Empatia
Io mi vedo come una persona empatica, soprattutto nei momenti più
difficili per gli altri, perché mi sembra che tutto questo potrebbe
accadere anche a me, ad esempio la morte di un parente o di un
familiare.
Mi ricordo di un episodio in cui sono stato “empatico”. Ero in vacanza
all’isola d’Elba, vidi una persona in difficoltà, mi misi a piangere da
quanto mi dispiaceva, allora ho chiesto a mio papà di poterla aiutare.
Successe, inoltre, in 5 elementare quando prendevo l’autobus, c’erano
dei bulletti che picchiavano un ragazzo e io lo difendevo mettendomi in
mezzo.
Mia mamma è una delle persone più empatiche che io conosca, perché
nei momenti più difficili, quando ero alla Bachelet, mi incoraggiava ad
andare avanti e mi consolava. Mia mamma, in quell’occasione, mi ha
trasmesso tanta sicurezza per superare quell’ostacolo.
L’empatia per me è un’abilità, quella di vedere le cose con gli occhi degli
altri e sentire le loro stesse emozioni. (Un ragazzo di 1 D)
Un nuovo compagno di
Classe Era lunedì mattina, suonò la sveglia alle 6.40, ma come ogni giorno mi
alzai alle 7.00. Ero stanco perché il giorno prima ero andato a dormire
tardi. Mi alzai dal letto strisciando e mi diressi in bagno a darmi una
rinfrescata, successivamente andai in cucina a fare colazione, ma
proprio in quel momento mia madre mi disse che sarebbe arrivato un
nuovo studente. L'idea non mi rallegrò molto, perché nella nostra classe
c'erano abbastanza problemi, come ad esempio il bullo Jeremy e il suo
gruppetto di leccapiedi, ma ero curioso di conoscere il nuovo compagno.
Arrivato in classe mi accorsi che il mio posto era occupato da Bunny,
nonché il nuovo alunno. Mi diressi verso di lui per dirgli che doveva
spostarsi. Si alzò, si scusò e, cercando un altro banco, inciampò nello
zaino di Jeremy, rompendo i suoi occhiali.
Soccorsi Bunny e lo portai al banco di fianco al mio, ma proprio in quel
preciso istante Jeremy prese il mio di zaino e lo rovesciò per terra.
Caddero il libro di scienze, il quaderno di italiano, l'astuccio e il
portachiavi delle principesse di mia sorella. Capii che per il resto
dell'anno mi avrebbe preso in giro, non mi preoccupavo di ciò, ma di
essere deriso da Camilla, la ragazza più carina della scuola. Era l'ora di
matematica, il prof iniziò a distribuire i libri usati dell'anno prima e,
credetemi, è davvero difficile studiarci. Dopo altre tre ore di estenuanti
lezioni, era finalmente ora di pranzo. Essendo lunedì, per pranzo c'erano
patatine fritte e pesce. Stavo addentando il pesce quando Bunny si
sedette vicino a me proponendomi di passare il pomeriggio da lui, gli
risposi di dover andare dai miei zii, anche se non era vero. Mi
dispiaceva, ma non volevo essere amico di una persona che indossava i
vestiti di mio nonno.
Il giorno dopo, entrato in classe, mi accorsi che non c'era Bunny, il che
non mi fece né caldo né freddo, ma dopo cinque minuti, mi resi conto
che mi mancava. Scesi in giardino a cercarlo, lo trovai steso per terra,
circondato da Jeremy e dal suo gruppetto che gli tiravano calci,
inizialmente non sapevo cosa fare e, quindi, pensai che la cosa più giusta
era scappare.
Poi capii che poteva diventare il mio unico, vero e speciale amico e che
era in pericolo. Mi immedesimai in lui indifeso e sofferente, quindi mi
precipitai verso Jeremy e lo spinsi. Si rialzò subito e mi tirò un pugno, io
caddi per terra vicino a Bunny. Dopo dieci minuti il professore di arte ci
salvò portandoci in infermeria. Dopo quell’episodio terribile,
diventammo amici inseparabili e fu la cosa migliore che mi accadde in
tutto l'anno.
(Un racconto di Nermin 1D )
UN PIATTO D’AMORE
Vi parlerò dell’empatia,
proprio tramite questa poesia.
“Forza tesoro fai un assaggio,
non ho messo apposta formaggio”
disse la mamma che è una maestra
nel cucinare la sua minestra.
“Non mi piace già sento l’odore”
rispose il figlio di malumore.
“Sai che per me è una schifezza!”
disse il bimbo con amarezza.
La faccia di lei triste e stanca
sembrò per quella risposta franca.
Gli occhi di lui super attenti,
smisero di essere prepotenti.
Fece un assaggio con poca fatica
e non sembrò cambiargli la vita.
Ecco qua un bel sorriso
le illuminò subito il viso.
Così un abbraccio ci fu,
amore e gioia sempre più.
Ci vuole un po’ di comprensione
per trovare la giusta soluzione! (Francesca 1 D)
IL DONO
Questa è la storia di Benjamin. Benjamin era un
ragazzo di sedici anni che viveva in America. Suo
padre era un uomo ricco con una villa gigante, auto
supercostose e oggetti di molto valore, inoltre era
il sindaco di Boston. Benjamin aveva sempre
disprezzato gli uomini poveri, senza vestiti eleganti.
Frequentava un college molto costoso. Un giorno
mentre camminava per le strade di Boston vide una
vecchia donna che chiedeva l’elemosina, la signora
gli baciò la scarpa. Benjamin arrabbiatissimo disse:
“Come osi sporcare la mia scarpa con le tue labbra
sporche , vecchia! Ora vedi”. Prese il bicchiere dalle
mani della donna con dentro due spiccioli e lo buttò
nel cestino. Il cielo si oscurò e la vecchietta
cominciò a ridere
dicendo:
Da adesso in poi sentirai tutte la emozioni della gente che ti sta accanto e che tu toccherai. Fino a quando non imparerai a essere EMPATICO!
La donna scomparve, Benjamin spaventato corse a
casa. Suo padre era seduto sulla poltrona, il
ragazzo si avvicinò e sentì come una sensazione di
tristezza e di paura senza motivo. Il padre si mise a
piangere. Benjamin si girò e dalla finestra vide la
vecchietta che rideva, poi scomparve. Di nuovo.
Forse il ragazzino aveva capito, la maledizione si
era avverata. La mattina seguente andò a scuola e
vide Nicola il secchione della scuola, preso di mira
dai bulli, ma lui rideva. Benjamin si avvicinò, sentì
solitudine e tristezza, allora mandò via i bulli, che
non si misero contro il figlio del sindaco. Nicola si
alzò e ringraziò Benjamin, riprese i libri e andò in
aula. Benjamin fu stupefatto dalla sensazione che
provò dopo aver salvato Nicola, si sentì felice. Il
pomeriggio ricevette una brutta notizia il padre era
malato di un cancro terminale. Fu costretto ad
andare a vivere dai suoi zii. A quel punto Benjamin
non sentì piu’ nulla, senza il padre e la madre che
era morta durante il parto. Il giorno seguente
Nicola salutò Benjamin in corridoio, Benjamin
sofferente per il padre gli sferrò un pugno. Riusciva
a provare solo rabbia.
I giorni passarono e arrivò la notizia della morte
del padre, la villa fu demolita, gli oggetti requisiti,
lo zio si prese le auto del padre, a mensa tutti lo
lasciarono da solo, perché senza suo padre lui non
era niente… Ormai cosa rimaneva a Benjamin!? Non
lo sapeva ma il suo dono, il potere speciale che la
vecchia gli aveva donato, poteva salvarlo dalla
grande solitudine in cui era caduto.
Una mattina, infatti, andando a scuola incontrò un
bambino che era seduto accanto a un palo e
chiedeva l’elemosina, allora senza esitare tirò fuori
il portafoglio e gli diede qualche spicciolo. Il bimbo
sorrise e Benjamin si sentì in pace. A scuola c’era
un nuovo compagno Gaetano, seduto sulla sedia a
rotelle: occhiali, pugni stretti, braccia lunghe, ma
gambe molto corte. Non aveva problemi mentali,
anzi era molto intelligente. Tutti lo prendevano in
giro e lui si sentiva diverso. Un giorno un ragazzino
lo prese in giro chiamandolo “scherzo della natura”,
tutti risero tranne Benjamin. In quelle risate
Gaetano riuscì a trovare il sorriso di Benjamin e da
quel pomeriggio i due divennero molto amici,
ridevano e scherzavano insieme e non si sentivano
più soli.
Benjamin capì che essere empatico non è una
maledizione anzi è un dono, che in pochi hanno. Il
cielo si oscurò e arrivò la vecchia: ”Non me l’
aspettavo ragazzino, non da te, comunque sono
pronta a toglierti la maledizione e….” Benjamin la
fermò e le disse “Ferma, non è una maledizione
ma un dono, ti prego non togliermelo! Anzi,
grazie, mi hai fatto scoprire una cosa
importante: solo col CUORE si può vedere
veramente, provando EMPATIA”. Si ricordò che
aveva letto da qualche parte che” l’essenziale è
invisibile agli occhi , non si vede che col cuore” e
finalmente ne aveva compreso il vero significato.
Gabriele 1D
LA MORALE DI QUESTA STORIA E’ DI ESSERE EMPATICI NEI CONFRONTI DEGLI
ALTRI, DELLE PERSONE CON HANDICAP FISICI O MENTALI, DEI POVERI, O PIU’
SEMPLICEMENTE DEI NOSTRI GENITORI CHE FANNO MOLTI SACRIFICI PER NOI.
PER ME EMPATIA VUOL DIRE METTERSI NEI PANNI DEGLI ALTRI E PROVARE I
LORO SENTIMENTI AVENDO COMPASSIONE.
⛈Progetto Raggio Di Luce
.
FILASTROCCA
Il sole appena sorto cosa prova la luna non lo sa, ma nel buio più profondo presto lo scoprirà. L' empatia con tanta allegria porta sempre magia. Insieme ci aiutiamo , e le difficoltà superiamo. Un gruppo unito siamo , e nessuno abbandoniamo. Sempre pronti ci troviamo, davanti agli ostacoli non ci arrendiamo. Della tristezza non abbiam paura, grazie all’ amicizia la trasformiamo in fortuna. Da supereroi con empatia agiamo. Della resilienza , l'empatia ne è l' essenza. Adesso cosa aspettate? Presto subito andate ! Tanta gente contagiate con allegria e tante risate!
(Aurora e Sofia 1D)
FILASTROCCA
FILASTROCCA
L'empatia è amica mia. I miei compagni insieme mi aiutano a star bene. Tutti pieni di allegria fan la tristezza andar via. Solo grazie all'empatia. siam felici, siam contenti e lo dobbiam agli insegnamenti di maestri e conoscenti L'empatia. è amica mia. Nei panni del prossimo dobbiamo stare, essere sempre pronti ad aiutare. Nella vita degli altri vogliamo entrare, insieme poterci consolare. Per finire ci dobbiam divertire, tutti quanti a proprio agio si devon sentire Questa è l'empatia secondo noi, e adesso tocca immaginarla a voi (Aurora e Sofia 1D)
L’EMPATIA È LA CAPACITÁ DI COMPRENDERE APPIENO LO STATO
D’ANIMO ALTRUI SIA CHE SI TRATTI DI GIOIA CHE DI DOLORE.
IL SIGNIFICATO DEL TERMINE, DUNQUE, È SENTIRE LO STATO D’ANIMO
DELLA PERSONA CON CUI SI VIENE IN CONTATTO.
C’era una volpe di nome Ariel che non era come le altre di
colore rosso, ma di due colori: rosso e nero, per questo motivo
veniva esclusa da tutti e piangeva sempre quando tornava a casa,
nella sua tana.
Un giorno arrivó un’altra volpe di nome Agatha, sia bianca che
rossa, che fece amicizia con lei perché la capiva e sentiva che
stava male dentro, anche se non lo faceva vedere. Poteva
comprendere quanto era difficile per lei la sua condizione,
perciò sembrava un’ottima compagna.
Passarono gli anni e diventarono migliori amiche.
Si divertivano tanto insieme, ridevano, scherzavano e tutti le
invidiavano.
Cosí le altre volpi si accorsero di cosa si stavano perdendo.
Piano piano una terza volpe di nome Cleo, che si era unita a
loro, riuscí a far cambiar idea alle altre.
Quando accadde, tutte le volpi incluse Ariel e Agatha, si
ritrovarono a giocare insieme nel bosco.
In questo modo diventarono tutte amiche e, da quel giorno, non si staccarono piú.
Ariel non aveva motivi per piangere, Agatha riusciva a capire che stava bene e che era felice quando stava con loro. (Sara e Gaia 1D)
Empatia: le mie riflessioni e un racconto
Prima di iniziare questo tema ho più volte chiesto ai miei genitori di spiegarmi il
significato della parola “empatia”. Guardando anche sul vocabolario, la
spiegazione non è facile da capire per un ragazzo della mia età. Infatti trovo
scritto: “E’ la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui, sia che
si tratti di gioia, che di dolore. Il significato etimologico del termine è sentire
dentro, ad esempio mettersi nei panni dell’altro, ed è una capacità che fa parte
dell’esperienza umana ed animale”.
Dopo aver letto il concetto insieme ai miei genitori, ci avevo ancora capito poco.
La frase del vocabolario diceva anche che è una capacità che si sviluppa con
l’esperienza: come potevo capire io, che sono ancora poco più di un bambino, cosa
potesse essere una cosa che si sviluppava con l’esperienza e quindi con l’età. La
confondevo poi con la simpatia, una parola per me più semplice che associo in
genere ai miei amici o alle persone che conosco. Alcuni sono simpatici e mi fanno
ridere, altri invece sono meno simpatici.
Poi mio padre mi ha detto una frase che ricordo ancora. Tu puoi far ridere un
altro bambino per una battuta che fai, ma non è detto che lo hai reso felice. Non è
quella l’empatia. L’empatia viene usata anche da alcuni medici per aiutare i
bambini che hanno delle disabilità soprattutto fisiche. E’ la capacità di capire il
loro stato d’animo, di mettersi nelle loro condizioni e capire cosa provano. Prova a
pensare di esser loro e comportati di conseguenza. Quelle parole mi hanno fatto
capire in un istante quale era il tema dell’empatia e quindi quale era il “tema del
tema” che dovevo esprimere in questo lavoro per l’associazione Raggio di luce.
Ho capito che forse, chi ha una disabilità fisica ha solo una disabilità fisica, ma
se noi bimbi e ragazzi riusciamo ad entrare in sintonia con loro, ci divertiamo tanto
tutti insieme. Forse avevo capito che cos’era l’empatia, ma non la sapevo davvero
spiegare.
Paolo Manfredi è un ragazzo di 13 anni che vive a Falerna, il paese in provincia di
Catanzaro sul mar Tirreno dove ogni anno trascorro le mie vacanze estive. E’ un
ragazzo disabile, biondo con gli occhioni grandi, ma con movimenti un po’ strani
delle braccia. Vive nella casa accanto a quella dei miei nonni. In Calabria tutti i
vicini si comportano come parenti: i miei nonni conoscono bene la famiglia di
Paolo e, quando vado in Calabria, spesso vado a casa sua a trovarlo. E’ un super
appassionato di grandi velieri militari. Costruisce dei modellini riproducendoli nei
minimi particolari. Vorrei tanto saper fare anch’io quello che riesce a fare Paolo.
Lui compra dei fogli di legno sottilissimi da cui, con un piccolo seghetto, ricava dei
piccoli pezzetti di legno per costruire lo scafo, le ringhiere del pontile, l’albero
maestro. Compra la stoffa e chiede alla mamma, che ha la macchina da cucire
antica col pedale, di produrre delle piccole vele. Poi se ne va nella sua piccola
cameretta e in quella stanza passa intere giornate con il suo modellino. Io ogni
tanto passo da lui, ma non ci sto tanto, perché poi ho voglia di andare a giocare.
Lui invece, non potendo giocare, lavora sul veliero. Un giorno l’ho aiutato a
montare dei piccoli cannoncini sul lato dello scafo. Lo ha fatto incollare a me. Ero
felice di aver costruito una parte del veliero.
Lo scorso anno ha concluso il suo lavoro più importante: l’Amerigo Vespucci.
Ricordo l’immagine di quella nave: era perfetta. Ogni singolo particolare era
curato. Aveva persino collegato il timone all’aletta dietro la nave, credo si dica
poppa. Sembrava pronta per andare sul mare. Mi ricordo che mi raccontò la storia
di quel veliero dicendomi che era il vanto della nostra Marina Militare.
La sua mamma allora organizzò una festa con altri ragazzi e i genitori per
festeggiare quel lavoro. Lui girava per la stanza con il veliero appoggiato sulle sue
esili e sottili gambe, spingendo con le mani le ruote della sua carrozzina. Poi si
fermava, prendeva il veliero e lo muoveva su e giù facendo con la bocca il verso del
mare e della barca che si muoveva in mare.
Lui sembrava felice, ma io lo vedevo triste. Parlando con lui avevo capito, anche
senza che lui me lo dicesse, quale era il suo sogno. Parlava sempre del mare, delle
vele che col vento si gonfiavano e spingevano la barca. E quando parlava si
fermava e alzava lo sguardo come se sognasse. Il suo sogno era quello di salire su
una barca a vela.
Alla fine della festa mi avvicinai alla sua mamma chiedendole se potevamo far fare
insieme un giro in barca. Ma sua mamma mi disse che, purtroppo, era troppo
pericoloso e che a Paolo bastava guardare la televisione per capire cosa si provava
su un veliero.
Tornato a casa la sera, ne parlai ai miei genitori, che riuscirono a convincere i
genitori di Paolo a fare una gita sull’isola di Vulcano.
Ricordo il viaggio in macchina fino a Villa San Giovanni, poi la traversata dello
Stretto e lo sbarco a Messina. Da Messina arrivammo a Milazzo. A Milazzo c’erano
degli aliscafi che ci trasportarono sull’isola dove avevamo affittato un residence.
Paolo sapeva solo della vacanza, ricordo già la sua felicità quando salì sull’aliscafo.
Il giorno dopo lo portammo in spiaggia dove avevamo affittato per tutta la
giornata una barca a vela. Quando Paolo la vide spalancò gli occhi. I signori che
erano sulla barca, lo fecero salire legando la carrozzina. La barca aveva cinque
vele e un grande timone come quelle che si vedono in televisione in mano ai
nostromi. Quando girarono la barca, le vele si gonfiarono e la barca partì per il
giro delle altre Isole vicine.
Ricordo il rumore del vento contro le vele e i due proprietari che strillavano delle
parole tirando delle lunghe corde. Paolo era al timone insieme a suo padre, ci stava
guidando. Il viso di Paolo cambiò. La sua bocca si aprì per la meraviglia, il vento
gli spostava i capelli indietro, sentivo le sue urla di gioia. Sentendo le sue urla, io
chiusi gli occhi. Sentivo anch’io il vento tra le dita, l’aria fresca che mi passava sul
viso, il rumore dell’acqua spostata dalla barca. E fu allora che provai una
sensazione di libertà, che sono sicuro stava provando anche lui. Era la stessa, ero
felice come lui. Stavo provando le sue stesse emozioni. Avevo capito in quel
momento che, come Paolo, stavo ridendo ed ero felice, non perché lui era
simpatico ma per qualche altra cosa che qualcuno chiama empatia…ma non
chiedetemi di spiegarla.
Francesco 1D
L’empatia
È una caratteristica, una sensazione,
ti fa comprendere degli altri l ’ emozione.
Se in quel momento puoi aiutare,
o semplicemente con il silenzio consolare.
Puoi averla di natura o puoi svilupparla,
puoi tenerla da parte o provare ad usarla.
Puoi capire se è il momento di donare un sorriso,
o semplicemente asciugare una lacrima da un viso.
Spero che questa poesia vi sia piaciuta,
e la poetessa con un abbraccio vi saluta
(Una ragazza di 1D)
DUE FELINI… DUE DESTINI !! Nel 2015 Ginevra andò in vacanza a Parigi, insieme al suo gatto Figaro,
ospite dell’amico Leonardo.
Per quindici giorni i due ragazzi visitarono le varie attrazioni della città.
Il tempo passò veloce e, per Ginevra, giunse il giorno del rientro. Una volta
arrivata in aeroporto, dalla fretta, smarrì il gatto.
Allora, consapevole che avrebbe perso l’aereo, preferì tentare di ritrovare
Figaro e, per questo, non le restava che chiedere aiuto a Leonardo.
Tornata dal suo amico, gli raccontò l’accaduto, ma lui si innervosì, l’accusò di
essere stata un’irresponsabile e non volle aiutarla. A quel punto Ginevra,
offesa, rientrò a casa sua, sostenendo che non gli avrebbe mai più rivolto la
parola.
L’anno dopo Leonardo si trasferì a San Francisco per avvicinarsi alla sua
famiglia, in particolare alla cugina Marica che lavorava in uno zoo. Lei era
l’addetta alla gabbia delle tigri con cui familiarizzava molto e alle quali era
molto affezionata. Un giorno una delle tigri, Cybil , la sua preferita, scappò
dallo zoo. Marica, disperata, si rivolse a Leonardo che, ricordandosi
dell’esperienza con Ginevra, si rese conto che, in quell’occasione, il suo
comportamento poco solidale e disponibile gli aveva fatto perdere un’amica.
Per non rifare lo stesso errore, non accusò Marica, anzi la consolò,
mettendosi nei suoi panni. Poi l’aiutò, mettendocela tutta, a cercare la tigre.
Dopo aver percorso varie strade della città, trovarono Cybil in un vicolo, ma
non sola. Infatti la tigre era insieme a tutti i suoi piccoli tigrotti appena nati.
Marica era felicissima di aver ritrovato Cybil e, ancora di più, di avere un
cugino così affidabile.
Leonardo, a sua volta, era contento e soddisfatto per come si era comportato
aiutando la cugina e facendola stare bene. Avrebbe dovuto darsi da fare allo
stesso modo con Ginevra! Chissà se aveva poi ritrovato Figaro!?
(Gianluca 1 D)
Era un giorno d’autunno
Un bambino passeggiava entusiasta e molto felice in giro per
Milano, insieme ai suoi genitori. Ad un certo punto arrivò
nella piazza del duomo.
L'ambiente era grande, molto affollato. C'erano un sacco di
famiglie che passeggiavano come loro. Il duomo era enorme e
c'erano anche dei palazzi molto particolari. Successivamente,
il bambino, vide sotto il portone di un palazzo, un signore
dall'aspetto sporco, disteso per terra.
In quel momento la felicità del bambino cominciò a
trasformarsi in tristezza, perchè provava pena per quella
povera persona.
Avrebbe voluto portarlo a casa con lui per fargli fare un
bagno, dargli da mangiare perchè sembrava affamato e,
soprattutto, per farlo sentire meglio.
Allora chiese ai suoi genitori se potevano invitarlo a casa, ma
loro risposero che non se la sentivano di assumersi un
impegno tanto grande.
Così il bambino tornò a casa un po' triste.
Quella notte fece un sogno molto strano, che però lo consolò.
Sognò di vivere in una casa abbastanza grande per ospitare i
senzatetto ed aiutarli ad avere una vita migliore.
Ancora oggi quel bambino vorrebbe realizzare il suo sogno
perchè crede che tutto puo’ diventare realtà… e magari ci
riuscirà. (Dereck 1D)
IL BRANCO DEI DODO
Durante l’era glaciale nacquero dei cuccioli di dodo,
tra loro era compreso Rudy.
Fin dalla nascita il cucciolo era diverso, piuttosto
piccolo rispetto alla norma e quindi faceva fatica a
fare anche le cose più semplici, tipo procurarsi il cibo.
Venne il cambiamento climatico, il suo branco doveva
migrare verso posti più caldi, ma durante il percorso
cadde in una buca troppo grande per lui e, quindi,
non riuscì ad uscire.
Rudy cadendo si fece male. Un cucciolo di nome Pachi
lo vide e lo tirò fuori, prendendolo in spalla. Chiamò
gli altri che aiutarono Rudy, accerchiandolo per non
farlo uccidere dai predatori. Durante il viaggio Rudy
resistette fino alla fine anche se, strada facendo,
trovarono dei mammut inferociti che riuscirono a
seminare. Grazie al loro coraggio, i cuccioli ebbero
successo nell’intento di salvare Rudy e se lo fecero
amico. Quando arrivarono a destinazione, i nuovi
amici lo sostennero ogni volta che c’era qualcosa che
lui non poteva fare.
Ormai rassicurato, Rudy fece nuove amicizie. In caso
di bisogno, non sarebbe mai più stato solo.
(Due ragazze di 1D)