Il supervisore di tirocinio:
conduttore di un racconto
e promotore di innovazionea cura di
Paola Beltrame
e Marisa Michelini
dedicato aLoredana Cicuttini
Università degli Studi di Udine
Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento
nella Scuola Secondaria (SSIS)
Il supervisore di tirocinio: conduttore di un raccordo e promotore di innovazione
dedicato a Loredana Cicuttini
CuratoriPaola Beltrame e Marisa Michelini
Comitato scientifi coMichelini Marisa, Direttore SSIS e Coordinatore Indirizzo F.I.M. Gaudio Angelo, Rappresentante Commissione TirocinioCottini Lucio, Rappresentante Commissione SostegnoAlbarea Roberto, Coordinatore area Comune e trasversale Griggio Claudio, Coordinatore Indirizzo linguistico letterarioDe Luca Anna Pia, Coordinatore Indirizzo Lingue StraniereFava Giancarlo, Coordinatore Indirizzo Scienze NaturaliDecio Laura, Rappresentante SupervisoreRusso Alessandra, Rappresentante SupervisoreScuor Alessia, Rappresentante corsisti primo anno
Comitato di RedazioneDecio Laura
Di Nisio Rosalia
Dorigo Ermes
Filipozzi Giovanni
Russo Alessandra
Zilli Annamaria
Gobbo Francesco
Giacometti Giorgio
Pistolato Francesco
Ellero Tiziana
Beltrame Paola
Magri Silvia
Querini Patrizia
Segreteria redazionaleBeatrice Tommasi
Florindo Ermanno
Cristina Cassan
Università degli Studi di UdineScuola di Specializzazione per l’Insegnamentonella Scuola Secondaria (SSIS)
© Copyright Università degli Studi di Udine
ISBN 978-88-97311-30-0
Finito di stampare nel mese di febbraio 2010
LithoStampa - Pasian di Prato (Udine)
INDICE
Presentazione e Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5
Marisa Michelini e Paola Beltrame
1. La fi gura del Supervisore alla SSIS dell’Università di Udine . . . . . . . . . » 15
Ermes Dorigo, Giovanni Filipozzi, Marisa Michelini
2. Orientamento formativo in ambito naturalistico tramite
esperienze sul campo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 19
Laura Decio e Francesco Gobbo
3. Lingua straniera, testi multimediali e analisi del discorso . . . . . . . . . . . » 29
Rosalia Dinisio
4. Portare la fi sica quantistica nella scuola attraverso
la formazione iniziale degli insegnanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 40
Mariangela Conzato e Alberto Stefanel
5. Motivare alla lettura: un’esperienza tra la SSIS,
la Scuola e la Biblioteca Civica “V. Joppi” di Udine . . . . . . . . . . . . . . . . . » 54
Fabiana di Brazzà
6. Progetto “Tirocinio in L2” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 69
Anna Maria Zilli
7. Una rifl essione sulla storia insegnata fra un docente supervisore
ed un’insegnante accogliente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 80
Alessandra Russo e Fiammetta Bonsignore
8. Ragionare in rete. Pratiche fi losofi che e tecnologie
della comunicazione a scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 88
Giorgio Giacometti
9. La Kinderphilosophie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 99
Annalisa Filipponi
10. Il supervisore e le sfi de delle esigenze didattiche: i disturbi specifi ci
dell’apprendimento e la preparazione ai tirocini disciplinari . . . . . . . . » 115
Claudia Bruno e Patrizia Querini
11. Il tirocinio di sostegno, una risorsa per la scuola accogliente . . . . . . . . » 125
Paola Beltrame
12. Ricordo di Loredana Cicuttini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 137
5
Presentazione e Introduzione
Marisa Michelini e Paola Beltrame
L’Italia è stato uno degli ultimi Paesi al mondo ad istituire la formazione degli insegnanti
con la legge 341/90 e ci sono voluti altri otto anni perchè cominciasse a venire attuata. Per la
formazione degli insegnanti secondari si è dovuto aspettare il 2000. Molte sono le ragioni di
questo ritardo e non è forse questa la sede per discuterne: è certo però che tali ragioni hanno
infl uito sull’attuazione della normativa che, ancor oggi, si può dire essere una delle migliori
nel contesto internazionale sotto il profi lo del quadro teorico di riferimento. Gli elementi
più qualifi canti del progetto italiano sono la formazione degli insegnanti a livello univer-
sitario con percorsi distinti per la scuola dell’infanzia e primaria e per la scuola secondaria
di I e II grado, quest’ultima mediante una Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento
Secondario (SSIS) pensata dopo una laurea di formazione disciplinare (magari breve invece
che di secondo livello come di fatto si è collocata) con quattro aree di formazione dello
stesso peso ed integrate per la formazione della professionalità docente, quella di didattica
disciplinare, quella laboratoriale e quella situata con un tirocinio preparato nel contesto
formativo, con ricaduta sia nella scuola che nell’università in termini rifl essivi. Il tirocinio è
visto come momento formativo centrale che raccoglie la formazione psicologica, pedagogica,
sociale e di didattica disciplinare in laboratori che lo preparano e rifl ettono sui processi di
apprendimento attivati nel tirocinio. Il tirocino che attiva fi gure nuove come i supervisori,
che da insegnanti esperti accompagnano e preparano l’esperienza dei novizi collaborando
con gli insegnanti accoglienti.
Il tirocinio è il fertile contesto per una nuova collaborazione tra la scuola e l’università:
una occasione di unica, non sempre compresa e fertilizzata, ma straordinaria nella ricchezza
di competenze differenziate che vi si incontrano.
La mancanza di una struttura defi nita di Ateneo di riferimento, la precarietà dei docenti
coinvolti, le limitate competenze nella formazione degli insegnanti hanno reso diffi cilissima
l’auspicata integrazione tra le quattro aree formative ed un po’ isolato il tirocinio di fronte
ad una scuola poco coinvolta istituzionalmente e quindi con le più diverse rappresentazioni
rispetto alla nuova esperienza.
I supervisori, fi gure di raccordo scuola – università per eccellenza, hanno dovuto inven-
tarsi regolamenti, modalità di lavoro e di interazione con i docenti universitari, gli studenti
e gli insegnanti accoglienti.
Fortunatamente sono stati sempre persone di grande valore: vincitori di un concorso di
selezione duro sulla professionalità, esperte nella formazione di colleghi e nella conduzione
di progetti innovativi.
Questo contesto ha attivato anche all’Università di Udine una comunità di persone
straordinarie, molto diverse tra loro per stile, professionalità e competenza disciplinare, ma
accomunate dalla capacità di innovare, di mettersi in sfi de nuove e impegnarsi senza riserve,
convinte della nuova mission che è tanto più impegnativa quanto meno defi nita e fl essibile.
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Questa comunità solidale e operativa ha sostenuto un lavoro staordinario in cui le discus-
sioni di idee e le rifl essioni hanno fatto evolvere tutto il corpo docente interno ed esterno.
Loredana Cicuttini era una delle persone di questa comunità di supervisori: dolce, attiva,
paziente, capace, tenace, competente, disponibile, operosa. Il suo contributo è stato grande
e si è integrato in tutta la comunità della formazione insegnanti. È stato un dolore ed un
dramma per tutti perderla.
Ecco allora che abbiamo voluto dedicarle ciò che di più professionalizzante e vicino a lei
ha avuto fi nora la formazione degli insegnanti.
Questo volume raccoglie i migliori lavori che i suoi colleghi supervisori hanno svolto: li
descriviamo brevemente in questa introduzione.
Precede la rassegna dei contributi “La fi gura del supervisore alla SSIS dell’Università di
Udine”: defi nito l’inquadramento normativo istitutivo della Scuola di Specializzazione per
l’Insegnamento Secondario e le relative aree in cui consiste il processo formativo, si delineano
ruolo e compiti dei supervisori di tirocinio (SVT); segue una descrizione delle attività da essi
coordinate, distinte fra quelle che ciascuno svolge collegialmente nel team dei supervisori,
quelle rivolte individualmente ai corsisti, e altre di raccordo con gli istituti scolastici. Un’e-
sperienza stimolante e arricchente quella del supervisore, che spesso opera in situazione di
“frontiera” per la delicatezza delle numerose, varie, complesse, inedite forme di relazione
e situazioni in cui viene a trovarsi e che deve gestire con professionalità rigorosa e compe-
tente, nello stesso tempo fl essibile e disposta all’innovazione: su questi nodi il contributo “La
fi gura del supervisore” propone infi ne rifl essioni e problemi aperti, non senza uno sguardo
in prospettiva sullo status del SVT e sul futuro di questa singolare, irrinunciabile funzione.
Segue il primo dei contributi, “Orientamento formativo in ambito naturalistico tramite
esperienze sul campo”, a cura dei SVT Laura Decio e Francesco Gobbo: si tratta del reportage
su una scuola estiva denominata “progetto Preone”, dalla località in cui l’esperienza è stata
realizzata, nell’ambito dei progetti collaborativi promossi e sostenuti dalla Commissione
Raccordo Università e Scuola (CRUS) nell’a.a. 2005/06.
Dall’articolo emerge che, tra le materie che caratterizzano il Liceo Scientifi co, assumono
una particolare rilevanza quelle legate alle discipline scientifi co-naturalistiche che inoltre,
forse più di altre, necessitano di attività sul campo per essere dovutamente inquadrate dallo
studente. È qui che è nata l’opportunità di proporre a studenti interessati una settimana di
approfondimento teorico e di attività pratiche su argomenti naturalistici.
La comprensione delle proprie attitudini parte sicuramente dall’approfondimento teorico
di tematiche di interesse dell’allievo, ma non può prescindere anche dal suo “saper fare”, che
si sviluppa nell’applicazione e nell’esplorazione delle metodologie proprie delle discipline
oggetto di studio. In quest’ottica è stata proposta agli studenti una esperienza che ha dato
loro la possibilità di costruirsi una idea più coerente con la realtà delle professioni legate
alle scienze naturali.
Il lavoro sul territorio è stato sostenuto da un ambiente collaborativo a distanza messo
a disposizione dall’Università degli Studi di Udine.
L’attività sul campo si è svolta a Preone dal 21 al 26 agosto 2006, con l’utilizzo delle
strutture del Comune di Preone (Museo Naturalistico e Laboratori annessi), la visita agli
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ambienti naturalistici della zona e indagini sul campo (rilievi topografi ci, escursioni natura-
listiche, raccolta di minerali e rocce, osservazione di fossili, analisi dell’ambiente naturale),
sotto la supervisione di alcuni docenti del Liceo Scientifi co Copernico e la partecipazione di
docenti universitari dell’Università di Udine ed altri esperti del settore. Sono stati coinvolti
nella progettazione e nella realizzazione delle attività sul campo due studentesse della SSIS
di Udine.
Rosalia Di Nisio, SVT per l’area linguistico-letteraria, che ha seguito gli specializzandi in
Inglese, propone uno studio dal titolo: “Lingua straniera, testi multimediali e analisi del discorso”.
L’articolo intende documentare l’impegno congiunto del supervisore e dei tirocinanti, perché
si superi nell’ambito della lingua straniera un approccio meramente strumentale all’appren-
dimento di strutture grammaticali e di funzioni isolate dalle intenzioni comunicative, di
conseguenza lontane dalla complessità della comunicazione in una società multimediale. In
alternativa l’azione della SSIS nei riguardi della progettualità didattica è volta a fare dell’analisi
testuale un momento di rifl essione sulla complessità della comunicazione oggi; persegue
nello stesso tempo una fi nalità educativa, grazie all’incoraggiamento di un atteggiamento
critico verso il messaggio multimediale, e una fi nalità disciplinare, grazie all’apprendimento
linguistico maggiormente consapevole dei vari livelli della comunicazione.
Si tratta dell’uso di testi autentici, spesso televisivi, della loro lettura secondo vari aspetti
della lingua, dell’individuazione della coerenza tra gli stessi, per giungere, infi ne, alla scoperta
della funzione ultima del messaggio.
In questa prospettiva il ruolo del supervisore è fondamentale per realizzare in classe un
tipo di attività che gli stessi docenti accoglienti possono ritenere a priori impossibile da realiz-
zare. Si tratta, cioè, di sostenere attraverso l’orientamento del tirocinante e, successivamente,
attraverso l’incontro programmatico con l’insegnante di classe, la rottura di una routine
professionale ancora basata sull’insegnamento strutturale-grammaticale, sull’immagine
stereotipata di un alunno incapace di affrontare in lingua straniera una maggiore complessità
di lettura, infi ne sulla prevalenza del testo non autentico, spesso di natura solo cartacea.
“Portare la fi sica quantistica nella scuola attraverso la formazione iniziale degli insegnanti”:
Mariangela Conzato, abilitata SSIS, e Alberto Stefanel, SVT dell’area FIM-Fisica, discutono
un’esperienza di tirocinio in fi sica su due piani: quello del ruolo del supervisore di area nella
realizzazione di sperimentazioni di tirocinio su un tema di fi sica moderna come la meccanica
quantistica (MQ); quello dell’esito della sperimentazione a scuola. La specifi ca esperienza
si caratterizza come esito del percorso formativo effettuato nella SSIS e in particolare delle
attività di laboratorio esperienziale realizzate in area A3. Si presentano brevemente i caratteri
generali del modulo formativo biennale in cui sono state inserite sia le attività laboratoriali,
sia quelle di progettazione didattica e messa a punto dei materiali da utilizzare in classe.
La fase di progettazione, integrata nella formazione degli specializzandi, è stata profi cua
grazie al tutoring effettuato dal supervisore in collaborazione con il docente referente di
area per lo sviluppo di aspetti innovativi rispetto al percorso di riferimento, messa a punto
di esperimenti, controllo di coerenza dei progetti e dei materiali.
L’analisi degli esiti fa emergere la qualità delle sperimentazioni effettuate e fornisce
una valutazione delle competenze professionali acquisite dagli specializzandi che le hanno
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condotte. Esse si caratterizzano infatti come vere e proprie sperimentazioni pilota di un
percorso innovativo. I risultati, emersi dall’analisi degli apprendimenti degli studenti, costi-
tuiscono un signifi cativo riscontro all’effi cacia della strategia formativa adottata, ovvero
delle competenze professionali sviluppate dai tirocinanti per esempio in merito ai nodi
affrontati, attenzione dedicata alla dinamica del processo di insegnamento-apprendimento,
competenze sviluppate nella progettazione di sequenze, percorsi didattici, strumenti per la
didattica. Si tratta di abilità che non fanno parte dell’ordinario bagaglio di un insegnante e
che acquistano rilievo nella formazione didattica dei futuri insegnanti di fi sica, in particolare
in quanto guadagnate in un ambito disciplinare poco frequentato nelle scuole come quello
della MQ. La loro attivazione sul territorio costituisce un notevole valore aggiunto per le
scuole, gli insegnanti accoglienti, gli studenti destinatari di attività di tirocinio caratterizzate
da un forte contenuto innovativo disciplinare e metodologico, come quelle proposte in fi sica
e qui esemplifi cate nel caso della MQ.
“Motivare alla lettura: un’esperienza tra la SSIS, la Scuola e la Biblioteca Civica ‘V. Joppi’ di
Udine”: si tratta di uno studio in cui Fabiana di Brazzà, SVT per l’area letteraria, partendo
dalla considerazione che insegnare a leggere signifi ca soprattutto creare le condizioni per
il piacere di leggere, e dalla distinzione fra insegnamento della lettura ed educazione alla
lettura, sottolinea come le attività per creare “buoni lettori” (non certo in senso puramente
tecnico, ma dotati di competenze complesse che ne facciano uno strumento trasversale per
costruire i saperi, quasi un atto vitale, profondamente interiore, per la conoscenza e per la
comunicazione) devono avere continuità verticale lungo l’esperienza scolastica degli allievi.
Da qui l’esigenza di un approccio inedito alla didattica della lettura: viene così presentato il
progetto “Giovani lettori cercansi”, attivato presso il CIRD dell’Università di Udine e attuato
in collaborazione fra la SSIS di Udine, 16 classi di scuole medie e superiori, e la sezione
ragazzi della biblioteca civica “V. Joppi” di Udine. I corsisti SSIS hanno realizzato pratica-
mente nelle classi insieme ai docenti accoglienti i percorsi di lettura per gli studenti, la cui
motivazione è stata ottimizzata da preliminari incontri con l’attore Massimo Somaglino. I
corsisti SSIS hanno avuto modo di effettuare attività di osservazione, monitoraggio, valuta-
zione dei percorsi e di saggiare l’apprezzamento dei docenti e degli studenti stessi rispetto
all’esperienza compiuta. La formazione dei futuri docenti e degli accoglienti è stata arricchita
dall’acquisizione di strategie di lettura, di gestione della voce e della postura, accorgimenti
adatti a creare quel “rapporto di complicità” (parole di Somaglino) che veicoli un percorso
emotivo, indispensabile a coinvolgere nel piacere comunicativo di quanto si va leggendo.
Il secondo anno di progetto ha visto la partecipazione del solo biennio delle scuole supe-
riori di secondo grado, a causa delle diffi coltà organizzative nel gestire un così alto numero
di classi, ma, visto il gradimento degli incontri con l’attore, si sono moltiplicate le occasioni
per incontrare esperti del settore e scrittori.
L’articolo è corredato dai materiali utilizzati e prodotti nel progetto e nel corso dell’e-
sperienza.
L’integrazione scolastica degli alunni stranieri è una problematica connessa alla qualità
didattica e sempre più urgente nelle nostre scuole. Anna Maria Zilli, supervisore SSIS per l’area
letteraria, analizza i delicati nodi connessi alla osservazione dei bisogni e alla defi nizione di
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strategie per una effi cace gestione di tali improrogabili necessità, descrivendo le competenze
che i futuri docenti devono possedere per padroneggiare l’ingresso del multiculturalismo
nella scuola. “Progetto Tirocinio in L2” è lo studio, dunque, degli interventi che si prospettano
al fi ne di garantire il diritto allo studio degli allievi provenienti dalle varie aree del mondo e
dei loro compagni di madrelingua nazionale, che così possono convivere questa realtà plu-
rilingue come una formidabile risorsa e non come un limite alla qualità della vita scolastica.
L’articolo fa riferimento al quadro normativo e introduce il progetto di tirocinio in Lingua
2, dove per L2 si intende l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda, con un approccio
che, per evidenti motivi, non è sovrapponibile per evidenti motivi a quello dell’apprendi-
mento della lingua straniera tout court. Il progetto si inserisce nell’ampliamento dell’offerta
formativa e si realizza in collaborazione fra i diversi istituti scolastici della città con la SSIS,
trovando in questo contesto spazi innovativi per esplicarsi. L’inserimento nel percorso di
specializzazione di un Corso di italiano per stranieri e relativo laboratorio ha consentito la
necessaria preparazione per i corsisti che intendevano inserire tale esperienza nel loro piano
di tirocinio. Le premesse vedono la valorizzazione della lingua nativa degli studenti, al fi ne
di predisporre una didattica in L2, che non prescinda del tutto dall’esperienza linguistica
di prima alfabetizzazione.
L’ipotesi di lavoro ha comportato il coinvolgimento dei corsisti SSIS nell’attività di tirocinio
guidato, attraverso una specifi ca e articolata serie di fasi di lavoro coordinate e monitorate
dai supervisori, che li ha visti protagonisti, quali docenti in formazione, nell’intervento di
collaborazione con i docenti accoglienti.
Premesso che la componente affettiva e relazionale risulta decisiva in ogni apprendimento
linguistico, il lavoro si è svolto secondo una fl essibile tipologia di interventi, individualizzati,
di gruppo e di classe, tenendo conto delle diverse necessità di allievi che siano al primo
incontro con la lingua o ne abbiano superato la fase funzionale attraverso l’intervento dei
mediatori linguistici. Il progetto defi nisce dunque gli obiettivi per livello di competenza, lo
sfondo integratore, i contenuti, le linee metodologiche, le strategie e le modalità di valuta-
zione dell’intervento, dove è risultato importante stabilire un respiro temporale pluriennale
all’attività per un risultato effi cace. La conclusione lascia prevedere che l’educazione scolastica
può funzionare come elemento di interazione fra le varie culture e concorrere “all’utopia
necessaria” della “scuola delle cittadinanze”, contribuendo a mitigare i pericoli dell’intolle-
ranza, così urgenti in un mondo in sempre crescente mobilità.
Fortemente caratterizzato da metafore e citazioni letterarie, lo studio di Alessandra
Russo, supervisore SSIS per l’area letteraria, e Fiammetta Bonsignore (docente accogliente
al liceo scientifi co di Codroipo, Una rifl essione sulla ‘storia insegnata’ fra un docente ed un’in-
segnante accogliente, si struttura in forma di dialogo, quasi un esempio concreto del raccordo
ma di sostanzioso confronto metodologico sulla disciplina che si instaura felicemente fra
accogliente e supervisore e richiama antiche modalità di discussione peripatetica. Non anti-
chi ma modernissimi invece gli spunti innovativi proposti dalle due docenti, che partono
dall’esigenza, sentita dai docenti oltre che dagli studenti, di rendere attraente lo studio della
storia. La problematica viene così osservata in team dal punto di vista della formazione e
delle basi teorico-operative (supervisore) e con gli occhi della pratica didattica (docente di
classe): fra questi due poli il tirocinante, al momento protagonista nel team a tre, e in futuro
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responsabile della programmazione didattica in prima persona. Il contributo riferisce esempi
di percorsi laboratoriali che hanno consentito, nella lunga durata, di verifi care, modifi care
atteggiamenti, disposizioni, modalità operative allo scopo di rendere sempre più signifi ca-
tiva, stimolante e motivante la storia per gli allievi: la classe, insomma, immersa in un work
in progress. In particolare il dialogo fra le due docenti verte sui concetti di “periodizzazione”
e di “regione storica”, strutture portanti della disciplina. Il problema della motivazione
alla storia si arricchisce di interessanti spunti, che fanno riferimento al forte richiamo del
cinema, ai fatti di attualità, alla letteratura narrativa, alla biografi a come punti di partenza
per introdurre o concludere un argomento e rendere attuale e personale l’approccio alla
storia da parte dei discenti; il risultato è quello di rendere più naturale e indispensabile il
ricorso ad una corretta metodologia. Anche il manuale, da accusato, diventa irrinunciabile
strumento della disciplina.
In conclusione il raccordo fra università e scuola e quello tra il supervisore e il docente
accogliente trova su questo campo di indagine un terreno particolarmente fecondo, in quanto
occasione per la costruzione di quadri interpretativi del sapere storico, di cui benefi ceranno
sia i corsisti che gli studenti in una ideale tavola rotonda sulla storia.
“Ragionare in rete, pratiche fi losofi che e tecnologie della comunicazione a scuola”: Giorgio
Giacometti rifl ette sul fatto che la nostra fase storico-culturale, caratterizzata da un lato da
un eccesso di informazioni e dall’altra da una progressiva erosione degli spazi di signifi -
catività e dei valori, cresce la domanda di “fi losofi a”, non tanto nella tradizionale forma di
sapere storico, quanto in quella assunta dalle cosiddette pratiche fi losofi che, da cui possono
scaturire innovative esperienze di insegnamento.
La fi nalità di queste esperienze è soprattutto quella di rimotivare gli studenti, di orientarli,
di restituire senso ai loro apprendimenti, ma anche, nei casi migliori, alla loro vita.
Proprio esperienze di questo tipo possono costituire validi modelli in sede di formazione
dei docenti. “Il fecondo ingresso – scrive Giacometti – nel campo didattico, in punta di piedi,
delle pratiche fi losofi che, può essere descritto come il risultato di un processo circolare ed
ermeneutico, giocato tra Università e Scuola e centrato sull’esperienza del supervisore al
tirocinio quale “abitatore” di entrambi i mondi”.
Nel contributo, dopo una breve premessa teorica, si descrivono quattro progetti tra loro
interconnessi: il progetto pluriennale “E-philosophy, le nuove tecnologie al servizio dell’in-
novazione didattica”, realizzato in un liceo scientifi co-tecnologico, a partire dallo stimolo
costituito dal Master di Innovazione Didattica e Orientamento (2002-2004) offerto gratuita-
mente dall’Università di Udine ai supervisori al tirocinio della SSIS oltre che agli insegnanti
accoglienti delle scuole; il progetto “Forme della fi losofi a”, espansione del precedente ma
caratterizzato in senso fortemente orientativo, realizzato in collaborazione con l’Università
di Udine, nell’anno scolastico 2006-2007, mettendo in rete tre licei della provincia di Udine;
il progetto pluriennale “Ragionare in rete” realizzato nell’ambito della SSIS di Udine; il pro-
getto “Sportello di Consulenza Filosofi ca per l’Orientamento”, derivato da un project work
steso nell’ambito del suddetto Master e sperimentato, in forma integrale o parziale, presso
alcuni istituti superiori italiani.
Le pratiche fi losofi che rivelano straordinaria validità formativa se introdotte in età precoce:
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Annalisa Filipponi, supervisore SSIS per l’area letteraria, presenta la proposta della Kinderphi-
losophie come metodologia didattica funzionale al processo orientativo ed alla costruzione
di un apprendimento signifi cativo caratterizzato dalla acquisizione di abilità trasversali
scolasticamente e socialmente spendibili. L’articolo è conseguente al seminario svoltosi
durante la XVII edizione delle “Giornate di diffusione culturale” all’Università degli studi di
Udine (19 marzo – 17 aprile 2007) dal signifi cativo titolo “Esplorare, descrivere e interpretare
con modelli: naturali, artifi ciali e formali”. Il rapporto tra il ruolo del Supervisore al tirocinio
SSIS e l’innovazione didattica si è sviluppato anche attraverso l’individuazione di modelli
formali e artifi ciali con una ricaduta didattica evidente e certifi cata sull’apprendimento degli
alunni. L’organico rapporto tra il tirocinio della SSIS e le “Giornate” ha permesso di esportare
una ricerca didattica e metodologica (non solo in ambito scientifi co ma anche letterario) sul
fi losofare con i bambini e gli adolescenti in grado di uscire dall’ambito umanistico e di venir
sperimentata anche in ambito scientifi co. L’interazione seminariale svoltasi sia nell’ambito
delle “Giornate” sia nell’attività ordinaria della SSIS ha permesso di coniugare la defi nizione
teorica della metodologia propria della Kinderphilosophie con la pratica didattica dei corsisti
SSIS nello sviluppo della loro cultura professionale.
Premesse alcune considerazioni sulla differenza tra il contesto didattico attuale, dove
l’insegnante è sempre la persona che parla di più, l’Autrice conclude che ciò non può che
avere come conseguenza passività cognitiva e carenza di competenze argomentative da parte
dei bambini e adolescenti (lo stile della comunicazione è quello degli sms), le cui potenzialità
dovrebbero essere invece diversamente valorizzate.
Ecco allora la nuova proposta, che trova fondamento nelle teorie psicogiche, in particolare
nel socio-costruttivismo di Vygotskij e nella conseguente considerazione delle potenzialità
dello sviluppo prossimale. Seguono indicazioni circa il curricolo e la procedura metodologia
da applicare nella Kinderphilosophie, descrivendo le fasi e l’organizzazione della lezione.
Uno dei settori più delicati affi dati alla SSIS è la formazione dei docenti di sostegno;
altrettanto complesso il rapporto con le scuole che ospitano corsisti per lo svolgimento del
tirocinio in classi frequentate da alunni con handicap, ma proprio in questo settore non
sono infrequenti esperienze di effi cace collaborazione fra docenti in formazione, accoglienti,
supervisori.
Claudia Bruno e Patrizia Querini, rispettivamente supervisore nell’area linguistica e in
quella di sostegno, nel contributo “Il supervisore e le sfi de delle esigenze didattiche: i disturbi
specifi ci dell’apprendimento e la preparazione ai tirocini disciplinari”, tessono un ulteriore contatto
nella rete delle competenze professionali integrate, quelle delle aree di formazione SSIS,
studiando insieme strategie per la gestione dei casi, presenti frequentemente nelle classi,
di ragazzi dislessici. È questa una sindrome il cui approccio in contesto scolastico alterna
medicalizzazione a misconoscenza, pur essendo all’attenzione dei legislatori per il ricono-
scimento di un preciso status e per il diritto ai necessari interventi, che non possono, per le
caratteristiche stesse del disturbo, essere delegati al solo insegnante di sostegno, e compor-
tano invece una presa in carico del consiglio di classe, della famiglia e dell’ambiente di vita.
Dopo una accurata defi nizione delle caratteristiche generali dei disturbi dell’apprendi-
mento, le Autrici riferiscono circa lo stato dell’iter legislativo in materia di dislessia e appro-
fondiscono il ruolo delle fi gure professionali coinvolte, nonché il problema della formazione
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dei docenti riguardo a tale disturbo. Ne consegue la necessità di azioni sinergiche tra le aree
della formazione iniziale, quale appunto quella sperimentata alla SSIS di Udine e descritta di
seguito. In conclusione si valuta che tale collaborazione si sia rivelata un modello effi cace e
possa già rispondere ad alcune esigenze formative. “In primo luogo – scrivono le Autrici – è
estremamente funzionale all’informazione corretta e alla conoscenza del problema: i docenti
in formazione iniziale sono in questo modo sensibilizzati e hanno maggiori possibilità di
istituire un approccio didattico corretto. In secondo luogo chiama all’assunzione di una
responsabilità formativa anche nell’agire didattico una struttura, la SSIS, che per sua natura
è stata creata proprio per la formazione iniziale dei docenti, senza demandare nel tempo
l’acquisizione delle necessarie competenze ad ulteriori percorsi formativi gestiti da enti
non propriamente preposti alla formazione degli insegnanti sia pure altamente qualifi cati
in questo campo. In terzo luogo il tirocinio si rivela ancora una volta signifi cativo in quanto
opportunità di rifl essione critica, luogo di incontro di teoria e prassi, verifi ca e sperimenta-
zione di pratiche didattiche e dunque stimolo all’innovazione didattica per rispondere alle
sfi de sempre nuove che si propongono agli insegnanti”.
Si entra infi ne nello specifi co dei percorsi di formazione dei docenti in questo settore,
e sui rapporti sinergici possibili fra SSIS, scuole accoglienti e Università, con “Il tirocinio di
sostegno, una risorsa per la scuola accogliente”, a cura di Paola Beltrame. Nel contributo si rife-
risce sulle modalità di attuazione del tirocinio di sostegno: dalla individuazione della scuola
accogliente come portatrice di buone prassi per l’integrazione degli alunni con handicap, alle
formalità (accordo attuativo) per l’ingresso del corsista, alla complessa ed articolata proble-
matica che il supervisore si trova a gestire; l’obiettivo è quello di armonizzare l’intervento
formativo rivolto al corsista e che lo vede come protagonista “in prova”, con il percorso che
la scuola accogliente ha programmato per l’allievo portatore di disabilità. L’esperienza viene
ulteriormente verifi cata nei gruppi di lavoro costituiti nell’ambito del Tirocinio indiretto di
40 ore dei corsi per la specializzazione di sostegno, ed è oggetto di una relazione fi nale del
corsista, che sarà discussa in sede di esame di diploma.
Poiché ogni progetto di integrazione di allievi con handicap è un unicum e comporta
un importante carico di responsabilità, si comprende la delicatezza dell’affi ancare, alle già
numerose fi gure che svolgono ruoli specifi ci in tale processo, anche il docente in formazione.
Tuttavia la presenza di un tirocinante di sostegno nella scuola viene in genere vissuta come
una risorsa per l’istituto stesso: il confronto sulle questioni inerenti l’intervento con l’allievo
disabile è visto come uno stimolo per il docente accogliente e come un aiuto inaspettato
dai colleghi curricolari. Una volta superata la fase della prima curiosità e della conoscenza
reciproca, normalmente anche l’alunno con bisogni speciali e l’intera classe riescono a sta-
bilire un rapporto positivo con l’insegnante in formazione.
Segue una analisi delle più specifi ca delle caratteristiche del progetto di integrazione e del
ruolo del tirocinante rispetto agli obiettivi programmati dal consiglio di classe, considerando
che un effi cace intervento con l’alunno con handicap deve riferirsi a punti nodali, quali la
sua autonomia nella gestione della persona, lo sviluppo delle abilità di base, cognitive e non,
l’integrazione nel gruppo classe, il progetto di vita. Si discute pertanto quali siano gli obiettivi
da privilegiare, e soprattutto come perseguirli, dal momento che i compagni lavorano con
altri ritmi, contenuti, modalità di lavoro. Perché si verifi chi una vera integrazione nel gruppo
Il supervisore di tirocinio: conduttore di un racconto e promotore di innovazione | Università degli Studi di Udine
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classe e non solo un inserimento puramente anagrafi co (che comporterebbe isolamento e
anche rifi uto), la programmazione scolastica prevede da una parte il coordinamento degli
obiettivi didattici e delle attività individualizzate con quelle curricolari comuni nella “pro-
grammazione curricolare individualizzata”. Il docente in formazione può così sperimentare
concretamente – nel progetto svolto in collaborazione con l’accogliente e il supervisore,
oltre che con il consiglio di classe – come guidare l’allievo speciale a progredire con le sue
possibilità sia dal punto di vista prettamente scolastico, sia nella socializzazione, senza creare
problemi ai compagni, anzi, costituendo una risorsa nell’applicazione del tutoring e non solo.
Seguono due esempi di buone prassi sperimentate nel tirocinio di sostegno: nel primo,
scuola, famiglia, territorio in sinergia nel progetto dell’IC di Pavia di Udine per un curricu-
lum di autonomia e integrazione sociale in collaborazione con le varie agenzie educative,
nel secondo un esempio di programmazione curricolare integrata all’Ipsaa di Pozzuolo del
Friuli riguardo a un programma di apprendimento funzionale di scienze.
Questa serie di contributi è dedicata alla memoria di Loredana Cicuttini Morelli, super-
visore nell’ambito dei corsi SSIS di specializzazione per il sostegno a Udine, mancata, dopo
una malattia coraggiosamente affrontata, nell’estate 2006. Nell’ultimo capitolo del libro se ne
tratteggia la fi gura, la professionalità, i vasti interessi culturali, il carattere solare e altruista,
che colleghi e corsisti hanno avuto modo di apprezzare; Loredana era inoltre impegnata
nel sociale con altrettanto entusiasmo. Nel ricordo di docenti, corsisti e persone che a vario
titolo hanno lavorato al suo fi anco e le hanno voluto bene, gli interventi che qui presentiamo
vogliono essere le espressioni di stima per la preparazione e per l’impegno, il rimpianto per
la precoce scomparsa.
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La fi gura del supervisore alla SSIS dell’Università di Udine
Ermes Dorigo, Giovanni Filipozzi, Marisa Michelini
SSIS dell'Università di Udine
Inquadramento normativo
La legge 19.11.90 n.341 ha istituito due nuovi canali per la formazione degli insegnanti
della Scuola Primaria e della Secondaria di I e II Grado, rispettivamente: il Corso di Laurea
in Scienze della Formazione Primaria e la Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento
Secondario (SSIS). Il D.M. 26.5.1998 individua 4 Aree nel processo formativo: Area A1: for-
mazione della funzione docente, fi nalizzata all’acquisizione delle necessarie competenze
nelle scienze dell’educazione e in altri aspetti trasversali della funzione docente; Area 2:
Contenuti formativi degli indirizzi: fi nalizzata all’acquisizione di attitudini e competenze
relative alle metodologie didattiche delle corrispondenti discipline, con specifi ca attenzione
alla logica, alla genesi, allo sviluppo storico, alle implicazioni epistemologiche, al signifi cato
pratico e alla funzione sociale di ciascun sapere; Area 3: laboratorio: comprende l’analisi,
la progettazione e simulazione di attività didattiche di cui alle aree 1 e 2, con intervento
coordinato di docenti di entrambe le aree e con specifi co riferimento ai contenuti formativi
degli indirizzi; Area 4: tirocinio (non meno del 25% dei crediti) per l’attuazione di espe-
rienze svolte presso istituzioni scolastiche al fi ne dell’integrazione tra competenze teoriche
e competenze operative. Qui si svolge la delicata funzione dei SVT.
Chi sono i supervisori della S.S.I.S.
L’incarico di supervisore e coordinatore del tirocinio può essere ricoperto da docenti della
Secondaria di I e II Grado, che abbiano maturato un’anzianità di servizio in ruolo di almeno
sette anni, previo superamento di concorso per titoli ed esami. Essi svolgono le loro attività
nell’ambito delle 18 ore settimanali di lavoro per la SSIS derivanti dalla propria condizione
di semiesonero, che impone al SVT di effettuare anche la normale attività didattica, nella
propria sede di servizio, per la metà dell’orario in non meno di tre mattine per settimana
e di effettuare, quindi, tutte le attività connesse alla didattica e gli altri adempimenti che la
funzione docente prevede (partecipazione agli organi collegiali ecc., agli scrutini e agli esami
di stato, qualora venga nominato), ivi compresi quelli legati ad incarichi particolari (colla-
boratore dirigenziale, funzioni strumentali all’Offerta formativa, responsabili di laboratori
ecc.), che il SVT può svolgere ai sensi della CM 21 aprile 2000, n. 130.
Quali attività svolgono i SVT
Le attività che i supervisori svolgono sono diverse da sede a sede e articolate in ruoli
e attività che dipendono dalla lettura che in autonomia i diversi Atenei hanno dato di tale
funzione. La presente illustrazione è pertanto caratterizzata dalla specifi ca esperienza di
Udine. Tali attività si possono così raggruppare:
1) COLLEGIALI: predisposizione e adattamento in itinere di circa una ventina di Moduli
di lavoro per il Tirocinio Trasversale e Disciplinare; illustrazione agli specializzandi del Profi lo
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professionale del futuro docente, come quadro di riferimento per gli specializzandi, entro il
quale devono inserire, ordinare e utilizzare gli apprendimenti didattici e il tirocinio; realiz-
zazione di un Manuale di aSSIStenza, sorta di vademecum per i corsisti del Primo anno, che
li guidi nel loro percorso formativo da discenti a docenti; predisposizione del Manuale-guida
per l’Esame fi nale con l’indicazione dei criteri di stesura delle Relazioni di tirocinio e della
Relazione fi nale (documento previsto dalla normativa sull’Esame di Stato abilitante) e dello
svolgimento della prova scritta; all’interno del Progetto Tirocinio predisposizione e adatta-
mento della Tabella dei Crediti (sottoposta, ovviamente, alla approvazione degli Organismi
competenti) e approvazione o meno del Tirocinio degli specializzandi con la registrazione
uffi ciale dei crediti (questi ultimi sono atti molto delicati e di grande responsabilità); colla-
borazione alla formulazione di proposte di titoli per la prova scritta dell’Esame fi nale; pro-
gettazione di tutte le attività in stretto coordinamento non solo nell’ambito del gruppo dei
SVT in periodiche riunioni, ma anche con i docenti della SISS delle aree A1, A2, A3; incontri
periodici con i corsisti e attività propedeutiche su varie tematiche e problematiche; analisi,
coordinamento, accordi con le scuole e tutorato di attuazione dei tirocini degli specializzandi;
incontri periodici per verifi care l’andamento generale dei tirocini e proporre eventuali modi-
fi che dei moduli di Area 3; partecipazione a tutte le riunioni di coordinamento della SSIS.
Per il tirocinio in area trasversale, effettua incontri di preparazione con gruppi di corsisti,
fornendo loro di volta in volta il materiale necessario per effettuare l’attività medesima;
integra le porzioni teoriche dei moduli trasversali che non è possibile o necessario effettuare
nelle scuole (esami di stato, collegio docenti ecc.); fornisce in generale tutte le indispensabili
nozioni di raccordo, per favorire l’effi cace ricaduta didattica degli apprendimenti.
2) INDIVIDUALI: ogni SVT per quanto riguarda prevalentemente il tirocinio discipli-
nare, segue ciascuno dei corsisti che gli sono assegnati (una quindicina circa); dopo essersi
documentato sulla situazione in ingresso dello stesso (dati anagrafi ci, di servizio, crediti certi
o presumibili, esigenze particolari sia d’ordine formativo che organizzativo). Predispone un
percorso di tirocinio individualizzato. Adatta continuamente il progetto individuale (fornendo
anche materiali didattici integrativi delle attività didattiche, di laboratorio e tirocinio) alle
mutevoli circostanze, tenendosi in costante contatto con il corsista (la comunicazione è sia
diretta, sia spesso tramite posta elettronica e gruppi di lavoro in rete). Concorda con i docenti
accoglienti del corsista, con cui stabilisce e tiene periodici contatti, le attività da effettuare
nelle scuole; analizza il percorso in itinere del corsista e lo riprogramma eventualmente, discu-
tendone con l’interessato. Esamina i prodotti dell’attività di tirocinio e suggerisce eventuali
modifi che o revisioni. Tutti i moduli prevedono relazioni, che il supervisore esamina, revisiona
e valuta. Le relazioni insieme alle fi rme sul libretto documentano l’effettuazione e la validità
del tirocinio. Collabora con i tirocinanti nella fase di impostazione delle relazioni fi nali e
propone eventuali correttivi o collegamenti tra le attività di laboratorio e quelle di tirocinio:
nell’esame per la relazione di tirocinio è previsto un punteggio di 20 su 80. Partecipa come
membro alla Commissione d’esame fi nale.
3) DI RACCORDO: svolge un signifi cativo lavoro per il raccordo istituzionale con gli
istituti scolastici: tiene i contatti con le scuole di cui funge da referente per il tirocinio, in
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particolare, con forme e modalità differenziate, con il dirigente scolastico di ciascuna scuola
per proporre la convenzione quadro con l’Università e gli accordi attuativi relativi all’attività
di tirocinio, o per riconfermare la disponibilità di massima dell’istituto alla collaborazione
con la SSIS. Presenta il progetto di tirocinio SSIS alla scuola, nella sede e nell’occasione
più opportuna (collegio dei docenti, riunione disciplinare, commissione tirocinio della
scuola ecc.); si coordina con il responsabile interno di ciascuno istituto (referente) per le
attività di tirocinio (il dirigente stesso, un collaboratore dirigenziale, un docente) o con la
commissione tirocinio della scuola (qualora prevista), con cui concorda il piano annuale
o periodico di tirocinio; prende il primo contatto, per conto dei colleghi SVT di area i cui
corsisti dovrebbero essere assegnati alla scuola, con relativi i docenti accoglienti di tutte
le discipline interessate; riporta nelle riunioni dei SVT, eventualmente allargate alle altre
componenti SSIS, le esigenze avanzate dalle scuole; predispone le lettere da inviare ai
Dirigenti Scolastici delle stesse prima dell’effettuazione di ciascun modulo di tirocinio e
dell’ingresso dei corsisti (tenuti al rispetto di rigorosi obblighi comportamentali e deon-
tologici); organizza appositi incontri con le scuole accoglienti (ad esempio: per presentare
le attività di tirocinio che si propongono, per raccogliere proposte, individuare eventuali
problemi emersi e ricercarne la soluzione,..); elabora, modifi cando i moduli, progetti di
tirocinio più coerenti con l’impostazione delle scuole, salvaguardando, comunque, le fi nalità
che la SSIS si prefi gge di raggiungere.
Per quanto riguarda il raccordo con i docenti della SSIS della propria Area: può inter-
venire in attività di laboratorio, concordando il proprio intervento col docente; singoli SVT
partecipano come rappresentanti al Consiglio della Scuola e alla Commissione Tirocinio.
Alcune rifl essioni sull’esperienza dei SVT
Il SVT si trova ad operare in una situazione di ‘frontiera’ dovendo interagire con univer-
sità, scuole accoglienti, specializzandi, scuola di appartenenza. Una situazione che in prima
battuta potrebbe creare disorientamento e incertezza, ma che può essere anche, come lo è
stata in questi anni, molto arricchente e rivitalizzante. Infatti, il contatto con i docenti univer-
sitari, in particolare quelli che dopo una iniziale diffi denza hanno accettato un interscambio
con i SVT, ha contribuito ad affi nare la metodologia di lavoro e il gusto della ricerca, e a
riattivare conoscenze e curiosità sopite; il confronto costante con i corsisti e, tramite essi,
con gli insegnamenti che essi seguono, ha stimolato un rinnovamento accelerato, ed ha
favorito la sistematizzazione e l’arricchimento del bagaglio didattico con gratifi canti ricadute
sull’insegnamento scolastico; lo scambio di opinioni ed esperienze tra SVT e con i Docenti
Accoglienti, i più impegnati a garantire professionalità e qualità nel servizio scolastico, ha
di fatto consolidato lo spirito collaborativo nel gruppo dei SVT e creato una solida rete di
rapporti con le scuole del territorio.
Il ruolo attivo dei SVT non si limita ai compiti istituzionali, ma comprende una col-
laborazione al corpo docente anche nell’organizzazione di incontri con studiosi e critici,
predisponendo materiali per l’approfondimento e la traduzione didattica delle tematiche
affrontate; scrivono dei saggi, supervisionati dai docenti universitari, per pubblicazioni varie.
Il gruppo di SVT della SSIS di Udine è con soddisfazione consapevole di aver contribuito
positivamente alla formazione di giovani futuri docenti e, last but not least, di aver partecipato
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all’avventura della costruzione e del funzionamento di un nuovo canale per la formazione dei
docenti, che alcuni paesi europei – ritenendolo valido e innovativo – vorrebbero introdurre.
Problemi aperti
Rimangono alcuni quesiti ‘appassionati’ ed amari: per la prima volta si è stabilito un
rapporto organico, se pur dialettico e per certi versi irrisolto, dell’Università con un centinaio
di scuole convenzionate (situate non solo nelle quattro province della Regione, ma anche
nelle limitrofe province di Venezia, Treviso e Belluno): cosa ne sarà di questo lavoro e di
questo patrimonio in futuro? Forze sindacali e politiche ritengono proprio di lasciarlo morire
nell’indifferenza? Il patrimonio SVT sarà buttato? Oppure sarebbe opportuno mantenere
i SVT come nuove fi gure professionali all’interno dell’Università? Il loro ruolo nei corsi di
laboratorio potrebbe essere istituzionalizzato. I laboratori sono un’importante cerniera con
il tirocinio nel processo formativo del futuro insegnante e non possono essere lasciati ai
docenti universitari, non per loro incapacità o mancanza di volontà, ma perché tali attività
devono essere svolte insieme ad essi da docenti qualifi cati, che provengano ed abbiano
esperienza concreta della pratica didattica.
Riconoscimento ai supervisori e agli accoglienti
Dopo anni si è conclusa la trattativa per l’attuazione dell’art.18 comma 4 del CCNL con
il riconoscimento ai SVT di una funzione superiore retribuita con i due terzi del compenso di
una ex Funzione obiettivo (purtroppo dobbiamo segnalare che a causa di un errore nei calcoli
dell’Uffi cio Scolastico Regionale del FVG è stata liquidata una somma decurtata del 40%).
Nella nostra situazione si trova anche la maggior parte dei Docenti Accoglienti, che in questi
anni ha svolto gratuitamente una impegnativa attività di formazione degli specializzandi: pur
essendo previsto dall’ultimo contratto1 un compenso con il fondo d’istituto in molte scuole
tale accordo non viene applicato, sia per l’opposizione di colleghi, che ritengono vengano
sottratti arbitrariamente fondi ad altri progetti dei loro istituti e sia, paradossalmente,da
alcune organizzazioni sindacali (vedi provincia di Pordenone).
Il contributo dell’accogliente è importante quanto quello delle altre fi gure impegnate
nel percorso formativo dei futuri insegnanti. Sembra quindi giusto prevederne un ruolo
istituzionale in tutte le fasi del processo, oltre ad un giusto riconoscimento nell’ambito della
scuola in cui prestano servizio. Il tirocinio nella scuola porta infatti lavoro in più, ma anche la
rifl essione su problematiche organizzative, gestionali, didattiche, quando non anche specifi ci
contributi didattici. È uno spreco che la scuola non recepisca questo potenziale e lo valorizzi
per il proprio miglioramento.
1 Articolo 83 - Compensi accessori per il personale in servizio presso IRRE, MIUR ed Università (Art.18, comma 4, del CCNL 15.3.2001): “Per l’erogazione di compensi per il trattamento accessorio da corrispon-dere al personale docente, educativo ed ATA in servizio presso IRRE, nei distretti scolastici o comandato nell’Amministrazione centrale e periferica del MIUR, nonché al personale con incarico di supervisione nelle attività di tirocinio sono corrisposti compensi accessori nelle misure e secondo le modalità definite nel CCNI del 18.2.2003”.
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Orientamento formativo in ambito naturalistico
tramite esperienze sul campo
Laura Decio e Francesco Gobbo, Supervisori SSIS dell’Indirizzo Scienze Naturali,
Università degli Studi di Udine
1. Premessa
Nell’ambito delle azioni per l’orientamento promosse dalla CRUS (Commissione Raccordo
Università e Scuola), l’Università degli Studi di Udine ha pubblicato per l’anno scolastico
2005/2006 un bando per idee progettuali per una rete di collaborazione Scuola Università.
Il Dipartimento di Scienze del Liceo Scientifico “N. Copernico” di Udine aveva “nel
cassetto” l’idea di una scuola estiva con lo scopo primario di fornire un’occasione di studio
ed azione sul campo a studenti degli ultimi due anni della scuola superiore, già indirizzati
ad approfondire lo studio universitario (o comunque la specializzazione post diploma) in
discipline naturalistiche.
La possibilità di collaborare con l’Università e di accedere ad un parziale fi nanziamento
hanno fornito l’occasione per realizzare un progetto di orientamento formativo tramite
esperienze sul campo (denominato “Progetto Preone”). Gli studenti hanno così avuto la
possibilità di costruirsi un’idea di alcune professioni legate all’ambito delle Scienze Naturali
più coerente con la realtà.
Attraverso questa iniziativa congiunta Scuola-Università si è perseguito anche l’obiettivo
di coniugare l’azione della scuola con le offerte formative dell’università e le personali aspi-
razioni degli studenti (F. Honsell, M. Michelini, 2005).
La progettazione di una settimana estiva di esperienze sul campo in abito naturalistico,
rivolta a studenti interessati, ha attuato una attività di approfondimento disciplinare e ha
proposto una modalità di orientamento formativo attraverso un apprendimento mediato
dall’esperienza diretta dei contesti e delle metodologie della disciplina. (M. Michelini, 2003).
L’esperienza in contesto e il personale coinvolgimento operativo dei singoli studenti
ha una rilevante valenza nell’apprendimento (Brown, J. S., Collins, A., Duguid, P.,1989): lo
studente si trova in una posizione di partecipazione periferica legittimata (Lave, J., Wenger, E.
1991). Apprendere facendo non è un semplice processo imitativo, ma implica una trasformazione
personale, implica l’uso di concetti teorici per la comprensione delle pratiche professionali
e utilizza le pratiche professionali per ripensare alle proprie conoscenze. Lo studente, attra-
verso le attività svolte, seppure in modo non esperto, inizia una acquisizione di competenze
specifi che che gli consentono di porsi ed agire con maggiore consapevolezza nel momento
della scelta per la prosecuzione degli studi (C. Pontecorvo, A. M. Ajello, C. Zucchermaglio,
1995; A. M. Ajello, S. Meghnagi, C. Mastracci, 2000).
2. Contesto territoriale
L’attività di studio e azione sul campo si è concretizzata in un soggiorno estivo di una
settimana a Preone. Durante il soggiorno sono state utilizzate le strutture del Comune di
Preone (Museo Naturalistico e Laboratori annessi), sono state effettuate visite degli ambienti
naturalistici della zona e indagini sul campo (rilievi topografi ci, escursioni naturalistiche,
Università degli Studi di Udine | Il supervisore di tirocinio: conduttore di un racconto e promotore di innovazione
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raccolta di minerali e rocce, osservazione di fossili, analisi dell’ambiente naturale).
Preone è un piccolo comune a pochi chilometri da Tolmezzo (UD); è l’unico centro abi-
tato sulla destra del Tagliamento nel tratto montano del suo corso. L’interesse per quest’area
risiede sicuramente nella bellezza e ricchezza naturalistica dei luoghi: la fauna e la fl ora sono
pregevoli, la geologia è complessa, ci sono esempi di sfruttamento economico dell’area nel
recente passato (alle quote maggiori del Monte Verzegnis sono presenti depositi giurassici,
parte dei quali sfruttati per l’estrazione di “marmi”).
Non si può dimenticare tuttavia che ricerche curate dal Museo Friulano di Storia Naturale
hanno trasformato la fascia di affi oramento della Dolomia di Forni in uno dei più importanti
giacimenti paleontologici mesozoici del mondo. Le indicazioni fornite dai fossili rinvenuti
(tra i quali i famosi rettili volanti) hanno contribuito a una totale revisione della conoscenza
geologica dell’area e quindi ad una completa ridefi nizione delle relative caratteristiche pale-
oambientali e paleogeografi che durante il Triassico superiore.
3. Finalità
Il presente progetto è stato pensato per un orientamento formativo nell’ambito naturali-
stico e in particolare nell’ambito geologico e paleontologico. Con la presente attività è stata
fornita non solo la possibilità di approfondire tematiche specifi che naturalistiche, ma anche di
prendere contatto con esperti e professionisti del settore e di lavorare in qualità di naturalisti
nell’indagine del territorio e nello sviluppo di una piccola indagine scientifi ca.
Gli obiettivi del progetto sono riportati in Tab. 1.
Il modello di intervento disciplinare orientante proposto è facilmente esportabile; una
simile attività potrà essere riproposta anche per altri ambiti che comprendano attività in
campo (per orientare a discipline quali l’agraria, l’architettura, l’archeologia…). A nostro
avviso, tuttavia, settimane di studio e lavoro orientanti possono essere pensate anche in
ambiti apparentemente più teorici, quali la fi sica e la matematica.
Gli obiettivi del progetto
• Sviluppare un’attività di orientamento formativo in ambito Naturalistico che integri Scuola ed Università.• Ampliare le conoscenze degli studenti sulle discipline trattate, sul loro approfondimento a livello universitario
e sulle professioni connesse.• Contribuire a verifi care gli interessi, le attitudini, le proprie abilità verso le discipline affrontate da parte
degli studenti• Applicare le metodologie proprie delle discipline naturalistiche. Mettere in contatto gli studenti con metodologie
proprie delle discipline scientifi che (nello specifi co paleontologia, geologia, ecologia).• Istituire un rapporto con l’Università in relazione ad un orientamento formativo con attività sul campo
sviluppando un modello di collaborazione tra scuola, università e territorio, esportabile anche ad altre iniziative analoghe.
• Coinvolgere la SSIS, nell’ambito delle attività di tirocinio, per la progettazione e la realizzazione dell’attività di ricerca sul campo.
• Sperimentare modelli innovativi di formazione e produzione di materiali attraverso l’utilizzo del web.• Collaborare in rete in modo da consolidare, anche a distanza, la comunità di apprendimento che si è trovata
ad operare in presenza durante il soggiorno estivo• Documentare le attività svolte tramite relazioni scientifiche, portfolio, produzione di materiale
multimediale.
Tabella 1 - Gli obiettivi del progetto
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4. Le collaborazioni
In seguito alla approvazione delle idea progettuale e sulla scorta delle indicazioni e delle
richieste formulate dalla commissione che li ha approvati, la progettazione ha coinvolto un
docente universitario (prof. Adriano Zanferrari, docente ordinario presso il Dipartimento di
Georisorse e Territorio dell’Università di Udine), un esperto paleontologo (Dott. Fabio Dalla
Vecchia) e quattro docenti del Liceo Copernico (proff. Romeo Crapiz, Laura Decio, Francesco
Gobbo, Roberto Zucchini); in un secondo tempo hanno partecipato alla progettazione anche
due studentesse della SSIS (Dott. Elena Venturini e Michela Vicario). La collaborazione tra
gli esperti e gli insegnanti di scuola superiore è stata piuttosto assidua ed estremamente
profi cua. Si è concretizzata in una serie di incontri tra il prof. Zanferrari e uno o più docenti
di scuola superiore e tra il Dott. Dalla Vecchia con uno o più docenti di scuola superiore
(prof. Decio, Gobbo, Zucchini e Crapiz). In tali incontri è stata discussa l’impostazione
dell’attività di preparazione alla settimana estiva, gli argomenti da trattare, l’organizzazione
della settimana a Preone. L’apporto di tutti è stato essenziale per la realizzazione delle idee
di attività di orientamento che, essendo idee originali e nuove, hanno avuto bisogno di una
continua rielaborazione durante la loro progettazione. La collaborazione è quindi continuata
durante tutta la settimana estiva (con la presenza del prof. Zanferrari per cinque delle sette
giornate e del Dott. Dalla Vecchia per tutto il periodo), quando quotidiane riunioni serali e
mattutine permettevano di affi nare l’organizzazione della giornata successiva.
Per la realizzazione del progetto sono stati necessari anche contatti con il territorio che si
sono concretizzati nella collaborazione con il Sindaco di Preone e con il personale addetto
alla gestione delle strutture museali. L’interazione è stata semplice, anche perché il Comune
di Preone sta cercando di valorizzare le proprie risorse naturalistiche e la nostra attività è
stata vista come un ottimo mezzo per promuovere il territorio.
Le istituzioni coinvolte hanno così concesso le strutture con estrema disponibilità, in
particolare quelle museali concesse gratuitamente.
5. Il coinvolgimento della SSIS
Elemento di notevole interesse è stato il coinvolgimento della SSIS. Nell’ambito delle
attività di tirocinio due corsiste, le dott. Elena Venturini e Michela Vicario sono state coinvolte
nella progettazione e nella realizzazione di una parte del progetto. Sotto la supervisione dei
Proff. Gobbo e Zucchini, infatti, hanno contribuito ad organizzare le attività di ricerca dei
ragazzi in ambito, rispettivamente, Biologico e Geologico. Le loro azioni sono state profi cue
sia dal punto di vista della scuola che dal punto di vista della SSIS. La scuola ha benefi ciato
del loro intervento sia per alcune competenze specifi che delle specializzande che per la loro
disponibilità alla collaborazione: una delle due corsiste è rimasta per l’intera settimana estiva
a Preone e ha potuto essere coinvolta in tutte le attività.
La SSIS ha invece potuto coinvolgere due sue studentesse in un’attività di tirocinio
particolarmente completo da un punto di vista didattico: le corsiste hanno collaborato alla
progettazione della settimana, hanno potuto mettere in pratica attività di insegnamento
con diverse modalità (lezione frontale, lezioni “open air”, ricerche sul campo…) e hanno
partecipato, insieme ai docenti, alla rifl essione epistemica sui caratteri orientanti della
disciplina che ha accompagnato il progetto di orientamento formativo. Il lavoro svolto è
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stato utilizzato per la produzione della loro relazione fi nale necessaria per l’abilitazione
all’insegnamento.
6. Articolazione del Progetto
1) Fase propedeutica
a) Sono stati svolti due interventi preparatori degli esperti (“Il mestiere del paleontologo:
il cacciatore di fossili” a cura del dott. Fabio Dalla Vecchia; “La fragilità ambientale
della pianura friulana” a cura del prof. Adriano Zanferrari, docente ordinario presso
il Dipartimento di Georisorse e Territorio dell’Università di Udine) e sono stati messi
a disposizione articoli, CD, libri di approfondimento.
b) Per la preparazione degli alunni alla settimana estiva di lavoro in campo, è stata
prevista una attività collaborativa in Rete a integrazione e supporto delle attività in
presenza, in modo da condividere conoscenze e informazioni e collaborare in rete.
Anche per questa modalità di interazione l’Università è stata un punto di riferimento
signifi cativo ed ha messo a disposizione ambienti web per accogliere e sviluppare i
progetti collaborativi2.
2) Fase operativa
b) È stata svolta una uscita sul campo con il dott. Dalla Vecchia, in un importante sito
paleontologico della regione (presso Noax), con lo scopo di applicare sul campo
alcune delle metodologie presentate in forma teorica nelle lezioni precedenti.
c) È stata realizzato il soggiorno di una settimana a Preone dal 20 al 26 agosto 2006
(Tab. 2). Il progetto ha offerto la possibilità agli studenti di approfondire tematiche
specifi che di carattere naturalistico su argomenti che diffi cilmente possono venire
svolti durante le lezioni curricolari. Tali approfondimenti non sono consistiti solo in
lezioni teoriche ma sono stati completati da attività di osservazione diretta, scoperta,
sperimentazione e ricerca. L’approfondimento è stato anche di carattere metodologico
con attività che vanno dall’impostazione e realizzazione di una ricerca scientifi ca alla
produzione delle relazioni scientifi che che documentano l’attività.
3) Fase di elaborazione fi nale
a) Gli studenti hanno documentato l’esperienza con una relazione fi nale di carattere
scientifi co, con abstract in lingua inglese. Sono state utilizzate anche altre metodo-
logie di documentazione (produzione di un portfolio del lavoro svolto, di materiale
multimediale …).
b) Gli studenti hanno svolto una serie di attività di rifl essione sull’esperienza; inoltre le
attività sono servite a consolidare, anche a distanza, la comunità di apprendimento
che si è trovata ad operare in presenza durante il soggiorno estivo.
c) Gli studenti sono stati coinvolti nella presentazione dell’attività ai compagni dell’anno
successivo. A questo scopo è stato utilizzato un Web Forum, nel quale hanno valutato
2 www.cort.uniud.it
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la loro esperienza a Preone. L’attività ha stimolato la rielaborazione metacognitiva
dell’esperienza stessa.
Domenica 20 agosto 2006
16.00 Arrivo
16.00-17.00 Sistemazione in camera
17.30-19.00 Riunione: Regole per la sicurezza - Organizzazione della settimana
19.30- 24.00 Cena – Tempo libero
Lunedì 21 agosto 2006
8.00-8.30 Colazione
9.00-16.00 Sella Chiampon – orientamento e lettura del paesaggio con il prof. Zanferrari
16.00-17.30 Relax, merenda
17.30-19.00 Presentazione diapositive su “Inquadramento geologico regionale- Piattaforme, scarpate, bacini”. Prof. Adriano ZanferrariStesura diario giornaliero
19.30- 24.00 Cena – Tempo libero
Martedì 22 agosto 2006
8.00-8.30 Colazione
9.00-16.00 La valle del rio Seazza con il dott. Dalla Vecchia
16.00-17.30 Relax, merenda
17.30-19.00 Formazione dei gruppi di lavoro sui ambiti disciplinari relativi alla geologia, paleontologia e biologiaProgettazione lavori con la presenza degli esperti (prof. Adriano Zanferrari, dott. Fabio Dalla Vecchia, proff. Roberto Zucchini, Francesco Gobbo, Laura Decio, Romeo Crapiz)Stesura diario giornaliero
19.30-24.00 Cena – Tempo libero
Mercoledì 23 agosto 2006
8.00-8.30 Colazione
9.00-16.00 La valle d’Arzino con il prof. Zanferrari
16.00-17.30 Relax, merenda
17.30-19.00 Messa a punto delle attività da svolgere sul campo con la presenza degli esperti (prof. Adriano Zanferrari, dott. Fabio Dalla Vecchia, proff. Roberto Zucchini, Francesco Gobbo, Laura Decio, Romeo Crapiz)Stesura diario giornaliero
19.30-24.00 Cena – Tempo libero
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Giovedì 24 agosto 2006
8.00-8.30 Colazione
9.00-16.00 Attività sul campo progettate dai gruppi con gli esperti
16.00-17.30 Relax, merenda
17.30-19.00 Attività di elaborazione e analisi dei dati raccolti con la presenza degli esperti (prof. Adriano Zanferrari, dott. Fabio Dalla Vecchia, proff. Roberto Zucchini, Francesco Gobbo, Laura Decio, Romeo Crapiz)Stesura diario giornaliero
19.30-24.00 Cena – Tempo libero
Venerdì 25 agosto 2006
8.00-8.30 Colazione
9.00-16.00 Uscita al colle di Osoppo con il prof. Zanferrari
16.00-17.30 Relax, merenda
17.30-19.00 Attività di elaborazione e analisi dei dati raccolti con la presenza degli esperti (prof. Adriano Zanferrari, dott. Fabio Dalla Vecchia, proff. Roberto Zucchini, Francesco Gobbo, Laura Decio, Romeo Crapiz)Stesura diario giornaliero
19.30-24.00 Cena – Tempo libero
Sabato 26 agosto 2006
8.00-8.30 Colazione
9.00-10.30 Lavori di gruppo
10.30-13.30 Presentazione delle attività e dei risultati dei singoli gruppi
13.30-15.00 Pranzo
15.00-18.00 Pulizie
18.00 Rientro a casa
Tabella 2 - Il programma della settimana a Preone
7. La partecipazione degli studenti
Alla attività hanno aderito 16 studenti delle quarte e quinte liceo del Copernico; non
trascurabile è il fatto che quattro degli studenti si erano già diplomati e, quindi, stavano svol-
gendo delle attività per loro puro interesse e senza ritorno di tipo scolastico o universitario
se non di carattere culturale.
Gli studenti hanno partecipato a tutte le attività proposte durante la settimana a Preone
con impegno ed entusiasmo. Hanno seguito tutte le lezioni teoriche con attenzione e interesse,
le uscite sono sempre state ricche di interventi appropriati, hanno preso nota delle attività
costruendo un loro “taccuino di campagna”, oltre ad un diario personale dell’esperienza.
Durante i primi tre giorni, la presenza e il lavoro fi anco a fi anco con gli esperti li ha aiutati
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ad assumere atteggiamenti e comportamenti competenti attraverso una “partecipazione
periferica legittimata” alle attività proposte3.
Nelle giornate successive i ragazzi si sono divisi in tre gruppi ed hanno realizzato tre
lavori di ricerca in ambito Biologico, Paleontologico e Geologico. Nell’ultima giornata hanno
esposto davanti ai compagni e ai docenti esperti i loro lavori tramite presentazioni PowerPoint.
Terminata la settimana estiva, gli studenti si sono incontrati per altre sei volte per com-
pletare il loro lavoro e produrre le seguenti relazioni scientifi che:
Densità stomatica e quantità di clorofi lla come indicatori ambientali
Rilevamento litologico lungo il Rio Seazza
Microresti fossili di vertebrati a Fusea (UD)
Tutti gli studenti hanno manifestato il desiderio di potere partecipare ancora ad una
esperienza di questo tipo negli anni a venire.
Le presentazioni Power Point, le relazioni scientifi che, alcuni quaderni di campagna,
sono consultabili nell’ambiente Web.
L’attività svolta è stata riconosciuta come credito formativo che concorre al voto fi nale
dell’ESC (Esame di Stato Conclusivo) e gli studenti che sono stati valutati meritevoli nelle
attività estive, hanno ricevuto una menzione positiva che ha concorso al voto del primo
quadrimestre nella materia di Geografi a Generale ed Astronomica.
8. Le attività di ricerca
Le attività di ricerca svolte dai tre gruppi di ragazzi (“Densità stomatica e quantità di clo-
rofi lla come indicatori ambientali”; “Rilevamento litologico lungo il Rio Seazza”; “Microresti
fossili di vertebrati a Fusea”) hanno previsto un coinvolgimento degli studenti nella fase di
progettazione e di realizzazione delle attività di ricerca, in cui i docenti esperti hanno avuto
il ruolo di supportarli nell’autonoma applicazione del metodo scientifi co.
Sono state messe a disposizione dei ragazzi le conoscenze, i materiali, gli strumenti e i
protocolli necessari per realizzare le attività, mentre è stato deciso di lasciarli indipendenti
per la scelta delle variabili da analizzare.
I progetti sono stati suddivisi in quattro fasi:
1 - Presentazione delle attività: sono state fornite agli studenti le informazioni necessarie per
l’organizzazione di un progetto di ricerca e per l’individuazione di un percorso rigoroso
dal punto di vista scientifi co.
2 - Discussione preliminare: in questa fase si è dato origine a una discussione attiva, come
prodotto della quale gli studenti hanno identifi cato le ipotesi da sperimentare e hanno
chiarito le modalità organizzative e operative dell’attività.
3 Ad esempio nei primi giorni a Preone qualsiasi tipo di roccia era oggetto di ricerca di fossili e qualsiasi “macchia” scura sulla superficie della roccia veniva interpretata come fossile. In un tempo relativamente breve (due giorni) gli studenti sceglievano quali rocce analizzare ed erano in grado di riconoscere se si trovavano in presenza di fossili oppure no. Significativo è stato anche il caso di una studentessa che ci ha raggiunto dopo due giorni è che si è trovata del tutto spaesata di fronte alle “nuove competenze” dei compagni (per lei le rocce erano ancora tutte simili e i fossili non erano distinguibili immediatamente).
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3 - Lavoro sperimentale: in questa fase sono state realizzate le attività progettate.
4 - Discussione dei dati: i dati raccolti sono stata rielaborati e discussi in gruppo. Questa
discussione ha portato a una defi nizione delle conclusioni e delle modalità di presenta-
zione dei risultati.
5 - Presentazione del lavoro: il prodotto dell’attività di ricerca svolta è stato presentato dai
ragazzi attraverso due modalità: presentazione orale supportata da power-point (diret-
tamente a Preone) e produzione di un articolo scientifi co sul lavoro svolto (realizzato
all’inizio dell’anno scolastico successivo).
I materiali prodotti sono di buon livello scientifi co, realizzati con fantasia e originalità,
anche in considerazione del poco tempo a disposizione per la loro realizzazione. È stata
curata una impostazione il più possibile corretta, da un punto di vista scientifi co.
Dalla lettura dei lavori risulta che gli studenti hanno avuto modo di operare sul campo
utilizzando metodologie proprie delle discipline coinvolte ed hanno affrontato i problemi
posti dalla sfi da del lavoro proposto utilizzando competenze che si sono formate durante
la settimana a Preone.
9. Le attività in web
L’ ambiente per l’attività collaborativa in rete è stato organizzato in sezioni (vedi Tab. 3)
all’interno delle quali è stato possibile gestire il contenuto, i materiali e le attività .
Sezioni attivate
1. Chi siamo (in cui gli studenti si sono presentati e hanno esplicitato le loro aspettative)
2. Attività di preparazione alla settimana a Preone - le conferenze (in cui sono state presentate e discusse le conferenze propedeutiche)
3. Attività di preparazione alla settimana a Preone - i materiali di approfondimento (in cui sono stati forniti articoli, riferimenti bibliografi ci, link per l’approfondimento)
4. Attività di preparazione alla settimana a Preone - la discussione in web (in cui sono stati predisposti wf sui settori disciplinari e le competenze specifi che delle discipline coinvolte)
5. La settimana a Preone - programma (in cui sono state fornite le informazioni utili per la settimana a Preone)
6. La settimana a Preone - le attività (in cui sono stati depositati i “Taccuini di campagna” e il diario giornaliero)
7. La settimana a Preone - le esperienze sul campo (in cui sono stati raccolti i materiali prodotti dagli studenti relativi alle attività di ricerca sul campo che li hanno visti impegnati in prima persona dalla progettazione alla rendicontazione delle attività, insieme ad un esperto)
8. Attività di rifl essione sulla settimana a Preone - la discussione in web (in cui è stata affrontata in wf la rifl essione formativa orientante su:
1) il ruolo giocato a Preone dalle discipline come “biologia” e la “geologia” 2) i settori scientifi co-disciplinari che le caratterizzano 3) la congruenza tra le materie studiate al liceo e queste discipline 4) le relazioni tra le discipline.
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9. La settimana a Preone - le attività conclusive (in cui è stata richiesta agli studenti una collaborazione per presentare il progetto ai compagni delle attuali quarte che potranno frequentarlo nell’estate del 2007 attraverso una valutazione dell’esperienza fatta. I punti che sono stati portati alla loro attenzione sono:
1) l’evidenziazione dei punti di forza del progetto 2) il valore dell’ esperienza per la loro formazione 3) i materiali da presentare e il perché 4) la scaletta di presentazione 5) il valore assunto per il loro orientamento 6) i suggerimenti sugli elementi di positività e negatività del progetto
Tabella 3 - Le sezioni dell’ambiente web collaborativo
Dai forum di rifl essione sull’esperienza a Preone è stato possibile rilevare che gli studenti
hanno riconosciuto:
- il valore aggiunto delle ricerche che li vedevano come protagonisti;
- le attività con gli esperti come momenti che sono serviti per poter acquisire conoscenze e
competenze specifi che per le diverse discipline;
- il “bisogno” di basi per poter affrontare i problemi proposti nei lavori di ricerca;
- la necessità di dover integrare le conoscenze e le competenze di più di una disciplina per
affrontare il lavoro di ricerca;
- il lavoro sul campo ha permesso loro di provare direttamente a mettere in pratica meto-
dologie disciplinari che conoscevano solo a livello teorico;
- il possesso di competenze acquisite a scuola (per es. relative alla biologia) spendibili in
alcune attività sul campo.
Nel forum fi nale sull’esperienza, che viene valutata positivamente, gli studenti hanno
fornito una serie di suggerimenti per migliorare la realizzazione del progetto e hanno rico-
nosciuto:
- un ruolo formativo e di orientamento alla attività;
- un ruolo formativo disciplinare al progetto;
- l’attività sul campo come uno dei punti di forza del progetto;
- il valore di quanto hanno prodotto;
- che facendo si apprende in modo più effi cace rispetto ad un apprendimento esclusivamente
teorico e che in questo modo è più facile rifl ettere su ciò che si apprende;
- il ruolo del web nelle attività di progetto;
- l’importanza dell’interazione nel gruppo e della collaborazione (in presenza);
- l’importanza di aver avuto al fi anco degli esperti e dei professionisti.
10. Conclusioni
Il progetto ha fornito un’occasione di studio ed azione sul campo a studenti della scuola
superiore interessati a discipline naturalistiche. Ha permesso di approfondire tematiche
specifi che di diffi cile svolgimento nei normali programmi curricolari e di prendere contatto
con esperti e professionisti del settore. Gli studenti hanno anche potuto lavorare in qualità
di naturalisti nell’indagine del territorio e nello sviluppo di una indagine scientifi ca.
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È stata realizzata una modalità di orientamento formativo attraverso l’apprendimento
mediato dall’esperienza diretta dei contesti e delle metodologie della disciplina.
I risultati ottenuti dall’esperienza, il suo valore formativo, il gradimento espresso dagli
studenti avvalorano la decisione di riproporre questo tipo di esperienza estendendola,
magari, anche ad altre discipline.
La disponibilità di strutture gratuite o a basso costo risulta determinante per la realizza-
bilità di tali esperienze in assenza di fi nanziamenti esterni alla scuola, tuttavia riteniamo che
tale disponibilità sia abbastanza diffusa, specialmente nella nostra zona montana.
Per garantire la ripetibilità di questa esperienza, sarebbe utile raccogliere informazioni
riguardo le strutture disponibili per l’accoglienza di scolaresche nella nostra regione e gli
Enti locali che sono interessati a promuovere il territorio.
Parallelamente si potrebbe anche fare un elenco di docenti universitari disponibili a
collaborare e a partecipare a soggiorni estivi. Come ultimo elemento sarebbe importante
avere la disponibilità e la collaborazione della SSIS. Questi dati potrebbero essere raccolti e
coordinati dal CORT che avrebbe il ruolo di innescare eventuali collaborazioni tra le Scuole,
l’Università e il Territorio.
Sarebbe auspicabile esplorare la possibilità di coordinare attività di questo tipo con l’Uni-
versità, nel senso di pensare al riconoscimento di opportuni crediti formativi ai ragazzi che vi
partecipano con profi tto. Il credito sarebbe riservato ai ragazzi che si iscrivono a determinate
facoltà dell’Università di Udine, magari a fronte di un esame o comunque della valutazione
di eventuali materiali prodotti. Questo comporterebbe una preventiva defi nizione delle
azioni da svolgere per raggiungere il credito, e una ovvia collaborazione tra i docenti della
scuola superiore e quelli universitari.
Bibliografi a
Ajello A. M., Meghnagi S., Mastracci C., Orientare
dentro e fuori la scuola, La Nuova Italia, Milano
2000.
Alberini F., Crapiz R., De Marchi M., Gobbo F.,
Novel D., La relazione dell’esperimento di labo-
ratorio, Laboratorio di scrittura n° 2. Seminario
regionale. Liceo Scientifico Statale “Galileo
Galilei”, Trieste, 2004, pp. 23-33.
Brown J. S., Collins A. & Duguid P., Situated cognition
and the culture of learning, Educational Research,
18(1), 1989, pp. 32-42.
Dresner M., Moldenke A., Authentic fi eld ecology
experiences for teachers, The American Biology
Teacher, 64, 9, 2002, pp. 659-663.
Edgar M., I sette saperi necessari all’educazione del
futuro, Ed. Raffaello Cortina, Milano, 2001.
Honsell F., Michelini M., L’impegno dell’università di
Udine a collaborare con la scuola per l’orientamento
formativo e la continuità formativa, in Attività
di orientamento formativo 05-06, AAVV, CORT,
Università degli Studi di Udine, 2005.
Lave J. & Wenger E., Situated learning. Legitimate
peripheral partecipation, Cambridge University
Press, Cambridge, 1991.
Michelini M., Un modulo di intervento formativo da
una sperimentazione di ricerca triennale, Magel-
lano, 18, 2003, pp. 35-47.
Novak J.D., Gowin D.B., Imparando a imparare, SEI,
Torino, 1984, pp. 65-83.
Pontecorvo C., Ajello A. M., Zucchermaglio C., I
contesti sociali dell’apprendimento: acquisire cono-
scenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana,
LED, Milano, 1995.
Zervanos S. M., McLaughlin J. S., Teaching Biodiver-
sity & evolution through travel Course Experiences,
The American Biology Teacher, 65, 9, 2003, pp.
683-688.
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Lingua straniera, testi multimediali e analisi del discorso
Rosalia Dinisio, Supervisore SSIS dell’Indirizzo Lingue Straniere,
Università degli Studi di Udine
1. Introduzione
Il tirocinio dell’area linguistica offre ottimi esempi di accoglienza del tirocinante in classe
e di collaborazione con la SSIS. I docenti sono spesso in grado di offrire allo specializzando
esperienze formative riconducibili a progetti europei (Socrate e Leonardo), oltre che a nuovi
sviluppi timidamente emergenti nel sistema italiano, quale il CLIL (Content-based-Lan-
guage-Integrated Learning). Nello stesso tempo i docenti accoglienti di lingua straniera
sono particolarmente disponibili a cogliere le sollecitazioni metodologiche e pedagogiche
che giungono loro tramite i tirocinanti dai laboratori SSIS, inglobandole nella formazione
in servizio, a volte in assenza di altre opportunità istituzionali. Un tale atteggiamento viene
confermato, a conclusione del percorso di tirocinio, anche dalla soddisfazione dell’insegnante
accogliente nel ricevere le relazioni fi nali redatte dai tirocinanti sulle fasi di osservazione,
di negoziazione del percorso didattico e della sua relativa realizzazione. Essa infatti viene
accettata come ulteriore momento di rifl essione, grazie alla funzione di rispecchiamento della
propria azione di insegnamento.
Accanto a questo quadro favorevole persistono in alcuni casi delle resistenze inconsce al
cambiamento dello status quo metodologico. La routine in cui l’insegnante anno per anno si
fossilizza in alcuni casi diventa una specie di benda che impedisce di scorgere alternative; in
altri casi essa è rassicurante rispetto allo sviluppo del ‘programma’e nei fatti l’unica via che viene
seguita. D’altra parte il tirocinante non sempre ha la forza metodologica e negoziale di proporre
percorsi di rottura della routine a cui la classe è abituata, sia per la scarsa esperienza, sia per un
rapporto di dipendenza psicologica nei riguardi del docente accogliente. A queste caratteristiche
di rigidità del tirocinante va aggiunta anche la sua esperienza pregressa nell’apprendimento
della lingua straniera, che può coincidere con le modalità che trova ripetute in classe.
Laddove dovesse verifi carsi un simile contesto, l’azione del supervisore si può inserire in
prima battuta come sprone per il tirocinante alla rifl essione sull’osservazione sperimentata
in classe e quindi alla consapevolezza relativa ai meccanismi di resistenza al cambiamento;
in seconda battuta il supervisore può inserirsi nel processo di negoziazione tra l’insegnante
accogliente e il tirocinante, invitando alla graduale apertura di una breccia, dove necessaria.
Una simile azione dovrebbe comprendere anche il richiamo delle attività svolte nei laboratori
SSIS per una eventuale selezione delle proposte alla luce dei bisogni degli studenti coinvolti
nel tirocinio.
Partendo da queste considerazioni si intende prima di tutto portare l’attenzione sulla que-
stione principale, la concezione della lingua, spesso non del tutto risolta dallo specializzando,
in particolare per quanto concerne le ripercussioni sulla pratica didattica e sulla formazione
dello studente. Viene, di conseguenza, sottolineata la responsabilità del supervisore nell’azione
di guida e di sollecitazione alla rifl essione. In questa prospettiva vengono richiamati approcci
all’insegnamento della lingua ancora in atto nella realtà, nonostante siano stati superati dalla
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ricerca, e, in alternativa, viene fatta una sintesi dei principi teorici alla base di un approccio
programmatico alla lingua. A documentazione dei risultati che si possono ottenere grazie
all’azione del supervisore, si riportano esempi di attività didattiche strutturate da formandi
nel quadro di una più ampia progettualità.
2. La questione principale: la concezione della lingua
Nella prassi didattica delle lingue straniere il testo viene proposto all’alunno accompagnato
da una serie di domande di comprensione del contenuto esplicito, da esercizi sulle strutture
morfosintattiche presenti nel testo stesso, a volte dalla estrapolazione del lessico per il ricono-
scimento della sua formazione (prefi sso, suffi sso…), per approdare infi ne ad una discussione
sul tema trattato nel testo, comprendendo così l’attivazione di varie abilità, quali la lettura, il
parlato e, nel caso dell’aggiunta di un riassunto, anche la scrittura.
I vari elementi del testo non vengono in genere ricondotti al disegno generale da scoprire
nel testo stesso, perché possa essere più chiara l’immagine dell’emittente e lo scopo del suo
messaggio. Ne risulta un uso strumentale del testo come ‘scaffale’ di un supermercato da
dove attingere un prodotto in vendita: un tempo verbale, un pronome, un aggettivo o altro
elemento linguistico.
Accettando una simile impostazione didattica, la matrice di riferimento della lingua è di
natura strutturale-situazionale. Scegliendo tale chiave di lettura – di grande successo in lin-
guistica4 negli anni 60, e un decennio più tardi in didattica – la lingua è costituita da strutture
morfosintattiche che si ripetono, pur con i dovuti cambiamenti di genere, persona, tempo …
Una volta fattone un ‘inventario’ da includere nella programmazione annuale, il docente fa
ricorso a situazioni fi ttizie a cui possono essere riferite le strutture, oppure a testi che, composti
per scopi didattici, contengono in modo ricorrente la struttura morfosintattica da insegnare:
la frase è l’unità linguistica dotata di signifi cato univoco, priva della complessità semantico-
strutturale del testo.
Quanto alla matrice relativa all’apprendimento, si scopre una impostazione di tipo ten-
denzialmente comportamentista, secondo cui la ripetitività di segmenti linguistici, oltre
all’intervento di rinforzo delle frasi corrette e di immediata correzione di quelle contenenti
errori, è garanzia di successo nell’apprendimento, indipendentemente dall’effi cacia moti-
vazionale del processo. Non è questa una prassi da demonizzare, purché se ne conoscano i
limiti: il testo diventa un mezzo per incoraggiare la consapevolezza morfosintattica, anche se
a discapito sia dell’autonomia espressiva, sia del collegamento dell’espressione al contesto,
sia dell’educazione linguistica.
Contemporaneamente all’impostazione strutturale-situazionale, dagli Stati Uniti giunge
l’invito chomskiano5 a riconsiderare la capacità creativa innata nell’uomo, e successivamente
dalla Gran Bretagna6 provengono sollecitazioni a ripensare la concezione della lingua e di
4 Brooks, 1964; Fries and Fries, 1961.
5 Chomsky, 1975.
6 Widdowson, 1978.
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conseguenza il processo di apprendimento-insegnamento. Widdowson7 distingue tra usage e
use, il primo centrale negli orientamenti didattici precedenti con il suo accento sulla correttezza
e sulla componente ‘discreta’ della lingua, il secondo con l’enfasi posta sull’appropriatezza e
sul successo del messaggio. Infl uenzata da questi studi, l’Italia negli anni 80 assiste al grande
successo dell’approccio comunicativo-funzionale: per quanto riguarda la natura della lingua,
si ritiene che l’unità della comunicazione sia il testo nella sua interezza, non più la frase
estrapolata da un suo contesto signifi cativo; nella pratica didattica all’enfasi sulla forma e, di
conseguenza, sulla correttezza grammaticale, si sostituisce l’accento sulla forza comunicativa
anche in assenza di correttezza formale, e sulla comprensione di testi autentici in sostituzione
della creazione di testi piegati ai bisogni di apprendimento. Il grado di diffi coltà dell’attività
orienta la didattica, piuttosto che il livello linguistico del testo.
È vero cambiamento? I libri di testo appaiono ricchi di immagini richiamanti testi autentici
e attività di comprensione ed espressione facilmente rintracciabili nella realtà. A questa svolta
metodologica si accompagnano batterie di drill – di derivazione strutturale-situazionale –, sia
pure basati su ‘funzioni’, tradendo l’ansia del docente che ha ancora bisogno di identifi care
degli obiettivi ‘misurabili’ in relazione al loro raggiungimento, nella convinzione di poter tenere
sotto controllo la dinamica dell’apprendimento.
3. Educazione linguistica: lingua come discorso
L’approccio alternativo centrale in alcuni laboratori SSIS si fonda sulla pragmatica della
lingua, legata al lavoro di Austin8 e Searle9, secondo cui l’uso della lingua è una forma di com-
portamento dell’emittente volta ad agire sul destinatario, chiamata ‘atto di parola’. Widdowson
(1978) riprende questo concetto: Normal linguistic behaviour does not consist in the production of
separate sentences but in the use of sentences for the creation of discourse10.
Attraverso l’espressione speech act originariamente ci si riferiva ad una affermazione conte-
nente un verbo di tipo performativo. Secondo Van Dijk11 speech act può essere utilizzata anche
con riferimento ad una serie di affermazioni che si confi gurano come unico atto: è ciò che
l’autore chiama macro-speech act. Se in un primo momento l’atto di parola veniva rintracciato
in testi orali, dalle espressioni proprie di atti uffi ciali (es. dichiaro) a quelle di una comune
conversazione della vita di tutti i giorni, ora è applicato a testi scritti, quali articoli di giornale
e notiziari radiofonici e televisivi.
L’analisi del discorso è volta a cogliere il nesso tra la forma che il testo assume (scelte mor-
fosintattiche, vocali, caratteristiche estetiche ….) e il signifi cato della combinazione di elementi
linguistici, soprasegmentali, paralinguistici, contestuali e culturali da cui deriva l’intenzione
comunicativa dell’emittente. Si mette in luce così l’effi cacia comunicativa sul destinatario, cioè
la forza dell’atto di parola.
7 Widdowson, 1979, capitolo 1.8 Austin, 1962.9 Searle, 1969.10 Widdowson, 1978, p. 22.11 Van Dijk, 1980.
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A livello formativo apprendere a scoprire l’alchimia degli elementi linguistici presenti
in un testo signifi ca fornire all’alunno – esposto oggi più che mai ad un bombardamento
di messaggi multimediali – e al futuro cittadino alcuni degli strumenti utili a decodifi care la
realtà che lo circonda.
La rilevanza della prospettiva pragmatica anche in campo educativo spiega l’inclusione
nel Common European Framework of Reference12 della competenza pragmatica che si struttura
come segue:
4.7.2.3 Pragmatic competence:
4.7.2.3.1 discourse competence
4.7.2.3.2 functional competence
4.7.2.3.3 schematic design competence
Lo stesso documento fornisce una spiegazione della competenza pragmatica che coniuga
insieme le componenti della stessa competenza su riportate:
Pragmatic competence is concerned with the user/learner’s knowledge of the principles according
to which messages are:
a) organised, structured and arranged (‘discourse competence’);
b) used to perform communicative functions (‘functional competence’);
c) sequenced according to interactional and transactional schemata (‘design competence’).
Il presente lavoro prende in considerazione la rifl essione con il tirocinante in relazione ad
una delle sue componenti, la competenza relativa all’analisi del discorso. Non si trascurano
competenze linguistiche grammaticali, lessicali e fonologiche già oggetto dell’insegnamento
tradizionale, ma le componenti del testo vengono rapportate l’una all’altra comprendendo
anche elementi soprasegmentali (elementi prosodici del parlato come l’intonazione) e para-
linguistici (linguaggio non verbale quale quello del corpo, oppure gli elementi visivi di un
testo) a spiegazione della forza dell’atto di parola. Con il cambiare di prospettiva, i nuclei
fondanti della lingua cambiano identità essendo tutti riconducibili alla coerenza e alla coesione.
La prima si riferisce alla relazione signifi cativa tra una frase e l’altra e tra queste e l’insieme;
la seconda riguarda i nessi espliciti di natura semantica e morfo-sintattica tra le frasi13 di una
struttura testuale, e i nessi impliciti, che possono essere compresi se si è a conoscenza del
contesto di riferimento.
4. ‘Sentire’ il testo
Quando il tirocinante intende defi nire il percorso didattico da proporre a scuola, si incontra
con il supervisore sulla base di uno o più testi scelti insieme all’insegnante accogliente, oppure
da proporre a quest’ultimo insieme a percorsi didattici sviluppati sui testi stessi. È questo un
momento importante nel dialogo formativo tra supervisore e tirocinante, in quanto diventa
12 Council of Europe, 2001. Il Common European Framework è inteso come il punto di riferimento concordato nell’ambito dell’Unione Europea per l’elaborazione di curricula linguistici, l’individuazione univoca di livelli di competenza linguistica e di procedure di valutazione e certificazione.13 Widdowson, 1078, p. 27.
Il supervisore di tirocinio: conduttore di un racconto e promotore di innovazione | Università degli Studi di Udine
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occasione perché emergano resistenze del tirocinante all’innovazione e ansie nei confronti
della risposta dell’insegnante accogliente nei confronti di eventuale rottura della routine.
Il supervisore aiuta il tirocinante a superare queste criticità invitandolo a ‘sentire’ il testo da
linguista, prima che da docente: percepire, cioè, l’unità comunicativa senza condizionamenti
provenienti dal contesto di lavoro. L’intenzione non è quella di ignorare i bisogni formativo-
disciplinari del destinatario di tutte le attività, ma in prima battuta di rifl ettere sulla visione della
lingua e, successivamente, chiedersi come ci si possa collegare ai bisogni di un dato gruppo
o individuo accettando determinate convinzioni linguistiche, per passare alla strutturazione
di attività e percorsi.
Più concretamente il tirocinante/specializzando viene incoraggiato a scoprire le caratteristiche
dell’emittente e del destinatario e lo scopo comunicativo del testo attraverso domande quali:
– Chi ha scritto il testo?
– A chi si rivolge?
– Che messaggio vuole far passare?
– Che effetto vuole produrre sul destinatario?
– In quale contesto è stato scritto?
Si tratta di un primo approccio al testo di tipo top-down, dall’alto verso il basso, in quanto è
volto a scoprire le coordinate principali del testo che ne costituiscono l’ossatura principale. Ad
esso si fa seguire un approccio di tipo bottom-up, dal basso verso l’alto, volto ad individuare i
micro-elementi del disegno – morfosintattici, lessicali, paralinguistici, soprasegmentali – che,
in quanto collegati gli uni agli altri in modo signifi cativo, costituiscono la trama di tutta la
tessitura. Le domande da porsi in questo secondo caso possono essere ricondotte alle seguenti:
– Quale elemento morfosintattico/lessicale/soprasegmentale/paralanguistico contribuisce in
modo particolare a trasmettere il messaggio? Che funzione specifi ca svolge nel testo?
– Che tipo di registro è stato usato e perché?
Questa fase prepara lo specializzando alla focalizzazione sull’analisi del discorso, senza
la quale si perderebbe di vista l’unitarietà del testo, ricadendo nell’attività meccanicistica di
esercizio su strutture grammaticali. Successivamente si procede alla strutturazione delle attività
per gli studenti, tenendo conto dei loro bisogni nell’ambito dell’educazione linguistica. Di
seguito vengono riportati alcuni esempi estrapolati da due percorsi più ampi.
5. Esempio 1: l’argomentazione in un notiziario televisivo14
Destinatari: Terzo anno di un Liceo Linguistico di livello B115.
Obiettivi:
– riconoscere la coerenza nella struttura generale di un testo argomentativo
14 Speed limits on Germany’s motorways. Da BBC World News. Maggio 2007. Cfr. testo n. 1 in Appendice. Le attività sono state preparate nell’ambito di un percorso didattico più ampio da Monica Vergendo Cedolini, secondo anno SSIS 2006/20007. In questa sede sono state omesse tutte le attività di preparazione del gruppo alla comprensione del testo televisivo e le strategie utilizzate per un approccio graduale al testo stesso, a favore delle attività più specifiche dell’analisi del discorso.
15 Il livello proviene dal Common European Framework of Reference, che ne fornisce una descrizione detta-gliata.
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– riconoscere le varie funzioni di uno stesso connettivo e la forza dell’‘atto di parola’
– identifi care la coerenza tra gli elementi linguistici e le intenzioni comunicative
Gli alunni sono invitati a rintracciare le parti principali dell’argomentazione nel notiziario
televisivo: l’U.E. e gli ambientalisti richiedono un limite di velocità sulle autostrade tedesche
per favorire la riduzione delle emissioni di gas, causa del cambiamento climatico (Issue).
Ma (But) non c’è consenso da parte del governo (Consequence 1), dei giovani automobilisti
(Consequence 2) e dell’industria automobilista (Consequence 3), ciascuno per motivi diversi.
Pertanto (So) una soluzione defi nitiva è ancora lontana (Conclusion).
Issue
Consequence 1 Consequence 1 Consequence 1
But
So
Conclusion (if any)
Attraverso le domande che seguono gli studenti sono invitati a riconoscere le varie fun-
zioni di uno stesso connettivo e la forza dell’’atto di parola’: La prima volta che but viene usato
produce un effetto ironico basato sul contrasto. La seconda volta appare all’inizio della frase
per sottolineare l’urgenza delle restrizioni sulla velocità al fi ne di ridurre gli effetti dei gas serra.
Pertanto assume un tono serio che esprime preoccupazione. La terza volta assume un tono can-
zonatorio: l’aggettivo superlativo greenest e la collocazione di cares deeply sono in contrasto con
il paragone che il giornalista fa tra l’autista tedesco e Schumachers, il pilota della formula uno.
– What is the function of the linker ‘but’?
– How is the effect obtained?
Analyze each case.
Le risposte alle domande precedenti dovrebbero preparare lo studente alla rifl essione che
segue: il giornalista è critico nei confronti della situazione in Germania e sembra rivolgersi
a chi simpatizza con la sua posizione. Le domande per sollecitare questo passaggio sono:
– What is the function of the text?
❑ to warn ❑ to inform ❑ to complain ❑ to criticize ❑ other
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– Who is the target of the message in your opinion? Somebody who cares for the environment and
therefore agrees with the journalist, or somebody who loves speed and shares the interviewees’
critical answers?
A questo punto gli studenti sono invitati ad analizzare la coerenza delle scelte grammaticali
con la forza dell’atto di parola. Il simple present è il tempo più ricorrente. Esso indica un dato
di fatto: il riscaldamento globale. Rinforza l’urgenza di un’immediata soluzione.
Ci sono due esempi di futuro nella forma negativa: won’t be slowing down e won’t take.
Essi esprimono il punto di vista del giornalista che è convinto della responsabilità degli
automobilisti tedeschi e dei fabbricanti di macchine a causa della velocità sulla strada. Il
primo è un futuro in forma continuata, che è di solito usato per esprimere il corso normale
degli eventi. È anche usato come forma di gentilezza per dire qualcosa senza coinvolgere
chi parla direttamente in prima persona. Il giornalista sembra voler prendere le distanze
dal comportamento irresponsabile degli automobilisti tedeschi e sembra avere a cuore la
salvaguardia dell’ambiente, scegliendo di esprimersi in forma rispettosa e ironica nello
stesso tempo, combinazione tipica in un certo ambiente inglese. La forma negativa dei verbi
sembra segnalare un certo pessimismo nel giornalista riguardo a soluzioni a breve termine:
i tedeschi continueranno ad amare l’alta velocità.
Seguono delle domande utili a questo tipo di rifl essione:
In the script the most frequent verb tense is the simple present:
– What is its function?
– What is its relation with the content of the text?
There are only two examples of future forms.
– What forms of future are there?
– Are they used in the negative or positive forms?
– What is the function of this form?
– What does it tell the reader about the reporter’s point of view? What opinion does it express?
6. Esempio 2: notizia televisiva e dissonanza tra elementi verbali, soprasegmentali
e non verbali16
Destinatari: terzo anno del liceo scientifi co
Obiettivo: analisi della coerenza tra immagini e commento
Gli studenti sono invitati a considerare la coerenza tra immagini, aspetti sovrasegmentali
della voce fuori campo e la musica di accompagnamento rispondendo alle seguenti domande:
– What are the images which, in your opinion, fi t the title and help you to understand the text?
16 Barbie Bandits, CNN News, durata quasi tre minuti; Cfr. testo n. 2 in Appendice. Le attività sono state preparate nell’ambito di un percorso didattico più ampio da Natalia Cancian, secondo anno SSIS 2006-2007. In questa sede sono state omesse tutte le attività di preparazione del gruppo alla comprensione del testo televisivo e le strategie utilizzate per un approccio graduale al testo stesso, a favore delle attività più specifiche dell’analisi del discorso.
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– Which are the images which do not seem to fi t the situation?
– What kind of tone is the reporter using?
– What is the tone the policeman is using instead?
– What is the moral underneath the policeman’s words?
– Think again about all the segments in the video (irrelevant interview, scenes from a movie,
extracts from a Barbie song, images of a shop selling sunglasses). What is the feeling you get
when watching the video?
– Do you think there is a good, logical connection between the introduction and the main part?
– How would you defi ne the text?
❑ narrative ❑ descriptive ❑ argumentative
– Given the kind of news, what text type would you choose instead?
❑ narrative ❑ descriptive ❑ argumentative
– Focus on the tone of the text and tick the adjective which, in your opinion, fi ts best. Give evidence
from the text.❑ sad
❑ serious
❑ formal
❑ sarcastic
❑ mocking
❑ hilarious
Attraverso le domande sul tono del commento e la scelta di dettagli irrilevanti sull’abbi-
gliamento delle ragazze (riprese da una telecamera mentre effettuano un furto), gli studenti
sono guidati a cogliere l’inadeguatezza del testo rispetto alla gravità della notizia data: il furto
viene presentato come un gioco con cui le due ragazze si divertono. Al termine gli studenti
dovrebbero cogliere la superfi cialità con cui viene data la notizia.
Bibliografi a
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37
APPENDICE
Trascrizione dei testi
Testo n. 1 dal telegiornale di BBC World del 14 marzo 2007. Durata circa tre minuti.
Speed limits on Germany’s motorways
Woman reporter (from the studio): …on something completely different: Germany’s motorways
where people love driving on them because there is no speed limit. That’s likely to change, though,
because the European Commission is worried about the greenhouse gas emissions and wants a speed
limit of 130 km to be brought in. No one is very pleased about it in Germany.
Man reporter (background voice): there is no one formula, one driver. Torsten Quade sells insurance
but, out in the autobahn, he drives fast, very fast. That’s because much of Germany’s motorway network
has no speed limit.
Interviewee 1: I’ve got a fast car, I’ve got the opportunity to drive fast and it’s fun to drive fast…
and so why shouldn’t I drive fast?
Man reporter (background voice): But German drivers are under pressure to slow down. Some
restrictions are already impelled. Now the European Commission wants speed limits on all the
autobahn to help tackle climate change.
Interviewee 2: the introduction of a speed limit of 130 km on the motorways could cut down
greenhouse gases by 2/3, immediately.
Man reporter (on the screen): Germans pride themselves on being one of the greenest nations in the
world, the Country which cares deeply about the environment but, behind the wheel of the car, out
in the motorway, they are transformed into a nation of Schumachers, which is why for many people
here saving the planet takes second place to speed.
Man reporter (background voice): The German Government is criticizing the EU’s idea. Germany’s
top motoring club says it is dangerous…
Interviewee 3: The danger of having speed limit is that it is very boring for the driver. You can make
a crash or something like that because you’re bored…
Man reporter (background voice): Car makers aren’t impressed either. BMW claims its latest models
already produce less Co2. Don’t need speed limits to keep them clean. And Torsten won’t be slowing
down!
Interviewee 1: we have so much gases all over the world that this small piece of driving fast…this
is such a small thing…that it makes no difference…
Man reporter (background voice):…which shows that Germans will take some convincing, before
they give up their life in the fast lane.
BBC News
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Testo n. 2
In Georgia authorities have made a rest in the Barbie Bandits case (espressioni facciali esagerate)
Ashley Miller and Hellen Johnson both 19 were arrested last night. Police say they are the duo (parole
scandite) caught right there on camera (linguaggio corporee: gesto con la mano per indicare) laughing
(enfasi di voce) while robbing a bank outside of Atlanta. It could be an inside job (espressioni facciali
accentuale), two others were arrested, one of them was a bank teller working at that very bank they
robbed (espressioni facciali accentuate + parole scandite + linguaggio corporeo). Police call it (spallucce) an
“inside job”. People around the country… just called it weird! (espressioni facciali esagerate) From the
beginning it didn’t look like a normal bank robbery…. (espressioni facciali esagerate + spallucce).
Here, seeing us is Jeanne Moos:
Reporter two
They look like they should be hanging out at the mall…not robbing a bank! Forget Bonnie and
Clyde.
(canzone) Hey Barbie, look at you! What is the meaning of the two girls playing? What sense does
the song give?
Reporter two
Cop county police outside Atlanta distributed these surveillance photos (immagini dal video di
sorveglianza) of a blonde and a brunette described as turning heads in tight jeans and sunglasses as
they entered a grocery store (imagine del negozio) and robbed a bank of America counter located inside
(immagine del nome della banca).
Interviewee one: (donna di mezza età in macchina)
I thought what are these children doing? They look like kids!
We decided they must have skipped school to rob a bank! (ridacchiando)
Reporter two
Sounds like a movie…actually it was a movie….(immagini da un fi lm) That’s it! A Bank robbery!
I’m in!
Reporter two
In Sugar and Spice such cheerleading squad in masks…..
(fi lm)
This is gonna be the best bank robbery ever! Because Cheerleaders kick!
Reporter two
Now the cheerleaders use their moves to block the surveillance camera. The real girls got caught
on camera smiling no less
Interviewee two
Like….like this is all fun and games.
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Reporter two
They did not display a weapon they just handed over a note demanding cash…other nicknames
range from Hottie bandits to Bug-eyed bandits after the sunglasses that don’t really hide their identities
but the glasses do resemble Gucci’s according to those who sell them. (immagini di un negozio di
occhiali)
And what’s the price on these? I guess if you robbed a bank you can afford them!
Police would only say that the girls got a considerable amount of loot.
There have been other young female bank robbers of 15 years old in Ohio last year…the one
in the hood…she got caught… so did the van 19 year-old cell phone robber who was convicted of
knocking off four Virginia banks …
Who were you talking with on the cell phone?
She was sentenced to twelve years….police say they don’t know if the Barbie bandits used to get
away by car but the cheerleader in sugar and spice got caught and put in a line up…… (immagini dal
fi lm)
An eye witness says (immagini di occhiali) the Barbie bandits look like they spend more dressing
for the robbery than actually preparing for it. The photos resulted in a fl ood of tips to police who sure
don’t think of the Barbie bandits as Barbie dolls (immagini della pubblicità di Barbie)
(Canzone)
And now she says…meet me at the mall! Cool!! What’s she gonna say next? (immagini di due baby
dolls seguite dalle immagini delle due Barbie Bandits)
Reporter two
How about….I wanna call my lawyer!
Jeannie Moos CNN, NY
40
Portare la fi sica quantistica nella scuola
attraverso la formazione iniziale degli insegnanti
Mariangela Conzato, Abilitata SSIS
Alberto Stefanel, Supervisore SSIS dell’indirizzo Fisica Informatica Matematica,
Università degli studi di Udine
1. Introduzione
L’istituzione delle SSIS ha aperto la strada ad una formazione iniziale degli insegnanti che
si è fatta portatrice di innovazione didattica nella scuola (Bonetta et al. 2002). Nel caso specifi co
della fi sica è stato possibile realizzare strategie formative, che hanno come oggetto e strumento
di studio le proposte dell’insegnamento/apprendimento emerse dalla ricerca didattica e si
differenziano profondamente da strategie tradizionali, per scelte di impostazione disciplinare,
rigore metodologico, coinvolgimento diretto degli studenti nella costruzione dei concetti fi sici,
anche grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie (Ajello et al. 2002; Michelini et al. 2002b, 2004d;
Sperandeo 2001, 2004; Michelini 2004). È stato inoltre possibile attivare un rinnovamento dei
curricoli attraverso la formazione dei nuovi insegnanti alla fi sica moderna e in particolare alla
meccanica quantistica (MQ da qui in poi), che pur essendo prevista nei programmi ministeriali,
è di fatto estranea alla scuola (Giliberti et al. 2002; Michelini et al. 2004a,b).
Per raggiungere questo obiettivo, nella SSIS di Udine è stato attivato un modulo di forma-
zione degli insegnanti secondari di fi sica sulla MQ, centrato sulla proposta di insegnamento-
apprendimento della MQ esito di ricerche condotte per oltre un decennio (Ghirardi et al.
1995, 1997; Michelini et al. 2000; 2001). Tale modulo è stato sviluppato attraverso corsi e
laboratori di didattica della MQ e integrato con attività di progettazione e sperimentazione
durante il tirocinio nelle scuole, tutorato nelle diverse fasi di realizzazione (Michelini et al.
2004a,b,d; Stefanel et al. 2004).
L’obiettivo del presente lavoro è discutere il ruolo del supervisore di area nella realizzazione
di sperimentazioni di tirocinio sulla MQ e valutare la formazione dei tirocinanti, attraverso
l’analisi degli esiti delle sperimentazioni didattiche effettuate e documentate dai tirocinanti
stessi nelle relazioni fi nali. Dopo aver presentato i caratteri essenziali del modulo formativo
sull’insegnamento-apprendimento della MQ e il ruolo di interfaccia scuola-università giocato
dal supervisore di area, si discutono i risultati ottenuti nelle sperimentazioni attraverso: l’analisi
di un caso di studio; il riepilogo degli elementi comuni delle sperimentazioni effettuate nelle
scuole da sei specializzandi.
2. Il modulo formativo sulla MQ
Presso la SSIS di Udine negli anni tra il 2000 e il 2003 è stato sperimentato un modulo
formativo biennale sulla MQ, articolato in 6 crediti didattici (circa 60 ore di carico didattico),
3 cd per ciascuno dei due anni. Il modulo formativo si è sviluppato in cinque fasi svolte par-
zialmente in parallelo: 1) analisi critica dei fondamenti della teoria, per fornire gli strumenti
di analisi autonoma di proposte differenziate; 2) discussione degli elementi di crisi della fi sica
classica a livello di interpretazione della fenomenologia, affrontando in laboratorio alcuni
degli esperimenti cruciali effettuabili con strumentazione commerciale, 3) discussione critica
Il supervisore di tirocinio: conduttore di un racconto e promotore di innovazione | Università degli Studi di Udine
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di differenti approcci didattici; 4) discussione della proposta didattica incentrata sul ruolo del
principio di sovrapposizione lineare, sviluppata in precedenti ricerche (Michelini et al. 2000,
2001, 2002); 5) progettazione di percorsi didattici e loro eventuale sperimentazione a scuola
(Michelini et al. 2004a,b). Nelle ultime due fasi è stata realizzata la trasformazione dei diversi
saperi in competenze professionali, attraverso attività di progettazione e contestualizzazione
di un percorso didattico sperimentato in classe.
Nella fase 4 è stato discusso il percorso di riferimento (Ghirardi et al. 1995, 1997; Michelini
et al. 2000, 2001; Michelini, Stefanel 2004a), per la costruzione delle proposte sviluppate e
sperimentate nei tirocini. La fenomenologia di riferimento è quella della interazione di fotoni
con polaroid e cristalli birifrangenti ideali, prima studiata in laboratorio anche con l’uso di
sensori on-line, poi simulata in situazioni ideali a singolo fotone. Si segue un approccio
costruttivista alla MQ, incentrato sulla discussione delle concezioni di fondo degli studenti,
basate sul determinismo e l’esistenza di proprietà oggettive dei sistemi fi sici preesistenti il
processo di misura (Michelini, Stefanel 2004c), in un contesto fenomenologico che fornisce
agli studenti un’ancora cognitiva per la costruzione dei personali percorsi di apprendimento
(Stefanel 1999; 2007; Michelini et al. 2004c). Il nucleo centrale della proposta consiste nella
esemplifi cazione dei nodi concettuali fondanti della MQ, mostrandone le potenzialità nella
generalizzazione dei risultati, nel costruire gli elementi di base del formalismo facendo emer-
gere il ruolo concettuale che esso assume nella teoria. (Ghirardi et al. 1997; Michelini et al.
2001, 2004; Michelini, Stefanel 2004a).
Il modulo formativo, nei due anni considerati, ha coinvolto 22 specializzandi delle
classi A049 e A038, 16 laureati in matematica, 4 in ingegneria, 2 in fi sica. Nel 50% il por-
tfolio, presentato dai futuri insegnanti per la valutazione fi nale del loro percorso formativo,
comprendeva progetti di tirocinio sulla MQ. Sei di questi sono stati qui considerati, come
discusso nel paragrafo 4.
3. Il ruolo di tutor del supervisore e il raccordo con le scuole
La fase di progettazione dei percorsi di MQ è stata realizzata prioritariamente come esito
del corso di didattica e Laboratorio di didattica della MQ. È stata impostata avendo come
riferimento i materiali disponibili in rete e ricerche precedenti (Michelini et al. 2002a). È stata
realizzata con la stretta e coordinata collaborazione tra il docente referente e il supervisore di
area, secondo un processo condiviso e mirato a realizzare un contesto di ricerca. Il docente
referente ha avuto un ruolo centrale nella messa a punto dei criteri generali con cui dovevano
essere realizzati i progetti di tirocinio (ad esempio: con approccio sperimentale, con test e
schede di lavoro) e documentate le sperimentazioni (con analisi degli esiti e dei processi
attuati, rifl essione critica sul lavoro svolto in termini di revisione del progetto realizzato) e
nella defi nizione iniziale dei progetti (tema, taglio da adottare, impostazione generale degli
stessi, individuazione dei principali nodi disciplinari e metodologici da esplorare) (Michelini
et al. 2002c, 2004a,b; Michelini, Stefanel 2004b,c). Il supervisore ha svolto il ruolo di tutor
come estesamente descritto nel seguito. La condizione, che ha consentito di mettere in atto il
processo delineato, con esiti a livello di ricerca e non di semplice messa a punto e sperimen-
tazione di un segmento didattico, è stata la presenza di una consolidata struttura di ricerca
(l’Unità di Ricerca in Didattica della Fisica dell’Università di Udine) che ha messo in campo
Università degli Studi di Udine | Il supervisore di tirocinio: conduttore di un racconto e promotore di innovazione
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le competenze sviluppate in anni di ricerca, in termini di: competenze professionali dei suoi
componenti; percorsi e materiali didattici di riferimento disponibili su supporto cartaceo e in
rete; strutture in cui mettere a punto esperimenti e materiali (URDF 2002).
I micropercorsi e i materiali che li corredano, nati come prodotti della ricerca e essi stessi
oggetto di ricerca, sono stati progettati e quindi sperimentati secondo le seguenti fasi:
1. Ricerca bibliografi ca nella letteratura internazionale a partire da un problema proposto
che costituisce l’obiettivo della sperimentazione nel tirocinio
2. Familiarizzazione con la sequenza didattica da sperimentare e collaudo degli strumenti
didattici rilevanti per la problematica di ricerca in esame
3. Piano operativo di intervento e modulazione del progetto, per adattarlo al programma
della classe di tirocinio, raccordandosi con il docente accogliente
4. Progettazione di un prodotto didattico, contestualizzato in una sequenza da sperimentare
5. Discussione del progetto da portare nelle scuole sia in ambito universitario nei laboratori
didattici, sia di nuovo nella scuola con l’insegnante che accoglie il tirocinante
6. Svolgimento dell’attività di tirocinio in classe.
7. Valutazione del lavoro svolto e sua discussione nel laboratorio didattico.
In ciascuna delle diverse fasi è stata prevista la collaborazione tra tirocinante e supervisore
di area.
Per quello che riguarda i riferimenti bibliografi ci poche indicazioni iniziali erano mirate
a stimolare il tirocinante a una ricerca autonoma, in mancanza della quale seguivano inter-
venti orientati a integrare i progetti con puntuali e specifi ci riferimenti bibliografi ci, per
esempio in merito a problemi di apprendimento relativi ai nodi affrontati nel percorso. La
progettazione è stata supportata con interventi mirati a: a) stimolare i tirocinanti a svilup-
pare aspetti innovativi o integrativi rispetto al percorso di riferimento sulla MQ esaminato
nella fase 4 del Modulo Formativo sulla MQ; b) supportare l’attività di messa a punto degli
esperimenti; c) effettuare un controllo di coerenza del progetto dei tirocinanti, segnalando
i salti logici e revisionando domanda per domanda tutte le schede, con cui far lavorare gli
studenti in classe, e il test in/out.
L’analisi degli aspetti problematici individuati è stata fatta condividendola con il tiroci-
nante e stimolandone l’autonoma rielaborazione del progetto per: in una prima revisione,
individuare gli elementi di incoerenza nell’impostazione o nel percorso didattico; in una
seconda revisione, mettere in luce carenze o incongruenze nei punti nodali del percorso,
stimolare la revisione di alcune specifi che domande delle schede e del test, facendone
esplicitare al tirocinante stesso l’obiettivo. Come esemplifi cazione delle indicazioni generali
è stata effettuata la revisione diretta di alcuni passaggi dei progetti didattici o di alcune
parti di scheda, lasciando quindi al tirocinante la responsabilità della revisione fi nale di
progetti e materiali.
Il tirocinante stesso ha costruito le schede di lavoro da utilizzare in classe e i test a partire
dai materiali che fanno parte integrante del progetto didattico di riferimento (Michelini et
al. 2002a,b), ha revisionato tali materiali sulla base del vaglio dettagliato effettuato insieme
al supervisore e spesso anche al docente referente di area, li ha eventualmente rimodifi cati
in base alle indicazioni e/o richieste dell’insegnante accogliente. Le singole domande delle
schede sono state sottoposte al vaglio di coerenza rispetto allo specifi co obiettivo che si
Il supervisore di tirocinio: conduttore di un racconto e promotore di innovazione | Università degli Studi di Udine
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prefi ggevano e rispetto al percorso, ossia alle domande precedenti e successive. I principali
motivi di intervento riguardavano delle domande collocate senza seguire una coerente
sequenza logica, troppo generiche, riguardanti più obiettivi contemporaneamente o di banale
verifi ca dell’acquisizione di una nozione o di una conoscenza tecnica. Per portare i tirocinanti
a modifi care una domande si è proceduto facendo loro esplicitare: obiettivo (o obiettivi);
risposte attese o che loro stessi avrebbero date; collocazione nella scheda e più in generale
nel percorso. La nuova formulazione della domanda, una diversa collocazione della domanda
iniziale, magari all’interno di una nuova attività, sono state il risultato di un processo, che
ha coinvolto il tirocinante in una analisi critica dei materiali che lui stesso aveva progettato.
Il vaglio dei progetti da parte del supervisore, affi ancato al lavoro svolto dal docente
referente di area, ha avuto ricadute in merito a: lo sviluppo di competenze professionali nella
progettazione didattica di specifi ci materiali didattici, a partire da quelli esemplifi cativi di rife-
rimento (Michelini et al. 2002a); la padronanza del percorso didattico da parte del tirocinante,
che comunque resta il primo responsabile del progetto; la qualità di tale progetto, vagliato
secondo criteri disciplinari e metodologici di ricerca; la qualità dell’intervento in classe, mirato
su signifi cativi nodi disciplinari, affrontati in modo coerente ed effi cace, attraverso strategie
innovative e strumenti didattici validati dalla ricerca, che impiegano anche le nuove tecno-
logie (Aiello 1997; Sperandeo et al. 2002; Michelini 2004). Il lavoro del supervisore in questo
senso ha costituito un controllo di garanzia nei confronti sia del contesto universitario, sia
della scuola, dell’insegnante accogliente e soprattutto degli studenti, i principali destinatari
del progetto didattico.
Il livello e l’effi cacia dell’intervento proposto sono stati riconosciuti da subito solo dall’ac-
cogliente del caso qui documentato Il docente accogliente si è dimostrato da subito disponibile
all’innovazione didattica, a vedere nel tirocinante una risorsa, ad assumere un atteggiamento
di curiosità, pieno di aspettative, su come i ragazzi avrebbero risposto ai nuovi stimoli, e di
vivo interesse nel guadagnare competenza sulla gestione di un modulo, da proporre lui
stesso negli anni successivi ai suoi studenti. Negli altri casi la mediazione del supervisore è
stata utile per far superare ai docenti accoglienti atteggiamenti: riscontrati anche in relazione
ad altre proposte di tirocinio, ma enfatizzati nel caso del tema che si andava a proporre
come a1) diffi dare nell’affi damento della propria classe ad un altro insegnante, per di più
in formazione, a2) considerare il tirocinio come appendice del proprio corso o peggio a3) il
tirocinante come minaccia alla propria fi gura di docente della classe; specifi ci in relazione alla
proposta sull’insegnamento della MQ, b1) dubitare della possibilità di affrontare la tematica
in quanto ritenuta troppo diffi cile per gli studenti, b2) richiedere di utilizzare un approccio di
tipo storico all’introduzione della quantizzazione di alcune grandezze fi siche. Tali atteggia-
menti, per quanto diversi, rivelano comunque la tendenza, predominante nel caso della MQ,
a riprodurre modalità e impostazioni dell’insegnamento universitario ricevuto. Si è riscontata
sia in docenti di formazione matematica, con poca competenza sul tema, sia in laureati in
fi sica, pur competenti sul tema, ma non sulla sua trasposizione didattica. Gli elementi che
hanno contribuito al superamento del nodo indicato sono stati: la centralità dell’attività
sperimentale nel dare ruolo attivo agli studenti; la presentazione al docente accogliente del
modulo innovativo fatta dal docente a supporto del tirocinante, in cui è stato sottolineato
il suo carattere di prodotto di ricerca, di innovazione per la didattica e quindi di guadagno
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per gli studenti da un lato e per l’accogliente stesso dall’altro; la documentazione su tempi,
risposta degli studenti ed esiti, delle sperimentazioni di ricerca effettuate anche direttamente
dal supervisore (Stefanel 1997, 2001).
4. Progettazioni didattiche e sperimentazioni di MQ nel tirocinio
Dai 6 progetti e dalle relative sperimentazioni condotte in classe e documentate agli
esami di stato conclusivi del percorso SSIS qui considerati, è emerso che le principali com-
petenze sviluppate dagli specializzandi son state: conoscenza dei contenuti; progettazione
di percorsi sulla MQ e strumenti di lavoro per l’attività in classe; attenzione allo sviluppo e
alla formalizzazione dei concetti da parte degli studenti e ai loro percorsi d’apprendimento
(Michelini et al. 2004).
I principali aspetti innovativi introdotti dagli specializzandi rispetto al percorso e ai materiali
di riferimento sono stati: nuovi esperimenti; alcune nuove schede da accompagnare nella fase
di esplorazione della fenomenologia e di raccordo tra fenomenologia e esperimenti ideali a
singolo fotone; la ricalibrazione dei tempi.
La messa a punto delle proposte sperimentali ha richiesto un lavoro autonomo da parte
dei tirocinanti, monitorato e supportato sempre dal supervisore ed effettuata presso il Centro
Laboratorio per la Didattica della Fisica dell’Università di Udine, che ha anche effettuato il
prestito alle scuole dei materiali necessari allo svolgimenti del percorso.
I percorsi didattici e i tirocini sulla MQ sono stati progettati avendo come riferimento
la proposta didattica e gli strumenti didattici che la completano discussa nel paragrafo 2 e
presentata in precedenti lavori (Michelini et al. 2000; UDRF 2002; Michelini Stefanel 2004c).
Hanno pertanto i seguenti elementi comuni: a) uguale impostazione didattico/disciplinare, pur
con differenziazioni nelle scelte dei contenuti centrali, come presentato in Tab. 4; b) comune
Legge di Malus e fenomenologia della polarizzazione 4/6
Fenomenologia birifrangenza 5/6
Link esperimento reale /ideale 3/6
Interpretazione probabilitistica legge Malus 6/6
Associazione stato-proprietà 5/6
Proprietà mutuamente esclusive/incompatibili 6/6
Impossibilità associare un cammino al fotone 3/6
Indeterminismo e principio indeterminazione 3/6
Associazione stato vettore e formalizzazione principio sovrapposizione 6/6
Probabilità di transizione 6/6
Tabella 4 - Nella prima colonna sono riportati i contenuti disciplinari indagati nel test di uscita per gli studenti. Nella seconda colonna è riportato il numero di test in cui compare lo specifi co contenuto sul totale di 6 test prodotti.
strategia didattica basata sul ciclo Previsione, Esperimento, Confronto (White, Gunstone 1989;
Sperandeo 2004) in cui gli studenti sono coinvolti direttamente nella costruzione di ipotesi
interpretative su specifi che situazioni e nel confronto di tali ipotesi con gli esiti sperimentali; c)
uso di schede di lavoro che stimolano il singolo studente a porsi domande, esplicitare ipotesi
e risposte, confrontarsi con i fatti sperimentali e con le ipotesi interpretative dei compagni; d)
coinvolgimento degli studenti in attività di esplorazione sperimentale e misure con sensori
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collegati in linea con l’elaboratore per almeno 1/3 delle attività svolte in classe; e) durata
degli interventi da 8 a 10 ore, a seconda della disponibilità dell’accogliente; e) valutazione
degli apprendimenti con un test composto da un numero di quesiti almeno pari a quello dei
principali obiettivi disciplinari e metodologici a cui mira il progetto didattico messo a punto.
Dati questi elementi di omogeneità dei diversi progetti di tirocinio è stato possibile effet-
tuare una loro valutazione in merito alle competenze professionali sviluppate dai tirocinanti
(Michelini et al. 2004a,b; Michelini, Stefanel 2007) e in particolare analizzare gli apprendimenti
degli studenti per ottenere delle indicazioni indirette sull’effi cacia dell’azione formativa sugli
specializzandi.
Come caso di studio, che costituisce un riferimento signifi cativo sia per la traccia dei progetti
didattici, sia per gli esiti emersi dalle 6 sperimentazioni, si presenta nel par. 4.1 il progetto di
tirocinio Meccanica quantistica di Mariangela Conzato (modulo sperimentato presso il liceo
scientifi co Grigoletti di Pordenone nell’a.a. 2001/2002) e se ne discutono gli esiti nel par. 4.2.
I risultati che ne emergono vengono sintetizzati nel par. 4.3 con riferimento anche agli altri
progetti, per un totale complessivo di 143 studenti.
4.1 Un caso di studio: Dall’esperimento ai primi elementi del formalismoIl modulo progettato e sperimentato ha come obiettivo generale quello di introdurre la MQ
affrontando direttamente i concetti fondanti della teoria e le scelte formali, che ne fondano
il signifi cato, come nel caso del concetto di stato e della sua rappresentazione in uno spazio
vettoriale astratto. L’analisi dell’interazione della luce con polaroid e cristalli birifrangenti
permette di riconoscere la polarizzazione come proprietà dei fotoni, comprendere il signifi cato
di proprietà incompatibili, far emergere il ruolo centrale del principio di sovrapposizione nella
MQ, esemplifi candone le principali conseguenze, come: il principio di indeterminazione,
l’indeterminismo quantistico e l’impossibilità di attribuire una traiettoria ai fotoni. Dalla
legge di Malus, ricavata sperimentalmente in classe, come documentato in Fig. 1, sulla base
di esperimenti messi a punto in laboratorio didattico, e dalla rappresentazione di uno stato
quantico con un versore gli studenti hanno costruito il signifi cato del formalismo vettoriale
del principio di sovrapposizione.
Fig. 1 - Dati campione per la presentazione degli esperimenti effettuati in classe. A sinistra intensità della luce trasmessa da più polaroid paralleli, per determinare il coeffi ciente di trasmissione di un polaroid reale; a destra intensità della luce trasmessa da due polaroid in funzione dell’angolo di cui si ruota uno di essi a partire dalla posizione di massimo di intensità trasmessa, per costruire la legge di Malus.
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4.2 Un caso di studio: L’apprendimento degli studenti nella sperimentazioneSi presentano qui gli esiti della sperimentazione con riferimento a cinque principali nodi
concettuali obiettivo del percorso didattico: NC1 - Competenza sui fatti sperimentali; NC2
- Mutua esclusività; NC3 - Concetto di sovrapposizione e incompatibilità; NC4 - Traiettoria;
NC5 Rappresentazione formale dello stato. I dati sono una rielaborazione di quelli presentati
nella relazione fi nale dalla tirocinante. Riguardano le risposte date dai 24 studenti della classe
in cui si è svolta la sperimentazione, a otto dei sedici quesiti del test di uscita. Per i quesiti a
risposta aperta, le risposte sono state classifi cate in base a categorie individuate a posteriori.
NC1- Competenza sui fatti sperimentali
Nei quesiti Q4-5, a risposta chiusa, viene richiesto di prevedere il numero di fotoni
trasmessi e la probabilità di trasmissione quando un fascio di N fotoni, fi ltrato da un primo
polaroid, incide su: un secondo polaroid; due polaroid ruotati di 45°. Le risposte corrette
sono state dal 75% al 95%. Risultati analoghi si sono ottenuti nei quesiti che richiedevano
previsioni probabilistiche basate sulla legge di Malus. Circa il 70% ha ricostruito gli esperi-
menti ideali con i cristalli birifrangenti.
NC2 - Mutua esclusività.
Il quesito Q6 indaga sul concetto di proprietà mutuamente esclusive ed è suddiviso in
due parti: Parte A) (tabella a completamento)Un fascio di fotoni fi ltrati da un primo polaroid,
quindi con una defi nita proprietà (indicate con * o Δ), incide su un polaroid parallelo o ortogonale
al primo. Determinare la probabilità di trasmissione e l’esito del processo di interazione. Parte B)
(domanda a risposta aperta) Che considerazioni si possono fare per le proprietà * o Δ in base a
quanto riportato nella tabella della parte a)?
Alle richieste della parte a) tutti gli studenti hanno risposto correttamente. Per la parte B,
in Tab. 5 sono riportate le categorie di risposte, emerse secondo le frequenze indicate nelle
ultime colonne. Le risposte della categoria A) evidenziano il mancato superamento della
dimensione descrittiva dei processi. Le risposte delle categorie B) rivelano il mancato rico-
noscimento del concetto di mutua esclusività. Nelle categorie C)-D)-E) (70% nel complesso)
sono state incluse le risposte da cui emerge che tale concetto è riconosciuto, seppure con
diversa consapevolezza: nel caso C), il più frequente, non vi è chiara distinzione tra mutua
esclusività e incompatibilità; nel caso D) tale distinzione è stata riconosciuta, anche se non vi
è la capacità di esplicitarla; nel caso E) oltre al riconoscimento della peculiarità del concetto
vi è anche la capacità di esplicitarne il signifi cato.
Q6 - Categorie di risposta n (N=24)
A) attraverso un polaroid passano solo i fotoni con la proprietà corrispondente all’asse di trasmissione del polaroid
3
B) le proprietà * e Δ sono incompatibili (non mutuamente esclusive) 4
C) le proprietà * e Δ sono mutuamente esclusive e/ossia...incompatibili 8
D) le proprietà * e Δ sono mutuamente esclusive 6
E) le proprietà * e Δ sono mutuamente esclusive e se ne esplicita in signifi cato 3
Tabella 5 - Categorie di risposte date al quesito 6 e frequenza n con cui si cono manifestate
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NC3 – Concetto di sovrapposizione e incompatibilità.
Il Quesito 7 esplora il concetto di incompatibilità di proprietà dei sistemi quantistici e
la sua connessione con la sovrapposizione di stati, proponendo di esplicitare e discutere,
anche con esperimenti, le seguenti asserzioni:
A) Lo stato di polarizzazione a 45°, a cui corrisponde una specifi ca proprietà dei fotoni (indicata
con ◊), è uno stato di sovrapposizione.
B) Le proprietà ◊ e Δ o le proprietà ◊ e * sono incompatibili, ciò è una esemplifi cazione del fatto
che non è possibile associare simultaneamente ad un sistema fi sico proprietà corrispondenti ad
osservabili incompatibili.
Nelle tabelle 6 e 7 sono riportate le categorie di commenti fatti dagli studenti in merito
alle due asserzioni A) e B). Entrambe le domande sono state eluse da 2/24.
Q7 A - Categorie di risposte n (N=24)
A. considerazioni su esperimenti mirati ad indagare lo stato di sovrapposizione 4
B. la sovrapposizione equivale a una miscela statistica 6
C. le proprietà di polarizzazione a 45° e quella verticale (orizzontale) sono incompatibili.
1
D. lo stato a 45° contiene in sé lo stato orizzontale e quello verticale (alcuni parlano di due componenti, nessuno di sovrapposizione)
5
E. stato di sovrapposizione è una somma/combinazione di altri stati, che non equivale ad una miscela statistica/ è incompatibile con gli stati componenti
6
F. NR 2
Tabella 6 - Categorie di risposte date al quesito 7A e frequenza n con cui si sono manifestate
Q7 B - Categorie di risposte n (N=24)
A. Analisi di ipotesi sullo stato di sovrapposizione, con esperimenti non pertinenti 2
B. Asserzione, non supportata da altra argomentazione: Incompatibilità tra due proprietà come impossibilità di associare entrambe allo stesso stato quantico
11
C. Analisi di ipotesi interpretative dello stato sovrapposizione con pertinenti esperimenti ideali ed esplicitazione dell’incompatibilità come impossibilità di associare due proprietà allo stesso stato
9
D. L’asserzione equivale al Principio di Indeterminazione, concetto di incompatibilità 0
E. NR 2
Tabella 7 - Categorie di risposte date al quesito 7B e frequenza n con cui si cono manifestate
Il concetto di mutua esclusività: non è stato riconosciuto in 10 casi, perché, o non è stato
superato il contesto fenomenologico della polarizzazione (cat. A), o sono state identifi cate
sovrapposizione di stati e miscela statica (cat. B); è stato riconosciuto in 14 casi (cat. C-D-
E) che esplicitano almeno alcuni elementi peculiari della sovrapposizione quantistica, in
riferimento o solo al concetto di incompatibilità (1/24), o alla sua formalizzazione (5/24) o
a entrambi questi aspetti (6/24).
Le frequenze delle categorie relative al quesito Q7b) mostrano che una larga maggioranza
di studenti (20/24) ha riconosciuto il signifi cato di incompatibilità (categorie C e D), in diversi
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casi supportando l’argomentazione con esperimenti specifi ci (9/24), più spesso (11/24) senza
argomentare. Nessuno ha associato l’asserzione al principio di Indeterminazione.
I dati relativi ai due quesiti qui considerati rivelano che la maggior parte degli studenti
riesce a caratterizzare la peculiarità della sovrapposizione in MQ, in particolare legandola al
concetto di incompatibilità. Per almeno la metà degli studenti si tratta di un apprendimento
con elementi di generalizzazione, non limitato al contesto esplorato, come invece si rileva
per un altro ¼ di casi.
NC4 - Traiettoria
Tre quesiti del test indagano il nodo dell’attribuzione di una traiettoria ai sistemi quan-
tistici: i quesiti Q9-Q10, collegati fra loro, sono riferiti alla situazione di cui alla fi gura 2 e
richiamano una specifi ca situazione già analizzata con le schede di lavoro nel percorso; il
quesito Q13 richiama a parole la stessa situazione, ma in forma libera e richiedendo espli-
citamente una conclusione in merito alla possibile attribuzione di una traiettoria al fotone.
Q9 Con riferimento a Fig. 2, per ogni fotone incidente, quale rivelatore viene attivato e con che
probabilità, quando: a) entrambi i cammini sono liberi; b) si inserisce uno schermo sul percorso del
raggio ordinario/straordinario o sul percorso di entrambi (4 casi con scelte a esclusione).
Figura 2. Su un cristallo di calcite incide un fascio di fotoni polarizzati a 45°. Due rivelatori sono posti all’uscita dei due fasci emergenti dal cristallo
Q10 Cosa permettono di affermare gli esiti sperimentali corrispondenti alle situazioni considerate
nel quesito 9? (Domanda a risposta aperta).
23/24 ha risposto correttamente al quesito 9. In merito al quesito Q10 sono state rico-
nosciute le tipologie di risposte riportate in Tab. 8.
Q10 - categorie di risposte n (N=24)
A. Descrizione degli esiti sperimentali 2
B. Un fotone nello stato di sovrapposizione percorre casualmente una delle due traiettorie
9
C. Un fotone non si divide, ma comunque segue una traiettoria scelta a caso tra i due raggi
1
D. Un fotone non percorre cammini alternativi, ma comunque sceglie uno tra i due percorsi
4
E. Un fotone non si divide a metà, non percorre cammini alternativi, quindi li percorrere entrambi
7
F. Un fotone si divide a metà, non percorre cammini alternativi, non percorrere alcun cammino
0
G. NR 1
Tabella 8 -. Categorie di risposte date al quesito 10 e frequenza n con cui si cono manifestate
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Solo una piccola parte (3/24) si è limitata a descrivere il processo o ha eluso la domanda
dimostrando di non aver maturato una sicura ipotesi interpretativa in merito alla possibi-
lità o meno di associare una traiettoria ai sistemi quantistici. I restanti studenti non hanno
rinunciato a introdurre il concetto di traiettoria nella risposta: 14/24 (categorie B, C, D –
59%) ha interpretato gli esperimenti come conferma del fatto che i fotoni polarizzati a 45°
percorrono casualmente uno dei due raggi (ordinario o straordinario); il 7/24 (categoria E)
concludendo che ciascun fotone segue entrambi i cammini. Queste conclusioni sono state
supportate sottolineando l’unitarietà del fotone (categorie C-E-33%), evidenziando che non
vi sono cammini alternativi (categorie D-E-46%).
Q13 Che cosa si può dire sul cammino di ciascun fotone nel caso in cui il fascio incidente di
fotoni incidenti su un cristallo birifrangente sia polarizzato a 45°?
A) Si può dire che un singolo fotone segua il cammino del: raggio ordinario/straordinario? Si No
B) Argomenta le risposte con eventuali riferimenti sperimentali.
Dai dati riportati in Tab. 9, emerge che in merito alla parte A: 1 studente ha eluso la
domanda, 2 hanno scelto l’opzione Sì (categoria A), 21 studenti hanno scelto l’opzione No,
ossia che non si può dire se un singolo fotone segue uno specifi co cammino. Le motivazioni
sono coerenti con una interpretazione standard della MQ solo in due casi (categoria D),
essendo invece prevalente l’idea che una qualche traiettoria venga seguita dai fotoni, pur
essendo casuale (categoria B) ossia pur non potendola prevedere a priori (categoria C). La
categoria B comprende tre diverse sottotipologie di risposte (le cui frequenze sono state
rispettivamente 1-4-2), che comunque fanno riferimento alla impossibilità di associare una
traiettoria a un fotone per un indeterminismo epistemico. Emerge quindi che la maggior
parte degli studenti attribuisce una traiettoria ai sistemi quantistici, ma è sperimentalmente
impossibile accedere alle informazioni per individuarla.
Q13 – Categorie di risposte n (N=24)
A. SI – si motiva parlando di probabilità e di intensità dei fasci emergenti 2
B. No - il fascio di fotoni è una miscela statistica, metà segue il fascio ordinario e metà quello straordinarioNo - casualmente metà dei fotoni segue il fascio ordinario e l’altra metà quello straordinarioNo - 50% dei fotoni segue il cammino ordinario, 50% segue il cammino straordinario, pur essendo impossibile attribuire una traiettoria ai fotoni.
7
C. No - i cammini seguiti dai fotoni non possono essere previsti a priori 12
D. No - È impossibile attribuire una traiettoria ai fotoni, in base all’esperimento con calcite diretta-inversa
2
E. NR 1
Tabella 9 - Categorie di risposte date al quesito 13 e frequenza n con cui si cono manifestate
Dagli esiti relativi ai nodi NC3 e NC4, emerge una forte correlazione tra le categorie:
C-D-E di Q7a; C-D di Q7b; C-D di Q13. Nelle concezioni degli studenti, idee peculiari di
una interpretazione ortodossa della MQ coesistono con concezioni tipiche delle teorie a
variabili nascoste, in cui ai sistemi quantistici si attribuisce una traiettoria, anche se questa
non è accessibile sperimentalmente.
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NC5 – Rappresentazione formale dello stato
Si considerano qui due soli quesiti relativi all’uso del formalismo.
Q15 Un fascio di fotoni, emergente da un polaroid orientato secondo il versore U, incide su un
polaroid orientato secondo il versore V che forma un angolo di 60 ° con U. A) Qual è la probabi-
lità che un fotone del fascio venga trasmesso dal secondo polaroid?; B) Come si può rappresentare
formalmente lo stato del fotone trasmesso dal primo polaroid?; C) Come si può rappresentare
formalmente lo stato del fotone trasmesso dal secondo polaroid?
Q16 Un fascio di fotoni incide su un polaroid con direzione permessa verticale e coeffi ciente
di trasmissione T=1. I fotoni sono preparati nello stato rappresentato dal versore: ()ovu +=22 , con
v e o rispettivamente versori degli stati di polarizzazione verticale e orizzontale. Si determini la
probabilità che ogni singolo fotone venga trasmesso dal polaroid.
Come riportato in Tab. 10 il 75% degli studenti è stato in grado di utilizzare il formalismo
vettoriale per esprimere la probabilità di transizione da uno stato all’altro. Oltre il 50% ha
applicato il formalismo per rappresentare correttamente uno stato di sovrapposizione.
Quesito n risposte corrette %
15a 18/24 75
15b 14/24 58
15c 9/24 38
16 13/24 54
Tabella 10 - Frequenze delle risposte corrette ai quesiti 15 e 16 relativi alla rappresentazione formale dello stato.
4.3 La sintesi degli esiti dei sei progetti di tirocinio sulla MQ
Dall’analisi effettuata emergono i seguenti risultati di sintesi comuni anche alle altre
sperimentazioni di tirocinio. La fenomenologia dell’interazione di fotoni con polaroid
è stata compresa e padroneggiata da una larga maggioranza di studenti (da 70 a 90 %).
Meno sicura invece è stata la padronanza del contesto fenomenologico della birifrangenza
(intorno al 70%).
La quasi totalità degli studenti ha compreso il signifi cato di proprietà mutuamente esclu-
sive, mentre non da tutti é stata raggiunta la comprensione del concetto di proprietà incom-
patibili (55%). Sono emerse indicazioni che in qualche caso l’apprendimento è fortemente
infl uenzato dal contesto, ossia non supera la loro semplice dimensione della fenomenologia
della polarizzazione. Questi dati sono coerenti con quelli ottenuti in sperimentazioni pilota
(Stefanel 2001; Michelini et al. 2001).
Diffi coltà sono state riscontrate in merito alla impossibilità di associare una traiettoria ai
sistemi quantistici. Il caso discusso nel paragrafo precedente evidenzia, che un’ampia maggio-
ranza di studenti (oltre 80%) ritiene ai sistemi quantistici sia associabile una traiettoria anche
se questa viene seguita stocasticamente e “quindi” non sia esplorabile/rilevabile. Il modo in
cui gli studenti affrontano il nodo della traiettoria, evidentemente non congruente con un
approccio ortodosso alla MQ, è comunque compatibile con una buona comprensione del
concetto di sovrapposizione. Questo risultato è un indizio del fatto che per alcuni studenti
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è naturale attivare idee coerenti con una interpretazioni della MQ a variabili nascoste. Il
ruolo giocato dal formalismo, almeno ad un primo livello, è stato ampiamente riconosciuto
(70% almeno).
5. Conclusioni
La formazione dei futuri insegnanti di fi sica della scuola secondaria superiore nel con-
testo dell’apprendimento/insegnamento della MQ è stato affrontato nella SSIS di Udine
con un modulo formativo biennale; accanto alla rifl essione culturale sul tema e sulle diverse
impostazioni didattiche, gli specializzandi sono stati coinvolti in attività di laboratorio
esperienziale sui materiali del percorso sviluppato in precedenti ricerche. La presenza di
una unità di ricerca didattica che aveva sviluppato materiali di riferimento e si è integrata
nel processo è stata determinante per l’attuazione degli elementi qualifi canti dello stesso.
La fase di progettazione, integrata nella formazione degli specializzandi è stata particolar-
mente effi cace grazie all’attività di tutoring effettuata dal supervisore in collaborazione con
il docente referente di area. In particolare tale collaborazione è risultata essenziale per la
ricerca bibliografi ca, lo sviluppo di aspetti innovativi rispetto al percorso di riferimento, la
messa a punto di esperimenti e il controllo della coerenza dei progetti e dei materiali. Ciò
ha permesso di realizzare progetti che hanno lo stile della ricerca didattica con forti elementi
di innovazione metodologica, dei contenuti, dell’impostazione didattico/disciplinare. È stato
possibile proporli in classe grazie alla collaborazione università-scuola garantito dal super-
visore di area. Il guadagno per gli studenti e per gli insegnanti accoglienti è documentato
dagli esiti delle sperimentazioni, che danno una palese indicazione del vantaggio che ha la
scuola ad accogliere sperimentazioni come quelle qui documentate, sia della competenza
sviluppata dal docente in formazione.
Dall’analisi dei dati sugli apprendimenti degli studenti è emersa la buona padronanza
della fenomenologia, la comprensione di concetti importanti come quella di stato, sovrap-
posizione, incompatibilità, elementi di base della rappresentazione vettoriale dello stato
quantistico. Il ruolo giocato dal concetto di traiettoria nella descrizione quotidiana dei
fenomeni, prima ancora che nella fi sica classica, ha portato la maggior parte degli studenti
a non superare, nelle poche ore in cui si sono svolti gli interventi in classe, il nodo dell’im-
possibilità di attribuire una traiettoria ai sistemi quantistici. Questo non ha infi ciato sulla
comprensione degli altri aspetti indagati nei percorsi, ma al contrario ha fornito indicazioni
sullo sviluppo di idee spontanee alternative alla interpretazione ortodossa della MQ, come
quelle di teorie a variabili nascoste. I risultati sugli apprendimenti degli studenti, costitui-
scono un signifi cativo riscontro all’effi cacia della strategia formativa adottata ovvero delle
competenze professionali sviluppate dai tirocinanti rispetto alla dinamica del processo di
insegnamento-apprendimento e nella progettazione di sequenze e percorsi didattici. Dai
risultati del presente lavoro emerge che gli specializzandi hanno sviluppato competenze
nella: messa a punto di strumenti per la rilevazione dell’apprendimento degli studenti e nella
analisi e documentazione di tali apprendimenti; attenzione ai processi di apprendimento
degli studenti in riferimento a una specifi ca proposta di insegnamento; messa a punto di
progettazioni didattiche sulla fi sica moderna e nella loro gestione con gli studenti; messa a
punto e integrazione nell’attività didattica di strumentazioni che usano le nuove tecnologie
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come strumenti per realizzare nuovi percorsi di apprendimento. Si tratta di competenze
che non fanno parte dell’ordinario bagaglio di un insegnante e che costituiscono un valore
aggiunto nella formazione dei futuri insegnanti di fi sica, come esito di un approccio formativo
in cui la ricerca didattica è un elemento integrante.
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fi sica.uniud.it/URDF
54
Motivare alla lettura: un’esperienza tra la SSIS,
la Scuola e la Biblioteca civica “V. Joppi” di Udine
Fabiana di Brazzà, Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Udine
Motivare a leggere signifi ca creare i presupposti per un piacere della lettura. Dalla parte del
docente signifi ca contribuire alla formazione di un gusto estetico, creare contesti stimolanti
e tali che permettano allo studente di considerare l’esperienza del leggere come qualcosa
di duraturo e sempre irripetibile.
La distinzione tra insegnamento della lettura ed educazione alla lettura è importante
per comprendere come le attività che possono essere proposte a livello scolastico, vadano in
direzioni diverse e perseguano obiettivi diversi. Certamente i fattori implicati col sorgere del
piacere della lettura sono molti: dalla percezione della propria competenza, al riconoscimento
di strutture narrative, di script familiari, di emozioni, al bisogno personale di accrescere le
proprie conoscenze. L’interesse riveste un ruolo fondamentale nell’esperienza della lettura
e risponde a bisogni di tipo emotivo e cognitivo, legati alla personalità dei singoli. Non solo.
Determinanti sono anche le occasioni che vengono proposte nelle scuole e da parte dei docenti
e le proposte e le iniziative sia a livello scolastico, sia a livello ministeriale, non mancano.
Dobbiamo sottolineare in ogni caso come le attività per creare dei “buoni lettori”, motivati e
interessati, debbano trovare una continuità verticale lungo tutta l’esperienza scolastica degli
allievi, poiché attività sporadiche, anche se coinvolgenti e certamente apprezzabili, rischiano
di rimanere dei casi isolati che non trovano continuità negli anni successivi e la cui ricaduta
didattica rischia di rimanere estemporanea e circoscritta.
Occorre altresì sottolineare il fatto che spesso nella scuola si lavora sulla scrittura, ma
per quella attività che è la lettura, come per il parlato e l’ascolto, ancora poco si fa. Forse
perché ci si concentra sull’acquisizione di quelle che sono le abilità misurabili e invece non
si potenziano quelle competenze che sono strettamente connesse all’educazione linguistica,
considerata come asse trasversale anche alle altre discipline e che costituisce presupposto
fondamentale per poter costruire i saperi.
È stato scelto l’ambito della lettura per la sua valenza più autentica, come esperienza di
vita, come mezzo per conoscere l’altro, come modalità nuova per ricevere informazioni e per
comunicarle, per conoscere aspetti di altre realtà e, non ultima, come possibilità di potenziare
le capacità lessicali e costruire una comunicazione condivisa ed effi cace.
Da qui è nata l’esigenza di proporre un approccio diverso, inconsueto, attraverso una
modalità didattica nuova, che potesse offrire stimoli e occasioni di rifl essione.
È stato, il nostro, un tentativo, non solo di rispondere ai bisogni degli studenti, ma anche
a quelli dei docenti.
Non abbiamo voluto offrire formule che garantissero risultati sicuri, ma abbiamo ten-
tato, con questo Progetto, di dare una risposta, di fornire, come ho già detto, stimoli, idee,
rifl essioni.
Il Progetto che qui presentiamo, realizzato negli anni scolastici 2002-2003, 2003-2004,
2004-2005, denominato “Giovani lettori cercansi”, attivato presso il CIRD dell’Università di
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55
Udine e attuato in collaborazione tra la SSIS di Udine, le Scuole del territorio e la Biblioteca
civica “V. Joppi” di Udine (sezione ragazzi), è nato dall’esigenza di proporre un approccio
diverso, inconsueto della lettura, attraverso una modalità didattica nuova. Ha voluto altresì
rispondere ai bisogni dei docenti delle scuole, che, dal canto loro, spesso avvertono un senso
di inadeguatezza, conoscono poco il panorama della letteratura giovanile moderno, sentono
una profonda dissonanza tra i “gusti” dei ragazzi e i loro.
Il Progetto, defi nito attraverso una Convenzione stipulata tra L’Università (SSIS) di
Udine e la Biblioteca civica “V. Joppi” di Udine, ha visto la partecipazione di diverse scuole
medie e del biennio delle scuole superiori di Udine, in particolare l’ITC “A. Zanon”, l’ITI “A.
Malignani”, l’IPSSCART “B. Stringher”, il liceo classico “J. Stellini”, il liceo scientifi co “N.
Copernico”, le scuole medie “P. Valussi”, “A. Manzoni” e “G. Ellero” (sedici classi in tutto).
La fattiva collaborazione con la dott.ssa Marzia Plaino, responsabile della sezione ragazzi
della Biblioteca Civica di Udine, è stata importante per progettare percorsi, scegliere moda-
lità organizzative, offrire supporto alle esigenze che via via andavano emergendo. I corsisti
SSIS coinvolti nel progetto hanno potuto supportare la preparazione dei loro percorsi di
lettura grazie alla fattiva collaborazione con la dott.ssa Plaino, che ha fornito indicazioni e
suggerimenti utili sulla “letteratura giovanile” e sui testi da proporre.
Il compito dei corsisti SSIS è stato poi quello di realizzare praticamente nelle classi i
percorsi individuati insieme con i docenti accoglienti, hanno discusso con loro la scelta dei
materiali, i testi da proporre in classe. Il loro intervento nelle classi è stato preceduto da un
incontro con l’attore Massimo Somaglino, che attraverso la lettura recitata ai ragazzi, ha
proposto loro delle parti di testi di autori, sia classici sia contemporanei (allegato 5).
Si vuole far presente che le classi coinvolte hanno potuto aderire al “prestito classe”,
proposta fatta dalla Biblioteca della sezione ragazzi, che ha permesso ai docenti di scegliere
dei testi e di portarli in classe offrendoli alla lettura degli allievi.
Le attività, supportate da materiali didattici quali le schede di osservazione (allegato 2) e
di monitoraggio, nonché di valutazione, sono state predisposte dai corsisti SSIS e proposte
al termine di ogni attività con la supervisione dei docenti accoglienti, che hanno potuto
esprimere la loro opinione e il loro giudizio sulla qualità e sulla ricaduta didattica delle atti-
vità. In particolare, a conclusione delle attività nelle classi è stata richiesta la compilazione
di una scheda di gradimento ai docenti sul percorso fatto dai corsisti e un questionario agli
studenti al fi ne di rilevare la loro motivazione alla lettura alla fi ne del percorso (allegati 3 e 4).
In base ai risultati emersi, tenendo presente che il primo anno di attuazione del Progetto
è stato condotto in via sperimentale, abbiamo deciso di riproporre l’esperienza l’anno suc-
cessivo, apportando quelle modifi che e correttori che ci erano stati suggeriti dai risultati e
dalle osservazioni rilevati.
Il secondo anno, quindi, il Progetto è stato attuato limitatamente al biennio delle Scuole
Superiori, considerati gli effettivi bisogni delle Scuole e avendo sperimentato il non facile
compito organizzativo.17
17 Ringrazio la prof.ssa Grazia Romeo dell’ITC “A. Zanon” di Udine per aver messo a disposizione la sua esperienza e la sua preziosa collaborazione per la riuscita del Progetto.
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Considerato il buon gradimento dimostrato dell’intervento di un esperto esterno, si è
voluto allargare la proposta, offrendo ai docenti coinvolti, nella fase propedeutica all’atti-
vità, l’occasione di incontrare altri esperti del settore come Eros Miari, la scrittrice Chiara
Carminati e Ongini.
Molto importante per la preparazione all’attività in classe, è stata l’occasione di sperimen-
tare con Massimo Somaglino un laboratorio di lettura, aperto anche ai docenti accoglienti.
Tale laboratorio si è basato sull’acquisizione da parte dei partecipanti di strategie di lettura,
di gestione della voce, di postura e di tutti quegli accorgimenti che ogni docente dovrebbe
conoscere per saper porgere in classe qualsiasi tipo di testo. Come dice Somaglino: «è fon-
damentale abituare alla lettura, la lettura deve creare un rapporto di complicità per riuscire
a veicolare sentimenti primari, una sorta di percorso emotivo in quanto, attraverso quello
che si legge, si mostra se stessi».
I percorsi che in seguito i corsisti SSIS hanno pianifi cato, si sono fondati sulla fi sionomia
delle classi in cui avrebbero condotto l’attività di lettura recitata, sulle loro abitudini di lettura
e collegando l’attività a proposte di scrittura che comunque puntassero al raggiungimento
della fi nalità principale, cioè quella di motivare gli studenti a leggere.
Volendo fare una valutazione di tutto il percorso è doveroso prendere in considerazione
l’ultimo incontro che i corsisti SSIS hanno avuto con Somaglino alla fi ne del Progetto.
Durante l’incontro si è fatta una puntuale relazione di quanto era accaduto nelle classi e
sono emersi dati molto signifi cativi e incoraggianti.
Certamente il coinvolgimento delle scuole e dei docenti accoglienti ha costituito un fattore
determinate alla riuscita del Progetto. La collaborazione con la Biblioteca Civica-Sezione
ragazzi e con la dott.ssa Marzia Plaino, nonché dell’intervento dell’attore Massimo Soma-
glino, quale esperto in materia, hanno favorito la predisposizione di un piano articolato e
mirato al raggiungimento degli obiettivi. Prioritario è stato quello di “motivare alla lettura”,
di avvicinare gli studenti delle scuole al libro e al piacere della lettura, partendo a volte dai
loro interessi, offrendo una vasta gamma di tipologie di testi che non solo andassero incontro
ai loro “gusti” di lettori, ma facesse loro riscoprire una letteratura per ragazzi spesso dimen-
ticata o emarginata dagli stessi perché ritenuta poco interessante. Diverso quindi è stato
l’approccio, la presentazione dei testi in classe e diverse sono state così le occasioni anche
di scrittura, viste non in funzione di una mera valutazione dell’attività, ma come occasione
di confronto e di rifl essione sulle proprie competenze scrittorie.
L’intervento dei corsisti della SSIS, in questo caso, è stato fondamentale, poiché gli stessi
hanno ripreso e portato avanti l’attività che Somaglino aveva impostato in classe; hanno
offerto così una “voce” diversa da quella del docente curricolare, stimolando la loro atten-
zione e permettendo agli stessi corsisti SSIS di sperimentare una pratica didattica diversa,
più vicina agli studenti e attuale.
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ALLEGATO 1
Proponiamo nel dettaglio le fasi di attuazione del Progetto relative all’a.s. 2003-2004.
FINALITÀ:
• Far conoscere agli insegnanti la nuova letteratura giovanile, affi nché diventino mediatori di questa
cultura letteraria.
• Suscitare negli studenti della scuola la motivazione alla lettura.
• Stimolare negli studenti la rielaborazione attraverso nuove forme di comunicazione.
• Promuovere la collaborazione fra la SSIS e la Scuola.
PERCORSO:
1° FASE: incontro aperto alle Scuole e ai corsisti della SSIS, fi nalizzato alla conoscenza di autori
giovani e del panorama della letteratura giovanile, con l’intervento di esperti del settore.
2° FASE: i docenti delle Scuole individuate, analizzati i bisogni della loro realtà scolastica, hanno
concordato con i corsisti della SSIS i percorsi più idonei alle necessità dei singoli contesti.
Ogni istituzione scolastica ha indicato i docenti referenti che hanno partecipato attivamente alla
realizzazione del progetto.
3° FASE: i corsisti hanno preso parte al “laboratorio” di lettura, apprendono le tecniche di “lettura”
da un esperto, partecipano ad una “presentazione in classe”. In seguito selezionano le opere e strut-
turano gli interventi e i materiali, individuando modalità idonee per stimolare gli studenti alla lettura
ed eventualmente alla scrittura.
In tal modo i corsisti, selezionando e confrontando i testi, hanno sperimentato diverse modalità di
comunicazione, affi nando le loro capacità espressive in relazione ai diversi ordini di scuole.
TEMPI: gennaio-febbraio
4° FASE: presentazione in classe degli interventi da parte dei corsisti secondo le modalità individuate.
Gli studenti, in questo modo, conosceranno il panorama letterario più recente, si avvicineranno alla
lettura dell’opera o delle opere a loro più congeniali, sceglieranno tra le modalità proposte l’approccio
più rispondente alla loro sensibilità.
In questa occasione, è stato attivato il “prestito classe”: la Biblioteca ha affi dato alla classe una
serie di testi che sono stati utilizzati dagli studenti con modalità idonee e sotto la responsabilità degli
insegnanti e degli allievi stessi, che hanno gestito il prestito. La scelta dei testi da prendere in con-
siderazione è stata fatta secondo le esigenze della classe, seguendo un approccio per tematica, per
genere, per modalità narrativa ….
TEMPI: febbraio-marzo
5° FASE: in classe.
• Gli studenti individuano uno o più testi di loro gradimento;
• lo leggono;
• curano da soli o con l’aiuto dell’insegnante un piccolo resoconto scegliendo una delle seguenti
modalità: presentazione di un personaggio, di una situazione…
• gli studenti “invogliano” i loro compagni alla lettura;
• l’insegnante verifi ca l’attività come:
1. comprensione del testo a più livelli di signifi cato;
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2. rielaborazione / resoconto / recensione di quanto letto;
3. riscrittura con registro, scopo e fi nalità diverse.
Gli studenti hanno avuto anche il compito di:
• predisporre, ove possibile, dei brevi abstract/resoconti dei testi esposti (favorendo in questo modo
la motivazione per i loro stessi coetanei);
• “guidare” i compagni nel percorso di conoscenza e di lettura fornendo opportuni consigli.
6° FASE: fase di monitoraggio. È stato predisposto un test conclusivo di rilevamento e di gradi-
mento dell’attività da proporre ai docenti e agli allievi delle scuole coinvolte; i risultati sono serviti a
monitorare il progetto stesso.
TEMPI: maggio-giugno
Scuole coinvolte di Udine: Istituto Tecnico “A. Zanon”, Liceo Scientifi co “N. Copernico”, IPSSCART
“B. Stringher”, Liceo classico “J. Stellini”.
IL LAVORO DEI CORSISTI (40 u.o.)
Fase 1
La parte iniziale dell’impegno dei corsisti si è svolta in Biblioteca dove hanno potuto conoscere i
“modelli narrativi” di “poesia” e di “animazione”, attraverso l’ascolto, la narrazione, le letture dirette;
potranno, inoltre, analizzare testi e individuare i meccanismi narrativi ricorrenti.
Fase 2
I corsisti hanno potuto documentarsi sull’attuale letteratura indirizzata ai giovani, conoscendo i
nuovi autori e i nuovi libri per ragazzi.
Hanno esaminato i testi, selezionando quelli che si avvicinano di più ai loro interessi e alla loro
sensibilità.
Hanno potuto accedere al prestito tramite la Biblioteca.
Fase 3
La terza fase ha visto i corsisti impegnati in momenti di osservazione in classe, anche se la loro
attività non è stata strettamente legata al funzionalismo didattico, ma all’analisi della classe nelle sue
componenti (maschi/femmine), al rilevamento degli interessi più diffusi, alle eventuali esperienze di
lettura pregresse.
Dopo l’osservazione i corsisti hanno potuto orientarsi, anche secondo il loro gusto, nella scelta
del testo o dei testi da proporre.
Fase 4
3° FASE: i corsisti prendono parte al “laboratorio” di lettura, apprendono le tecniche di “lettura”
da un esperto, partecipano ad una “presentazione in classe”. In seguito selezionano le opere e strut-
turano gli interventi e i materiali, individuando modalità idonee per stimolare gli studenti alla lettura
ed eventualmente alla scrittura.
In tal modo i corsisti, selezionando e confrontando i testi, sperimentano diverse modalità di comu-
nicazione, affi nando le loro capacità espressive in relazione ai diversi ordini di scuole.
Fase 5
Presentazione in classe dopo il lavoro personale di lettura e analisi critica, mettendo a frutto l’ap-
preso durante la conferenza/incontro iniziale, durante il laboratorio e durante le animazioni seguite
in Biblioteca.
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Fase 6
I corsisti hanno potuto seguire gli studenti in un percorso operativo, fi nalizzato alla preparazione
del lavoro di presentazione fi nale.
Relazione fi nale dei corsisti sull’attività svolta (5 u.o.).
FASI ATTIVITÀ SOGGETTI COINVOLTI
FASE 1: 4 u.o. Incontro in Biblioteca Scuole, SSIS, Biblioteca
FASE 2: 10 u.o. Selezione dei testi da presentare in
classe; lettura individuale.
Biblioteca, corsisti SSIS
FASE 3: 5 u.o. Osservazione in classe (4 u. o.); pre-
sentazione libro o percorso tematico
(2 u. o.).
Corsisti SSIS, docenti accoglienti.
FASE 4: 10 u.o. Partecipazione al Laboratorio di lettura
(10 u.o.)
Corsisti SSIS, docenti accoglienti.
FASE 5 e 6: 11 u.o. Percorso operativo in classe in prepara-
zione al lavoro di presentazione fi nale
(6 u.o); relazione fi nale dei corsisti (5
u.o.)
Corsisti SSIS, docenti accoglienti.
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ALLEGATO 2
Progetto
“AAA. GIOVANI LETTORI CERCANSI”
QUESTIONARIO
1. Quanti anni hai ……………… Che classe frequenti ………………
In quale scuola …………………………………………………………………………………………………………………..
2. Se hai tempo libro lo passi
❑ guardando la tv ❑ con gli amici ❑ praticando uno sport ❑ ascoltando musica
❑ giocando col telefonino ❑ leggendo ❑ facendo shopping ❑ altro
3. Che cosa leggi di solito?
❑ libri ❑ quotidiani ❑ riviste ❑ fumetti ❑ altro…
4. Quando e quanto leggi?
❑ ogni giorno un po ❑ nel fi ne settimana ❑ durante le vacanze ❑ mai
❑ spesso ❑ ogni tanto ❑ quasi mai
5. Dove leggi?
❑ a casa ❑ sul divano ❑ in biblioteca ❑ sulla corriera
❑ a scuola ❑ di sera a letto ❑ altro
6. Che cosa ti spinge a leggere?
❑ curiosità ❑ ne hai sentito parlare ❑ consiglio di amici ❑ consiglio dei proff
❑ bisogno di storie ❑ divertimento/piacere ❑ altro …………
7. Quale tipo di lettura preferisci?
❑ fantascienza ❑ avventura ❑ classici ❑ racconti
❑ gialli ❑ horror ❑ romanzi rosa ❑ saggi (musica, arte..)
8. Secondo te per leggere con piacere bisogna
❑ aver tanto tempo ❑ poter scegliere il libro che piace ❑ scegliere storie di ragazzi
❑ avere qualcuno che consigli ❑ conoscere le ultime novità librarie
❑ avere la biblioteca a quattro passi da casa ❑ altro
9. Quando scegli un libro lo fai in base :
❑ titolo ❑ copertina ❑ prime righe del testo/ pagine a caso
❑ quello che hanno detto gli amici ❑ non so
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10. Indica il titolo di un libro o di un racconto che ti è piaciuto e che consiglieresti ad un amico
…………………………………………………………………………………………………………………………………………
11. Perché ti è piaciuto?
❑ è divertente ❑ è semplice ❑ mi ha commosso ❑ è interessante
❑ è avvincente ❑ è originale ❑ è vicino alla mia esperienza ❑ altro
12. Indica il titolo di un libro o di un racconto che non ti è piaciuto
…………………………………………………………………………………………………………………………………………
13. Perché non ti è piaciuto?
❑ linguaggio diffi cile ❑ è noioso ❑ ha un ritmo lento ❑ mi hanno obbligato
❑ non capivo i riferimenti ❑ è lontano dalla mia esperienza ❑ altro
14. Secondo te legge chi
❑ ha tanto tempo libero ❑ vuole evadere dalla realtà ❑ vuole fare bella fi gura con gli amici
❑ vuole aumentare le sue conoscenze ❑ si vuole tenere aggiornato
❑ vuole fare nuove esperienze ❑ altro
15. Frequenti la biblioteca della tua città o del tuo paese?
❑ sì, spesso ❑ sì, qualche volta ❑ mai ❑ non c’è, non è aperta
16. Frequenti la biblioteca della tua scuola?
❑ sì, spesso ❑ sì, qualche volta ❑ mai ❑ non c’è, non è aperta
17. Se sì come vedi il bibliotecario?
❑ come un buon consigliere ❑ come un aiuto nelle ricerche
❑ come un guardiano severo ❑ come un ‘topo’ di biblioteca
❑ come un amico dalle tante risorse ❑ altro
18. Sei a conoscenza dei servizi e delle attività organizzate dalla Biblioteca Civica di Udine “V.
Joppi”?
❑ sì ❑ no
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ALLEGATO 3
Progetto
“AAA. GIOVANI LETTORI CERCANSI”
TABELLA PER LA RILEVAZIONE DATI
1. CORSISTA SSIS
Nome, classe di concorso
2. SCUOLA, CLASSE, NUMERO ALLIEVI
3. DOCENTE ACCOGLIENTE
4. PERCORSO DI LETTURA
• Testo narrativo usato
• Breve descrizione del percorso, tramite qualche
parola chiave, allegare eventualmente materiali
usati
5. NUMERO ORE DI LEZIONE SVOLTE
6. TIPOLOGIA DELLA LEZIONE SVOLTA
frontale, interattiva…
7. INTERESSE DIMOSTRATO DAGLI STUDENTI
8. OSSERVAZIONI
9. PROPOSTE PER IL PROSIEGUO DEL
PROGETTO
Data fi rma
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ALLEGATO 4
Progetto
“AAA. GIOVANI LETTORI CERCANSI”
Insegnante: ________________________________________________________________________________________________________________
Scuola: _____________________________________________________________________________________________________________________
Classe: _____________________________________________________________________________________________________________________
Le sottoponiamo il presente questionario di verifi ca al fi ne di sondare il livello di gradimento
rispetto a questo progetto e di raccogliere proposte per una eventuale prosecuzione in futuro.
La ringraziamo per la cortese collaborazione.
1. Il progetto ha secondo Lei stimolato l’interesse per la lettura e per la conoscenza della biblioteca
ragazzi?
a) SI’, PIENAMENTE ❑ b) SI’, PARZIALMENTE ❑ c) NO ❑
2. Il grado di partecipazione e coinvolgimento degli alunni è stato a suo parere:
f) ALTO ❑
g) MEDIO ❑
h) BASSO ❑
3. I libri e le letture presentate sono stati occasione di commenti e/o discussione successivamente
all’incontro?
a) SI’ ❑ b) NO, AFFATTO ❑
4. Nel complesso ritiene la modalità organizzativa di questo progetto:
a) MOLTO POSITIVA ❑ b) SODDISFACENTE ❑ c) NON SODDISFACENTE ❑
5. Ulteriori considerazioni e proposte:
____________________________________________________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________________________________________
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ALLEGATO 5
Alcuni commenti degli studenti dopo la lettura in classe di M. Somaglino.
1. Penso che ci vorrebbe a casa una persona che legge i libri con quell’espressività e trasporto che
ha Somaglino perché rende il libro molto più interessante e avvincente. È, però, traumatico inter-
rompere un libro a metà, perché essendo una curiosa, rimane come un pensiero attaccato con
un solo fi lo sospeso nel buco nero delle dimenticanze. In ogni caso si stimola molto la persona a
riprendere in mano i libri per terminarli e questa è una cosa positiva.
2. Questo momento di lettura mi è piaciuto molto, anche perché era letto con espressività. L’idea è
coinvolgente, proprio perché viene interrotta la lettura in un punto qualsiasi del capitolo o del libro.
Bella la scelta dei libri nonostante sia stata fatta a caso. Sarebbe bello poter rifare questa attività
ma per più volte o per più ore.
3. Quest’ora passata ad ascoltare la lettura di questi tre libri mi è piaciuta molto. È stata un’ora molto
rilassante ma allo stesso tempo attiva: con la sua lettura non riuscivi a non entrare nel ruolo del
personaggio, come le pause: erano fatte proprio al momento giusto per farti fare un piccolo riassunto
della situazione per poi proseguire con il brano. Secondo me riuscire a far diventare piacevole e
divertente qualsiasi libro è veramente un dono meraviglioso. Non mi dispiacerebbe affatto poter
anche a casa disporre di una persona che legga i libri talmente bene.
4. La brusca interruzione dei testi era quasi deludente, anche perché il modo di leggere molto
espressivo e coinvolgente permetteva di ‘inserirsi’ profondamente nella storia e rimaneva la voglia
di continuare…..
5. Grazie alla sua capacità espressiva è riuscito a farci calare in tutti i pezzi di libri letti. È riuscito,
almeno per me, a farmi apprezzare la lettura, non come voglia di vedere come va a fi nire il libro ma
proprio per il piacere di leggere. La lettura che faccio io a casa di un libro è molto più superfi ciale
e il più delle volte si limita ad un’analisi dei contenuti molto scadente…
6. È un’esperienza molto interessante perché mi ha fatto rifl ettere sull’importanza della lettura ad
alta voce. Penso che sia importante perché leggendo un qualsiasi testo ad alta voce, anche solo
per se stessi si riesce a comprendere meglio ciò che il libro vuole trasmettere… la cosa che non
mi è piaciuta di questa iniziativa, è il fatto di non poter fi nire di leggere i libri …
7. Mi è piaciuto molto la libertà nei movimenti, l’espressività della voce molto profonda. Avrei pre-
ferito mezz’ora per libro piuttosto che 15 minuti, è come vedere la pubblicità di un fi lm, a pezzi ti
mette ansia e voglia di andare a vederlo; comunque mi sono piaciuti tutti e tre i libri anche se ne
avevo già letto uno, Corri Matilda della Simona Vinci, e devo dire che dopo aver sentito rileggere
l’inizio a quel modo, mi sembrava di non averlo mai letto, come se fosse una cosa nuova ancora
da scoprire, mi ha fatto venir voglia di rileggerlo…
8. Quest’ora di lettura è stata molto interessante ed appassionante. Somaglino ha letto con grande
espressività i libri ed è questa la cosa che mi è più piaciuta… Io non amo affatto leggere, anzi lo
detesto. Però Somaglino mi ha fatto capire che la lettura è fondamentale e molto rilassante: mentre
lo ascoltavo mi immedesimavo nella lettura ed immaginavo tutte le scene, i luoghi, i personaggi.
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Quando però la lettura si fermava e cambiava anche libro, la sensazione che ho provato era quella
di un vuoto incolmabile dentro di me perché ero curiosa di conoscere come fi niva la storia. Secondo
me la lettura è più coinvolgente quando è qualcun altro che racconta la storia e che si immedesima
nel racconto perché lascia spazio all’immaginazione altrui.
9. Somaglino è stato davvero bravissimo. La sua lettura mi ha coinvolto molto, il suo tono di voce
e i suoi movimenti rendevano la lettura piacevole ed interessante. Era sempre triste terminare la
lettura sul più bello, ma sicuramente questo ha favorito la voglia di leggere e fi nire i libri che ha
letto. Ancora tantissimi complimenti all’attore per l’interpretazione, è stato un incontro divertente
e piacevole.
10. La mia impressione dell’incontro con Somaglino è stata ottima. Mi è piaciuta molto l’espressività
con cui lui leggeva riusciva a rendere benissimo l’idea della situazione di cui si narrava: in certi
momenti sembrava che conoscesse il libro a memoria o fosse stato pomeriggi interi a provare a
leggere. Spesso una persona comincia a leggere un libro e lo trova noioso, si blocca. Ma dopo la
lettura di oggi ho capito che tutti i libri sono interessanti, basta leggerli in un certo modo. Poi magari
potrebbe non piacere l’argomento, il tema, ma forse avere letto un libro che non piace arricchisce
in ogni caso. Ho capito che il libro è bello quando ci si immedesima nei personaggi, sembra di
vedere i luoghi e quando sembra di osservare le vicende svolgersi dinanzi ai propri occhi. Un libro
è sempre bello quando lo si legge con il cuore, non con gli occhi.
11. L’attore ha letto in maniera coinvolgente e con una giusta suspence che ha letto la lettura incal-
zante. Personalmente penso che leggerò il secondo libro perché ha smesso di leggere nel punto
in cui la narrazione si faceva interessante. Il metodo che ha usato cioè di interrompere la lettura
dopo quindici minuti secondo me invoglia a continuare per conto proprio quelle letture.
12. La mia impressione su questo incontro con il signor Somaglino è che è bravissimo a leggere, ti
coinvolge e non vorresti mai che smettesse. Però non mi è piaciuto molto il fatto che allo scadere
del tempo lasciasse le frasi a metà. I tre libri che ci ha letto erano molto interessanti, tutti e tre mi
hanno catturata, sono molto particolari, che trattano argomenti non noiosi, ma la contrario. Il suo
modo di leggere mi ha colpito veramente, starlo ad ascoltare è stato veramente rilassante. Mentre
leggeva sembrava di vedere i personaggi delle storie ed era molto simpatico quando faceva ‘le voci’.
Peccato che sia rimasto qui poco.
13. L’attore Somaglino è stato molto bravo, secondo me, perché è riuscito a rendere la semplice let-
tura di alcuni libri molto coinvolgente e interessante. Facendo partecipare chi ascoltava in modo
diretto ai fatti narrati, cioè sembrava proprio una scena di teatro in cui l’attore mette tutto di sé,
emozionando il pubblico e comunicando allegria, tristezza, inquietudine, le sue sensazioni. Cre-
ando suspence …. Mi è piaciuto molto questo incontro e il modo di porsi di Somaglino di fronte
al pubblico.
14. Mi ha colpito molto l’espressività che M. Somaglino ha dato ai personaggi, come si è adattato ad
essi e alle loro parti. Sembrava che si fosse diviso in più persone diverse nello stesso momento.
Ha reso la lettura vivace e appassionante. Con i gesti, le facce e i movimenti, penso che ci abbia
resi ancora più partecipi alla storia (mi è piaciuto moltissimo questo progetto)
15. Secondo me leggere in un modo così espressivo, come se si stesse recitando rende molto più
piacevole la lettura, forse è merito anche dei testi che sono stati letti, sicuramente non pesanti e
con chiave umoristica. per arrivare ad un risultato così notevole è ovvio che ci sono voluti anni di
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studio, di prove continue e di un accurato apprendimento della dizione, perchè credo che nessuno
di noi, me compresa, anche con tutta la buona volontà, impegnandosi al massimo, non riuscirebbe
a dare una prova così brillante. La bravura di un attore va anche nel fatto che riesce a ‘entrare’ nel
personaggio, chiudendo gli occhi sembrava che i personaggi uscissero dal libro e narrassero le
vicende di cui erano protagonisti, tutto questo grazie al cambio continuo del timbro di voce…
16. Secondo me è stata un’ora veramente interessante. Sono stata colpita in modo particolare dal
lettore e dal suo modo di narrare la storia: riusciva a coinvolgerti nella vicenda, a renderti partecipe
e ti invogliava a continuare nella lettura. Mi hanno colpito anche tutti i cambiamenti di voce e
tutti i gesti che associava ad ogni situazione. Un aspetto che mi dava un po’ fastidio era il continuo
cambio dei libri ogni quindici minuti esatti: ero tutto a presa dalla storia quando all’improvviso
si fermava lì e cominciava subito con un’altra e, di questo, non ho ancora capito bene il senso.
Comunque secondo me è stato molto brava e mi sarebbe piaciuto che quest’incontro durasse di
più, che leggesse qualche pezzo in più di ogni libro… anche perché è la prima volta che sento
leggere una storia così bene e interpretarla in quel modo…. Veramente bravo.
17. È stato molto piacevole e interessante. Il fatto di interrompere la lettura è fastidioso, ma spinge a
voler continuare la lettura. È stato bello sentir ‘recitare’ un libro da una persona esperta, dando così
modo anche di percepire cose che nella lettura individuale non sarebbe stato possibile. Anche dei
libri che probabilmente come genere non mi avrebbero mai interessata, invece, letti da Somaglino
sono risultati coinvolgenti.
18. Penso che questa esperienza possa invogliare chiunque alla lettura e sia un modo per conoscere libri
nuovi. Naturalmente i libri letti li prenderò dalla biblioteca e cercherò di fi nirli quasi sicuramente.
M. Somaglino è stato molto bravo e anche se a me molte descrizioni non piacciono è riuscito
comunque ad aver la mia totale attenzione…. È molto bello che con la lettura si possa esprimere
un proprio stato d’animo e ci si possa rispecchiare in un libro e magari provare a scriverne uno
pensando a compiacere chi lo potrà leggere.
19. L’incontro con l’attore Massimo Somaglino mi è rimasto impresso. È da un anno e mezzo che faccio
teatro e penso che la lettura ad alta voce riesca a farti immedesimare nel personaggio. Quest’attore
con la sua espressività ha coinvolto tutta la classe nella sua lettura. Anch’io ho provato, data la mia
poca esperienza al mio corso di teatro a leggere libri ad alta voce con molta disinvoltura. Posso
sembrare una ragazza timida ma quando devo immedesimare in un personaggio sono in grado
di coinvolgere chi mi ascolta. Secondo me leggere ad alta voce puoi raggiungere la tua profondità
interiore ed esprimere ciò che provi in quel determinato istante.
20. Oggi abbiamo passato un’ora interessante con Massimo Somaglino. Lui è un attore che è venuto
in classe per continuare un progetto della Biblioteca…. Il modo con cui ha affrontato la lettura dal
mio punto di vista è stato eccezionale, riusciva a mantenere un interesse costante grazie solamente
al modo con cui lui esprimeva ogni singola frase del libro. La sua mimica e il cambio di tonalità
della voce rendeva tutto ciò ancora più coinvolgente e avvincente. Credo che ciò che ci ha mostrato
abbia avuto il potere di porre un rilevante interesse in noi rispetto ai libri letti da lui, ma anche un
qualcosa nei confronti della lettura a voce alta e in generale della lettura. È stata un’ora veramente
ben spesa.
21. Il suo modo di presentarci libri mi è piaciuto particolarmente, la sua mimica ed interpretazione
di ogni singola battuta, cambiando voce ai vari personaggi mi ha colpito e coinvolto. Lasciare in
sospeso le storie mi è dispiaciuto … ti permette di cambiare realtà da un secondo all’altro: in un
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attimo ti ritrovi catapultato in un altro mondo completamente diverso da quello precedente …
questa tecnica (se si può defi nire tale) di leggere più libri in così poco tempo mi ha divertito. Poi,
inoltre, la lettura ad alta voce è come se ti lasciasse più impresse le vicende dentro, è una sensa-
zione diversa che ti viene trasmessa rispetto alla lettura silenziosa. Sei talmente immerso nel libro
che non pensi più a niente, non sempre succede, ma questo che ci deve essere perché una storia
ti piaccia davvero, ti puoi immaginare l’ambiente, i volti dei personaggi e nella tua mente vedi
scorrere tutte le immagini come in un fi lm che inventi tu in parte! In conclusione, davvero carino!
22. Bellissimo, eccezionale, unico: oltre la perfezione. Sento ancora la sua voce che risuona nella mia
mente, completamente rapita dalla lettura. Penso che qualsiasi libro, testo . parola letto da lui
abbia la capacità di emozionare, coinvolgere e far sentire tutt’uno con le pagine. I suoi occhi non
si soffermavano mai sul libro e mi sono veramente chiesta se si fosse preparato tutto a memoria,
il suo corpo sempre in movimento bastava ad attirare l’attenzione e la sua voce incalzante era
perfetta, si adattava con naturalezza ad ogni personaggio, spaventava, stupiva, rendeva ogni casa
al massimo della mie aspettative.
23. A me non è mai piaciuto leggere libri preferisco le riviste e le ricette dei dolci che dopo mi metto
subito a preparare. Ma oggi ascoltando solo una breve parte dei libri mi è venuta una gran voglia
di fi nirli perché erano incompleti e neanche a farlo apposta la lettura si fermava sempre nei punti
di maggiore suspence. È bello ascoltare una persona che legge un libro. Quando però si sa prece-
dentemente che dopo bisogna fare un lavoro o un compito al riguardo, tutto cambia e la lettura
non è più divertente ma diventa noiosa e la si ascolta solo perché altrimenti dopo non si riescono
a fare i compiti…
24. Interpretazione davvero incredibile … sembrava quasi che sapesse a memoria quello che leggeva!
Riusciva davvero a rapirmi completamente … Penso che anche il libro più noioso del mondo, letto
da lui mi sarebbe parso interessante! Forse è anche perché si muoveva per la stanza, gesticolava,
mimava le azioni dei personaggi, guardava tutti negli occhi…. Forse è anche per questi motivi che
era impossibile non ascoltarlo e seguirlo. Secondo me è un bravissimo attore, molto carismatico;
ho visto una sua rappresentazione teatrale (‘Cercivento’) in cui era protagonista e mi ha colpito la
passione, l’espressività e la perfetta interpretazione che ha dimostrato: ci metteva l’anima davvero.
Queste cose le ho viste anche oggi mentre leggeva in classe e mi hanno di nuovo rapito. Sarebbe
veramente fantastico se anche noi in classe potessimo esercitarci a leggere in modo così espressivo
…È certo che nessuno si annoierebbe, anzi!
25. Uno stile di lettura fantastico! Massimo Somaglino è veramente riuscito a sorprendermi. Una voce
bassa, calda, pastosa, perfetta per riuscire a comunicare tutta l’espressività che si ha dentro se stessi.
Anche il suo modo di muoversi, muovere le mani, scandire bene le parole e il suo immedesimarsi
in una storia e far immedesimare e coinvolgere gli altri è stato fantastico. Mi ha fatto piacere che
abbia precisato che i libri che ha letto sono stati scelti a caso, senza selezionarli. Purtroppo al giorno
d’oggi si fanno molti pregiudizi sui libri e si tende a leggere i soliti ‘classici’ senza poi pensare che
ci sono tanti altri libri altrettanto belli a questo mondo. Mi piacerebbe molto anche a me avere
una voce così adatta alla lettura espressiva, ma non credo di averla.
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Bibliografi a
Bettelheim B., Zelan K., Imparare a leggere, Feltrinelli,
Milano, 1989.
Cardarello R., Libri e bambini. La prima formazione del
lettore, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze), 1995.
Cisotto L., Il pensiero nei territori del testo, Cleup,
Padova, 2002.
Cisotto L., Didattica del testo, Carocci editore, Roma,
2006.
Colombo A., Leggere. Capire e non capire, Zanichelli,
Bologna, 2002.
Corazzi C., Scrivere e leggere, Arnoldo Mondatori
Scuola, San Casciano Val di Pesa (Firenze), 2002.
De Beni R., Cisotto L., Carretti B., Psicologia della
lettura e della scrittura, Erickson, Trento, 2001.
Denti R., Lasciamoli leggere. Il piacere e l’interesse per
la lettura nei bambini e nei ragazzi, Einaudi, Torino,
1999.
Detti E., Il piacere di leggere, La Nuova Italia, Scan-
dicci, 2002.
Eco U., Lector in fabula, Bompiani, Milano, 1979.
Levorato M.C., Le emozioni della lettura, il Mulino,
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Nespolo I., Ricciardi E., Leggiamo insieme, Carocci
Faber, Roma, 2006.
Sarto M., Voglia di leggere. 25 strategie didattiche per l’a-
nimazione alla lettura, Piemme, Alessandria, 1993.
Zannoner P., Come si costruisce un percorso di lettura,
Mondadori, Milano, 2000.
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Progetto “Tirocinio in L2”
Anna Maria Zilli, Supervisore SSIS dell’Indirizzo Linguistico letterario,
Università degli Studi di Udine
1. Premessa
Connesse alla ricerca della qualità didattica ed organizzativa vi sono l’inclusione sociale
e l’integrazione scolastica rivolte ai cosiddetti “gruppi bersaglio”, comprendenti gli alunni
diversamente abili e gli appartenenti a gruppi minoritari. Risulta utile considerare con debita
attenzione questi aspetti, fortemente correlati nella L. n.104/ 92 quale matrice per i piani di
studio personalizzati ed i percorsi atti al raggiungimento del successo formativo di tutti e di
ciascuno sulla base della L. n. 53/ 03.
La scuola costituisce un “laboratorio privilegiato” di inclusione sociale in cui il successo
scolastico è uno degli elementi qualitativi per misurare l’integrazione; proprio in questo
laboratorio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha voluto analizzare
gli esiti degli alunni con cittadinanza non italiana, a partire dall’anno scolastico 2003/
2004, promuovendo per la prima volta un’indagine in questa direzione. I risultati non sono
incoraggianti: è necessario quindi attivarsi e diffondere modalità e pratiche consone alla
peculiarità della situazione.
Sfida della società contemporanea sono le questioni ancora aperte sulle tematiche
dell’identità, pluralità, assimilazione, multiculturalismo che la scuola dovrà affrontare nel
prossimo futuro. Queste categorie sono strettamente ricorrenti e intrecciate, il recente fl usso
migratorio ha manifestato caratteristiche di provvisorietà e di emergenza, tuttavia questa
situazione sta evolvendo rapidamente, divenendo di tipo stanziale e con caratteristiche
di integrazione. Il multiculturalismo si fonda sul principio che ogni gruppo è portatore di
proprie caratteristiche che vanno rispettate, mantenute e trasmesse. Proprio la difesa della
diversità linguistica e l’importanza attribuita alla lingua nella costruzione dell’identità per-
sonale, sulla via di un’ apertura culturale complessa, sono i presupposti fondanti e le linee
di orientamento per questo progetto.
L’interculturalità, il rapporto fra culture “altre” e le condizioni che rendono attuabile
questo processo, non costituiscono più un’emergenza cui far fronte, ma una dimensione di
cui necessita una presa d’atto per acquisire consapevolezza della complessità del fenomeno.
La presenza nelle scuole di ogni ordine e grado del nostro territorio di studenti immigrati,
provenienti dalle diverse aree geografi che del mondo, sollecita i docenti a predisporre percorsi,
adottare strategie adeguate e mirate alle necessità contingenti. Gli itinerari e i contributi per
prevedere interventi capaci di integrare il livello di conoscenza della lingua del paese ospite
delineano un percorso fi nalizzato che si intreccia ad una molteplicità di “documenti” correlati
all’integrazione di questi studenti. La costruzione di itinerari per l’educazione interculturale
e l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda (Italiano L2), così come la necessità di
predisporre comunicazioni, schedari, certifi cazioni e moduli plurilingue fungono da stimolo
per l’approfondimento e la ricerca di risorse interne ed esterne.
Su queste premesse ha origine il Progetto “Tirocinio in L2”.
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2. Riferimenti normativi
I riferimenti normativi richiamano le recenti Linee Guida per l’accoglienza e l’integrazione
degli alunni stranieri del 3 marzo 2006 che offrono indicazioni chiare e piste di operatività in
merito alle modalità di inserimento di alunni stranieri e ai percorsi di italiano come lingua
della comunicazione e come lingua per lo studio, da progettare con diversi strumenti intesi
come facilitatori di acquisizione delle conoscenze (carte geografi che, glossari, strumenti
multimediali). Queste seguono un’ importante istituzione quella dell’Osservatorio nazionale
per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale istituito con decreto mini-
steriale del 6 dicembre 2006.
Un breve excursus di carattere legislativo recupera interessanti indicazioni presenti in
alcuni documenti sia a livello nazionale come ad esempio:
– il D.P.R. n. 275/ 99 che prevede per l’autonomia didattica modi e criteri di attuazione
(art. 4) e la possibilità di istituire reti fra istituti per specifi che esigenze didattiche (art. 7);
– il D.P.R. n. 394/ 99 che attribuisce al Collegio dei Docenti la possibilità di adattare i pro-
grammi di studio per questi studenti, di valutare in modo non certifi cativo ma formativo,
di defi nire prove atte all’accertamento della conoscenza linguistica posseduta, nonché
le modalità di iscrizione alle rispettive classi sulla base dell’età anagrafi ca dello studente
(art. 45);
– la L. n. 328/ 00 legge istitutiva della progettazione territoriale;
– il D. Lgs n. 76/ 05 decreto sull’obbligo formativo dove tra l’altro si legge: “tutti, ivi compresi
i minori stranieri presenti nel territorio dello Stato hanno il diritto- dovere all’istruzione e alla
formazione”;
– la D.M. n. 45/ 05 in cui viene menzionata la didattica dell’italiano come L 2 e l’integrazione
per gli alunni stranieri (art. 3);
che a livello territoriale con le leggi regionali e per il Friuli Venezia Giulia:
– la L.R. n. 23/ 04 che istituisce i piani territoriali interistituzionali e i Piani di Zona (tavoli
di progettazione integrata fra la scuola e altri soggetti educativi come le ASL);
– la L. R. n. 5 del 2005 con le norme per l’ accoglienza e l’integrazione sociale, l’istruzione
e l’educazione interculturale (art. 24) e gli interventi di integrazione e comunicazione
interculturale (art. 28).
Tale riferimento non è esaustivo e viene riportato a garanzia dell’esistenza di poten-
ziali percorsi concreti per affrontare la tematica in oggetto; lo sfondo valoriale è costituito
dalle pregresse norme che, a partire dagli ’80, prima a livello comunitario, poi nazionale
individuano nell’educazione interculturale e poi nelle specifi cità relative a tale tematica gli
elementi fondanti.
3. Introduzione al Progetto “Tirocinio in L2”
Il contesto di riferimento in cui è maturata l’idea dell’iniziativa trova numerosi agganci
con le sezioni qui enucleate e formalizzate per la realizzazione delle fi nalità istituzionali
della scuola che le promuove e gestisce in autonomia. Le linee programmatiche qui decli-
nate ineriscono, pertanto, tale disegno ampio, articolato e complessivo fi nalizzato a favorire
l’inserimento e l’integrazione degli allievi stranieri iscritti e frequentanti.
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Il progetto “Tirocinio in L2”, si inserisce nella prospettiva dell’ampliamento dell’offerta
formativa:
“Il Piano dell’Offerta Formativa è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi
ed indirizzi di studio ……e rifl ette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà
locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell’offerta formativa. Esso comprende e
riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, e valorizza le corrispondenti
professionalità.” (art. 3 del DPR n. 275/ 99)
La collaborazione fra diversi istituti scolastici della città con l’Università degli Studi di
Udine e, nello specifi co, con la Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento nella Scuola
Secondaria trova in questo contesto spazi inediti, innovativi, peculiari per esplicarsi, attuando
una profi cua osmosi al confronto ed arricchimento reciproco. Questo permetterà di pro-
muovere e proseguire quel processo di progettualità, ricerca e sperimentazione scolastica
auspicato in seno alle realtà scolastica ed accademica.
L’attività relativa è stata avviata in via sperimentale dall’anno accademico 2000/ 2001 grazie
alla Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento nella Scuola Secondaria dell’Università
degli Studi di Udine presso l’istituto “B. Stringher” di Udine e la scuola secondaria di primo
grado “via Petrarca” di Udine si è poi esteso al Liceo Scientifi co “N. Copernico” ed alle Scuole
secondarie di primo grado “via Divisione Julia “ e “ piazza Garibaldi” di Udine.
L’inserimento nel percorso di specializzazione della struttura universitaria del corso di
Italiano per stranieri e del relativo laboratorio ha consentito, in seguito, una maggiore prepa-
razione per i corsisti che intendevano inserire nel loro piano di tirocinio tale esperienza. Dai
relativi programmi stilati è possibile raccogliere le intenzioni di base atte a fornire elementi
utili alla formazione docente in un settore di insegnamento peculiare e recente per l’area
umanistica e di guidare alla conoscenza ed all’approfondimento della didattica dell’italiano
come lingua seconda in vista di una pratica professionale adeguata. Nell’ambito della didattica
per progetti, all’interno del Progetto di Tirocinio, venivano poi offerti spazi adeguati per tale
realizzazione che prevede interventi diversifi cati:
• per l’attività di programmazione in gruppo;
• per un approfondimento a livello individuale su indicazioni di carattere bibliografi co e
sitografi co;
• per il percorso di tirocinio diretto;
• per la stesura delle osservazioni conclusive e della documentazione del percorso effettuato.
Infi ne recenti disposizioni approvate dal Consiglio di Sede della Scuola di Specializ-
zazione riconoscono ai corsisti crediti derivanti dall’aver prestato servizio come docente
di Italiano L2 e costituiscono importanti segnali di un’attenzione crescente in questa
direzione.
4. Spinte motivazionali
La presente proposta trova origine nella necessità avvertita di trovare risposte effi caci
all’accoglimento di un numero di studenti immigrati in crescita progressiva e che da dati
aggiornati si situa ad una presenza del 10% della popolazione scolastica nel territorio
urbano.
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Il primo urgente bisogno per avviare la loro integrazione risulta essere quello di facilitare
l’acquisizione della lingua italiana, veicolare all’accesso di qualsiasi conoscenza disciplinare,
oltre a consentire l’ interazione e la comunicazione.
Il problema linguistico è quello che per primo viene rilevato dai docenti e costituisce il
primo ostacolo all’inserimento nel contesto scolastico e alla crescita cognitiva nei diversi
ambiti scolastici. Recenti studi hanno confermato che la perdita della propria lingua madre
provoca gravi diffi coltà anche nello studio di una seconda lingua poiché è più facile cadere
in un “semilinguismo” piuttosto che riuscire ad alfabetizzarsi solo in una lingua straniera.
Risulta decisivo considerare, allora, le peculiarità specifi che della L1, lingua nativa, al fi ne di
predisporre una didattica della L2, seconda lingua, che non prescinda del tutto dall’esperienza
linguistica già accumulata in un primo processo di alfabetizzazione. Va inoltre considerato
che la lingua nativa è portatrice di signifi cati profondi che investono anche l’area affettiva.
Nella situazione considerata la lingua italiana è lingua seconda: oggetto di apprendimento
e di insegnamento ma anche strumento quotidiano attraverso cui vengono veicolati tutti i
messaggi. In tale contesto di suoni sconosciuti questi ragazzi sono costantemente immersi:
per questo non è possibile trasferire le dinamiche di apprendimento di una lingua straniera
“tout court” in questa situazione.
La struttura della Scuola di Specializzazione prevede nell’ambito dell’Area 4 “ Tirocinio”
che “le esperienze svolte presso istituzioni scolastiche al fi ne dell’integrazione tra competenze
teoriche e competenze operative” siano declamate in un piano individuale e personalizzato.
L’obiettivo formativo della Scuola richiama il D.M. 26.5.1998 e l’ Allegato A per l’insieme
delle attitudini e competenze, caratterizzanti il profi lo professionale dell’insegnante. Dal
Manuale di Assistenza per il Tirocinio predisposto dalla stessa struttura universitaria ricaviamo
quelle più pertinenti il progetto:
• Assumere consapevolmente e collegialmente i bisogni formativi e psicosociali degli
allievi al fine di promuovere la costruzione dell’identità personale, insieme all’auto-
orientamento.
• Organizzare il tempo, lo spazio, i materiali, anche multimediali, le tecnologie didattiche
per fare della scuola un ambiente per l’apprendimento di ciascuno e di tutti.
• Gestire la comunicazione con allievi e l’interazione tra loro come strumenti essenziali per
la costruzione di atteggiamenti, abilità, esperienze, conoscenze e per l’arricchimento del
piacere di esprimersi e di apprendere e della fi ducia di poter acquisire nuove conoscenze.
• Promuovere l’innovazione nella scuola, anche in collaborazione con altre scuole e con il
mondo del lavoro.
• Assumere il proprio ruolo sociale nel quadro dell’autonomia della scuola, nella
consapevolezza dei doveri e dei diritti dell’insegnante e delle relative problematiche
organizzative e con attenzione alla realtà civile e culturale (italiana ed europea) in
cui essa opera ed alle necessarie aperture interetniche nonché alle specifi che proble-
matiche dell’insegnamento ad allievi di cultura, lingua e nazionalità non italiana.
La valenza formativa si ispira ad un modello integrato che correla i momenti di teoria,
con l’attività laboratoriale ed il tirocinio, per offrire ai docenti in formazione la possibilità
di rifl essione critica sulle esperienze specifi che e sui materiali utilizzati in contesto, nella
realizzazione a scuola di specifi ci segmenti.
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All’art. 41 del C.C.N.L. 2002-2005 si riporta l’inquadramento normativo delle attività di
tirocinio didattico con le relative modalità di svolgimento presso le sedi scolastiche e delle
funzioni di supporto ed esplicitamente si fa riferimento al fatto che “lo studente universi-
tario si confi gura come una risorsa per la scuola che lo accoglie”.
Nel progetto “Tirocinio in L2” si assumono quali punti ispiratori i suddetti e se ne ricerca
una loro contestualizzazione appropriata.
Per il percorso di specializzazione e di formazione dei futuri docenti frequentanti la S.
S. I. S. l’esperienza nel suo complesso si prefi gge di:
• attivare momenti di esperienze “sul campo” per il raggiungimento delle competenze ope-
rative professionali che costituiscono obiettivo del tirocinio;
• cogliere le potenzialità dell’autonomia scolastica e, in particolare, delle singole progettualità
per rispondere a reali esigenze del contesto e dei singoli;
• comprendere ed esperire la funzione della progettualità all’interno dell’attività scolastica
composita e complessa;
• richiamare conoscenze e attività esperite in fase laboratoriale e di insegnamento nell’ambito
della S. S. I. S. per ricollegarle alla pratica dell’insegnamento;
• progettare e realizzare interventi didattici;
• valutare l’esperienza, anche sul piano dell’autovalutazione;
• acquisire competenze operative professionali in merito all’area della programmazione,
delle competenze disciplinari, di quelle relazionali della formazione professionale;
• sperimentare attività di codocenza e di tutoraggio.
Decisiva spinta motivazionale ci viene fornita anche dalla celebrazione della Giornata
Internazionale per la Tolleranza, celebrata il 16 novembre. Nel 1995 i paesi membri dell’Unesco
al fi ne di ricordare i principi ispiratori la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo,
approvata nel 1948 dalle Nazioni Unite, hanno deciso la sua istituzione per riaffermare
l’irrinunciabile funzione dell’educazione nel promuovere la comprensione, la tolleranza
e l’amicizia tra gruppi appartenenti ad etnie e religioni diverse, con la fi nalità esplicita di
eliminare forme di intolleranza attraverso la cultura del dialogo, del confronto, dell’inte-
grazione, della solidarietà.
Con questo progetto si intende dare risposta anche a tali indicazioni ministerali che invi-
tano le scuole a ricordare tale data e a “promuovere nel corso dell’anno scolastico, all’interno
dei percorsi didattici previsti per i vari insegnamenti, occasioni e momenti di rifl essione sul
tema della tolleranza e sui pericoli derivanti all’umanità da ogni forma di discriminazione,
intolleranza e violenza”.
5. Il contesto e le ipotesi di lavoro
Sulla base della rilevazione e dall’analisi dei dati forniti dagli istituti e sulle radici che ne
traducevano la forte sensibilità ed attenzione rivolte a questa tematica sono stati program-
mati percorsi di educazione interculturale e/ o di insegnamento-apprendimento dell’Italiano
come L2. Questi prevedevano il coinvolgimento dei corsisti della S. S. I. S. in un’attività di
tirocinio guidato e protetto che li vedeva protagonisti, quali docenti in formazione.
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L’attività di tirocinio veniva articolata nelle seguenti fasi:
• Sentire il Responsabile/Referente del progetto-madre che dà voce alle necessità di famiglie,
studenti e istituzione scolastica.
• Progettare con il Referente, gli Insegnanti Accoglienti e il Supervisore al Tirocinio - Respon-
sabile di questo progetto.
• Individuare le modalità attuative.
• Presentare le linee progettuali ai corsisti.
• Raccogliere le loro adesioni sulla base di interessi e/o di preparazioni specifi che.
• Preparare gli incontri di tirocinio indiretto fra corsisti e il Supervisore al tirocinio presso la
S. S. I. S. che si occupa di questa tematica al fi ne della preparazione degli interventi e dei
materiali utili agli interventi.
• Presentare i lavori frutto di approfondimento e di rielaborazione.
• Predisporre e avviare il tirocinio diretto sulla base delle modalità concordate con gli Inse-
gnanti accoglienti dell’Istituto.
• Individuare momenti di raccordo e di revisione in itinere dei percorsi.
• Stilare una relazione fi nale riassuntiva dell’esperienza da parte dei corsisti S. S. I. S.
• Consegnare le cartelline con i materiali conclusivi dell’esperienza al Referente dell’istituto.
• Capitalizzare l’esperienza all’interno del percorso con la frequenza dell’insegnamento
Italiano L2 e del relativo laboratorio all’interno della Scuola di Specializzazione.
6. Finalità, tipologia degli interventi, obiettivi
Tra le diverse componenti che fanno parte del processo di acquisizione di una seconda
lingua e, a maggior ragione, in questo caso riteniamo si debba privilegiare la componente
affettiva e motivazionale. Fra le possibili fi nalità ne segnaliamo alcune quali linee guida
rispondenti ai principi ispiratori:
1. Porre lo studente con la propria personalità e i diversi ritmi di apprendimento al centro
del percorso di apprendimento-insegnamento, mentre l’insegnante diventa consulente
linguistico, organizzatore di attività comunicative.
2. Prevenire situazioni precoci di disagio.
3. Superare le barriere comunicative iniziali.
4. Sollecitare un alto livello di motivazione coinvolgendo i ragazzi in attività comunicative
che li stimolino a livello affettivo ed intellettuale.
5. Conservare il fi lo della memoria, del vissuto personale, dell’immaginario, della cultura
dei Paesi di provenienza.
6. Stabilire contatti relazionali graduati e mirati.
7. Offrire occasioni per migliorare la consapevolezza dell’esistenza di livelli linguistici
diversi, dal colloquiale al settoriale, funzionali a diverse situazioni comunicative.
8. Favorire attraverso la strutturazione in unità tematiche una sorta di “Viaggio nell’Italiano”
che, attraverso lo studio della lingua, veicoli contenuti e messaggi della cultura altra da
porre a confronto e discussione con le proprie realtà esperienziali.
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7. La tipologia degli interventi
Prevista potrà essere duplice e anche correlata:
– interna alle classi con interventi in attività di compresenza per inserirsi fattivamente all’in-
terno della programmazione di Italiano;
– esterna con interventi individualizzati e mirati in attività di contemporaneità;
– esterna per gruppi di studenti di livello linguistico paragonabile a B1 – B2, sulla base del
Framework europeo, ma di nazionalità diverse per utilizzare l’Italiano lingua veicolare in
una situazione “fra pari”;
– esterna per singoli studenti o micro-gruppi ad un livello iniziale, defi nibile come A1 –
A2 sulla base del Framework europeo, di alfabetizzazione linguistica per consentirne il
miglioramento delle capacità correlate.
Premesso che si considera più utile organizzare l’attività per piccoli gruppi per facilitare
il processo relazionale, elemento imprescindibile ad ogni motivazione comunicativa, si
individuano obiettivi differenziati per i ragazzi coinvolti, ipotizzando una diversità di casi
e situazioni concrete:
1. Sviluppare competenze comunicative della lingua seconda - L2 (Italiano).
2. Avviare un percorso formativo a lungo termine che recuperi i punti di forza e/o di debo-
lezza dell’apprendente.
3. Predisporre percorsi individualizzati.
4. Offrire occasioni per migliorare le macroabilità linguistiche (ascolto, oralità, lettura,
scrittura).
5. Essere capaci di interagire linguisticamente in L2 in maniera adeguata con parlanti
l’Italiano in situazioni comunicative varie.
6. Ampliare il lessico ed il vocabolario di base posseduti.
Va considerato che gli studenti coinvolti hanno già superato la prima alfabetizzazione
in seguito all’intervento delle fi gure dei mediatori linguistici e culturali, ma che necessitano
di recuperare e consolidare capacità di tipo linguistico, per accrescere il loro livello di com-
prensione e comunicazione. La prima unità di ciascun modulo si prefi gge di verifi care i livelli
linguistici posseduti dai ragazzi e di accertare ciò che sono in grado di capire in un testo orale
o scritto o di rielaborare in relazione alle informazioni apprese. È presumibile distinguere in:
OBIETTIVI – LIVELLO INIZIALE
Relativamente al codice orale
• saper rispondere a domande di identifi cazione personale;
• sapersi presentare anche senza specifi che domande –guida.
Relativamente al codice scritto
• saper riconoscere brevi testi d’uso comune;
• saper leggere e comprendere un semplice testo;
• saper compilare semplici questionari o moduli.
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OBIETTIVI – LIVELLO DI CONSOLIDAMENTO
• comunicare in modo chiaro le proprie esperienze;
• presentare in modo esauriente il risultato del lavoro personale;
• selezionare informazioni tratte dalla lettura individuale;
• utilizzare elementi grammaticali e lessicali;
• utilizzare la struttura di un brano per comunicare in forma scritta un’esperienza personale;
• saper utilizzare le conoscenze personali per la stesura di un testo scritto.
OBIETTIVI – LIVELLO DI SVILUPPO
• esporre personali opinioni o rifl essioni in modo chiaro;
• saper confrontare il proprio operato con quello dei compagni individuando analogie e
diversità;
• saper adattare contenuti e scelte espressive alla situazione comunicativa in cui si opera;
• analizzare un racconto e comprenderne il signifi cato complessivo;
• costruire frasi complesse in relazione a contenuti via via più specifi ci e complessi;
• conoscere i principali elementi grammaticali e sintattici.
8. Sfondo integratore ed elementi contenutistici
Nella formazione dei gruppi degli apprendenti si seguiranno il criterio dell’omogeneità
per ciò che concerne il livello linguistico dimostrato e quello dell’eterogeneità in base alla
provenienza dell’area linguistica di riferimento. Nel nostro territorio sono ampiamente
rappresentate le diverse aree: spagnola, rumena, francese, slava, russa, cinese.
Le attività saranno supportate dalla presenza di due corsiste che si alterneranno nel ruolo
di consulente linguistico, sollecitatore, organizzatore delle attività a quello di osservatore delle
dinamiche socio-relazionali e del contesto di insegnamento in un mutuo apprendimento.
L’itinerario nel suo complesso viene teorizzato come fl essibile per facilitare la progressione
degli interventi e adattabile alle particolarità del gruppo costituito, mentre l’approccio
comunicativo-interattivo ne costituisce l’aspetto basilare oltre che il fi lo conduttore. Si offrono
occasioni diversifi cate per il miglioramento delle macro-abilità linguistiche relative alla
fruizione ed alla produzione orale e scritta coinvolgendo attivamente gli studenti in attività
che possano stimolare la comunicazione interpersonale. Per ciò che concerne l’attivazione
della capacità di ascolto essa viene fi nalizzata sia alla comprensione globale che al contenuto
specifi co. Sappiamo, infatti, che per questi ragazzi ascoltare signifi ca cogliere con urgenza il
“che cosa” viene detto e non il “come”.
I percorsi nello specifi co vertono su aspetti della realtà italiana, occasione di conoscenza,
confronto, discussione; la strutturazione in unità tematiche che, dall’identità personale,
giunga a considerare la famiglia, la scuola, le aspettative del mondo giovanile, la comunica-
zione, le usanze e tradizioni locali e uno sguardo sul mondo, sono sfondi integratori per le
attività proposte. La prospettiva è così duplice: recuperare la propria esperienza come fonte
di pre-conoscenza e scoprire la realtà socio-culturale italiana da collegare, anche in chiave
contrastiva, al proprio vissuto.
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9. Linee metodologiche e strategie operative
Assume rilevanza il ruolo dell’ascoltatore come co-partecipante poiché inserito in una
comunicazione effi cace per l’attivazione di feed-back immediato per la comprensione dei
messaggi nelle diverse situazioni comunicative. Le modalità prescelte desiderano coinvol-
gere in modo partecipato gli studenti per guidarli alla scoperta ed acquisizione graduale e
contestualizzata di forme linguistiche corrette.
Raccontare avvenimenti ed esperienze personali attraverso la discussione guidata di
gruppo o la libera esposizione personale investe sia il parlato, come dialogo e/o monologo,
che l’ascolto attivo; proporre soluzioni a problemi, per la negoziazione o la recita semili-
bera, sulla base di un canovaccio, avvia un primo approccio funzionale al testo scritto come
produzione e fruizione dello stesso. Si opererà la raccolta di vocaboli scoperti o utilizzati
durante le attività da fi ssare e segnalare in una sorta di “glossario tematico” per favorirne la
memorizzazione e l’arricchimento linguistico-lessicale delle tematiche affrontate.
L’attenzione alle forme linguistiche convenzionali va enucleata, anche in chiave con-
trastiva, nel contesto esperienziale mentre l’analisi dell’errore, svolta in modo individuale
e contestuale, va interpretata come elemento conoscitivo di un processo di elaborazione
personale e dell’interlingua effettivamente usata. Fra le strategie operative previste vi sono:
• la conversazione libera informale;
• il brainstorming;
• la lezione dialogata;
• la lettura vicariale;
• la lettura silenziosa individuale;
• la discussione guidata di gruppo;
• il lavoro in coppia o a piccoli gruppi;
• il completamento di testi (cloze test);
• la correzione individualizzata in situazione;
• la costruzione di schede lessicali intorno ai contenuti considerati.
10. Valutazione e prospettive del progetto
Il progetto prevede interventi di tipo intensivo nell’arco dell’anno scolastico e comprende
unità temporali dedicate agli incontri per la programmazione iniziale, in itinere, sulla valu-
tazione e l’autovalutazione anche conclusive che spingeranno alla ricerca di modalità per
facilitare il processo di apprendimento della lingua italiana come L2. La prevista attività
di recupero avverrà contestualmente e in modo personalizzato. Verranno registrati quali
indicatori positivi dell’esperienza il miglioramento sul piano relazionale e sociale oltre che
linguistico dei ragazzi coinvolti, la partecipazione, il grado di impegno e di coinvolgimento,
il comportamento e l’attenzione dimostrata. Si predisporrà, inoltre, un questionario conclu-
sivo e anonimo per la raccolta di pareri, di suggerimenti e per conoscere il gradimento da
parte dei soggetti coinvolti, l’utilità delle attività e delle modalità operative attivate, al fi ne
di apportarvi modifi che o integrazioni per l’operato futuro.
Il respiro temporale del progetto è inteso come pluriennale per effettuare una raccolta
signifi cativa e il monitoraggio dei risultati; ciò consentirebbe di spaziare dalla competenza
comunicativa della lingua utile nei rapporti sociali ai linguaggi settoriali, delle professioni e
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dello studio, per potervi dare adeguata collocazione. Questo progetto, al di là degli obiettivi
concreti che si prefi gge, si auspica possa costituire occasione di rifl essione ulteriore per i
docenti sulla complessità del problema e sulla necessità di rivedere i percorsi culturali al fi ne
di adeguarli ad una realtà in costante evoluzione.
L’approfondimento delle tematiche collegate alla multiculturalità apre, infi ne, preziosi
scenari e potenzialità di ampliamento in progettualità diverse che comprendano sezioni
tematiche e contenuti sulla forma e sulle cause dei fl ussi migratori, sulla storia delle migra-
zioni recenti, sugli scenari e i paesi di provenienza, sulle diverse realtà multietniche com-
presenti, sulle storie di vita degli immigrati del nostro tempo, sul rapporto fra emigrazione
e letteratura. È così possibile trovare risorse ed occasioni formative su molteplici piani che
non riguardino solo ed unicamente l’aspetto linguistico ma investano una dimensione più
ampia che nel binomio lingua-cultura trova adeguato riconoscimento.
11. Rifl essioni
Sull’analisi di recenti rilevazioni socioculturali emerge una situazione caratterizzata da
forte interazione fra culture diverse derivante dalla mobilità di persone, idee, conoscenze
sia in modo diretto e ravvicinato che indirettamente in maniera mediata.L’educazione
può funzionare come un fattore integrativo, ponendo molta importanza sul rispetto
delle differenze tra individui e gruppi e non contribuendo all’esclusione sociale. L’o-
biettivo della scuola, in questo sfondo, è quello di trasformarsi in una scuola delle cit-
tadinanze: europea nella sua ispirazione, capace di accogliere le tante identità locali,
ma anche in grado di costruire una cornice in cui far dialogare le diverse culture.
Ai consueti tre pilastri dell’educazione (imparare a conoscere, imparare a fare, imparare ad
essere) la Commissione Delors indica di condensare parte delle spinte innovative nell’affer-
mazione di un quarto pilastro: imparare a vivere insieme, defi nita una “utopia necessaria”,
da fondarsi su una migliore “conoscenza degli altri popoli, della loro storia, delle tradizioni
e della loro spiritualità e a partire da ciò, creare una nuova mentalità che, grazie alla consa-
pevolezza dell’interdipendenza crescente e all’analisi condivisa dei rischi e delle sfi de per
il futuro, stimoli la realizzazione di progetti comuni e una gestione intelligente e pacifi ca
degli inevitabili confl itti”. Questa prospettiva talvolta avvertita come problema da risolvere
si può trasformare in una preziosa opporunità che raccolga, dia testimonianza e diffonda
in dimensioni a-temporali e a-spaziali le sue potenzialità. Sarà così possibile attraverso la
memoria e la consapevolezza di una rifl essione “a posteriori” costruire nuovi processi di
identità sociale.
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80
Una rifl essione sulla storia insegnata fra un docente supervisore
ed un’insegnante accogliente
Alessandra Russo, Supervisore SSIS dell’Indirizzo Linguistico Letterario, Università degli Studi
di Udine
Fiammetta Bonsignore, Docente accogliente del liceo scientifi co di Codroipo
“Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due
possibilità: l’andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il
mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di
salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte
delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno
l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti
imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si chiama desiderio.”
“...perseguire un obiettivo che cambia continuamente e che non è mai raggiunto è forse l’unico
rimedio all’abitudine, all’indifferenza, alla sazietà. È tipico della condizione umana ed è elogio della
fuga, non per indietreggiare ma per avanzare. È l’elogio dell’immaginazione mai attuata e mai
soddisfacente” (Henri Laborit “Elogio della fuga”)18.
Questa splendida immagine del biologo Laborit sulla valorizzazione positiva della
fuga intesa non come abbandono ed esitazione ma come possibilità di modifi care i propri
atteggiamenti e riconfi gurarli in modo produttivo, sembra a mio parere una buona pista
di lancio teorico-operativa per il docente di storia che ogni giorno si trova di fronte alla
diffi coltà di rendere attraente, accattivante e affascinante lo studio di tale disciplina per i
ragazzi. Occorre allora intraprendere percorsi rilevanti e coinvolgenti di apprendimento
supportati dalla motivazione da parte degli studenti nei confronti di questa, amata, odiata,
derisa, compianta ed esaltata storia.
Insegnare con la passione e con la ragione, fornire strumenti per una motivazione che
si costruisca autonomamente e interagisca nell’ambito del gruppo classe: come fare? Quali
strategie utilizzare? Nel corso della mia ormai lunga esperienza d’insegnamento (25 anni
nella scuola secondaria e specifi camente in un liceo scientifi co) e di costante attenzione e
sensibilità ai problemi della metodologia didattica e della formazione, il quesito si rinnova
e si ripresenta e può essere guardato da diverse prospettive che coinvolgono anche nuove
fi gure di riferimento. Una di tali fi gure è quella del docente accogliente di coloro che saranno
i futuri insegnanti, che svolgono attività di tirocinio e che frequentano le SSIS, cioè le scuole
di formazione all’insegnamento secondario superiore. Ciò mette subito in relazione e in con-
tatto il docente accogliente con un docente supervisore che è appunto preposto al controllo e
all’organizzazione delle attività dei suddetti studenti. È così possibile un confronto interattivo
dentro e fuori la scuola al tempo stesso; con gli occhi della formazione e le sue basi teorico-
operative e con gli occhi della pratica didattica e delle sue movenze applicative e verifi cabili.
18 Laborit H., Elogio della fuga, Mondadori, 1982
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Il tirocinante che entra in classe si costruisce un orizzonte di senso immediatamente in
atto da cui partire per ridefi nire, insieme al docente accogliente, le premesse epistemolo-
giche e teoriche indispensabili per poter calare in situazione didattica le proprie rifl essioni
e proposte.
Quest’attività peraltro viene vissuta dal docente accogliente come una ulteriore modalità
di feedback e di riorganizzazione dei propri stili didattici. Inoltre se l’attività di collabora-
zione è inserita in una situazione che prevede, per esempio, l’adesione a un laboratorio di
storia in collaborazione con l’università, essa diventa veramente signifi cativa e produttiva.
Questa è la mia esperienza. Con la collega supervisore Alessandra abbiamo costruito in
questi anni un percorso attivo laboratoriale all’interno di un gruppo che si è avvalso di vari
contributi e che ha consentito, nella lunga durata, di verifi care, modifi care atteggiamenti,
disposizioni, modalità operative soprattutto volte allo scopo di rendere sempre più signi-
fi cativa, stimolante e motivante la storia per i ragazzi, costruendo attorno a tale disciplina
una ridefi nizione interpretativa .
Sono emerse varie esigenze operative riguardo per esempio, all’utilizzazione del manuale
come strumento-guida; sono stati individuati alcuni punti nodali relativi alla costruzione
dei riferimenti epistemologici della disciplina, si sono fatte proposte di azione didattica che
hanno dato rilievo ai concetti di periodizzazione e di regione storica, utili strumenti per
costruire con gli allievi non solo un’interpretazione storica ma, altresì, un’attitudine al pen-
siero storico che li guidasse verso la lettura critica della realtà. In tale prospettiva abbiamo
imparato a vedere la classe come laboratorio in fi eri, work in progress del sapere in cui tutti,
docenti e studenti imparano a imparare e ad apprendere.
Dopo questa necessaria rifl essione, entriamo nel vivo del discorso, proponendo un
dialogo in forma di scrittura, una sorta di confronto parlato tra un docente supervisore e
un docente accogliente come già detto nell’introduzione, su alcuni nodi epistemologici e
metodologico-operativi dell’insegnare storia.
Tra le varie chances di cui un docente dispone per rendere signifi cativo l’apprendimento
stimolando la motivazione diretta e quella indiretta (analisi di fonti, biografi e, fi lm, pittura,
musica, web, cronaca, romanzi, mappe concettuali, parole-chiave ecc.) abbiamo scelto due
indicatori di riferimento su cui confrontarci in questa scrittura dialogata: la periodizzazione
e la regione storica, una struttura tematico-problematica a mio avviso molto forte per incen-
tivare un processo di apprendimento signifi cativo.
E su queste ci confrontiamo… come in “un fi lm parlato”.
1. Premessa
A volte noi docenti amanti costanti e fedeli della disciplina e inclini direi per natura
all’approfondimento cerchiamo di infondere agli allievi questa nostra “insania” dando per
certo il loro interesse. Ma spesso poi il feedback si rivela negativo perché quello che per noi
era interessante per loro non lo è per niente; percorsi identifi cati come attraenti si presentano
ai loro occhi diffi cili da comprendere e poco signifi cativi.
Che cosa occorre cambiare? La modalità trasmissiva del fatto storico, per esempio,
secondo la quale l’apprendimento della storia è assicurato quando il sapere passa dall’inse-
gnante al discente. Bisognerebbe adottare una modalità “aperta” di insegnamento, affi nché
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il fatto storico venga mostrato nel suo connotato di realtà che si ricostruisce con l’aiuto dei
documenti, come un evento che diviene oggetto di analisi storica.
Anche la modalità con cui narrare il fatto storico assume un’importanza decisiva per
l’effi cacia dell’insegnamento della storia: un’opera di semplifi cazione dei nodi concettuali
complessi, per esempio, che non comporti tuttavia la riduzione dei contenuti o la mancanza
di rigore interpretativo, può facilitare nello studente la defi nizione di chiari scenari di riferi-
mento in cui inserire gli eventi storici e strutturare le conoscenze, per far sì che gradualmente
esse diventino competenze.
2. Fiammetta
Nella mia esperienza ho notato per esempio, il forte richiamo del cinema come fonte
per introdurre o concludere un argomento e attivare la motivazione. La curiosità per il testo
scenico, il coinvolgimento di attenzione e partecipazione crea nei ragazzi un’aspettativa a
mio avviso molto utile per apprendere anche in modo non immediatamente consapevole.
Trovo molto effi cace anche partire da un testo breve di storiografi a per affrontare un
argomento dalla periferia al centro, rintracciando elementi che poi confl uiscono e aprono
la prospettiva su un problema e una questione da affrontare con il supporto di varie docu-
mentazioni. Gli studenti sono a volte talmente affascinati da questioni che rimandano a
quadri di cultura e di sapere tanto che non si rendono conto di lavorare già con gli strumenti
dello storico.
L’attività di laboratorio in classe mi ha consentito di operare spesso delle scelte insieme
ai ragazzi
(introdurre un periodo storico attraverso l’approfondimento di una biografi a, il richiamo
ad un romanzo, l’analisi di un fatto di cronaca che riporta alla ricostruzione delle coordinate
spazio temporali del passato).
Da un sondaggio fatto nelle classi quinte di un liceo scientifi co (la scelta non è stata
casuale giacché ha privilegiato l’aspetto del resoconto fi nale e del bilancio di studi), dopo
aver chiesto agli studenti quale fosse il loro approccio con la storia dopo cinque anni di scuola
superiore, le risposte sono state abbastanza omogenee nella loro variegatura: è emersa in
primo luogo l’istanza di utilizzare il manuale come strumento, senza però trovare in esso il
ricalco della spiegazione dell’insegnante.
In secondo luogo si è riscontrato che la curiosità è sempre più orientata verso fatti del
presente che riconducono al passato per renderli più signifi cativi e comprensibili, fermo
restando l’interesse a collegamenti interdisciplinari e ad una storia diversa che inserisca anche
aspetti di mentalità, culture subalterne, modi di vita, aspetti antropologici e sociologici etc.
In tal senso trovo molto effi cace per iniziare l’attività didattica fornire le coordinate sul
concetto di periodizzazione.
Periodizzazione come categoria, operatore storiografi co da cui partire per identifi care
alcuni indicatori portanti che consentano di muoversi a ritroso nel tempo, riconfi gurando
eventi all’interno di orizzonti signifi cativi e anche di riepilogare fatti e interpretazioni entro
una cornice di riferimento. La periodizzazione consente di arricchire, attraverso agganci
e richiami peraltro pluridisciplinari, il panorama e l’angolo visuale prospettico di un certo
tempo, di un certo spazio, di relazioni politiche, sociali, culturali, ambientali.
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Ad esempio, a mio avviso la periodizzazione è fondamentale per un inquadramento
opportunamente calibrato della disciplina storica che tenga conto sia delle motivazioni
dirette (interessi degli allievi, modi di essere che si specifi cano e si rispecchiano nel contesto
di approfondimento) sia delle motivazioni indirette (le fi nalità della valutazione anche in
termini di autovalutazione)19.
Partire da un testo che propone periodizzazioni di lungo periodo e offre una prospettiva
da cui guardare per orientarsi, può essere molto utile per ricondurre la classe ad una consape-
volezza del rapporto indissolubile tra passato e presente, di fatto e di diritto, alla collocazione
in ambiti geostorici che mutano nel tempo e mutando riaffermano la loro diversità nella
continuità. L’accordo iniziale evidentemente consiste nell’assunzione di un punto di vista
che accompagna il docente nel suo itinerario formativo, informativo e costruttivo.
La periodizzazione si pone come indicatore epistemico e categoria concettuale ormai
indispensabile per aggirarsi consapevolmente nell’intricato labirinto della memoria storica
e cogliere il fondamento delle questioni di là dalle ombre.
Nell’esperienza didattica ho notato che il concetto interpretativo di periodizzazione
suscita interesse negli allievi perché stimola a organizzare autonomamente i contenuti entro
uno spazio e un tempo di riferimento; tuttavia, obtorto collo, li obbliga a una spiegazione
della loro ipotesi interpretativa della coordinata temporale utilizzata, attivando in loro la
ricerca delle prove di quanto affermato. Tale operazione consente di comprendere come
per organizzare un’argomentazione storica ci si debba avvalere delle fonti e dei documenti
in modo coerente. La capacità di periodizzare permette all’allievo di scoprire l’interazione
non sempre immediata tra storiografi a nella sua concettualizzazione teorica (per esempio
la storiografi a marxista) e l’enucleazione di una tesi storiografi ca ben precisa (per esempio
l’ormai classica defi nizione di secolo breve per il ’900 di E. Hobsbawm). È possibile quindi
realizzare in classe, utilizzando il più possibile, secondo il mio punto di vista, la strategia
didattica del cooperative learning, una costellazione di apprendimenti signifi cativi che ren-
dono l’insieme degli allievi una vivace e attiva comunità ermenutica capace, partendo da
date, eventi, ma anche luoghi o personaggi, di dotare di senso il contesto e il testo studiato
e allargare l’orizzonte di signifi catività del percorso di acquisizione delle conoscenze e delle
competenze della storia stessa.
Utilizzare la periodizzazione in chiave didattica mi consente di avvalermi di varie solle-
citazioni, non necessariamente classiche. Propongo un’esemplifi cazione di quanto da me
sostenuto a livello metodologico teorico.
Partire dal presente, i ragazzi chiedono questo. Una sollecitazione anche occasionale
quale potrebbe essere la discussione sull’opportunità o meno dell’ingresso della Turchia
nella Comunità europea, può servire da pista di lancio per un discorso di avviamento allo
studio signifi cativo di alcuni nodi fondanti della storia e della storiografi a, tra cui appunto
il mondo mediorientale e il ruolo privilegiato e sicuramente decisivo dell’impero d’oriente.
Sollecitazioni più diverse accompagnano questo percorso: il premio Nobel della letteratura
viene dato nel 2006 a Orhan Pamuk che con i suoi romanzi ci dà un affresco della Istanbul
19 Petter G., Ragionare e narrare, Aspetti psicologici dell’insegnamento della storia, La Nuova Italia 2002.
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che è stata Bisanzio e Costantinopoli20; fi lm come La sposa turca o Un tocco di zenzero o ancora
Crossing the bridge pongono la questione dei retaggi di culture che si sono sedimentate e
sovrapposte senza perdere la loro peculiarità : anche nell’ambito degli spazi cittadini della
quotidianità la Turchia è più presente che mai con gli stand di kebab e cibi tipici. dai profumi
orientaleggianti. E ancora il fi lm Ararat di Atom Egoyan o La masseria delle allodole dei Fratelli
Taviani (tratto dall’omonimo libro di Antonia Arslan) pongono il problema della questione
armena, punctum dolens dell’impero turco, di struggente attualità.
La riflessione incuriosisce, prende il via. Definiamo come criterio periodizzante “la
Questione d’Oriente” e indichiamo alcuni parametri di riferimento: spazi, tempi, nomi,
personaggi costumi.
Si possono presentare date chiave come il 1453 in cui i Turchi invadono Costantinopoli
che diventerà capitale ottomana con il nome di Istanbul; uno sguardo attento sull’area turca
agli inizi del ’900 consente di rifl ettere sulle rivoluzioni dal basso e sui rapporti di confi ne
come questioni identitarie; tale percorso suscita interesse e motiva anche alla ricerca di
documenti, fonti indizi all’interno del complesso crogiolo delle vicende e degli eventi21.
La periodizzazione si presenta quindi immediatamente diversa dalla cronologia anche
se ad essa complementare e la sorregge con preziose indicazioni critiche e interpretative.
E quindi per concludere, se all’inizio qualche diffi coltà permane e si pensa di lasciar
perdere, occorre ripensare al concetto di fuga come alternativa non disarmante ma nuova
svolta produttiva che sorregge le motivazioni ad apprendere e a insegnare e a mantenere
integra la fedeltà alla propria professionalità anche se fosse pura fedeltà a un fantasma.
3. Alessandra
Quanto scrive H. Laborit nell’Elogio della fuga richiama alla mente i versi del Battello
ebbro di A. Rimbaud e forse non a caso accosto volentieri all’affermazione di un biologo
le parole di un poeta per introdurre, con la tua scelta dell’idea di fuga, la mia rifl essione
sull’insegnamento della storia.
Mentre discendevo i Fiumi impassibili,
Non mi sentii più guidato dai bardotti:
Pellirossa urlanti li avevano bersagliati
Inchiodandoli nudi ai pali variopinti.
In quel testo poetico Rimbaud descrive un battello che, trascinato da forti cordami lungo
il canale, improvvisamente, per lo scioglimento dalle funi, sfugge velocemente verso il mare
aperto.
Ancora una volta questo nostro dialogo sulla disciplina ci porta lontano, quasi a cercare
una metafora effi cace che rappresenti con chiarezza la nostra idea di storia insegnata. Troppo
evidente il riferimento ai cordami che trattengono le bateau nel suo percorso d’acqua come
20 Pamuk O., Neve, Torino, Einaudi 2004.
21 Zurcher E. Storia della Turchia Roma, Donzelli 2007.
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fosse l’unico solco tracciato su cui la storia procede, trascinata con il suo carico … ma poi
quel mare aperto dove il battello potrebbe fracassarsi nella sua via di fuga, come quando la
storia insegnata si allontana dalle sue consuetudini di metodo e di sostanza e cerca nuovi
modi per procedere.
Spesso abbiamo parlato di questo, spesso abbiamo cercato la mediazione possibile fra le
indicazioni degli esperti e le nostre puntate in mare aperto, lì dove ci portava il bisogno di
mostrare ai nostri allievi o giovani colleghi in formazione come la storia insegnata racconti
sempre le vicende degli uomini e delle donne, i loro sentimenti, le gioie e i drammi 22.
Così, durante una rifl essione dotta su come insegnare il Novecento, abbiamo ripensato
a un libro letto, a un’immagine vista, quella giusta per partire nel nostro percorso di analisi
storica.
In queste brevi rifl essioni suggerite dalla lettura della tua premessa, si concentra il focus
della questione aperta: come innovare l’insegnamento della storia con i nostri giovani colleghi
in formazione e come motivare i nostri allievi allo studio della disciplina23.
Abbiamo messo sotto accusa il manuale di storia per poi dover ammettere che esso
costituisce lo strumento irrinunciabile del nostro lavoro. Tuttavia è stato importante sotto-
porre il testo di storia ad una verifi ca delle sue funzioni e delle caratteristiche. Per esempio
abbiamo ricercato nelle sue pagine la coerenza della collocazione delle fonti iconografi che
rispetto al paragrafo esplicativo del fenomeno descritto dall’immagine, come se fosse un
indizio importante della sua congruità; ma l’operazione è servita a ben altro, rispetto allo
scopo di farci esprimere un giudizio sul testo. In realtà ci ha consentito di defi nire un nostro
modello teorico di manuale ideale, individuandone alcuni connotati indispensabili e ci ha
mostrato come fosse importante che l’analisi fosse condivisa dall’intero gruppo di lavoro,
in cui i docenti “esperti”– supervisori e accoglienti – si confrontano e condividono i loro
convincimenti con i giovani colleghi in formazione.
Certamente il raccordo fra università e scuola e, di rifl esso, fra il supervisore e l’accogliente
trova, nella prospettiva della didattica della storia, un terreno particolarmente fecondo.
La costruzione dei percorsi didattici di storia diviene, infatti, l’occasione per assumere
un ruolo attivo nei confronti del sapere storico e costruirne quadri interpretativi e scenari
complessi. In questa operazione elaborata il supervisore e l’accogliente guidano il corsista
verso l’acquisizione della capacità di selezionare il fatto storico e di ricostruirlo secondo
una prospettiva d’indagine che si fondi su una o più ipotesi interpretative, convalidate dal
riferimento alle fonti e ai documenti.
Per queste operazioni è stato importante realizzare le attività del laboratorio di storia,
defi nire un tema di studio, utilizzare fonti nuove della storia come la musica di Verdi per
spiegare il Risorgimento24.
22 Bloch M., Apologia della Storia, Torino Giulio Einaudi1998
23 Angelozzi G. e Casanova C., La storia a scuola, Roma, Carocci, 2003.
24 Bernardi P., Insegnare storia, UTET, Torino 2006
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Sulla base di questa constatazione riprendo la questione sulla periodizzazione. Essa è la
categoria interpretativa del tempo della storia, l’elemento chiave per comporre le relazioni
fra i fatti storici, in quadri di riferimento dilatati o contratti. L’ipotesi periodizzante funge da
organizzatore cognitivo degli eventi perché li lega secondo le regole della concatenazione
logica e li propone per ricostruire una possibile realtà storica o, come tu dici, per dotare di
senso il contesto e anche il fatto singolo rispetto al contesto. Attraverso l’operazione perio-
dizzante gli allievi comprendono che non è importante conoscere la cronologia degli eventi
ma l’organizzazione degli stessi secondo possibili ipotesi periodizzanti.
L’esempio della Turchia da te riferito per indicare un eventuale iter didattico che parta
dalla lettura del presente si può utilizzare effi cacemente per mostrare come un concetto di
analisi storiografi ca possa trovare applicazione in quel contesto.
Sto pensando al legame fra il concetto di tempo e quello di spazio nel racconto delle
epoche passate.
Lo storico si muove secondo un processo di trasfi gurazione dello spazio in cui la strut-
tura naturale, costituita dagli elementi geografi ci o fi sici – montagne, pianure, deserti, corsi
d’acqua – non sono oggetto di interesse per lo storico quanto lo sono le strutture artifi ciali,
quelle prodotte dall’attività umana, come le città, i prodotti della tecnica. In realtà, come
afferma J. Topolski25, indipendentemente da queste due strutture spaziali naturali e artifi ciali,
è lo storico che crea le strutture soggettive, o meglio le strutture narrative storiche attraverso
le quali egli interpreta il passato. In tale operazione lo storico cambia oppure arricchisce il
contenuto di una spazio umano che utilizza per il proprio racconto. In questo senso si parla
di regione storica come di una nozione che lega in un’unità teorica un dato territorio abitato
da una data popolazione, caratterizzatasi per un passato comune.
In tale prospettiva la Turchia, di cui analizziamo la storia, può costituire l’oggetto di una
trasfi gurazione dello spazio per divenire una regione storica assai defi nita, capace di offrire
una prospettiva su cui ragionare sugli eventi che delimitarono la Questione d’Oriente.
Dopo Vienna l’impero ottomano si estendeva su una vastissima area geografi ca: in Europa
la penisola balcanica a sud della linea Danubio-Sava; in Asia, sull’Anatolia, sull’Armenia, la
Mesopotamia, la Siria, la Palestina, l’Arabia e in Africa sul litorale mediterraneo dall’Egitto
all’Algeria. Se ne deduce che l’impero ottomano occupava una posizione strategica per il
controllo del Mediterraneo e delle vie di comunicazione con il Mar Rosso, il Golfo Persico
e la Russia meridionale.
Appare evidente il carattere plurinazionale e plurireligioso dell’impero ed in particolare la
perifericità rispetto al cuore dello sviluppo industriale europeo dell’area occupata dall’impero
turco suggerisce l’ampiezza dei problemi che poterono sorgere dal suo sviluppo e dal suo
sfruttamento26. La crisi di disgregazione che colpirà l’impero ottomano nel XIX e XX secolo si
proietta e si connette, attraverso questi elementi, con il mondo circostante. Da questo punto
di vista l’impero può essere analizzato come specifi ca regione storica, in cui l’interpretazione
25 Topolski J. Narrare la storia, Bruno Mondadori, Milano 1997.
26 Ardia D., Questione d’Oriente in Politica internazionale, Il mondo contemporaneo, Enciclopedia di storia e scienze
sociali diretta da N. Tranfaglia, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1979.
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degli spazi riunifi cati in un unico contesto possa consentire un confronto dell’intera area con
l’Occidente europeo. In particolare le trasformazioni nel campo economico, sia nel settore
agricolo che industriale, introdotte nell’area turca nel corso dell’Ottocento risulteranno
tributarie e subalterne agli interessi occidentali e si rifl etteranno nella caratterizzazione
dell’impero ottomano come una compagine statale centralizzata, incapace di rispondere alle
sfi de che il modello di sviluppo europeo andava allargando nel resto del mondo.
Credo che ci siano tanti modi per affrontare la Questione d’Oriente e dibattere sull’op-
portunità della Turchia di oggi di entrare o no in Europa ma forse, attraverso il concetto
della regione storica si può riconoscere la sua appartenenza al grande mar Mediterraneo
che, come spiega Braudel, è una buona occasione per presentare un altro modo di accostarsi alla
storia. Il mare infatti, quale lo conosciamo e lo amiamo. Offre sul proprio passato la più sbalorditiva
e illuminante delle testimonianze27.
In questo mare, regione storica riconosciuta vorrei, Fiammetta, che il veliero-battello con
cui abbiamo trasfi gurato la nostra idea di storia imparasse a tenere la rotta. Fuor di metafora
vorrei che avessimo il coraggio di insegnare questa disciplina speciale da una prospettiva
aperta, attraverso sfondi ampi di veduta, senza confi ni ideologici e preclusioni di sorta.
27 Braudel F., Il Mediterraneo, Bompiani, Milano 1987.
Bibliografi a
Angelozzi G. e Casanova C., La storia a scuola,
Carocci, Roma, 2003.
Ardia D., Questione d’Oriente, in Politica internazionale,
Il mondo contemporaneo, Enciclopedia di storia e
scienze sociali diretta da N. Tranfaglia, La Nuova
Italia Editrice, Firenze, 1979.
Bernardi P., Insegnare storia, UTET, Torino, 2006.
Bloch M., Apologia della Storia, Giulio Einaudi, Torino,
1998
Braudel F., Il Mediterraneo, Bompiani, Milano, 1987.
Pamuk O., Neve, Einaudi, Torino 2004.
Panciera W. Zannini A., Didattica della storia Manuale
per la formazione degli insegnanti, Le Monnier
Università, Firenze, 2006.
Petter G., Ragionare e narrare, Aspetti psicologici
dell’insegnamento della storia, La Nuova Italia,
Milano, 2002.
Topolski J., Narrare la storia, Bruno Mondatori,
Milano, 1997.
Zurcher E., Storia della Turchia, Donzelli, Roma, 2007.
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Ragionare in rete
Pratiche fi losofi che e tecnologie della comunicazione a scuola
Giorgio Giacometti, Supervisore SSIS dell’Indirizzo Linguistico Letterario,
Università degli Studi di Udine
1. Introduzione
In una fase storico-culturale, caratterizzata da un lato da un eccesso (overload) di infor-
mazioni cui fa da contraltare una progressiva erosione degli spazi di signifi catività (valori,
senso, orientamento esistenziale), cresce non a caso la domanda di “fi losofi a”, non tanto
nella tradizionale forma di sapere storico, quanto in quella assunta dalle cosiddette pratiche
fi losofi che, che sempre più innervano il mondo della didattica, e non solo della fi losofi a
(pensiamo solo all’esperienza della Philosophy for Children, praticabile e, di fatto, praticata
in ordini di scuola dove la fi losofi a, come disciplina, è assente).
In questa prospettiva dal connubio tra l’esercizio dialogico e comunitario del ragionamento,
in cui consistono essenzialmente queste pratiche, e il ricorso oculato alle nuove tecnologie
della comunicazione possono scaturire innovative esperienze di insegnamento.
La fi nalità di queste esperienze non è solo quella, eminentemente didattica, di promuo-
vere negli allievi competenze di alto livello, personalizzando il dialogo educativo, ma anche
quella di rimotivare gli studenti, di orientarli, di restituire senso ai loro apprendimenti, ma
anche, nei casi migliori, alla loro vita.
D’altra parte esperienze di questo tipo possono costituire validi modelli in sede di forma-
zione dei docenti, per favorire la crescita di corrispondenti nuove fondamentali competenze
e sensibilità nei futuri insegnanti.
Più in generale il fecondo ingresso nel campo didattico, in punta di piedi, delle pratiche
fi losofi che, può essere descritto, come vedremo, almeno in certi casi, come il risultato di un
processo circolare ed ermeneutico, giocato tra Università e Scuola e centrato sull’esperienza
del supervisore al tirocinio quale “abitatore” di entrambi i mondi.
In questo contributo, dopo una breve premessa teorica, vorrei esemplifi care la prospettiva
qui delineata accennando a quattro progetti tra loro interconnessi:
• il progetto pluriennale e-philosophy, le nuove tecnologie al servizio dell’innovazione didattica,
realizzato in un liceo scientifi co-tecnologico, a partire dallo stimolo costituito dal Master di
Innovazione Didattica e Orientamento (2002-2004) offerto gratuitamente dall’Università di
Udine ai supervisori al tirocinio della Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento nella
Scuola Secondaria (S. S. I. S.) oltre che agli insegnanti accoglienti delle scuole;
• il progetto Forme della fi losofi a, espansione del precedente ma caratterizzato in senso
fortemente orientativo, realizzato in collaborazione con l’Università di Udine, nell’anno
scolastico 2006-2007, mettendo in rete tre licei della provincia di Udine;
• il progetto pluriennale Ragionare in rete realizzato nell’ambito della S.S.I.S di Udine;
• il progetto Sportello di Consulenza Filosofi ca per l’Orientamento, derivato da un project work
steso nell’ambito del suddetto Master e sperimentato, in forma integrale o parziale, presso
alcuni istituti superiori italiani.
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Il quadro culturale all’interno del quale le concrete esperienze sopra richiamate sono state
realizzate, come anticipato, è quello di una diffusa crisi di senso, di riferimenti e di valori che
va ben oltre le mura delle scuole e investe l’intera società della nostra epoca.
La cronaca (per tacere della “rete”) ci stupirebbe ogni giorno con la notizia delle gesta
sempre più incredibili di cui si rendono protagonisti gli allievi delle nostre scuole, quando
non gli stessi docenti, se lo stesso stupore, in questi casi, non diventasse, sempre più spesso,
niente di più che un vacuo cliché.
La scuola, tuttavia, non fa altro che rispecchiare la “crisi di senso” che investe da tempo
l’intera società, dove improbabili “imprese” appaiono sempre più frequentemente giustifi cate
da “futili motivi”, forse dal mero desiderio di sfuggire alla noia.
Sempre meno le tradizionali agenzie di produzione del “senso” appaiono all’altezza della
loro missione (famiglia, chiese, istituzioni, movimenti politici). Vano è rivolgersi anche alle
strutture a cui la nostra società tenta di delegare la cura del “disagio”, come se non ne fosse
essa stessa, spesso, l’origine: mi riferisco alle diverse agenzie “psicoterapeutiche”. Esse, per
lo più debitrici di un sapere psicologico di tipo “tecnico”, a sua volta prodotto e specchio
della cultura contemporanea, per la loro natura, contraddistinta per lo più dalla funzione di
adattare l’individuo al contesto ambientale in cui egli è costretto a muoversi, possono forse
arginare le emergenze, ma non hanno certamente il compito di restituire alla vita il suo senso
perduto, né lo pretendono.
Ora, tradizionalmente, quando ne va del senso delle cose, è alla fi losofi a che ci si rivolge,
se non per averne una risposta (che avrebbe probabilmente carattere religioso o ideologico),
almeno per riuscire a formulare in modo chiaro e appropriato la domanda e per intrapren-
dere un autentico cammino di “orientamento” che abbia di mira la “conoscenza di sé” e del
proprio “mondo”.
Ma la fi losofi a a cui rivolgersi, che può certamente essere coadiuvata da altre forme di
sapere dell’uomo intorno all’uomo (letteratura, arte), non può certo essere quella mediata in
forma meramente storica, dottrinaria, insomma una fi losofi a “scolastica”, nel doppio senso
del termine, ma deve essere qualcosa di “praticato”.
Curiosamente, ma forse non troppo, la rinascita dell’interesse per forme di “pratica fi lo-
sofi ca”, ampiamente giustifi cato nel quadro di crisi così delineato, è avvenuta al di fuori del
mondo della scuola vera e propria e, specialmente, della scuola secondaria, avendo riguardato,
inizialmente, i due poli del mondo degli adulti e di quello dei bambini.
Tralasciando in questa sede l’affascinante mondo della Philosophy for Children (argomento
di un altro contributo di questo volume), è utile spiegare brevemente in che cosa consistono le
pratiche fi losofi che rivolte agli adulti, all’interno delle quali i progetti concretamente realizzati
sopra elencati possono essere, almeno parzialmente, inquadrati.
L’origine di queste pratiche può essere fatta risalire all’esperienza della Philosophische
Praxis, nata in Germania negli anni Ottanta del secolo scorso ad opera soprattutto di Gerd
Achenbach. Diffusasi presto in Austria, Olanda, Svizzera e negli altri Paesi europei, tra gli anni
Ottanta e Novanta, quest’esperienza, grazie soprattutto all’opera di Ran Lahav, ha interagito
fecondamente con esperienze sorte nel frattempo autonomamente in Israele e negli Stati
Uniti. Oggi esiste un’associazione internazionale di pratica fi losofi ca a cui è affi liata anche
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l’Associazione Italiana per la Consulenza Filosofi ca Phronesis28.
La pratica fi losofi ca è ispirata alla tradizione della fi losofi a antica, come esercizio della
“cura di sé”. Essa presuppone una critica tanto della forma accademica e “frontale” assunta
dal pensiero fi losofi co moderno e contemporaneo (la fi losofi a dell’università e delle scuole),
quanto del dominante “paradigma terapeutico” in base al quale si tende ad offrire soluzioni
al disagio esistenziale “medicalizzandolo” piuttosto che interpellandolo nel suo valore di
testimonianza di una domanda di senso. Facendosi portatrice di una concezione che non
assume i problemi delle persone come sintomi di malattie, ma piuttosto come spie di un
desiderio più profondo di conoscenza di sé, la pratica della fi losofi a ne fa l’occasione per un
libero e responsabile esercizio di ricerca e di orientamento.
L’indagine muove dal vissuto dei soggetti coinvolti, dai loro problemi e confl itti, ma anche
dalla loro intuizioni e dalle loro speranze, dai loro progetti e dalle loro teorie. Soprattutto
attraverso l’analisi attenta e rispettosa dei signifi cati delle parole e dei discorsi con cui i
partecipanti cercano di esprimere la propria visione del mondo, l’esercizio fi losofi co tende a
ricercarne presupposti e implicazioni, a sviscerarne eventuali nascoste aporie, a metterne
in luce il non detto, a valorizzarne la ricchezza semantica ed esistenziale, attraverso un pro-
cedimento rigoroso di messa in questione critica e autocritica, in cui la stessa pratica della
fi losofi a, al limite, può essere messa in discussione.
Lo scopo non è quello di risolvere problemi, ma quello di “fare fi losofi a”. In questa libera
attività ci si prende tutto il tempo di cui si ha bisogno (scholé) senza l’ansia di dover perse-
guire questo o quell’obiettivo per dovervi misurare la propria effi cienza. E, tuttavia, per la
naturale serendipity che contraddistingue questo modo di procedere, spesso si trova quella
soluzione a cui non si sarebbe mai pensato o, almeno, si fi nisce per guardare alle cose che
prima ci apparivano problematiche in una luce del tutto diversa.
2. Il Progetto e-philosophy e le nuove tecnologie
Il progetto e-philosophy, le nuove tecnologie al servizio dell’innovazione didattica, inziato, nel
primo quadrimestre dell’a.s. 2004-05, in tre classi quarte dell’indirizzo di liceo scientifi co-
tecnologico dell’ITI “Malignani” di Udine, e proseguito con altre classi negli anni successivi,
ha inteso ibridare quest’idea di pratica fi losofi ca, che, come si è accennato, anche in Italia,
sta muovendo i primi passi, con il ricorso alle nuove tecnologie della comunicazione.
Il progetto era stato originariamente concepito e attuato nell’ambito del Master di
Innovazione Didattica e Orientamento (2002-2004) offerto gratuitamente dall’Università
di Udine ai supervisori al tirocinio della S.S.I.S. (che – va ricordato – sono anche docenti di
scuola superiore con semiesonero), oltre che ai docenti accoglienti delle scuole.
Se da un lato il rafforzamento delle competenze didattiche dei supervisori, così come
dei docenti accoglienti, mediante il Master, ha rappresentato un valido contributo dell’Uni-
versità al più generale miglioramente della qualità della didattica praticata dalle scuole nel
territorio, d’altro lato, circolarmente, la capitalizzazione delle esperienze maturate da parte
28 Per un panorama complessivo cfr. N. Pollastri, Il pensiero e la vita. Guida alla consulenza e alle pratiche filo-sofiche, Milano, Apogeo, 2004.
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dei supervisori in ambito S.S.I.S. ha permesso, almeno in taluni di casi, come in quello del
progetto in questione, di rafforzare i processi di formazione dei nuovi docenti.
Ma in cosa è consistito esattamente il progetto?29
Agli allievi delle classi coinvolte, contestualmente alla normale attività di insegnamento
della fi losofi a (consistente principalmente nella lettura e nella discussione guidata di testi
di autori di rilevanza fi losofi ca secondo un procedimento di tipo ermeneutico, suggerito dalla
moderna didattica della discipina), si è chiesto di “postare” periodicamente un certo numero
di interventi in un web forum e, successivamente, nel proprio blog personale. Gli interventi
dovevano essere fi nalizzati a discutere con il docente e i compagni non solo e non tanto i
problemi fi losofi ci via via incontrati durante le letture, ma anche e soprattutto quelli sorti
spontaneamente nella mente degli allievi.
Il ricorso ponderato alle nuove tecnologie della comunicazione, accelerando enormemente
i tempi dell’interazione allievo-docente e allievo-allievo, ha favorito la personalizzazione
del dialogo educativo, consentendo, in generale, di sommare i vantaggi dell’oralità (che,
nella prospettiva classica, è propria dell’autentica fi losofi a come libero esercizio di dialogo),
a quelli della scrittura: questa, consentendo di documentare in tempo reale quanto discusso,
ha permesso poi, ricorsivamente, la rifl essione sulle produzioni realizzate, a fi ni sia didattici
che di ricerca.
La vera e propria ricerca-azione in cui il progetto si è tradotto ha consentito di rilevare,
anche sotto il profi lo strettamente didattico, come il ricorso a una forma di blended e-learning¸
centrato sull’uso di tools telematici quali il web forum e il blog, possa costituire effettivamente
un “valore aggiunto” sia nella didattica della fi losofi a, sia a livello transdisciplinare.
Si tenga presente che, parallelamente al diffondersi, nel mondo degli adulti, delle pratiche
fi losofi che di cui s’è detto, anche nella più avvertita didattica disciplinare della fi losofi a si sta
assistendo al passaggio – pur tra incertezze e resistenze – dalla presentazione meramente
manualistica della semplice storia della fi losofi a – attraverso le forme intermedie della fi lo-
sofi a per problemi30 e del metodo ermeneutico31 – verso un vero e proprio esercizio maieutico
(o socratico) da realizzare con gli allievi (dall’insegnare la storia della fi losofi a all’insegnare
a fi losofare32).
Si noti che tale esercizio, come dimostra la Philosophy for Children33, può ben essere pro-
posto da qualsiasi docente, anche non di fi losofi a, appartenente a qualsiasi ordine e grado di
29 Per una presentazione dettagliata del progetto che ne dovrebbe consentire anche, mutatis mutandis, la riproducibilità in altro contesto cfr. http://www.platon.it/Progetti/ephilosophy/ephilosophy.htm. Nell’ambiente on line si possono trovare i prodotti degli allievi di diverse annualità, la giustificazione teorica dell’esperienza con tutti i riferimenti bibliografici del caso e l’analisi dei risultati della ricerca-azione che ha accompagnato e guidato la realizzazione del progetto.
30 Cfr. D. Antiseri, Il mestiere del filosofo. Didattica della filosofia, Armando, Roma 1977.
31 Cfr. C. Bonelli, F. Piazzi, E. Rosso, Fare e insegnare filosofia, Bologna 2002.
32 Cfr. F. Bianco, Insegnamento della filosofia: metodo ‘storico’ e metodo ‘zetetico’, “Paradigmi”, 1990, pp. 293-97.
33 Cfr. M. Santi, Ragionare con il discorso. Il pensiero argomentativo nelle discussioni in classe, Firenze, La Nuova Italia, 1995.
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scuola, qualora egli voglia conseguire fondamentali mete educative. Depositario non della
verità ma del dubbio, il docente, in quest’ottica, aiuta gli allievi, “ostetricamente”, a “partorire
la verità”, cioè a “chiarirsi le idee”, a mettere “a coerenza” le loro ipotesi, purifi candole dei
rami secchi, depurandole delle eventuali aporie; a un secondo livello, egli forma negli allievi
stessi questa competenza maieutica affi nché essi la esercitino sugli altri (esercizio critico) e,
soprattutto, su se stessi (esercizio autocritico).
È abbastanza trasparente il completo cambio di orizzonte che tale mutamento di pro-
spettiva comporta non solo in termini di competenze in uscita degli allievi, di connessioni
inter- e multidisciplinari attivate e attivabili, di “obiettivi educativi” perseguibili, ma anche
in termini di orientamento esistenziale, facendo svolgere alla fi losofi a la funzione di “meta-
disciplina” nei confronti degli altri saperi34.
Altrettanto evidente il benefi cio che qualunque docente può ricevere, in sede di forma-
zione, dall’immersione in questa come in altre analoghe esperienze.
Va detto che la prima attuazione del progetto aveva consentito di rilevarne alcuni limiti35:
senz’altro si era raggiunto lo scopo di rimotivare gli allievi allo studio dei “contenuti” cultu-
rali e di esercitarli “dialetticamente”, ma più in senso retorico che autenticamente fi losofi co
(pur con pregevoli eccezioni). In particolare gli allievi, pur avendo dimostrato di apprezzare
molto l’approccio per problemi, rispetto a quello storico, tendevano ancora a confondere la
fi losofi a come ricerca della verità e del “senso” delle cose con l’arte della difesa meramente
retorica della propria tesi.
Nelle successive sperimentazioni l’incremento dell’uso dell’e-mail e l’assegnazione di un
ruolo di mediazione sempre più signifi cativo al docente (sorta di vero e proprio “consulente
fi losofi co” ad hoc), sollecitando delicatamente l’intero vissuto personale di ciascun allievo,
ha fatto sì che almeno alcuni allievi iniziassero una vera e propria problematizzazione dei
propri assunti, ossia un genuino “esercizio autocritico” e di “conoscenza di sé”, in funzione
auto-orientativa.
Certo, rispetto a una pratica fi losofi ca “pura”, il progetto si distingue per il contesto
scolastico in cui è realizzato, che non può che essere caratterizzato da quella che possiamo
defi nire una captive audience: gli allievi non sono mai del tutto liberi di aderire o non aderire
alla pratica (come sarebbe richiesto da una “vera” pratica fi losofi ca), anche se essa è sempre
presentata come facoltativa. Sebbene, infatti, la motivazione scaturente dal desiderio di
esplicitare la propria visione delle cose appaia sempre dominante (come risulta anche dai
questionari somministrati agli allievi), non si può escludere del tutto che su certi studenti
eserciti una qualche infl uenza il desiderio di “fare una buona impressione” sul docente, per
quanto questi si astenga programmaticamente dal dare valutazione diretta dei loro prodotti
testuali.
34 Cfr. F. Cambi, Saperi e competenze, Laterza, Roma-Bari 2004, pp.43-44.
35 Cfr. http://www.platon.it/Progetti/ephilosophy/dati.htm.
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3. Il progetto forme della fi losofi a
Il progetto Forme della fi losofi a, realizzato nell’anno scolastico 2006-2007 in collaborazione
con la S. S. I. S. (referente il Direttore profesoressa Marisa Michelini) e con corso di laurea
in “Filosofi a e teoria delle forme” dell’Università degli Studi di Udine (referenti i professori
Brunello Lotti e Andrea Tabarroni) e aperto a docenti di fi losofi a di alcune scuole superiori
della provincia di Udine (oltre al “Malignani” i licei “Percoto” di Udine – referente professo-
ressa Patrizia Giachini – e “Diacono” di Cividale del Friuli – referente professor Gian Paolo
Terravecchia)36, ha rappresentato un’“espansione” del precedente, caratterizzata da una più
forte ed esplicita connotazione orientativa sia in senso formativo-disciplinare (nella prospet-
tiva di un’eventuale prosecuzione degli studi fi losofi ci a livello universitario), sia in senso
educativo-esistenziale (mirante a una più approfondita conoscenza di sé da parte degli allievi).
L’orientamento formativo-disciplinare è stato reso possibile dalla peculiare attinenza
della metodologia di ricerca e di discussione attivata dal progetto con il lavoro fi losofi co
realizzato in sede universitaria e scientifi ca. Tale circostanza ha fatto sì che ciascun allievo,
in sede di rifl essione conclusiva sull’esperienza, fosse messo in grado di valutare il proprio
interesse e la propria predisposizione al proseguimento degli studi in campo fi losofi co o in
ambiti a questo affi ni.
Per quanto riguarda l’orientamento educativo-esistenziale – che qui più ci interessa – si
deve considerare il fatto che una pratica fi losofi ca, in quanto tale, costituisce sempre anche un
esercizio di conoscenza di sé in rapporto al proprio “mondo”, dunque una forma di orienta-
mento (e ciò tanto più se, come era previsto dal progetto, l’attività di ricerca e di discussione
si focalizza sul tema dell’identità).
Destinatari del progetto sono stati allievi delle classi di triennio delle scuole superiori
coinvolte. Le risorse infotelematiche (software) necessarie per la partecipazione agli ambienti
di apprendimento on line sono state fornite dall’Università di Udine37.
Rispetto al progetto base (e-philosophy) si può dire che questa “espansione” ha reso più
motivato il ricorso agli strumenti telematici mettendo in rete classi di scuole diverse e ha
potenziato il ruolo formativo e orientativo dell’approccio fi losofi co attingendo alle compe-
tenze e alla sensibilità dei docenti universitari coinvolti.
4. Il Progetto ragionare in rete
Finalmente il progetto Ragionare in rete, offerto a partire dal 2005 dalla S.S.I.S. di Udine
ai propri corsisti38, rappresenta, per così dire, un ulteriore tassello del “circolo virtuoso” che,
proprio grazie alla mediazione della fi gura del supervisore, si è realizzato tra il sapere di cui è
depositaria l’Università e l’esperienza maturabile in un contesto scolastico (senza per questo
escludere che anche la scuola possa, ovviamente, generare sapere, soprattutto come libera
“rifl essione” sulle esperienze che vi si realizzano).
36 Cfr. http://www.platon.it/Progetti/fdf/formedellafilosofia.pdf.
37 Si tratta di una sezione dell’ambiente realizzato alla pagina http://www.cort.uniud.it. I prodotti degli allievi sono attingibili presso questo portale che, tuttavia, attualmente è accessibile solo mediante password.
38 Cfr. http://www.platon.it/Progetti/ragionareinrete/ragionareinrete.pdf.
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Nel caso del progetto in questione, l’esperienza che lo scrivente, in qualità di docente
di fi losofi a, ha maturato nel quadro del progetto e-philosophy (che non sarebbe stato mai
realizzato se lo stesso scrivente non fosse stato anche supervisore della S.S.I.S. e, come tale,
destinatario privilegiato del Master nel cui ambito il progetto è stato lanciato) viene in qual-
che modo “restituita” alla S.S.I.S, venendo riproposta da lui stesso, in quanto supervisore al
tirocinio, ai futuri docenti (corsisti della S.S.I.S.). Il circolo virtuoso, peraltro, non si ferma qui.
Obiettivo del progetto Ragionare in rete, infatti, non è solo quello di “preparare i futuri
docenti (corsisti della S.S.I.S.) a un uso didatticamente consapevole e funzionale delle nuove
risorse telematiche e multimediali, per promuovere negli studenti competenze sia trasversali
che disciplinari”, ma anche quello di “promuovere la collaborazione fra la S.S.I.S. e le scuole
del territorio, favorendo l’accoglienza di tirocinanti preparati all’uso consapevole delle risorse
telematiche e multimediali, anche in funzione di supporto ai docenti accoglienti”.
In sintesi, quindi, il circolo virtuoso complessivo centrato sulla fi gura del supervisore, in
questo caso, sullo sfondo sopra delineato caratterizzato da crisi di senso e dal conseguente
bisogno di fi losofi a, ha conosciuto i seguenti momenti alternantisi: Università (Master) –
Scuola (e-philosophy) – Università (S.S.I.S: Ragionare in rete) – Scuola (diffusione dell’uso
consapevole delle nuove tecnologie grazie ai tirocinanti).
Si è partiti dalla constatazione che uno dei nodi ancora non completamente risolti del
rapporto tra la S.S.I.S. e le scuole del territorio riguardava e riguarda quella che viene per-
cepita da alcuni Dirigenti Scolastici e da alcuni docenti accoglienti come la non suffi ciente
compensazione dell’impegno connesso all’accoglienza dei tirocinanti con adeguate contro-
partite provenienti dall’Università.
Anche per questa ragione da diversi anni, ormai, la S.S.I.S. grazie soprattutto all’im-
pegno dei supervisori, propone alle scuole, tra altre opportunità offerte dall’Università di
Udine (come le Giornate per la Diffusione Culturale), diversi “progetti”, curati dai supervisori,
strettamente legati al lavoro dei (e con i) tirocinanti (di alcuni dei quali si rende conto negli
altri contributi di questo volume).
Il progetto Ragionare in rete, affi ancandosi a questi altri progetti, cerca di rispondere alla
medesima domanda del territorio, provando a intercettare e soddisfare il crescente biso-
gno di formazione – rilevato anche a più riprese, come è noto, dallo stesso Ministero della
Pubblica Istruzione – nel campo dell’uso didatticamente consapevole e mirato delle risorse
telematiche e multimediali e, nello stesso tempo, a incrementare ulteriormente l’expertise
del tirocinante che entra nelle scuole, facendo davvero di lui (o di lei) quella “risorsa” che,
secondo quanto defi nito anche dall’ultimo Contratto Collettivo Nazionale, dovrebbe essere.
Il progetto originario si articolava in quattro distinti moduli, autonomi (tali, cioè, che il
corsista potesse seguirne solo alcuni, a scelta), dedicati rispettivamente all’uso della rete
telematica come risorsa informativa; come luogo di documentazione; come luogo di dialogo a
distanza tra gruppi di lavoro; come luogo di costruzione condivisa di progetti didattici.
L’esperienza39 ha suggerito di concentrare la formazione dei corsisti
39 Cfr. la riformulazione del progetto alla pagina: http://www.platon.it/Progetti/ragionareinrete/documen-tareinrete.doc.
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a) da un lato sull’uso della rete per documentare il lavoro didattico (in particolare pubbli-
candone i risultati sul portale Gold dell’Indire), perché si tratta di competenze che i corsisti
possono facilmente veicolare nelle scuole di accoglienza40;
b) dall’altro lato sul ricorso alle risorse web per sollecitare forme di “ragionamento in rete”,
come recita il titolo al progetto, ancora nello stile di e-philosophy, ma allargate a tutte le disci-
pline per le quali abbia senso sviluppare tra gli allievi dibattiti su web forum (dalle discipline
letterarie a quelle linguistiche, dalla biologia alla fi sica): il che avviene quando si ha a che
fare non tanto con dati o con contenuti “bruti” quanto con ipotesi, problemi, diversi scenari
possibili da verifi care, discutere, confrontare alla luce della propria personale esperienza.
5. Lo sportello di consulenza fi losofi ca per l’Orientamento
Lo Sportello di consulenza fi losofi ca per l’orientamento41, infi ne, costituisce, per certi versi,
un ulteriore sviluppo dell’esperienza maturata attraverso la “curvatura” in senso orientativo-
consulenziale del ricorso alle nuove tecnologie della comunicazione (e, in particolare, dell’e-
mail) sperimentate nei precedenti progetti.
Nella sua versione originaria42, che è stata realizzata al Liceo Ginnasio “Tiziano” di Belluno
dal professor Francesco Dematté, si è trattato dell’attivazione di uno Sportello di supporto
individuale per gli studenti dell’istituto in orario curricolare, a fi ni di orientamento, ispirato ai
principi e ai metodi della consulenza fi losofi ca, una delle espressioni più convincenti e originali
delle pratiche fi losofi che di cui si è già parlato43.
Si tratta in sostanza di un dialogo fi losofi co a due, che prende le mosse, in genere, da un
problema avvertito come tale dal “consultante” che, proprio per questo, liberamente sente il
bisogno di rivolgersi a un “consulente”.
Lo “schermo”, anche in senso metaforico, che contraddistingue le forma di consulenza
e di pratica fi losofi ca on line viene meno: lo scambio dialogico torna ad essere francamente
reale, in presenza, anche se non esclude a priori eventuali contatti via e-mail tra docente-
consulente e allievo-consultante, confi gurando, in queso caso, una vera e propria forma di
blended web counselling.
La “rete” qui, in cui il “ragionare” si avvolge, non è più rappresentata da Internet, nella
sua dimensione virtuale, e neppure dalla rete delle relazioni reali che, con o senza Internet,
si possono intrattenere all’interno di un gruppo di ricerca e di dialogo, ma dalla rete dei
rapporti cognitivi che il soggetto, rifl ettendo e producendo sempre nuovi punti di vista sul
mondo, può intrattenere con se stesso, grazie all’aiuto dell’“interlocutore esperto”.
40 Il senso e l’utilità della documentazione didattica mediante web, in funzione della mutuabilità delle esperienze e della loro co-valutazione ponderata, sono giustificati dal project work, elaborato dallo scrivente ancora una volta nell’ambito del Master in Innovazione Didattica e Orientamento offerto dall’Università di Udine. Lo si può scaricare alla pagina: http://www.platon.it/palinsesto.htm.
41 Anche in questo caso si è trattato della realizzazione di un project work elaborato dallo scrivente nell’ambito del Master più volte citato. Cfr http://www.platon.it/orientamento.htm.
42 Cfr. http://www.platon.it/Consulenza/cf_orientamento.htm.
43 Cfr. D. Miccione, La consulenza filosofica, Milano, Xenia, 2007.
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Lo Sportello è stato proposto nel quadro dei servizi di supporto e tutoraggio offerti dalle
scuola ai propri studenti (si tratta del cosiddetto C.I.C.44) ed era rivolto a tutti gli allievi
dell’istituto.
A ciascun allievo dell’istituto era consentito, a domanda, di accedere allo Sportello
una volta per quadrimestre, salvo parere contrario motivato (per esempio in occasione di
verifi che o altri impegni non differibili) del docente di classe, che doveva comunque essere
preliminarmente informato. L’allievo che accedeva allo Sportello illustrava le ragioni che
l’avevano indotto a chiedere la consulenza, con particolare riguardo a eventuali problemi
legati alla necessità di operare delle scelte di una certa importanza, legate all’orientamento
scolastico e professionale. Il colloquio proseguiva come una vera e propria consulenza fi lo-
sofi ca, concentrandosi soprattutto sulle implicazioni di ordine esistenziale, piuttosto che
tecnico-pragmatico, delle problematiche emerse.
Se l’ora “rubata” al tempo curricolare non era suffi ciente a chiarire il problema era possibile
prevedere ulteriori incontri in orario extracurricolare.
In modo informale nell’anno scolastico 2006-2007 lo Sportello è stato sperimentato con
successo anche dallo scrivente.
Dall’anno 2007-2008 esso, parzialmente modifi cato e adattato, costituisce parte inte-
grante dell’attività di ascolto del disagio effettuata presso l’ITI “Malignani” di Udine sotto la
supervisione della professoressa Giuliana De Agostini.
Va notato che rispetto a una normale seduta di consulenza fi losofi ca lo Sportello presenta
alcune peculiarità che ne condizionano la realizzazione (anche in questo caso si può parlare
di captive audience): i “consultanti” sono tutti quasi di pari età, alcuni minorenni; le loro pro-
blematiche sono legate alla loro età e alla loro condizione di studenti; il “consulente” è un
docente della scuola anche se preferibilmente non il loro insegnante di classe; sussistono
obblighi di rendicontazione dell’attività anche ai fi ni della sua valutazione che rendono
meno vincolante il “segreto” professionale.
Si tratta, comunque, specialmente nel caso di problematiche “esistenziali” che non abbiano
tratti di rilevanza patologica, di un’interessante alternativa a certe forme di orientamento di
tipo puramente psicologico.
Senza togliere nulla all’approccio psicologico bisogna riconoscere che esso non appare
sempre la modalità di presa in carico più adatta del “disagio”, soprattutto quando la pro-
blematica proposta dallo studente ha carattere “esistenziale” ossia quando investe il senso
stesso che egli conferisce alla sua vita, del cui accesso nessuno può detenere le chiavi, per
quante competenze “tecniche” vanti.
Infatti, se conoscere se stessi (e, quindi, ciò di cui veramente si ha bisogno) appare lo
scopo essenziale dell’orientamento educativo come “arte” delle scelta consapevole, il fatto
di rappresentarsi un soggetto in alcuni dei modi in cui certe correnti della psicologia con-
temporanea se lo rappresentano – ossia, in termini fi losofi ci, il fatto di muovere certe ipotesi
antropologiche precostituite – non sembra il miglior viatico per favorire una conoscenza di
sé (come singolo, come soggettività irripetibile), scevra di presupposti e di vincoli estrinseci.
44 Centro di Informazione e Consulenza.
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Nulla vieta, ovviamente, in sede teorica, di supporre che l’uomo agisca, ad esempio, sulla
base del modello comportamentistico stimolo/risposta: tale ipotesi, peraltro indimostrabile
(non si può parlare di “validazione” nelle scienze umane nello stesso senso in cui se ne parla
nelle scienze della natura), può permettere senz’altro di effettuare interessanti esperimenti;
ma guai a dimenticare che i loro risultati hanno valore solo entro la cornice dell’ipotesi stessa.
Ma se sulla base di questo modello suggerisco a qualcuno una strategia per prendere una
decisione “esistenziale”, qui, uscito dal “laboratorio”, la mia azione da teorica si fa pratica e
investe l’ambito etico (nonché la deontologia professionale di me come “esperto”): decisioni
fondamentali per l’esistenza di una persona potrebbero venire assunte sulla base di un’ipotesi
non corretta sulla natura del soggetto che viene indotto a prenderle.
L’approccio fi losofi co, in modo simile a quello di certe correnti di psicologia cosiddetta
“umanistica”, da cui pure si differenzia, non ha dalla sua né un metodo defi nito, né un deter-
minato modello del soggetto a cui si rivolge: ma proprio in questa apparente “debolezza”
appare consistere la sua forza. Il fi losofo, in quanto essere umano, dialogando con il soggetto
che cerca di orientarsi, lo aiuta a “conoscere se stesso” e, su questa base, a riconoscere quale
scelta, nella situazione data, potrebbe meglio operare. Libero dalle sovrastrutture costituite
da un’immagine preconfezionata dell’altro e da tecniche per la presa di decisioni di dubbia
pertinenza e di incerto valore, il fi losofo è un esperto altrettanto di bilanci razionali che
di dubbi radicali, conosce il disagio del dover prendere decisioni nella misura in cui egli
stesso lo vive, non disdegna le forme di illuminazione che possono venire da intuizioni e
ispirazioni, mette in guardia dalle emozioni senza disprezzarle, ma cercando di sviscerarne
l’intima motivazione; in ultima analisi, sapendosi muovere tra le più diverse prospettive
e concezioni della vita, educato a leggere e interpretare la visione del mondo del proprio
interlocutore, cerca di aiutarlo a ricollocare il problema della scelta (che, in via di principio,
potrebbe anche essere radicale e irriducibile a un calcolo “razionale”: si pensi alla scelta
religiosa o, in generale, al risultato di un “innamoramento”) sul suo terreno proprio, che –
sovente – è, come detto, quello esistenziale.
Alla luce di tutto questo, nulla vieta di immaginare che anche questa esperienza realizzata
a scuola, ma originata da un project work steso per il Master dell’Università di Udine, possa
utilmente diventare oggetto di un intervento formativo in ambito S.S.I.S. nello spirito di
quella circolarità virtuosa, tra Scuola e Università, centrata sulla fi gura del supervisore come
soggetto esperto, che ancora una volta, in questo modo, potrebbe essere ribadita.
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99
La Kinderphilosophie
Annalisa Filipponi, Supervisore SSIS dell’Indirizzo Linguistico Letterario,
Università degli Studi di Udine
1. Premessa
Il paradigma della complessità, caratteristico della civiltà contemporanea, richiede muta-
menti ed adattamenti sempre più frequenti e repentini ed ha necessariamente imposto un
ripensamento del sistema scolastico, tutt’ora in corso, sia dal punto di vista organizzativo, sia
dal punto di vista didattico, per quanto concerne contenuti, metodi, funzione e formazione
docente. In particolare sta emergendo, in modo sempre più evidente, la funzione orientante
dell’Istituzione scolastica, che vede l’orientamento come un processo formativo che si attua
in un ideale di continuità.
In questo articolo presenterò la proposta della Kinderphilosophie come metodologia
didattica funzionale al processo orientativo ed alla costruzione di un apprendimento signi-
fi cativo caratterizzato dalla acquisizione di abilità trasversali scolasticamente e socialmente
spendibili. L’articolo è conseguente al seminario svoltosi durante la XVII edizione delle
Giornate di diffusione culturale all’Università degli studi di Udine (19 marzo – 17 aprile 2007)
dal signifi cativo titolo “Esplorare, descrivere e interpretare con modelli: naturali, artifi ciali e
formali”. Il rapporto tra il ruolo del Supervisore al tirocinio SSIS e l’innovazione didattica si è
sviluppato anche attraverso l’individuazione di modelli formali e artifi ciali con una ricaduta
didattica evidente e certifi cata sull’apprendimento degli alunni. L’organico rapporto tra il
tirocinio della SSIS e le Giornate ha permesso di esportare una ricerca didattica e metodo-
logica sul fi losofare con i bambini e gli adolescenti in grado di uscire dall’ambito umanistico
e di venir sperimentata anche in ambito scientifi co. L’interazione seminariale svoltasi sia
nell’ambito delle Giornate sia nell’attività ordinaria della SSIS ha permesso di coniugare la
defi nizione teorica della metodologia propria della Kinderphilosophie con la pratica didattica
dei corsisti SSIS nello sviluppo della loro cultura professionale.
2. L’insegnante e la classe
Con il termine tedesco Kinderphilosophie45 si indica una pratica didattica e culturale che
propone di assumere un atteggiamento nuovo rispetto a quello trasmissivo e tradizionale
dell’insegnante e che può essere trasferito in diversi contesti disciplinari.46
Per parlare di Kinderphilosophie è necessario fermarsi ad analizzare il contesto scolastico
attuale. In classe l’insegnante è sempre la persona che parla di più e quando interloquisce
con gli allievi spesso è per porre domande di cui conosce già la risposta. Ciò nelle relazioni
45 Annalisa Filipponi, Il testo di partenza nella Kinderphilosophie. Una riflessione, in “Edizione”, n° 29/30, anno XV, Pordenone, dicembre 2004.
46 Questo articolo è una rielaborazione della lezione tenuta presso l’Università degli Studi di Udine il 23 marzo 2007 nell’ambito delle Giornate della diffusione culturale del 2007.
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interpersonali non accade in altri contesti ed è evidente che comunicare in questo modo
può mettere molto a disagio l’interlocutore: faccio le domande e verifi co se tu sai le risposte.
Questo avviene nel contesto della classe praticamente sempre.47
In questa situazione di didattica trasmissiva l’alunno raramente pone domande conse-
guenti ad una spontanea curiosità intellettiva o domande contestualizzate che si riferiscano
ad una sua precisa curiosità disciplinare, soprattutto perché la gran parte degli argomenti
trattati a scuola sono completamente avulsi rispetto ai suoi reali interessi. Pertanto l’alunno
è facilmente distraibile e usa il silenzio in forma cooperativa con l’insegnante, accetta cioè
la richiesta di non disturbare, ma ha molto poca autonomia di azione.48
La principale conseguenza di questa posizione speculare dei docenti e degli alunni è la
modesta disposizione all’apprendimento: questo non lo dicono solo gli autori a cui faccio
riferimento, ma lo evidenziano anche le prove che sono state fatte da organismi internazionali
nelle nostre scuole.49 Diffi coltà di attenzione, modesto interesse, poca autonomia: spesso
riassumiamo tutto questo dicendo che i nostri alunni stanno gradualmente peggiorando
dal punto di vista scolastico (Fig. 2).
Contesto didattico attuale Contesto didattico attuale
In classe l’insegnante:• è sempre la persona che parla di più• usa il silenzio o per richiamare l’attenzione o per
rimproverare• pone domande di cui conosce già le risposte
Durante le lezioni l’alunno:• raramente pone domande conseguenti ad una
spontanea curiosità intellettiva• è facilmente distraibile• usa il silenzio in modo cooperativo con
l’insegnante (accetta la richiesta di non disturbare)
• esercita poco la propria autonomia
Conseguenze• Scarsa motivazione
• Attenzione alterna e talvolta apparente• Passività intellettiva ed argomentativa
• Mancanza di co-protagonismo cognitivo
Figura 2
A mio parere, invece, i bambini e gli adolescenti oggi hanno abilità diverse e talvolta
superiori rispetto a quelle dei loro coetanei di un tempo, ma dal punto di vista del linguaggio
dimostrano delle diffi coltà in quanto non sono abituati ad argomentare il proprio pensiero.
Questo perché vivono in una società della comunicazione molto frammentata in cui comu-
nicano di solito per frasi spezzettate. I ragazzi di oggi stanno in contatto fra loro in modo
continuo, ma con modalità comunicative lontane dal linguaggio inteso in senso tradizionale:
47 Alessandra Fasulo e Clotilde Pontecorvo, Come si dice?, Carocci, Roma 1999.48 Fasulo e Pontecorvo, cit.49 Si pensi alle indagini dell’Ocse-Pisa o a quelle dell’Iea, che collocano la scuola italiana in una posizione sconfortante. Si veda il sito www.csee-etuce.org/ o i contributi di Bottani Norberto, Le indagini comparate internazionali sul profitto scolastico e di Siniscalco Maria Teresa, La valutazione della competenza di lettura dei quindicenni italiani nell’indagine internazionale OCSE-PISA in Una pagella per la scuola, a cura di Norberto Bottani e Alessandra Cenerini, Erickson, Trento 2005.
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comunicano attraverso gli sms; attraverso linguaggi grafi co-simbolici; attraverso gli MP3
con cui sentono la musica insieme dicendosi una parola ogni tanto. L’uso del linguaggio
attualmente è poco esercitato dai giovani e questo ha indubbie ricadute sulla formazione
dei processi cognitivi, perché i processi cognitivi sono sempre collegati all’utilizzo del lin-
guaggio. Più impedisco il linguaggio e la capacità argomentativa, più abbasso il livello della
comunicazione cognitiva.
3. Il Socio – costruttivismo di Vygotskij
Gli studi sull’apprendimento dicono che l’approccio educativo che da migliori risultati in
questo momento è il costruttivismo socio-culturale ed, in generale, varie scuole di pensiero
anche contrapposte sono concordi nell’indicare la didattica trasmissiva come quella meno
adatta a produrre apprendimenti e competenze durature50. Il primo riferimento diretto è
comunque quello a Vygotskij che col suo approccio socio-costruttivista ha defi nito cos’è un
apprendimento signifi cativo. Bisogna allora domandarsi che differenza c’è tra apprendimento
mnemonico e apprendimento signifi cativo. L’apprendimento signifi cativo deve essere attivo nella
sua acquisizione: in pedagogia si defi nisce apprendimento signifi cativo quell’apprendimento
che permette di acquisire delle competenze che sono permanenti e trasferibili da un contesto
all’altro. Non devo acquisire solo conoscenze di cui dimentico l’oggetto in tempi brevi, ma
devo acquisire delle competenze spendibili nel contesto sociale, che mi accompagnino nella
vita51. Un apprendimento signifi cativo è andare in bicicletta o saper leggere o saper scrivere.
Apprendimenti signifi cativi sono quelli che mi danno delle competenze che io acquisisco
in forma stabile e che poi posso utilizzare nel contesto in cui vivo. Per ottenere un appren-
dimento di questo tipo l’attività didattica si basa sulla collaborazione di chi apprende nella
costruzione di una conoscenza.
In pratica apprendere in un’attività di sviluppo della conoscenza comporta la parteci-
pazione attiva dell’alunno nella conoscenza e nella procedura che lo porta alla conoscenza.
Inoltre si rivela sempre più signifi cativo l’ambiente in cui si apprende, che ricopre un ruolo
centrale nella didattica complessiva. Per attivare la comunicazione in una comunità di
apprendimento si organizza un contesto classe che sia gradevole per lo studente, che gli
dia un ruolo di collaborazione e che lo coinvolga nella costruzione della conoscenza. In tal
modo si va nella direzione dell’apprendimento signifi cativo e lo strumento prioritario per
il suo sviluppo è il linguaggio.52
50 L’analisi che conduco trova una vasta eco nella letteratura disponibile. Può essere interessante collegare l’analisi complessiva della scuola italiana contenuta, ad esempio, nei testi di Antinucci Francesco, La scuola si è rotta, Laterza, Bari 2000 o di De Mauro Tullio, La cultura degli italiani, Laterza, Bari 2004 con quello che è stato scritto in alcuni noti studi sulla pedagogia e sul suo rapporto con l’apprendimento. Citerei a semplice titolo esemplificativo Bruner Jerome, La cultura dell’educazione, 1996, tr. it. Di Lucia Cornalba, Feltrinelli, Milano 2001, Gardner Howard, Educare al comprendere, 1991, tr. it. di R. Rini, Feltrinelli, Milano 2002 e Filograsso Nando, La costruzione della conoscenza, Utet, Torino 2003.51 Sulla questione delle competenze e della loro certiuficazione a scuola segnalerei Tagliagambe Silvano, Più colta e meno Gentile, Armando, Roma 2006.52 Stefano Cacciamani e Lorella Giannandrea, La classe come comunità di apprendimento, Carocci. Roma 2004.
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Nella conversazione in classe si fanno una serie di osservazioni epistemiche che par-
tono dalla fase del problem solving, cioè dalla formulazione di un problema, e vanno verso
la condivisione delle soluzioni. La Kinderphilosophie si diversifi ca dal problem solving perché,
in questo processo di coinvolgimento attraverso il linguaggio, non si cercano soluzioni, ma
apertura di nuovi problemi corrispondenti ad interessi cognitivi. Con la Kinderphilosophie
dunque si va nella direzione del problem posing o problem founding: si pongono dei problemi,
si fondano dei problemi, si alimenta la curiosità verso i problemi. È facilmente intuibile
il ruolo che la fi losofi a gioca in tutto questo, soprattutto se parliamo di fi losofi a e non di
conversazione o di semplice uso del linguaggio. In questo contesto nasce la classe come
comunità di apprendimento in cui l’alunno si trova a cooperare con i compagni e diventa un
coprotagonista del percorso di apprendimento. La Kinderphilosophie diventa un importante
strumento didattico che permette agli alunni di approfondire le competenze in proprio
possesso e di raggiungerne di nuove. Quella della Kinderphilosophie è una metodologia che,
se è compresa nei suoi signifi cati più profondi e se è sviluppata in modo rigoroso, porta a
risultati sorprendenti, non facilmente banalizzabili. Tuttavia dalla fi losofi a alla chiacchiera il
passaggio è piuttosto labile in certi contesti, per cui bisogna unire la teoria della Kinderphi-
losophie alla sua pratica. È necessario capire molto bene il ruolo del docente, gli argomenti
da trattare, il contesto di questa discussione che tento di andare ad attivare.
I riferimenti da cui tutto questo ha preso le mosse sono molto importanti per com-
prendere il punto in cui siamo. Dobbiamo partire da Piaget, di cui non ci liberiamo mai,
ma quella che qui faccio è solo una piccola citazione e non un’analisi delle fasi di sviluppo
logico-operativo che costituiscono il perno del suo pensiero. Nel 1923 lui parla per la prima
volta della discussione come attività che precede il ragionamento. Dunque anche Piaget,
che non riteneva importante il contesto per l’apprendimento dell’alunno, aveva capito
l’importanza del linguaggio e della discussione per veicolare l’apprendimento. Tuttavia per
sostenere il mio discorso il punto di riferimento centrale è Vigotskj secondo il quale il pro-
cesso cognitivo è veicolato dal contesto attraverso l’uso del linguaggio. Secondo Vygotskij
infatti si apprende qui ed ora, utilizzando il linguaggio di cui ci si serve per interagire con il
contesto in cui ci si trova.
In questi anni Clotilde Pontecorvo53 ha scritto cose molto importanti sul rapporto tra
apprendimento e linguaggio ed è un autore da cui in Italia non si può prescindere oggi: la
conversazione è un punto primario dell’apprendimento sin dai primi mesi di vita.
Facciamo un breve excursus all’interno del pensiero di Vygotskij e vediamo cosa ci interessa
in questo contesto. “Pensiero e linguaggio” di Vygotskij è del 1934 e viene tradotto in Italia negli
anni sessanta e diventa la base di tutte le psicologie dagli anni sessanta e settanta in poi.
Secondo Vygotskij – a differenza di Piaget – per l’apprendimento è importante l’interazione
sociale54. Noi apprendiamo nel rapportarci gli uni con gli altri, perché attraverso l’interazione
53 Clotilde Pontecorvo, Psicologia dell’educazione, Conoscere a scuola; Clotilde Pontecorvo, Interazione sociale e conoscenza. Le discipline come pratiche di discorso, in “Scuola e città”, 2, pp.56-71; C. Pontecorvo, A:M. Ajello, C. Zucchermaglio, Discutendo si impara. Interazione sociale e conoscenza a scuola.54 Clotilde Pontecorvo-Anna Maria Ajello e Cristina Zucchermaglio, Discutendo si impara, Carocci, Roma 2006.
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sociale si creano le condizioni per lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori. Secondo
Vygotskij attraverso l’interazione sociale avviene la trasformazione dei processi psichici
naturali in processi psichici superiori o culturali. Quindi passiamo da una dotazione mentale
naturale ad una dotazione culturale realizzata attraverso il linguaggio e gli artefatti culturali.
Secondo Vygotskij noi abbiamo una dotazione mentale naturale, poi possiamo controllare il
suo sviluppo mediante degli artefatti e tra questi il principale è il linguaggio (Fig. 3)
✓ PIAGET (1923)“La discussione precede il ragionamento”
✓ VYGOTSKIJ (1960)“ Il processo cognitivo è determinato dal contesto socio culturale attraverso l’uso del linguaggio”
✓ PONTECORVO (1999)“La conversazione è il luogo primario della costruzione del ragionamento sin dai primi mesi di vita”
Figura 3
Secondo Vygotskij in ciascuno di noi esiste la zona di sviluppo effettivo, più oltre la
zona di sviluppo potenziale e quella successiva è la zona di sviluppo prossimo. Noi come
insegnanti interveniamo in questa situazione: ci troviamo di fronte a bambini anche molto
piccoli con una zona di sviluppo effettivo abbastanza paritario tra loro, ma è in loro molto
diversa la zona di sviluppo prossimo. Certi bambini hanno bisogno di un determinato tempo
per raggiungere il loro sviluppo potenziale massimo, perché hanno basi diverse tra loro.
Come insegnante devo tenere conto delle abilità effettive di chi mi sta di fronte, devo intuire
lo sviluppo possibile di ciascuno, ma devo rispettare soprattutto i suoi tempi di sviluppo
prossimo. Questo non signifi ca che devo abbassare il livello della mia didattica o insegnare
per obiettivi nel tentativo di individualizzare degli itinerari didattici per poter far fare a tutti
lo stesso percorso. Il bambino da solo arriva fi no ad un certo punto, ma se lo si spinge ad
uscire dalle sue limitate competenze, se lo si sollecita ad andare oltre si otterranno risultati
migliori. Spesso il bambino si annoia, è stanco, ne sa più dell’insegnante in molti campi, è in
grado di fare tante cose diverse da quelle del docente, possiede competenze che non sono
omogenee al sapere scolastico e che spesso il contesto scolastico ostacola. Si devono rispet-
tare i tempi di ognuno per raggiungere il suo livello di apprendimento potenziale massimo
e quindi l’insegnante deve adeguarsi ai tempi di apprendimento di ciascun allievo. Però
non si deve annoiare il bambino che si perde nelle sue potenzialità, spesso non in linea con
quanto richiedono la scuola o il singolo insegnante: questa è una grave diffi coltà del ruolo
docente, un passaggio molto arduo che non sempre viene superato nel modo corretto.55
55 Clotilde Pontecorvo, Anna Maria Ajello e Crisina Zucchermaglio, cit.
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• Zona di Sviluppo Prossimo (ZSP): differenza tra livello di sviluppo (effettivo) del bambino nel risolvere un compito da solo e il livello di sviluppo potenziale determinato attraverso le abilità che esibisce quando affronta un compito con il sostegno di un adulto o di coetanei più capaci.
• La ZSP indica tappe di sviluppo in via di maturazione: l’apprendimento promuove, anticipa lo sviluppo naturale.
• Stesso livello di sviluppo effettivo e diverse ampiezze della ZSP tra bambini: l’educatore modula l’intervento a seconda del tipo di apporto di cui il bambino ha bisogno, in funzione della velocità dell’apprendimento.
Figura 4
La zona di sviluppo prossimo si attiva quando un alunno affronta un compito da solo,
ma anche quando lo affronta invece con l’aiuto di un adulto o di un coetaneo più capace.
La zona di sviluppo prossimo indica tappe di uno sviluppo in via di maturazione; l’appren-
dimento promuove e anticipa lo sviluppo naturale. C’è uno stesso livello di sviluppo, ma ci
sono diversi livelli di ampiezza di questo tra i vari scolari. L’educatore dovrebbe modulare
l’intervento a seconda del tipo di apporto di cui ogni bambino ha bisogno. Quando oggi si
parla di personalizzazione dell’apprendimento non si intende calare gli obiettivi della disciplina
sul bambino che si ha davanti, ma cercare di capire che cosa proporgli affi nché la proposta
sia molto importante per lui. Tutto questo deve seguire la velocità dello sviluppo di ciascuno:
questa zona è diversa da bambino a bambino. Un bambino va sollecitato in un modo e uno
in un altro. Parlo di bambini per semplifi care, ma potrei parlare di adolescenti, ragazzi, stu-
denti o studentesse. Questo discorso non vale solo per le scuole primarie, ma soprattutto per
le superiori, dove tutto si ingarbuglia e si ingigantisce perché la zona di sviluppo prossimo
tende a diventare sempre minore col passare degli anni e la sollecitazione diviene sempre più
diffi cile anche perché l’entusiasmo dei bambini delle elementari va a perdersi nel percorso.
È buono per Vygotskij quell’apprendimento che precede lo sviluppo e attiva una serie di
funzioni che sono nella zona di sviluppo prossimale e che precedono lo sviluppo naturale.56
È buono l’apprendimento che riesce ad attivare quello che ho in potenza, che mi spinge
e mi porta verso conoscenze più ampie. Tale condizione dello sviluppo attribuisce all’ap-
prendimento un compito promozionale, importante per il contesto in cui gli altri sono pari
o più competenti57 (Fig. 4).
4. Matthew Lipman e Daniela Camhy
A questo punto è possibile entrare nel discorso della Kinderphilosophie. Negli Stati Uniti
negli Anni Settanta Matthew Lipman fonda la Philosphy for Children (P4C)58. La P4C è ormai
56 Clotilde Pontecorvo, Anna Maria Ajello e Cristina Zucchrmaglio, cit.
57 Forte Bruno, Costruire il successo formativo nella scuola dell’autonomia, in “Quaderni di orientamento”, atti del convegno “Star bene studiando bene. Esperienze, continuità, prospettive” del 14 ottobre 2004; Sor-zio Paolo, Ricerca pedagogica e modelli didattici, in Progettare la didattica, a cura di Dino Zanella, La linea editrice, Padova 2004
58 In italiano sono facilmente reperibili di Lipman Matthew, Il prisma dei perché, Ed. Armando, Roma 1990; Pixie, Ed. Liguori, Napoli 1999; Elfie, Ed. Liguori, Napoli 1999, Kio & Gus, Ed Liguori, Napoli 1999. I manueli di accopagnamento con le guide e gli eserciziari sono dispobili on line nel sito della Liguori (www.liguori.it). Marina Santi, Ragionare con il discorso, La Nuova Italia,Firenze 1995
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diventata molto famosa in varie parti del mondo. È un curricolo che parte dalla scuola
dell’infanzia e arriva fi no ai 16 anni e che Lipman ha scritto per fare fi losofi a per i bambini.
A tale scopo ha costruito delle storie: Elfi e, Pixie, Kio and Gus, ecc., che sono strutturate a
seconda della fascia d’età a cui sono rivolte. Il curricolo prevede un percorso rigidamente
strutturato, quindi al di fuori di esso non si attua il “fi losofare”. Il curricolo dunque è formato
da storie attraverso cui si fa fare fi losofi a ai bambini, ma non prevede la possibilità di uscire
dallo schema predisposto.
Daniela Camhy, negli Anni Ottanta in Austria, ha trasformato il modello della P4C in
Kinderphilosophie che, a differenza della fi losofi a per i bambini, è una fi losofi a dei bambini:
cioè è fatta dai bambini, attraverso un ruolo attivo nella costruzione del pensiero individuale
e collettivo59. Non si parla più di un curricolo, non si parla più di testi predisposti apposi-
tamente per far fare fi losofi a ai bambini, ma con la Kinderphilosophie vengono proposti dei
percorsi diversifi cati a seconda delle fasce d’età a cui si rivolgono. Tutti i percorsi partono
sempre dall’utilizzo di un testo, inteso nella sua accezione più ampia: un articolo, un qua-
dro, un fi lm, un’opera d’arte, un testo di fi losofi a, un racconto, una poesia. Insomma una
sollecitazione testuale. Quindi con la Kinderphilosophie si esce dal protocollo rigido entro cui
era chiusa la P4C, non ci sono solo materiali strutturati per fare fi losofi a per i bambini, ma
l’insegnante diventa un attento osservatore e selezionatore di materiali utili per stimolare
la discussione al fi ne del fi losofare. (Fig. 5)
IL CURRICOLO DI LIPMAN LA PROGRAMMAZIONE DELLA CAMHY
Per la scuola elementare:- Elfi e (Ragionamento sul pensiero)- Kio and Gus (Natura)- Pixie (Linguaggio)
Per la scuola media:- Il prisma dei perché (Realtà)- Lisa (Etica)
Per la scuola superiore:- Suki (Arte)- Mark (Studi sociali)
1. Fondare 2. Defi nire 3. Costruire ipotesi 4. Sviluppare concetti 5. Scoprire alternative e possibilità 6. Formulare domande 7. Trarre conclusioni 8. Incontrare decisioni diverse dalla propria 9. Prendere per vere prospettive diverse10. Attuazione del pensiero logico
Figura 5
5. Una procedura comune
La Philosophy for Children e la Kinderphilosophie hanno in comune la stessa procedura,
l’unica cosa che cambia è il testo da cui partire. Come già detto, dunque, la prima usa solo
testi predisposti da Lipman, l’altra invece seleziona svariati tipi di testi. Anche le fi nalità della
Philosophy for Children e della Kinderphilosophie sono comuni: entrambe non vogliono che
59 Si veda di Daniela Camhy Pensiero critico e talento, in Edizione, Pordenone 1996, Anno VII, n° 13 e Philo-
sophieren mit Kinder, in “Saturn”, Vienna, maggio 1990.
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vada perduto quell’enorme tesoro che è il pensiero intermittente dei bambini. Se negli adulti
il pensiero intermittente viene accettato quando è una proprietà degli scienziati o delle
persone geniali, nei bambini il pensiero intermittente viene sacrifi cato al senso comune o
alla razionalità socialmente determinata. Il pensiero intermittente è quel lampo di genio
che i bambini hanno e con i quali ci stupiscono. I bambini hanno dei fl ash di ragionamento,
delle osservazioni che sono assolutamente strabilianti nell’ambito di un pensiero e di un
modo di ragionare convenzionale o addirittura banale. Il pensiero che nell’ambito di un
piatto concatenarsi di banalità ad un tratto fa emergere un qualcosa di profondo e inatteso
è stato defi nito come intermittente da Saul Kripke, perché si basa su osservazioni che non
sono strutturate e organizzate60. Un bambino fa i fatti suoi e poi se ne esce con una frase
interessantissima che non necessariamente è collegata a qualcos’altro o a quello che sta
facendo. Il bambino poi non è in grado di recuperare quella frase e quel pensiero, perché
ha avuto un fl ash e non ha elaborato una struttura logica e consequenziale. Il pensiero
intermittente è un pensiero ricettivo, rapido, aperto alla costruzione del discorso, pronto
a cambiare e a perdersi. Il bambino non ha la capacità di collegare e di costruire: Clotilde
Pontecorvo per spiegare questo punto ha parlato dei tre nipotini di Paperino, Qui, Quo e
Qua.61 I tre dialogano tra di loro parlando ognuno per i fatti suoi e formando insieme la
frase. Ognuno dice il suo pezzetto, che fa parte della frase solo se messo insieme agli altri
pezzetti. Questo è l’esempio di ciò che è un pensiero intermittente. È un pensiero intu-
itivo, profondo, rapido e veloce, ma non è costruito, quindi la P4C e la Kinderphilosophie
vogliono prendere queste intuizioni dei bambini e aiutarle a trasformarsi in un discorso
argomentato.
È necessario dare ai bambini gli strumenti per sostenere il loro punto di vista su posizioni
anche diffi cili o complesse. “Non mi ubbidiscono le parole” è una frase che mi ha detto un
bambino di quattro anni e che segnala un problema: il pensiero dei bambini è più veloce
delle loro capacità linguistiche. Con la frase “Non mi ubbidiscono le parole” il bambino ha
comunicato la sua intenzione di dire delle cose, ma anche la sua speculare incapacità a
trovare le parole giuste per tradurre il suo pensiero. Questo vorrebbe essere il punto in
cui si inserisce la Kinderphilosophie: l’insegnante aiuta il suo alunno a rendere le parole
più ubbidienti, ad esprimere il suo pensiero offrendogli l’opportunità di ascoltare le argo-
mentazioni degli altri e di attingere ad esse per formulare le proprie parole per strutturare
correttamente un discorso. Alla base di tutto ciò che riguarda il linguaggio esiste un pro-
blema di potere: in questo caso quello dell’insegnante che può decidere da che parte far
andare il pensiero del bambino. In Dentro lo specchio62 Humpty Dumpty spiega ad Alice in
60 Saul Kripke, Nome e necessità, 1980, tr. it. Boringhieri, Torino 1982.
61 Clotilde Pontecorvo, Anna Maria Ajello e Cristina Zucchermaglio, Discutendo si impara, Carocci, Roma 2006.
62 Lewis Carrol, Dentro lo specchio, tr. it., Mondadori, Milano 1991. “È solo uno per i regali di compleanno. Piglia
su e porta a casa!” “Non capisco cosa dovrei portare a casa” disse Alice. Humpty Dumpty fece un sorriso di disprezzo.
“Naturale… devo dirtelo io. Volevo dire, ‘ecco un argomento che ti stende definitivamente’!” “Ma ‘piglia su e porta
a casa’ non è proprio come dire ‘ecco un argomento che ti stende’” obiettò Alice. “Quando io uso una parola” disse
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che modo chi comanda decide anche il signifi cato delle parole. L’insegnante ha in mano
il signifi cato delle parole, ma anche la possibilità di trasmettere le parole sbagliate a quei
bambini a cui le parole non ubbidiscono. È una questione molto delicata: aiutare il bam-
bino a dire quello che pensa non signifi ca dare la giusta interpretazione al suo pensiero,
ma proprio metterlo nelle condizione di scavare la profondità della sua intermittenza.
6. Il pensiero
Interiorizzando i pensieri degli altri si interiorizzano le risposte relative a tali pensieri, così
si sviluppano capacità analitiche e capacità critiche. Che cosa vuol dire questo per un inse-
gnante? Nella discussione argomentativa in una comunità di apprendimento, interiorizzando
i pensieri espressi dagli altri, l’alunno attiva dei meccanismi che collocano i nuovi pensieri
in uno spazio diverso da quello in cui sono nati e così sviluppa meglio il suo ragionamento:
attraverso l’ascolto dei pensieri degli altri viene ampliato il punto di vista di ognuno.
Inoltre interiorizzando i pensieri emersi dal contesto in cui si trova inserito, l’alunno
sviluppa le sue capacità analitiche e le sue capacità critiche. Nell’insieme della conversazione
ogni alunno assimila i punti sollevati dagli altri ed amplia la sua capacità di analisi e di
critica su quello specifi co argomento. Questo gli permette di uscire dalla logica diffusa del
luogo comune e di sviluppare un pensiero più articolato e complesso. Ma perché parliamo
proprio di fi losofi a e non di semplice conversazione? I bambini imparano proponendo dei
problemi, discutendone, cercando delle soluzioni, parlandone. Se pensiamo ai bambini
che giocano ci accorgiamo che si pongono problemi, che poi cercano freneticamente di
comunicare a chi gli sta più vicino o alla mamma. Il bambino cerca delle soluzioni che può
condividere con altri. Questa è la procedura di acquisizione di un apprendimento da parte
del bambino ed è una procedura individuale, ma cooperativa. Che cosa ha tutto questo in
comune con la fi losofi a? Anche la fi losofi a parte dalla proposizione di un problema, mette
in discussione il problema (“Chi siamo?”, “Chi ci sta attorno?”, “Esistono gli altri?”, ecc.),
cerca soluzioni a questi problemi, anche di carattere universale. Molto dipende da che
campo fi losofi co stiamo attraversando (metafi sica, etica, estetica, ontologia, epistemologia,
ecc.), ma sempre si parte in fi losofi a dalla meraviglia per il mondo. La fi losofi a parte dalla
meraviglia e dallo stupore, come ha detto Aristotele, e la meraviglia e lo stupore sono ciò
che noi dobbiamo cercare di non far perdere ai bambini che abbiamo di fronte. Se noi
ci troviamo di fronte persone che si pongono domande e che si stupiscono per quanto
avviene loro intorno, vuol dire che stiamo creando lo spazio per la fi losofi a.
La Kinderphilosophie è dunque un modo di porsi diverso nei confronti degli alunni
e che si sviluppa attraverso un percorso metodologico molto strutturato. È un metodo
pedagogico-didattico che tende alla formazione di un pensiero complesso e critico ed
educa il pensiero al confronto con la complessità delle esperienze. Dare gli strumenti
per esprimere il proprio pensiero, ma al tempo stesso attraverso la comprensione delle
Humpty Dumpty in tono alquanto sprezzante “questa significa esattamente quello che decido io… né più né meno.”
“Bisogna vedere” disse Alice “se lei può dare tanti significati diversi alle parole.” “Bisogna vedere” disse Humpty
Dumpty, “chi è che comanda… è tutto qua”.
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esperienze degli altri, arricchire il proprio pensiero critico: questa è la missione della Kin-
derphilosophie nella scuola di oggi.
7. La procedura
La Kinderphilosophie è una ricerca di soluzioni a determinati problemi fondata sul dialogo
per favorire l’esperienza del pensiero attraverso l’uso del linguaggio. La fase della ricerca
e della posizione del problema è quella essenziale, mentre quella della sua soluzione ha
molto meno valore e signifi cato: in questo si situa la sua forte differenza rispetto al problem
solving. La Kinderphilosophie è una ricerca che parte da un problema sollevato da un testo
e si fonda su un dialogo che avviene in una comunità di apprendimento che vuole favorire
l’esperienza del pensiero ed espandersi verso una zona di sviluppo prossimale più ampia,
attraverso l’uso del linguaggio. Nella classe intesa come comunità di ricerca gli alunni
rifl ettono sul pensiero, si chiedono il signifi cato di alcuni processi cognitivi ed acquisiscono
abilità trasversali. Questa metodologia è trasferibile ad altri contesti, come è stato dimostrato
in una ricerca sulla trasferibilità della Kinderphilosophie nella fi sica63.
Per parlare di Kinderphilosophie dobbiamo mettere in discussione il ruolo dell’insegnante,
che cambia completamente, rispetto a quella che è la sua posizione abituale. Durante questa
attività l’insegnante innanzitutto non indirizza la discussione, ma solamente la facilita. Non
sceglie testi considerati adatti per far discutere gli adolescenti su uno specifi co problema,
non orienta cioè la discussione su un argomento piuttosto che su un altro. Nella Kinderphi-
losophie si somministra un testo anche perché si è curiosi di vedere le sollecitazioni che
questo testo può sollevare sulla classe nella quale ci si trova ad operare. Nelle Antologie di
solito vengono proposti testi e poi esercizi che indirizzano l’alunno alla comprensione di
quel testo, ma solo a quella comprensione che l’autore ritiene essere corretta, cioè siamo di
fronte alla defi nizione “della” comprensione del testo. Mentre potrebbe essere che quel testo
fa rifl ettere su tante altre cose. Durante la discussione della Kinderphilosophie l’insegnante
non indirizza, ma si limita a scegliere il testo da trattare. Nessuno sa dove la discussione
andrà a parare e non c’è alcun indirizzo dell’insegnante in un senso invece che in un altro:
egli aspetta di vedere in che modo il testo ha sollecitato l’attenzione e l’argomentare della
classe. Il docente ordina la conversazione, rilancia le frasi che meritano di essere riprese e
appoggia i punti che sono rilevanti. Il ruolo dell’insegnante non è passivo, ma è un ruolo
di tutor, di coordinatore. Questo è un punto fondamentale, molto diffi cile da far capire.
L’insegnante non ha un punto di vista sull’argomento in discussione, ma è interessato alla
discussione delle idee e dei pensieri messi in circolo dai partecipanti alla comunità di ricerca.
8. Come si organizza una lezione
1. La scelta del testo. Innanzitutto si sceglie un testo, che contenga tematiche di tipo uni-
versale o concettuale. È molto meglio scegliere un testo argomentativo o poetico invece
che un testo descrittivo o di cronaca. Anche spezzoni tratti dai fi lm possono essere molto
adatti all’applicazione di questa metodologia.
63 Annalisa Filipponi, Dalla Kinderphilosophie alla fisica, in “Edizione”, n° 29/30, Pordenone 2004.
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2. Predisposizione della classe all’attività. Nella P4C è molto importante seguire la pro-
cedura prevista, la classe ad esempio deve essere messa in cerchio. Nella Kinderphilosophie
ciò non è molto importante e la classe può essere lasciata così com’è. Predisporre la classe
all’attività signifi ca innanzitutto creare un atteggiamento di disponibilità all’ascolto e
ricordare la procedura da seguire. Spesso questa viene defi nita “l’ora della libertà” in quanto
ognuno può dire quello che vuole, sostenendo il suo punto di vista. Non c’è il giudizio
di giusto o sbagliato su quanto viene espresso dall’alunno che non viene giudicato e non
viene valutato. Semplicemente, come ci si allena in palestra per aumentare le capacità
fi siche, così ci si allena in questo spazio per aumentare le capacità di ragionamento. Il fi ne
è di divertirsi ragionando. Nella valutazione dell’alunno, in successivi contesti scolastici, si
ha una ricaduta molto forte. Se l’alunno impara ad esprimere correttamente il suo punto
di vista e lo arricchisce tramite il punto di vista dei compagni, se si pone dei perché su
determinate problematiche quando, ad esempio, svolgerà un tema in classe su un deter-
minato argomento, svilupperà le sue argomentazioni in modo più ricco ed articolato. Però
la valutazione deve essere situata nello sviluppo di quel tema, non durante l’attività, sulla
base di specifi ci indicatori per la valutazione delle capacità argomentative.64 Attraverso
delle procedure l’alunno ha acquisito delle competenze e un apprendimento signifi cativo:
la valutazione avviene sul processo e non in riferimento a ciò che di giusto o sbagliato ha
detto. Per un alunno in genere sapere che può dire quello che vuole è importantissimo.
Sapere che non è giudicato per il suo pensiero, ma solo dai suoi compagni in riferimento
all’adesione o meno alle sue argomentazioni, rafforza le sue capacità argomentative.
L’insegnante infatti non giudica mai quello che viene detto.
3. La lettura del testo. Si legge un testo, che può essere un testo scritto o un fi lm o un’opera
d’arte. Possono essere utilizzati articoli tratti da giornali, come anche brani di letteratura e
poesie in entrambi i livelli di scuola secondaria. I testi scelti devono comunque avere dei
contenuti di tipo concettuale e introdurre problemi di tipo speculativo.
4. Le regole di discussione. La classe deve essere predisposta all’attività, come si è detto,
nell’assunzione di un atteggiamento ordinato, corretto, attento e quindi si devono fi ssare
delle regole semplici: gli alunni sono liberi, non vengono giudicati, non vengono valutati,
ma devono stare in silenzio, ascoltare il pensiero di tutti, parlare quando è il proprio
turno, prenotarsi alzando la mano e aspettare ascoltando gli altri e non facendo altre
cose. Quando un compagno parla l’alunno non deve avere in mente quello che pensa
o che vuole dire, ma deve seguire quello che si sta dicendo, perché quando sarà il suo
turno dovrà raccordarsi con quello che è stato detto e non proseguire con l’esposizione
del proprio pensiero impermeabile ad altre sollecitazioni. Questo è un altro punto molto
complesso: non si sta dentro il proprio pensiero, ma si sta dentro ad un movimento di
pensiero che è il pensiero della classe. Ci sono vari punti di vista e l’alunno si aggancia
ad ognuno di essi.
64 Annalisa Filipponi, Educazione al pensiero complesso attraverso la Kinderphilosophie in una comunità di ricerca, in Ricerche nella pratica della didattica per la formazione degli insegnanti, a cura di Marisa Michelini, Forum, Udine 2003.
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5. La sottolineatura del testo. Dopo aver letto il testo c’è la sottolineatura individuale delle
frasi. La consegna dell’insegnante è molto semplice: bisogna sottolineare dove si vuole,
dove ognuno individua i punti per lui più signifi cativi. Vanno sottolineate una o due frasi
ritenute signifi cative che non sono necessariamente le più importanti, non sono collegate
tra di loro, non sono il nucleo concettuale del testo. Sono solo frasi il cui signifi cato ha
toccato il lettore.
6. L’Agenda. L’insegnante poi riporta alla lavagna le frasi che la comunità di ricerca ha
selezionato e crea un’Agenda alla lavagna. Una volta scritta l’Agenda che riporta le frasi
scelte, il punto di riferimento per impostare la fase della problematizzazione non è più
il testo che l’insegnante ha proposto, ma l’Agenda, che è il testo costruito dalla classe a
partire dalle sollecitazioni che ciascuno ha colto nel testo somministrato. A questo punto
c’è il passaggio più diffi cile: a coppie o da soli gli alunni devono cercare nell’Agenda uno
o due punti che incuriosiscano più degli altri e su questi punti vanno formulate delle
domande. Il risultato di questo lavoro di sintesi produce le domande che verranno poste
alla classe nello sviluppo della discussione.
7. La discussione. Con le domande poste alla classe c’è l’avvio della discussione che è
fi nalizzata al ricercare ed evidenziare nodi problematici. Le competenze argomentative
che si struttureranno saranno poi trasferibili in altre aree disciplinari. Se l’insegnante
sollecita un alunno a porsi dei problemi, questa curiosità verrà poi trasferita anche in altri
ambiti disciplinari come, ad esempio, nel campo della fi sica o della matematica, laddove i
problemi vengono proposti sotto forma di formule o di esperimenti65 o nello studio della
storia nella sua prospettiva semiotica.66 In questo senso la Kinderphilosophie è trasversale.
La scansione
La scansione è questa:• scelta del testo;• assegnazione delle consegne alla classe• lettura del testo• sottolineatura• scrittura dell’agenda alla lavagna• analisi a coppie o singolarmente dell’agenda e formulazione delle domande• discussione.
Figura 6
65 Progetto di raccordo Università Scuola (2002/2004): Progetto di sperimentazione didattico-innovativa e didattico-disciplinare. La problematizzazione come competenza profonda: come sviluppare l’attitudine all’indagine
scientifica e la competenza argomentativa dei risultati. Il Progetto è stato sviluppato nell’ambito dei rapporti tra l’Università degli Studi di Udine e l’Istituto comprensivo di Fagagna dall’autrice del presente saggio.
66 Hilda Girardet e Alessandra Fasulo, “I bambini riscrivono la storia: la costruzione retorica del punto di vista” in “Discutendo si impara” cit.
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9. Discussioni non chiacchiere
Problem posing e problem solving hanno in comune alcune caratteristiche, ma non quella
principale, che è quella di trovare gli spazi più ampi possibili per l’analisi e l’argomentazione.
Se, ad esempio, si pone il problema del senso della vita con la Kinderphilosophie si cercano le
argomentazioni in grado di sollecitare la discussione sulle questioni fondamentali, mentre
nessun problem solving può essere dedicato ad un argomento del genere, perché nessuno è
in grado di dire qual è il senso della vita, ma solo qual è il senso della vita secondo lui. Anche
perché poi è possibile che cambierà questo punto di vista varie volte nella sua vita e quindi
non è fondamentale arrivare alla soluzione di grandi problemi che vengono dibattuti da
millenni. Faccio un altro esempio: esiste il libero arbitrio oppure no? Qui noi non abbiamo
la soluzione perché da millenni si discute su questo problema fi losofi co. Sosteniamo il nostro
punto di vista e cerchiamo nella discussione delle argomentazioni che possano interessare,
ma non la soluzione di un problema che sta lì da tremila anni. Nel processo di discussione
avviene lo sviluppo delle competenze. Succede molto raramente che venga trovato ed esposto
l’argomento che chiude una discussione e certamente non in una classe scolastica. Il problem
posing e il problem solving divergono, dunque, già in fase preliminare.
In questo senso è importante comprendere la posizione del dubbio: se è un dubbio
cognitivo va bene, se è un dubbio esistenziale andiamo fuori dal nostro contesto, perché ci
troviamo davanti non ad un dubbio metodico, ma ad una semplice curiosità. Dall’ambito
del dubbio a quello della curiosità il salto è breve ed è necessario sapere se una discussione
sta stimolando l’atteggiamento di curiosità o quello del dubbio.
Se l’insegnante interviene durante la discussione e dice il suo punto di vista questo diventa
immediatamente il punto di vista più importante e da quel momento in poi la discussione
è condizionata da questo punto di vista gerarchicamente sistemato. Pertanto l’insegnante
rimane un coordinatore esterno e può dire che cosa trova interessante, ma non esprime
delle valutazioni. Inoltre deve stare molto attento nel dare la parola sempre a chi interviene
di meno e cercare di non far parlare sempre gli stessi alunni. L’attività ha successo quando
l’alunno che mai alzerebbe la mano in una lezione tradizionale la alza per dire a tutti il
suo pensiero e lo fa sapendo di non essere valutato, non ha paura di dire la cosa giusta o
sbagliata, ha la libertà di potersi esprimere. Quindi l’insegnante deve cercare di stimolare
una conversazione che cerchi di coinvolgere il maggior numero possibile di allievi. Il lavoro
dell’insegnante richiede molta attenzione, perché deve cogliere intuitivamente chi deve
essere inserito nella conversazione in quel preciso momento.
Un altro punto cruciale del lavoro dell’insegnante nella Kinderphilosophie è che deve
stare molto attento che la chiacchiera non sommerga la fi losofi a. Questo pericolo è parti-
colarmente evidente quando vengono portati degli esempi. L’insegnante dovrebbe cercare
di bloccare questo meccanismo, perché quando un esempio viene portato all’attenzione di
tutti (“mio nonno ha fatto così, ecc.”, “mio padre è caduto…”, “mio zio ha visto…”) l’atten-
zione si sposta su di esso e non sull’argomento da cui è nato l’esempio. Bisogna cercare di
interrompere le parti discorsive e dialogiche e mantenersi su un piano speculativo, sapendo
che non faccio storia della fi losofi a, ma ragiono nel mondo dei perché. Clotilde Pontecorvo, a
questo proposito, parla degli indicatori positivi e negativi nella forma delle categorie con cui
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si possono codifi care i diversi enunciati o le loro componenti.67 Le categorie che segnalano
un non-sviluppo sono: ripetere, confermare, riferirsi ad una esperienza personale. Le categorie
di sviluppo sono invece: apportare elementi nuovi, mettere in relazione, delimitare, opporsi
con ragioni, comporre delle relazioni di livello più alto, generalizzare, problematizzare,
ristrutturare. L’ordine delle categorie di sviluppo, inoltre, non è casuale, ma si riferisce ad un
possibile percorso di sviluppo del discorso-ragionamento collettivo e risponde ad una visione
argomentativa della costruzione della conoscenza, in cui si alternano fasi più “cognitive”
(quali mettere in relazione, generalizzare) e fasi più psico-sociali (quali delimitare, opporsi
con ragioni, problematizzare).68
Questa attività viene da anni svolta nella scuola materna, nella scuola primaria, nella
scuola secondaria di 1° e 2° grado. È un’attività che è giudicata in modo molto positivo, perché
ai bambini e ai ragazzi piace molto cambiare i ruoli tradizionali e non venir valutati. Chi la
sperimenta vede che la classe ci crede. È importante però convincere all’ascolto e accettare
solo interventi per alzata di mano. Bisogna obbligare gli alunni a motivare il proprio punto
di vista: questo atteggiamento poi lo si ritrova come atteggiamento della classe anche in altri
contesti. È un esercizio all’ascolto e l’ascolto è un problema grosso dei nostri tempi. Siamo
tutti come i tre nipotini di Paperino che dicono la loro, ma non si collegano al contesto con
un ascolto attivo dell’altro. L’insegnante deve cercare di collegare tutto perché diventi un
atteggiamento della classe. I ragazzi vivono quest’esperienza molto bene: ci sono ricerche
universitarie sia sull’orientamento sia sulla trasmissibilità nell’ambito della fi sica e le classi
che hanno lavorato con questa procedura risultano aver acquisito un desiderio all’argomen-
tazione e una capacità di sintesi decisamente superiore alle classi di confronto.69 Mettendo
a confronto l’interazione tra una lezione tradizionale e una lezione di Kinderphilosophie si
è potuto misurare che l’insegnante interviene nelle lezioni abituali molto con poche inter-
ruzioni e queste sono sempre degli stessi alunni, mentre nelle lezioni di Kinderphilosophie
gli interventi dell’insegnante sono pochi e quelli degli alunni sono molti e di molti alunni,
anche di quelli che non parlano mai70.
10. Conclusione
Per concludere riassumiamo dicendo che la Kinderphilosophie è una metodologia didattica
e formativa che, partendo da un testo, vuol permettere agli alunni di migliorare le proprie
capacità di ragionamento ed organizzazione logica. Il “fi losofare” attraverso una metodologia
strutturata porta infatti ad una educazione al pensiero critico attraverso la problematizza-
zione e l’argomentazione.
67 Clotilde Pontecorvo, Anna Maria Ajello e Cristina Zucchermaglio, cit.
68 Ricerca di Pontecorvo e Zuccherrmaglio, 1984 in “Discutendo si impara”, cit.
69 Progetto di raccordo Università Scuola (2002/2004): Progetto di sperimentazione didattico-innovativa e didattico-disciplinare. La problematizzazione come competenza profonda: come sviluppare l’attitudine all’indagine
scientifica e la competenza argomentativa dei risultati, cit.
70 Annalisa Filipponi, Il testo di partenza nella Kinderphilosophie, in “Edizione”, Pordenone 2004.
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La Kinderphilosophie si fonda sul riconoscimento della necessità di educare il pensiero al
confronto con la complessità delle esperienze in un mondo in cui il pensiero appare sem-
pre più a rischio di riduzioni e di banalizzazioni. Questo metodo pedagogico, valorizzando
contraddizioni, relazioni, complessità, tende alla formazione di un pensiero complesso, ed
alla costruzione di un pensiero critico (ragionevole, diretto verso un obiettivo, valutativo).
Il procedimento attraverso cui la Kinderphilosophie vuole raggiungere questi obiettivi è un
procedimento di ricerca fondato sul dialogo, che favorisce le esperienze del pensiero attra-
verso l’uso del linguaggio (il riferimento teorico più diretto è relativo al socio-costruttivismo
di Vygotskij, che ritiene il processo cognitivo determinato dai contesti socio-culturali di
riferimento).
Interiorizzando il dialogo non solo si riproducono le procedure cognitive ed i pensieri
espressi dagli altri, ma si attivano meccanismi interindividuali di risposta a tali pensieri,
assumendo il procedimento critico ed argomentativo che si produce a livello intersoggettivo
come pensiero individuale. Per ottenere tutto ciò la classe, organizzata con regole specifi che,
fi nalizza il suo lavoro alla ricerca (comunità di ricerca), cioè allo sviluppo di nuovi percorsi
nel ragionamento logico. In questa comunità di ricerca si attiva la fi losofi a come dialogo,
problematizzando innanzitutto una situazione e spingendo il bambino a trovare soluzioni.
Come Socrate, anche la Kinderphilosophie ritiene che non si possa apprendere attraverso la
sola esposizione. I bambini infatti imparano: proponendo problemi – discutendone – cer-
cando soluzioni argomentative.
Se la fi losofi a è ricerca di quello che non sappiamo, dice Lipman della Philosophy for
Children, perché escludere i bambini che nascondono con naturalezza dietro ai loro perché
problematiche di tipo fi losofi co e si esprimono attraverso quello che il fi losofo americano
Saul Kripke ha chiamato pensiero intermittente (cioè attraverso l’espressione di concetti
molto profondi all’interno di un contesto di banalità e scontatezze)? L’obiettivo cognitivo
della Kinderphilosophie non è la soluzione di problemi, ma la loro ricerca. Nella comunità
di ricerca ognuno esprime con ordine il suo punto di vista e sta attento a quello degli altri
ed attraverso la dialettica della ricerca si giunge alla costruzione di qualche cosa che è di
tutti e dove ognuno riconosce il proprio contributo. Punto di partenza di questo processo
didattico è la presa di coscienza della complessità del proprio io, e del riconoscimento di
quello altrui. Rifl ettendo sul pensiero, i bambini sono poi condotti a chiedersi il signifi cato
di alcuni processi quali: comunicare, apprendere, confrontarsi, rispettarsi.
Da questa sintetica esposizione sulle basi scientifi che e sulle procedure della Kinderphi-
losophie, appare evidente quanto questa metodologia possa divenire strumentale all’acquisi-
zione di un apprendimento signifi cativo all’interno di un processo orientativo, in particolare,
nella formazione di abilità trasversali, quali la problematizzazione e l’argomentazione che,
riferendosi ai diversi contributi disciplinari, ne sono parte fondante.
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Il supervisore e le sfi de delle esigenze didattiche:
i disturbi specifi ci dell’apprendimento e la preparazione
ai tirocini disciplinariClaudia Bruno, Supervisore SSIS dell’Indirizzo Linguistico Letterario,
Patrizia Querini, Supervisore SSIS del Sostegno, Università degli Studi Udine
1. I disturbi specifi ci dell’apprendimento: defi nizione e caratteristiche generali
La categoria dei disturbi specifi ci di apprendimento (defi niti con termine inglese learning
disabilities) deve essere ben distinta dalla categoria più ampia e generica delle diffi coltà di
apprendimento, che comprende qualsiasi diffi coltà incontrata da uno studente durante la
sua carriera scolastica e dovuta al concorso di innumerevoli e variegati fattori che riguar-
dano sia l’alunno sia il contesto in cui egli si colloca (ad es. ambiente socio-culturale,
clima familiare, qualità dell’istituzione scolastica, personalità, motivazioni, autostima,
socializzazione…).
La categoria dei disturbi specifi ci di apprendimento implica a sua volta tipologie
estremamente diverse di diffi coltà, associate più spesso da ciò che non hanno in comune
piuttosto che da quello che hanno (in base ai cosiddetti fattori di esclusione); per tale motivo
si è resa necessaria una chiara defi nizione e codifi cazione del problema e ha ottenuto
molti consensi quella proposta nel 1988 dalla NJCLD (National Joint Committee on
Learning Disabilities71):
disturbi specifi ci di apprendimento (learning disabilities) costituiscono un termine di carattere generale che si riferisce a un gruppo eterogeneo di disordini che si manifestano con signifi cative diffi coltà nell’acquisizione e uso di abilità di comprensione del linguaggio orale, espressione linguistica, lettura, scrittura, ragionamento o matematica. Questi disordini sono intrinseci all’individuo, presumibilmente legati a disfunzioni del sistema nervoso centrale e possono essere presenti lungo l’intero arco di vita. Problemi relativi all’autoregolazione del comportamento, alla percezione ed interazione sociale possono essere associati al disturbo di apprendimento, ma non costituiscono, per se stessi, dei disturbi specifi ci di apprendimento. Benché possano verifi carsi in concomitanza con altre condizioni di handicap (per esempio danno sensoriale, ritardo mentale, serio disturbo emotivo) o con infl uenze esterne come le differenze culturali, insegnamento insuffi ciente o inappropriato, i disturbi specifi ci di apprendimento non sono il risultato di queste condizioni o infl uenze72.
71 La NJCLD è una organizzazione nordamericana, fondata nel 1975, rappresentativa di varie organizzazioni del campo: American Speech-Language-Hearing Association (ASHA), Association for Higher Education and Disability (AHEAD), Association of Educational Therapists (AET), Council for Learning Disabilities (CLD), Division for Communicative Disabilities and Deafness (DCDD), Council for Exceptional Chil-dren, Division for Learning Disabilities (DLD), Council for Exceptional Children, International Dyslexia Association (IDA), International Reading Association (IRA), Learning Disabilities Association of America (LDA), National Association for the Education of African American Children with Learning Disabilities, National Association of School Psychologists (NASP), National Center for Learning Disabilities (NCLD).
72 In C. CORNOLDI, Le difficoltà di apprendimento a scuola, Bologna, Il Mulino, 1999, pag.30
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La suddetta defi nizione identifi ca i disturbi specifi ci di apprendimento evidenziandone
i fattori di esclusione (diffi coltà non dovute ad handicap o fattori esterni), una possibile
causa/origine (una qualche forma di disfunzione del sistema nervoso centrale73) ed
alcune caratteristiche frequentemente associate (interazione sociale, percezione sociale,
autoregolazione).
Conseguentemente alla varietà e complessità dei disturbi specifi ci di apprendimento
sono stati ipotizzati diversi sistemi di classifi cazione sui quali non sempre si è riscontrata
unanimità di consensi.
La psicologa Linda Siegel dell’Università di Vancouver ha proposto una distinzione
semplice e chiara fondata sulle due abilità fondamentali sulle quali possono riscontrarsi i
disturbi di apprendimento: la lettura e l’aritmetica; pertanto distingue disturbi specifi ci di
apprendimento in lettura, disturbi specifi ci di apprendimento in aritmetica, disturbi misti.
Una classifi cazione molto diffusa, ripresa anche nel Manuale Icd-10 dell’Organizza-
zione Mondiale della Sanità, è quella proposta dal Dsm-IV (quarta edizione del Diagnostic
Statistic Manual degli psichiatri nordamericani). Tale classifi cazione individua tre tipologie
specifi che: lettura, scrittura, calcolo, confermando sostanzialmente le due aree individuate
dalla Siegel ed aggiungendone una terza: quella della scrittura.
Da qui sono derivate una serie di etichette classifi catorie largamente conosciute o
alcune intercambiabili come ad es. “dislessia” per “disturbo di lettura” e comunemente si
defi niscono i bambini con disturbi specifi ci di apprendimento “dislessici” anche se di fatto
presentano altri problemi74. In campo medico sono utilizzate diverse etichette diagno-
stiche le cui principali sono: dislessia, disortografi a, disgrafi a, disfasia, dislalia, disartria,
discalculia, disprassia, disprattognosia.
2. Iter scolastico e relativa legislazione in materia di dislessia
La gestione dei disturbi relativi all’apprendimento quali la dislessia75 nell’ambito sco-
lastico presenta una certa complessità, a seguito della mancanza di una legge specifi ca
più volte presentata e bloccata sia nella attuale che precedente legislatura.
La problematica non è stata infatti a tutt’oggi codifi cata in maniera chiara a livello
legislativo, non esiste cioè per i dislessici una legislazione né generale, né specifi ca in
materia di integrazione scolastica e universitaria e di inserimento sociale e nel mondo
del lavoro. 76
73 Si ritiene che i disturbi specifici di apprendimento non dipendano da deficit intellettivi, non siano associati a patologie neurologiche o sensoriali, non siano causati da problemi psicologici o ambientali. Essi hanno un’origine costituzionale, una base neurobiologica, probabilmente connessa ai meccanismi di apprendimento legati alla cosiddetta memoria inconsapevole; ciò comporta una realtà permanente.
74 Il termine dislessia è divenuto sinonimo di qualsiasi tipo di disturbo dell’apprendimento.
75 Intesa secondo quanto detto precedentemente come disturbo generico, nella accezione più ampia del termine.
76 Nel 2006 il deputato Mauro Fabris ha presentato un disegno di legge in materia di Disturbi Specifici dell’Apprendimento che è stato bloccato alla Commissione Bilancio. Il 12 aprile 2007 a Taranto nel corso della Conferenza Nazionale “Tutela dei diritti tra normativa e pari opportunità” è stata firmata una Dichia-
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Gli studenti affetti da disturbi specifi ci di apprendimento non sono assimilabili ai
diversamente abili di cui alla legge 104 / 92, come risulta evidente dalla defi nizione sopra-
citata, se non in presenza di patologie associate, che però non costituiscono la regola né
sono caratterizzanti dei disturbi specifi ci dell’apprendimento. La legge 104 / 92 è rivolta
a tutelare persone portatrici di handicap secondo le tre categorie fondamentali: mentale,
sensoriale, motorio; ciò comporta in campo scolastico l’assegnazione di un insegnante di
sostegno che si affi anca all’insegnante di classe al fi ne di ricercare le condizioni ottimali
per la partecipazione alle attività didattiche e per il successo scolastico.
Di contro non c’è alcuna legge che assicuri ai dislessici pari opportunità di apprendi-
mento e di successo formativo, contravvenendo così all’art. 3 della Costituzione Italiana,
che intende garantire a tutti i cittadini, indipendentemente allo status di partenza, il pieno
sviluppo della persona umana, e sottovalutando o non considerando adeguatamente un
fenomeno di proporzioni non irrilevanti all’interno della scuola italiana: diverse statistiche
hanno confermato che il 5% della popolazione scolastica è affetto da disturbi specifi ci
di apprendimento e in Italia il problema riguarda circa un milione e mezzo di persone77.
Sono state emanante negli ultimi anni e sono in vigore delle circolari ministeriali78 che
ribadiscono la possibilità di mettere in atto interventi compensativi e dispensativi, per gli
alunni affetti da tale disturbo, in tutte le fasi del percorso scolastico, compresi i momenti
di valutazione fi nale, nel contempo si specifi ca che tali provvedimenti dispensativi e
compensativi possono essere applicati a seguito di semplice diagnosi specialistica, senza il
necessario ricorso alla legge 104 / 92. In particolare tra gli strumenti compensativi essen-
ziali vengono indicati: tabella dei mesi, tabella dell’alfabeto, e dei vari caratteri, tavola
pitagorica, tabella della misure, tabella delle formule geometriche, calcolatrice, registratore,
computer con programmi di video scrittura con correttore ortografi co e sintesi vocale;
tra gli strumenti dispensativi: dispensa dalla lettura ad alta voce, dalla scrittura veloce
razione di Intenti a tutela del diritto alla formazione del bambino dislessico e con Disturbi Specifici dell’Ap-prendimento, al fine di far sì che le Associazioni firmatarie (6 tra le più importanti a livello nazionale ed internazionale ed diverse altre locali) promuovano ad ogni livello l’approvazione di una legge nazionale. Il 21 giugno 2007 è approvato il ddl n. 502 in sede deliberante, dalla Commissione Istruzione del Senato a larghissima maggioranza (www.orizzontescuola.it).
77 Dati riportati nel sito www.dislessia.it, www.orizzontescuola.it, e in C. CORNOLDI, Le difficoltà … cit., pag.7.
78 Sono state emanate le seguenti circolari e note ministeriali: Circ. Prot. n. 4099/A4° del 5 ottobre 2004 Iniziative relative alla Dislessia, tale circolare fornisce una sommaria definizione e descrizione del problema, con vaghe indicazioni relative ai test diagnostici in uso nei protocolli dell’AID (Associazione Italiana Dislessia) e della SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile) ed indica alcuni strumenti compensativi e dispensa-tivi; Circ. Prot. n. 26/A del 5 gennaio 2005 Iniziative relative alla Dislessia, si precisa che per l’utilizzazione degli strumenti compensativi e dispensativi in tutte le fasi del percorso scolastico può essere sufficiente la diagnosi specialistica; Nota 1 marzo 2005 Prot. n. 1787 Esami di stato 2004-2005 – Alunni affetti da dislessia, sensibilizza le Commissioni affinché adottino “ogni opportuna iniziativa idonea a ridurre il più possibile le difficoltà degli studenti” senza specificare quali e “valutando anche la possibilità di riservare […] tempi più lunghi di quelli ordinari” anche in questo caso lasciando nel vago ogni elemento. Tali elementi sono ribaditi nella O.M. n.22 del 20-2-2006, nelle note Prot. n.8462, del 10-5-2006, Prot. n. 4009 del 5-1-2005
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sotto dettatura, dall’uso del vocabolario, dall’apprendimento mnemonico delle tabelline,
dispensa, ove necessario, dallo studio della lingua straniera in forma scritta, program-
mazione di tempi più lunghi per prove scritte e per lo studio a casa, organizzazione di
interrogazioni programmate.
Sono state cioè defi nite delle misure strategiche tese a favorire, dal punto di vista umano-
relazionale, situazioni di serenità e benessere, a dispensare da prestazioni imbarazzanti e
a compensare – mediante l’uso di strumenti ausiliari anche informatici, la concessione di
tempi di esecuzione più lunghi, l’adozione di nuovi modi di insegnamento e di adeguate
forme di verifi ca e di valutazione – le oggettive condizioni di svantaggio.
3. Le fi gure professionali coinvolte: gli insegnanti e il problema della formazione
L’aiuto istituzionale offerto allo studente con disturbi di apprendimento specifi ci è
davvero modesto, rispetto a quanto la legislazione stabilisce in relazione agli alunni diver-
samente abili, e nel contempo rappresenta quasi un controsenso, in quanto le possibilità
di intervento e di miglioramento sarebbero maggiori in funzione del successo formativo e
scolastico. Tre sono le fi gure professionali che possono interagire effi cacemente ed offrire
un valido supporto alle famiglie e alle scuole: il pedagogista, lo psicologo, il neuropsi-
chiatria infantile. Allo stato attuale nel contesto scolastico, laddove non esistano equipe
di operatori pedagogici e psicopedagogisti, che operino all’interno della scuola – cosa
peraltro frequente – di questi studenti si fanno interamente carico gli insegnanti di classe,
che, con opportuna sensibilizzazione e relativa preparazione, possono rivolgere loro la
dovuta e specifi ca attenzione; tuttavia non sempre questi rivelano, purtroppo, una adeguata
conoscenza del problema e conseguentemente delle effi caci possibilità di intervento79.
L’insegnante disciplinare deve cioè possedere competenze e strumenti atti a:
• riconoscere e individuare il disturbo;
• interagire in una effi cace collaborazione con la famiglia ed eventuali operatori
sanitari;
• conoscere metodologie e strumenti atti a compensare le diffi coltà;
• operare con detti strumenti;
• perseguire obiettivi comuni all’intera classe.
79 Alcune recenti indagini statistiche, pubblicate da Carla Chiaramoni, Disturbi dell’apprendimento: insegnanti
impreparati a riconoscere sintomi, 8 gennaio 2007, www. orizzontescuola.it, hanno rivelato che il 77% del totale degli insegnanti intervistati della scuola primaria non distingue tra difficoltà di apprendimento e disturbi specifici e il 57% ritiene che i disturbi specifici precedano le difficoltà di apprendimento, solo il 26% risponde esattamente; per quanto riguarda gli insegnanti della scuola secondaria di 1° grado l’8,5% degli intervistati non riconosce nessuna differenza tra disturbi specifici e difficoltà di apprendimento e il 2,2% non sa rispondere, il 59% ritiene che i disturbi specifici precedano le difficoltà di apprendimento, solo il 19% risponde esattamente. Di contro una indagine condotta a tappeto in un comprensorio del Nord-est dagli psicologi Cacciamani, Falco e Focchiatti ha rivelato che il 50% dei genitori e una percentuale non inferiore di insegnanti ritiene di avere conoscenze adeguate per trattare le difficoltà di apprendimento; in questo caso si è anche rivelato il dubbio di una possibile presunzione, ma non effettiva acquisizione di adeguate competenze.
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Risulta evidente come a questo punto assuma una notevole importanza la formazione
iniziale ed in servizio dell’insegnante. Da qualche anno l’Associazione Italiana Dislessia è
stata autorizzata dal MIUR a tenere corsi di formazione per gli insegnanti in servizio: già
dal 200480 sono state realizzate interessanti iniziative a livello regionale, diffuse anche sul
territorio nazionale al fi ne di sensibilizzare gli insegnanti sul problema e di conseguenza
renderli di desiderosi di apprendere, cioè di formazione, proponendo loro una serie di
opportunità formative.
Si ritiene in particolare signifi cativo segnalare alcune attività realizzate in Emilia
Romagna quali l’individuazione di insegnanti referenti nell’ambito delle scuole o del
territorio scolastico, il supporto e consulenza giuridica a scuole e famiglie, la collabora-
zione nella predisposizione di pacchetti formativi sui disturbi di apprendimento secondo
diverse tipologie e livelli di approfondimento, rivolte agli insegnanti ed eventualmente
anche ai genitori, la disponibilità a fornire esperti per incontri con insegnanti e/o genitori
sulle tematiche dei diritti dei dislessici. Dall’anno 2006 l’A.I.D. ha dato vita, inoltre, ad un
piano formativo nazionale che il MIUR ha già promosso in 12 regioni e che sarà esteso
in tutta Italia (nell’arco del biennio 2006 / 08), al fi ne di realizzare e sperimentare diverse
modalità di intervento e creare modelli trasferibili di buone pratiche81.
Tutto ciò, se da un lato compensa ed integra il problema della formazione in servizio,
non può essere considerato risolutivo né tantomeno risponde alle esigenze della forma-
zione iniziale.
4. Il valore della sinergia tra le aree nella formazione iniziale
Dai dati presentati emerge con chiarezza tutta l’evidenza della problematica: nelle
classi della scuola secondaria di primo grado (e via via con il trascorrere degli anni anche
in quelle della secondaria di secondo grado) si trovano con sempre maggiore frequenza
alunni affetti da disturbi specifi ci di apprendimento, oltre che alunni diversamente abili,
e ciò non può non coinvolgere i tirocini e dunque porre all’attenzione della formazione
iniziale, e quindi delle scuole di specializzazione, la dovuta attenzione al problema anche
in ambito disciplinare e non esclusivamente in relazione all’area del sostegno.
Gli specializzandi infatti si trovano spesso ad effettuare il loro tirocinio in classi dove
sono presenti alunni in situazione di handicap e/o alunni con dislessia e devono pertanto
essere in grado di collaborare attivamente e fattivamente non solo con l’insegnante acco-
gliente disciplinare, ma anche con l’insegnante di sostegno e quanto meno conoscere ed
operare con strumenti semplici, ma adeguati nei confronti degli alunni dislessici.
80 L’Associazione Italiana Dislessia è un ente accreditato per la formazione del personale della scuola con decreto del 6/12/04 Prot. n. 4344/C/3 del 9/12/2004.
81 E’, inoltre, in corso di sperimentazione in Lombardia ed in seguito coinvolgerà 6 regioni (Emilia-Romagna, Marche, Sicilia, Toscana, Lombardia, Umbria) il Progetto Aprico gestito in collaborazione dai seguenti enti: A.I.D, Fondazione ASPHI onlus, Università di Urbino, Università di Modena e Reggio Emilia, Uffici scolastici regionali, CSA provinciali, ASL territoriali (www.aprico.it).
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La presenza di studenti affetti da dislessia non può e non deve essere semplicemente
ignorata, ma nell’ambito della pur ristretta azione didattica operata nei tirocini, i tiroci-
nanti devono saper intervenire ed interagire con la dovuta competenza, sia pure ancora in
formazione. A partire dal momento osservativo fi no alla sperimentazione vera e propria
dell’azione didattica il tirocinante deve essere in grado di rilevare procedure ed approcci
corretti nei confronti di tali alunni e pertanto deve conoscere il problema, sapere conse-
guentemente osservare la pratiche didattiche in uso dall’insegnante accogliente e riprodurle
proponendosi, se possibile, come risorsa in funzione dell’innovazione didattica o quanto
meno in funzione della revisione e/o rifl essione critica sulle pratiche didattiche adottate.
La scuola e l’università devono agire in un processo osmotico in cui le sfi de poste
da esigenze didattiche sempre nuove vengono accolte e rese effi caci grazie alla profi cua
interazione di pratica, ricerca, rifl essione critica, revisione ed il tirocinio si rivela ancora
una volta mirabile cerniera tra formazione iniziale e formazione in servizio.
La scuola di specializzazione deve essere chiamata nella specifi ca situazione a potenziare
competenze di ambito disciplinare (non a crearne necessariamente di nuove!), attuando
una strategica sinergia tra l’area del sostegno e quella delle discipline, in modo tale da
favorire un approccio completo e complesso, anche nell’ambito dei tirocini, con alunni
affetti da tale disturbo.
Nel quadro delle competenze del profi lo professionale del docente defi nito dalla
scuola di specializzazione di Udine sono indicate le competenze operative professionali
che costituiscono obiettivo del tirocinio82:
Area della progettazione Presuppone l’acquisizione di competenze relative alla:• Costruzione di un curricolo coerente con i livelli di partenza della/e classe/i.• Scansione dello stesso in ‘moduli’ e/o Unità Didattiche.• Strutturazione sul piano diacronico e sincronico di ‘mappe concettuali reticolari’ della
disciplina.• Costruzione di un progetto di ricerca con implicazioni pluri/inter/metadisciplinari.• Conduzione di momenti di analisi e di ricerca autonomi da parte degli allievi (o proposti
dagli stessi o attivati dal docente).• Acquisizione da parte degli allievi di un metodo di studio individualizzato e fi nalizzato
ad un apprendimento metodico, organico, rifl essivo e personalmente rielaborato.
Area della programmazionePrerequisiti• Conoscenza degli obiettivi formativi e didattici del POF e del/i Consiglio/i di Classe in
cui opera.• Conoscenza della programmazione disciplinare dipartimentale e individuale e delle
motivazioni teoriche e/o contingenti sottese alle scelte effettuate.
82 Tale quadro delle competenze del Profilo professionale è stato pubblicato a cura del supervisore di tirocinio prof. Ermes Dorigo in Formazione iniziale degli insegnanti di scuola secondaria a Udine, Forum, Udine 2004, ed è inserito anche nel Manuale di aSSIStenza per il tirocinio a.a. 2006-2007. Materiale non pubblicato, Udine; Uni-versità di Udine presente nel sito internet http://web.uniud.it/fasf/ssis/Tirocinio/F_Profilo_professionale.htm
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Acquisizione competenze
• Padronanza della struttura di una programmazione. • Padronanza di concetti-chiave di base: obiettivi formativi; obiettivi didattici; obiettivi cognitivi; obiettivi trasversali; obiettivi relazionali; conoscenze, capacità, abilità, competenze; metodo induttivo; metodo ipotetico-deduttivo; conduzione dell’attività didattica e modalità di lavoro (lezione frontale, lavori di gruppo,
lavoro individualizzato di potenziamento e di sostegno, attività di animazione e para-scolastiche);
misurazione e valutazione: relativi criteri e strumenti.
Area delle competenze disciplinari
• Comprende la conoscenza dei fondamenti epistemologici e della struttura della propria disciplina, dei suoi punti nodali e della scansione temporale; quindi le capacità di:
Costruire i test d’ingresso e verifi care il livello di partenza della classe; Defi nire le valenze formative della propria disciplina e gli obiettivi didattici; Scandire gli obiettivi in una sequenza temporale coerente; Costruire le prove di verifi che coerenti con gli obiettivi prefi ssati; Misurare e valutare secondo criteri espliciti; Utilizzare metodologie, tecniche, strumenti diversi (anche nuove tecnologie); Progettare e realizzare una o più lezioni.
Area delle competenze relazionali
• Saper gestire la classe e le sue dinamiche.• Saper motivare gli allievi allo studio.• Saper inviare degli stimoli differenziati e ‘individualizzanti’.• Saper ascoltare le persone coinvolte nel processo educativo.• Saper gestire lavori di gruppo e di ricerca.
Area della formazione professionale
• Rifl essione sulle procedure attivate.• Uso di strumenti di auto osservazione.• Attivazione di procedure di ricerca-azione.• Collaborazione con i colleghi.
L’acquisizione di tali competenze, con particolare attenzione alle seguenti: l’acquisizione da parte degli allievi di un metodo di studio individualizzato e fi nalizzato ad
un apprendimento metodico, organico, rifl essivo e personalmente rielaborato, la conoscenza degli
obiettivi formativi e didattici del POF e del/i Consiglio/i di Classe in cui opera, la conduzione
dell’attività didattica e modalità di lavoro (lezione frontale, lavori di gruppo, lavoro individua-
lizzato di potenziamento e di sostegno, attività di animazione e parascolastiche), l’utilizzazione di
metodologie, tecniche, strumenti diversi (anche nuove tecnologie), la gestione della classe e delle sue
dinamiche, l’invio di stimoli differenziati e ‘individualizzanti’, l’ascolto delle persone coinvolte nel
processo educativo, la rifl essione sulle procedure attivate, l’uso di strumenti di auto osservazione,
l’attivazione di procedure di ricerca-azione, la collaborazione con i colleghi
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si deve necessariamente esplicare anche nei confronti degli allievi affetti da dislessia
che della classe fanno parte a tutti gli effetti, non sono equiparabili ad allievi diversamente
abili, e pertanto sono assolutamente a cura degli insegnanti disciplinari di classe.
Ampliando, dunque, la sfera di tali competenze in relazione alla presenza di alunni
affetti da disturbo specifi co di apprendimento in classe si presuppone che obiettivi del
tirocinio di qualsiasi ambito disciplinare siano anche: l’interazione con l’equipe psico-
pedagogica della scuola (laddove presente), l’adozione di strumenti atti a potenziare il
metodo di studio dei suddetti allievi, la defi nizione di obiettivi comuni alla classe, la rea-
lizzazione di percorsi didattici in cui si operi in modo individualizzato, con metodologie,
strumenti, tecniche diverse.
5. L’esperienza della scuola di specializzazione di Udine
Per tale motivo nell’ambito della preparazione al tirocinio dell’area letteraria della
scuola di specializzazione di Udine sono stati effettuati degli interventi programmati in
collaborazione tra supervisori dell’area del sostegno e dell’area letteraria, per evidenziare
la problematicità di approccio in tali contesti di insegnamento e relativi strumenti e/o
metodologie da adottare.
Nell’anno accademico 2005-2006 e nell’anno accademico 2006-2007 sono stati rea-
lizzati degli incontri a cura del supervisore di tirocinio dell’area del sostegno prof. Patrizia
Querini, concordati con i supervisori dell’area linguistica indirizzo letterario e rivolti agli
specializzandi del primo anno dell’area letteraria.
Si è inteso in questo modo sensibilizzare i docenti in formazione iniziale sulla proble-
matica, offrire loro occasione di arricchire la formazione e consentire un corretto approccio
didattico in funzione dell’avvio dei tirocini disciplinari nelle scuole, seguiti comunque dai
supervisori dell’area disciplinare, con occasione di revisione comune e confronto con il
collega dell’area del sostegno.
Gli incontri proposti hanno avuto come tema i seguenti argomenti:
• Esame della normativa inerente alla dislessia (circolari del 05/10/2004 e del 05/01/2005,
nota del 01/03/2005).
• Informazione sulla problematica (defi nizione, statistiche/percentuali di allievi affetti
da disturbo specifi co di apprendimento, responsabilità del docente di disciplina).
• Valutazione dell’uso di strumenti compensativi e dispensativi in relazione:
- ai diversi gradi di scuola;
- al piano personalizzato;
- alla valutazione.
• Rifl essione su esperienze realizzate.
Si è proposta, cioè, una particolare attenzione alle possibili pratiche didattiche, a sup-
porto di quanto studiato a livello teorico nell’area pedagogica e soprattutto a chiarimento
del fatto che tali problematiche non riguardano esclusivamente l’area del sostegno, ma
in modo precipuo sono parte integrante della formazione disciplinare di ogni docente.
Il percorso formativo quindi prosegue nell’ambito dei tirocini disciplinari con la dovuta
attenzione dai parte dei supervisori dell’area disciplinare in relazione alla formazione
anche nei confronti di alunni con tali problematiche.
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Tra le diverse esperienze possiamo citare quella effettuata da una tirocinante di ambito
letterario nell’ambito della scuola secondaria di primo grado.83 Nel corso dell’anno sco-
lastico 2006-2007 la specializzanda ha effettuato il tirocinio in una classe seconda di una
scuola media della provincia di Pordenone in cui era presente uno studente affetto da
dislessia, avendo modo già nel periodo di osservazione di poter valutare con attenzione
le tecniche didattiche adottate in relazione alla specifi ca situazione.
La tirocinante, avendo acquisito la dovuta consapevolezza del problema e una cor-
retta informazione, ha rilevato come l’insegnante di classe prediligeva all’interno della
didattica la visualizzazione tramite immagini degli argomenti affrontati in modo da
favorire il processo di apprendimento dello studente in questione, per il quale si riteneva
fondamentale il supporto della memoria visiva, all’interno di attività didattiche comuni
all’intera classe, e ha quindi riferito al supervisore l’esperienza, attivando anche in questa
sede un costruttivo confronto.
Nell’attuazione del percorso di insegnamento, in collaborazione e costante dialogo
con l’insegnante di classe, la specializzanda ha potuto agire didatticamente con respon-
sabilità ed attenzione anche nei confronti del ragazzo, con l’opportunità di apprendere,
sperimentare e verifi care altre tipologie di tecniche ed attività didattiche (peer-tutoring,
cooperative learning, uso di grafi ci, supporto iconografi co, giochi di ruolo anche per
attività di rifl essione sulla lingua).
L’intervento didattico, come d’altronde tutti i tirocini, è stato infi ne discusso e nuova-
mente revisionato con il supervisore di riferimento, arricchendosi di ulteriori suggestioni
e rifl essioni critiche.
Si riscontra quindi una ricaduta favorevole sui tirocini in atto, anche nella consapevo-
lezza con cui gli specializzandi agiscono nei confronti dei suddetti alunni, a confronto con
i percorsi di informazione/formazione che i docenti in servizio hanno autonomamente
effettuato nella necessità della situazione di insegnamento.
6. Rifl essioni e conclusioni
In merito all’esperienza fatta ed in corso di svolgimento si ritiene che questa modalità
di interazione e collaborazione tra aree, anche in funzione della preparazione ai tirocini,
si sia rivelata un modello effi cace e possa già rispondere ad alcune esigenze formative.
In primo luogo è estremamente funzionale all’informazione corretta e alla conoscenza
del problema: i docenti in formazione iniziale sono in questo modo sensibilizzati e hanno
maggiori possibilità di istituire un approccio didattico corretto.84
In secondo luogo chiama all’assunzione di una responsabilità formativa anche nell’agire
didattico una struttura, la SSIS, che per sua natura è stata creata proprio per la formazione
83 Quanto di seguito riportato è contenuto nelle relazioni/diario di tirocinio che la tirocinante ha sottoposto all’attenzione del supervisore di riferimento prof. Claudia Bruno.
84 Si ricorda che alcune statistiche citate precedentemente in nota evidenziavano una non corretta distin-zione anche a livello di definizione e terminologia tra difficoltà di apprendimento e disturbo specifico di apprendimento.
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iniziale dei docenti, senza demandare nel tempo l’acquisizione delle necessarie competenze
ad ulteriori percorsi formativi gestiti da enti non propriamente preposti alla formazione
degli insegnanti sia pure altamente qualifi cati in questo campo.85
In terzo luogo il tirocinio si rivela ancora una volta signifi cativo in quanto opportunità
di rifl essione critica, luogo di incontro di teoria e prassi, verifi ca e sperimentazione di
pratiche didattiche e dunque stimolo all’innovazione didattica per rispondere alle sfi de
sempre nuove che si propongono agli insegnanti.
Alla luce di queste rifl essioni è nostra intenzione continuare in questo progetto di
formazione costruito in collaborazione tra supervisori di diverse aree e prospettare per il
futuro possibili nuovi percorsi da proporre.
85 Senza volere, per questo, precludere, nello spirito del lifelong-learning, la possibilità di seguire corsi e percorsi di aggiornamento di diversa tipologia.
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125
Il tirocinio di sostegno, una risorsa per la scuola accogliente.
Paola Beltrame, Supervisore SSIS per il Sostegno, Università degli Studi di Udine
1. Accogliente, supervisore, tirocinante: un team per la qualità dell’intervento
L’Università degli Studi di Udine, nell’ambito della Scuola di Specializzazione per l’Inse-
gnamento nella Scuola Secondaria (SSIS), attiva annualmente un Modulo di Specializzazione
(400 ore) per l’attività didattica di sostegno ai sensi del D.M. 26 maggio 1998, art. 4, comma
8, riservato agli abilitati nell’ambito della Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento
nella Scuola Secondaria; inoltre in diversi anni accademici recenti è stato attivato un Corso
di Specializzazione (800 ore) per l’attività didattica di sostegno, ai sensi dell’art.2 del D.M.
20.2.2002, riservato a docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado abilitati
attraverso vari canali e sprovvisti del titolo specifi co. I due percorsi di formazione prevedono
rispettivamente 80 ore e 160 ore di tirocinio diretto, da effettuarsi in classi dove sia inserito
almeno un alunno con certifi cazione di handicap; l’intervento del tirocinante nella scuola
accogliente è regolato da uno specifi co Accordo Attuativo (nell’ambito di una più generale
Convenzione Quadro che sancisce il rapporto di collaborazione scuola-università), ed è
seguito da un insegnante Accogliente (di norma specializzato per il sostegno), nonché verifi -
cato dal Supervisore di tirocinio per il sostegno. L’esperienza di tirocinio consta di attività di
osservazione del caso del ragazzo in situazione di handicap e di interventi didattici guidati
dall’insegnante accogliente in collaborazione con il supervisore: il tutto viene comunicato
nei gruppi di lavoro costituiti nell’ambito del Tirocinio Indiretto di 40 ore, ed è oggetto di
una relazione fi nale, che sarà discussa in sede di esame di diploma.
La presenza di un tirocinante di sostegno nella scuola viene in genere vissuta come
una risorsa per l’istituto stesso: il confronto sulle delicate questioni inerenti l’intervento
con l’allievo disabile è visto come uno stimolo per il docente accogliente e come un aiuto
inaspettato dai colleghi curricolari. Una volta superata la fase della prima curiosità e della
conoscenza reciproca, normalmente anche l’alunno con bisogni speciali e l’intera classe
riescono a stabilire un rapporto positivo con l’insegnante in formazione.
L’intervento del tirocinante nella scuola ha, oltre all’accogliente, anche un altro partner,
il supervisore di tirocinio, con il quale il docente in formazione concorda gli strumenti per
una attenta osservazione del soggetto con handicap e del processo di integrazione in atto.
Un ruolo delicato, quello del supervisore: da un lato gli compete di guidare il corsista a
riconoscere, selezionare, applicare conoscenze e processi operativi attinenti alla professio-
nalità dell’insegnante di sostegno, appresi durante il corso; dall’altro il supervisore deve
curare e verifi care che il tirocinante sia inserito nella normale attività della scuola ospitante,
possibilmente come appunto una risorsa e mai come fonte di tensione, problemi, confl itti.
Il tirocinio di sostegno si differenzia infatti da quello relativo alle discipline per la complessa
rete di attenzioni richiesta dalla presenza in classe dell’alunno disabile, di cui è indispensabile
rispettare prima di tutto la privacy, ma anche le particolari modalità di apprendimento e di
relazione. Non è semplice aggiungere anche il tirocinante all’affollarsi di già troppe persone
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attorno all’allievo certifi cato (i referenti della famiglia, i docenti curricolari e di sostegno, i
componenti dell’équipe, spesso anche l’assistente sociale, l’educatore, uno o più terapisti). I
ruoli di tutte queste fi gure devono essere conosciuti e rispettati dall’insegnante in formazione,
che ne utilizza le competenze per ricavare, attraverso la mediazione del docente accogliente,
preziose informazioni per lo studio del caso.
La relazione accogliente-tirocinante-supervisore si pone, all’interno di questi complessi
equilibri, come ulteriore opportunità di studio, confronto e discussione, con al centro il
progetto di integrazione dell’alunno handicappato nel gruppo classe e, con la prospettiva
del progetto di vita, nel contesto sociale.
Nell’ambito del Seminario sul tirocinio SSIS, attuato a Udine il 2 marzo 2007 dalla SSIS
dell’Università degli Studi di Udine, sono state esposte esperienze di tirocinio nell’ambito del
sostegno, giudicate reciprocamente soddisfacenti sul piano formativo e della collaborazione
per corsisti e docenti accoglienti.
Altra iniziativa, che la SSIS e la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli
Studi di Udine hanno ha promosso nello stesso a.a., come ulteriore occasione formativa
in collaborazione con le scuole accoglienti e non, è stato il convegno dal titolo “Quando
apprendere è complicato: come potenziare i processi cognitivi e affettivo-motivazionali
negli allievi in situazione di disabilità”, organizzato in due sedi a livello regionale (Udine
e Pordenone); i due incontri, nei quali sono intervenuti quali relatori i proff. Lucio Cottini
e Daniele Fedeli, docenti nei corsi SSIS dell’Università di Udine per la specializzazione di
sostegno, hanno riscontrato un’eccezionale partecipazione di docenti di sostegno e di classe,
inoltre allievi ed ex allievi dei corsi per la specializzazione di sostegno.
2. Caratteristiche del progetto di integrazione e ruolo del tirocinante rispetto
agli obiettivi programmati dal consiglio di classe
Un effi cace intervento con l’alunno con handicap si svolge lungo tre direttrici: a) la sua
autonomia nella gestione della persona e lo sviluppo delle abilità di base, cognitive e non,
b) l’integrazione nel gruppo classe, c) il progetto di vita.
Il primo aspetto riguarda le principali autonomie di base, dall’alimentarsi al vestirsi, dal
saper leggere l’ora alla gestione di semplici spese, dalla sicurezza in casa e per la strada, al
corretto utilizzo di un farmaco. Per quanto riguarda le abilità di base, viene redatto un Piano
Educativo Individualizzato (PEI), che ne prevede obiettivi e metodologia in relazione alle
potenzialità possedute dall’allievo, ai suoi ritmi di lavoro, alle condizioni dell’apprendimento,
ai risultati prevedibili. Quanto all’integrazione scolastica, se ne possono individuare due
aspetti: una serena relazione con i compagni, anche attraverso la riduzione degli eventuali
comportamenti problematici, la partecipazione alle lezioni comuni, e quindi la scelta degli
obiettivi curricolari. Ma, come è naturale anche per qualsiasi alunno anche normodotato,
la scuola deve guardare avanti, e quindi in prospettiva scegliere gli obiettivi più adeguati al
futuro inserimento sociale.
Gli allievi che hanno necessità di giovarsi del sostegno possono presentare ritardi e
diffi coltà anche gravi in uno o più settori sopra considerati, a volte in tutti: visto che i ritmi
di apprendimento normalmente sono compromessi e bisogna scegliere con accuratezza il
percorso più utile, quali obiettivi privilegiare?
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Le abilità di autonomia personale sono gli elementi che maggiormente incidono sul
livello della qualità della vita della persona con handicap: distinte in abilità di autonomia
personale “di base” e “avanzate”, oltre a sollevare la persona dal bisogno di assistenza, creano
i presupposti per l’inserimento sociale (Meazzini, 1997). Normalmente vengono apprese
in famiglia, ma spesso i genitori di alunni con bisogni speciali, nonostante la disponibilità,
non sono in grado di individuare le tecniche facilitanti per insegnarle e trovano più pratico
sostituirsi al fi glio. Nel caso di carenze in queste abilità, tocca alla scuola avviare l’alunno ad
essere autonomo, affi dando alla famiglia e magari all’educatore, o meglio ancora ai compagni
e a tutto il personale dell’istituto l’esercizio per il mantenimento degli obiettivi appresi. Ma pur
registrando in ingresso la lacuna, spesso la scuola non si fa carico delle abilità di autonomia
dell’allievo disabile. Si comprende bene che tali apprendimenti comportino spesso utilizzo
di materiali e strutturazione di ambienti-stimolo che la scuola trova disagevole predisporre,
e che inoltre risulterebbero distraenti all’interno di una classe che lavora frontalmente, come
accade spesso negli istituti secondari di secondo grado (ma non solo). Eppure si tratta di
apprendimenti imprescindibili – ove il soggetto sia in grado di assimilarli –, in prospettiva
della riduzione della dipendenza e per il rafforzamento dell’autostima dell’allievo disabile,
e dunque una parte del curricolo è dedicata a queste fi nalità. Ugualmente è importante
l’apprendimento di abilità sociali, che consegue a specifi ci curricoli e alla consuetudine
dello stare insieme agli altri: se la legislazione italiana propone la frequenza degli allievi
con handicap nella scuola comune, è proprio perché l’obiettivo è la socializzazione. Non
sarà poi l’istituto scolastico, con la motivazione più o meno legittima dell’insegnamento
individualizzato, a isolare i ragazzi? Più avanti sarà riportato l’esempio di una scuola media
che, in presenza di allievi in diffi coltà, ha fatto del progetto integrazione e autonomia una
delle linee guida dell’offerta formativa.
Merita spendere due parole sui problemi comportamentali e di motivazione: secondo
quanto osservato in numerosi casi, sono queste le diffi coltà più temute nella scuola, infatti
per un allievo che non riesce perché non ne ha la capacità i docenti di classe in genere hanno
comprensione, purché non disturbi. Se invece manifesta poca voglia di fare, si agita e picchia
i compagni, la risposta emotiva del docente tende alla colpevolizzazione del soggetto, e non
invece alla considerazione che motivazione scolastica e comportamento sono variabili su cui
si può lavorare per modifi carli, come su qualunque altro obiettivo. È importante ottenere la
riduzione, e nel tempo possibilmente l’estinzione, dei comportamenti-problema, applicando
determinate strategie (Fedeli, 2004), altrimenti l’allievo sarà presto emarginato dai compagni
e dalle famiglie. Problematiche particolarmente delicate presentano inoltre gli allievi con
problemi di defi cit d’attenzione e iperattività.
Perché si verifi chi una vera integrazione nel gruppo classe e non solo un inserimento
puramente anagrafi co (che comporterebbe isolamento e anche rifi uto), la programmazione
scolastica prevede da una parte il coordinamento degli obiettivi didattici e delle attività indi-
vidualizzate con quelle curricolari comuni, per arrivare a quella che Cottini (2004) chiama,
con felice ossimoro, “programmazione curricolare individualizzata”. La didattica speciale
esige l’analisi della situazione in ingresso, con la conoscenza dei limiti e dei punti di forza che
l’alunno presenta, la defi nizione in termini operazionali e la parcellizzazione degli obiettivi
per piccoli passi e l’analisi del compito, ma sono ugualmente patrimonio dell’insegnamento
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di sostegno l’applicazione di metodologie di intervento quali le facilitazioni (prompting
e fading, modeling, shaping e chaining) e gli opportuni rinforzi alla risposta positiva. La
nuova frontiera dell’intervento effi cace si rivolge all’attivazione della risorsa compagni, con
la pratica del tutoring e dell’apprendimento cooperativo, senza trascurare le indicazioni che
Vygotskij fornisce circa le potenzialità della zona di sviluppo prossimale, che proprio in tale
contesto vengono più facilmente stimolate.
Per integrare tra loro la programmazione curricolare e quella individualizzata, i docenti
di classe e di sostegno ricercano i punti di contatto fra gli obiettivi e i contenuti comuni, li
adattano opportunamente; utilizzano la semplifi cazione dei testi e, se opportuno, la loro
organizzazione per mappe concettuali; favoriscono la metacognizione; potenziano lo stimolo
con immagini fi sse o video o con attività operative, con una quantità più elevata di esem-
plifi cazioni, con l’utilizzo dell’informatica (giovando, attraverso tali accorgimenti, anche ad
altri alunni in lieve diffi coltà e rendendo più gradevole la lezione per tutti). Se proprio non
è possibile creare adattamenti degli obiettivi e delle metodologie che consentano apprendi-
mento signifi cativo su compiti dello stesso tipo dei compagni, è comunque utile che l’allievo
disabile partecipi alla cultura del compito, essendo messo in grado di cogliere almeno alcuni
elementi del contenuto e condividendo gli aspetti socio-affettivi dell’attività (Cottini, 2004).
In altre parole, favorire la “speciale normalità” dell’allievo, accettando il suo specifi co
modo di apprendere: in tale modo non sarà necessario fare grandi sforzi per intervenire sui
compagni a sollecitare solidarietà e tolleranza, sentimenti diffi cilmente inducibili dall’alto,
tanto più se si ha a che fare con ragazzini. I limiti, le possibilità e i progressi dell’alunno con
bisogni speciali sono così sotto gli occhi di tutti, in condizioni di sostanziale parità. Non
dimentichiamo che se gli insegnanti vedono seriamente e serenamente (effetto anche della
sicura competenza) la presenza dell’alunno con handicap, saranno imitati dalla classe. Non
si verifi cheranno inoltre perplessità da parte delle famiglie (a volte si teme che la presenza
di un allievo handicappato faccia perdere tempo prezioso alla didattica) e non ci sarà la
prevedibile richiesta dell’alunno sostenuto e dei suoi genitori di “fare come gli altri”.
L’inserimento del tirocinante è preceduto, da parte del supervisore, da una ricerca, attuata
in collaborazione con il dirigente scolastico e il responsabile del gruppo H di istituto, per
la scelta di una scuola e di un accogliente dove osservare buone prassi di integrazione ed
effi caci esempi di professionalità (quindi una scuola, cui venga rivolta la domanda di acco-
gliere insegnanti in formazione, può ritenere ciò un segno di stima nei riguardi della qualità
dell’integrazione che essa porta avanti per gli allievi sostenuti). Il tirocinante, che si trovi a
svolgere la sua esperienza in tale contesto ottimale, non avrà certo diffi coltà a inserirsi nel
gruppo di lavoro e a stabilire un buon rapporto con tutta la classe. Il docente in formazione
può così sperimentare concretamente come si possa guidare l’allievo speciale a progredire
con le sue possibilità sia dal punto di vista prettamente scolastico che nella socializzazione,
senza creare problemi ai compagni, anzi, costituendo una risorsa per la classe come incen-
tivo all’atteggiamento proattivo (prezioso dono per un domani nel sociale) e, inoltre, come
motivo di consolidamento delle conoscenze (insegnare al compagno in diffi coltà rinforza
l’apprendimento del compagno-tutor).
Ma a volte purtroppo, in mancanza di insegnanti specializzati per il sostegno o in altre
circostanze che rendono diffi cile il complesso sistema dell’integrazione effi cace, il sostegno
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e l’attività curricolare funzionano su strade poco convergenti o mal convergenti. È il caso
dell’allievo con handicap la cui responsabilità didattica è affi data dai colleghi principal-
mente al docente di sostegno (anche in buona fede: c’è il timore di non essere abbastanza
competenti). Ugualmente avvilenti i curricoli cosiddetti individualizzati per il recupero delle
abilità di base, consistenti in eterne quanto inutili schede ortografi che e infi niti esercizi per
l’apprendimento delle operazioni aritmetiche a più cifre (in tempi in cui ciascuno di noi se
deve fare una divisione utilizza la calcolatrice), svolti mentre la classe fa tutt’altro, oppure
fuori classe, in un angolo della biblioteca. Sarà inevitabile che la motivazione dell’allievo,
prima che i suoi progressi, in tale situazione lasci alquanto a desiderare.
In altri casi l’insegnante curricolare è troppo preoccupato di far raggiungere l’acquisizione
dei contenuti della materia tal quale all’alunno disabile, trascurandone le peculiarità e i bisogni
fondamentali per la vita presente e futura, e ottenendo quasi solo apprendimento mnemo-
nico, assai poco stabile nel tempo e comunque distante per qualità da quello dei compagni.
In tal caso la collaborazione dell’accogliente e dei colleghi con il tirocinante e il super-
visore, pur nel rispetto dell’autonomia didattica, potrebbe essere di stimolo per una nuova
esperienza, più affascinante, di sperimentare una diversa, più naturale, più facile per tutti e
più effi cace, maniera di condurre il lavoro nella classe “con speciale normalità” e di verifi carne
insieme gli esiti positivi.
In ogni caso lo scambio di esperienze fra Università e scuole accoglienti permette di
valorizzare le buone prassi attivate da queste ultime (come si mostra nell’esempio che
segue), aprendo un confronto sulle metodiche applicate sul campo e contribuendo, insieme
con la ricerca, al dibattito sull’effi cacia delle varie forme nell’organizzazione del sostegno.
Il tirocinio diretto comporta, in accordo tra supervisore, corsista e accogliente, un articolato
piano di osservazione dell’allievo portatore di disabilità, che sarà la base del successivo inter-
vento. Si richiede al corsista di ricavare tutte le informazioni utili, attraverso la mediazione
del docente accogliente, sulla documentazione circa l’allievo, dalla Diagnosi funzionale, al
PDF, al PEI, attuali e se necessario nella formulazione pregressa. Inoltre il corsista deve avere
a disposizione le risultanze di un accurato e aggiornato assessment in ingresso circa i defi cit
e i punti di forza nei settori cognitivo, neuropsicologico, sensoriale, linguistico-comunicativo,
socio-affettivo, motorio, nonché circa le competenze in ordine alle autonomie personali,
sociali, e alle abilità scolastiche: dalla lettura, alla comprensione del testo, produzione orale
e scritta, calcolo e problem solving, e da qui al livello delle conoscenze scolastiche nelle varie
discipline. Si tratta di un processo, che la scuola dovrebbe avere comunque attuato, ma dove
a volte si riscontrano carenze e incongruenze, che il team supervisore-accogliente-corsista
deve comunque discutere e se possibile integrare, nel rispetto delle competenze e dei ruoli.
Analogamente il successivo intervento didattico, attuato sulla base della conoscenza
dell’allievo, dei suoi bisogni e delle sue speciali modalità di apprendimento, comporta accu-
rata programmazione e costante monitoraggio, oltre ad attenta verifi ca, condotti sempre in
collaborazione tra i partner del tirocinio diretto (tirocinante, supervisore, accogliente, docenti
curricolari, eventuale educatore). Il progetto viene monitorato e verifi cato anche nel gruppo
dei corsisti in sede di tirocinio indiretto, sempre condotto dal supervisore.
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3. Scuola, famiglia, territorio in sinergia: il progetto dell’IC di Pavia di Udine,
valorizzato nel tirocinio indiretto Sos
Nell’anno accademico 2006-’07, l’Università di Udine ha attivato nell’ambito della SSIS,
oltre al modulo di 400 ore riservato agli abilitati SSIS per la specializzazione di sostegno,
anche un corso di 800 ore riservato ai docenti abilitati per la disciplina attraverso vari canali,
sempre per il possesso del titolo di specializzazione valido per l’insegnamento di sostegno.
La corsista Concetta Francesca Montalto, frequentante detto corso, ha svolto attività di
tirocinio presso l’Istituto comprensivo di Pavia di Udine, dove è stata seguita dalle docenti
accoglienti prof.ssa Emanuela Vanzetto e prof.ssa Cristina Luca, specializzate, con diversi
anni di esperienza di insegnamento nel sostegno, ed ha lavorato anche in collaborazione con
insegnanti curricolari e con l’operatore dei servizi sociali, presente nella scuola per seguire
alcuni alunni in diffi coltà. Nell’istituto, l’offerta formativa è organizzata in forma di progetto
di scuola integrata (Montalto, 2007)86, all’interno del quale trova uno spazio rilevante la
programmazione delle attività rivolte ai soggetti disabili, mirate a sviluppare la cooperazione
tra persone, indipendentemente dal bagaglio di abilità possedute, e a promuovere il rispetto
e la solidarietà. Tali attività sono inoltre fi nalizzate a sostenere l’autostima, la motivazione e
lo sviluppo di abilità trasversali e delle forme di espressione e comunicazione. Nell’ambito
di questa impostazione, il progetto Autonomia viene implementato di concerto con tutte le
agenzie educative presenti sul territorio: con la scuola, le famiglie, i servizi socio-assistenziali
ed i servizi sanitari, pertanto i presupposti del progetto fanno leva sulla convergenza del
servizio di istruzione e del servizio di assistenza, per garantire il diritto all’integrazione e
all’istruzione degli alunni disabili. Le fasi della programmazione: individuazione dei bisogni
formativi dei soggetti interessati, condivisione degli obiettivi fra agenzie educative coinvolte,
predisposizione di interventi mirati, nel rispetto delle competenze, verifi ca in itinere e fi nale.
Il progetto Autonomia vede la scuola intervenire con attività didattiche, laboratori, atti-
vità integranti su progetti specifi ci anche con il supporto di esperti esterni, uscite e visite
d’istruzione, coordinamento degli interventi; competono ai servizi socio-educativi l’attività
degli educatori mirata ai bisogni educativi dell’alunno, le uscite sul territorio ed esperienze
pratiche; ai servizi sanitari la consulenza, gli interventi e le terapie riabilitative. Alla famiglia
spettano le attività di supporto e rinforzo degli interventi, la proposta e l’organizzazione di
attività strutturate in orario extrascolastico. In particolare, il percorso individualizzato pre-
86 Un esempio ancora più completo di “progetto di scuola integrata” è attuato da alcuni anni nella scuola primaria di Pozzuolo del Friuli, avviato grazie all’azione dell’allora docente Gaetano Vinciguerra, dove l’offerta formativa, rivolta a tutti gli alunni, è alquanto ricca ed è svolta in collaborazione con le numerose Associazioni operanti sul territorio; la gestione dei corsi integrativi è a carico del Comune (la spesa è compartecipata dalle famiglie), in collaborazione con la Consulta dei genitori. Evidentemente il soggetto disabile in tale contesto ha plurime occasioni di interazione e di operatività. “Per allevare un bambino ci vuole un villaggio”: è il motto di questo copiatissimo progetto, più volte segnalato e premiato a livello nazionale, documentato nel sito www.buoniesempi.it, presentato con accurato apparato critico nel sito dell’INDIRE e in forma sintetica nel sito dei vincitori dei Cento Progetti migliori d’Italia. All’esperienza, che dura da diversi anni, è dedicato un capitolo del Manuale di pedagogia interculturale, edizioni ETS, del professor Roberto Albarea, docente dell’Università di Udine.
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vede come progetti specifi ci attività di manualità, attività integrata di teatro, sport. Al fi ne
di reperire ulteriori risorse professionali utili a sostenere il progetto, per espresso consenso
collegiale il corpo docente dell’istituto ha deliberato di destinare parte del fondo di istituto
per ore di insegnamento aggiuntive, svolte da docenti interni disponibili a integrare le ore
da dedicare agli allievi in diffi coltà, con il coordinamento dei docenti di sostegno. Le ammi-
nistrazioni comunali facenti capo all’Istituto comprensivo supportano economicamente
l’ampliamento dell’offerta formativa.
Per la chiarezza e la sistematicità del progetto, le due docenti accoglienti, insieme alla
corsista Montalto, che ha riferito della sua esperienza di tirocinante, sono state invitate a
presentarlo al gruppo dei corsisti specializzandi da me seguiti in qualità di supervisore del
corso “800 ore”; all’incontro è stata presente anche l’allora dirigente scolastico dell’IC di Pavia
di Udine prof.ssa Paola Floreancig. Dopo la presentazione i corsisti hanno intrattenuto con
le relatrici un dibattito sulla comunicazione ascoltata.
4. Accoglienti, tirocinante e supervisore studiano un percorso didattico integrato
all’IPSAA di Pozzuolo del Friuli
Sul versante dell’attività individualizzata integrata con quella comune alla classe, viene
riferita di seguito un’esperienza che ha riguardato l’intervento di un corsista e dell’acco-
gliente con un gruppo di allievi certifi cati per il sostegno e la relativa classe, presso l’Istituto
professionale di stato per l’agricoltura e l’ambiente (IPSAA) di Pozzuolo del Friuli.
Da notare come, tra le scuole secondarie di secondo grado, gli istituti professionali sono
quelli maggiormente scelti dalle famiglie per l’iscrizione di alunni con sostegno, in quanto
si ritiene che quel percorso formativo offra maggiori occasioni di operatività, rispetto ai
licei e agli istituti tecnici. Prendendo contatto con l’istituto pozzuolese, ci si rende conto di
come gli allievi svolgano, accanto alle materie teoriche, molte attività pratico-manuali, sia
nei laboratori che nei campi della scuola, (potature, semine di mais e frumento, raccolta di
mele e uva, preparazione di confetture e di succo di mela).
L’istituto agrario possiede serre tipo tunnel in tubolare zincato con copertura in telo
ondulato, dove viene effettuata la riproduzione vegetativa (agamica) a scopo didattico,
limitatamente ad alcune specie vegetali facilmente riproducibili. Tale propagazione avviene
prevalentemente per talea di ramo, tecnica praticabile anche dagli allievi disabili (consiste
nel prelevare un pezzo di ramo legnoso o erbaceo e inserirlo in un vaso pieno di torba).
Qualche diffi coltà può aversi nella micropropagazione, in quanto comporta la preparazione,
in laboratorio, del terreno di coltura – sul quale allevare le microtalee di foglia o gemme
– consistente in una soluzione acquosa di elementi minerali, organici, ormoni e agar (geli-
fi cante), mescolate nelle giuste quantità (generalmente si tratta di pochi grammi). Inoltre
nelle classi quarta e quinta gli allievi frequentano, contestualmente, anche un corso di
specializzazione regionale, ad integrazione del programma curricolare, per un ammontare
complessivo di 300 ore.
Maggiori diffi coltà, invece, si registrano nello studio delle varie discipline tecniche, non
sempre accessibili agli allievi con defi cit cognitivo (chimica, economia, meccanica agraria,
contabilità agraria, ecologia applicata): in questo caso è necessario predisporre interventi
individualizzati, con le modalità, gli accorgimenti, i prompt sopra descritti, al fi ne di far
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partecipare signifi cativamente anche gli allievi seguiti dal sostegno, ciascuno con le proprie
possibilità, perché possano migliorare le loro conoscenze e competenze cognitive.
L’ideale sarebbe di svolgere le attività pratiche non soltanto come pura esecutività manuale,
ma ricavarne occasioni per lo sviluppo di abilità formative ed integranti. D’altro canto la
sfi da è anche riuscire a individuare anche dal più ostico argomento di studio momenti di
operatività, accessibili a tutti.
Nel caso specifi co dell’esperienza di tirocinio svolta presso l’Ipsaa, un particolare intervento,
nell’area tecnico-scientifi ca, è stato concordato tra l’accogliente, il supervisore e il corsista,
prof. Michele Buscemi, pure docente di classe nella scuola. Il tirocinante è stato seguito dalla
collega accogliente prof.ssa Mirella Della Longa, coadiuvata dalla prof.ssa Luisa Biancuzzi,
e con il coordinamento della referente di istituto per l’handicap, prof.ssa Francesca Scalon.
Il ruolo della sottoscritta, in qualità di supervisore, è stato quello di orientare la scelta del
percorso didattico individualizzato a una attività integrata al lavoro di classe e stimolante, per
operatività e curiosità, il gruppo degli allievi disabili. Nella mia esperienza ultraventennale
come docente di sostegno ho spesso sperimentato che con piccoli accorgimenti è possibile
far sì che a volte siano i compagni quasi a invidiare benevolmente il gruppo di sostegno,
che è più libero di muoversi nella scuola o fuori, svolge più spesso attività pratiche, con
l’informatica, i video, e spesso divertenti; a volte la classe ha chiesto e ottenuto di ripetere
le esperienze, dove il gruppo degli “ex in diffi coltà”, già esperti, si sono prestati come tutor.
L’unità didattica, elaborata secondo lo schema-guida proposto ai corsi di specializzazione
per il sostegno “800 ore” e “400 ore” dal prof. Carlo Pascoletti, docente di Psicologia delle
disabilità (Pascoletti, 1989), si collegava alla programmazione curricolare della classe, da cui
sono stati estrapolati alcuni obiettivi minimi funzionali a un gruppo di alunni con disabilità
cognitiva, dotati di discreta autonomia, discreta motivazione scolastica, buone capacità
relazionali. L’unità didattica è stata strutturata in modo tale da mettere in grado gli allievi,
facenti parte del gruppo, di discriminare, in base a determinati indizi percettivi, vari Artropodi,
gruppo tassonomico che comprende invertebrati, distinti in varie classi, (per motivi didattici
la classifi cazione è stata semplifi cata in modo tale da prendere in considerazione solamente
quelle classi comprendenti invertebrati più facilmente riconoscibili): Araneidi (acari, zecche,
ragni, ecc. privi di ali, antenne e con quattro paia di zampe), Crostacei (vivono sia in mare
che in terra, sono provvisti di due antenne e varie paia di zampe), Diplopodi (millepiedi),
Chilopodi (scolopendra e scuticera, con molte paia di zampe), Insetti o Esapodi (allo stato
adulto posseggono tre paia di zampe e/o ali). Per la redazione dell’unità didattica è stata
predisposta dall’insegnante una scheda grazie alla quale gli allievi potessero identifi care
alcuni artropodi fi topatogeni per le colture agrarie, sulla base delle loro caratteristiche
morfologiche. In particolare i ragazzi del gruppo hanno discriminato gli Insetti dagli altri
Artropodi e, limitatamente agli Insetti, hanno distinto tre ordini: Ditteri (mosche e zanzare),
Imenotteri (vespe, api) e Lepidotteri (farfalle).
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Questi gli obiettivi della classe e del gruppo:
Obiettivi didattici della classeObiettivi didattici del gruppo in diffi coltà cognitiva
Finalità:
Migliorare la conoscenza sulle malattie delle piante
Obiettivi didattici:
Distinguere i concetti di danno, malattia e fi siopatia
Imparare ad utilizzare i termini specifi ci della sinto-matologia
Conoscere le principale fi siopatie provocate dal freddo, dal caldo, dalla carenza o dall’eccesso di acqua, da avver-sità meteoriche e da squilibri nutrizionali
Conoscere le principali caratteristiche morfologiche e fi siologiche di virus, batteri, funghi ed Insetti
Comprendere l’importanza della prevenzione nei con-fronti degli insetti vettori di organismi patogeni
Conoscere il ciclo biologico dei principali fi tofagi dei fruttiferi e delle colture erbacee
Conoscere quali altri organismi possono provocare danni alle piante: nematodi, acari, mammiferi
Finalità:
Potenziare le capacità di osservazione e la manualità fi ne-motoria
Obiettivi didattici:
Conoscere semplici caratteristiche dell’ecosi-stema locale
Saper raccogliere artropodi in campo
Saper riconoscere i principali parassiti delle colture locali
Saper osservare i principali insetti e ricono-scerli
Descrittori Descrittori
Alla fi ne del modulo lo studente sarà in grado di distin-guere la tipologia di un sintomo, a partire da foto, imma-gini, campioni freschi ed essiccati, ipotizzando una pos-sibile causa dovuta ad agenti di malattia o di danno.
Lo studente saprà inoltre indicare alcune possibili modalità di trasmissione e alcune possibili modalità di difesa della pianta in funzione dell’analisi dei sintomi presentati.
Inoltre lo studente distingue alcune specie insetti ed erbe infestanti;
riconosce e nomina correttamente i principali sintomi di malattie, danni e fi siopatie;
è in grado di descrivere le principali fi siopatie che si riscontrano nei nostri climi;
rielabora i concetti acquisiti;
sa schematizzare e sintetizzare le conoscenze acqui-site.
Alla fi ne del modulo l’allievo sarà in grado di riconoscere, a partire da foto, immagini, cam-pioni freschi ed essiccati, i principali parassiti delle colture locali e collegare quanto appreso alle attività pratiche della vita quotidiana.
Per il gruppo con bisogni speciali sono state svolte 6 lezioni di circa 35 minuti ciascuna.
La durata di tali lezioni è stata stabilita in base alla capacità di concentrazione degli allievi e
all’operatività dell’attività svolta in campo e in laboratorio di scienze. Ogni lezione è iniziata
con l’attirare l’attenzione degli allievi, richiamando di volta in volta le nozioni apprese nelle
lezioni precedenti.
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L’attività è stata svolta in una prima fase in campo dove sono state piazzate le trappole per
la cattura degli artropodi, successivamente nel laboratorio di scienze dove sono stati osservati
al microscopio gli artropodi catturati. Infi ne in un’aula dell’istituto, priva di distrattori, è stata
svolta l’attività di discriminazione e identifi cazione degli Artropodi.
Per la raccolta degli Artropodi presenti sulla superfi cie del suolo sono stati usati diversi
strumenti:
– vanga, per asportare uno strato di terreno fi no al massimo a una profondità di 15 cm;
– vasi o bicchieri in plastica profondi circa 10-12 cm, di diametro, all’imboccatura, di circa
9-10 cm;
– 50 ml, circa, di soluzione composta da una sostanza attrattiva e da una sostanza conservante:
aceto e cloruro di sodio.
Verifi cate le competenze prerequisite, è stata applicata la task analysis, per scomporre il
compito in una serie di passi fondamentali, connessi in una precisa sequenza.
Per insegnare i piccoli passi successivamente è stato utilizzato il modeling (l’allievo impara
un nuovo comportamento osservando l’insegnante che esegue il compito), affi ancato da
prompting verbali, sia diretti che indiretti e da rinforzi sociali (lodi in caso di corretta risposta).
La prima lezione è stata dedicata alla spiegazione del lavoro da svolgere, consistente nello
studio e nella identifi cazione dei vari Artropodi presenti nella superfi cie del suolo, descriven-
done mediante raffi gurazioni le principali caratteristiche morfologiche.
Nella seconda lezione, dopo aver richiamato alla mente le principali nozioni della lezione
precedente, si è passati alla fase esecutiva dell’attività.
Il gruppo à stato guidato nel percorso naturalistico, dove, dopo aver individuato le aree
idonee al posizionamento delle trappole, sono state realizzate, mediante vanga, delle buche
profonde circa 15 cm all’interno delle quali sono state posizionati i vasetti-trappola conte-
nenti aceto e sale da cucina, che hanno rispettivamente la funzione di attirare e conservare
gli Artropodi catturati.
Nella terza lezione, trascorsa una settimana, il gruppo si è recato nel luogo del posizio-
namento dei vasetti trappola per il loro prelevamento. Detti vasetti sono stati portati nel
laboratorio di scienze per l’osservazione al microscopio e la preparazione di campioni essiccati.
Nella quarta lezione, sulla base del materiale essiccato e con l’ausilio di schede illustrative,
si è proceduto all’osservazione degli Artropodi e alla discriminazione degli Insetti dai non
Insetti con il prompt verbale dell’insegnante.
Nella lezione seguente, limitatamente alla classe degli Insetti, si è passati alla identifi ca-
zione di tre Ordini: Ditteri (mosche e zanzare), Imenotteri (vespe e api) e Lepidotteri (farfalle),
sempre con l’aiuto dell’insegnante.
Infi ne nell’ultima lezione gli alunni sono stati in grado di identifi care, su un’apposita
griglia predisposta dall’insegnante, gli Artropodi studiati e partecipare i risultati della lezione
alla classe.
“L’esperienza di tirocinio e le precedenti esperienze di insegnante curricolare – ha annotato
il corsista nella sua relazione (Buscemi, 2007) – mi hanno fatto rifl ettere sull’importanza che
gli allievi disabili partecipino alle varie attività scolastiche, perché il loro coinvolgimento è
indubbiamente fondamentale per favorire il raggiungimento dell’autonomia e la piena inte-
grazione. In generale è sempre molto utile stimolare tali allievi a partecipare alle esperienze
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proposte dalla scuola, rivolgere loro messaggi, fare domande, ricevere domande ed ascoltare,
facendo attenzione alle eventuali richieste di aiuto, senza però anticipare i bisogni; al con-
trario scarsi stimoli e poche situazioni emotive nelle quali esprimersi o, peggio, la deliberata
esclusione dalle attività svolte dal resto della classe, possono comportare chiusura, compro-
mettendo il percorso individuale di autonomia nel contesto sociale. Con parecchi allievi, ma
in particolare con ragazzi disabili, si possono ottenere migliori risultati in compiti pratici, in
attività che stimolino il più possibile il coinvolgimento e la partecipazione, in esperienze in cui
siano privilegiati gli approcci basati sul concreto e sul manipolabile e in cui la comunicazione
passa attraverso il corpo e l’esperienza diretta: spesso, infatti, la possibilità di apprendere
passa attraverso il saper fare (cioè il ‘sapere procedurale’) e solo dopo approda alla capacità
di descrivere cosa è stato fatto (cioè al ‘sapere dichiarativo’)”.
5. Conclusioni
Una forma di tirocinio dei docenti svolto in via amministrativa, senza che la procedura
sia preceduta e seguita da una analisi condivisa dell’esperienza e da una seria verifi ca, se
è impensabile per la formazione disciplinare, per il sostegno sarebbe assurda. Infatti ogni
progetto di integrazione di un soggetto con handicap nella scuola è un unicum, un vero
campo di ricerca, dove non sono possibili professionalmente né eticamente accettabili le
improvvisazioni. Risultano quindi fondamentali la responsabilità della scuola che ammette
il tirocinante fra le proprie mura, la professionalità del docente accogliente, la funzione stra-
tegica del supervisore, soprattutto effi cace quando discreta e mirata, nell’armonizzare questa
interrelazione e ottimizzarne i risultati.
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137
Ricordo di Loredana Cicuttini
a cura di Paola Beltrame
Loredana Cicuttini è stata un supervisore di tirocini speciale, tutti quelli che l’hanno conosciuta
nell’ambito dei corsi per il sostegno lo sostengono. La sua vita – da supervisore, da insegnante,
da madre di famiglia, da consigliere comunale – è stata un esempio di positività. Ma soprattutto
lo è stata la sua morte: per la riservatezza, la serenità, la normalità, la generosità con cui ella ha
affrontato questa prova.
È stata una pioniera nel ruolo di supervisore di sostegno alla SSIS di Udine e ha dedicato parte
della sua vita allo studio delle strategie per alleviare le sofferenze ai disabili e alle loro famiglie, molta
parte del suo tempo a sperimentare ed applicare, in particolare in questi ultimi anni di impegno
per la formazione degli insegnanti di sostegno. Era molto stimata dai corsisti: in mezzo all’aula,
parlava spesso delle sue esperienze dirette nel lavoro scolastico con i portatori di disabilità, così
convinta che nessuno fi atava.
Ho condiviso con lei l’interesse, l’entusiamo, le problematiche che il ruolo di supervisore com-
porta, e negli ultimi due anni il dramma della sua malattia, sopportata con grande dignità; l’unica
cosa che appariva farla soffrire era la non perfetta effi cienza, dato il suo carattere così volonteroso e
l’impegno a dare sempre il meglio di sè. Finchè le forze le sono bastate, ha voluto seguire ugualmente
i corsisti, chiedendoci di non fare parola con loro della sua condizione.
Loredana ha dato un lodevole esempio di come si può vivere la malattia con grande dignità, con
enorme coraggio, presentandosi esternamente sempre curata e graziosa, con parole comunque rivolte
alla speranza e alla guarigione, quasi ad alleviare il compito a chi la doveva confortare. L’ultima
volta che le ho parlato mi ha detto: “Non sto ancora bene”. Quell’ “ancora” me lo ricorderò.
Aveva sempre tempo e disponibilità per tutti noi, sempre parole gentili e gesti generosi.
Di Loredana Cicuttini saranno presentate qui di seguito, dopo il suo curriculum professionale,
alcune testimonianze: di una corsista fra i tanti che ci hanno inviato il loro ricordo di lei; di due
colleghe della scuola media dove prestava servizio; del sindaco del suo paese, grato a nome dei
concittadini per l’impegno in campo politico e sociale; della direttrice della SSIS che ha stabilito
con i supervisori, e con Loredana in particolare, un rapporto profondo.
Loredana Cicuttini come professionista
Nata a Udine il 10 gennaio 1953, ha svolto gli studi presso l’Istituto Magistrale “Caterina
Percoto” e poi all’Università degli Studi di Trieste, facoltà di Magistero, dove si è laureata
nell’81 in Pedagogia, indirizzo Psicologico, con una tesi di laurea in Psicologia dell’età
evolutiva dal titolo “Ricerca comparata sull’attrazione e sul rifi uto relativi a caratteristiche
personali in adolescenti”, relatore il prof. Giorgio Tampieri.
Ha lavorato, negli anni 1981 e 1982, come consulente psicopedagogista presso il “Centro
Solidarietà Giovani di don Larice” per il reinserimento di ragazzi ex tossicodipendenti in
seno alla famiglia.
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Dall’82 all’85 ha lavorato come supplente annuale presso la Scuola Elementare Spe-
ciale Parifi cata di Udine, C.A.M.P.P. (sperimentazione S.E.R.S.E.- direttore scientifi co Paolo
Meazzini).
Nello stesso periodo ha frequentato i corsi di specializzazione per l’insegnamento agli
alunni Handicappati Psicofi sici ottenendo il diploma per la scuola secondaria e quello per
la scuola elementare.
Dall’85 al ’91 ha svolto incarichi annuali di sostegno agli alunni con handicap nelle scuole
medie “G.B. Tiepolo” di Udine, “G.Marchetti” di Campoformido, “B.M. de Rubeis” di Cividale,
Scuola Media Statale di Buttrio, Scuola Media Statale “I. Pirona” di Povoletto.
Nel frattempo ha arricchito la sua preparazione nel campo dell’handicap con altri corsi
di specializzazione, conseguendo il Diploma di specializzazione per l’insegnamento agli
alunni Minorati dell’udito e della parola, sezione scuola secondaria, nell’87, con la votazione
di 30/30 e lode; il Diploma di riconversione per l’insegnamento agli alunni minorati della
vista, sezione scuola secondaria, pure nell’87, con la votazione di 30/30.
L’anno seguente ha conseguito l’abilitazione per l’insegnamento di Italiano, Storia ed
Educazione Civica, Geografi a nella Scuola Media, nella sessione riservata di esami indetta
con D.L. 06.11.1989.
È stata nominata in Ruolo, per la cattedra di Sostegno, nel ’91, presso la Scuola Media
Statale “I. Pirona” di Povoletto passando poi in servizio presso la Scuola Media di Reman-
zacco, accorpata all’Istituto Comprensivo di Premariacco,
Nel 2000 ha conseguito, nella sessione riservata, l’abilitazione per l’insegnamento di
Filosofi a, Psicologia e Scienza dell’Educazione nella scuola secondaria.
Nella sede di servizio ha ricoperto per due anni il ruolo di Funzione obiettivo per la
“Continuità” e si è fatta promotrice di diversi progetti come: il “Progetto Video” che ha per-
messo di realizzare diversi cortometraggi e di far partecipare alcuni allievi della scuola, come
giurati, a diverse edizioni del “Giffoni Film Festival”, rassegna internazionale del cinema per
ragazzi; la partnership con la scuola media Austriaca di Winklern; il Consiglio Comunale dei
Ragazzi; la “Serata sotto le Stelle”, un appuntamento di fi ne anno scolastico che permette di
presentare, in un clima di festa, ai futuri allievi ed ai propri genitori, le scuole del Comune.
Accanto alla vita scolastica, Loredana Cicuttini si è impegnata nell’amministrazione del
Comune di residenza, Remanzacco: all’Asilo Nido “Arcobaleno” di Cerneglons si è dedicata
con passione dal ’95 quando, in occasione della fondazione di questa struttura comunale,
è stata invitata come “esperta” dall’amministrazione in carica. Eletta come Consigliere di
maggioranza nel ’99, è stata titolare della delega del sindaco all’Istruzione. Rieletta nel
2004, si è dedicata alla gestione dell’Asilo Nido, di cui ha ricoperto il ruolo di Presidente
del Comitato di Gestione.
L’attenzione e l’esperienza acquisita nella progettazione di attività extracurricolari le
hanno dato l’opportunità di promuovere attività anche per altri Istituti Scolastici, come
la realizzazione di tre progetti con i ragazzi dei gruppi motivazionali e di ascolto (Ragazzi
2000- Legge 285/97) presso le scuole medie di Manzano e San Giovanni al Natisone, in
qualità di psicopedagogista negli anni 1999-2000.
Ha avuto esperienza anche nel mondo dello sport, collaborando dal ’96 al ’99 come psi-
copedagogista alla Scuola calcio del Settore Giovanile della Società Udinese Calcio. Questa
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esperienza l’ha portata a relazionare al Convegno internazionale di medicina dello sport
nel ’97 a Gradisca d’Isonzo (Go) sul tema “Scuola Calcio: aspetti di supporto psicologico ai
giovani Calciatori”.
È stata relatore, in occasione dei corsi di preparazione per concorsi magistrali organizzati
dall’associazione Maestri Cattolici di Udine, sul tema: “La creatività”.
Coordinatrice di gruppo di lavoro in occasione del Seminario Provinciale “I percorsi dell’in-
tegrazione dei disabili” presso la Nostra Famiglia di Pasian di Prato (Ud) nel novembre 1997.
Dal 2002 ha ottenuto il distacco parziale di cattedra come Supervisore di tirocinio presso
la S.S.I.S. dell’Università di Udine, per i corsi di sostegno.
Ha seguito numerosi corsi di aggiornamento nei settori di interesse professionale, dal
Master in Lettura del Corpo e Tecniche di Bioenergetica conseguito presso l’Istituto RIZA di
medicina psicosomatica, sede di Milano (2001), ai corsi sulla Psicologia del Colore presso il
Centro di Psicologia Integrata di Milano. Vari i corsi di aggiornamento nel settore delle disa-
bilità, cui la Cicuttini ha partecipato, riguardo alla metacognizione (CNIS, ’96, Provincia di
Udine, ’89; Corso di primo livello “Feuerstein”, 2001-2002).), l’apprendimento della matema-
tica (AIRIPA, ’95), sulla comunicazione (C.I.D.I. della Carnia ’91; Associazione Cifrematica di
Udine, ’97, IRRSAE Fvg ’96 –’97), sui processi di lettura (DD Faedis ’96) e di scrittura creativa
(Centro Regionale Servizi per la PMI, ’96). Si è inoltre formata sull’orientamento (IRRSAE
Fvg ’94 e ’97; Direzione Regionale Istruzione e Cultura ’96; Centro Orientamento e Tutorato
dell’Università di Udine, ’97; Centro per le transizioni al lavoro e nel lavoro e dalla facoltà di
Psicologia di Bologna), sull’autonomia nella scuola (C.I.R.M.E.S. ’97); sul raccordo tra la scuola
e l’Università (Udine, 2002). Ancora sui disturbi dell’apprendimento (Università degli Studi di
Udine), su “Strumenti e percorsi per l’attuazione dell’obbligo formativo” (ISIS “R.D’Aronco”
di Gemona, 2002).
Tutte queste multiformi competenze le ha messe a disposizione della scuola e della
formazione degli insegnanti di sostegno, offrendo risposte articolate alle problematiche
poste dai corsisti.
Nell’82 si è sposata con Giovanni Morelli, docente, attualmente collaboratore vicario
all’Istituto “Sello” di Udine. Nell’ottobre 1988 è nata la fi glia Arianna.
Nonostante i problemi legati alla malattia, che l’ha colpita nel luglio del 2003, Loredana
ha continuato a collaborare con la Scuola e con l’Università e ha sempre cercato di portare
a termine gli impegni anche in amministrazione, tanto che anche il giorno della sua morte,
il 9 agosto 2006, nel Consiglio Comunale di Remanzacco state approvate le modifi che al
regolamento dell’asilo Nido, che lei aveva redatto pochi giorni prima.
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La testimonianza di una corsista
Riservata, mite e cordiale. Bionda, dai lineamenti soffi ci e dai modi dolci, sorridente, sempre
sorridente, sapeva capire ancora prima di ascoltare, disposta a sostenere tutte le persone che
le richiedevano aiuti e consigli. Instancabile ed insostituibile, capace di infondere sicurezza
e tranquillità. Aveva considerazione dell’amicizia, era sinceramente ed ammirevolmente
modesta, apprezzava il piacere dello stare insieme e della buona conversazione.
Questo è il ricordo che ho della prof.ssa Loredana Cicuttini. Con questo mio scritto non
ho la pretesa di celebrarne i meriti, vorrei solo tentare di dare un profi lo sintetico di una delle
docenti che sono state fondamentali per la mia crescita professionale.
Il mio avvicinamento al mondo della disabilità era stato del tutto fortuito, arrivò con una
nomina che non mi sarei mai aspettata. Dopo quella prima esperienza, rimasi letteralmente
folgorata da quel mondo così complesso ed articolato, quale è quello della disabilità e maturai
l’idea di approfondire i miei studi in tale direzione iscrivendomi ad un corso universitario
per il Diploma di Specializzazione in attività di sostegno (800 ore).
La prima volta che la incontrai correva l’anno 2002 ed era in compagnia dalla sua amica
e collega Paola Beltrame: sarebbero state due delle nostre supervisori di tirocinio e ci avreb-
bero seguite per la stesura della tesi. Eravamo 120 fra professori e professoresse già abilitati
nell’insegnamento della materia di appartenenza e tutti scrutavamo queste due insegnanti
come fanno gli scolaretti quando vedono per la prima volta i loro nuovi insegnanti, subito
pronti a dare giudizi ed esprimere opinioni.
Eravamo sempre in preda al panico per timore di non riuscire a sostenere gli innumerevoli
esami, in preda al timore di non riuscire a scrivere nulla per la tesi, presi dai mille impegni
lavorativi e familiari che gravavano sulle nostre spalle. Spesso lo sconforto ci sopraffaceva, ma
Loredana, la prof.ssa Cicuttini, era sempre pronta a spronarci e a darci la forza per continuare
nel nostro cammino così impegnativo.
Nel 2005 ebbi modo di incontrarla nuovamente, poiché mi iscrissi ad un altro corso uni-
versitario, questa volta era per il Diploma di Specializzazione in attività di sostegno (400 ore).
Notai un certo cambiamento fi sico che pensavo dovuto al passare del tempo, nulla mi fece
minimamente percepire il dramma che stava vivendo. Caratterialmente era rimasta uguale:
professionale, dolce e disponibile e con quel pizzico di buon umore che la contraddistingueva.
Solo dopo due anni mi resi conto che nel suo tempo così diffi cile e duro della malattia, la sua
vasta cultura e la sua curiosità intellettuale la rendevano viva più che mai, fi no all’ultimo. Non
ha mai fatto trasparire la sua fatica, la sua sofferenza. Lei aveva parole di comprensione per
tutti noi che non avevamo capito nulla. Solo ora penso quanto sia stata grande a sostenerci
in quel percorso e forse, proprio quel prodigarsi nei nostri confronti era stato uno strumento:
il suo modo di alleviare la pena del diffi cile cammino verso la méta di tutti.
Come ho già scritto nel paragrafo precedente, solo nel 2007 mi resi conto di quanto era
occorso alla prof.ssa Cicuttini. In quell’anno, dal Liceo “G. Leopardi – E. Majorana, Istituto in
cui opero, mi fu assegnato il compito di insegnate accogliente per una tirocinante seguita dalla
Prof.ssa Beltrame. Fu un occasione di ricordare, insieme a lei, tutti i docenti che mi avevano
accompagnata in quel mio cammino faticoso di studio ed acquisizione di professionalità nel
campo dell’inclusione scolastica dei soggetti disabili e fui messa al corrente di quanto era
successo a Loredana ed il dramma da lei vissuto. Dramma che, grazie alla sua voglia di vivere
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la normalità ed alla sua forza di volontà, aveva così ben mascherato.
La prof.ssa Cicuttini non c’era più.
Rimasi allibita, senza poter proferire parola. Ancora oggi non riesco a capacitarmi dell’ac-
caduto e quando mi reco negli edifi ci universitari, penso sempre di incontrarla nei corridoi
o nelle aule in cui era solita lavorare.
Di lei mi colpivano la sua professionalità, il modo con cui ci trasferiva le informazioni,
il suo impeto e l’amore che riversava in tutto quello che faceva. I suoi approfondimenti su
problematiche e tematiche erano precisi, dettagliati e documentati. Era prodiga nel fornirci
informazioni bibliografi che e consigli per gli studenti che seguivamo. Ricordo come fosse
oggi, per esempio, il modo con cui trattò i disturbi specifi ci dell’apprendimento. Ricordo la
passione che traspariva quando parlava di soggetti dislessici e ipoacustici. Possedeva gli stru-
menti necessari per l’esercizio della sua professione: preparazione profonda, costantemente
accresciuta, aggiornata ed il metodo sviluppato con l’esperienza
Personalmente ritengo di aver appreso molto da lei, non solo in termini di contenuti, ma
anche di relazioni umane. È stata lei a insegnarmi cosa vuol dire analizzare le mie motivazioni
e quelle altrui. Attraverso la sua gioia di vivere e lavorare, mi ha fatto comprendere il signi-
fi cato dell’iniziativa correlata alla disponibilità dell’azione pluriprofessionale con interventi
sulla realtà sociale, facendomi capire l’importanza degli aggiornamenti permanenti, a cui lei
stessa non si sottraeva.
La prof.ssa Loredana Cicuttini era fermamente convinta che per il processo di inclusione
scolastica sarebbe stato necessario coinvolgere non solo la classe, ma tutta la scuola, che si
sarebbero dovuti individuare gli specifi ci bisogni educativi di ogni alunno in situazione di
handicap, rispondendo ai bisogni educativi degli stessi, con interventi calibrati sulle condizioni
personali di ciascuno, attraverso la conoscenza sia della specifi ca situazione del soggetto,
sia di quella del gruppo e della comunità scolastica in cui viene inserito. È stata in grado si
farmi capire la necessità di diversifi care i tempi e i modi di intervento in relazione alla natura
dell’handicap e all’entità dello stesso.
Potrei sicuramente affermare che la sua professionalità si caratterizzava per: conoscenze,
competenze ed aggiornamenti.
Era dotata di una grande umanità. Nell’esercizio della sua funzione, rispondeva a bisogni
molteplici e situazioni differenziate a favore della generalità degli alunni ed in particolare dei
soggetti con diffi coltà. Aveva una visione unitaria dell’alunno pur nella differenziazione delle
diffi coltà. Era l’insegnante facente funzione di sostegno per antonomasia. Se io stessa, nello
svolgimento del mio lavoro, riverso tutto l’amore di cui sono capace, devo darne merito anche
a lei.
Solo ora mi rendo conto di non averle mai fatto presente che è stata una delle persone
importanti che ho incontrato nel mio cammino professionale e con questo mio scritto vorrei
cogliere l’occasione per poterle dire:
grazie Loredana per tutta l’umanità, la passione e l’amore che hai saputo trasmettermi,
grazie per la tua ricerca del comprendere e grazie per aver fatto in modo che io possa eser-
citare al meglio la professionalità di insegnante facente funzione di sostegno. Il tuo ricordo
ed il tuo insegnamento rimarranno sicuramente indelebili nella mia memoria.
Francesca Costa
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Il rimpianto dei colleghi di scuola
Non è facile riassumere in poche parole l’importanza che la fi gura di Loredana Cicuttini
ha rivestito nella scuola secondaria di Remanzacco e l’impronta che il suo operare ha lasciato
negli allievi e nei colleghi che con lei hanno condiviso un tratto di strada.
Il ricordo corre inevitabilmente all’aspetto umano, alla solarità, al sorriso, alla disponibi-
lità, alla generosità con la quale si è spesa per i suoi ragazzi, per i colleghi e per l’istituzione
scolastica. E queste doti naturali e attitudini caratteriali esaltavano la sua professionalità che,
prendendo le mosse da una preparazione molto vasta, sempre alimentata da curiosità e atten-
zione per i vari campi del sapere, si era affi nata con l’esperienza. Ricordiamo la spontaneità e
l’umiltà con le quali, lei che ne sapeva tanto più di noi, offriva agli altri, allievi e colleghi, le sue
competenze e la sua sapienza, senza mai giudicare, sempre con spirito costruttivo e ottimista.
La sua specializzazione nell’insegnamento di sostegno l’ha sovente messa in contatto
con le situazioni più problematiche che trovano posto nel mondo della scuola. L’abitudine a
lavorare con i ragazzi diversamente abili l’ha spinta ad una particolare attenzione verso gli
aspetti metacognitivi del processo di apprendimento: abituare i ragazzi a pensare e spiegare
il loro percorso è stato un obiettivo importante che come insegnante si è sempre posta, inter-
venendo all’interno della classe e affi ancando, con la sua esperienza nell’applicazione del
Metodo Feuerstein, l’insegnate curricolare. Sempre Loredana ha speso tutte le sue energie
perchè “integrazione” non fosse solo una parola. Offrire pari opportunità agli allievi diver-
samente abili o svantaggiati signifi cava per lei lavorare per quanto possibile all’interno della
classe, favorire la partecipazione di tutti a qualsiasi attività fosse proposta a scuola, ampliare
con percorsi integrati l’offerta formativa, spendersi anche personalmente per orientare e
accompagnare nel percorso di studi superiori i “suoi” ragazzi.
E la fi gura di Loredana rimane legata a tutte le iniziative, ancora in corso, che hanno
come obiettivo lo “star bene” a scuola degli allievi e degli insegnanti e che aprono la scuola
al territorio: a lei si deve la promozione del primo Consiglio Comunale dei Ragazzi; del
progetto “Video”, che porta alla realizzazione di un cortometraggio in lingua friulana e la
partecipazione di alcuni allievi come giurati al Giffoni Film Festival; del Concorso d’Arte al
quale aderiscono tutte le scuole del territorio comunale, dal nido alla secondaria; del progetto
“Architettura del verde”, che propone alle classi lavori di giardinaggio per rendere lo spazio
esterno della nostra sede più curato e fruibile anche per attività didattiche all’aperto; della
“Serata sotto le Stelle”, con la quale, aprendo l’Osservatorio Astronomico ai ragazzi e ai loro
genitori, festeggiamo gli allievi di terza che ci lasciano e accogliamo i bambini delle quinte
che entreranno nella nostra scuola. Tutte queste iniziative sono cresciute nel tempo, come
se l’azione di Loredana fosse stata un lievito che ha attivato le risorse di tutti coloro che le
stavano accanto.
Le competenze maturate nel corso degli anni l’hanno anche portata a ricoprire il ruolo di
Funzione Strumentale per la Continuità all’interno dell’Istituto Comprensivo di Premariacco,
anche in virtù dell’esperienza come Presidente del Nido Comunale “Arcobaleno”, che amava
come una sua “creatura” e che è stata un’altra fucina di progetti da lei messa in moto.
Sicuramente non tutto ciò che Loredana ha fatto per la nostra scuola emerge da questo
breve ricordo, ma, per noi che abbiamo avuto la possibilità di lavorare con lei, non sarà pos-
sibile dimenticare che molti dei frutti che continueremo a cogliere provengono dai semi che
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ha saputo spargere, e di questo la ringraziamo.
Le colleghe della scuola secondaria di 1° grado di Remanzacco
Antonella Gasparin, Raffaella Iussa, Anna Pividori, Oriana Serafi ni, Paola Zandomenego
Il grazie del Sindaco
In questo momento tanti sono i sentimenti che si incrociano, tutti carichi di emozioni
forti, che trasmettono sensazioni particolari nel ricordo di un’amica, di un’amica speciale.
C’è il forte rischio della retorica, di quella consueta e sicuramente onesta voglia di dire tutto
il bene possibile di chi ha condiviso con te, con noi, con capacità, competenza ma soprattutto
passione un percorso all’interno del tessuto sociale di una comunità rivolgendosi soprattutto
ai più piccoli e ai loro genitori, alle mamme, alle donne: il mondo della scuola della prima
infanzia, un settore a cui hai dedicato il massimo con ragione e cuore.
Non è di questo che voglio però parlare, questo lo sappiamo già e te ne siamo profonda-
mente grati. Voglio piuttosto immaginare quello che tu vorresti dirci per farci capire e com-
prendere che anche questo triste momento va accettato e considerato come un forte ostacolo
in un percorso che deve però continuare. E rifl ettendo sul come continuare ci stupiresti ancora
una volta facendoci notare che anche le occasioni tristi, quando accadono, accompagnano il
dolore e la sofferenza con la necessità di fare un bilancio su chi sei stato, che cosa hai fatto,
come hai speso gli anni messi a tua disposizione, che qualcuno ha deciso essere pochi o tanti.
Ed ecco che con la calma, accompagnata dal tuo solare sorriso ci spiegheresti e per noi
sarebbe ugualmente diffi cile capire l’importanza della qualità degli anni vissuti a differenza
della quantità. Ed in questa qualità tante le cose belle: innanzi tutto i tuoi cari, un amore
profondo, una stupenda grande famiglia che con la stessa gioia vive la sua intimità e si rende
disponibile e aperta a tutti.
Il tuo lavoro, la tua passione, ritenerlo non come una cosa che si deve fare, un’occasione per
mettere a disposizione degli altri quello che con grande impegno avevi acquisito e continuavi
ad acquisire consapevole che ogni giorno che nasce può aiutarti a migliorare.
Il tuo impegno in politica è anche qui un esempio: tu puoi dirlo veramente di essere scesa
in campo con semplicità al di fuori dalle mura difensive del palazzo in strada tra la gente con
i genitori per capire e cucire situazioni e provvedimenti confrontandoti senza remore con chi
magari ha diffi coltà a comprendere ed accettare scelte che spesso si pongono. E nel palazzo
hai portato la voce e le necessità più diverse con caparbietà chiamandoci con il cognome,
non certo per distacco ma per piacevole stile per trovare assieme risposte e soluzioni. E poi
di nuovo fuori in strada nei corridoi delle scuole a spiegare e concordare fatti e soluzioni.
Ritornando al bilancio prima citato, hai ritenuto la tua malattia non un nemico ma una
sfi da. Conoscere ed essere consapevole della sua gravità cercando ogni giorno di trovare
motivo per ritenere ogni piccolo segnale una speranza per farcela, regalando magari un
sorriso a chi ti chiedeva come va.
E anche durante la malattia, nei momenti più duri e diffi cili gli altri venivano prima di te:
la salute del tuo papà, l’asilo nido, le varie cose da organizzare.
Ecco in queste righe un semplice spaccato dei tuoi giorni, i tuoi modi, i tuoi valori.
Nell’ultima sfi da, probabilmente il disegno e il destino non potevano ascoltarci, non ce
l’abbiamo fatta: uso il plurale perché volevi tu ma anche tutti noi vincere.
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Ho cercato di raccontarti Loredana, così a modo mio, convinto più che mai che il sorriso
che ha accompagnato ogni tuo momento sia stato una scelta di vita. Quanto sia diffi cile
sorridere sempre tu non l’hai mai fatto capire forse perché è stato un tuo dono e hai voluto
che la sua dolcezza ci restasse accanto per sempre nelle nostre strade, luce e guida anche
nelle ombre scure.
Ai tuoi cari non solo il cordoglio del tuo sindaco ma il sincero forte caloroso abbraccio
di un’intera comunità.
Dario Angeli
Sindaco del Comune di Remanzacco
Ancora attoniti per la tragedia che ha strappato una giovane donna all’affetto della famiglia
e alla singolare voglia di vivere che ha sempre dimostrato, gli amministratori di Remanzacco le
hanno dedicato un consiglio comunale in cui ogni componente la civica assemblea ha espresso il
suo pensiero e ricordo.
A Loredana Cicuttini è stata intitolata nel 2006 l’aula di gioco della nuova ala della scuola
dell’infanzia di Remanzacco, dove una targa ricorda la sua solarità e la sua generosità nell’impegno
professionale.
L’Università degli Studi di Udine le dedica la presente pubblicazione, con gratitudine per l’im-
pegno profuso per la formazione degli insegnanti di sostegno.