione del 1951, dove possibile, anche al di fuori del suo ambito di
applicazione territoriale, lo Stato non parte è tenuto a rispettare non soltanto la
norma consuetudinaria relativa al non respingimento, ma anche a non ostacolare
l’applicazione della disciplina enunciata dalla Convenzione. Inoltre, in quanto
membro delle Nazioni Unite, la Turchia è tenuta a rispettare i vincoli di
cooperazione che derivano da tale status426.
7. La legittimità delle misure di rimpatrio alla luce della Convenzione
Europea dei Diritti Umani
La Convenzione del 1951 non è l’unico strumento internazionale rilevante in
ordine alla realizzazione di rimpatri “sicuri”. La tutela dal refoulement è
considerata da un nutrito numero di accordi internazionali in materia di diritti
umani, tra cui spicca la Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU). In
particolare, malgrado tale Convenzione non contempli espressamente alcun
obbligo di non respingimento a carico degli Stati parte, l’art. 3 CEDU, in forza del
quale “no one shall be subjected to torture or to inhuman or degrading treatment
or punishment”, è stato interpretato, attraverso un’ampia giurisprudenza della
Corte EDU a partire dal celebre caso Soering, nel senso di ricomprendere nel suo
ambito applicativo anche le forme di respingimento verso un Paese dove sussista
il rischio di subire tali trattamenti, configurando così una protezione “par
ricochet”. Tale conclusione è stata raggiunta alla luce del carattere della CEDU
come “treaty for the collective enforcement of human rights and fundamental
freedoms […] the object and purpose of [which] require that its provisions be
interpreted and applied so as to make its safeguards practical and effective [and]
[…] consisent with the general spirit of the Convention, an instrument designed
426 Cfr. art. 2 par. 5 Carta delle Nazioni Unite.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
138
to maintain and promote the ideals and values of a democratic society”427. Tale
principio trova applicazione indipendentemente dalla circostanza che, ad
esempio, l’individuo in questione ponga in essere delle attività ritenute pericolose
dal Paese che intenda effettuare l’espulsione, in quanto “la protezione dell’art. 3
CEDU è più ampia di quella fornita dall’art 33 della Convenzione di Ginevra del
1951”428. Il non refoulement si configurerebbe come una “delle fattispecie in cui si
scompone il divieto di tortura”429, acquisendo così, in tale accezione, valore di jus
cogens. Nell’ottica della Corte EDU, la valutazione del rischio cui si esporrebbe il
soggetto destinatario dell’espulsione deve essere condotta facendo riferimento sia
alla situazione generale430 circa il rispetto dei diritti umani nel Paese di
destinazione, sia alla situazione particolare del ricorrente431, esaminando la
situazione di fatto effettivamente presente in detto Stato432. L’estensione della
protezione coprirebbe inoltre anche il caso di refoulement indiretto, in quanto “il
rimpatrio […] verso uno Stato intermedio, che sia a sua volta parte della CEDU,
non va a toccare la responsabilità [dello Stato che effettui il rimpatrio] relativa
all’accertamento che il ricorrente non sia, a causa della decisione di rimpatrio,
esposto al rischio di trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione”433.
L’evoluzione giurisprudenziale sul tema ha condotto alla già citata sentenza
M.S.S., in cui la Corte, pur non avendo valutato la violazione dell’art. 3 CEDU da
parte della Grecia, ha riconosciuto siffatta violazione da parte del Belgio, sulla
base del fatto che tale Stato sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che nello Stato
intermedio (la Grecia) non erano rinvenibili adeguate garanzie rispetto al rischio
di espulsioni arbitrarie, che avrebbero potuto esporre l’individuo ai rischi
427 Cfr. Corte Europea dei diritti Umani, 7 Luglio 1989, 14038/88, Soering c. Regno Unito, par. 87. 428 Cfr. Corte Europea dei diritti Umani, 17 Dicembre 1996, 71/1995/577/663 Ahmed c. Austria, par. 41. 429 Cfr. LENZERINI, Il principio di non refoulement dopo la sentenza Hirsi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Rivista di diritto internazionale, vol. 95, n. 3, 2012, pag.721-‐761. 430 Corte Europea dei Diritti Umani, 11 Gennaio 2007, 1948/04, Salah Sheekh c. Paesi Bassi, par. 138. 431 Corte Europea dei Diritti Umani, 23 Settembre 2010, 171785/05, Iskandarov c. Russia, par. 127. 432 Cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, 8 Febbraio 2008, 37201/06, Saadi c. Italia, par. 147. 433 Cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, 7 Marzo 2000, 43844/98, T.I. c Regno Unito, pag. 15; cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, M.S.S. c. Belgio e Grecia cit.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
139
contemplati dall’art. 3 CEDU434. Come già osservato, tale giurisprudenza ha
portato alla modifica dell’art. 3 par. 2 del regolamento Dublino III, che stabilisce
oggi il divieto di effettuare i trasferimenti Dublino verso uno Stato membro nei
cui confronti vi siano fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche
in ordine alla procedura di asilo e alle condizioni di accoglienza, che implicano il
rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’art. 4 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea. In questo senso, va quindi letta
positivamente la modifica proposta dalla Commissione rispetto al regolamento
procedure, nel comprendere nella nozione di “protezione sufficiente” ai fini
dell’applicazione della nozione di Paese di primo asilo anche l’osservanza del
divieto di refoulement rispetto al diritto a non subire torture o trattamenti
inumani o degradanti.
Un’ulteriore questione che merita di essere esaminata in ordine alla legittimità
dei rimpatri verso la Turchia inerisce alla compatibilità con il divieto di espulsioni
collettive sancito dall’art. 4 del Protocollo addizionale n.4 alla Convenzione
Europea dei Diritti Umani: al riguardo, va rilevato che la Corte di Strasburgo ha
posto dei requisisti abbastanza stringenti in ordine alla sussistenza della
fattispecie, tanto che ne ha riconosciuto la violazione solamente in sei casi435.
Secondo la Corte EDU, per espulsione collettiva deve intendersi “qualsiasi misura
che costringa degli stranieri, in quanto gruppo, a lasciare un Paese, ad eccezione
del caso in cui tale misura sia presa al termine e sulla base di un esame
ragionevole ed obiettivo della situazione particolare di ciascuno degli stranieri
che formano il gruppo”436: la ratio dell’art. 4 Prot. 4 è infatti impedire agli Stati di
allontanare arbitrariamente un certo numero di stranieri, senza un esame
sufficientemente personalizzato che consenta loro di esporre le proprie ragioni 434 Corte Europea dei Diritti Umani, M.S.S. c. Belgio e Grecia cit., par 353-‐358. 435 Cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, 5 Febbraio 2002, 51564/99, Čonka c. Belgio; Corte Europea dei Diritti Umani, 22 Febbraio 2012, 27765/98, Hirsi Jamaa ed al. c. Italia; Corte Europea dei Diritti Umani, 3 luglio 2014, 13255/07, Georgia c. Russia; Corte Europea dei Diritti Umani, 21 Ottobre 2014, 16643/09, Sharifi ed al. c. Italia e Grecia; Corte Europea dei Diritti Umani, 1 Settembre 2015, 16483/12, Khlaifia ed al. c. Italia; Corte Europea dei Diritti Umani, 20 Dicembre 2016, 14594/07, 14597/07, 14976/07, 14978/07, 15221/07, 16369/07, 16706/07, Berdzenishvili ed al. c. Russia; Corte Europea dei Diritti Umani, 20 Dicembre 2016, 19356/07, Shioshvili ed al. c. Russia. 436 Cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, Georgia c. Russia cit., par. 167.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
140
contro i provvedimenti di rimpatrio. In particolare, nel caso Khlaifia la Grande
Camera ha ritenuto che tale possibilità non comprende il diritto ad un vero e
proprio colloquio individuale437, e che sia sufficiente, per potersi dire non violato
il divieto di cui all’art. 4 Prot. 4, che l’individuo abbia avuto la possibilità di far
valere le sue ragioni. Tale requisito va letto congiuntamente al disposto dell’art. 13
CEDU, che riconosce il diritto ad un ricorso effettivo: sempre in Khlaifia, la Corte
EDU ha non ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 13 CEDU per mancanza
del carattere sospensivo dei mezzi di ricorso offerti dalla legge italiana, in quanto
l’effetto sospensivo si impone solamente qualora il rischio temuto dal ricorrente
contempli la violazione dei diritti riconosciuti dagli art. 2 e 3 CEDU, non anche
dove il diritto minacciato non abbia carattere assoluto (nel caso di specie, si
trattava del diritto alla vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU)438.
Non sembra che un simile requisito, per come restrittivamente inteso dalla Corte,
sia stato disatteso dalla Grecia: il sistema greco prevede infatti la possibilità di un
ricorso di tipo amministrativo avverso la decisione assunta in merito alla richiesta
di protezione, e un ricorso di tipo giurisdizionale qualora il rimedio
amministrativo non abbia dato esito positivo439. Si tratterebbe piuttosto, ancora
una volta, di comprendere se le misure di rimpatrio possano o meno comportare
dei rischi ai sensi dell’art. 3 CEDU in relazione al caso specifico, sia per quanto
riguarda il trattamento che il richiedente potrebbe subire in Turchia, sia per il
rischio, una volta in Turchia, di essere rimpatriato nel proprio Paese di origine.
8. Le misure applicative adottate dalla Grecia
437 Interessante al riguardo è l’opinione dissenziente del giudice Seghides, per il quale la tutela dall’arbitrio cui la norma è preordinata richiederebbe, appunto, tale esame individuale. Cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, Khlaifia ed al. c. Italia cit., par. 248; BONETTI, Khlaifia contro Italia: l’illegittimità di norme e prassi italiane sui respingimenti e trattenimenti degli stranieri, Quaderni costituzionali, vol. 1, 2017. 438 Cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, Khlaifia ed al. c. Italia cit., par. 274-‐281. 439 Cfr. ΝΟΜΟΣ ΥΠ’ ΑΡΙΘΜ 4375, legge greca 4375/2016, art. 61 e 64, la cui tradizione in inglese è disponibile su http://www.refworld.org/docid/573ad4cb4.html, ultima consultazione 2.6.2017.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
141
Il 3 Aprile 2016 la Grecia ha adottato una nuova normativa in materia di asilo
(legge 4373/2016)440 che contempla l’applicazione di una speciale procedura di
frontiera accelerata da applicarsi alle richieste di protezione presentate nelle
isole441 e recepisce formalmente le nozioni di Paese di primo asilo e terzo
sicuro442, senza però indicare espressamente la Turchia come tale, lasciando
invece tale valutazione agli esami individuali condotti dall’Asylum Service,
l’autorità competente per la valutazione delle richieste di protezione
internazionale.
Per quanto riguarda la procedura di frontiera accelerata, essa è improntata ad
esigenze di rapidità443: i colloqui possano essere condotti anche da un funzionario
EASO444 e la decisione deve essere emessa entro il giorno successivo al colloquio,
mentre il termine massimo entro cui la procedura deve concludersi è di due
settimane dalla presentazione della domanda. Sul piano pratico, essa ha trovato
applicazione differenziata a seconda della nazionalità del richiedente: da Aprile
2016 è stata applicata nei confronti dei soli richiedenti siriani445, mentre da Luglio
2016 è stata estesa ai richiedenti di una nazionalità per la quale il tasso di
riconoscimento è inferiore al 25%. Tale diversificazione ha comportato notevoli
ritardi in merito all’esame delle altre richieste di protezione, che in alcuni casi
hanno superato sei mesi dalla presentazione della richiesta446. Da tale procedura
440 Cfr. ΝΟΜΟΣ ΥΠ’ ΑΡΙΘΜ 4375, legge greca 4375/2016, la cui traduzione in inglese è disponibile su http://www.refworld.org/docid/573ad4cb4.html, ultima consultazione 2.6.2017. Per un commento a tale normativa, cfr. AIDA, 4 Aprile 2016, Greece: asylum reform in the wake of EU-‐Turkey deal, http://www.asylumineurope.org/news/04-‐04-‐2016/greece-‐asylum-‐reform-‐wake-‐eu-‐turkey-‐deal, ultima consultazione 4.6.2017. 441 Cfr. art. 60 par. 4 legge 4375/2016. 442 Cfr. art 55 e 56 legge 4375/2016. 443 Cfr. AIDA, Country report: Greece, 2016, pag. 58-‐65. 444 È stato però riportato che in alcune occasioni nei colloqui condotti dai funzionari EASO non siano state rispettate le garanzie procedurali previste dalla legge greca, cfr. il report di ECRE ed altre associazioni, 9 Dicembre 2016, The implementation of the hotspots in Italy and Greece, https://www.ecre.org/ecre-‐the-‐implementation-‐of-‐the-‐hotspots-‐in-‐italy-‐and-‐greece/, ultima consultazione 4.6.2017. 445 L’esperimento di tale procedura nei confronti dei cittadini siriani è preordinata all’applicazione delle nozioni di Paese di primo asilo e terzo sicuro. È stato riportato al riguardo che le interviste sono state condotte facendo riferimento esclusivamente al soggiorno del richiedente in Turchia. Cfr. AIDA Country report: Greece cit. 446 Per quanto a Dicembre 2016 sia stata prevista l’applicazione della procedura accelerata di frontiera anche ai richiedenti di nazionalità il cui tasso di riconoscimento è superiore al 25%,
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
142
sono infine esclusi i richiedenti che necessitano di garanzie procedurali
particolari e coloro che hanno diritto al ricongiungimento familiare ai sensi del
regolamento Dublino III. I termini per il ricorso amministrativo sono altrettanto
stringenti: esso deve essere presentato entro cinque giorni dalla decisione in
primo grado, e i comitati di appello sono tenuti ad adottare una decisione in
secondo grado entro i successivi tre giorni. L’introduzione del ricorso ha,
conformemente alle statuizioni della direttiva 2013/32, effetto sospensivo, e la
relativa procedure ha carattere quasi esclusivamente cartolare – i comitati sono
infatti tenuti ad ascoltare oralmente il richiedente soltanto in determinate
circostanze447.
Con riferimento ai comitati di appello, essi sono stati (nuovamente) oggetto di
riforma pochi mesi dopo l’adozione della legge 4375/2016, a seguito di una serie di
pressioni da parte dell’Unione Europea448. Infatti, nei primi mesi di applicazione
della Dichiarazione del 16 Marzo 2016, tali autorità hanno, nella maggior parte dei
casi, censurato le decisioni di inammissibilità adottate in primo grado. Il 9
Giugno 2016 la Grecia ha quindi provveduto in tal senso, modificando
ulteriormente la propria normativa interna e prevedendo una differente
composizione dei comitati, che fosse più improntata alla conferma della
dichiarazioni di inammissibilità449. Tale modifica non sembra però aver avuto
rispetto a tale categoria risulta che a Febbraio 2017 sia stata adottata dall’Asylum Service solamente una decisione. Le differenze applicative in ordine alla nazionalità dei richiedenti sono state inoltre oggetto di critica da parte dell’inviato UNHCR, Cfr. UNHCR, 16 Maggio 2016, UN special rapporteur on the human rights of migrants concludes his follow up country visit to Greece, http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=19972&LangID=E#sthash.U%20tAn6Vjd.dpuf, ultima consultazione 4.6.2017. 447 Cfr. art. 61 par. 1 legge 4375/2016. Tali soggetti non possono quindi essere rinviati in Turchia, e, dopo la valutazione in primo grado, vengono trasferiti dalle isole al continente. 448 Cfr. New Europe, 9 Giugno 2016, EU Council: why greece should consider Turkey safe for refugees, https://www.neweurope.eu/article/eu-‐council-‐greece-‐consider-‐turkey-‐safe-‐syrian-‐refugees/, ultima consultazione 2.6.2017, Keep talking Greece, 11 Giugno 2016, EU presses Greece to change asylum appeal committees that consider “Turkey is not a safe third country”, http://www.keeptalkinggreece.com/2016/06/11/eu-‐presses-‐greece-‐to-‐change-‐asylum-‐appeal-‐committees-‐that-‐consider-‐turkey-‐is-‐not-‐a-‐safe-‐country/, ultima consultazione 2.6.2017. 449 Cfr. ΝΟΜΟΣ ΥΠ’ ΑΡΙΘΜ 4399, legge greca 4399/2016. Attualmente, i comitati sono composti da due giudici amministrativi e un cittadino che abbia conseguito una laurea in giurisprudenza, scienze politiche o sociali o discipline umanistiche che abbia esperienza nei campi della protezione internazionale, diritti umani, diritto internazionale o amministrativo. La partecipazione dei giudici amministrativi suscita una serie di perplessità, poiché in tale sede essi
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
143
carattere particolarmente incisivo: il 19 Febbraio 2017, su 2.846 ricorsi presentati,
439 riguardavano valutazioni di inammissibilità e 415 sono stati riformati. Se è
possibile registrare un leggero aumento delle conferme delle decisioni in primo
grado, non pare che l’iniziativa abbia comportato cambiamenti significativi.
Probabilmente anche a fronte di tale circostanza, l’8 Dicembre 2016 il
coordinatore della Commissione per l’applicazione della Dichiarazione UE-‐
Turchia Maarten Verwey ha rilasciato un documento contenente una serie di
indicazioni indirizzate alle autorità greche in ordine all’applicazione della
Dichiarazione del 18 Marzo 2016450, in cui viene suggerito di “esplorare la
possibilità di limitare il numero di fasi di ricorso”451. Il medesimo documento
propone inoltre di estendere la valutazione di inammissibilità ai richiedenti che
ne dovrebbero essere invece esclusi in quanto richiedenti vulnerabili di cui all’art.
24 direttiva 2013/32, o in quanto candidati per il ricongiungimento familiare ai
sensi del regolamento Dublino III: per questi ultimi, si prospetterebbe la
possibilità di realizzare il ricongiungimento “dalla Turchia o in Turchia” – quindi
ammettendo i rimpatri anche per tali soggetti. Se da un lato una simile misura
comporterebbe l’ennesima modifica della legge nazionale greca, dall’altro si
porrebbe, almeno per quanto riguarda i casi di ricongiungimento familiare, in
netto contrasto con le previsioni del regolamento Dublino, e potrebbe condurre
non opererebbero in funzione di autorità giudiziaria, bensì quali “meri funzionari dello Stato”, in quanto il comitato di appello si configura come organo direttamente dipendente dal Ministero dell’Interno. In tal senso, cfr. ASGI, Esperimento Grecia, il diritto di asilo e la sua applicazione dopo l’accordo (dichiarazione) UE-‐Turchia del 18 Marzo 2016, aggiornato al 25 Luglio 2016, https://pushandback.files.wordpress.com/2016/07/esperimento-‐grecia.pdf, ultima consultazione 2.6.2017; ECRE, 24 Giugno 2016, Greece amends its asylum law after multiple appeals board decisions overturn the presumption of Turkey as a safe third country, https://www.ecre.org/greece-‐amends-‐its-‐asylum-‐law-‐after-‐multiple-‐appeals-‐board-‐decisions-‐overturn-‐the-‐presumption-‐of-‐turkey-‐as-‐a-‐safe-‐third-‐country/, ultima consultazione 2.6.2017. 450 Cfr. on the implementation of the EU-‐Turkey Statement, il cui testo è reperibile su https://www.neweurope.eu/wp-‐content/uploads/2017/02/december2016-‐action-‐plan-‐migration-‐crisis-‐management_en-‐4.pdf, ultima consultazione 2.6.2017. 451 Tale indicazione sembrerebbe puntare nella direzione dell’eliminazione dell’effetto sospensivo del ricorso amministrativo. Sul punto, cfr. AIDA, Country report: Greece, cit. pag 64. Va ad ogni modo rilevato che, una volta esperito il rimedio amministrativo, è possibile presentare un ulteriore ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria, il quale non ha però efficacia sospensiva. Cfr. art. 64 legge 4375/2016.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
144
ad un peggioramento delle condizioni di accoglienza nelle isole, causando
ulteriore sovraffollamento e ulteriore pressione sul sistema di asilo greco452.
In definitiva, a poco meno di un anno dall’entrata in vigore della Dichiarazione, lo
strumento dei rimpatri non sembra aver portato i risultati sperati: al 24 Febbraio
2017 la cifra delle persone rinviate in Turchia è pari a 1487, e la stessa
Commissione riconosce che tale cifra “è nettamente inferiore a quell[a] degli
arrivi”453, e malgrado l’insistenza da parte dell’Unione Europea, la Grecia ha da un
lato dimostrato le difficoltà applicative nel dichiarare la Turchia un Paese sicuro,
e dall’altro dato prova di avere un sistema rispettoso, almeno per quanto riguarda
il diritto ad un esame individuale, delle garanzie poste a tutela dei richiedenti
protezione internazionale.
452 Cfr. OXFAM ed altre associazioni, 3 Aprile 2017, One year stranded and what’s changed? An update to the October 2016 Joint NGO policy brief on the situation for displaced persons in Greece, https://www.oxfam.org/en/research/one-‐year-‐stranded-‐and-‐whats-‐changed, ultima consultazione 4.6.2017. 453 Cfr. COM(2017) 204, relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, quinta relazione sui progressi compiuti in merito all’attuazione della Dichiarazione UE-‐Turchia.
145
SEZIONE II: IL MECCANISMO 1:1
Come già osservato, il meccanismo contemplato dalla Dichiarazione del 18 Marzo
2016 prevede l’impegno da parte degli Stati membri dell’Unione Europea a
reinsediare un siriano per ogni altro siriano rimpatriato dalle isole greche alla
Turchia, tenendo conto dei criteri di vulnerabilità delle Nazioni Unite, e dando
priorità ai migranti che non siano entrati, o abbiano tentato di entrare, nel
territorio dell’UE in modo irregolare. Tale previsione merita due considerazioni,
una di ordine giuridico, e una di ordine pratico.
L’ambito di applicazione del meccanismo 1:1 è riservato esclusivamente ai
cittadini siriani, e, malgrado il testo della Dichiarazione non preveda
espressamente l’esclusione di quanti abbiano tentato di attraversare
irregolarmente il confine greco-‐turco (limitandosi ad affermare che essi non
avranno “priorità”), tale esclusione rischia di realizzarsi sul piano pratico: da un
lato per l’esiguità dei numeri messi a disposizione dagli Stati membri, e dall’altro
poiché si è inteso attribuire primariamente a tale meccanismo la valenza di
“disincentivo all’immigrazione irregolare”, più che di effettivo strumento di
solidarietà. La struttura del meccanismo di reinsediamento qui considerato
sembra porsi in netto contrasto con la previsione dell’art. 3 della Convenzione di
Ginevra del 1951, in forza del quale “the Contracting States shall apply the
provisions of this Convention to refugees without discrimination as to race,
religion or country of origin”. Tale previsione, da intendersi riferita sia alle
possibili discriminazioni tra rifugiati, sia alle discriminazioni nei confronti dei
rifugiati rispetto alle altre tipologie di stranieri, è stata interpretata come
disposizione “accessoria”, che non avrebbe, in altre parole, rilevanza dove non sia
letta congiuntamente ad un’altra disposizione della Convenzione del 1951454. In
questo caso il riferimento andrebbe effettuato all’art. 31 CGSR, il cui fondamento
impone di non penalizzare un richiedente sulla base delle modalità di ingresso
nel territorio di un dato Stato: una simile lettura è del resto supportata dai lavori 454 Qualsiasi disposizione della Convenzione del 1951 deve intendersi potenzialmente idonea a far scattare la protezione di cui all’art. 3 CGSR.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
146
preparatori alla Convenzione del 1951, in cui l’originale dizione, che limitava
l’operato dell’art. 3 esclusivamente ai rifugiati che si trovassero sul territorio degli
Stati parte, è stata modificata in seguito alle preoccupazioni espresse dal
rappresentante della Francia riguardo al fatto che una simile formulazione
avrebbe permesso agli Stati di discriminare i richiedenti che avessero tentato di
entrare nel loro territorio455.
Ad ogni modo, raffrontando nuovamente la disposizione in questione con
l’oggetto e lo scopo del trattato in cui si colloca, ci si può chiedere se ed in quale
misura rilevi l’effetto discriminatorio che il meccanismo 1:1 spiega anche nei
confronti di quanti non abbiano tentato di attraversare irregolarmente il confine
tra Grecia e Turchia, ma allo stesso tempo abbiano una nazionalità diversa da
quella siriana: essi sono per definizione esclusi dal programma di reinsediamento,
e si trovano quindi nella situazione di non poter in alcun modo cercare rifugio nel
territorio degli Stati membri dell’UE. Tali soggetti potrebbero avere accesso
esclusivamente al sistema di protezione turco che, come già analizzato, si
presenta notevolmente meno garantista rispetto tanto al sistema offerto dalla
Convenzione del 1951 quanto all’acquis europeo in materia di asilo. Gli Stati parte
della CGSR avrebbero, in talune occasioni, un dovere di due diligence collegato al
carattere solidale degli obblighi che essa impone, per cui, ove possibile,
dovrebbero esercitare la propria influenza nei confronti di Stati non parte
affinché permettano al richiedente di ottenere lo status di rifugiato456: pare
abbastanza evidente che il programma di reinsediamento considerato dalla
Dichiarazione vada in senso completamente opposto.
Per quanto riguarda gli aspetti applicativi del meccanismo 1:1, è previsto che esso
operi nell’ambito degli impegni già assunti in tema di reinsediamento dagli Stati
membri il 20 Luglio 2015. All’epoca dell’adozione della Dichiarazione erano
455 Cfr. MARX, STAFF, Commentary on art. 3, The 1951 Convention relating to the status of refugees and its 1967 Protocol, (a cura di) ZIMMERMANN, Oxford University Press, New York, 2011, pag. 642-‐655; GRAHL-‐MADSEN, Commentary on the refugee Convention 1951, articles 2 – 11, 13 – 17, Division of international protection of the United Nations High Commissioner for Refugees, 1997. 456 Cfr. SALERNO, L’obbligo internazionale di non refoulement… cit.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
147
disponibili 18.000 posti residui, cui si sono in seguito aggiunti i 54.000 posti
originariamente destinati all’Ungheria nell’ambito della decisione 2015/1601 sulla
ricollocazione. Con la decisione 2016/1754 il Consiglio infatti ha previsto la
possibilità per gli Stati membri di adempiere ai propri obblighi ammettendo
cittadini siriani dalla Turchia, attraverso forme di reinsediamento, ammissione
umanitaria o altre forme di ammissione legale – come ad esempio visti umanitari,
trasferimenti umanitari, programmi di ricongiungimento familiare, progetti di
patrocinio privato, programmi di borse di studio, programmi per la mobilità dei
lavoratori ed altri ancora457. Mentre tale decisione dovrebbe trovare applicazione
fino al 26 Settembre 2017, il testo della Dichiarazione prevede un indefinito limite
di carattere generale relativo al meccanismo 1:1, stabilendo che “qualora detti
accordi non soddisfino l’obiettivo di porre fine all’immigrazione irregolare e il
numero dei rimpatri si avvicini ai numeri [disponibili nell’ambito del programma
1:1], il meccanismo in questione sarà riesaminato”. L’obiettivo di porre fine
all’immigrazione irregolare è chiaramente programmatico, mentre appare più
concreto il collegamento con i rimpatri: è infatti espressamente prevista
l’interruzione del programma di reinsediamento dove il numero dei rimpatri
ecceda il numero dei posti disponibili.
L’assunto posto a base di tale istituto è criticabile tanto da un punto di vista etico
quanto logico: esso infatti riposa sulla distinzione tra siriano “virtuoso” e siriano
“non virtuoso”, per cui mentre il primo merita di essere “premiato” per non aver
intrapreso percorsi irregolari, il secondo dovrebbe essere “punito” per aver invece
tentato la traversata verso la Grecia. Tale distinzione non solo è moralmente
criticabile, ma è anche contraria ai principi fondamentali in materia di diritti
umani, per i quali sono le circostanze individuali del singolo richiedente a dover
avere rilevanza centrale, non invece fattori come l’irregolarità dell’ingresso o la
457 Cfr. Decisione (UE) del Consiglio 2016/1754 del 29 Settembre 2016 che modifica la decisione (UE) 2015/1601 che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia. Tale decisione suscita inoltre perplessità, in quanto confonde due meccanismi – il reinsediamento e la ricollocazione – che, per quanto accomunati dal fine di realizzare il principio di solidarietà relativo alla condivisione degli oneri in materia di protezione internazionale, si configurano come istituti tra loro differenziati, che trovano fondamento su presupposti distinti.
Capitolo IV Il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016
148
nazionalità. Inoltre, vi è un’illogicità di fondo: se volesse reinsediare il maggior
numero di siriani, l’Unione Europea dovrebbe, paradossalmente, incentivare gli
attraversamenti illegali.
Infine, dal punto di vista dell’efficacia pratica il programma 1:1 non ha dato
risultati particolarmente degni di nota – al 27 Febbraio 2017 sono stati reinsediati,
in applicazione del meccanismo 1:1, 3.565 siriani dalla Turchia458 – tenuto conto
che esso continua ad essere subordinato alla volontà degli Stati membri: la
decisione 2016/1754 non obbliga infatti gli Stati a realizzare i reinsediamenti dalla
Turchia, ma si limita ad indicare un’ulteriore modalità di adempimento degli
impegni già assunti in tema di ricollocazione.
458 Cfr. COM(2017) 204 cit.
149
Considerazioni conclusive
A più di un anno dalla sua entrata in vigore, la Dichiarazione UE-‐Turchia del 18
Marzo 2016 sembra aver realizzato il suo obiettivo: il contenimento dei flussi
migratori. Nella sesta relazione sull’attuazione della Dichiarazione, la
Commissione ha dichiarato che tra il 27 Febbraio e l’8 Giugno 2017 il numero
degli ingressi dalla Turchia alla Grecia è stato pari a 5.303 persone, a fronte delle
40.000 dello stesso periodo nell’anno precedente459. Ma è davvero possibile
affermare la presenza di un collegamento funzionale tra Dichiarazione e
diminuzione degli ingressi? L’analisi dei dati relativi al periodo Gennaio 2015 –
Agosto 2016 sembrerebbe testimoniare il contrario: il calo degli arrivi avrebbe
avuto inizio anteriormente al 20 Marzo 2016 – se mai, gli annunci relativi alla
Dichiarazione avrebbero anzi contribuito a realizzarne un leggero incremento nel
periodo immediatamente precedente alla sua entrata in vigore (cd. just in time-‐
effect)460. Considerazioni analoghe valgono in merito alla diminuzione del
numero di morti in mare. Anche volendo prescindere dai dati, la valutazione
dell’impatto della Dichiarazione non può però limitarsi all’efficacia deterrente che
si è inteso conferirle: gli hotspot delle isole egee sono stati trasformati, de facto, in
centri di detenzione, esacerbando le gravi insufficienze del sistema di accoglienza
della Grecia; mentre le alternative di ingresso legale offerte attraverso i
meccanismi di reinsediamento hanno prodotto risultati scarsamente apprezzabili,
oltre che di dubbia legittimità in ordine ai metodi di selezione dei potenziali
beneficiari. L’impressione è che la Dichiarazione rivesta un ruolo
prevalentemente comunicativo, il cui messaggio è indirizzato non tanto e non
solo alle masse di migranti, quanto alla popolazione europea, a certificare
l’alacrità delle azioni dell’Unione nella gestione dell’ “emergenza migratoria”. Il
contrappeso di questa presa di posizione si risolve – non solo in relazione alla
459 Cfr. COM(2017) 323. 460 Cfr. SPIJKERBOER, 28 Settembre 2016, Fact-‐check: did the EU-‐Turkey deal bring down the number of migrants and of border deaths?, https://www.law.ox.ac.uk/research-‐subject-‐groups/centre-‐criminology/centreborder-‐criminologies/blog/2016/09/fact-‐check-‐did-‐eu, ultima consultazione 16.6.2017.
Considerazioni conclusive
150
Dichiarazione, ma più in generale alle politiche migratorie UE – nell’inasprimento
della schizofrenia che, fin dalle origini, caratterizza le iniziative dell’Unione in
materia: l’affermazione del pieno rispetto degli obblighi internazionali relativi alla
protezione dei rifugiati, e al contempo l’adozione di misure che non agevolano il
riconoscimento di tale protezione. Il concetto spesso posto a fondamento di tale
tendenza è la “solidarietà”, richiamata nella sua duplice dimensione interna ed
esterna all’Unione Europea: il fallimento della prima si intreccia con l’aspirazione
alla seconda. Pur di mantenere in vita a tutti i costi un sistema – il sistema
Dublino – intrinsecamente iniquo sul piano interno per quanto attiene alla
ripartizione degli oneri derivanti dal riconoscimento della protezione
internazionale, si invoca una pretesa condivisione degli stessi oneri sul piano
esterno, in nome della solidarietà internazionale tra Stati, e a detrimento del
dovere di solidarietà nei confronti di quanti siano in cerca di rifugio. Se la
condivisione delle responsabilità può infatti astrattamente contribuire a
realizzare un innalzamento degli standard di tutela offerti agli asilanti, essa
rischia di tradursi in una diminuzione di tali standard qualora si trasformi in un
trasferimento delle responsabilità, e il caso della Dichiarazione UE-‐Turchia ne
rappresenta un esempio eloquente.
Sul piano pratico, una simile logica è del resto inadatta a realizzare anche
l’obiettivo del burden-‐sharing tra Stati, rischiando di realizzare un sovraccarico
nei confronti degli Stati geograficamente più vicini ai Paesi che “producono”
rifugiati (in maniera non dissimile da quanto accade sul piano interno rispetto
agli Stati europei di frontiera, come Grecia e Italia). Per quanto attiene al piano
giuridico, sembra difficile sostenere la compatibilità di simili pratiche con i
principi di diritto internazionale rilevanti, a fronte delle conseguenti violazioni di
norme consuetudinarie e pattizie relative ai diritti umani. Inoltre, per quanto
riguarda la Dichiarazione UE-‐Turchia, la validità di un simile accordo sarebbe
messa in discussione dalla natura di jus cogens del divieto di refoulement: ai sensi
dell’art. 53 delle Convenzioni di Vienna sul diritto dei trattati, “a treaty is void if,
at the time of its conclusion, it conflicts with a peremptory norm of general
Considerazioni conclusive
151
international law”. Il divieto di respingimento, configurandosi come norma
imperativa nei cui confronti non è ammesso alcun tipo di deroga, porterebbe alla
nullità assoluta di tale trattato.
In conclusione, sul piano esterno la condivisione delle responsabilità può
costituire una soluzione efficace solamente a patto che siano rispettati gli
obblighi internazionali relativi alla tutela dei rifugiati; mentre sul piano interno la
realizzazione di una solidarietà effettiva richiede una revisione strutturale del
sistema Dublino. Un’alternativa può essere rappresentata da una deroga
temporanea al criterio della responsabilità dello Stato di primo ingresso nelle
circostanze eccezionali di una crisi umanitaria, come recentemente proposto
dall’Avvocato Generale Sharpston461, ma sul lungo periodo sarebbe auspicabile
l’abbandono di modalità di gestione emergenziali in favore di meccanismi
integrati che costituiscano la regola e non più l’eccezione.
461 Cfr. Conclusioni dell’Avvocato Generale Eleanor Sharpston presentate l’8 Giugno 2017, in relazione ai rinvii pregiudiziali indirizzati alla CGUE C-‐490/16 e C-‐646/16.
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