Universit di Brescia
Facolt di Economia
DISPENSE DI
ECONOMIA POLITICA
Prof. Giulio PALERMO
Tel 030 29 88 824
Fax 030 29 88 837
http://www.eco.unibs.it/~palermo
ANNO ACCADEMICO 2008-09
PREMESSA
Un insegnante di economia che si rispetti dovrebbe innanzi tutto selezionare con la
massima cura gli argomenti degni di essere insegnati, dando spazio a quelli pi utili alla
comprensione (e alla risoluzione) dei problemi economici, senza scendere a compromessi con
quanto insegnano i colleghi (soprattutto quelli per i quali non ha alcun rispetto scientifico). In
questo corso, invece, io scendo a compromessi e, siccome la cosa non mi piace, provo ad
offrire qualche giustificazione.
Ai fini della comprensione delle dinamiche del capitalismo, la microeconomia, ad
esempio, non ha granch da insegnare. Non solo si tratta di una teoria incapace di risolvere le
questioni che essa stessa pone, ma proprio le questioni che pone hanno poco a che fare con
quelli che, secondo me, sono i problemi del mondo economico. In definitiva, questa teoria si
riduce ad un'apologia (peraltro contraddittoria) del capitalismo, nella sua versione
ultraliberista, e poco pi. Eppure anch'io, come molti, la insegno.
Il processo di omologazione degli insegnamenti economici, guidato dalle universit
americane e dai loro think tank liberisti ha ormai prodotto un forte conformismo scientifico in
cui l'autonomia scientifica dell'insegnante si riduce alla scelta del manuale pi accattivante sul
piano formale, essendo i contenuti per lo pi standardizzati. E anche qui, come fan tutti, io
pure suggerisco il manuale di turno, scegliendolo tra quelli che vanno per la maggiore e
limitandomi giusto a minimizzare il danno.
Il problema infatti che, stando cos le cose, uno studente che segua un percorso
troppo diverso dal cammino omologante ha pi problemi che vantaggi. Nella misura in cui i
temi alternativi su cui ha riflettuto siano veramente utili alla comprensione del mondo, si
trova certo in posizione vantaggiosa rispetto ai suoi colleghi ben omologati. Ma, nel suo
percorso di studi incontrer ostacoli maggiori, non avendo a disposizione quel corpo di
conoscenze che invece la maggior parte degli altri insegnanti assumeranno per noto.
Se la mia difesa si fermasse qui non avrebbe avuto senso scrivere questa premessa.
Sono infatti ben cosciente del fatto che accettare un simile compromesso significa partecipare
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attivamente al processo di omologazione scientifica. Se dunque ho scelto di insegnare anch'io
molti degli argomenti tipici dei corsi di microeconomia e macroeconomia, perch mi sono
riservato il diritto di evidenziarne i limiti, le contraddizioni, le falsit, le premesse ideologiche
e le implicazioni perverse, criticando il manuale, come si dovrebbe fare con ogni testo sacro.
La demistificazione della teoria economica aiuta infatti, secondo me, a riflettere, a scoprire
l'essenza che si cela dietro l'apparenza, a ricercare le proprie priorit scientifiche. Questa la
sola ragione per me valida per insegnare la teoria dominante.
Certo sottraggo spazio e tempo agli argomenti che, secondo me, sono pi direttamente
utili a capire quelli che io considero i problemi economici pi gravi. Ma, anche per una
questione di umilt scientifica, non credo che il vero problema sia di far passare i miei
messaggi o quelli degli economisti che, secondo me, meglio centrano il problema. Credo
invece che esista una sola difesa, individuale e collettiva, contro i processi di omologazione e
indottrinamento, quale che ne sia l'ideologia fondante: lo studio critico.
Per questo il programma che ho da offrire, anche se fatico ad ammetterlo, frutto di
duri compromessi e, ciononostante, ne sono soddisfatto. Ma forse, senza tutte queste
giustificazioni, la verit pi semplice: come molti dei miei colleghi, anch'io non sono un
insegnante degno di rispetto. Sar lo spirito critico dello studente a giudicare.
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PROGRAMMA DEL CORSO
DESCRIZIONE DEL CORSO
Le scuole di pensiero economico esistenti adottano definizioni diverse delleconomia
politica. In senso generale, leconomia politica studia i rapporti di produzione e distribuzione
del reddito e della ricchezza nella societ. Secondo limpostazione dominante, leconomia
politica si suddivide nella microeconomia e nella macroeconomia. Queste due discipline, in
realt, hanno origini storiche diverse e sviluppano concezioni teoriche in gran parte
incompatibili tra loro.
La microeconomia ha origine verso la fine del XIX secolo dal contributo di tre
economisti, Lon Walras, Stanley William Jevons e Carl Menger, oggi riconosciuti come i
fondatori della scuola neoclassica. Tale scuola, divenuta ormai egemonica a livello
accademico, sviluppa una concezione liberista delleconomia, secondo la quale lo stato deve
limitare al massimo il proprio intervento nelleconomia, lasciando il massimo spazio alle
relazioni di mercato. Dal punto di vista teorico, la microeconomia si occupa del singolo
consumatore e della singola impresa. Attraverso il modello di equilibrio economico generale e
leconomia del benessere, essa offre un quadro normativo per valutare lefficienza delle
diverse forme di organizzazione dei mercati.
La macroeconomia prende invece ispirazione dallopera delleconomista inglese John
Maynard Keynes, vissuto nel XX secolo. Essa sviluppa una concezione del sistema capitalista
come sistema instabile e si pone come obiettivo la sua regolazione attraverso interventi diretti
dello stato. Dal punto di vista teorico, la macroeconomia si concentra sulle relazioni tra le
variabili economiche aggregate, come la produzione, i consumi, gli investimenti e il reddito
nazionale. Essa offre un quadro interpretativo direttamente applicabile ai problemi di politica
economica.
La nascita delleconomia politica tuttavia antecedente sia alla microeconomia, sia
alla macroeconomia. Essa ha origine nel XVII secolo con il contributo degli economisti
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classici e riceve un nuovo impulso critico nel XIX secolo con lopera di Karl Marx. Per dar
conto di questi diversi approcci, il corso si suddivide in tre parti: l'economia classica e
marxiana, la macroeconomia e la microeconomia.
REQUISITI INDISPENSABILI
Il corso non richiede alcuna propedeuticit.
OBIETTIVI
Il corso si propone di favorire la comprensione degli aspetti economici della societ
capitalista e di mettere in luce sia gli interessi comuni, sia quelli contrapposti che si
intrecciano nei processi economici e politici. Particolare importanza data alla critica teorica
come strumento attivo per sviluppare una propria interpretazione dei problemi economici.
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
1. Giulio Palermo, Dispense di Economia politica (le stai leggendo)
2. Giulio Palermo, Il Mito del Mercato Globale, Manifestolibri [pp. 9-43, 64-118].
3. AA.VV., Letture di economia classica e marxiana
I testi indicati sono scaricabili dal sito http://www.eco.unibs.it/~palermo oppure possono
essere reperiti presso le librerie la matricola e club.
La dispensa al punto 1 raccoglie tutto il materiale discusso in aula. Essa sintetizza e
commenta i seguenti testi (cui si rimanda per chiarimenti ed approfondimenti):
1. John Sloman, Elementi di economia, Il Mulino. [Esclusa la terza parte].
2. Mario Cassetti, Concorrenza, valore e crescita: modelli di economia classica, Franco
Angeli. [Esclusi i paragrafi contrassegnati con lasterisco].
3. Alessandro Roncaglia, Lineamenti di economia politica, Laterza [Solo i paragrafi 1-
11].
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4. Olivier Blanchard, Macroeconomia, Il Mulino. [Solo appendici 2 e 3 e glossario].
Il testo al punto 2 una sorta di contro-manuale critico della microeconomia.
La dispensa al punto 3 raccoglie varie letture, tra cui le parti dei libri di Cassetti e Roncaglia
che utilizziamo nel corso.
Il manuale di riferimento il libro di Sloman.
Su richiesta saranno date indicazioni alternative in lingua inglese o francese per gli studenti
con problemi linguistici.
METODO DIDATTICO
Lezioni in aula Esercitazioni Seminari Assistenza individuale dopo le lezioni e nellorario di ricevimento NB: Tutti i servizi didattici sono aperti anche ai non iscritti al corso o alla facolt.
VALUTAZIONE
La valutazione si basa su una prova finale scritta. Leventuale uso di libri o appunti
durante lesame sar deciso allinizio del corso di comune accordo con gli studenti.
comunque facolt di ogni studente richiedere una prova integrativa orale.
SERVIZI IN LINGUA STRANIERA
Attivit di assistenza studenti anche in lingua inglese e francese Possibilit di sostenere lesame in lingua inglese o francese.
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INDICE
INTRODUZIONE E INQUADRAMENTO STORICO
1. Cenni di storia del pensiero economico
2. Dal feudalesimo al capitalismo
3. Limpostazione moderna allo studio delleconomia
I. ECONOMIA CLASSICA E MARXIANA
1. La concorrenza
2. La concorrenza come meccanismo di armonia sociale in Adam Smith
3. La concorrenza e il conflitto tra capitalisti e proprietari terrieri in David Ricardo
4. Concorrenza, sfruttamento e alienazione in Karl Marx
II. MACROECONOMIA
1. Problematiche macroeconomiche
2. La determinazione del reddito nazionale e la politica fiscale
3. Moneta e politica monetaria
4. Il modello IS-LM
III. MICROECONOMIA
1. Introduzione
2. Domanda individuale e domanda di mercato
3. Elasticit e aggiustamento dei mercati
4. Offerta dellimpresa e offerta di mercato
5. Forme di mercato
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INTRODUZIONE E INQUADRAMENTO STORICO
1. Cenni di storia del pensiero economico
[Bibliografia di riferimento: Roncaglia, paragrafi 1-7]
LA NASCITA DELLECONOMIA POLITICA CLASSICA
Il termine economia politica viene dal greco: okos = casa, nmos = legge, plis sono le citt stato dellantica Grecia.
La nascita delleconomia politica come scienza autonoma si deve, secondo alcuni storici del pensiero economico, a William Petty, nel XVII secolo: il suo obiettivo di descrivere,
non di giudicare, il funzionamento della societ, misurando i fenomeni economici e
individuando leggi economiche, cio relazioni sistematiche tra i diversi aspetti della
realt economica che operano indipendentemente dalla volont dei soggetti economici.
Petty usa i termini di aritmetica politica o anatomia politica.
Molti storici individuano nello scozzese Adam Smith (XVIII secolo), pi che in Petty, la nascita delleconomia politica classica. Nella rappresentazione di Smith, la societ
divisa in tre classi sociali: capitalisti, proprietari terrieri e lavoratori. Il reddito nazionale,
cio il valore di quello che viene prodotto in un anno nelleconomia, si distribuisce tra le
tre classi sociali sotto forma di profitti, rendite e salari. Secondo Smith, i rapporti tra classi
sociali non sono conflittuali, ma armonici. Il mercato lo strumento che permette di
conciliare il perseguimento dellinteresse personale con la desiderabilit sociale.
Secondo leconomista inglese David Ricardo (tra il XVIII e il XIX secolo) il compito principale delleconomia politica lo studio delle leggi che regolano la distribuzione del
reddito tra le classi sociali. A differenza di Smith, Ricardo considera i rapporti tra classi
sociali come necessariamente conflittuali e, nello scontro capitalisti proprietari terrieri,
prende posizione in difesa dei capitalisti.
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Marx (XIX secolo) sviluppa la visione conflittuale della societ, schierandosi apertamente dal lato dei lavoratori. La sua critica riguarda non solo il capitalismo, ma anche la
rappresentazione che ne fornisce leconomia politica borghese. Oltre a cercare di spiegare
i meccanismi di funzionamento del sistema economico, Marx cerca di spiegare anche le
ragioni per cui gli economisti tendono a rappresentarlo sposando il punto di vista delle
classi dominanti.
In generale, secondo la definizione degli economisti classici, leconomia politica una scienza sociale che studia le caratteristiche di un sistema sociale dal punto di vista della
produzione, distribuzione e impiego del reddito.
LA RIVOLUZIONE MARGINALISTA E LA MICROECONOMIA
[Bibliografia di riferimento: Cassetti, capitolo 5]
Nel 1870, compaiono tre testi di autori di diverse nazionalit, Lon Walras, Stanley William Jevons (fondatori della scuola neoclassica) e Carl Menger (fondatore della scuola
austriaca) che diventano rapidamente i nuovi riferimenti teorici in materia economica,
soppiantando gli approcci ricardiano e marxiano, allora assai diffusi.
Il cambiamento radicale a livello teorico e metodologico rispetto allapproccio classico e marxiano porta a definire questa svolta teorica come una rivoluzione scientifica: la
rivoluzione marginalista.
Il termine marginalista fa riferimento alluso del calcolo differenziale come metodo universale di analisi delle questioni economiche. Secondo un importante economista e
storico del pensiero economico, Joseph Schumpeter, ci che accomuna la scuola
neoclassica e quella austriaca il rifiuto dellapproccio classico e marxiano basato sulla
teoria oggettiva del valore e la proposta di una teoria del valore di tipo soggettivo. Luso
del calcolo differenziale invece sviluppato unicamente dalla scuola neoclassica, dato che
la scuola austriaca mantiene una posizione critica nei confronti del formalismo
matematico. Da questo punto di vista sarebbe pi corretto parlare di rivoluzione
soggettivista, piuttosto che marginalista.
Lapproccio marginalista-soggettivista si basa su due aspetti fondamentali: (1) lutilit soggettiva come fondamento della teoria del valore; (2) lipotesi che i soli soggetti
economici rilevanti siano gli individui, il che significa che tutte le proposizioni
economiche devono essere costruite a partire da postulati riguardanti le regole di
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comportamento individuali (non c posto per soggetti aggregati quali le classi sociali,
centrali nellimpostazione classica).
Rispetto allimpostazione classica, basata sul concetto di classi sociali (e, in particolare nelle teorie di Ricardo e di Marx in cui tale rapporto di natura conflittuale), la scuola
marginalista implica un cambiamento radicale di prospettiva in cui apparentemente non
esiste alcun conflitto di interessi, ma un comune interesse allo scambio da parte di tutti gli
individui. Lobiettivo economico per eccellenza diventa la soddisfazione del consumatore
(dato il suo potere dacquisto). Lindividuo conta quindi innanzi tutto in quanto
consumatore e non, come ad esempio nella teoria marxista, in quanto lavoratore. Secondo
questa impostazione, un sistema economico che funziona bene un sistema in cui gli
individui che hanno soldi per comprare trovano sul mercato i beni che essi desiderano. Il
fatto che altri individui possono non avere mezzi per esprimere sul mercato i propri
bisogni non incide sulla valutazione del buon funzionamento del sistema.
Le ragioni dellaffermazione dellapproccio marginalista-soggettivista possono essere ricondotte, da una parte, ai problemi interni incontrati dalle teorie ricardiana e marxiana e,
dallaltra, alle implicazioni politiche di queste teorie (in particolare di quella di Marx), le
quali evidenziano gli aspetti conflittuali dei rapporti economici e politici del capitalismo
con importanti implicazioni rivoluzionarie. Di fatto nel decennio 1870-80 diversi paesi
europei (Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia) e gli Stati Uniti sono attraversati da
moti rivoluzionari, seguiti da violente repressioni. In questo clima, gli ambienti
accademici e borghesi accettano con favore la nuova impostazione basata su un rifiuto
netto della teoria oggettiva del valore e i concetti ad essa legati di sfruttamento, e lotta di
classe. Come nota Maurice Dobb, dei tre economisti protagonisti della rivoluzione
soggettivista, solo Jevons pienamente cosciente della portata politica del nuovo
approccio.
Secondo una celebre definizione della scuola marginalista, leconomia la scienza che studia la condotta umana come relazione tra scopi e mezzi scarsi applicabili ad usi
alternativi (Lionel Robbins). Mentre i desideri umani sono illimitati, le risorse disponibili
per soddisfare tali desideri sono limitate. Tutti i problemi economici sono problemi di
scarsit. Leconomia si occupa di stabilire il modo migliore per ottenere un certo scopo
utilizzando le risorse scarse a disposizione.
Con questa definizione, leconomia perde il suo carattere di scienza essenzialmente storica (nel senso che le diverse forme di organizzazione economica nei diversi contesti storici
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funzionano secondo principi e meccanismi diversi) per diventare, o almeno pretendere di
diventare, una scienza universale valida, al pari delle scienze esatte quali la matematica o
la fisica.
Un tipico esempio di questo approccio economico il problema del consumatore che dispone di un certo reddito e deve decidere come impiegarlo per soddisfare al meglio i
suoi bisogni e le sue preferenze. Un altro esempio il problema del produttore che deve
decidere cosa e quanto produrre, che tecnica produttiva utilizzare nella ricerca del
massimo profitto, utilizzando un certo capitale iniziale.
LA RIVOLUZIONE KEYNESIANA E LA MACROECONOMIA
Dal 1870 agli anni 20, il dibattito economico caratterizzato da una certa tranquillit che vede il consolidarsi della teoria neoclassica come scuola di pensiero dominante.
I problemi economici degli anni 20 la deflazione, la caduta salariale, la disoccupazione e la crisi economica, accentuatasi tra il 1929 e il 1932 producono forti polemiche
teoriche che portano allaffermazione della teoria di John Maynard Keynes.
Dal punto di vista teorico, la rivoluzione keynesiana non pu essere posta sullo stesso piano di quella marginalista. Essa infatti non si basa su un cambiamento profondo della
struttura concettuale della teoria dominante, quanto piuttosto sulla proposta di un diverso
modo di gestire i problemi economici del tempo. La teoria di Keynes non si oppone alla
teoria del valore e della distribuzione allora in vigore (quella neoclassica-marginalista);
anzi si muove al suo interno, contestandone tuttavia un aspetto fondamentale: lassunto
del pieno impiego delle risorse produttive (in particolare, del pieno impiego della forza
lavoro disponibile). NB: nel linguaggio delleconomia ortodossa (non marxiana), la forza
lavoro lofferta di lavoro, cio la popolazione in et lavorativa occupata o in cerca di
occupazione.
Sebbene la teoria neoclassica riconosca la possibilit di attriti che impediscano il raggiungimento dellequilibrio di pieno impiego, si suppone comunque che il sistema
tenda verso di esso. Limplicazione di politica economica che periodi prolungati di
disoccupazione non possono che dipendere da un livello troppo alto dei salari rispetto al
livello dequilibrio di piena occupazione.
Keynes contesta questa proposizione sostenendo che non esistono tendenze necessarie a muovere il sistema dei prezzi verso lequilibrio di piena occupazione e che lequilibrio
pu invece fissarsi a qualsiasi livello di produzione e di occupazione.
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Rispetto allapproccio neoclassico basato sullanalisi del comportamento dei singoli soggetti economici come premessa indispensabile per discutere tutti i fenomeni
economici, Keynes sposta laccento sullanalisi di variabili aggregate quali il consumo,
loccupazione e il reddito nazionale. In questo senso la teoria keynesiana costituisce il
fondamento di quella che in termini moderni si chiama macroeconomia, contrapponendosi
alla teoria neoclassica che mantiene un approccio di tipo microeconomico.
La teoria keynesiana si afferma soprattutto negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, con politiche di forte intervento pubblico nella maggior parte dei paesi
occidentali. Anche a livello accademico, si delinea cos una separazione tra due filoni di
ricerca: la microeconomia e la macroeconomia. In realt la distinzione indica soprattutto
che ci troviamo di fronte a due approcci diversi alla scienza economica, lapproccio
marginalista e quello keynesiano. I moderni libri di testo li presentano come
complementari, ma in realt essi nascono e si sviluppano come antagonistici.
LE LEGGI ECONOMICHE NELLE DIVERSE IMPOSTAZIONI METODOLOGICHE
Una fondamentale differenza tra lapproccio classico e quello marginalista riguarda il metodo danalisi.
Secondo la scuola classica, la societ si modifica nel tempo ed perci naturale studiare societ diverse nello spazio e nel tempo secondo teorie diverse. Le leggi economiche che
leconomia politica cerca cambiano infatti anchesse nelle diverse forme sociali (o,
secondo la terminologia di Marx, che leconomista che pi ha insistito sul carattere
storico delle diverse forme di organizzazione della societ, modi di produzione). Le leggi
di funzionamento della societ schiavistica sono diverse da quelle della societ feudale, da
quelle della societ capitalista e da quelle della societ socialista.
Secondo lapproccio marginalista invece, anche se le forme sociali cambiano nel tempo, il problema economico di fondo rimane sempre lo stesso in ogni societ e in ogni epoca:
come utilizzare nel migliore dei modi le risorse a propria disposizione. Si tratta
evidentemente di domande diverse che vengono sollevate dai due approcci, ognuna delle
quali porta ad assumere determinate ipotesi come punto di partenza dellanalisi. Come
vedremo, nella teoria marginalista si insiste sul ruolo delle preferenze individuali, le quali
determinano i criteri di scelta allinterno di un ventaglio di opzioni disponibili. Questo
porta ad assumere sia le preferenze, sia il set di scelte a disposizione di ciascun soggetto
come un dato da cui partire, non come fenomeni da spiegare.
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Il fatto che i diversi approcci teorici si pongano domande diverse rende difficile parlare di progresso teorico come nelle altre scienze.
IDEOLOGIA E TEORIA ECONOMICA
Parallelamente allaffermazione dellapproccio marginalista si sviluppa la convinzione che la teoria economica debba essere estranea ad ogni tipo di giudizio di valore. Questo
porta alla distinzione netta tra economia positiva ed economia normativa: la prima
produce analisi descrittive (di ci che ), mentre la seconda produce analisi prescrittive (di
ci che dovrebbe essere secondo particolari posizioni etiche).
Secondo questa impostazione, solo a livello normativo necessario introdurre giudizi di valore, mentre nellanalisi positiva la teoria non riflette altro che giudizi di fatto.
Questa distinzione ha dato luogo ad un lungo dibattito nel quale si evidenziato come la stessa economia positiva, non possa considerarsi estranea alla visione ideologica e ai
giudizi di valore delleconomista. Come sostiene leconomista svedese Gunnar Myrdal,
premio Nobel nel 1974, loggettivit nella ricerca sociale non pu mai essere assoluta e
universale poich necessariamente riflette, se non altro nella definizione del problema da
analizzare e nella scelta degli strumenti danalisi (ma a volte anche nelle conclusioni
teoriche), le convinzioni e i valori del teorico, i quali non possono considerarsi al di sopra
delle parti.
Le categorie analitiche di qualsiasi teoria positiva riflettono necessariamente una particolare visione del mondo. Non possibile immaginare una teoria economica che sia
indipendente da una particolare visione del mondo poich leconomista egli stesso parte
della societ che studia e la posizione che egli ricopre nella societ influisce
necessariamente sul suo modo di vedere le cose, di individuare i problemi economici e di
definire le priorit della ricerca teorica.
Loggettivit nella ricerca sociale non pu mai essere assoluta e universale poich necessariamente riflette, se non altro nella definizione del problema da analizzare e nella
scelta degli strumenti danalisi (ma a volte anche nelle conclusioni teoriche), le
convinzioni e i valori del teorico, i quali, in un mondo fatto di interessi contrastanti, non
possono in alcun modo considerarsi al di sopra delle parti.
Spesso, tuttavia, la visione (di parte) delle teorie economiche presentata dai loro sostenitori come se fosse invece super partes, cio come se si trattasse di un punto di vista
neutrale, unanimemente condivisibile, ispirato al semplice perseguimento del bene
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comune. Il problema che, il bene comune, ammesso che esista in una societ fatta di
interessi contrastanti quale il capitalismo, non facilmente identificabile.
Da un punto di vista marxista, la teoria economica borghese non affatto neutrale ma riflette semplicemente la visione, le aspirazioni e le preoccupazioni della classe dominante
del capitalismo: la borghesia. Il motivo per cui le proposizioni della teoria borghese
appaiono neutrali sul piano dei valori che implicitamente la teoria prende per dato il
sistema capitalista e sposa il punto di vista della sua classe dominante.
Secondo Marx ed Engels la storia dei rapporti economici storia di lotta di classe e, cos come la societ evolve secondo gli interessi contrastanti delle diverse classi sociali, la
morale stessa sempre una morale di classe. Chiaramente, secondo lapproccio marxista,
la classe dominante che ha interesse a presentare la propria morale come eterna e
universale ed sempre la classe dominante che ha interesse a rivendicare la neutralit
della propria visione dei rapporti economici sostenendo che la (propria) teoria si fonda sul
principio del bene comune.
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2. Dal feudalesimo al capitalismo
[Bibliografia di riferimento: Roncaglia, paragrafi 8-11]
Nel corso tratteremo spesso del mercato. Il mercato pu essere definito come il luogo nel quale avvengono le transazioni economiche, gli scambi di merci contro denaro. Nella
teoria economica, il termine non si riferisce necessariamente a particolari luoghi fisici,
bens indica una rete di relazioni tra operatori economici, anche distanti tra loro, che
scambiano uno stesso tipo di bene.
Il mercato esiste da molto tempo ed presente anche in societ come la Grecia antica, o nellepoca feudale. Ma rispetto a quellepoca il ruolo del mercato nella societ
profondamente cambiato. Nella societ capitalista, che loggetto principale del nostro
studio, il mercato svolge un ruolo primario nei processi di produzione e distribuzione delle
risorse. Rispetto alla forma sociale che ha preceduto il capitalismo la societ feudale i
rapporti di mercato hanno subito uno sviluppo enorme trasformando le relazioni sociali sia
da un punto di vista quantitativo, sia qualitativo.
Per comprendere meglio il ruolo del mercato nelle diverse forme sociali, analizziamo, seppure in termini molto generali, lorganizzazione della societ feudale e il ruolo che in
essa svolgeva il mercato.
Tre classi sociali: nobilt, clero e servi della gleba. I nobili detengono il potere politico. I servi della gleba sono obbligati a fornire le corves, ossia devono dedicare parte del loro
tempo di lavoro ai nobili, ai quali va tutto il prodotto delle terre padronali (fondi
dominici). I servi della gleba pagano inoltre le decime al clero, che sono una forma di
tassa pari a circa un decimo del prodotto. Quello che rimane utilizzato dal servo della
gleba e la sua famiglia per il sostentamento. Lattivit economica tutta organizzata
attorno al nobile e il suo castello dal quale domina le terre circostanti. Le famiglie
nobiliari costituiscono in gran parte unit produttive autosufficienti.
Il mercato riguarda solo una parte minima degli scambi che avvengono nella societ e riguarda quasi esclusivamente scambi che non sono strettamente necessari alla
sopravvivenza delle singole unit produttive e alla riproduzione del sistema. I servi della
gleba consumano direttamente il prodotto delle terre servili e non hanno modo di entrare
in possesso di denaro. Le decime sono pagate in natura. I nobili ottengono il prodotto
delle terre padronali in natura e solo una parte di questo viene scambiato sul mercato per
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lo pi in cambio di prodotti manufatti provenienti da artigiani che vivono nelle vicinanze
del castello, nel dominio del nobile; unaltra parte viene invece da lontano (pietre
preziose, spezie, tessuti).
La transizione al capitalismo avvenuta con tempi diversi nei diversi paesi. Prima in Olanda e in Inghilterra intorno al XVII secolo, pi lentamente in altri paesi.
Fattori che hanno inciso sul processo di transizione: 1. Crescita degli scambi, crescita delle citt (in cui si sviluppa lartigianato e in cui si
riversano i servi della gleba che fuggono dalle campagne).
2. Sviluppo dei commerci a lunga distanza (che aumenta i desideri dei nobili, i beni
oggetto di scambio sul mercato e lo sfruttamento dei servi della gleba, dando luogo a
rivolte e fughe di massa dalle campagne).
3. Nascita del putting out system (sistema di lavoro a domicilio in cui il mercante porta ai
suoi lavoranti le materie prime e poi ritira il prodotto pagando in forma di denaro un
salario al livello di sussistenza).
4. Prima rivoluzione agricola (inizio XVIII secolo). Si diffonde lallevamento del
bestiame e del pascolo. Diminuisce il numero di lavoratori agricoli allontanando i
servi della gleba dalle terre che fino ad allora avevano coltivato. Le terre vengono
recintate permettendo ai nobili di ottenere maggiori redditi grazie alle nuove
tecnologie agricole. Nasce cos la propriet privata della terra (il dominio politico del
nobile sulla regione si trasforma in un diritto esclusivo allo sfruttamento economico
della terra) e quello che Marx chiamer lesercito industriale di riserva (esercito di
potenziali lavoratori disponibili per quei mercanti che decidono di sviluppare una
propria attivit manifatturiera). Si instaura cos il rapporto di lavoro salariato e la
separazione tra lavoratore e propriet dei mezzi di produzione.
I cambiamenti non sono solo quantitativi, ma anche qualitativi: i fenomeni descritti modificano infatti le istituzioni stesse che regolano linterazione sociale, portando alla
scomparsa delle istituzioni feudali e allinstaurarsi di istituzioni capitalistiche.
Il capitalismo si regge sul rapporto di lavoro salariato. Lestendersi dei rapporti di mercato supera gradualmente gli scambi occasionali di particolari beni e il mercato tende a
diventare la principale istituzione che regola i rapporti tra i cittadini. Al mercato non
vanno pi soltanto le eccedenze rispetto alle capacit di autoconsumo, come nel
feudalesimo. La vendita sul mercato diventa invece lobiettivo stesso della produzione. Il
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progressivo estendersi dei mercati tende ad abbracciare sempre nuovi aspetti dei rapporti
sociali.
Ma il vero salto qualitativo si ha con lemergere del mercato del lavoro, in cui possibile comprare e vendere le prestazioni lavorative, e con laffermarsi della compravendita della
forza lavoro come principale forma di produzione delle merci. Questa trasformazione
modifica sostanzialmente i rapporti sociali facendo dipendere lesistenza di ampi strati
della popolazione i lavoratori dai rapporti di mercato.
Il processo di emersione del mercato del lavoro particolarmente violento ed importante ricordare che tanto nella letteratura marxista, quanto in quella non marxista, gli storici
hanno evidenziato la resistenza della societ civile allinstaurazione dei rapporti di
mercato. Affinch infatti potesse crearsi un mercato del lavoro, fu necessaria
lespropriazione dei lavoratori i quali, mentre si liberavano dei vincoli imposti dalle
istituzioni feudali, si trovavano al tempo stesso privi di qualsiasi mezzo per sopravvivere e
furono quindi costretti a vendere la propria forza lavoro al miglior offerente. Con la
trasformazione della forza lavoro in merce da scambiarsi sul mercato, la vita stessa dei
lavoratori diventa soggetta alle dinamiche imposte dalle leggi del mercato, le quali si
affermano indipendentemente dalla volont e dai desideri dei singoli soggetti economici.
La separazione tra lavoro e mezzi di produzione quindi la caratteristica fondamentale
delle societ capitaliste.
La divisione in classi sociali che viene a prevalere in tre classi: capitalisti, lavoratori e proprietari terrieri. I capitalisti sono i proprietari dei mezzi di produzione, pagano un
salario ai lavoratori e sono proprietari del prodotto del processo produttivo. La vendita sul
mercato di tale prodotto, in condizioni normali, consente al capitalista di ottenere un
profitto. I proprietari terrieri ottengono una rendita come remunerazione dellaffitto della
terra. I lavoratori ottengono un salario in forma monetaria che spendono nellacquisto di
beni necessari alla sussistenza.
Questa divisione in classi ovviamente evolve nel tempo e assume configurazioni diverse nei diversi contesti: ad esempio diversi individui possono percepire redditi in parte da
capitale e in parte da lavoro e le dimensioni delle tre classi possono essere assai diverse se
si confrontano diversi periodi o diversi paesi. In particolare il ruolo dei proprietari terrieri
diminuito notevolmente nel corso della storia del capitalismo e la struttura interna della
classe capitalista diventata pi articolata, con la separazione pi o meno netta tra
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capitale industriale e capitale finanziario. La divisione in classi sociali rimane comunque
il tratto distintivo del modo di produzione capitalistico che loggetto del nostro corso.
Fattori che hanno inciso sullaumento di produttivit nello sviluppo del capitalismo: 1. Invenzione della macchina a vapore che costituisce laspetto principale della
rivoluzione industriale basata sul sistema di fabbrica che consente una stretta
sorveglianza del capitalista-imprenditore sui lavoratori (disciplina, orari rigidi, ritmi di
lavoro controllati).
2. Seconda rivoluzione agricola basata sullintroduzione delle macchine nel lavoro dei
campi e sulluso dei fertilizzanti artificiali ottenuti grazie ai progressi della chimica.
3. Produzione su larga scala dellenergia elettrica e suo utilizzo in numerosi campi
(illuminazione, forza motrice per i macchinari industriali).
4. Pi di recente: micreoelettronica e informatica che permettono lo sviluppo
dellautomatizzazione e modificano i rapporti di lavoro nelle fabbriche e negli uffici.
5. Trasporti: passaggio dalla diligenza al treno, dalle navi a vela a quelle a vapore,
diffusione dellautomobile e del trasporto aereo.
6. Comunicazioni: telegrafo e telefono, radio e televisione, fax e posta elettronica.
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3. Limpostazione moderna allo studio delleconomia
[Bibliografia di riferimento: Sloman, introduzione]
IL PROBLEMA ECONOMICO
Limpostazione di fondo dei moderni manuali di economia quella dellapproccio marginalista integrato con la teoria keynesiana. Nel menzionare i problemi economici si
parla di moneta, produzione, consumo, ma non si parla invece di distribuzione del reddito,
la quale, come abbiamo visto, il grande tema degli economisti classici, n delle questioni
di sfruttamento e alienazione, care a Marx.
Il problema economico fondamentale la scarsit e tutte le questioni economiche sono presentate in termini di equilibrio tra domanda e offerta. Nella microeconomia i concetti
di domanda e di offerta sono riferiti ai singoli individui, nella macroeconomia la domanda
e lofferta sono invece concetti aggregati, che si riferiscono cio ad aggregati di individui.
Microeconomia. La microeconomia studia il comportamento dei singoli soggetti (consumatori, imprese) e da esso deriva le leggi di funzionamento della societ nel suo
complesso. Ogni societ, implicitamente o esplicitamente, effettua tre tipi di scelte: quali
beni produrre, come produrli, per chi produrli. La microeconomia risponde a queste
domande prendendo come punto di partenza le scelte individuali e valutandole dal punto
di vista individualistico.
Macroeconomia. La macroeconomia studia invece direttamente il comportamento di aggregati, come il reddito nazionale, gli investimenti, i consumi e i problemi che si
affrontano sono quelli dellinflazione, della crescita della produzione, della
disoccupazione, dellequilibrio della bilancia dei pagamenti.
LA FRONTIERA DELLE POSSIBILIT PRODUTTIVE
Consideriamo un sistema semplificato in cui esistono solo due beni x1 e x2. Se tutte le risorse produttive esistenti (lavoro, capitale, terra) fossero utilizzate per produrre x1,
utilizzando le tecniche pi efficiente, si otterrebbero 7 milioni di unit di x1.
Alternativamente, se tutte le risorse fossero utilizzate per produrre x2, si otterrebbero
ottenendo 8 milioni di unit di x2. esistono poi tutta una serie di casi intermedi in cui parte
delle risorse utilizzata per produrre x1 e parte utilizzata per produrre x2. Linsieme delle
combinazioni di x1 e x2 che possono essere realizzate efficientemente con le risorse
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esistenti prende il nome di frontiera delle possibilit produttive. Tale insieme pu essere
rappresentato graficamente come una curva decrescente sul piano cartesiano (x1, x2).
Il concetto di frontiera delle possibilit produttive pu essere utilizzato per esprimere alcuni concetti tipici della microeconomia e della macroeconomia.
In microeconomia, si parla di costo-opportunit. Come vedremo, secondo lapproccio microeconomico, ogni scelta comporta il sacrificio delle altre alternative possibili. La
migliore alternativa tra quelle scartate costituisce il costo-opportunit della scelta. In
questo caso il costo opportunit esprime il numero di unit di x1 cui si deve rinunciare per
incrementare di ununit la produzione di x2. Secondo unipotesi diffusa, la frontiera delle
possibilit produttive concava, il che significa che il costo-opportunit crescente.
In macroeconomia, il concetto di frontiera delle possibilit produttive pu essere utilizzato per evidenziare i problemi di un sottoutilizzo delle risorse produttive. In tal caso, il
sistema non riesce a realizzare combinazioni produttive sulla frontiera e porta invece alla
produzione di punti interni alla frontiera.
LO SCAMBIO DI MERCATO COME FENOMENO NATURALE
Tutto questo apparato teorico, comprendente la macroeconomia e la microeconomia, si basa sullipotesi che gli individui abbiano una propensione naturale a scambiare e a
perseguire il guadagno personale e che i rapporti di mercato emergano spontaneamente
come risposta a tali propensioni naturali.
Questo modo di vedere le cose non esente da critiche. 1. Che la scarsit sia un problema universale caratteristico di tutte le societ un fatto
contestato dagli storici economici i quali evidenziano invece come la scarsit sia un
fenomeno tipico della societ capitalista per due ragioni: primo, col balzo in avanti
nella produzione della ricchezza realizzato con lavvento del capitalismo si avuto
parallelamente un balzo in avanti nella produzione della povert; secondo, la scarsit
delle risorse definita in relazione allipotesi di bisogni illimitati, i quali tuttavia nelle
societ precapitalistiche erano di fatto limitati e determinati da fattori legati alla
tradizione.
2. La stessa ipotesi fondamentale delleconomia ortodossa secondo cui la societ di
mercato nasca dalla propensione naturale delluomo allo scambio (come riteneva
Smith e come ritengono gli economisti neoclassici) non trova alcun riscontro storico:
come sostiene lo storico economico Karl Polanyi gli atti individuali di baratto erano
20
del tutto eccezionali nelle societ primitive e nei grandi imperi come lantico Egitto,
Roma, la Cina e lEuropa medievale, i quali si basavano invece su meccanismi sociali
di distribuzione indipendenti dallo scambio diretto tra singoli soggetti.
3. La propensione allo scambio, che lindividuo della societ capitalista percepisce come
naturale, si sviluppa invece solo col procedere del capitalismo. Partire dallo scambio
isolato come fondamento del mercato dunque un falso storico.
4. Lo stesso commercio a lunga distanza non era affatto basato sul mercato e lo scambio
di equivalenti, bens sulla rapina, lespropriazione violenta, il colonialismo. In altri
casi, gli scambi avvenivano senza alcun meccanismo di do ut des, ma
semplicemente in forma di dono.
5. Lipotesi che il movente dellattivit economica sia il guadagno personale anchessa
storicamente falsa e pu essere considerata valida soltanto allinterno dellinterazione
sociale di tipo capitalistico.
21
I
ECONOMIA CLASSICA E MARXIANA
1. La concorrenza
[Bibliografia di riferimento: Cassetti, capitolo 1]
Il concetto di concorrenza e la teoria economica. Due fattori generali determinano la concorrenza:
1. lesistenza di un beneficio scarso, insufficiente a soddisfare tutti i partecipanti
allinterazione sociale;
2. un atteggiamento conflittuale, non solidale, tra soggetti interscambiabili tra loro.
I rapporti tra interesse personale e benessere sociale costituiscono linterrogativo fondamentale della ricerca economica e le diverse teorie della concorrenza forniscono
risposte diverse a tale interrogativo.
Non essendoci nessuna istituzione che coordina esplicitamente le decisioni individuali di produzione e di consumo, come mai il risultato empirico non il caos? La risposta di
Smith che la concorrenza un meccanismo che tende a rendere coerenti (ex post) le
decisioni individuali ed perci grazie alla concorrenza se nel sistema di mercato le
decisioni individuali si ricompongono in modo armonioso.
La risposta che daranno in modo in parte diverso Marx e Keynes che il fatto che nel capitalismo non si generi il caos non completamente vero, visto che tutti i sistemi
capitalisti sono caratterizzati da ricorrenti crisi e difficolt di impiegare tutte le risorse
disponibili. Secondo Marx e Keynes, queste difficolt dipendono dai limiti stessi della
concorrenza come meccanismo dominante di coordinamento delle decisioni individuali.
22
2. La concorrenza come meccanismo di armonia sociale in Adam Smith
[Bibliografia di riferimento: Cassetti, capitolo 2]
Due opere principali: Teoria dei sentimenti morali e Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (comunemente chiamato La ricchezza delle nazioni).
Il teorema della mano invisibile: linterazione tra individui egoisti che perseguono il proprio interesse personale produce risultati economici socialmente desiderabili a patto
che non ci siano barriere economiche o restrizioni istituzionali al perseguimento delle
attivit economiche e alloperare della concorrenza.
Il concetto di sovrappi e la teoria del valore. Consideriamo un processo produttivo in cui si produce grano a mezzo di grano e lavoro:
a l b
a = quantit di grano immessa nel processo produttivo;
l = quantit di lavoro immessa nel processo produttivo;
b = quantit di grano ottenuta dal processo produttivo.
Indichiamo con w il salario per unit di lavoro espresso in termini di grano, o saggio di
salario (reale) e assumiamo che esso sia un dato del problema e che sia fissato al livello di
sussistenza del lavoratore.
S = b (a + wl)
S il sovrappi, cio la parte del prodotto che eccede la necessit di sussistenza dei
lavoratori e la ricostituzione dei mezzi di produzione. Il sovrappi pu essere consumato
dai capitalisti e dai proprietari terrieri o pu essere reinvestito. In questultimo caso si ha
un sistema in espansione in cui la produzione aumenta di anno in anno (produzione su
scala allargata).
La capacit di produrre un sovrappi deriva dal lavoro, non dalla terra come ritenevano i fisiocrati. Il lavoro la fonte della ricchezza.
23
Lestendersi della divisione del lavoro la principale causa dellaumento della produttivit del lavoro.
Il sovrappi si forma in tutti i settori e la sua dimensione dipende dal grado di sviluppo dalla divisione del lavoro. In un sistema in cui si producono beni di diversa natura si pone
un problema nella misurazione del sovrappi: i beni prodotti (output) e i beni utilizzati
come mezzi di produzione (input) possono essere diversi il che rende problematico
determinare il sovrappi in termini fisici e rapportarlo ai mezzi di produzione per ottenere
una misura del saggio di profitto. (NB: anche in presenza di input e output comprendenti
lo stesso insieme di beni, sufficiente che la composizione delloutput e quella dellinput
siano diverse a impedire una misurazione del saggio di profitto in termini fisici).
Esprimendo i diversi input e output in termini di valore possibile misurare il sovrappi e calcolare il saggio di profitto.
Problema del valore: come si determina il valore delle merci? Valore duso e valore di scambio: il valore duso la propriet di un bene di soddisfare un dato bisogno; il valore
di scambio il rapporto con cui una quantit di un bene si scambia sul mercato con
quantit di altri beni (prezzo relativo).
Lavoro contenuto. Smith: In ogni tempo e luogo caro ci che costa molto lavoro, a buon mercato ci che si pu avere con pochissimo lavoro.
Consideriamo un modello grano standardizzato (in cui cio i parametri siano definiti in modo tale che loutput sia pari ad ununit):
a l 1
a = quantit di grano immessa nel processo produttivo;
l = quantit di lavoro immessa nel processo produttivo;
b = 1 (si ottiene ununit di grano dal processo produttivo).
Si pu utilizzare anche la seguente notazione pi compatta:
[a, l] 1
con a < 1 come condizione affinch il processo sia vitale.
Introduciamo lipotesi di rendimenti di scala costanti:
24
[a, l] per > 0.
Con queste ipotesi, determiniamo il lavoro contenuto in ununit di grano:
[a, l] 1 [a2, al] a
[a3, a2l] a2
[an, an-1l] an-1
si tratta di una serie geometrica di ragione a, la quale pari a l/(1 a), se, come nel nostro
caso, a < 1:
= l + al + a2l + a3l + + an-1l + = l/(1 a)
Come si vede il lavoro contenuto () maggiore del semplice lavoro diretto (l). Secondo Smith il concetto di lavoro contenuto tiene conto solo dei redditi da lavoro, ma
non tiene conto del profitto e della rendita, i quali sono centrali nel capitalismo. Se infatti
tutto il valore prodotto dal lavoro andasse al lavoratore in forma di salario, non ci sarebbe
spazio per il profitto e la rendita. Affinch possano esistere altre categorie di reddito
accanto al salario, il prezzo del bene non pu essere pari ai salari pagati per produrre il
bene stesso. NB: nella teoria classica per profitto non si intende la remunerazione del
capitalista per la sua attivit di direzione e coordinamento del processo produttivo, bens si
intende la quota di reddito di cui il capitalista si appropria in virt dellaver anticipato il
capitale. per questo, come vedremo in un attimo, che nel definire il saggio di profitto si
rapporta il profitto al capitale anticipato.
Lavoro comandato. Il valore di una merce determinato dal lavoro che essa pu acquistare (non dal lavoro che occorso per produrla): com = p/w.
w il saggio di salario monetario: quantit di moneta per unit di lavoro (w = wp). Smith si riferisce allo scambio di merci contro lavoro, lo scambio capitalistico per
eccellenza, quello tra capitalisti e lavoratori.
25
Che relazione esiste tra e com ? Vogliamo dimostrare che < com. Il lavoro che si pu acquistare vendendo una merce maggiore del lavoro occorso per produrla. La ragione
che il prezzo della merce pu scomporsi in tre componenti: la parte che remunera il lavoro
(salario), quella che remunera il capitale (profitto) e quella che remunera la terra (rendita).
Solo nel caso in cui tutto il reddito ricavato dalla vendita del prodotto andasse interamente
al lavoro, il lavoro comandato sarebbe uguale al lavoro contenuto. Qualora invece esistano
parti del valore prodotto che sono attribuite al capitalista (il profitto) o al proprietario
terriero (la rendita), il reddito del lavoratore (il salario) non pu che diminuire. In questo
modo, il capitalista che vende al prezzo p una merce che contiene ore di lavoro, riceve una quantit di denaro superiore rispetto a quella necessaria a remunerare il lavoro.
Questo significa che la quantit di lavoro che il capitalista comanda (com) superiore al lavoro contenuto nella merce ().
Consideriamo la relazione tra e com in termini analitici. Tralasciando per semplicit la rendita, il prezzo pu essere espresso come somma dei costi
sostenuti per produrre la merce, pi un profitto di cui si appropria il capitalista (avendo
egli anticipato i mezzi di produzione).
Ricavi costi + profitti
In termini unitari (dividendo per q):
p costi unitari + profitti unitari.
Per avere una misura del guadagno del capitalista, il profitto viene riferito alla quantit di
capitale anticipato. Si definisce allora il saggio del profitto (r):
r = profitti / valore del capitale anticipato.
Il prezzo pu allora essere espresso cos:
p = (pa + wl)(1 + r)
26
dove: (pa + wl) il costo unitario e r(pa + wl) il profitto unitario [NB: nel testo di
Cassetti c un errore di battitura a pag. 22. Non (pa + w) il costo unitario e r(pa + w) il profitto unitario].
Per confrontare e com conviene riscrivere lequazione del prezzo come segue:
p = (pa + wl)(1 + r)
= pa(1 + r) + wl(1 + r)
Consideriamo ora il lavoro comandato:
com = p/w = (p/w)a(1 + r) + l(1 + r) (p/w) [1 a(1 + r)] = l(1 + r)
(p/w) = l(1 + r) / [1 a(1 + r)] = l / [1/(1 + r) a]
Ricordando che = l/(1 a) e che 1/(1 + r) < 1, segue che: 1. com 2. com = solo se r = 0.
Si noti che il lavoro comandato pu fare da misura del valore di scambio delle merci ma non pu spiegare questultimo poich esso dipende da p e w che sono altri valori di
scambio. Il lavoro comandato non pu quindi risolvere il problema del valore inteso come
problema di determinare gli elementi che fanno s che una merce abbia un certo valore: se
per determinare il valore di scambio di una merce (il prezzo) si deve gi conoscere il suo
prezzo, la teoria risulta contraddittoria e il ragionamento diventa circolare.
La questione che il lavoro contenuto e il lavoro comandato rispondono a due interrogativi diversi: con il concetto di lavoro contenuto si tenta di spiegare il valore di
scambio delle merci (i loro prezzi); con il concetto di lavoro comandato si fornisce invece
semplicemente una misura alternativa (rispetto a quella monetaria) del valore di scambio
delle merci.
Questa distinzione non chiara in Smith, il quale invece propone di utilizzare il lavoro comandato anche come teoria del valore di scambio delle merci. A tale scopo Smith
elabora una teoria additiva del valore secondo cui le tre componenti del prezzo (salario
unitario, profitto unitario e rendita unitaria) gravitano attorno ai loro livelli naturali.
27
Il prezzo che consente di pagare i salari, i profitti e le rendite ai loro saggi naturali prende il nome di prezzo naturale, che si distingue dal prezzo di mercato il quale il prezzo
effettivo prevalente sul mercato. Il prezzo naturale forma loggetto dellanalisi di Smith
poich verso di esso che il sistema gravita continuamente. Lo scopo quindi quello di
distillare le forze dominanti e persistenti che muovono il sistema economico, astraendo
dai fattori secondari e contingenti che influiscono giorno per giorno sui prezzi di mercato.
Il salario naturale determinato dal livello di sussistenza dei lavoratori. Quando il salario reale differisce dal salario naturale entrano in gioco due tipi di meccanismi: fattori
istituzionali (diverse capacit di coalizzarsi e di condurre un conflitto da parte dei
lavoratori e dei capitalisti) e fattori demografici (nel breve periodo i salari sono stimolati
dalla domanda, il che fa aumentare la popolazione riportando il salario verso il livello di
sussistenza). Il salario naturale perci quel livello del salario che consente alla domanda
e allofferta di lavoro di crescere allo stesso tasso. La teoria del salario di Smith, per molti
versi, anticipa la teoria della popolazione di Malthus.
Per effetto della concorrenza tra i capitalisti, se esiste libert nel trasferire i capitali da un ramo produttivo allaltro, il tasso di profitto tender ad uguagliarsi in tutti i settori. La
concorrenza tra acquirenti e tra venditori assicura che il prezzo di mercato graviti attorno
al prezzo naturale (breve periodo). La concorrenza tra i capitalisti assicura luniformit del
saggio di profitto (lungo periodo). La possibilit che il prezzo effettivo si mantenga ad un
livello superiore rispetto al prezzo naturale (e che i saggi di profitto non siano uniformi)
dipende dallesistenza di asimmetrie informative (segreti che impediscano ai capitalisti di
conoscere i saggi di profitto in tutti i settori) e regolamentazioni dei mercati (che
istituzionalizzino il monopolio o comunque restringano la concorrenza ad un numero
limitato di partecipanti).
La libera circolazione del lavoro e del capitale spinge i salari e i profitti verso i loro saggi naturali e fa tendere il prezzo di mercato verso il prezzo naturale. Il mercato tende quindi
ad autoregolarsi. La ricerca del guadagno personale il fattore trainante del sistema.
Non esiste in Smith una vera e propria teoria del livello naturale della rendita. In ogni caso, dal punto di vista della determinazione del valore di una merce, il problema
della teoria dei prezzi naturali che salario, profitto e rendita sono essi stessi dei valori.
28
3. La concorrenza e il conflitto tra capitalisti e proprietari terrieri in David Ricardo
[Bibliografia di riferimento: Cassetti, capitolo 3]
Approvazione delle leggi sul grano nel 1816: tariffe doganali che impediscono di fatto limportazione di derrate alimentari pi a buon mercato allestero. Questo tiene alta la
rendita a scapito dei profitti (essendo i salari gi al livello di sussistenza).
Abolizione delle leggi sul grano nel 1846: egemonia politica della borghesia. Per Ricardo il problema fondamentale delleconomia politica la determinazione delle
leggi che regolano la distribuzione del reddito tra le classi sociali.
Secondo Ricardo il saggio di profitto dellintera economia dipende dal saggio di profitto del settore agricolo, nel quale si producono i beni di sussistenza che costituiscono il
salario dei lavoratori.
Per determinare il saggio di profitto nel settore agricolo, si deve determinare innanzi tutto la rendita agricola.
MODELLO GRANO: esistono terre con diversi gradi di fertilit. La produttivit in termini di grano si misura sulle ordinate, mentre sulle ascisse si misura la quantit di lavoro
utilizzata su ciascuna terra.
Sloman, Elementi di economia, Il Mulino, 2002
MODELLO GRANO (SENZA RENDITA)
G
L1
A
LL2 L3 L4
B C D
WA WB WC WD
LA LB LC LD
w
29
LA = L1 il numero di lavoratori sulla terra A.
LB = L2 L1 il numero di lavoratori sulla terra B.
LA GA la produzione complessiva sulla terra A. LB GB la produzione complessiva sulla terra B.
Il saggio di salario reale w sia dato e fissato al livello di sussistenza. Monte salari (Wi): ammontare dei salari pagati ai lavoratori della terra i (i = A, B, C, D).
Essendo dato il saggio di salario reale w, il monte salari pari a:
WA = LA w WB = LB w
Monte profitti (i): ammontare dei profitti ottenuti sulla terra i (i = A, B, C, D). Se non ci fossero rendite:
A = (GA w) LA B = (GB w) LB
il saggio di profitto sarebbe pi alto per le terre pi fertili:
rA > rB > rC > rD
dove ri = i/Wi , i = A, B, C, D (i e Wi sono rispettivamente il profitto totale e il capitale anticipato sulla terra i).
Tuttavia, la concorrenza tra capitalisti per ottenere le terre pi fertili porter questi ad
offrire affitti pi elevati, il che, nel lungo periodo, imporr un saggio di profitto unico su
tutte le terre (quello prevalente sulla terra meno fertile, chiamata anche terra marginale):
30
rA = rB = rC = rD.
La rendita fondiaria sar perci maggiore sulle terre pi fertili e poi via via minore, fino ad essere nulla sulla terra marginale.
Sloman, Elementi di economia, Il Mulino, 2002
MODELLO GRANO
G
L1
A
LL2 L3 L4
B C D
WA WB WC WD
RCRBRA
w
Grazie allipotesi che la produzione di grano richiede come input solo grano e lavoro (e non anche altre merci) possibile calcolare il sovrappi agricolo in termini fisici e,
rapportandolo al grano usato come input, il saggio di profitto. Una volta determinato il
saggio di profitto nel settore agricolo (in termini fisici, senza conoscere i prezzi delle
merci), la concorrenza tra capitalisti porter questo saggio di profitto ad estendersi anche
allindustria, determinando il prezzo relativo tra grano e prodotti industriali. In altri
termini il valore di scambio tra grano e prodotti industriali sar fissato al livello che
garantisce luniformit del saggio di profitto nei diversi settori.
Da un punto di vista dinamico, se si immagina che col procedere dello sviluppo economico vengano coltivate terre via via meno fertili, il saggio di profitto
nellagricoltura tender a diminuire progressivamente (poich compresso tra un saggio di
salario dato e una rendita unitaria crescente), facendo diminuire il saggio di profitto
dellintera economia. Inoltre il fatto che le rendite (che tendono ad aumentare col
procedere dello sviluppo) siano destinate al consumo o allinvestimento improduttivo
31
sottrae risorse utilizzabili per laccumulazione del capitale, il quale costituisce il motore
dello sviluppo. In questo modo leconomia tende verso la stato stazionario (stato in cui il
tasso di crescita delleconomia pari a zero). Questa prospettiva pu tuttavia essere
allontanata dal progresso tecnico, al quale comunque Ricardo non assegna unimportanza
particolare.
Sloman, Elementi di economia, Il Mulino, 2002
TENDENZA VERSO LO STATO STAZIONARIO
G
L1
A
LL2 L3 L4
B C D
WA WB WC WD
RCRBRA
WE
E
RD
L5
w
Vediamo in termini formali come si determinano le variabili distributive e i prezzi. MODELLO GRANO:
si abbiano tre tipi di terra (A, B, C) caratterizzati da livelli crescenti di produttivit su cui
si utilizzano tecnologie a rendimenti di scala costanti.
[ai, li] 1 i = A, B, C.
Terra A: [aA = 0.3, lA = 0.10] 1 Terra B: [aB = 0.3, lB = 0.15] 1 Terra C: [aC = 0.3, lC = 0.20] 1
In assenza di rendite, i prezzi sarebbero i seguenti:
p = (pai + wli)(1 + ri) i = A, B, C
32
e i saggi di profitto sarebbero:
ri = [p (pai + wli)] / (pai + wli) i = A, B, C.
Il salario reale w sia pari a 2 unit di grano: w = 2.
Ponendo p = 1 ( w = w = 2):
rA = 100 % rB = 66 % rC = 43 %.
La concorrenza tuttavia impone luniformit dei saggi di profitto pari a quello sulla terra marginale (la terra C):
rA = rB = rC = 43 %.
La rendita sulle terre A e B sar data perci da:
i = p (pai + wli)(1 + rBi) i = A, B.
MODELLO GRANO-FERRO. Supponiamo ora che accanto al settore agricolo che produce grano esista un settore industriale che produce ferro. Supponiamo anche che il grano sia
utilizzato come mezzo di produzione del ferro, mentre il ferro non sia utilizzato nella
produzione del grano. Possiamo allora rappresentare il sistema economico con due
espressioni relative al processo di produzione di grano (sulla terra marginale) e al
processo di produzione di ferro:
[a11, l1] 1 unit di grano [a12, l2] 1 unit di ferro
dove a11 e a12 sono rispettivamente le quantit di grano necessarie a produrre ununit di
grano e ununit di ferro.
Il sistema dei prezzi allora il seguente:
33
p1 = (p1a11 + wl1)(1 + r)
p2 = (p1a12 + wl2)(1 + r)
Il sistema contiene tre incognite (p1, p2 e r, mentre w dato). Fissiamo il prezzo del grano
pari a 1.
1 = (a11 + wl1)(1 + r)
p2 = (a12 + wl2)(1 + r)
Lidea di Ricardo, ricordiamolo, che il saggio di profitto dellintero settore agricolo quello determinato sulla terra marginale (dove pu essere calcolato in termini fisici) e che
esso, per effetto della concorrenza tra i capitalisti nei diversi settori produttivi, si estenda
allintera economia. In effetti, con le ipotesi introdotte possibile determinare r dalla sola
prima equazione e poi sostituirlo nella seconda equazione per determinare p2.
r = [1 (a11 + wl1)] / (a11 + wl1)
p2 = (a12 + wl2) / (a11 + wl1)
Come si vede, con la coltivazione di terre meno fertili, scende il saggio di profitto nel settore agricolo (r) e, per lipotesi di uniformit del saggio di profitto nelleconomia,
scende il prezzo del ferro (p2).
MODELLO DI SRAFFA. Si tratta di una generalizzazione del modello di Ricardo in cui ambedue i settori utilizzano come mezzi di produzione merci prodotte in ambedue i settori
(in realt nel modello di Sraffa si considerano n merci). Questo fa cadere la possibilit di
determinare il saggio di profitto in termini fisici (nel solo settore agricolo) prima della
determinazione dei prezzi relativi poich ora loutput (il grano) e gli input (il grano e il
ferro) sono beni eterogenei.
Con le ipotesi di Sraffa, il sistema diventa:
p1 = (p1a11 + p2a21 + wl1)(1 + r)
p2 = (p1a12 + p2a22 + wl2)(1 + r)
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A questo punto il saggio di profitto (r) deve essere determinato simultaneamente ai prezzi relativi (p1 e p2). Sraffa, a differenza di Ricardo, non tratta il saggio di salario (w) come
fissato al livello di sussistenza. Fissando p1 = 1, rimangono tre incognite e due equazioni.
Si hanno allora due possibilit:
1. Fissando w (come faceva Ricardo), si determinano p2 e r
2. Fissando r, si determinano p2 e w.
In ogni caso, si dimostra che tra w e r esiste una relazione monotona inversa. Questo risultato generalizza il risultato di Ricardo che, ricordiamolo, era basato su un modello ad
un solo bene (grano). La determinazione esatta delle due variabili distributive dipende
per da fattori esterni al modello (quali la forza contrattuale delle parti sociali).
Questo risultato evidenzia la natura conflittuale dei rapporti tra classi sociali e si contrappone allidea di Smith secondo cui la concorrenza un processo di interazione
armoniosa che conduce al bene comune.
35
4. Concorrenza, sfruttamento e alienazione in Karl Marx
[Bibliografia di riferimento: Napoleoni; Cassetti, capitolo 4]
IL MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTA
Secondo Marx, tutte le societ divise in classi sono caratterizzate da rapporti di sfruttamento (della classe che si appropria dei frutti del lavoro sulla classe che lavora).
La specificit del capitalismo rispetto agli altri modi di produzione non sta nellesistenza in esso della propriet privata e del mercato, ma nellestensione della propriet privata e
del mercato alla sfera produttiva: il modo di produzione capitalista si regge sul lavoro
salariato, il quale presuppone la propriet privata dei mezzi di produzione e la
mercificazione della forza lavoro (la sua trasformazione in merce).
Il lavoro salariato si basa sulla concorrenza tra lavoratori liberi. Ma, come sottolinea Marx, si tratta di una doppia libert, tutta particolare: i lavoratori sono (1) liberi di vendere
la propria forza lavoro sul mercato e (2) liberi, nel senso di non avere pi vincoli rispetto
alla terra e ai mezzi produzione da cui, nel rapporto feudale, traevano sostentamento.
La libert giuridica di disporre di se stessi si affianca cos alla necessit economica di vendere se stessi. Laltra faccia della medaglia di questa libert lobbligo di cercarsi un
padrone a cui vendere liberamente la propria forza lavoro. Questi sono i due aspetti
contraddittori della libert economica dei rapporti capitalistici.
Nella concezione marxiana, la libert personale e luguaglianza giuridica, in presenza di unasimmetria economica (il monopolio di classe della propriet dei mezzi di produzione)
sono i presupposti stessi dello sfruttamento.
Anzi, storicamente, proprio la condizione di libert giuridica, associata alla privazione del lavoratore della propriet dei mezzi di produzione, che consente (giuridicamente) e
impone (economicamente) ai lavoratori di vendere la propria forza lavoro come
condizione di sopravvivenza.
IL CAPITALISMO COME SISTEMA MISTIFICATO
Nel capitalismo, l'uguaglianza nei rapporti giuridici offusca l'asimmetria di classe nei rapporti economici.
36
Scopo dell'indagine scientifica allora spiegare le condizioni storiche di origine e di sviluppo del capitalismo e svelare l'essenza economica dei rapporti di sfruttamento, che si
nascondono dietro l'apparenza del libero scambio.
LA CRITICA DELL'ECONOMIA POLITICA
Invece di svelare l'essenza asimmetrica dei rapporti sociali, l'economia borghese presenta i rapporti capitalistici come rapporti naturali ed eterni.
Le condizioni capitalistiche sono cos analizzate come se fossero universali, invece che come condizioni storiche transitorie.
L'economia politica finisce cos per presentare il sistema esistente come espressione di rapporti necessari e immutabili.
PRODUZIONE, CIRCOLAZIONE E SFRUTTAMENTO
Per quanto riguarda lo sfruttamento, la critica marxiana delleconomia politica borghese riguarda laver trascurato il processo produttivo, riducendo lanalisi economica allo studio
del processo di circolazione. Questo impedisce di cogliere lorigine dello sfruttamento
nella sfera produttiva e porta a ricercarne le cause nello scambio ineguale nella sfera della
circolazione (monopolio, asimmetrie giuridiche, eccetera).
Lo sfruttamento, secondo Marx, nasce invece nella sfera della produzione, non in quella della circolazione.
TEORIA DEL VALORE-LAVORO
Marx utilizza il concetto di lavoro contenuto come fondamento del valore di scambio.
LAVORO E FORZA LAVORO
A differenza degli economisti che lo precedono, Marx distingue tra forza lavoro e lavoro. La forza lavoro linsieme di capacit fisiche ed intellettuali impiegate dai lavoratori nel
processo produttivo, il quale si distingue dal lavoro effettivamente erogato.
Quello che il capitalista acquista dal lavoratore la forza lavoro, non il lavoro. La forza lavoro la sola merce da cui possibile estrarre lavoro ed perci la sola merce che ha il
potere di creare valore.
37
Come per ogni altra merce utilizzata come input nella produzione, lobiettivo del capitalista quello di sfruttarne al meglio (in termini qualitativi) e al massimo (in termini
quantitativi) il suo utilizzo nel processo produttivo.
Lestrazione della massima quantit di lavoro dalla forza lavoro uno degli obiettivi del capitalista esattamente come suo obiettivo estrarre la massima quantit di ferro da una
miniera di ferro.
LA COMPRAVENDITA DELLA FORZA LAVORO
Nel capitalismo, il processo di produzione necessariamente preceduto da un momento importante nella sfera della circolazione: lacquisto della forza lavoro da parte del
capitalista. Questa compra-vendita, come la compra-vendita di qualsiasi altra merce,
avviene ad un prezzo (il salario) esattamente equivalente al valore della forza lavoro (cio
al lavoro contenuto nei beni che il lavoratore deve consumare per conservarsi e
mantenersi). Si tratta dunque di uno scambio di equivalenti.
Nel processo produttivo vero e proprio, il capitalista estrae poi dalla forza lavoro acquistata il lavoro che serve a valorizzare il capitale accumulato. Qui il capitalista entra
in possesso di una quantit di lavoro maggiore di quella che ha pagato poich la durata
della giornata lavorativa superiore al tempo di lavoro necessario a produrre i beni che
formano il salario del lavoratore.
Quando si completato il processo produttivo, il capitalista ha ottenuto dal lavoratore pi lavoro di quello che gli ha anticipato in forma di salario: lo scambio dunque tra entit
disuguali.
VALORE D'USO E VALORE DI SCAMBIO DELLA FORZA LAVORO
Il valore duso della forza lavoro, ossia il valore che si ottiene dall'uso della forza lavoro, il lavoro incorporato nei beni prodotti dal lavoratore. Tuttavia il suo valore di scambio
(il salario) fissato, in base alla concorrenza tra i lavoratori, al livello di sussistenza.
La differenza tra il valore duso della forza lavoro e il suo valore di scambio definisce il plusvalore.
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PLUSVALORE E SFRUTTAMENTO
Il plusvalore si crea perch il lavoratore lavora per un numero di ore maggiore rispetto alle ore di lavoro necessarie a produrre i beni salario che riceve come remunerazione del suo
lavoro. Tale lavoro addizionale prende il nome di pluslavoro.
Lesistenza di un pluslavoro descrive la condizione di sfruttamento del lavoratore. Nella produzione capitalistica, il pluslavoro viene appropriato dal capitalista in forma di
profitto. Mentre il pluslavoro comune a tutte le societ divise in classi, il plusvalore
(cio il pluslavoro trasformato in valore di scambio) tipico della societ capitalista.
Il valore aggiuntivo di cui si appropria il capitalista dipende dalla peculiarit della forza lavoro rispetto a tutte le altre merci: la forza lavoro la sola merce capace di creare
valore.
LEGGE DEL VALORE E SFRUTTAMENTO
Lo sfruttamento capitalistico non affatto una violazione della legge generale del valore (il valore-lavoro). Alloperaio non affatto pagato meno di quello che gli spetti secondo
la teoria del valore. Al contrario, proprio il fatto che il capitalista acquista la forza lavoro
pagandola al suo valore che gli consente di ottenere un profitto, mettendola a lavoro per
un periodo superiore a quello necessario a reintegrare i mezzi di sussistenza che formano
il salario reale.
IL VALORE DELLE MERCI
M = C + l
M = C + V+ S
C = capitale costante o lavoro morto (lavoro indiretto contenuto nel bene). Il capitale costante dato dallinsieme dei mezzi di produzione prodotti in un tempo precedente a
quello del processo produttivo in esame. Il suo valore quindi quello che si incorpora in
tali mezzi di produzione e viene trasferito nel valore della merce prodotta.
l = V + S = lavoro diretto o lavoro vivo. Il lavoro diretto si suddivide in lavoro necessario, o capitale variabile (V), e plusvalore (S).
Il capitale variabile (V) dato dai beni salario che remunerano la forza lavoro del lavoratore. Il suo valore quindi quello che si incorpora nei beni che il lavoratore riceve
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in forma di salario. Questa parte del capitale chiamata variabile perch il valore che
produce supera il proprio valore: tralasciando per un momento il capitale costante, C, il
capitalista anticipa il capitale variabile V, il quale produce un valore pari a V + S). Questo
accade perch il lavoratore lavora per un tempo superiore a quello strettamente necessario
a riprodurre i beni che formano il suo salario.
Il plusvalore (S) definito dalla differenza tra il valore prodotto dal lavoro diretto (l) e il lavoro necessario (V). Tale differenza (S = l V) lespressione in valore del pluslavoro
effettuato dal lavoratore.
Il rapporto tra plusvalore (S) e capitale variabile (V) definisce il saggio di plusvalore o saggio di sfruttamento:
= S / V
Marx definisce inoltre la composizione organica del capitale come il rapporto tra capitale costante (valore dei mezzi di produzione) e capitale variabile (valore dei salari dei
lavoratori):
COC = C / V
Quando i capitali costante e variabile sono esaminati nei loro aspetti materiali (invece che in termini di valore) tale rapporto prende il nome di composizione tecnica del capitale.
Il saggio di profitto dato dal rapporto tra il plusvalore e il capitale complessivo anticipato:
r = S / (C + V)
Esempio. Consideriamo un processo produttivo in cui si produce 1 chilo di grano al giorno, con una giornata lavorativa di 8 ore (prendiamo la giornata lavorativa come unit
temporale di riferimento). Un chilo di grano incorpora dunque 8 ore di lavoro diretto [l =
8].
In aggiunta a queste 8 ore di lavoro diretto, supponiamo che siano necessarie altre 4 ore di
lavoro indiretto, incorporato nel grano utilizzato come semente, o capitale costante [C =
4].
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Il lavoro totale necessario alla produzione di 1 chilo di grano (M) allora pari a 12 ore. In
altri termini, 1 chilo di grano incorpora 12 ore di lavoro e quindi vale 12 ore di lavoro.
Il salario reale giornaliero, per una giornata lavorativa di 8 ore, sia pari a 1/2 di chilo di
grano.
Allora, il lavoro necessario a riprodurre la giornata lavorativa del lavoratore (fatta di 8
ore) pari a 6 ore [V = 6].
In altri termini, il mezzo chilo di grano che il lavoratore riceve come remunerazione della
giornata lavorativa, o capitale variabile, incorpora (vale) 6 ore di lavoro.
Il plusvalore (S) dunque pari a due ore di lavoro, cio alla differenza tra le 8 ore di
lavoro della giornata lavorativa del lavoratore (l) e le 6 ore di capitale variabile [S = l V
= 8 6].
Il saggio di sfruttamento () risulta quindi pari a [S / V = 2/8]. Con questi dati, lequazione del valore (M = C + V + S) la seguente: 12 = 4 + 6 + 2.
PLUSVALORE, PROFITTO E SFRUTTAMENTO
Esaminiamo la relazione tra saggio di profitto e saggio di sfruttamento:
r = S / (C + V)
r = (S/V) / (C/V + V/V)
r = / (COC + 1)
Dal confronto tra r e , Marx ricava tre proposizioni: 1. r > 0 > 0 2. r ; r = solo se C = 0 (ossia se non esiste capitale costante) 3. r cresce al crescere di .
LA TRASFORMAZIONE DEI VALORI IN PREZZI
Se i beni si scambiassero secondo i loro valori contenuti, in presenza di processi produttivi a diversa composizione organica del capitale, ma con uno stesso valore del capitale
anticipato (C + V), il plusvalore (S) risulterebbe differente nei diversi settori. Infatti, per
lipotesi di concorrenza tra i lavoratori, il saggio di sfruttamento () tende ad essere uniforme nei vari settori economici, il che significa che il plusvalore generato in ogni
settore proporzionale al capitale variabile anticipato (S = V). Ma, allora, se diverso il
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plusvalore, diverso anche il tasso di profitto (r) nei vari settori, visto che per ipotesi il
capitale totale anticipato nei diversi settori lo stesso.
La concorrenza tra capitalisti impone invece luniformit del saggio di profitto. Infatti il capitalista nel decidere i propri investimenti guarda al saggio di profitto, cio al profitto
per unit di capitale investito [S / (C + V)], e la concorrenza tra capitalisti tende a rendere
tale saggio uniforme. Perci, se i settori hanno diverse composizioni organiche del
capitale (Ci / Vi Cj / Vj), affinch possa realizzarsi un saggio del profitto uniforme [Si / (Ci + Vi) = Sj / (Cj + Vj)] il rapporto di scambio tra i beni (pi / pj) non pu riflettere il
rapporto tra i lavori contenuti (Mi / Mj). In altre parole i prezzi pi e pj non possono
coincidere semplicemente con i valori contenuti Mi e Mj, bens devono divergere da essi,
in modo tale da garantire luniformit del saggio di profitto (ri = rJ).
Il fatto che i prezzi relativi siano uguali ai valori relativi solo in una circostanza molto particolare (quella in cui la composizione organica del capitale sia la stessa nei due settori)
significa che, in generale, le merci non possono scambiarsi secondo i loro lavori contenuti.
Lo stesso problema pu essere posto affermando che, in ipotesi di composizioni organiche del capitale diverse nei due settori, se le merci si scambiassero secondo i loro lavori
contenuti, non potrebbe realizzarsi luniformit del saggio del profitto. Nello schema
marxiano, infatti, luniformit del saggio di profitto richiede che il prezzo del bene
prodotto nel settore a pi alta composizione organica del capitale sia maggiore del lavoro
contenuto nel bene stesso e che, viceversa il prezzo del bene prodotto nel settore a pi
bassa composizione organica del capitale sia minore del lavoro contenuto nel bene stesso.
LA SOLUZIONE MARXIANA
Marx ritiene che il problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione possa essere risolto mantenendo la derivazione del sistema dei prezzi a partire dal sistema dei
valori (operazione centrale nella metodologia marxiana) e analizzando il trasferimento di
plusvalore dai settori a bassa composizione organica del capitale verso i settori a pi alta
composizione organica del capitale come condizione necessaria per il livellamento dei
saggi di profitto settoriali.
Definendo C / V come la composizione media del capitale dellintera economia, Marx raggiunge le seguenti conclusioni:
1. se Ci / Vi > C / V pi > Mi ; se Ci / Vi < C / V pi < Mi.
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2. Trattandosi di una pura redistribuzione intersettoriale del plusvalore: i profitti totali
sono uguali al plusvalore totale.
3. Il valore complessivo delle merci rimane invariato se misurato in termini di lavoro
incorporato o di prezzi di produzione.
LERRORE DI MARX E LA SOLUZIONE CORRETTA
Nella letteratura marxista e non marxista, il problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione oggetto di acceso dibattito. Secondo linterpretazione standard di
tale dibattito, le tre conclusioni di Marx sono errate a causa di unincoerenza logica
dovuta al fatto che nelle equazioni di Marx i prezzi di produzione vengono introdotti per
valutare gli output del processo produttivo, ma non anche gli input (come se, in Marx, gli
input venissero pagati ai valori invece che ai prezzi di produzione).
La soluzione corretta del problema passa dunque per lapplicazione dei prezzi di produzione anche agli input (il primo economista a proporre tale modifica leconomista
russo Dmitriev, la proposta poi sviluppata da Von Bortkiewicz e da Sraffa).
Tuttavia, in tal caso, non c alcun bisogno di partire dai valori-lavoro: i prezzi possono essere applicati direttamente alle quantit fisiche delle merci, il che fa cadere la logica
marxiana secondo cui i valori precedono logicamente i prezzi e ne sono la causa profonda.
La teoria del valore-lavoro sarebbe in tal caso semplicemente sbagliata e inutile.
IL PROBLEMA DELLA TRASFORMAZIONE NEL DIBATTITO TEORICO
Il dibattito sul problema della trasformazione svolge un ruolo cruciale nel confronto tra approccio marxista e approcci alternativi. Secondo i critici pi radicali della teoria
marxista, il problema della trasformazione sufficiente a far cadere lintero edificio
teorico marxiano.
Una posizione meno radicale e pi coerente consiste nel lasciar cadere le implicazioni dellimpianto marxiano basate sulla teoria del valore-lavoro conservando tutte le altri parti
della teoria marxiana e marxista che non dipendono da tale teoria (alienazione, lotta di
classe, crisi, contraddizioni del capitalismo, materialismo storico, imperialismo, ).
Una terza linea, quella della trasformazione corretta, consiste nel modificare lanalisi marxiana dello sfruttamento sulla base della trasformazione di Von Bortkievicz e di
Sraffa, evidenziando comunque la contrapposizione di interessi tra la classe sociale dei
lavoratori e quella dei capitalisti. Ricordiamo infatti che, se si segue questimpostazione,
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valgono i risultati di Sraffa secondo cui esiste una relazione inversa tra saggio di salario e
saggio di profitto.
Contro queste posizioni, alcuni economisti marxisti difendono la trasformazione marxiana sostenendo che essa non incorpori alcuna incoerenza logica e che, al contrario, il vizio
logico sta in chi critica la teoria marxiana senza capirne la logica. Questi economisti
sostengono che la soluzione di Von Bortkievicz Sraffa risponde in realt ad una
domanda diversa da quella posta da Marx e che, invece, rispetto alla problematica
marxiana, la trasformazione pu essere risolta in modo coerente mantenendo la centralit
della teoria del valore-lavoro.
ESERCITO INDUSTRIALE DI RISERVA E CRISI
La teoria marxiana del salario basata sullesercito industriale di riserva. Nei periodi di espansione della domanda e della produzione, la concorrenza tra i capitalisti per
accaparrarsi i lavoratori fa crescere i salari. Laumento del prezzo della forza lavoro,
facendo diminuire il tasso di profitto, rallenta laccumulazione del capitale. Il ciclo si
inverte e si ha la crisi, la quale non deriva da sproporzioni nella crescita dei diversi settori,
ma dal fatto che la produzione realizzata non riesce ad essere venduta ai prezzi che i
capitalisti si attendevano. Con la crisi, diminuisce la domanda di lavoro e si riforma
lesercito industriale di riserva, ponendo le basi per una nuova fase di accumulazione.
Nel corso di questi cicli si modificano i rapporti tra le classi sociali: la formazione di associazioni dei lavoratori e dei padroni modifica i rapporti di forza esistenti e pu
allontanare il salario dal livello di sussistenza; inoltre il progresso tecnico, in periodi di
crescita salariale, tende a risparmiare lavoro.
La spiegazione marxiana della crisi, come crisi generale del sistema economico, radicalmente diversa dalle spiegazioni ortodosse che si basano sul presupposto che tutto il
reddito percepito dagli agenti del sistema economico sia speso. Secondo questultima
spiegazione, infatti, una caduta della domanda in un settore deve necessariamente
accompagnarsi ad una crescita della domanda in altri settori (dato che si esclude la
possibilit che il denaro possa essere tesaurizzato nel periodo corrente per essere speso in
periodi futuri), cosicch la crisi non sarebbe mai generale, ma solo settoriale.
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PRODUZIONE CAPITALISTICA E ALIENAZIONE
Nella critica del capitalismo, accanto al problema dello sfruttamento, Marx si sofferma sull'alienazione derivante dal processo di mercificazione.
Il processo produttivo ha due aspetti: processo lavorativo e processo di valorizzazione. Nel processo lavorativo, il lavoratore utilizza i mezzi di produzione (materie prime,
macchine, eccetera) per produrre valori duso, ossia beni utili a soddisfare determinati
bisogni.
Nel processo di valorizzazione, lo scopo della produzione la produzione di valori di scambio. Qui non loperaio che utilizza i mezzi di produzione, ma sono questi ultimi che
utilizzano loperaio.
Primo tipo di alienazione: i mezzi di produzione sono di propriet altrui. Nel sistema capitalista, il lavoratore produce beni che non gli appartengono; la sua vita dipende cos
da fattori esterni, che il lavoratore non controlla e che, attraverso il meccanismo
concorrenziale (che schiaccia il salario vero la sussistenza), si ritorcono contro il
lavoratore stesso.
Secondo tipo di alienazione: il lavoro non usa gli strumenti per i propri fini, ma esso stesso strumento di valorizzazione dei mezzi di produzione. La finalit ultima del sistema
diventa la produzione di valori di scambio e la valorizzazione del capitale (la ricerca del
profitto); il lavoro solo il mezzo attraverso cui questo fine viene realizzato.
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II
MACROECONOMIA
1. Problematiche macroeconomiche
[Bibliografia di riferimento: Sloman, capitolo 7]
OBIETTIVI MACROECONOMICI
La macroeconomia si occupa di quattro temi fondamentali: la crescita del prodotto, loccupazione, linflazione e i rapporti internazionali. A ciascun tema corrisponde un
obiettivo di politica economica: crescita continua e stabile, piena occupazione, stabilit
dei prezzi, equilibrio della bilancia dei pagamenti. Val la pena di notare che rispetto alla
problematica degli economisti classici e di Marx i problemi affrontati sono
completamente diversi: non si parla pi di distribuzione del reddito, di classi sociali, di
sfruttamento, di alienazione del lavoratore.
Per analizzare questi quattro obiettivi macroeconomici, consideriamo le componenti della domanda aggregata. La domanda aggregata data dalla spesa totale per lacquisto di beni
e servizi effettuata dalleconomia in un dato periodo:
Yd = C + I + G + X
Yd: Domanda aggregata
C: Consumo delle famiglie
I: Investimenti delle imprese
G: spesa pubblica
X: Esportazioni
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Attraverso gli strumenti di politica economica a disposizione del governo e della banca centrale possibile influenzare queste quattro var