UNIVERSITÀ DI PISA
Corso di Laurea Specialistica in MEDICINA VETERINARIA
Il Veterinario: medico, psicologo, giurista
Candidato: Giovanna CARLINI Relatori: Prof. Giulia BIAGI
Dott.ssa Daniela DILAGHI
Anno Accademico 2012/13
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INDIC E 1 La professione veterinaria tra legge e giurisprudenza Pag. 6 1.1 La responsabilità civile e il risarcimento del danno 11 1.2 La responsabilità contrattuale del professionista 12 1.3 Responsabilità contrattuale e consenso informato 18 1.3.a Contenuto del consenso 19 1.3.b Forma del consenso 20 1.3.c Effetti del difetto di consenso 20 1.3.d Consenso informato e medicine non convenzionali 21 1.4. La responsabilità extracontrattuale (aquiliana) 23 1.5 Risarcibilità del danno non patrimoniale per la perdita
dell’animale d’affezione
24 1.6 Responsabilità penale 29 2 Tra etica e deontologia. Le competenze relazionali e il
consenso informato
34 2.1 Veterinario-paziente cliente. Una complessa relazione a tre 36 2.2 Il veterinario e la psicologia relazionale 38 2.2.a La comunicazione 41 2.2.a.1 I tre livelli della comunicazione e le
competenze comunicative
44 2.2.a.2 Le competenze comunicative in Medici-
na Veterinaria 46
2.2.a.3 I requisiti di una comunicazione efficace 47 2.2.b L’empatia 49 2.2.c Transfert e controtransfert 51 2.2.d Psicologia relazionale e POA 52 2.3 Si può insegnare a comunicare? 54 2.4 Il consenso informato in Medicina Veterinaria 56 2.4.a Presupposti etici 61 2.4.b Presupposti giuridici 64 2.4.c La natura dei precetti deontologici 67 2.4.d La questione della giuridicità dei precetti
deontologici
70 2.5 La comunicazione per il consenso 73 2.5.a “Compliance” o “Adherence”? 73 2.5.b “How to Create Responsive Clients” 76 2.5.c Un modello per la comunicazione 79 2.5.d Per un consenso davvero informato 81
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3 Il veterinario e la morte/uccisione degli animali 84 3.1 Aspetti medico-legali 88 3.2 Il ruolo del veterinario 91 3.3 Perché scegliamo di vivere con un “animale non umano”? 95 3.4 Il lutto 104 3.4.a Il tipo di legame e l’elaborazione del lutto 105 3.5 Aspetti psico-sociali 108 3.6 L’eutanasia e la prospettiva psico-sociale 112 4 Il veterinario e lo stress psico-sociale 114 4.1 Lo stress lavoro-correlato. 118 4.1.a Aspetti normativi 118 4.1.b Aspetti psicologici 119 4.2 Il “mobbing” 124 4.3. Il “ burn-out” 128 5 Parte sperimentale. 135 5.1 Materiali e metodi 141 5.2 Risultati e discussione 144 5.3 Considerazioni conclusive 153 6 Conclusioni 159 7 Autori citati. Siti citati. Giurisprudenza citata 165 7.1 Autori citati 166 7.2 Siti citati 171 7.3 Giurisprudenza citata 172
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RIASSUNTO
Parole chiave: responsabilità, comunicazione, relazione, consenso informato In questi ultimi anni è cresciuta l’attenzione per argomenti legati in vario modo a quegli aspetti della professione veterinaria, non prettamente sanitari, che riguarda-no la complessa area della “dimensione relazionale” e l’accresciuta sensibilità nei confronti degli animali sviluppatasi nell’opinione pubblica negli ultimi decenni ha fatto aumentare di molto la soglia di professionalità richiesta dai clienti. Dal punto di vista etico la mancanza di “sovrapposizione identitaria” tra paziente (animale) e cliente (proprietario/affidatario) è una questione cruciale, tanto più diffi-cile da affrontare in quanto ad essa non sono applicabili i paradigmi normalmente usati in medicina umana. A questo proposito si evidenzia la fecondità dell’utilizzo del metodo di indagine clinica POA (Problem Oriented Approach) che prevede an-che il coinvolgimento del proprietario nella così detta “alleanza terapeutica”. In questo lavoro vengono esaminati i principali aspetti giuridici della responsabilità professionale, evidenziando come l’interpretazione giurisprudenziale delle disposi-zioni legislative su tutta la materia sia assai rilevante in particolare per quanto ri-guarda la questione della risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita dell’animale d’affezione; particolare attenzione è dedicata agli articoli del Codice Deontologico relativi all’obbligo di informazione (“consenso informato”). In relazione a questi aspetti si analizza come la comunicazione sia uno degli ele-menti cardine nel rapporto del veterinario con i propri clienti, e vengono perciò pre-sentate alcune strategie per acquisire le competenze fondamentali da utilizzare nell’incontro, con particolare attenzione al momento della morte dell’animale, spe-cialmente in caso di eutanasia. Vengono anche esaminati gli aspetti psico-sociali della professione con particolare attenzione al mobbing e al burn-out, due conseguenze dello stress lavoro correlato. Il lavoro comprende anche una parte sperimentale dove sono analizzati i risul-tati di un test sull’ansia dei proprietari, anche al fine di ribadire come la valuta-zione della componente psicologico-emozionale sia fondamentale per il suc-cesso terapeutico.
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SUMMARY The Veterinarian: practitioner, psychologist, jurist Key words: liability, communication, relationship, informed consent In recent years the attention has increased to topics related in various ways to those aspects of the veterinary profession, not strictly medical, involving the com-plex area of the "relational" and the increased sensitivity towards animals which developed in the last decades caused a higher level of professionalism required by customers. From the ethical point of view, the lack of "identity overlap" between patient (ani-mal) and client (owner/foster) is a crucial issue, very difficult to face because the paradigms normally used in human medicine do not apply. In this regard, the method of clinical investigation POA (Problem Oriented Approach) is proved to be very effective. It includes the owner's involvement in the so-called "therapeutic alli-ance”. This work takes in to account the main legal aspects of professional liability, under-lining the importance of the judicial interpretation of laws on the whole matter, es-pecially as regards the issue of compensation of non-pecuniary damage for loss of the pet animal; particular attention is given to the articles of the Code of Ethics re-lated to the obligation of infomation ("informed consent”). In relation to these aspects, it comes out the importance of communication in the relationship between the veterinarian and his customers. Therefore, some strate-gies are described for the veterinarian to acquire the fundamental skills to be used with the customer, with particular attention to the time of death of the animal, espe-cially in the case of euthanasia. The psycho-social aspects of the profession, with particular attention to mobbing and burn-out, due to stress work-related, are also examined. The work also includes an experimental section, where the results of a test on the anxiety of the owners are analysed, in order to point out how the assessment of the psychological and emotional component is critical to treatment success.
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CAPITOLO 1:
LA PROFESSIONE VETERINARIA TRA LEGGE E GIURISPRUDENZA
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Dal punto di vista giuridico, la professione veterinaria rientra tra le
“prestazioni di opera intellettuale”. L’art. 2229 del Codice Civile stabilisce
che «La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle
quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi. L’accertamento dei
requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e
il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni profes-
sionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversa-
mente». La professione è altresì compresa nell’elenco delle professioni
sanitarie riconosciute dal Ministero della Salute, insieme con quella di
Farmacista, Medico chirurgo, Odontoiatra e Psicologo-Psicoterapeuta, ed
è importante sottolineare che, ai sensi dell’art. 359 del Codice Penale, co-
loro che esercitano, appunto, professioni sanitarie (o forensi) vengono
definiti, agli effetti della legge penale, «persone che esercitano un servi-
zio di pubblica necessità».
Nello svolgimento della sua professione il veterinario, sia libero pro-
fessionista che dipendente del Sistema Sanitario Nazionale, è obbligato a ri-
spettare la normativa riguardante, direttamente o indirettamente, tutti i setto-
ri della sua professione. Nel caso in cui non osservi queste regole potrà in-
correre in sanzioni civili, penali o disciplinari.
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In conseguenza dell’accresciuta sensibilità nei confronti degli animali
sviluppatasi nell’opinione pubblica negli ultimi decenni, è enormemente
cresciuta la soglia di professionalità richiesta da coloro che richiedono
l’intervento professionale del veterinario e, nello stesso tempo, si sono mo-
dificate le linee di indirizzo delle interpretazioni giurisprudenziali su una
vasta casistica attinente, a qualsiasi titolo, la relazione uomo-animale.
L’interpretazione giurisprudenziale delle disposizioni legislative su
tutta la materia è assai rilevante ai fini dell’esercizio della professione, an-
che perché, ormai da tempo, buona parte della dottrina concorda nel ritene-
re che il primato della “iurisdictio” sulla “legislatio” stia affermandosi an-
che nel sistema italiano di diritto legislativo, nonostante in esso il giudice
sia, istituzionalmente, vincolato solo alla legge.
Il nostro ordinamento giuridico, oggi, non si configura più come
espressione di singole norme racchiuse nei testi definiti dal legislatore
nazionale, ma come fenomeno complesso, caratterizzato da un policentri-
smo normativo con diversi e indifferenziati gradi di legalità, da quella
costituzionale a quella comunitaria. Tanto è vero che ci sono espressioni
come “diritto vivente”, “costituzione materiale”, “giustizia comunitaria”
che sono divenute ormai consuete nel linguaggio del giurista e sono em-
blematiche della profonda novità del quadro nel quale oggi operano av-
vocati e giudici (Mariani-Marini & Cerri, 2008).
Il riconoscimento che il diritto è una creazione storica soggetta a mutamen-
ti e adattamenti fa ormai parte della cultura giuridica contemporanea, anche se
resta vero che la cultura legale del nostro Paese (e in generale quella dell’Europa
continentale dove vige la tradizione romana e i codici in genere derivano da quel-
lo napoleonico) non è assimilabile a quella dei Paesi di “common law” (Gran
Bretagna e Stati Uniti), dove i “precedenti” non sono meno importanti della legge
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e il giudice può interpretare e creare il diritto con sentenze che verranno invocate
in altri processi dagli avvocati dell’accusa e della difesa.
Anche se deve essere ben chiaro, quindi, che la giurisprudenza non
può creare innovazioni legislative, essa esercita tuttavia un ruolo fonda-
mentale almeno per due motivi. Da un lato, orienta l’interpretazione delle
leggi verso un determinato indirizzo perché non sempre è palese e univoco
il dettato di una norma; dall’altro, consente di supplire parzialmente a delle
carenze normative, creando, in via interpretativa, applicazioni di norme
parallele e similari in quel vuoto legislativo. In particolare, riguardo agli
argomenti oggetto di questo lavoro, si pensi, ad esempio, al fatto che negli
ultimi decenni la giurisprudenza ha dato l’impulso ad una evoluzione ap-
plicativa importante delle vecchie norme a tutela degli animali, anticipan-
do di fatto le successive evoluzioni legislative.
Ci sembra importante anche sottolineare che, al contrario di quanto si
potrebbe pensare, non è vero che questo settore debba essere riservato a ma-
gistrati e avvocati, proprio perché l’attuale costruzione giuridica dell’intero
settore della tutela giuridica degli animali, in generale, difficilmente può
prescindere dalla conoscenza e dalla lettura anche della giurisprudenza oltre
che del testo normativo. Ignorare o comunque non tenere in debita conside-
razione la giurisprudenza sui casi concreti almeno più rilevanti, può pertanto
avere come conseguenza quella di commettere errori a volte determinanti
sulla esatta individuazione della qualificazione giuridica del reato.
Per definizione tutte le sentenze emesse dai Tribunali e dalle Corti di
Appello formano la giurisprudenza che si chiama «di merito». Tutte le sen-
tenze emesse dalla Corte di Cassazione formano la giurisprudenza che si
chiama «di legittimità». Ogni sentenza (che può essere lunga decine di pa-
gine) è poi riassunta in un estratto di poche righe che si chiama “massima”.
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Le “massime” della Cassazione sono le più autorevoli perché proven-
gono dall’organo di vertice, l’ultimo grado di giudizio, le cui funzioni istitu-
zionali sono quelle di sorvegliare sull’attività dei giudici inferiori al fine di
assicurare da un canto l’esatta osservanza della legge e dall’altro l’uniforme
interpretazione del diritto. In linea di principio la Corte, quando è chiamata
a pronunciarsi sull’appello della parte soccombente di un giudizio preceden-
te, non si occupa del “merito” della questione: i suoi giudizi si concludono
con una sentenza che può confermare la sentenza precedente, rinviarla a un
altro giudice di merito o annullarla; non vengono esaminati nuovamente i
fatti ma ci si limita ad accertare se il giudice precedente, nell’esercizio della
sua funzione, abbia applicato correttamente la legge.
Anche se possono esservi circostanze in cui la Cassazione è costretta a en-
trare nella materia del processo, ma solo al fine di accertare che la legge sia stata
interpretata e applicata correttamente. Il suo compito, quindi, non è quello di fare
giustizia nel particolare caso che è stato sottoposto alla sua attenzione, ma di veri-
ficare che le leggi siano state bene capite e utilizzate; in altre parole di assicurare,
quale organo supremo della giustizia, l’esatta osservanza della legge e la sua uni-
forme interpretazione da parte dei giudici di merito.
Naturalmente anche quella della Corte è una interpretazione. Ma è
l’interpretazione «suprema» e rappresenta quindi un precedente a cui i ma-
gistrati, in futuro, dovrebbero attenersi. In tal senso in dottrina si dice che la
Corte, grazie alla propria autorevolezza, svolge una funzione abitualmente
definita didattica o persuasiva (Di Federico, 2008).
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1.1 - La responsabilità civile e il risarcimento del danno
Il sistema della responsabilità civile si fonda su una regola tanto ampia
da essere comunemente ritenuta una clausola generale di responsabilità. Il
dettato dell’art. 2043 del Codice Civile, secondo il quale chiunque commet-
te un fatto doloso o colposo che provoca ad altri un danno ingiusto è obbli-
gato a risarcirlo, codifica i due principi cardine, maturati nel corso dei seco-
li, dell’assenza di responsabilità in mancanza di colpa (“nessuna responsabi-
lità senza colpa”) e della non risarcibilità di un danno che non sia qualifica-
bile come “lesione di un diritto”.
Il danno, quindi, è la lesione di un interesse protetto dall’ordina-
mento giuridico. Si configura come danno contrattuale (art. 1218 del Co-
dice Civile- “Responsabilità del debitore”) quando deriva dall’inadem-
pienza di un obbligo assunto tramite contratto; in caso di chiamata in giu-
dizio l’onere della prova, cioè la dimostrazione che il fatto dannoso non è
imputabile, ricade su colui che doveva effettuare la prestazione (“debito-
re”) e la prescrizione è quella ordinaria di 10 anni. Il danno si configura
invece come extracontrattuale quando deriva dal compimento di un atto il-
lecito per il diritto privato, non sanzionabile penalmente, oppure dal com-
pimento di un reato; in questo caso l’onere della prova ricade sul danneg-
giato e la prescrizione è ridotta (5 anni). Il danno risarcibile può essere di
natura patrimoniale o non patrimoniale.
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1.2 - La responsabilità contrattuale del professionista
Premettiamo che è nostra intenzione affrontare prevalentemente le te-
matiche relative al veterinario che esercita la libera professione perché rite-
niamo sia colui che, per il tipo di prestazioni che è chiamato ad eseguire, in-
staura un rapporto emozionale particolarmente stretto e coinvolgente con il
proprietario dell’animale.
Nel momento in cui una persona si rivolge ad un veterinario per chie-
dere la sua prestazione, si stabilisce un rapporto contrattuale di opera pro-
fessionale; anche se non scritto, è un vero e proprio contratto, le basi giuri-
diche del quale, anche se non specifiche della veterinaria ma comuni a tutte
le professioni intellettuali, si ricavano indirettamente dal Codice Civile.
Il contratto per perfezionarsi necessita dell’accordo tra le parti. Il pro-
prietario, detentore o responsabile dell’animale sollecita la prestazione sanita-
ria ed il veterinario, se d’accordo, la esegue. In quest’ottica il “consenso” è
riferito a tutte due le parti, cliente e professionista. Tanto è vero che il contrat-
to non si perfeziona nel caso in cui il cliente richieda una prestazione che il
veterinario si rifiuta di eseguire perché contraria alla legge o alla deontologia,
ad esempio l’eutanasia di un animale sano o un intervento di chirurgia a fini
puramente estetici; oppure perché ritenuta non valida dal punto di vista tera-
peutico, come la somministrazione di un farmaco invece che un altro; o anche
perché esula dalle proprie competenze o dalla qualità delle attrezzature della
struttura, ad esempio un intervento chirurgico di particolare complessità. Il
contratto non si perfeziona neanche nel caso in cui il cliente decida di non
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seguire le indicazioni diagnostiche o terapeutiche proposte per l’animale
(sterilizzazione/castrazione, eutanasia) .
Se invece c’è la conferma dell’accettazione, anche implicita, si costi-
tuisce un rapporto ad obbligazioni corrispettive: quella del cliente a pagare
la prestazione e quella del professionista a svolgere una determinata attività.
Il contratto di prestazione medica veterinaria è dunque l’accordo in virtù del
quale il professionista effettua la diagnosi, indica la terapia, rende note le
conseguenze ad essa afferenti o afferibili, si obbliga nei confronti del pro-
prietario dell’animale, dietro pagamento del corrispettivo, a compiere l’atto
medico secondo le migliori prescrizioni e regole tecniche.
L’obbligazione del professionista in generale, e quindi anche quella
del veterinario, viene definita “di mezzi e non di risultato”, il che significa
che il rischio per la mancata realizzazione del risultato, la guarigione
dell’animale, ricade sul cliente. Al professionista viene richiesto di eseguire
il suo compito con diligenza e capacità e questo dovrebbe (il condizionale è
necessario perché il contenuto dei concetti di “diligenza” e “capacità” è, a
livello di giurisprudenza e dottrina, tutt’altro che univocamente definito) es-
sere sufficiente ad escludere ipotesi di colpa e, quindi, di responsabilità per
inadempimento dell’obbligazione.
Si deve comunque tenere presente a questo proposito che, alla luce an-
che di quanto sopra detto a proposito del ruolo della giurisprudenza,
l’osservazione della situazione odierna genera non pochi interrogativi ri-
guardo sia alla definizione, tanto nota quanto controversa, dell’obbligazione
del professionista come obbligazione di mezzi, sia alle conseguenze della
partizione mezzi/risultato nella struttura e nella disciplina del rapporto ob-
bligatorio generato dal contratto. Da un lato l’orientamento giurisprudenzia-
le più recente, innovando rispetto al passato, tende addirittura a negare rile-
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vanza al problema di qualificare l’obbligazione, spostando l’attenzione su
altri elementi e comunque in una prospettiva di maggior rigore nei confronti
del professionista. Dall’altro la dottrina cerca nuove strategie per riaffermare
l’incidenza di questo aspetto, al punto da farlo diventare la base di un diver-
so fondamento della responsabilità stessa.
Tuttavia occorre tenere presente che il legislatore stesso, nella Legge 4
agosto 2006, n. 248, (GURI n. 186, 11/08/2006 - SO n. 183), meglio nota
come Decreto Bersani, eliminando l’inderogabilità dei limiti tariffari, intro-
duce di fatto la possibilità per i professionisti di condizionare il corrispettivo
al raggiungimento di certi risultati, e, di conseguenza, costringe il giurista
«ad interrogarsi nuovamente sul ruolo che il risultato riveste o può rivestire
nell’ambito del rapporto con il professionista intellettuale, nonché sullo
stesso concetto di risultato che si utilizza e sull’adeguatezza ed effettiva ri-
levanza della distinzione tra obbligazioni “di mezzi” e obbligazioni “di ri-
sultato”, sia sul piano applicativo sia su quello della ricostruzione teorica
del rapporto obbligatorio» (Cerdonio Chiaromonte, 2008).
Per quanto riguarda in particolare il contratto veterinario/cliente, esso
è un tipo particolare del “contratto d’opera” (artt. 2222 ss. Codice Civile)
nel quale il professionista assume la figura di “prestatore d’opera intellettua-
le” ex art. 2229 c.c.; siamo nell’ambito del lavoro autonomo (“professione
intellettuale”) con la conseguente applicazione delle norme che lo riguarda-
no. Di norma il contratto è, come detto precedentemente, bilaterale ed one-
roso, ma va tenuto presente che anche qualora il sanitario rinunciasse alla
controprestazione (onorario), si configurerebbe comunque un “contratto di
cura gratuita”, al quale si applicano le regole generali in tema di responsabi-
lità. Solo nel caso di una situazione, giustificata da particolari rapporti esi-
stenti tra professionista e cliente, dove si configuri l’ipotesi della cura gra-
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tuita “senza contratto”, cioè di una prestazione amichevole o di cortesia, c’è
una attenuazione di responsabilità.
L’obbligazione principale alla quale il veterinario è tenuto è la cura
dell’animale, accompagnata da una serie di obbligazioni accessorie, in pri-
mo luogo l’attenzione che il soggetto deve impiegare nell’esecuzione della
prestazione, prendendo le iniziative necessarie e verificando le proprie capa-
cità ed i propri mezzi nell’eseguire la prestazione. La violazione di tale ob-
bligo comporta il sorgere della colpa per negligenza.
C’è poi un generale obbligo della prudenza, cioè l’osservanza delle
misure di cautela idonee ad evitare che sia impedito il soddisfacimento
dell’obbligazione o comunque che siano pregiudicati altri interessi del
creditore. La violazione di tale obbligo comporta il sorgere della colpa
per imprudenza. Vi è infine l’obbligo della perizia che, in senso oggettivo,
è l’impiego di adeguate nozioni e strumenti tecnici, mentre in senso sogget-
tivo indica l’abilità e la preparazione tecnica del soggetto obbligato. In caso
di sua violazione vi è responsabilità per imperizia.
Inoltre può capitare che l’obbligazione principale che il veterinario si
assume nell’accettare la cura dell’animale possa avere ad oggetto due o più
prestazioni, in alternativa fra loro: ad esempio, per curare una determinata
malattia si potrebbe decidere per un intervento chirurgico piuttosto che per
un trattamento farmacologico.
Il veterinario si libera dell’obbligazione eseguendo l’una o l’altra
prestazione (art. 1285 C.C.). La facoltà di scelta spetta, di regola, al pro-
fessionista stesso, in quanto la sua preparazione professionale lo mette su
un piano superiore, rispetto al proprietario dell’animale, in quanto a co-
noscenze tecniche e scientifiche idonee per raggiungere l’oggetto del
contratto (curare l’animale).
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Nell’ambito del diritto civile, i criteri per identificare la colpa del sani-
tario sono abbastanza definiti in quanto se da un lato la legge dispone che
(art. 1176 c.c.) nell’adempimento delle obbligazioni derivanti da contratto
sia usata la diligenza del “buon padre di famiglia”, la Corte di Cassazione,
nella Sentenza n. 2428 del 26 marzo 1990, ha tuttavia stabilito che sia «da
ritenersi principio consolidato in giurisprudenza che la responsabilità del
professionista, per danni causati nell'esercizio della sua attività professio-
nale, deve essere valutata alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento
di tale attività ed, in particolare, al dovere di diligenza il quale a norma
dell'art. 1176 CC., secondo comma, deve adeguarsi alla natura dell'attività
esercitata. In queste condizioni, tenuto conto delle particolari caratteristi-
che della professione sanitaria, la diligenza che il medico chirurgo deve
impiegare nello svolgimento di tale professione è quella del regolato ed ac-
corto professionista esercente la sua attività con scrupolosa attenzione ed
adeguata preparazione professionale» (1).
Il professionista risponde, in ambito civile, non solo per colpa grave,
ma anche per colpa lieve, a meno che non abbia dovuto affrontare problemi
tecnici di particolare complessità (art. 2236 c.c.) e tale ipotesi si configura,
secondo la giurisprudenza, quando il caso concreto sia straordinario ed ec-
cezionale, non adeguatamente studiato nella scienza e sperimentato nella
pratica. Inoltre la valutazione del problema tecnico di particolare difficoltà
va fatta non solo in rapporto al caso clinico, e quindi oggettivamente, ma
anche dal punto di vista soggettivo, esaminando sia la situazione psicologica
del sanitario nel momento in cui interviene (ansia, urgenza ecc.), sia la sua
eventuale specializzazione.
A titolo di esempio di responsabilità contrattuale si può citare la Sen-
tenza n. 17871, 24 novembre 2003, della Corte di Cassazione Civile, Sezio-
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ne III. Questi i fatti. Nel 1991 una allevatrice di cavalli purosangue aveva
citato in giudizio una veterinaria per ottenere il risarcimento del danno cau-
sato dal suo errore professionale relativo all’accertamento dello stato di gra-
vidanza di una fattrice. Dopo la prima visita la professionista aveva dichia-
rato che la cavalla era gravida, ma, su richiesta dell’allevatrice, venti giorni
dopo, in seguito a un ulteriore accertamento, aveva riscontrato che la fattrice
era invece “vuota”. In sede processuale la veterinaria aveva obiettato che la
circostanza poteva essere spiegata con un aborto spontaneo.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le richieste
dell’allevatrice, con la motivazione che non aveva fornito alcuna prova della
erroneità della diagnosi di gravidanza. Invece la Corte di Cassazione, espri-
mendosi sul ricorso presentato, lo ha ritenuto fondato, riconoscendo implici-
tamente la responsabilità della veterinaria, sulla base della considerazione
che, prima di tutto, in tema di responsabilità del prestatore d’opera intellet-
tuale «l'inadempimento di regola consiste, a norma dell'art. 1176 comma
secondo cc, nella inosservanza della normale diligenza, valutata con ri-
guardo alla natura dell'attività esercitata, inosservanza che comprende an-
che la colpa lieve, salvo che, a norma dell'art. 2236 stesso codice, la presta-
zione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà». Per
quanto riguarda l’ipotesi di un aborto spontaneo intercorso nel tempo tra le
due verifiche, la Corte ha rilevato che la veterinaria «avrebbe potuto, in oc-
casione della seconda visita, accertare con le proprie cognizioni in materia,
se esistessero nell'animale segni di una interruzione della gestazione che
avrebbero inequivocabilmente acclarato la bontà della prima certificazio-
ne» (2), e pertanto in tal caso era suo l’onere di provare tale circostanza.
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1.3 - Responsabilità contrattuale e consenso informato
Tra le obbligazioni accessorie rientra anche il “dovere d’informazione”
che il veterinario ha nei confronti del cliente relativamente alla diagnosi
(necessità di indagini strumentali, analisi cliniche ecc.), al tipo di intervento
terapeutico previsto (farmacologico, chirurgico ecc.), alla prognosi e via di-
cendo. (Esempio: cane con metastasi). In ogni caso la scelta del proprieta-
rio/cliente dovrà essere libera e consapevole e pertanto assolutamente rile-
vanti saranno le modalità con cui l’informazione è stata data.
Per quanto riguarda gli aspetti relativi ai potenziali rischi, per un
veterinario, di trovarsi citato in giudizio da un cliente non soddisfatto delle
prestazioni professionali ottenute e dell’incidenza sull’esito del giudizio
stesso delle modalità di acquisizione o mancata acquisizione del consenso
informato, occorre tenere presenti gli elementi essenziali del concetto di
responsabilità professionale. I parametri, per quanto riguarda il veterinario,
sono quelli desunti per analogia, da quanto emerge in dottrina e
giurisprudenza relativamente agli esercenti le professioni intellettuali ed in
particolare i medici e i professionisti sanitari, quale di fatto il veterinario è.
Alla luce di queste considerazioni può dunque essere individuato
un tipo di responsabilità, indipendente dalla perizia tecnica documentata
nell'intervento, che deriva dall'inadempimento della obbligazione avente
ad oggetto il diritto al consenso informato. In questo caso il cliente la-
menta la carenza di informazione che gli avrebbe consentito di rifiutare
la prestazione medica.
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1.3.a - Contenuto del consenso Per quanto riguarda il contenuto del consenso, vale la pena di aggiun-
gere che, anche se sempre in riferimento alla medicina umana, mentre la
legge non indica quali debbano essere i contenuti né l’ampiezza
dell’informazione, la Magistratura non ha fatto altrettanto; anzi, alcune sen-
tenze in qualche occasione riportano espressamente quali sono state le ca-
renze nell’informazione data ai pazienti. Pertanto sia la quantità che la qua-
lità delle informazioni fornite possono risultare, in sede giudiziaria, deter-
minanti. L’informazione, completa, veritiera, obiettiva e recepibile, deve es-
sere proporzionale all’importanza dell’intervento da eseguire.
Entrando nel dettaglio, possiamo dire che l’informazione deve esse-
re completa ma commisurata alla capacità del cliente di recepirne il si-
gnificato; deve essere obiettiva senza però affrontare, a meno di specifi-
che competenze sull’argomento del proprietario, gli aspetti strettamente
tecnico-scientifici (clinici, biologici, farmacologici ecc.). In ultima anali-
si occorre sempre tenere presente che un sovraccarico di informazioni
può generare confusione e incertezza nel proprietario non adeguatamente
preparato a recepirle.
Vogliamo anche sottolineare che nell’illustrare tutte le possibilità di
intervento e le relative specificità, il sanitario deve sempre e comunque te-
nere presente la funzione cui l’animale è adibito. Questo aspetto acquisisce
particolare interesse per tutti gli animali “da reddito”, compresi cani, gatti e
altri animali da compagnia destinati alla riproduzione.
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1.3.b - Forma del consenso Gli aspetti relativi alla forma del consenso, vengono affrontati rife-
rendosi a quanto stabilito in medicina umana. Anche se spesso si tende a
pensare che la forma scritta sia l’unica valida, è bene sottolineare che, dal
punto di vista legislativo, ciò non è previsto. In generale si può dire che il
consenso implicito o orale è sufficiente per le attività di routine, mentre per
le altre è consigliabile, anche se non obbligatorio, il consenso scritto. Sono
da ritenersi non di routine tutte quelle attività che possono comportare con-
seguenze irreparabili, quali ad esempio la sterilizzazione, le amputazioni,
fino al caso estremo dell’eutanasia. Ma anche tutte quelle che, anche se ese-
guite con diligenza, prudenza e perizia, possono comunque comportare un
certo grado di rischio e pericolo, come ad esempio ogni intervento chirurgi-
co eseguito in anestesia generale.
1.3.c - Effetti del difetto di consenso Vale come regola generale che se il veterinario non fornisce, o fornisce
in modo inappropriato, le debite informazioni per il rilascio del consenso, po-
trà essere chiesto dal cliente, in un eventuale giudizio, l’annullamento del
contratto ai sensi dell’art. 1427 del Codice Civile (errore, violenza, dolo).
In conclusione si può dire che, in caso di contestazione per interventi
non riusciti o senza i risultati attesi, e fermo restando che il professionista si
sia comportato con la dovuta diligenza, prudenza e perizia, per avere validi-
tà in sede processuale, la documentazione relativa al consenso informato
dovrà dimostrare che le cause del risultato contestato sono dovute ai normali
21
rischi e pericoli che la pratica comportava oppure a cause fortuite, imprevi-
ste, imprevedibili, insite in ogni atto medico, e che il cliente era debitamente
informato di entrambi gli aspetti.
1.3.d - Consenso informato e medicine non convenzionali
Ci sembra opportuno ricordare anche che le medicine non
convenzionali, omeopatia, agopuntura, omotossicologia, sono state ricono-
sciute dalla federazione nazionale degli ordini veterinari (FNOVI), con un
documento inviato alla Commissione Affari Sociali della Camera nel Marzo
2003 (Linee Guida in Medicina Veterinaria Non Convenzionale” – proto-
collo N. 909/2003/F/Iaa), come atto veterinario e sono state pertanto inserite
a pieno titolo nel nuovo Codice Deontologico, all’art. 35. Sembra pertanto si
possa ritenere che, nell’informare il cliente su tutte le alternative possibili, il
veterinario debba far cenno a questa opportunità.
Per quanto riguarda, in particolare, la medicina omeopatica, il veteri-
nario omeopata, per assolvere gli obblighi ai fini del consenso informato,
dovrà, sulla scorta di quanto previsto per il medico omeopata, informare il
cliente che uno dei principi fondamentali della medicina omeopatica è che
diagnosi e terapia devono riguardare l'intero corpo del paziente, non solo i
singoli organi, come recentemente affermato dalla giurisprudenza di legitti-
mità (Cass., 1 aprile 2011, n. 7555) (3). Affinché questa scelta venga effet-
tuata in modo pienamente consapevole, il paziente deve essere debitamente
informato dal medico omeopata sulle modalità di cura e di diagnosi della
22
medicina omeopatica. A questo proposito, spetta al professionista dimostra-
re di aver adempiuto ai suoi doveri informativi nei confronti del paziente.
Egli è tenuto a interrompere la terapia omeopatica quando questa si dimostra
inefficace ovvero produttiva di danno alla salute del paziente e avvisarlo
della necessità di effettuare indagini diagnostiche specialistiche della medi-
cina tradizionale. Anche in questo caso spetta al professionista dimostrare di
aver avvertito il suo paziente al fine di consentirgli di valutare la migliore
scelta per la tutela della sua salute.
Riportiamo, a titolo d’esempio, un ipotetico modulo per il consenso al
trattamento con medicine non convenzionali. (Tabella 1)
Tabella 1. CONSENSO INFORMATO – MEDICINE NON CONVENZIONALI
Dott………… Il/La sottoscritto/a……………………………………. dichiara di essere a co-
noscenza che i trattamenti medici da Lui/Lei richiesti vengono effettuati con far-
maci omeopatici/omotossicologici/fitoterapici (farmaci non convenzionali) e che
non vengono utilizzati nella pratica comune della medicina (la medicina usa far-
maci allopatici). Dichiara inoltre di essere stato informato/a che gli stessi tratta-
menti possono essere effettuati con farmaci allopatici (usati nella medicina con-
venzionale) e che gli/le sono state illustrate le possibilità terapeutiche e gli effetti
negativi delle due metodiche.
Letto quanto soprascritto
Firma leggibile
23
1.4 - La responsabilità extracontrattuale (aquiliana)
Le norme civilistiche prevedono, oltre alla responsabilità contrattuale,
anche la responsabilità extracontrattuale, o aquiliana, che prescinde dal rap-
porto tra le parti e trae la sua origine dal principio del neminem laedere, cioè
dagli obblighi imposti in via generale dal diritto oggettivo. La norma fon-
damentale cui bisogna fare riferimento è, come si è detto, l’art. 2043 del
Codice Civile, in base al quale “qualunque fatto doloso o colposo che ca-
giona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno”.
L’identificazione giuridica del tipo di responsabilità del sanitario è as-
sai rilevante, data la significativa differenza esistente nella disciplina delle
due forme di responsabilità relativamente, ad esempio, a onere della prova e
prescrizione. Tuttavia, in ambito veterinario questa eventualità è abbastanza
rara, limitandosi in pratica, in ambito del diritto civile, a pochi casi quali ad
esempio il rifiuto, senza valido motivo, di dare assistenza all'animale porta-
togli dal proprietario, oppure, al contrario, l’aver curato un animale senza
che nessuno lo abbia richiesto (magari un animale smarrito, successivamen-
te ritrovato dal proprietario).
24
1.5 - Risarcibilità del danno non patrimoniale per la perdita dell’animale d’affezione.
Sebbene il tema della perdita dell’animale d’affezione si collochi, per
sua natura, nel comparto della responsabilità extracontrattuale, non sono tut-
tavia da escludere ipotesi di responsabilità contrattuale del veterinario (o
dell’affidatario a vario titolo dell’animale). Tanto è vero che il numero di
proprietari che, di fronte alla perdita del proprio animale in seguito a un ve-
ro o presunto, errore del veterinario decidono di rivolgersi al giudice, in Ita-
lia è notevolmente cresciuto in questi ultimi anni, anche se non tanto quanto
in altri Paesi, primo tra tutti gli Stati Uniti (Mc Eachern et al., 2004).
Il riconoscimento del danno patrimoniale è abbastanza frequente e
comunque sufficientemente incontrovertibili ne sono i presupposti normativi
e giurisprudenziali, dal momento che, nonostante sia sempre più diffusa
l’idea che l’evoluzione sociale ha reso l’articolo 810 c.c. ormai in larga misura i-
nadeguato per definire il rapporto tra uomo ed animale domestico, a tutt’oggi nel
nostro sistema giuridico gli animali, anche se d’affezione, sono beni e quindi
la loro perdita determina, di regola, un pregiudizio patrimoniale commisura-
to al valore venale dei medesimi.
Al contrario, la questione della risarcibilità del danno non patrimoniale
è stata affrontata in dottrina e giurisprudenza con risultati spesso non univo-
ci, anche se si sta delineando sempre più chiaramente il superamento della
considerazione degli animali come res per individuarli come esseri non solo
“senzienti in proprio” ma anche come esseri nei cui confronti “si sente”. Di
conseguenza si viene anche delineando una sorta di rivoluzione culturale ve-
25
ra e propria che determina la condivisione, sempre più estesa, dell’idea che
la perdita dell’animale o della possibilità di rapportarsi ad esso nel modo
consueto si configuri come vera e propria lesione di un diritto.
Riflettere sulla questione della risarcibilità del danno non patrimoniale
da perdita dell’animale d’affezione richiede comunque di confrontarsi con
quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione Civile a Sezioni Unite che con
sentenza n. 26972 del 2008 aveva stigmatizzato la consuetudine di molti
Giudici di Pace di riconoscere il danno non patrimoniale, nella forma di
“danno esistenziale”, in relazione «alle più fantasiose, ed a volte risibili,
prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle
persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l'errato taglio di ca-
pelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico,
l'invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell'animale di affezione, il
maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per
televisione determinato dal black-out elettrico» (4).
A proposito di questa affermazione riteniamo che, da un punto di vista
etico, non possa non destare una certa perplessità l’aver posto sullo stesso
piano la morte dell’animale d’affezione e il maltrattamento di animali con
l’errato taglio di capelli o la rottura del tacco di una scarpa da sposa. Da un
punto di vista giuridico, in ogni caso, nella stessa sentenza si trovano altre
affermazioni che hanno consentito, e consentono, ai magistrati di seguire
un’altra via interpretativa.
Vi si legge infatti che, per quanto riguarda l’individuazione di quali
siano i diritti la cui lesione può dar luogo a risarcimento, i «pregiudizi di ti-
po esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto
inviolabile della persona. … Se non si riscontra lesione di diritti costituzio-
nalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria» (4).
26
Ma quali sono questi diritti? Nella sentenza in esame si afferma che la
tutela non deve intendersi ristretta «ai casi di diritti inviolabili della persona
espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico,
ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve rite-
nersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituziona-
le indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà so-
ciale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango co-
stituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana» (4).
Viene in tal modo riconosciuto valore a una concezione dinamica della
regola giuridica, intesa non come un prodotto già compiuto ma come una
regola da farsi, in modo che il diritto possa sempre restare vincolato alle sue
basi sociali ed etiche e il novero dei diritti inviolabili possa via via allargarsi
anche a quelli che nel passato non erano considerati tali (Bobbio, 1990).
In tal senso, dunque, sebbene il rapporto tra essere umano e ani-
male nell’attuale ordinamento sia privo di copertura costituzionale in
senso stretto (anche se nel 2006 è stata proposta una modifica in tal
senso dell’art. 9, al momento in esame presso la Commissione Affari
Costituzionali), la sua tutela potrebbe configurarsi come tutela di quel
“diritto alla salute” costituzionalmente previsto all’art. 32. A tal propo-
sito occorre tenere presente infatti che il nostro ordinamento ha recepi-
to, con il Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 (GURI n. 101,
30/04/2008 - SO n. 108) in materia di tutela della salute e della sicurez-
za nei luoghi di lavoro, la formula dell’OMS che delinea la salute come
«stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente
solo in assenza di malattia o d’infermità».
La nozione di benessere sociale può essere uno dei modi in cui
l’ordinamento, attento a cogliere le proiezione dell’uomo nel suo essere-nel-
27
mondo, articola l’identità personale. Un’identità costituita anche da ciò da
ciò di cui l’uomo ha cura. L’uomo non vive solo di scambi sinallagmatici
ma anche di scambi affettivi, posti sotto il segno della gratuità. E allora,
quale parola meglio di “cura” è in grado di riflettere il rapporto dell’uomo
con gli animali?
L’interesse della materia per il veterinario non è di poco conto, dal
momento che, come si è detto, la tendenza all’incremento delle chiamate in
giudizio per inadempienza contrattuale in caso di decesso dell’animale
d’affezione non sembra cessare.
Occorre peraltro aggiungere che, al momento, mentre i giudici di meri-
to si sono più volte pronunciati a favore della risarcibilità di questo tipo di
danno, altrettanto non si può dire per i giudici di legittimità. L’unica senten-
za della Corte di Cassazione specifica sulla materia è la n. 4493 del 25 feb-
braio 2009. Questi i fatti. A seguito del ricovero presso una clinica veterina-
ria, ad un gatto viene somministrata una trasfusione di sangue infetto, che ne
determina il decesso. Accertata la colpa della clinica (che aveva omesso
qualsiasi controllo in merito alla qualità del materiale ematico trasfuso), il
Giudice di pace di Roma, con sentenza del 30 settembre 2004, aveva dichia-
rato l’inadempimento del contratto di opera professionale da parte della cli-
nica con condanna alla restituzione del corrispettivo, oltre al risarcimento
del danno morale ex art. 2059 cod. civ. in favore del proprietario del gatto
per la perdita dell’animale.
La Suprema Corte, nel decidere sulla legittimità di tale sentenza ha ri-
badito un importante criterio applicativo dell’art. 2059 del Codice Civile,
stabilendo che «nel giudizio di equità del giudice di pace, venendo in rilievo
l'equità c.d. formativa o sostitutiva della norma di diritto sostanziale, non
opera la limitazione del risarcimento del danno non patrimoniale ai soli ca-
28
si determinati dalla legge, fissata dall'art. 2059 c.c., sia pure nell'interpretazio-
ne costituzionalmente corretta di tale disposizione. Ne consegue che il giudice
di pace, nell'ambito del solo giudizio d'equità, può disporre il risarcimento del
danno non patrimoniale anche fuori dei casi determinati dalla legge e di quelli
attinenti alla lesione dei valori della persona umana costituzionalmente protet-
ti, sempre che il danneggiato abbia allegato e provato (anche attraverso pre-
sunzioni) il pregiudizio subito, essendo da escludere che il danno non patrimo-
niale rappresenti una conseguenza automatica dell'illecito» (5).
29
1.6 - La responsabilità penale
Abbiamo visto come la responsabilità civile derivi dalla violazione di
norme di natura privatistica, violazione che comporta l’obbligo per il re-
sponsabile di risarcire il danno cagionato; in questo caso prevale la funzione
risarcitoria rispetto a quella sanzionatoria. Nel caso della responsabilità pe-
nale, invece, è proprio quest’ultima ad essere la funzione principale cui la
norma è destinata.
La responsabilità penale sorge dall’imputazione al soggetto di un fatto
criminoso e dalla conseguente applicazione a suo carico di una sanzione
criminale, la pena, che si differenzia rispetto a tutte le altre sanzioni quella
amministrativa, quella tributaria, quella civile, per un connotato di maggiore
afflittività. La sanzione, in generale, consiste nella privazione o diminuzione
di un bene individuale (liberà, patrimonio) e, in particolare, la sanzione cri-
minale, ossia la pena, è la conseguenza giuridica della violazione di un pre-
cetto penale, cioè di un reato, ed è applicata solo e soltanto dall’autorità giu-
diziaria con le forme e le garanzie del processo penale. Il reato, che rientra
comunque nella più ampia categoria dell’illecito, è qualunque fatto umano,
commissivo od omissivo, espressamente previsto dalla legge, riconducibile
ad un comportamento che sia definibile come antigiuridico in quanto lesivo
di un bene giuridicamente tutelato.
Le fattispecie concrete riconducibili ad ipotesi di responsabilità penale
del veterinario desumibili dal Codice Penale sono diverse.
Particolarmente importante il disposto dell’art. 365 (Omissione di re-
ferto), in base al quale i professionisti sanitari che abbiano prestato assisten-
za in quei casi che possono presentare i caratteri di un delitto nel quale si
30
debba procedere d’ufficio, hanno l’obbligo di riferire all’Autorità Giudizia-
ria (c.d. obbligo di referto), con ciò disciplinando un obbligo di denuncia da
parte di tutti gli esercenti una professione sanitaria e non soltanto per coloro
che esercitano come pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
Altre disposizioni del Codice Penale che possono interessare il veteri-
nario sono quelle previste agli articoli 373 (Falsa perizia o interpretazione),
443 (Commercio o somministrazione di medicinali guasti), 481 (Falsità ide-
ologica in certificati), 500 (Diffusione di una malattia degli animali), 638
(Uccisione o danneggiamento di animale altrui).
Un discorso a parte meritano infine gli articoli 544-bis (Uccisione di
animali) e 544-ter (Maltrattamento di animali), introdotti con la Legge n.
189 del 2004 (GURI n. 178, 31/07/2004), nonché l’art. 727 (Abbandono di
animali) nella nuova formulazione introdotta con art. 544-sexies della stessa
legge. Anche se, paradossalmente, nel testo di questa legge non viene fatto
nessun riferimento ai veterinari, neppure all’art. 6, nel quale si affida la vigi-
lanza sul rispetto della normativa in questione alla Polizia di Stato, all’Arma
dei Carabinieri, al Corpo della Guardia di Finanza, al Corpo Forestale dello
Stato, ai Corpi di Polizia Municipale e Provinciale ed alle guardie particolari
giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute, tuttavia,
dalle disposizioni sopra citate del Codice Penale si evince chiaramente co-
me, nel caso in cui vengano rilevati episodi delittuosi, debba esserne fatta
regolare denuncia all’autorità giudiziaria per non incorrere nel reato di o-
messa denuncia di reato. Inoltre l’art. n. 86 del D.P.R. n. 320/54, obbliga il
veterinario a segnalare all’Autorità Sanitaria qualunque lesione da morso nei
cani per il controllo della rabbia e tale istituzione deve verificare le circo-
stanze in cui si è verificata la lesione.
31
L’art. 544-bis è stato applicato il 29 marzo 2007 dal Tribunale di
L’Aquila che, con sentenza n. 216/07 (6), ha condannato alla pena di due me-
si e dieci giorni di reclusione, pena sospesa, due veterinari dell’ASL «per a-
ver in concorso tra loro, con più azioni esecutive di uno stesso disegno crimi-
noso, senza necessità (…), cagionato la morte di 9 cuccioli di cane». Uno dei
due imputati, in qualità di dirigente, aveva ordinato l’uccisione dei nove cuc-
cioli, in perfetto stato di salute, all’altro imputato che ha eseguito l’operazione
tramite iniezione di Tanax®. I fatti risalgono all’ottobre del 2004 e la sentenza
è stata recentemente confermata dalla Corte d’Appello di L’Aquila (7). Inte-
ressante la ricostruzione dei fatti stessi: gli animali erano stati trovati nel giar-
dino di un uomo, che aveva chiesto l'intervento della ASL per portarli in cani-
le. Il dirigente della ASL, invece, decise di procedere alla soppressione, asse-
rendo presunti motivi di "ordine pubblico". In sede d'udienza gli imputati
hanno sostenuto di aver agito legittimamente poiché il proprietario del terreno
in cui furono trovati i cuccioli avrebbe dichiarato che gli animali erano di sua
proprietà e ne avrebbe quindi chiesto la soppressione.
La sentenza ha confermato gli ormai consolidati indirizzi giurispru-
denziali in base ai quali neanche il proprietario ha più la libera e totale di-
sponibilità dell’animale, per cui la stessa accusa potrebbe sempre essere
mossa nei confronti di liberi professionisti che acconsentissero a praticare
l’eutanasia ad animali su richiesta del proprietario senza che sussistano le
condizioni imposte dalla legge (cioè che gli animali siano gravemente mala-
ti, incurabili o di comprovata pericolosità). Una associazione animalista ha
chiesto la radiazione dei due veterinari dall’Ordine per violazione del Codi-
ce Deontologico, che dispone che il professionista debba operare in primo
luogo alla promozione del rispetto degli animali e al loro benessere in quan-
to esseri senzienti.
32
Per quanto riguarda l’art. 544-ter, da segnalare che in una recentissima
sentenza, la n. 12763 del 4 aprile 2012, la Corte di Cassazione (Sez. III pe-
nale) ha confermato, in attesa del processo, la misura di prevenzione del di-
vieto di dimora nei confronti di un veterinario, docente all'Università di
Camerino, con la motivazione che a suo carico «erano emersi gravi indizi di
colpevolezza di concorso esterno nell’associazione per delinquere finalizza-
ta all’organizzazione di corse clandestine di cavalli e in ordine al reato di
maltrattamenti di animali consistiti nel sottoporre gli stessi ad addestra-
menti massacranti, nella somministrazione di farmaci anabolizzanti e
nell’impego degli stessi in corse non confacenti alle loro caratteristiche eto-
logiche in modo da rendere a repentaglio la loro incolumità. In particolare,
l’indagato, quale veterinario, aveva scientemente agevolato la realizzazione
degli scopi associativi… aveva suggerito di somministrare all’animale un
farmaco per uso umano contenente gliburide, utilizzato per abbassare i li-
velli di zucchero nel sangue…» (8).
Citiamo infine la sentenza, del Tribunale di Civitavecchia del 25 mag-
gio 2011 (9), di condanna a carico di un veterinario, imputato per il reato di
cui all’art 443 c.p. «commercio o somministrazione di medicinali guasti»
perché «deteneva per il commercio presso la clinica farmaci guasti o imper-
fetti» e per il reato di cui all’art 727 c.p. II comma perché «deteneva animali
nella clinica in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di
gravi sofferenze». Riguardo al primo punto il Tribunale ha rilevato che il le-
gislatore ha inteso tutelare un particolare aspetto della salute pubblica gene-
rale, inerente la corretta conservazione di prodotti medicinali (anche veteri-
nari) comminando la reclusione «per quelle condotte che recano il rischio
non solo di pregiudicare la salute, ma anche di non potenziarla o favorirla,
come nel caso della repressione della messa in commercio di medicinali
33
semplicemente privi di efficacia terapeutica» (9). Riguardo al secondo pun-
to il Tribunale ha rilevato che per l’integrazione di tale reato «non è neces-
saria la lesione fisica, potendo la sofferenza consistere in meri patimenti»
come del resto confermato più volte dalla Suprema Corte per cui «non pos-
sono esservi dubbi sulla rilevanza, ai fini della disposizione in esame, non
solo delle alterazioni del fisico, ma anche di quelle che incidono sulla psi-
che dell’animale, risultando ormai pacificamente riconosciuto che anche gli
animali, quali esseri senzienti, sono suscettibili di simili menomazioni» (9).
Pertanto, per ravvisare il reato di cui all’art 727 c.p. in relazione alla
natura dell’animale, possono considerarsi penalmente rilevanti le condotte
che «seppure non accompagnate dalla volontà d’infierire, incidono senza
giustificazione sulla sensibilità dell’animale producendo dolore» (9).
34
CAPITOLO 7:
AUTORI CITATI. SITI CITATI. GIURISPRUDENZA CITATA.
35
7.1 – Autori citati APREA A (2008). Teorie cliniche sul lutto: da Freud ai primi studi
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7.2 – Siti citati
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La sitografia è stata consultata definitivamente in data 19 luglio 2012
41
7.3 – Giurisprudenza Citata
(1) - Cass. civ. Sez. III, 26 marzo 1990, n. 2428. http://www.libertamedica.it/collegamenti/c_scc_03.html
(2) - Cass. civ. Sez. III, 24 novembre 2003, n. 17871. http://www.personaedanno.it/cms/data/articoli/files/000723_resource1_orig.doc
(3) - Cass. Civ sez. III, 1 aprile 2011, n. 7555 http://www.torinomedica.org/torinomedica/wp-content/uploads/2011/08/All.-a-131_11-Ferraro_GIURISPRUDENZA_07AGOSTO-2011.pdf
(4) - Cass. Civ. Sez. Unite., 24 giugno-11 novembre 2008, n. 26972 http://www.altalex.com/index.php?idnot=43677
(5) - Cass. Civ. Sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4493 http://www.altalex.com/index.php?idnot=45135&idstr=20
(6) - Tribunale di L’Aquila, 29 marzo 2007, n. 216. . http://img.poliziadistato.it/docs/189_04.pdf
(7) - Corte d’Appello di L’Aquila, 2011 http://www.anmvi.it/files/professione_veterinaria/2011/01/Professione%20Veterinaria%2035-2011.pdf
(8) - Cass. Pen. Sez. III, 4 aprile 2012, n. 12763 http://static.ilsole24ore.com/DocStore/Professionisti/AltraDocumentazione/body/13100001-13200000/13196859.pdf
(9) - Tribunale di Civitavecchia, 25 maggio 2011 http://www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=38219&catid=207
(10) - Cassazione Penale, Sezione III. Sentenza n. 21805, 5 giugno 2007 http:/ www.altalex.com/index.php?idnot=37224
(11) - Cassazione Penale. Sezione II. Sentenza n. 24734, 1 luglio 2010 –
http:/ www.justowin.it/2010/09/la-nuova-tutela-penale-contro-il-maltrattamento-di-animali-2/
(12) - Tribunale di Varese, Uff. Volontaria Giurisdizione, decreto 7 dicembre 2011 http:/ www.personaedanno.it/attachments/article/37396/allegato1961986.pdf
(13) - Cassazione Civile. Sezioni Unite. n. 26810 del 20 dicembre 2007 http://abcdiritto.it/cassazione-268102007-natura-delle-norme-del-codice-deontologico-forense/