Corso di Neuropsichiatria Infantile
Prof.ssa Caterina D’Ardia
La dispensa è a disposizione dello studente per lo studio. Non può essere riprodotta, fotocopiata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo se non nei termini previsti dalla legge.
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(N Rockwell)
Dispense
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AA 2014-2015
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(Candy Chang)
Modulo 2
o La comorbidità
o Il concetto di fattore di rischio e fattore protettivo
o Disturbi dello Sviluppo
o Disturbi Psicopatologici
o I sistemi nosografici in età evolutiva
o La valutazione e osservazione
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LA COMORBIDITA’
Quando si parla di disturbi psicopatologici in età evolutiva e/o disturbi dello sviluppo
sembra inevitabile affrontare il problema della comorbidità, ovvero della co-presenza di più
disturbi. E’ inevitabile perché l’epidemiologia evidenzia come sia più frequente, in età
evolutiva, la presenza di più disturbi psicopatologici e/o dello sviluppo, piuttosto che di
uno solo, a tal punto che sembra essere la norma, piuttosto che l’eccezione.
Gli elevati valori di comorbidità riportati per certi quadri portano ad interrogarsi se si
è di fronte ad una reale co-presenza o piuttosto il disturbo dello sviluppo comporti di per se
una fragilità e una vulnerabilità e, quindi, situazioni di rischio maggiore.
In realtà, nel celebre articolo di Caron & Rutter (1991), si sottolineava come la
comorbidità fosse legata a diversi punti nodali per l’età evolutiva, in particolare:
- E’ frequente ritrovare una aspecificità di diversi sintomi (es. iperattività, disattenzione,
ritardo di linguaggio, etc.) e non per forza vuol dire essere di fronte a quadri definiti.
- Lo stesso sintomo ha un peso, e un significato, completamente diverso a seconda del
disturbo in cui si ritrova.
- Esistono situazioni cliniche di passaggio e di sovrapposizione, molto più
frequentemente di disturbi singoli.
- La maggior parte dei sintomi, la modalità di espressione e il loro significato sono età
dipendenti.
Angold et al. (1999) sostenevano il ruolo centrale di questo fenomeno, affermando che
non fosse, per forza, legato a bias di segnalazione o alla presenza di informatori multipli.
Vista l’elevata frequenza con cui vengono effettuate più diagnosi in psicopatologia dello
sviluppo, supportate anche dai sistemi nosografici, appare importante sottolineare che
esiste una sostanziale differenza tra disturbi in comorbidità e sintomi in comorbidità.
Entrambe queste evenienze si possono verificare, in età evolutiva, ma il significato
sia da un punto di vista clinico che prognostico appare estremamente diverso, pertanto
non è possibile affrontare il discorso sulla comorbidità non considerando concetti quali la
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continuità/discontinuità tra i disturbi, l’eterogeneità e la variabilità clinica interindividuale
ma anche intraindividuale.
In psicopatologia dello sviluppo e, in generale, in tutti i disturbi dello sviluppo,
osserviamo, soprattutto nei primi anni di vita, di quadri caratterizzati dalla presenza di
sintomi aspecifici, non patognomonici e la cui presentazione dipende da diverse variabili
tra cui l’età cronologica, l’età di sviluppo, il rapporto tra queste, l’età della diagnosi, la
gravità del disturbo primario, etc.
Ritardo di linguaggio, iperattività, difficoltà di concentrazione, ritardo dello sviluppo
simbolico possono essere sia i sintomi cardine di specifici disturbi, sia sintomi
estremamente comuni, e aspecifici, nella maggior parte dei disturbi dello sviluppo.
Un’ altro esempio è rappresentato dai quadri depressivi. Questi nel bambino e
nell’adolescente non si presenta quasi mai in forma pura. Studi epidemiologici condotti
sulla popolazione in età evolutiva confermano che la maggior parte dei bambini e
adolescenti che rispondono ai criteri diagnostici per la sintomatologia depressiva, presenta
comorbidità con altre patologie psichiatriche con una percentuale di gran lunga superiore
a quella attesa (Caron, Rutter, 1991, Angold e Costello, 1995, Kolvin 1995).
In particolare, è stata evidenziata una comorbidità frequente (della patologia
depressiva) con disturbi d’ansia, disturbi del comportamento, disturbi dell’apprendimento.
Al momento sono tuttora presenti numerose questioni irrisolte sulla reale incidenza
della comorbidità in età evolutiva, dovute al fatto che disturbi diversi condividono alcuni
sintomi: ne consegue pertanto che la presenza di un determinato disturbo riduce il numero
di sintomi richiesto per fare la diagnosi di un secondo disturbo. Per esempio l’irritabilità che
viene identificata dal DSM IV come una delle modalità più frequenti di espressione
dell’umore depresso, si manifesta con una serie di comportamenti che rientrano nei criteri
diagnostici del Disturbo Oppositivo Provocatorio.
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FATTORI DI RISCHIO E FATTORI PROTETTIVI
Come mai alcuni bambini sviluppano un disturbo psicopatologico e/o un disturbo
dello sviluppo e altri, che crescono con modalità analoghe e in ambienti simili, no?
Esistono delle situazioni ambientali che sono sicuramente ad elevato rischio
evolutivo ma, nonostante questo, rimane difficile conoscere le varie dinamiche che
influiscono e che hanno un ruolo nello sviluppo di un disturbo.
Al concetto generale di Rischio, sono associate nozioni come Fattore di Rischio
(FR), Fattore Protettivo (FP), Resistenza e Vulnerabilità, utilizzati nel tentativo di stabilire
le modalità di sviluppo di un disturbo psicopatologico e/o di sviluppo, la sua evoluzione e
la possibilità di prevenirlo.
Fondamentale è conoscere lo sviluppo evolutivo del bambino. Il modello
developmental (di sviluppo) sostiene che tutta la vita è caratterizzata dal superamento di
difficoltà, e che solo attraverso il superamento di queste possiamo andare avanti e
crescere. Questo modello può essere applicato nel campo affettivo, cognitivo e in quello
motorio. Lo sviluppo, anche quando procede senza difficoltà, raramente presenta un
andamento lineare, sembra, infatti, che le crisi evolutive abbiano una certa influenza
soprattutto nel fornire al bambino gli strumenti e le capacità per affrontare e reagire alle
situazioni nuove, e di interagire, quindi, nello sviluppo di Resistenza e Vulnerabilità.
Sono state date varie definizioni di Fattore di Rischio :
• Secondo Rutter un Fattore di Rischio (FR) é una variabile la cui presenza aumenta
la probabilità per un individuo di soffrire di un particolare disordine.
• Per Garmezy (1983), i FR sono quei fattori che, se presenti, aumentano la
probabilità per un bambino di sviluppare un disturbo emozionale in confronto ad un
bambino selezionato random dalla popolazione generale.
Nonostante le diverse definizioni appare chiaro che un FR, per essere considerato tale,
deve essere associato a un’aumentata probabilità di comparsa di un disturbo e deve
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essere precedente all’insorgenza del disturbo. Un FR può portare un bambino a uno stato
di maggiore vulnerabilità su cui possono agire altri FR.
E’ controverso il tipo di nesso esistente tra l’esistenza del FR e l’insorgenza di un
quadro sintomatologico; Lee Robins (1970) ha sostenuto l’esistenza di un rapporto di
causalità, in cui la presenza di un FR portava all’insorgenza di una patologia, con un
meccanismo di causa-effetto. Tuttavia questo meccanismo si é dimostrato scarsamente
applicabile, infatti esistono situazioni ad elevato rischio psicopatologico in cui i bambini
riescono a crescere senza problemi e, viceversa, esistono casi in cui a un basso
contenuto di FR, nella vita del bambino, sono associati a una maggiore incidenza di quadri
sintomatologici.
Appare più attuale e applicabile l’idea di Sameroff (1987) che ha della questione una
visione multifattoriale: bisogna considerare non solo il numero e la qualità dei FR, ma
anche il rapporto che esiste tra bambino e genitori, non dimenticandosi che come i genitori
influenzano i bambini con i loro comportamenti, a loro volta i bambini influenzano i genitori;
questo tipo di relazione ha, da un lato un andamento ciclico e, dall’altro un andamento
evolutivo; banalizzando si può affermare che é lecito aspettarsi ad ogni azione una
reazione, sia da parte del bambino che dei genitori.
E’ quindi, chiaro che la presenza di un FR non é necessariamente collegata al
disordine in questione con un meccanismo di causa-effetto.
Bisogna dare il giusto peso a ogni singola variabile che si presenta, quantificarla e
darle una collocazione adeguata nell’insorgenza del disturbo; per esempio, un evento
negativo come la morte di uno dei due genitori, che avvenga durante la prima infanzia,
può essere meno traumatico rispetto a una separazione o divorzio che si verifichi nello
stesso periodo.
Questo é in relazione alla situazione ambientale ed emotiva che circonda il bambino;
un lutto, infatti, é solitamente accompagnato a un atteggiamento estremamente protettivo
e contenitivo nei confronti del bambino da parte di tutta la famiglia, e dell’ambiente che lo
circonda, mentre un divorzio é spesso il risultato di un ambiente familiare ostile e
scarsamente protettivo, in cui i problemi degli adulti hanno il sopravvento su quelli del
bambino.
Grazie a questo esempio possiamo affermare che le variabili lutto e divorzio sono i
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fattori di rischio e la risposta dell’ambiente circostante sono dei fattori protettivi o di
rischio.
Il ruolo della famiglia é, ovviamente, fondamentale nello sviluppo del bambino, essa
può assumere sia le caratteristiche di un FP che di un FR; per questo motivo negli anni
sono stati effettuati numerosi studi sulle famiglie, su quelle chiaramente problematiche, su
quelle in difficoltà e su quelle apparentemente normali.
La famiglia influisce moltissimo sui bambini piccoli e in età scolare, nell’adolescenza il
suo ruolo é ancora importante, ma in modo diverso; tornando all’esempio del divorzio, si
osserva che gli adolescenti sono, apparentemente, più resistenti alla rottura familiare,
perché loro stessi si stanno già separando dagli adulti e perché iniziano a trovare
nell’ambiente esterno (scuola, gruppi sportivi, amici, etc.) altre figure di riferimento e di
attaccamento; nonostante questo si verificano, ugualmente, dei apprezzabili soprattutto
nell’ambito scolastico, con modificazioni del rendimento e/o del comportamento con gli
insegnanti e con i compagni.
All’evento iniziale, il divorzio, bisogna aggiungere altri FR, ad esso indirettamente ma,
frequentemente, collegati:
- modificazioni dello Status socioeconomico (SES)
- perdita di uno dei genitori dalla vita quotidiana
- difficoltà nel ricominciare una vita normale
Abbiamo osservato, quindi, che a un FR se ne aggiungono numerosi altri, ad esso
collegati, che possono aggravare la situazione e favorire ulteriormente la comparsa di un
disturbo psicopatologico; non bisogna dimenticare, però, che una stessa variabile può
assumere il significato sia di FR che di FP (ad esempio la famiglia) .
Un Fattore Protettivo (FP) é una variabile che, quando é presente, riduce la
probabilità per un individuo di ammalarsi.
Un FP agisce in modi diversi a seconda della presenza o meno di FR:
- in alcuni casi il FP opera solo in presenza del FR, in questo caso si ha un processo
interattivo tra FR e FP (Rutter, 1987).
- in altri casi, invece, un FP agisce indipendentemente dalla presenza del FR.
- in altri casi ancora i FP sono semplicemente il contrario dei FR (ad es.: il supporto
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familiare vs l’assenza di supporto familiare).
In generale possiamo affermare che i FR e i FP si bilanciano tra loro e fino a
quando sono in equilibrio o i FP prevalgono il bambino si trova in una condizione protetta;
invece, quando i FR prevalgono il bambino é in una situazione di rischio psicopatologico
evolutivo.
Accanto alle variabili FR e FP bisogna considerare la Vulnerabilità e la Resistenza del bambino cioè la capacità di reagire in maniera adeguata, o meno, alla
comparsa dell’evento stressante e di saperlo affrontare in modo adeguato.
Rientra, quindi, nell’idea di vulnerabilità e resistenza la variabile del
Temperamento, inteso come quella serie di aspetti e caratteristiche specifiche del
bambino.
Il temperamento può appartenere a due tipologie:
- facile: bambini descritti come tranquilli, che non danno problemi, che aiutano e maturi per
la loro età; sono curiosi verso tutto ciò che di nuovo si presenta loro, socievoli, allegri e
affettuosi.
- difficile: bambini spesso capricciosi, poco accomodanti, polemici e pronti a discutere ogni
regola data dai genitori; hanno difficoltà ad inserirsi in un gruppo di coetanei e anche
nell’ambiente scolastico sono descritti dagli insegnanti come problematici.
E’ possibile classificare i Fattori di Rischio e i Fattori Protettivi specifici per i disturbi
psicopatologici?
Cercare di fare un elenco dei vari FP e FR é difficile; infatti accanto a FR
abbastanza ovvi come condizioni di vita pericolose, abuso di alcol e droghe, povertà, etc.,
esistono una serie di FR non così evidenti e spesso di difficile identificazione che sono alla
base del Rischio Psicopatologico.
Un tentativo di sistematizzare i FR e i FP é quello di dividerli in quattro aree:
1) Area del bambino (temperamento, autonomie, socialità, stima di sé, andamento
scolastico, attività extra-scolastiche, etc.)
2) Area della famiglia (integrazione e inserimento nella società, rapporti e relazioni
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familiari ed extra-familiari, malattie, etc.)
3) Area Sociale (SES)
4) Relazione bambino-genitori (esperienze, capacità, etc.)
Questo tipo di suddivisione sembra essere il giusto compromesso tra i numerosi
tentativi che si ritrovano in letteratura e che spesso hanno il limite di essere troppo
specifici per il contesto di cui si occupano.
I FR e i FP possono, inoltre, essere distinti in Interni (costituzionali), ed Esterni
(ambientali). Entrando più nello specifico:
a) Il tipo di relazione che i genitori instaurano con i figli può avere degli effetti
importanti; ad esempio, se il rapporto é difficile potrà essere causa di difficoltà
emozionali per il bambino. Inoltre, bisogna valutate le capacità di accudimento e le
precedenti esperienze dei genitori; quindi, l’eventuale presenza di fratelli da un lato
e il sostegno che la famiglia ha nell’accudimento dall’altro (figure familiari, amici ma
anche lavoro e possibilità economiche). Si é già accennato al ruolo fondamentale
che la famiglia assume nello sviluppo del bambino ma, studiando l’ambito familiare
in cui il bambino cresce si deve evitare un’eccessiva semplificazione non
dimenticando che le influenze che intervengono nello sviluppo del bambino sono
complesse e molteplici.
b) Non bisogna, inoltre, sottovalutare il ruolo, per nulla secondario, che ha l’ambiente,
inteso sia come comunità che ruota intorno alla vita di tutti i giorni del bambino
(scuola, luoghi di ritrovo per attività sportive e non, etc.), che come società nella
sua accezione più ampia, quindi il ruolo e il posto assunto da quella famiglia nella
società.
Questi due fattori (famiglia e comunità) sono strettamente dipendenti.
Infatti, uno studio sulle caratteristiche della famiglia di un bambino, non può
prescindere da una conoscenza adeguata dello status socioeconomico.
La presenza di un basso SES é sicuramente una situazione di rischio; infatti spesso si
è visto che i bambini nati in famiglie non abbienti avevano una minore capacità di
affrontare certe difficoltà legate a problematiche insorte nell’ambito familiare; al contrario
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bambini nati in famiglie agiate riuscivano, grazie ad un apporto esterno, a sopportare e
reagire in maniera adeguata a problemi familiari.
Due variabili importanti, infine, sono: il tempo e l’età.
• Il Tempo deve essere inteso come il periodo che intercorre tra la prima apparizione
di un FR e la comparsa di effetti nello sviluppo del bambino. Chiaramente più é
duratura l’esposizione a un FR e più facilmente potrà comparire un effetto variabile
sul bambino.
• L’età di per sé non é un fattore di rischio, però é da considerare che nelle varie fasi
evolutive i bambini risponderanno con modalità diverse; inoltre, avranno problemi
diversi a cui reagiranno con varie strategie, in relazione alle competenze affettive,
cognitive e comunicative raggiunte e al modo in cui queste interagiscono con il
problema emerso e con la situazione familiare e ambientale; le modalità di reazione
dipendono, infine, anche dalla Vulnerabilità e Resistenza dei singoli.
Il bambino é sottoposto a numerose influenze, sia positive che negative, provenienti
dall’esterno e quindi quello che si verifica avrà grosse implicazioni nello sviluppo futuro.
Se l’ambiente non é in grado di filtrare, in modo adeguato all’età del bambino, un
determinato problema insorto, questo avrà impatto maggiore sul bambino.
Concludendo, appare chiaro che per capire come un fattore di rischio influisce sullo
sviluppo del bambino, e sull’eventuale comparsa di una difficoltà evolutiva, bisogna
cercare di avere una visione globale delle capacità emotive, cognitive e comunicative del
bambino integrate alle informazioni sulla famiglia, sullo SES, sull’età del bambino, etc..
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PATOLOGIA SOMMERSA
Lo studio e la conoscenza delle situazioni a rischio per la comparsa di un disturbo
psicopatologico e/o di sviluppo permettono, non solo di prevedere la comparsa di una
difficoltà, ma anche di valutarne l’evoluzione.
Analizzando la popolazione di bambini che necessita di un intervento
neuropsichiatrico, di vario tipo, troviamo due gruppi diversi:
1) Bambini segnalati alle strutture di Neuropsichiatria Infantile dalla famiglia, scuola,
medici di base per il loro problema; perciò conosciuti e seguiti in maniera specifica.
2) Bambini che, pur presentando un disturbo, hanno difficoltà a ricevere una diagnosi,
e quindi un aiuto; alcuni avranno una diagnosi dopo molto tempo, in alcuni casi
anche da adulti, quando il disturbo si é strutturato diventando più evidente, oppure
si é modificato; altri non riceveranno alcuna diagnosi e la loro sofferenza potrà non
essere mai riconosciuta.
L’esistenza di questi due gruppi così diversi tra loro é imputabile a varie ragioni:
- Problemi nella formulazione della diagnosi: metodologie diverse per arrivare alla
diagnosi (che spesso é effettuata da personale non specialistico); difficoltà o assenza
degli strumenti adeguati per riconoscere prontamente il disturbo.
- Caratteristiche proprie dei due gruppi:
a) I disturbi del primo gruppo sono quasi sempre più evidenti e più gravi (ritardo mentale,
gravi problemi di comportamento, disturbi specifici dell’apprendimento), e sono
riconoscibili facilmente.
b) I Bambini del secondo gruppo sono coloro che hanno, sicuramente, un problema, ma la
loro sofferenza non é così evidente; per cui passano misconosciuti finché qualcuno non si
accorge del loro disagio, oppure fino a quando il loro disturbo si modifica e/o diventa più
evidente.
Esiste, pertanto, una fetta della popolazione di bambini che non viene prontamente
riconosciuta e quindi trattata. Per ogni bambino con diagnosi almeno altri due non arrivano
ai servizi (Zahner et al., 1992). Come mai questo si verifica?
Oltre al problema metodologico, di cui si é detto, che é sicuramente uno dei motivi, anche
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se non quello principale, é fondamentale il modo in cui questi bambini esprimono il loro
disagio.
I bambini del secondo gruppo hanno una modalità di esprimere il loro disagio particolare:
manifestano silenziosamente le loro difficoltà, e non presentano dei sintomi evidenti tali da
allarmare la famiglia e/o l’ambiente in cui vivono.
Questi bambini presentano una Sofferenza Silenziosa.
La capacità dei genitori di riconoscere precocemente una sofferenza é fondamentale, ed é
collegata anche a come i genitori hanno “in mente” il loro bambino.
Si é osservato che i genitori cercano un aiuto, più facilmente, in presenza di problemi
comportamentali che vengono esternalizzati maggiormente, rispetto a un disagio
internalizzato, a cui si associano disturbi sul piano somatico, che può passare inosservato
per molto tempo.
Un altro motivo per cui passano inosservati questi sintomi, quando sono presenti, é che
tendono a modificarsi facilmente, oppure sono fatti rientrare dai genitori e/o insegnanti in
un normale contesto di crescita e di sviluppo (ad esempio modificazioni del
comportamento nel periodo dell’adolescenza) o come aspetti del carattere.
L’ambiente medico di riferimento del bambino può non dare sempre il giusto peso al
disturbo, tendendo a considerarlo, troppo spesso, come un semplice disagio transitorio.
Infine, non bisogna dimenticare il contesto socio culturale in cui il bambino si sviluppa e il
tipo di impatto che il sintomo provoca: alcune famiglie reagiscono in maniera eccessiva
alla più piccola difficoltà, altre, al contrario, sembrano non accorgersi della sofferenza del
loro bambino che passa misconosciuta e tende a stabilizzarsi.
Il fatto di trovarsi di fronte a bambini silenti non ci autorizza a credere che questi soffrano
di meno solo perché non esplicitano il loro disagio, essi soffrono come tutti gli altri bambini
con un disturbo psichiatrico, ma in maniera diversa.
Estremizzando possiamo dire che il bambino che mostra il proprio disagio con un quadro
sintomatologico più evidente, é un bambino meno fragile di quello che non riesce a
mostrare la sua sofferenza.
Il disturbo, quando sarà evidente, probabilmente non avrà più le caratteristiche del
disturbo primitivo, ma si sarà modificato in un’altra patologia.
In alcuni casi il bambino può soffrire, per la presenza di uno stato di disagio non
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riconosciuto, di diverse patologie silenziose, senza mai evidenziarle, che si evolveranno e
modificheranno negli anni.
La ricerca dei bambini che appartengono a questa fascia non può prescindere da
conoscenze sulle caratteristiche evolutive del bambino, della situazione familiare e
socioculturale; non può, perciò, prescindere dalla conoscenza dei FR e FP per quel
bambino.
La presenza di un elevato numero di FR e di una maggiore vulnerabilità, oppure un basso
numero di FP e una minore capacità di resistenza, sono causa di disagio per il bambino;
chiaramente più i FR sono importanti ed evidenti, più facilmente ci troveremo davanti a un
quadro sintomatologico definito; mentre in presenza di una situazione di rischio più
sfumata, ma più cronica, é più facile che il bambino sviluppi una sofferenza silenziosa.
Una volta riconosciuti questi bambini si può osservare che, dal punto di vista clinico, essi
mostrano una varietà di quadri sintomatologici solitamente caratterizzati da un’espressività
meno evidente, con aspetti prevalentemente depressivi o ansiosi oppure di disturbo di
personalità etc.
Il riconoscimento precoce di questa fascia di popolazione ha, da un lato, il fine di evitare al
bambino questa sofferenza silenziosa, dall’altro, di ridurre il rischio di comparsa di
problemi da adulti che sono molto maggiori come incidenza, in questo gruppo, che nel
resto della popolazione neuropsichiatrica.
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I DISTURBI DELLO SVILUPPO
I disturbi dello sviluppo vengono definiti in base alla presenza di due requisiti
fondamentali: si manifestano durante lo “sviluppo” della persona e ne influenzano lo
“sviluppo” futuro.
In altre parole, sono disturbi in cui le disfunzioni di base coinvolgono un individuo,
generalmente nei primi anni di vita, ne modellano lo sviluppo neurocognitivo, affettivo e
della personalità, incidono sulle competenze emergenti assumendo un peso diverso, a
seconda della fase evolutiva.
Questi disturbi possono coinvolgere in modo settoriale una competenza (disturbi del
linguaggio, disturbi della coordinazione motoria) o manifestarsi in modo pervasivo
compromettendo lo sviluppo di tutte, o quasi, le funzioni mentali essenziali per il processo
evolutivo del bambino (disturbi pervasivi dello sviluppo, ritardi globali).
I Disturbi dello Sviluppo possono essere classificati, non solo per il numero di
competenze coinvolte (settoriali vs globali), ma anche sulla base delle caratteristiche
cliniche (a prevalente componente deficitaria o a prevalente componente atipica).
Classificazione dei disturbi dello sviluppo (DS)
DS settoriali de-icitari DSL, DCD, DSA
DS globali
de-icitari RM
atipici ASD
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Sono disturbi la cui etipatogenesi è multifattoriale e, generalmente, si caratterizzano per
un’emergenza precoce che, anche quando settoriali (come ad es. i disturbi della
comunicazione) influenza diverse aree evolutive quali quella comunicativo-linguistica,
cognitivo-motoria, socio-emozionale.
Parlare di disturbi dello sviluppo vuol dire parlare di quadri clinici che, nel loro insieme,
colpiscono una popolazione che oscilla tra il 12% ed il 20% e che, non sempre, vengono
riconosciuti in fase precoce.
Il ritardo nel riconoscimento di molti quadri clinici è legato, soprattutto nei casi lievi, ad
alcune caratteristiche peculiari dello sviluppo e, in parte, dei disturbi stessi, quali:
- Lo stretto legame tra competenze emergenti e fase evolutiva.
- La non sempre facile distinzione tra quadri di sviluppo “tardivo” (ad es., i late talker) e
quadri di “ritardo” sfumato.
- L’aspecificità di molti sintomi e la variabilità di presentazione di diversi quadri clinici.
- La trasformabilità dei nuclei sintomatici non sempre prevedibile.
In altri termini, il concetto di disturbo dello sviluppo permette di affrontare una serie di
problematiche tipiche dell’età precoce che riguardano la relazione/interazione tra i diversi
sintomi, la comorbidità, la diagnosi nosografica e categoriale e, infine, le ipotesi
etiopatogenetiche.
Quest’ultimo punto è particolarmente controverso poiché se da un lato è accettata l’origine
neurobiologica della maggior parte, se non di tutti, questi disturbi, dall’altro lato il
meccanismo che porta alla manifestazione di alcuni sintomi piuttosto che altri, alla loro
trasformazione ed evoluzione è alla base di un vivace dibattito.
Il meccanismo causa-effetto non sempre è applicabile per i disturbi dello sviluppo, questo
è particolarmente evidente quando il disturbo, o la sindrome, non sono il risultato di un
danno clinicamente evidente e diagnosticabile.
In realtà, affermare che tale meccanismo non sia applicabile non è completamente
corretto, sarebbe meglio considerarlo incompleto o necessario di alcune revisioni.
Incompleto perché non considera il contributo fondamentale proveniente dalle
manifestazioni comportamentali e dalla clinica, perché non valuta il peso delle traiettorie
evolutive e dell’ambiente, ma soprattutto perché non sembra soffermarsi sul peso che un
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disturbo primario ha sullo sviluppo dell’individuo (a livello cognitivo, a livello del SNC) e
viceversa.
Sarebbe più corretto pensare ai disturbi dello sviluppo come a fenotipi rappresentativi di
alterazioni in sistemi multipli.
Morton & Frith (1995) propongono un modello causale che prevede il coinvolgimento di
diversi livelli e funzioni. Gli autori si soffermano (facendo un esplicito riferimento
all’autismo, ma in realtà lo schema può essere adattato ad altri disturbi dello sviluppo)
sull’importanza del “livello cognitivo”, inteso come funzioni cognitive piuttosto che
intelligenza, nel passaggio da origine biologica e quadro clinico.
Lo schema proposto prevede che una o più cause biologiche (genetiche) siano alla base
di alterazioni del SNC e, quindi, dello sviluppo delle funzioni cognitive e queste alterazioni,
come diretta conseguenza, provochino i sintomi e il disturbo conseguente.
Una semplificazione grafica di quanto proposto dagli autori potrebbe essere la seguente:
Morton & Frith (1995)
Questo tipo di modello ha il merito di prevedere sia un piano più descrittivo che uno più
causale, tuttavia non sembra analizzare quale sia il peso dei sintomi sul funzionamento
cognitivo, sul SNC e l’eventuali conseguenze, in termine di “nuovi sintomi” ed eventuali
fattori biologici
anomalie del SNC
sistema cognitivo
sintomi sintomi sintomi
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comorbidità, date dai cambiamenti dei due sistemi. Inoltre, non considera il peso che i
diversi sintomi hanno sull’ambiente e viceversa.
Rimane aperta la questione se più fattori biologici influiscano in modo unitario nella catena
degli eventi, provocando un “danno” unico, sul SNC o in modo più settoriale.
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I DISTURBI PSICOPATOLOGICI In età evolutiva, oltre ai disturbi dello sviluppo e a quelli neurologici, si possono presentare
diversi disturbi psicopatologici.
Tra questi ritroviamo, solo per citarne alcuni, i disturbi dell’umore (ansia e depressione), i
disturbi del pensiero (psicosi e sindromi schizofreniche), i disturbi del comportamento e i
disturbi di personalità.
Molti dei concetti fin qui presentati possono essere applicati anche alla maggior parte dei
disturbi psicopatologici. Fattori di Rischio, fattori protettivi, variabilità di presentazione dei
sintomi, resistenza, etc. sono aspetti centrali quando parliamo dei disturbi psicopatologici
ma, sempre di più, appare fondamentale il ruolo di variabili quali caratteristiche genetiche,
di ogni individuo, ed ambientali nella eziopatogenesi di questi quadri.
Non è possibile affrontare i disturbi psicopatologici se non si tengono in considerazioni due
concetti fondamentali:
1) ad età diverse avremo disturbi diversi con manifestazioni cliniche che possono
modificarsi nel tempo. Ad esempio, la schizofrenia è un disturbo che generalmente
(tranne rarissime eccezioni) si presenta nel periodo dell’adolescenza mentre i
disturbi dell’umore possono essere osservati anche in età precoci ma con sintomi
diversi da quelli manifestati in adolescenza.
2) I sintomi possono essere aspecifici e a cavallo con altri quadri clinici psicopatologici
ma anche dei disturbi dello sviluppo. Le difficoltà di interazione sociale possono
essere presenti ad esempio, nella fobia sociale, nelle sindromi depressive ma
anche nei disturbi dello spettro autistico.
In altri termini, è sempre importante valutare i singoli sintomi ma allo stesso tempo cercare
di dare un significato di ognuno di questi all’interno di quelli che sono le diverse variabili
che coinvolgono ogni individuo e la sua storia di sviluppo e clinica.
Infine, è necessario riuscire a distinguere tra “normali crisi evolutive” che non richiedono
interventi e situazioni di disagio che, al contrario, richiedono interventi specifici. Essere
tristi per un brutto voto a scuola, ad esempio, è fisiologico e non per forza è indicativo di
un quadro di tipo depressivo.
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La valutazione e osservazione nella clinica Nella pratica clinica si parte da una domanda: il bambino che ho di fronte ha una difficoltà
in una o più aree dello sviluppo? E in caso di difficoltà: Tale problema è un disturbo che
richiede un intervento?
In ogni caso, come in parte spiegato nel paragrafo sui disturbi dello sviluppo, non ci si può
accontentare di una risposta si/no ma è necessario determinare anche il livello di
funzionamento nell’area indagata, e nelle altre aree, le strategie utilizzate e le possibilità di
miglioramento a breve e medio termine.
Pertanto, nella clinica sarà necessario procedere con osservazioni libere, osservazioni
strutturate e con valutazioni con materiale standardizzato e validato su popolazioni con
caratteristiche cliniche simili, o anagrafiche (ad esempio, i test per l’apprendimento sono
validati su popolazioni di bambini parificati per classe frequentata ma ci sono anche i
risultati medi nei bambini con diagnosi di disturbo dell’apprendimento).
Con l’adolescente, invece, si prediligerà il colloquio come strumento valutativo associato,
o meno, a seconda delle situazioni, alla somministrazione di interviste e questionari. In
ogni caso, la scelta del metodo (colloqui, osservazione di gioco, test validati, questionari,
etc.) dipende, oltre che dal fattore età, dal motivo per cui si sta procedendo alla
valutazione (sospetto diagnostico).
In ambito clinico sarà necessario prevedere una fase con i genitori (soprattutto per i
bambini più piccoli) in cui lo specialista effettuerà:
a) La raccolta anamnestica: Il momento dedicato all’indagine anamnestica è un
momento importante, attraverso cui si enucleano alcuni punti critici assai d’aiuto per le fasi
successive. In particolare:
- Durante l’anamnesi familiare bisognerà indagare la presenza di consanguineità e la
presenza di familiarità per malattie neuropsichiatriche.
- Durante l’anamnesi fisiologica del paziente sarà opportuno soffermarsi su eventuali
problemi legati alla gravidanza, al parto ed al post-partum. È di fondamentale importanza,
inoltre, ricostruire con attenzione le fasi dello sviluppo del bambino: bisognerà indagare
l’epoca di comparsa delle principali tappe dello sviluppo motorio (controllo del capo,
controllo del tronco, deambulazione quadrupedica, deambulazione autonoma, etc) e
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linguistico (comunicazione non verbale, produzione e comprensione verbale), ma anche le
caratteristiche del ritmo sonno/veglia dell’alimentazione.
- Nel corso dell’anamnesi patologica remota si esplorerà l’eventuale presenza di
condizioni mediche note.
- Durante l’anamnesi patologica prossima si ricaveranno informazioni sull’epoca e la
modalità d’esordio dei sintomi che hanno portato alla consultazione specialistica.
b) Definizione del profilo comportamentale e del funzionamento adattivo
In questa fase le informazioni ricavate dai genitori consentiranno di evidenziare quelli che
sono i comportamenti atipici del bambino/adolescente.
Alcune informazioni saranno fornite spontaneamente dai genitori, altre necessiteranno di
domande specifiche (modalità di relazione del bambino con i genitori, di interazione con i
pari, a scuola, modalità del gioco, etc). Si chiederà poi di fornire una descrizione di quella
che è la quotidianità del bambino/adolescente e delle eventuali difficoltà nella sua gestione
routinaria.
c) Osservazione diretta del bambino/adolescente e valutazione del profilo di
sviluppo
Si presterà attenzione ai suoi comportamenti, in particolare alle modalità di relazione con i
genitori, con l’ambiente, con l’altro e con gli oggetti. Successivamente sarà opportuno
passare ad osservazioni sia libere sia più strutturate, chiaramente le attività proposte
varieranno in base all’età del bambino ed al suo livello di sviluppo, andando da giochi
senso-motori (rincorrersi-prendersi, etc) a giochi più strutturati. Infine, la valutazione del
profilo di sviluppo rappresenterà una tappa fondamentale del percorso diagnostico, sulla
cui base si modellerà il tipo di intervento terapeutico. Il profilo di sviluppo sarà fornito dalla
valutazione del livello cognitivo globale (attraverso la definizione del QI) ma anche
attraverso la valutazione di competenze quali quelle comunicative linguistiche, le capacità
attentive, le capacità imitative, le abilità visuo-motorie e le abilità prassiche.
Il percorso valutativo deve essere fatto in equipe con la partecipazione delle diverse figure
professionali (neuropsichiatra, psicologo, educatore, insegnante, terapisti, etc.) le quali,
ognuna secondo il proprio profilo professionale, contribuirà alla valutazione. Il lavoro di
equipe, inoltre, permetterà un confronto sui risultati che ridurrà in modo significativo il
rischio di soggettività nella lettura dei risultati.
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SISTEMI NOSOGRAFICI
Quali, e quanti, sono i comportamenti, i sintomi, necessari per parlare di disturbo e/o
sindrome?
Alla base di questi interrogativi si pone l’annoso problema dell’approccio categoriale vs
dimensionale, problema non ancora superato perché entrambi i modelli presentano punti
di forza e di debolezza (Kendell & Jablensky, 2003).
L’eterogeneità dei disturbi di sviluppo e psicopatologici ha indirizzato gli studi in due
principali direzioni: la determinazione di criteri comuni e condivisi per la diagnosi, secondo
un modello categoriale e, l’analisi approfondita della variabilità clinica, attraverso un
modello dimensionale.
A) il modello categoriale (nosografico)
Il modello categoriale divide la popolazione in sottogruppi che condividono l’etiologia, la
presentazione dei sintomi e il decorso. L’analisi categoriale, inoltre, considera i quadri
clinici come delle variabili discrete per le quali stabilisce espliciti criteri e regole
diagnostiche.
Il modello categoriale considera, quindi, i diversi quadri clinici come delle variabili discrete
e questo approccio è particolarmente evidente nei sistemi nosografici attuali quali il
Diagnostic and Statistical Manual for Mental Disorders (DSM) e l’International
Classification Disorders (ICD); questi sistemi nascono dalla necessità di accordo tra i
clinici nel formulare le diagnosi, fornendo dei criteri e dei requisiti minimi per poter
includere o escludere un determinato disturbo, ma nascono anche dalla consapevolezza
di rendere questi criteri condivisi a livello internazionale sia per fini clinici sia per ricerca
(Rapaport 1996).
Nel corso degli anni la continua trasformazione ed espansione delle conoscenze relative
alla psicopatologia e ai disturbi dello sviluppo hanno reso necessari sostanziali
cambiamenti a livello dei sistemi nosografici.
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La diagnosi nosografica è, quindi, il risultato dell’analisi dei sintomi per giungere alla
classificazione del disturbo in un sistema di tipo prettamente descrittivo. In termini concreti,
se, ad esempio, in seguito alla valutazione di un bambino in età pre scolare osserviamo
sintomi quali isolamento, ritardo di linguaggio, stereotipie, ecolalie, ritardo dello sviluppo
simbolico, assenza di contatto oculare, rigidità comportamentale possiamo ipotizzare la
presenza di un Disturbo dello Spettro Autistico.
La diagnosi nosografica deve essere pensata come un’etichetta descrittiva, inclusa in un
sistema di classificazione, la cui necessità è quella di “parlare tutti la stessa lingua” a
livello nazionale e internazionale. Quindi tornando all’esempio precedente, l’aver ipotizzato
una diagnosi nosografica di Disturbo dello Spettro Autistico comporta che i clinici e tutti gli
operatori che interagiranno con quel bambino avranno in mente quali sono le difficoltà e i
sintomi semplicemente leggendo la diagnosi finale da noi formulata.
L’International Classification Disorders (ICD), ormai giunto alla X edizione, elaborato
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, prende in considerazione tutti i possibili quadri
patologici (non solo neuropsichiatrici ma di tutta la medicina come malattie infettive,
vascolari, etc.) e per ognuno prevede una serie di criteri diagnostici specifici. Può essere
definito come un sistema di classificazione categoriale e gerarchico che utilizza un codice
alfanumerico in cui la lettera indica la famiglia di malattie (es F indica le sindromi e i distubi
psichici e comportamentali) e il numero, o i numeri, forniscono informazioni più dettagliate
del quadro di riferimento.
Oltre l’ICD un altro sistema nosografico ampiamente usato è il Diagnostic and Statistical
Manual for Mental Disorders (DSM), elaborato dalla Società di Psichiatria Americana ed è
stata pubblicata l’ultima versione (la quinta) nel 2013. Anche il DSM utilizza un sistema
alfanumerico e stabilisce che per poter formulare una determinata diagnosi devono essere
presenti un numero minimo di sintomi da un determinato periodo (ovviamente tipologia di
sintomi, numero e periodo cambiano a seconda del disturbo).
Un limite importante di entrambi i sistemi nosografici è che non vengono differenziati i
sintomi sulla base dell’età, ad esempio i sintomi previsti per poter fare diagnosi di Ritardo
Mentale, sono gli stessi a 3 anni come a 15. Per questo motivo un gruppo di studiosi dei
disturbi dell’età evolutiva ha creato una Classificazione diagnostica ad hoc chiamata
Diagnostic classification 0-3 (DC 0-3) che si riferisce, in modo specifico, ai disturbi
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osservabili nei primi tre anni di vita. Il merito dello 0-3 è stato quello di prestare maggiore
attenzione ai sintomi precoci di molti disturbi e, allo stesso tempo, di considerare la
possibilità che i sintomi (e gli stessi disturbi) si possano modificare nel tempo in termini di
gravità ed espressività clinica.
B) Il modello dimensionale
Questo modello utilizza dimensioni, piuttosto che categorie, e questo vuol dire che
distribuisce i disturbi su una linea immaginaria sulla quale troviamo variazioni quantitative
che vanno dal “normale” al “fortemente patologico”.
Inoltre, questo modello considera che tra i diversi disturbi vi siano aree di sovrapposizione
sintomatologica piuttosto che delle separazioni nette, in altre parole considera i diversi
disturbi come quadri clinici all’interno di uno spettro continuo di severità ai cui estremi
troviamo, ad esempio se parliamo dei Disturbi dello Spettro Autistico, da un lato le forme
più gravi e compromesse, e dall’altro lato alcune forme di “bizzarria presenti nell’ampia
variabilità della popolazione normale”.
Il modello dimensionale, inoltre, ha il merito di considerare la presentazione del quadro
clinico in base alla gravità (aspetto assente nel modello categoriale), e di prevedere la
possibilità che esistano delle situazioni cliniche di “passaggio o di sovrapposizione”.
Questo modello, quindi, non ritiene che le 365 categorie presenti nel DSM corrispondano
a quadri distinti e separati (Beauchaine, 2003), ma piuttosto pone l’accento sui sintomi, sul
loro ruolo, peso ed economia nella comparsa dei disturbi.
In altri termini, questo modello propone sia una visione trans-nosografica dei disturbi sia
un approccio alla clinica in cui deve essere operata una distinzione tra “norma” ed
“eccezionalità” di un evento (Vio & Salmaso, 2007).
Questa apparente contraddizione, tra norma e sintomi, in realtà è in parte spiegata dalla
clinica, dalla familiarità e dalle ipotesi genetiche sulla psicopatologia dello sviluppo.
E’ noto, infatti, la forte componente genetica dei disturbi dello sviluppo e l’ipotesi più
accreditata è che si esplichi attraverso un meccanismo di tipo poligenico. Sono numerosi i
lavori che riportano una trasmissione di un fenotipo allargato, piuttosto che dell’autismo
vero e proprio. All’interno di questo fenotipo quello che verrebbe trasmesso, ad esempio
nel caso dei disturbi dello spettro autistico, è un pattern genetico, anomalo, per quanto
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riguarda la comunicazione, l’interazione sociale e le difficoltà comportamentali (Volmar et
al., 2004).
In conclusione, la diagnosi di Disturbi Psicopatologici e di Sviluppo dell’età evolutiva è il
risultato di un percorso complesso che rischia di confondere il clinico, ma soprattutto, le
famiglie. I limiti legati al modello nosografico e dimensionale non aiutano ma, nonostante
gli evidenti problemi, una diagnosi a più livelli è quella più corretta:
a) Un primo livello è quello della diagnosi clinica, che serve a discriminare i soggetti
con un certo disturbo neuropsichiatrico dalla popolazione normale e dai soggetti
con altre patologie neuropsichiatriche. Non è compito della diagnosi clinica stabilire
la gravità del quadro clinico ma, semplicemente, capire se si può parlare o meno di
un quadro clinico. In questa fase, infatti, non si valuta quanto un determinato
comportamento si distacchi dalla norma e/o quanto una funzione sia in ritardo
rispetto all’età del soggetto, ma solo se vi sia un’anomalia e se sono presenti
determinati sintomi.
b) Un secondo livello è quello della diagnosi differenziale all’interno della categoria dei
disturbo (es. che sottotipo di disturbo ansioso o di disturbo specifico del linguaggio).
In questo caso, è necessario utilizzare i criteri espressi nei principali sistemi
nosografici, sebbene si rilevino alcune difficoltà sia per quanto riguarda i singoli
disturbi sia le differenze tra un disturbo e l’altro.
c) Infine, il terzo livello è quello della diagnosi dimensionale, quindi funzionale e di
sviluppo, che deve essere formulata per indirizzare l’intervento e la prognosi. In
questa fase del processo diagnostico è necessario cercare di risolvere il problema
dell’estrema variabilità dei quadri clinici.
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Appendice
Bozzetti clinici
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Un bozzetto clinico esemplificativo di FR e FP
Giulia e Alice sono due gemelle di 9 anni.
Sono state chiamate perché i genitori manifestavano una certa preoccupazione per
l’eccessiva timidezza di entrambe, la chiusura di temperamento di Alice e la tendenza
al perfezionismo di Giulia.
L’anamnesi fisiologica non presenta nulla di rilevante, per entrambe: la gravidanza, il
parto e l’allattamento si sono svolti senza difficoltà; lo svezzamento e l’alimentazione
sono risultate senza problemi. Le acquisizioni delle competenze sono state tutte nella
norma.
Lievi difficoltà nell’addormentamento e frequenti risvegli notturni fino a 3,6 anni,
dopo sonno regolare per ritmo e qualità.
L’inserimento in scuola materna, ed elementare dopo, si é verificato senza problemi; le
bambine hanno frequentato le materne nella stessa classe mentre dalla prima
elementare sono in classi separate.
Giulia
viene descritta dai genitori come una bambina dal temperamento difficile: “cocciuta,
insicura, testarda, necessita di continue conferme e paurosa verso le novità; inoltre é
eccessivamente timida e perfezionista”.
Valutazione psicologica clinica:
- Lievi difficoltà di separazione iniziali; la bambina é impaurita dalla situazione nuova,
tende ad evitarla ma poi riesce a superare le difficoltà e interagisce con l’operatore,
mantenendo, però, sempre un ruolo passivo; parla, comunque, poco e a voce bassa,
spesso risponde a monosillabi e deve essere sollecitata più volte.
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Racconta di fare tutto con la sorella (sport, attività extrascolastiche) e di avere quasi
tutti gli amici in comune.
A scuola non ci sono problemi, la bambina é intelligente e sopra la media come
competenze.
L’autostima appare oscillante e si associa ad una notevole ansia da prestazione. Blocco
nelle situazioni nuove e tratti di inibizione. La bambina ha una scarsa sicurezza sulla
stabilità delle figure di riferimento; infine, in famiglia le aspettative e le richieste
sono elevate sia per qualità che per quantità, considerata l’età della bambina.
Alice
viene descritta come: “insicura, molto chiusa e paurosa delle situazioni nuove;
determinata solo in quello che le interessa e, per molti aspetti, più piccola della
sorella”. A scuola viene descritta nella media ma, secondo i genitori, Giulia é più
brillante.
Le bambine tendono a fare gruppo chiuso tra di loro nelle situazioni di gioco con altri
bambini, nonostante abbiano numerosi amici.
Valutazione psicologica clinica:
Durante la visita la bambina é impaurita e inibita; non entra in relazione con
l’operatore, é passiva per tutta la seduta: non disegna, non parla mai, non risponde o
risponde solo con cenni del capo, non esegue le prove di valutazione delle competenze
scolastiche.
Alice si presenta inibita e spaventata dalle situazioni nuove, l’autostima é oscillante,
sono necessarie continue rassicurazioni e conferme.
La valutazione mostra per entrambe :
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1) Relazioni familiari atipiche: mancata attenzione per le bambine sul piano
emozionale in seguito alla separazione dei genitori
2) Disturbi psichiatrici, Devianza o Handicap nel gruppo di supporto primario del
bb: sintomatologia ansiosa del padre
3) Comunicazione familiare distorta o inadeguata: la madre attribuisce alle figlie le
proprie emozioni ed impressioni; difficoltà di comunicazione tra i genitori
4) Life Events acuti: perdita di una relazione affettiva in particolare la morte dello
fratello materno, suicida dopo una lunga malattia psichiatrica.
Colloquio con la coppia genitoriale
I genitori sono entrambi impiegati; il padre segue una psicoterapia da 3 anni per un
disturbo di natura ansiosa.
La madre ha perso il fratello 5 mesi prima della consultazione, era affetto da un
disturbo bipolare ed é morto suicida.
I genitori delle gemelle sono separati da circa un anno e mezzo.
E’ tuttora presente una marcata conflittualità di tipo esplicito nella coppia,
soprattutto da parte della signora che tende a riferire sentimenti ed emozioni proprie
nei confronti del marito, come se fossero quelle delle figlie.
Dopo 18 mesi viene chiamata la famiglia per un nuovo colloquio ed emerge che le
difficoltà delle bambine sono aumentate.
In Alice gli atteggiamenti di evitamento del nuovo e i tratti inibitori si sono
strutturati in un quadro di inibizione manifesta, con totale rifiuto di interagire con
l’adulto, in qualsiasi forma; la madre racconta che ormai Alice parla solo con la sorella
e i genitori, anche con i familiari (nonni, zii, etc.) non interagisce quasi mai.
Giulia appare, per tutta la durata del colloquio, in tensione, rigida, bloccata e fragile. I
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tratti inibitori, presenti già al primo incontro, sono aumentati e si é aggiunto una
sintomatologia di natura depressiva.
La situazione familiare appare ancora problematica con una notevole difficoltà di
comunicazione tra i genitori; la signora, appare ancora scossa per il suicidio del
fratello.
Discussione
Questo caso clinico é significativo perché da un lato abbiamo la presenza di una serie
di FR che riguardano l’ambiente familiare, dall’altro la presenza di importanti
modificazioni nelle bambine.
I FR sono rappresentati da problemi nella comunicazione intrafamiliare,
nell’attenzione rivolta alle gemelle, e in questo caso nel grave lutto.
Le gemelle sembrano risentire della situazione familiare con modalità reattive
prevalentemente internalizzanti, tali da osservare un quadro di rischio
psicopatologico; 18 mesi dopo, é presente una sintomatologia di natura inibitoria per
una e di natura prevalentemente depressivo per l’altra.
Per queste bambine si é potuto, quindi, rilevare come una situazione di rischio
psicopatologico che non é stata modificata nel tempo, si é trasformata in una
patologia sommersa, in cui sono prevalsi gli aspetti internalizzanti dell’area di rischio.
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Bozzetto clinico esemplificativo del fenomeno comorbidità
Il bambino LEONARDO (7 anni e 6 mesi) ha effettuato una valutazione diagnostica su
richiesta della famiglia per approfondire l’area degli apprendimenti e emotivo
comportamentale.
Al momento della valutazione Leonardo frequenta la I elementare, effettua regolare
terapia riabilitativa per pregresse difficoltà di linguaggio e per sostegno agli
apprendimenti. In passato Leonardo ha effettuato terapia logopedica per difficoltà a
carico del linguaggio espressivo.
Si riportano i dati salienti di quanto emerso nel corso della valutazione (quattro
incontri):
Comportamento:
Leonardo, inizialmente appare intimidito dalla situazione valutativa, il tono della voce è
basso e risponde a monosillabi alle domande dell’operatore. Nel corso degli incontri
appare progressivamente più a suo agio, socievole e collaborativo. Accetta di buon
grado la separazione dal padre e partecipa alla valutazione, accettando quanto gli
viene proposto. Appare consapevole del motivo per cui sta effettuando la
consultazione, così come delle proprie difficoltà. Si rileva una certa ansia da
prestazione rispetto ai compiti proposti che tende a ridursi con il rinforzo positivo da
parte dell’adulto. In diverse occasioni, di fronte a compiti percepiti come troppo
difficili, perde fiducia nelle proprie capacità verbalizzando di non essere capace e
interrompe quanto sta svolgendo. Si rilevano, soprattutto nei momenti di ansia o di
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fronte a prove scolastiche, la presenza di diversi tic motori complessi (blink degli
occhi, movimenti laterali della testa, odorare gli oggetti e soffiarsi sulle dita). I tic si
riducono quando il bambino è a proprio agio. Leonardo appare consapevole di questa
sintomatologia e, spesso, controlla con la coda dell’occhio se l’operatore lo ha visto.
L’interazione con l’adulto è adeguata e ben gestita nel corso della valutazione.
Si evidenzia, tuttavia, una certa impulsività nella risposta legata in parte all’ansia da
prestazione. Si rileva, inoltre, stancabilità e difficoltà di concentrazione più evidenti
quando deve eseguire compiti più difficili.
Livello Comunicativo Linguistico:
Il linguaggio spontaneo, in produzione, si caratterizza per frasi soggetto verbo
oggetto e complemento e viene utilizzato sia in senso richiestivo sia in senso
dichiarativo. Sono presenti strutture di tipo morfosintattico non sempre corrette per
l’età cronologica. Il linguaggio spontaneo è, in ogni caso, essenziale e sintetico e spesso
è necessario sollecitare il bambino ad espandere e/o arricchire il proprio enunciato.
Si segnalano alcune difficoltà a livello semantico quali generalizzazioni e
semplificazioni.
La Comprensione Verbale è stata valutata attraverso la somministrazione della Prova
di Rustioni per la comprensione morfosintattica (protocollo per i 6-7 anni)
evidenziando un livello “buono” per l’età.
Inoltre, la comprensione sintattica è stata valutata attraverso il test di Bishop
(presente nella Batteria per la Valutazione Neuropsicologica – BVN 5-11) in questa
prova si analizzano le capacità di comprensione di frasi con strutture
morfosintattiche diverse e a complessità crescente. Leonardo ottiene un punteggio
adeguato per l’età cronologica (punteggio standard 100 – deve essere considerato
adeguato se > 75).
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E’ stata somministrata, inoltre, la Batteria per la Valutazione delle Competenze
Metafonologiche (CMF) per valutare se le pregresse difficoltà fonologiche influissero
sullo sviluppo metafonologico.
Tali competenze rappresentano la capacità di percepire e riconoscere i diversi fonemi
e sono considerate come requisiti necessari per lo sviluppo degli apprendimenti
scolastici (lettura e scrittura).
Leonardo ha effettuato la Batteria per la Classe I elementare dalla quale è emerso
quanto segue:
- Sintesi fonemica: questa prova valuta la presenza/assenza di consapevolezza
fonemica e la capacità di fusione dei singoli fonemi in parole a significato,
risultando indicativa del livello di conoscenza delle strutture fonemiche delle
parole. Leonardo ottiene un punteggio che lo colloca al 25° centile (adeguato per
la classe frequentata).
- Segmentazione Fonemica: è una prova che valuta la capacità del bambino di
analizzare la struttura fonemica e che presenta affinità con i compiti di
scrittura (passaggio da fonema a grafema). Il bambino ottiene un punteggio che
lo colloca al 50° centile (adeguato per la classe frequentata).
- Prova di ricognizione rime: questa prova richiede il riconoscimento di rime,
inteso come semplice capacità classificatoria, nella quale è coinvolta l’abilità
lessicale del bambino. Il bambino ottiene un punteggio che lo colloca al di sotto
del 5° centile (non adeguato alla classe frequentata).
- Delezione della sillaba iniziale di una parola: questa prova valuta la capacità
del bambino di manipolare il materiale fonologico. Leonardo ottiene un punteggio
che lo colloca tra il 10° e il 25°° centile (ai limiti della norma alla classe
frequentata).
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- Delezione della sillaba finale di una parola: questa prova valuta la capacità del
bambino di manipolare il materiale fonologico. Leonardo ottiene un punteggio
che lo colloca al 50° centile (adeguato alla classe frequentata).
- Fluidità verbale con facilitazione fonemica: questa prova fornisce
informazioni sulla capacità di classificazione in base ad un fonema e sulla
capacità di recupero delle informazioni. Leonardo ottiene un punteggio che lo
colloca al di sopra del 50° centile (adeguato alla classe frequentata).
Livello Cognitivo:
E’ stata somministrata la Scala WISC-III (Scala di intelligenza Weschler).
La Scala WISC-III, è uno strumento clinico somministrato individualmente per la
valutazione dell’abilità intellettiva di soggetti dai 6 ai 16 anni e 11 mesi. Questo test è
formato da diversi subtest, ognuno dei quali analizza diversi aspetti dell’intelligenza, e
nel loro insieme forniscono un quoziente di intelligenza verbale (QIV), uno di
performance (QIP) e uno totale (QIT). Inoltre, fornisce anche quattro indici opzionali
basati sui punteggi fattoriali (Comprensione Verbale; Organizzazione Percettiva;
Libertà dalla distraibilità; Velocità di elaborazione).
Nel caso di Leonardo sono stati evidenziati alcuni punteggi disomogenei nei diversi
subtest che non hanno influito sul risultato finale; nello specifico, ottiene:
- Un punteggio di QI verbale (QIV) di 99 (compatibile con un funzionamento
adeguato).
- Un punteggio di QI di performance (QIP) di 90 (compatibile con un
funzionamento borderline).
- Il QI totale risulta essere di 94, compatibile con funzionamento adeguato.
Sono stati valutati, infine, i risultati secondo l’analisi dei quattro fattori:
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- Comprensione Verbale: Leonardo ottiene un punteggio di 105 (adeguato per l’età
cronologica).
- Organizzazione Percettiva: Leonardo ottiene un punteggio di 95 (adeguato per
l’età cronologica).
- Libertà dalla distraibilità: Leonardo ottiene un punteggio di 85 (adeguato per
l’età cronologica).
- Velocità di elaborazione: Leonardo ottiene un punteggio di 85 (adeguato per l’
età cronologica).
Prove Scolastiche:
Sono state proposte le Prova MT di velocità e correttezza di lettura e comprensione
del
Testo, e la prova di calcolo presente nella Batteria di Valutazione Neuropsicologica
(BVN 5-11).
In generale, è stato rilevato quanto segue:
- Lettura: Leonardo presenta una lettura globale per le parole bisillabiche e,
invece, di tipo sillabica per le parole trisillabiche o più lunghe e, solo in un
secondo momento, globalizza la parola. La prosodia è assente. Gli errori più
frequenti sono: elisioni, inversioni, semplificazioni.
Nello specifico alle Prove MT, è emerso:
- Lettura: è stata somministrata la prova di correttezza e rapidità fine I
elementare. Questa è una prova a tempo in cui viene richiesto di leggere un
brano e vengono valutate il numero di sillabe lette correttamente e il tempo
impiegato. In questa prova Leonardo ottiene i seguenti risultati: A) per quanto
riguarda il criterio di Velocità un punteggio compatibile con “Richiesta di
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La dispensa è a disposizione dello studente per lo studio. Non può essere riprodotta, fotocopiata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo se non nei termini previsti dalla legge.
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Attenzione”; B) per quanto riguarda il criterio Correttezza un punteggio
compatibile con “Richiesta di Attenzione”.
- Comprensione di un brano: è stato utilizzato il brano di comprensione di fine II
elementare. In questa prova viene chiesto di leggere e rispondere a domande a
scelta multipla relative al brano. Questo tipo di prova non richiede una
valutazione del tempo. Leonardo ottiene risultati compatibili con “Prestazione
Sufficiente”.
- Area logico Matematica: Leonardo appare in difficoltà in queste prove, esegue
due addizioni su tre correttamente e una sottrazione (con risultato errato)
affermando di non sapere come fare perchè a scuola non hanno iniziato le
operazioni più complesse (il punteggio finale è di 81 compatibile con una
Richiesta di attenzione). Ottiene, invece, punteggi adeguati a quanto atteso
nelle prove di enumerazione in avanti, conteggio di elementi grafici e di giudizio
di numerosità uditiva. Appare in difficoltà quando gli viene chiesto di mettere
in ordine crescente e decrescente dei numeri dettati.
Grafismo e Capacità Visuo percettive:
Al momento della valutazione Leonardo aveva appena tolto il gesso per una frattura
dell’arto sinistro. Di conseguenza non si è ritenuto opportuno punteggiare i risultati
nelle prove grafiche e si rimanda la valutazione di queste competenze al prossimo
controllo.
Valutazione psicologica
Nel corso degli incontri l’area emotiva è stata indagata, oltre che con il colloquio,
attraverso la somministrazione di test proiettivi (il CAT).
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Si è deciso di somministrare il CAT perchè il bambino è apparso in difficoltà nel
raccontare tematiche e vissuti più specifici relativi a sè.
Il bambino partecipa volentieri e inventa delle storie complesse nei contenuti
partendo dall’osservazione di tavole con disegni di animali.
Le risposte al CAT non sembrano risentire delle difficoltà morfosintattiche
precedentemente descritte.
Leonardo, infatti, fornisce sia descrizioni dei contenuti espliciti delle diverse immagini
proposte sia elaborazioni personali. Emergono in modo ricorrente tematiche legate
all’abbandono, alla separazione dalle figure di riferimento e temi di tipo depressivo e
di tristezza.
In sintesi:
Leonardo, allo stato attuale, presenta una sintomatologia compatibile Difficoltà
dell’Apprendimento associata a sintomi e sentimenti depressivi e tic motori
complessi.
Le difficoltà di apprendimento, in parte legate al pregresso problema linguistico, non
sono ancora organizzate come un Disturbo Specifico dell’Apprendimento ma a rischio
di diventarlo e, pertanto, devono essere monitorate nel tempo.
In base alla sintomatologia rilevata si ritiene opportuno che Leonardo:
- prosegua l’intervento riabilitativo in atto.
- Effettui terapia psicologica di sostegno alle difficoltà emotive (di tipo
depressivo)
- Effettui Tampone Faringeo ed eventuale controllo specialistico, dopo l’estate,
per i tic.
- Infine, si ritiene opportuno (se non sono effettuati in precedenza) che il
bambino effettui consulenza oculistica, Otorinolaringoiatrica.
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Infine, è fondamentale che Leonardo venga sostenuto rispetto ai risultati positivi che
può raggiungere al fine di rendere migliore le possibilità di evoluzione del disturbo.
Si segnala l’importanza di effettuare controlli regolari e mirati nel tempo al fine di
valutare l’andamento del disturbo e finalizzare, al meglio, il lavoro condotto a scuola e
fuori.