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“DIPENDENZE” ED “INDIPENDENZE” NELLO STUDIO DELLE INTERRELAZIONI
FRA PROCESSO TRIBUTARIO E PROCESSO PENALE
Sommario: 1. Breve ricognizione storica; 2. Il nuovo codice di procedura penale; 3. Il
rapporto tra il processo penale e il processo tributario: l’art. 654 cpp; 4. La terza via
interpretativa; 5. L‘influenza del processo tributario rispetto a quello penale. Conclusioni
1.Breve ricognizione storica:
La necessità di regolare i rapporti tra il diritto tributario e il diritto penale è stata sentita già
agli inizi del secolo scorso, e fondamentale fu la disciplina di cui all’art. 21 della L. 7.1.1929 n. 4,
sulla cd. pregiudiziale tributaria1: il processo penale teso all’accertamento del reato era sospeso fino
alla definizione del processo tributario; come è noto, peraltro, all’epoca di tale legislazione
quest’ultimo era considerato più che un vero processo, una sorta di procedimento amministrativo, in
cui mancavano le garanzie tipiche del processo, ed in particolare la terzietà del giudice 2
Il legislatore si era quindi preoccupato di garantire la preminenza del processo tributario
rispetto al processo penale, e tanto in base ad una serie di giustificazioni, che possono essere
sinteticamente identificate nella necessità di evitare giudizi contraddittori ed evitare al giudice
1 Il terzo comma dell’articolo citato prevedeva che “ per i reati previsti dalle leggi sui tributi
diretti l’azione penale ha corso dopo che l’accertamento dell’imposta e della relativa sovraimposta
è divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti la materia
Il principio della pregiudiziale sarà, poi, sostanzialmente recepito dall’art. 56, comma 3, del d.p.r.
29 settembre 1973 n. 600 (in tema di imposte dirette) e dell’art. 58, comma 5, del d.p.r. n. 633/1972
(in materia di Iva). 2 Tra gli altri elementi, la natura amministrativa delle commissione tributarie di primo e secondo
grado era provata dalla presenza nell’organo giudicante del rappresentante della amministrazione
finanziaria in sede deliberante, e dal controllo e dalla vigilanza del lavoro delle commissioni
affidata ad un organo amministrativo, l’Intendente di Finanza, che poteva persino, dietro
autorizzazione ministeriale e sentito il Presidente, scioglierle (art. 20 R.D. n.1516 del 1937)
2
penale giudizi a contenuto estimativo, e, per il privato, evitare processi penali prima che finisse il
procedimento tributario.3 -
4
Se quindi l’istituto era ampiamente giustificabile dal punto di vista teorico, come detto, in
realtà problemi pratici che seguirono furono molteplici, in considerazione soprattutto della estrema
lentezza del processo tributario, che si articolava all’epoca (e fino all’abolizione del quarto grado di
giudizio con la legge di riforma del contenzioso tributario del 1992, abolitrice della commissione
Tributaria centrale) in quattro gradi di giudizio, 5 il che comportava un concreto svuotamento di
qualsiasi efficacia del processo penale che interveniva dopo molti anni dalla commissione del fatto.
Peraltro è stato evidenziato dalla dottrina costituzionalista che ha affrontato la tematica della
pregiudiziale tributaria rispetto al processo penale che la stessa sarebbe stata, ove non abolita,
incompatibile nettamente con i principi della carta costituzionale, ed in particolare con il principio
di cui all’art. 101, (il principio del libero convincimento per il quale i giudici sono soggetti solo alla
legge) e 112 (obbligatorietà dell’azione penale) 6
. In ogni caso il codice Rocco cambiava
completamente ottica, e il legislatore del 1930 stabiliva che la pendenza del processo penale
avrebbe determinato la sospensione del procedimento tributario e che la sentenza penale avrebbe
3 L’introduzione della pregiudiziale tributaria era giustificata dalla relazione di accompagnamento
alla legge 7.1.1929 n. 4 con l’esigenza di assicurare l’unità, la certezza e la coerenza
dell’accertamento giurisdizionale. 4 Secondo un risalente orientamento della giurisprudenza costituzionale, infatti, la pregiudiziale
rappresentava uno strumento di uguaglianza e di corretto uso dei poteri di indagine e di controllo
fiscale; in realtà, una volta accertata la evasione fiscale da parte del giudice tributario, al giudice
penale restava il compito di accertare la sussistenza dell’elemento psicologico e la quantificazione
della pena, evitando di riservare allo stesso giudizi tecnici che il legislatore preferiva riservare ad
organi specializzati, quali le Commissioni tributarie. 5 Si noti che fino al DPR n. 636/1973 erano in realtà sei i gradi di giurisdizione in quanto dopo l’adizione
delle commissione amministrative tributarie, distrettuali, provinciali e Centrale, l’azione giudiziaria poteva
essere proseguita in sede civile. 6 La Corte Costituzionale, infatti, intervenne in materia, con le sentenza nn 88 e 89 del 1982, dichiarando
costituzionalmente illegittimi gli art. 21, 4° comma, L. 4/1929, di cui si è detto, e 58, ultimo comma, DPR
633/1972, nella parte in cui disponevano che fosse applicabile il meccanismo della pregiudiziale tributaria
anche per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, di cui all’art. 50, 4° comma, di tale
decreto.0
3
avuto una efficacia assoluta nel processo tributario, quando nel primo si controvertesse degli stessi
fatti materiali di cui al procedimento tributario 7 .
L’abbandono della pregiudizialità dell’uno o dell’altro si ha solo con la Legge 516 del 1982,
introduttiva del cd. doppio binario relativo, in cui la esigenza di garantire l’autonomia dei due
processi finalmente è regolamentata dal legislatore; in tale legge, superata ormai ogni possibilità di
introdurre qualsiasi forma di pregiudiziale necessaria tributaria o penale, che sarebbe stata come
detto chiaramente incostituzionale e comunque evidentemente anacronistica, per quanto riguarda la
pregiudiziale penale sostanzialmente stabiliva che non vi fosse alcuna sospensione del processo
tributario, ma la sentenza del giudice penale di condanna o proscioglimento avrebbe fatto stato per
l’imposta sui redditi e IVA per quanto riguarda i fatti materiali oggetto del giudizio penale, senza
che il processo tributario fosse in alcun modo però sospeso 8 .
In realtà la legge indicata espungeva definitivamente dal sistema normativo italiano ogni
meccanismo di necessaria pregiudizialità tra i due processi, introducendo il meccanismo diverso
dello svolgimento autonomo dei due, con la conseguente necessità di regolamentare l’efficacia del
giudicato penale in quello tributario, con dei limiti e delle condizioni applicative che poi saranno
definiti, come si vedrà, dalla successiva legislazione e soprattutto dalla Giurisprudenza di
legittimità.
2. IL NUOVO CODICE DI PROCEDURA PENALE
7 La Corte Costituzionale, prima della riforma del codice di procedura penale, aveva già comunque di molto
ridotto l’operatività di tale normativa, dichiarando, con le sentenze nn. 55 del 22.3.1971, n. 99 del 27.6.1973
e 165 del 26.6.1975, l’incostituzionalità delle norme che prevedevano l’efficacia del giudicato penale anche
nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo penale, tenendo anche conto della rilevanza statistica
assai limitata di ipotesi nelle quali la pubblica amministrazione finanziaria aveva partecipato quale parte
nel processo penale, così di fatto limitando moltissimo l’ambito operativo della norma. 8 L’art. 12 della legge n. 516/1982 stabiliva infatti che il processo tributario non potesse essere sospeso, e
che la sentenza irrevocabile di condanna o proscioglimento pronunciata in seguito a giudizio in materia di
imposte sui redditi o IVA avesse autorità di giudicato nel processo tributario in relazione ai fatti materiali
oggetto dell’accertamento effettuato dal giudice penale.
4
Il codice di procedura penale del 1988 ha, quindi, dopo la disciplina di cui si è detto,
sostanzialmente riscritto tutta la normativa in materia di effetti del giudicato penale sul processo
tributario, e l’art. 654 cpp, riadattando e sostituendo l’art. 12 della L. 516 sostanzialmente dice che
nei confronti dell’imputato o parte civile, che si sia costituito nel processo penale, la sentenza
irrevocabile di condanna o assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia, purché si
controverta di diritti il cui riconoscimento dipenda dagli stessi fatti materiali e non vi siano
limitazioni alla prova nel processo civile, se le parti hanno partecipato al processo. La riforma
74/2000 ha ribadito con forza il principio della indipendenza dei due giudizi, e in particolare il
procedimento tributario (sostanziale e processuale) non può essere sospeso in pendenza di processo
penale 9; per garantire però che un fatto non fosse punito due volte, nel caso di contrasto apparente
di norme, tra norma sanzionatoria penale e norma sanzionatoria amministrativa, ha stabilito che
sarebbe quest’ultima a prevalere .10
In realtà tale conclusione, relativa alla assoluta indipendenza dei due processi (in realtà con
numerosi vulnus, come in seguito si vedrà) non risolve un problema evidenziato dalla più accorta
dottrina 11
e cioè quello dell’eventuale contrasto di giudicati, in quanto la prevalenza di uno dei due
sistemi sanzionatori non può che essere lasciato ai giudici stessi, il che creerebbe una impasse
processuale difficilmente risolvibile se il giudice penale decidesse di assolvere perché il fatto è
punito con sanzione amministrativa e quello tributario decidesse che invece costituisce reato,
creando un contrasto di decisioni, che porterebbe ad un blocco dei due processi dal quale sarebbe
difficile uscire, quanto meno in tempi ragionevoli. Il problema, è stato evidenziato, potrebbe porsi
in particolare in relazione alla nozione di imposta evasa, la cui esatta quantificazione è lasciata alla
9 L’art. 20 del D.L.vo 74/2000 infatti prevede espressamente che “ il procedimento amministrativo di
accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale
avente ad oggetti i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione. 10
Il meccanismo della prevalenza è espressamente sancito dall’art. 19 del detto decreto, per il quale “
quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni dei titolo II e da una disposizione che prevede una
sanzione amministrativa si applica la disposizione speciale. 11
V. Monfreda, “i rapporti tra procedimento penale e procedimento tributario avente ad oggetto i medesimi
fatti”, in il Foro Penale, raccolta generale
5
libera interpretazione del giudicante, e che, come è noto, costituisce per numerose fattispecie di
reato il discrimine tra fatto penalmente rilevante e fatti di rilievo amministrativo; è stato
accortamente notato che il legislatore ha omesso di indicare esattamente i parametri normativi e
contabili per la determinazione della stessa, il che rende concreto il pericolo che possa determinarsi
una situazione di contrasto tra pronunce giurisprudenziali assai difficile da risolversi.
Proprio per tale motivo ci sono stati autori che hanno auspicato un ritorno alla pregiudiziale
tributaria, 12
senza però che in qualche maniera tale dottrina abbia offerto argomenti validi che
potessero superare le obiezioni relative agli evidenti profili di contrasto con i principi costituzionali
e con l’esigenza di celerità del processo tributario, in quanto appare evidente che, a parte gli
impedimenti costituzionali, in concreto la estrema lungaggine dei due processi comporterebbe
ritardi ingiustificabili, in contrasto con il principio ormai affermatosi soprattutto nella
giurisprudenza comunitaria, della ragionevole durata del processo; da ciò deriva inevitabilmente la
necessità concreta che non vi siano pregiudiziali di sorta tra i due.
3. Il rapporto tra il processo penale e il processo tributario: L’art. 654 cpp
Come si è sopra evidenziato, la attuale normativa prevede, quindi, la autonomia dei due
processi, salve le ipotesi di cui all’art. 654 cpp, che stabilisce che le sentenze di condanna o di
assoluzione abbiano efficacia nel processo tributario, alle seguenti condizioni:
Le parti del processo tributario debbono aver partecipato al processo penale;
Si controverta di un diritto o un interesse legittimo il cui riconoscimento dipenda
dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale;
I fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti dal giudice penale,
12
Cfr. Tinti B. in “un regalo al partito degli evasori” in il “Sole 24 ore” del 17.6.1999, il quale evidenziava che di fatto la determinazione della imposta evasa e il conseguente recupero sarebbe stato in tal maniera demandato alle Procure della Repubblica più che ai competenti uffici finanziari
6
E purchè la legge civile (nel caso che ci interessa processual–tributaria) non ponga
limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa.
Il primo problema interpretativo che si è posta la dottrina e la giurisprudenza è ovviamente
quella della applicabilità di tale norma al processo tributario, in cui vi sono, come è noto, profonde
diversità in ordine alle prove utilizzabili. L’analisi della giurisprudenza di legittimità
sostanzialmente ha individuato tre possibili vie interpretative in relazione al problema ermeneutico
relativo alla applicabilità del disposto di cui all’art. 654 cpp al processo tributario, che vanno
analizzate singolarmente.
In primo luogo numerose sentenze della Suprema Corte hanno escluso nettamente la
possibilità di applicare l’art. 654 cpp al processo tributario, vista la totale diversità tra i due
processi, in relazione soprattutto al divieto di prova testimoniale e al largo uso di presunzioni nel
processo tributario, mentre al contrario la prova testimoniale è fondamentale nel processo penale,
nel quale invece è vietata qualsiasi forma di presunzione, salva, come si è acutamente detto, la
presunzione di non colpevolezza, che è evidentemente fuori dall’argomento in oggetto (sul punto si
tornerà in seguito); in altri termini numerose pronunce di legittimità hanno ritenuto del tutto
inapplicabile tale norma al processo tributario, stante le notevoli limitazioni della prova, (13
) senza
lasciare di fatto nessuno spazio applicativo alla normativa in esame
Altre pronunce, al contrario, hanno adottato una seconda via interpretativa, ed hanno
ritenuto che in linea di principio la norma fosse applicabile anche al processo tributario, tenuto
13 Tra le tante, Sez. 5, Sentenza n. 6337 del 03/05/2002 (Rv. 554075) per la quale “Ai sensi dell'art. 654 del
codice di procedura penale - il quale aveva portata modificativa dell'art. 12 del D.L. n. 429 del 1982
(convertito nella legge n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dall'art. 25 del D.Lgs. 10 marzo 2000,
n. 74 -, l'efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poiché in questo, da un
lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale), e, dall'altro, possono valere
anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna”.
Id., Sez. 5, Sentenza n. 3724 del 17/02/2010 (Rv. 611826).
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conto del fatto che nessuna disposizione vieta aprioristicamente l’applicazione della stessa, ma
piuttosto occorre solo stabilire in concreto se la pronuncia del giudice penale sia stata emessa in
base a prove che sarebbero state legittimamente utilizzabili anche dal giudice tributario, e se
sussistano in concreto le condizioni di applicabilità della stessa.
Quindi, per esempio, nessuna preclusione assoluta, ma valutazione dell’applicabilità della
norma in relazione al caso concreto, e quindi decisa esclusione se la amministrazione finanziaria
non aveva partecipato al processo oppure se erano state utilizzate per la condanna o la assoluzione
prove testimoniali vietate innanzi al giudice tributario. Questa conclusione appare decisamente
preferibile, in quanto fondata su una interpretazione letterale della norma de qua, che fa riferimento
generico al processo civile e amministrativo, comprendendo in questi chiaramente anche quello
tributario, senza alcuna aprioristica esclusione; di fatto, però, la applicazione concreta della norma è
da ritenersi più teorica che concreta, tenuto conto dei presupposti applicativi della stessa, che si
specificheranno in seguito, tanto da doversi ritenere che sia possibile la applicazione solo ad ipotesi
del tutto residuali, o, più correttamente, che la stessa in teoria sia riferibile al processo tributario,
ma sia in concreto inapplicabile.
In primo luogo, infatti, superato l’esame preliminare inerente la dipendenza della situazione
giuridica sostanziale della quale si controverte nel processo tributario dalla decisione penale, deve
escludersi l’applicazione in tutti i casi nei quali la amministrazione finanziaria non si sia costituita
nel processo penale quale parte civile, cosa statisticamente assolutamente non frequente nella aule
dei tribunali penali o comunque non abbia assunto la qualità di parte nel processo penale.
Va poi, come si è detto, esclusa in ogni ipotesi nella quale vi è stata una utilizzazione per lo
svolgimento del processo penale di prove testimoniali, il che statisticamente è una ipotesi anch’essa
percentualmente minoritaria.
8
In ogni caso, accertata l’identità dell’oggetto dei due processi, tributario e penale, al quale
abbia partecipato la amministrazione finanziaria, e che la sentenza sia stata emanata solo in base a
prove documentali, sarebbe necessario che la pronuncia in oggetto fosse stata emanata all’esito
dell’udienza dibattimentale, il che esclude decisamente che possa avere efficacia nel processo
tributario ogni sentenza che non abbia tali caratteristiche; in primo luogo, quindi, non potrebbe
applicarsi alle sentenze emesse all’esito dell’udienza preliminare, siano queste emesse ex art. 425
cpp o a seguito di giudizio abbreviato, che siano di condanna o di assoluzione, perché le stesse, che
vengono emesse in base a tutti gli elementi probatori legittimamente acquisiti nel corso delle
indagini preliminari, non sono mai pronunciate a seguito di dibattimento.
Vanno poi escluse le sentenze pronunciate a seguito di altri riti alternativi, con particolare
riferimento a quelle di cd. “patteggiamento” che non sono anch’esse emesse a seguito di
dibattimento e non comportano una valutazione di colpevolezza (su tali sentenze si tornerà in
seguito) ma solo una valutazione di non evidenza della non colpevolezza del’imputato.
Vanno aggiunti all’elenco delle pronunce del giudice penale che non rientrano tra quelle di
cui all’art. 654 cpp anche i decreti penali non opposti e quindi definitivi, i quali seguono ad una
semplice richiesta del P.M. ed un accoglimento da parte del G.I.P. senza alcuna udienza, né
preliminare né dibattimentale; va chiarito che tali decreti, alla luce della concreta esperienza
personale, proprio perché ampiamente “premiali” comportando una pena esclusivamente pecuniaria
ridotta alla metà, appaiono uno strumento deflattivo del dibattimento ampiamente utilizzato per i
reati la cui pena edittale è pari o inferiore ai sei mesi di reclusione, per i quali è possibile la
conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, quindi per la maggior parte del reati tributari
di minore gravità sociale.
9
Da ultimo ovviamente non potrà avere alcun valore vincolante il decreto di archiviazione,
richiesto dal P.M. ed emesso dal G.I.P., proprio per la sua natura non definitiva, essendo lo stesso
sempre revocabile.
Va poi tenuto conto del fatto che le sentenza di cui all’art. 654 cpp sono quelle passate in
giudicato, in cui per la quasi totalità dei casi vi sono stati tre gradi di giudizio, il che, considerato
che i tempi del processo tributario risultano spesso più brevi di quello penale, comporta che assai
difficilmente è possibile avere una ipotesi di sentenza penale emessa dopo tre gradi di giudizio
senza che il giudice tributario si sia già pronunciato in primo grado. Di conseguenza, ristretto il
campo alle solo sentenze dibattimentali, che siano state emesse sostanzialmente solo su prove
documentali, in ipotesi nelle quali anche la amministrazione finanziaria abbia partecipato, tenuto
anche conto che tali pronunce devono avere valore di giudicato, come si è detto, deve concludersi
per la concreta inapplicabilità, o quanto meno ridottissima applicabilità, della norma di cui all’art.
654 cpp.
Va, quindi, detto, che la regolamentazione dei rapporti tra i due tipi di processo quale
regolata dal vigente codice di procedura penale con la norma indicata è decisamente insufficiente ed
ha profili in ogni caso contraddittori, se solo si pensi che una eventuale sentenza definitiva di
assoluzione pronunciata all’esito del dibattimento, per esempio, potrebbe essere vincolante, per il
giudice tributario, sussistendone i presupposti, mentre una pronuncia emessa all’esito dell’udienza
preliminare, ex art. 425 cpp, che abbia ritenuto l’imputato evidentemente non colpevole, tanto da
non “meritare” neppure il vaglio dibattimentale, e, quindi, ancor di più esplicita nell’affermare la
mancanza di elementi basilari utili per l’accusa, non potrebbe mai avere tale valore vincolante14
;
14
Sul punto, se pure in riferimento alla previgente analoga disciplina, si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 586
del 13/01/2006 (Rv. 589994) In tema di contenzioso tributario, l'effetto vincolante del giudicato penale, già
previsto dall'art. 12 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1982, n.
516 (abrogato dall'art. 25, comma 1, lett. d, del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), riguardava solamente le
sentenze pronunciate in seguito a giudizio (sempre che l'amministrazione finanziaria fosse stata messa in
10
alla stessa maniera ovviamente, nessun valore vincolante potrebbe essere attribuito ad un decreto di
archiviazione, emesso su richiesta dello stesso Pubblico Ministero che abbia ritenuto non sufficienti
le prove raccolte in fase di indagini preliminari, tanto da non ritenere sussistenti neppure gli
elementi probatori minimi necessari per sostenere l’accusa.
È evidente la disparità di trattamento che si verrebbe a creare nei confronti del cittadino, in
situazioni simili, ed è per questo motivo che la stessa giurisprudenza ha di fatto creato dei rapporti
tra il processo penale, come esso si sia concluso, ed il processo tributario, assai più stretti di quelli
voluti dal legislatore, se pur non vincolanti, come si vedrà.
4. LA “TERZA VIA” INTERPRETATIVA
La concreta esperienza di lavoro in realtà evidenzia, infatti, che il rapporto tra il giudizio
penale e quello tributario è spesso più complesso di questa conclusione, ed anzi molto spesso la
dipendenza “decisionale” da parte del giudice tributario rispetto a quello penale è spesso assai
frequente, è ciò attraverso il meccanismo processuale della produzione documentale, che è poi la
terza “via” seguito di fatto in ordine al concreto atteggiarsi dei rapporti tra processo penale e
processo tributario.
Si è, infatti, detto che il processo tributario è infatti un processo documentale, e non vi è
alcun dubbio che nel concetto di documento rientri anche ogni decisione del giudice penale che se
pure non può avere alcun valore vincolante, perché non applicabile nel caso concreto l’art. 654 cpp,
comunque ha natura di documento, e come tale può essere prodotto nel giudizio tributario, e questo
giudice non solo non può opporre alcunchè alla sua produzione, ma non può non tenere conto della
stessa nell’ambito della sua libertà decisionale, potendo ben fondare la sua decisione, secondo il suo
grado di partecipare al giudizio penale), oltre ad essere limitato ai fatti materiali accertati in quella sede.
Esso, pertanto, non poteva estendersi alle sentenze istruttorie di proscioglimento
11
libero apprezzamento, su tale documento, o disconoscerne l’efficacia, arrivando a conclusioni
diametralmente opposte rispetto a quelle raggiunte dal giudice penale ( 15
)
Di conseguenza non vi è alcun motivo, per esempio, per il quale una sentenza del giudice
penale che sia stata emessa sulla base di prove testimoniali, chieste sia dal P.M. che dalle altre parti
private, non possa essere prodotta nel giudizio tributario, e certamente il giudice tributario dovrà
valutare la stessa quale documento, in base alle regole sostanziali e processuali che regolano questo
processo, ma di fatto appare evidente che un concreto e notevole influenza sulla sua decisione tale
pronuncia non potrà non averla.
Non può disconoscersi che questa conclusione può portare di fatto ad un superamento
persino del divieto di prova testimoniale nel processo tributario, facendo entrare nello stesso
conclusioni alle quali il giudice penale sia giunto attraverso prove vietate nel processo tributario, ma
tale esito della vicenda interpretativa avente ad oggetto i rapporti tra i due sistemi processuali
appare inevitabile, tralasciando il rilievo che comunque va evidenziato, ancor di più, come appaia
ormai necessario superare anche legislativamente le limitazioni di prova nel processo tributario, che
costituiscono un retaggio del passato di tale organo giurisdizionale, che era considerato in realtà
amministrativo, e che sono del tutto anacronistiche e limitative, senza alcuna valida ragione,
dell’efficacia dello stesso a tutela del cittadino.16
15 Tra le tantissime pronunce sul punto della Suprema Corte si può citare, da ultimo, la Sez. 5,
Sentenza n. 19786 del 27/09/2011 (Rv. 619306), ancora più di recente va citata la Sez. 5, Sentenza n.
8129 del 23/05/2012 (Rv. 622685).
16 Peraltro già da tempo la Suprema Corte si è occupata del problema della efficacia delle prove
acquisite nel giudizio penale, chiarendo che (Sez. 5, Sentenza n. 12577 del 22/09/2000 (Rv.
540399) ) In tema di contenzioso tributario, il giudice può legittimamente fondare il proprio
convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche nel caso in cui questo sia
stato definito con una pronuncia non avente efficacia di "giudicato opponibile" in sede
giurisdizionale diversa da quella penale, purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione
degli elementi probatori.
12
Da questa conclusioni non può non derivare che qualsiasi altra pronuncia del giudice penale,
anche non definitiva, o emessa a seguito di udienza preliminare o (17
) riti alternativi (giudizio
abbreviato, patteggiamento, decreto penale) o anche non avente carattere decisorio della
controversia, quale il decreto di archiviazione, comunque potrà sempre essere prodotta al giudice
tributario, e questi non potrà che tenere conto della stesso nella sua decisione, pur senza esserne
vincolato. La questione è stata affrontata ex professo con particolare riferimento alla sentenze
emesse a seguito del cd. “patteggiamento” o applicazione concordata della pena, il cui valore di
ammissione o meno di colpevolezza è oggetto ancora ora di discussione, essendo le stesse fondate
solo su un accordo delle parti e su un giudizio del giudice penale non di colpevolezza ma di
mancanza di evidenza di non colpevolezza.
Proprio a riguardo di tali particolari sentenza, la suprema corte ha più volte affermato che
esse sono producibili nel giudizio tributario, quali documenti avente fortissimo valore probatorio,
ma si è spinta ancora più oltre, chiedendo che fosse il contribuente a spiegare il motivo della sua
ammissione di colpevolezza fatta con la scelta del rito, sostanzialmente invertendo completamente
l’onere della prova nel processo tributario 18
17
Sez. 5, Sentenza n. 17037 del 02/12/2002 (Rv. 558883) Nel processo tributario il giudice può
legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche
nel caso in cui questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di "giudicato opponibile" in
sede giurisdizionale diversa da quella penale, purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione,
secondo la regole proprie della distribuzione dell'onere della prova nel giudizio tributario, degli elementi
probatori acquisiti nel processo penale, i quali possono, quantomeno, costituire fonte legittima di prova
presuntiva. Ne consegue che il giudice tributario non può negare in linea di principio che l'accertamento
contenuto in una sentenza di proscioglimento pronunciata ai sensi dell'art. 425 cod. proc. pen. possa
costituire fonte di prova presuntiva, omettendo di compiere una sua autonoma valutazione degli elementi
acquisiti in sede penale.
18 ex multis, da ultimo, Sez. 5, Sentenza n. 24587 del 03/12/2010 (Rv. 615119) La sentenza penale di
applicazione della pena ex art. 444 cod. proc.pen. (cosiddetto "patteggiamento") costituisce indiscutibile
elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il
dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il
giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo
oggetto di statuizione assistita dall'efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice
tributario nel giudizio di legittimità dell'accertamento. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con
rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva ritenuto ininfluente ai fini della prova a
13
In realtà tali pronunce nascondono una obiezione di fondo che non è stata ancora
compiutamente risolta in campo processual penalistico in ordine all’effettivo valore della sentenza
emessa ex art. 444 cpp, e a parere dei sottoscritti le stesse appaiono assai difficilmente condivisibili
essendo le dette sentenze non fondate su alcun giudizio esplicito di colpevolezza emesso da un
organo giudicante e potendo il rito essere prescelto non solo in seguito ad ammissione della propria
colpevolezza, ma per altri motivi, quali l’evitare lo “strepitus fori” , ma di fatto evidenziano una
sussistenza di strettissimo collegamento tra i due processi, tanto che le pronunce dell’uno arrivano
ad avere un valore probatorio se non vincolante comunque difficilmente superabile dalla parte
avente interesse contrario (in questo caso il contribuente, ovviamente) 19
Tali conclusioni sono state fatte proprie da numerose pronunce di legittimità che hanno
confermato la piena legittimità della produzione di ogni provvedimento decisorio del giudice penale
nel processo tributario, tenendo anche conto che se pure questo soffre di forti limitazioni probatorie,
come detto del tutto anacronistiche, comunque non vi è alcuna limitazione legislativa nella
produzione di documenti e tali sono i provvedimenti del giudice penale; deve ritenersi anche che, in
tale scia interpretativa, nulla possa essere opposto alla produzione quale documenti anche di atti
interlocutori del processo penale, quali il rinvio a giudizio, emesso dal G.I.P. all’esito dell’udienza
preliminare, o persino la citazione diretta a giudizio e la richiesta di rinvio a giudizio all’esito delle
indagini preliminari, che pur essendo un atto di una parte del processo, e cioè del P.M., comunque
carico di una società la sentenza di patteggiamento emessa in sede penale nei confronti del legale
rappresentante della società medesima per gli stessi fatti oggetto della pretesa tributaria).
19 Più condivisibilmente infatti altre pronunce hanno chiarito che non vi è alcuna ragione per ritenere che
sia il privato che debba giustificare il motivo della propria ammissione di colpevolezza, ma che la sentenza
di applicazione pena ha un valore di documento, come tale liberamente apprezzabile dal giudice tributario;
si veda Cass Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26263 del 06/12/2011 (Rv. 620670) “La sentenza penale di
applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. - pur non implicando un accertamento
capace di fare stato nel giudizio civile - contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità di cui il giudice di
merito non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivar”
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non vi è alcuna motivazione che possa impedire di farli rientrare nell’ampio concetto di documento
producibile in giudizio.
È chiaro che il valore probatorio dei diversi atti indicati sarà inevitabilmente diverso a
seconda dell’ufficio che li abbia emessi, o a seconda che siano stati preceduti da istruzione
dibattimentale o comunque di contraddittorio delle parti, se siano pronunce di giudici terzi o di una
parte pubblica, ma comunque di essi il giudice tributario, una volta prodotti, non potrà non tenere
conto nella motivazione della sua decisione, il che conferma come in concreto la autonomia dei due
processi spesso si trasformi in uno stretto rapporto di interdipendenza.
5. L’INFLUENZA DEL PROCESSO TRIBUTARIO RISPETTO A QUELLO PENALE.
Aspetto speculare, sul quale conviene effettuare alcune riflessioni, è quello della influenza
del procedimento tributario nel processo penale.
Inquadrato il problema dei rapporti tra processi, vanno indicati, assai sinteticamente, alcuni
principi base del diritto processuale penale e del diritto penale sostanziale, che entrano in gioco
nella materia in esame. In particolare citiamo velocemente il principio di legalità (nessuno può
essere punito dalla legge penale se non per un fatto analiticamente previsto come reato da una
legge) e quindi della riserva di legge, e soprattutto del principio di tipicità, per il quale il fatto
indicato quale reato non può che essere indicato esattamente nei suoi elementi di fatto, e non essere
genericamente indicato. La costruzione giuridica sostanziale dell’illecito tributario è del tutto
diversa; basterebbe per esempio citare le norme sui versamenti e prelevamenti sui conti correnti
bancari che, a certe condizioni, costituiscono reddito presunto 20
, che è una disposizione che non
avrebbe alcuno spazio in campo penale. Nel processo penale, poi, passando ad analizzare i principi
20
Si veda, quale esempio, l’art. 32, 1° comma, n. 2 DPR 600/73, per il quale i versamenti e i prelevamenti su
conti correnti non risultanti dalle scritture contabili costituiscono ricavi, salva la prova contraria fornita dal
contribuente.
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basilari del processo, va detto che ovviamente, è bandita qualsiasi tipo di presunzione, se non
quella della non colpevolezza ex art. 27, 2° comma Cost., v. recente, Trib. Milano, 29 aprile 2011.
Vi sono poi altri principi fondamentali, quali il principio dell’onere della prova a carico
dell’accusa, sempre e comunque, con assoluto divieto dell’inversione dell’onere della prova e il
principio del libero convincimento del giudice, che non può essere vincolato da prove aventi valore
già prestabilito, tanto che è ammessa qualsiasi prova atipica purchè ritenuta rilevante dal giudice, ed
ancora il principio della valenza degli indizi solo se gravi precisi e concordanti, con valutazione di
tali requisiti solo ad opera del giudice, sempre sulla base del suo libero convincimento.
Il giudice penale potrà, quindi, condannare solo in presenza di prova certa e completa, e oltre
ogni ragionevole dubbio
In realtà, chiariti questi punti preliminari del ragionamento, non è neppure possibile ritenere
del tutto inesistenti o non ipotizzabili rapporti tra il procedimento tributario (intesi in senso ampio,
comprendendo anche il procedimento sostanziale e non solo quello processuale) nel senso che la
Giurisprudenza ha chiarito che anche le presunzioni utilizzate dall’amministrazione finanziaria o
dal giudice tributario nelle sue decisioni possono essere sottoposte al giudice penale il quale potrà
tenerne conto nell’ambito della sua autonomia decisionale, insieme ad altri elementi, ma senza in
alcuna maniera esserne vincolato; quest’ultimo potrà tenerne conto dando alle stesse solo un valore
di indizio, al fine di fondare la sua decisione su un quadro indiziario complessivo, che, unitamente
alle presunzioni tributarie, sia sufficiente a formulare un eventuale giudizio di colpevolezza, o di
assoluzione, eventualmente in contrasto con la pronuncia del giudice tributario. 21
21 Tra le molte pronunce della Suprema Corte che hanno applicato tale principio si possono citare la Sez. 3,
Sentenza n. 14486 del 26/11/2008 Cc. (dep. 02/04/2009 ) Rv., Id. Sez. 3, Sentenza n. 9106 del 13/05/1999
Ud. (dep. 16/07/1999 ) Rv. 214535, Sez. 3, Sentenza n. 2246 del 01/02/1996 Ud. (dep. 01/03/1996 )
Rv. 205395.
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Analizzando però la applicazione concreta di tali principi, del tutto incontestabili,
alla luce della Giurisprudenza più recente della Suprema Corte, non si può non notare che di fatto i
Giudici abbiano ampliato sempre di più la possibilità per il giudice penale di utilizzare strumenti
tipici del giudice tributario, creando di fatto una osmosi tra i due sistemi processuali con conclusioni
ancora tutte da esplorare; numerose sentenze, 22
infatti, tra le quali alcune citate in nota, se pure
partendo dai principi tipici del processo penale, hanno di fatto evidenziato come il reato tributario,
proprio per la sua essenza, non possa che dipendere, per il suo accertamento, proprio dagli strumenti
tipici del sistema tributario, e che indubbiamente, ma questa come si è detto è una prospettiva
ancora tutta da analizzare da parte della dottrina più attenta, il processo penale tributario non può
che di fatto avere delle regole processuali peculiari in relazione alla peculiarità delle fattispecie di
reato ivi giudicate.
In altri termini, se nessuna limitazione nella prova a favore dell’imputato o dell’accusa è
ammissibile nel processo penale, e nessuna preclusione di produzione di qualsiasi documento,
siano atti dell’amministrazione finanziaria, o pronunce definitive o meno del giudice tributario 23
appare evidente che non può che esserci un passaggio continuo di atti tra procedimento tributario in
senso ampio e procedimento penale, comprendendo in tale accezione anche la fase delle indagini
preliminari, e che l’uno non potrà non influenzare strettamente l’altro, e tanto più in ragione della
22
Applicando tali principi ma arrivando di fatto a diverse conclusioni,e comunque utilizzando di fatto
analoghi parametri di giudizio tra i due processi, la Sez. 3, Sentenza n. 26723 del 18/03/2011
Cc. (dep. 07/07/2011 ) Rv. 250958 ha statuito che “Il reato di cui all'art. 4 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74
è configurabile anche in presenza di una condotta elusiva rientrante tra quelle previste dall'art. 37-bis del
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, quando tale condotta, risolvendosi in atti e negozi non opponibili
all'Amministrazione finanziaria, comporti una dichiarazione infedele per la mancata esposizione degli
elementi attivi nel loro effettivo ammontare. (Fattispecie in tema di sequestro preventivo per equivalente in
cui la Corte ha precisato che il reato di dichiarazione infedele, a differenza di quello di dichiarazione
fraudolenta, non richiede alcuna attitudine ingannatoria nei confronti del Fisco). Id., Cass, Sez. 2,
Sentenza n. 7739 del 22/11/2011 Cc. (dep. 28/02/2012 ) Rv. 252019; Sez. 3, Sentenza n. 5490 del
26/11/2008 Ud. (dep. 06/02/2009 ) Rv. 243089.
23
Si veda sul punto, assai chiara, la Cass. Pen., Sez III, n. 32282 del 2007.
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estrema tecnicità e complessità, in alcune ipotesi, della materia tributaria, non sempre facilmente
conoscibile dal Giudice penale.
In altri termini è chiaro che tanto più la materia trattata nel processo penale è caratterizzata
da difficoltà tecniche ed interpretative, tanto più l’influenza del procedimento tributario sarà
rilevante nel giudizio penale, il quale dipenderà di fatto spesso proprio dalle conclusioni di un
organo più specializzato, quale il giudice tributario.
Comunque è però certo che mai una responsabilità penale potrà derivare dal fallimento
dell’onere addossato al contribuente di fornire prova contraria rispetto ad una presunzione, ma solo
alla positiva ricostruzione del fatto da parte del giudice penale, utilizzando tutti gli elementi
probatori legittimamente acquisiti ed in particolare utilizzando ogni prova documentale, come detto,
anche discostandosi dalla risultanze e dalle conclusioni dell’accertamento tributario, dando
prevalenza al dato fattuale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano
l’ordinamento tributario, del quale però, come si è evidenziato, non potrà non tenere conto.
CONCLUSIONI.
Appare evidente, quindi, che il punto iniziale della analisi, che era quello dell’abbandono
della pregiudiziale tributaria e all’inverso della assoluta diversità dei principi del processo penale
rispetto a quello tributario, con una incompatibilità tra i due, nella realtà giurisprudenziale è
decisamente superato, apparendo al contrario sempre più stretti i collegamenti tra i due sistemi
processuali, e, si ripete, tanto più quando il processo penale si occupa di materie caratterizzate da
tecnicismi spesso difficili da conoscere da parte del Giudice penale, che non sempre ha una
preparazione contabile e fiscale necessaria, con la conseguente evidente necessità di acquisizione
nel processo penale di conclusioni raggiunte da altri organi più specializzati, in un quadro
complessivo, se non di unità di giurisdizioni, quanto meno di stretto collegamento tra le stesse.