INDICE
INtroduzione Compagni per caso
5 di Renato Genovese Ausonia è uno stupido!
6 di Mauro Bruni Interni Immaginari
7 di Matteo Benedetti e Roberto Irace
pinocchio Recensione
9 di Ettore Gabrielli La storia di Collodi
11 di Ausonia Morbido tagliente/Pungente morbido
16 di Ausonia
p-hpc Recensione
23 di Matteo Benedetti Recensione
24 di Massimo Galletti Evoluzione della specie
26 di Simone Celli
beauty industries Recensioni
37 di Lorenzo Pellegrini, Simone Celli
Ausonia’s serious toyz Recensione
43 di Luca Baboni La realtà che ti invecchia
44 di Ausonia Recensione
50 di Ettore Gabrielli
Interni Recensione
51 di Luigi Siviero La copertina di Interni
53 di Luigi Siviero
maestro64 di Michele Ginevra
disegnini66 di Ausonia
Urania epix74 di Ausonia
Un libro da costruire77 di Luigi Siviero
bibliografia78 a cura di Mr Alabama
Compagniper caso
di Renato Genovese - Direttore Lucca Comics & Games
Si può conoscere una persona dopo solo quattro giorni di frequentazione?
No.
Ma anche se la suddetta frequentazione è stata intensa, cioè colazione-pranzo-cena, viaggi aerei, soste lunghe negli aeroporti di
Francoforte, Mosca e Vienna, dove essa (persona) si immolava – apparentemente capace di intendere e di volere - negli allucinanti
autodafé per fumatori!?
No. Assolutamente.
Ma nemmeno se da questa persona ti sei fatto fare le foto davanti al Cremlino visto da lontano perché c’erano le celebrazioni per
la vittoria nella Grande Guerra Patriottica del 1941-45 e di calpestare il patrio suolo della Piazza Rossa nemmeno a parlarne? Ma
nemmeno se con essa (persona) ci hai parlato in piena full immersion e non pareva che fossero sempre banali conversazioni sul
tempo o le tigri degli Urali? Ma nemmeno se sei rimasto ad ascoltarlo, rapito e stupidamente orgoglioso come se fosse figlio tuo,
mentre raccontava il suo lavoro con parole concrete e sommesse e l’aiuto di un DVD ad una platea di giovani russi ammirati nel
salone del festival Kommissia?
No. Ho detto no e basta!
Vabbé. Peccato.
Pensavo di aver capito qualcosa di Francesco Ciampi e di potervene raccontare un pezzetto. Ma non del suo talento indiscutibile
e di come riesce a trasfondere nei suoi lavori la sua anima di artista in incontrollabile e perenne evoluzione senza compromessi
né condizionamenti, che nessuno mai potrà irreggimentare in schemi o definizioni dettate a priori. Né di quella sensibilità a volte
aspra e inquieta ma profondissima che si intuisce, si vede, si tocca, si annusa e a volte si assapora tra lingua e palato nello sfogliare
i suoi libri o nell’ammirare le sue foto.
Io avrei solo voluto rivelarvi che Francesco non è solo quel polemico combattente senza peli sulla lingua, protagonista di accalorati
e radicali prese di posizione sui campi di battaglia virtuali dei blog o nelle trincee a volte inespugnabili dei forum, ma è anche – e
soprattutto – una persona aperta totalmente verso il mondo, verso l’arte, verso la cultura, verso la vita. Un uomo con le sue idee
chiare (anzi chiarissime), dotato anche di una grandissima carica umana, con un sorriso disarmante e limpido, che è lo specchio
fedele di quello che si porta dentro.
Peccato che tutto questo non ve lo possa dire: non lo conosco.
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ausoniaè uno stupido!
di Mauro Bruni - Responsabile mostre espositive Lucca Comics & Games
Ausonia: dietro questo nom de plume si cela uno dei talenti artistici più veri e genuini dell’editoria italiana:
sceneggiatore, disegnatore, illustratore, pittore, fotografo e chissà cos’altro.
Ausonia disegna, realizzando matite espressive e potenti.
Ausonia dipinge con ogni tipo di materiale e su ogni tipo di superficie.
Ausonia colora anche in digitale, con una precisione e una delicatezza riservata solo ai grandi Artisti.
Ausonia scrive: le sue sceneggiature sono poetiche, disturbanti, surreali, mai banali o scontate.
Ausonia filma e fotografa tutto e tutti.
Ausonia ha assimilato ogni tipo di medium e lo rimette in gioco riveduto e corretto dalla sua sensibilità.
Ausonia parla di ogni prossimo progetto con entusiasmo; gli occhi trasmettono una limpida convinzione
nei propri mezzi e nelle proprie idee.
Ausonia è commercialmente stupido; ogni volta che realizza un successo, commerciale e di critica,
cambia stile e personaggio. Il peggior incubo di ogni Editore.
Ausonia è un Autore, ma Ausonia è soprattutto Francesco Ciampi. Una persona, una bella persona, interessante,
arguta e intelligente. Se avete l’occasione scambiate due parole con Francesco,
sicuramente non sarà una conversazione banale.
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INTerniIMMAGINARI
di Matteo Benedetti e Roberto Irace -Curatori della mostra espositiva
Ausonia è la ricerca continua. Ausonia è la sperimentazione continua nell’ambito della comunicazione visiva.
Ausonia è un artista e un caleidoscopio di idee.
Nella personale antologica che Lucca Comics & Games dedica all’opera dell’autore fiorentino, si riuniscono tutte le strade
battute dalla sua arte. Arte che vanta opere da Pinocchio, rilettura a “tinte forti” di un classico della letteratura dove il fumetto la fa
da padrone, a P-HPC dove l’illustrazione trova una naturale commistione con la fotografia per un prodotto innovativo, passando
per Serious Toyz, carrellata di mostriciattoli pop e riflesso di una società cruda completamente allo sbando,
e Beauty Industries, divertissement onirico.
Conclusione ideale di questo percorso è poi Interni, saga autoprodotta che termina in concomitanza con il
Festival grazie all’uscita del terzo e ultimo volume: una storia nella storia, un racconto sull’Arte e il viver l’Arte, un dialogo continuo
tra autore e creatura dove i confini tra prodotto immaginario e realtà tangibile sono estremamente labili, al punto che l’autore
stesso è portato a distruggere la sua creatura.
E questo avviene sia nella finzione che nella realtà.
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pinocchiostoria di un bambinoEttore Gabrielli su Lo Spazio Bianco
“...e se la fiaba del burattino bugiardo fosse essa stessa una bugia?
Rileggendola al contrario se ne ricava un messaggio che spinge alla rivolta.”
Così commenta Ausonia, in quarta di copertina del suo ultimo lavoro. Punto di partenza è il celeberrimo romanzo per ragazzi di
Carlo Collodi, fiaba famosa in tutto il mondo e ancora oggi oggetto di recite, spettacoli teatrali, prodotti cinematografici e televisi-
vi, modi di dire; Ausonia prende il canovaccio originale e lo ribalta, nelle premesse e nei significati. Pinocchio è un
burattino di carne (carne da macello, che fa i vermi, che invecchia, ingrassa e diventa molle e disgustosa) creato dal macellaio Gep-
petto, in un mondo fatto di uomini di legno e viti (legno che si fa riparare se si deteriora, legno come apparenza). Pinocchio non è il
bugiardo per antonomasia, ma anzi l’unico che sembra dire sempre la verità tra una folla di consapevoli e fieri bugiardi.
Sono due variazioni apparentemente minime, operazione che ormai rappresenta un elemento classico della narrativa moderna,
ovvero reinterpretare i classici o la storia modificandone alcuni elementi, principali o secondari che siano. Il significato che
assume la favola alla luce di questi cambiamenti diventa totalmente differente da quello originario, assolutamen-
te spiazzante, spietatamente attuale e cinico. Le metafore che ne nascono sono completamente diverse, la morale tipicamente
favolesca viene distorta e ritorta fino a diventare grottesca eppure concreta e lampante. In un mondo popolato di burattini, la bugia
sembra la principale via di fuga dalla presa di coscienza delle proprie responsabilità, la chiave per giustificare i peggiori vizi e le
peggiori colpe, per dipingersi una favola bellissima dove in realtà c’è guerra e ingiustizia. In questo contesto, la verità diventa
un reato, diventa inutile e dannosa; non solo, diventa qualcosa di cui vergognarsi, una stupida perdita di tempo. Tanto da essere
processata, condannata, vilipesa e insultata. Il racconto si sviluppa come un lungo interrogatorio; Pinocchio, colpevole contro ogni
possibile discolpa, racconta la sua triste vita davanti a un implacabile giudice senza avere la possibilità di comprendere perché la
sua innocenza sia reato. Un processo che diventa parodia della giustizia, atto d’accusa contro la burocrazia, il cavillame e la
corruzione che hanno fatto perdere la fiducia verso chi dovrebbe creare e verso chi dovrebbe applicare la legge.
“Il fatto che dica la verità, non significa che abbia ragione! [...] Io ho bisogno di prove... Non di verità.”
Il racconto della vita di Pinocchio è pregno di violenza, esposta tanto sommessamente, senza sottolineature particolarmente
esplicite, quanto in maniera gelida e terribile. La creatura di carne ha conosciuto solo le percosse del padre, i raggiri del gatto e del-
la volpe e soprattutto, ancora più vili e agghiaccianti, le prevaricazioni e gli abusi degli altri burattini, a cominciare da Mangiafuoco
che per 5 monete approfitta di lui, fino ai compagni di cella in carcere. È una violenza mai mostrata esplicitamente, ma commenta-
ta in maniera rassegnata, triste ma quasi colpevole da parte di Pinocchio. La reazione di chi sembra non aver subito altro che
soprusi nella vita, tanto da sentirli ormai come quasi normali; Pinocchio per primo si sente sbagliato, più ancora dei comporta-
menti altrui. È un aspetto marginale dell’opera, eppure tratteggiato ottimamente, che contribuisce a un generico
senso di straniamento e di orrore.
“...in pochi giorni di vita ho conosciuto le percosse, lo stupro... e sono stato derubato. È molto per un bambino... mi creda.”
Solo l’incontro con Lucignolo dona al povero Pinocchio una pausa di felicità e spensieratezza. Il periodo trascorso nel Paese dei Ba-
locchi, là dove i giovani burattini “non ancora corrotti dall’esistenza” vivono senza le costrizioni e le meschinità del mondo adulto.
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Se il messaggio sembra all’apparenza dei più classici, ovvero la gioventù come innocenza (o, dal punto di vista dei burattini adulti,
come incoscienza), è anche velato di amarezza perché la “corruzione dell’esistenza” sembra un fatto certo e innegabile
con la crescita. Anche perché, perfino in quel posto tanto lontano dalla falsità, tutti rimangono burattini. Basta poco, basta aguz-
zare la vista, per vedere tutti i fili che legano ogni persona, fin da giovanissima, a un grande burattinaio nascosto in alto nel cielo.
Un burattinaio cui il lettore può dare migliaia di nomi diversi a seconda dell’occasione, ma che sempre tiene quei fili da cui è tanto
doloroso staccarsi, quei fili che sono sì costrizione ma anche rassicurante sicurezza.
“Quei fili... Pinocchio, ma dove vanno a finire? Tu lo sai?”
“No... Non lo so.”
Il tema centrale del racconto resta la guerra, fisica e non solo immaginaria, tra chi difende la falsità e il confor-
mismo come ragione di vita e chi invece coltiva la verità. Una guerra che si presenta crudele quanto tenuta ai margini del
sentito, quasi nascosta lontano dagli occhi di chi, perso tra tante bugie, non sa più cosa farsene del mondo reale. Ma chi difende
il valore della sincerità, del vero? Sono i grilli, i grilli che si insediano nelle bocche dei burattini e li rendono sinceri, portandoli
verso una guerra fratricida. Ecco ancora che il ribaltamento della prospettiva colpisce il lettore: la condizione naturale per queste
persone, fatte sì di legno ma molto, molto simili a noi, è la menzogna. La verità è una condizione esterna, quasi aliena,
che sembra arrivare a disturbare la quiete della società e il buon vivere della gente “normale”. Una delle scene più significative in
questo senso è il dialogo tra Pinocchio e un burattino diviso in due parti perfettamente simmetriche da una bomba; una metà ha
dentro sé un grillo, l’altra no, e tra loro litigano sulla versione da dare dei fatti, in continua contrapposizione, verità contro falsità,
fino a renderle entrambe così labili da non distinguerle più. Il pensiero non può che andare alla politica, dove si può assistere al
distorcimento della realtà elevato quasi ad arte; ma anche nella società comune, dove regna l’ipocrisia o il conformismo a tutti i
costi, si può assistere a quanto sia semplice alterare la verità fino a renderla confusa. Quando la verità deve difendersi da ciò
che vero non è, continuamente, rischia di perdere forza e valore, riducendo la sua affermazione a uno scontro
dialettico surreale e screditante.
“Qualsiasi assurdità può essere giustificata! Con l’ingegno e la menzogna!”
Se la favola originaria di Collodi terminava con la classica morale educativa, con il messaggio indirizzato ai bambini che non obbe-
discono ai genitori, la versione di Ausonia ribalta anche il concetto di morale stessa. Perché il finale, in cui gli aguzzini di Pinocchio
lo dissezionano per trovare la causa del suo “male”, è amaro non meno del resto del volume. Pinocchio è un perdente, la sua condi-
zione è quella di chi ha cercato di vivere nella verità e per questo ha ricevuto solamente insulti, violenza, infelicità.
“So solo che è difficile... Provare ad essere libero. È stata un’avventura spaventosa.”
Il tratto esibito da Ausonia è assolutamente funzionale al racconto. Figure malsane, bizzarre, corrotte anche visivamente,
burattini dagli sguardi ottusi e impietosi, colori cupi e opprimenti. La massa di carne di Pinocchio si fa molliccia e grassa, il suo
naso di carne si allunga in tanti filamenti di interiora. Il montaggio è abile, coinvolgente, le inquadrature guidano il senso di lettura
in maniera non banale ma senza mai perdersi nell’esercizio di stile fine a sé stesso; il capitolo finale, in cui si mescolano la vivise-
zione di Pinocchio con i suoi ricordi e il suo inconscio, è riuscitissimo, disturbante, malinconico.
Quello di Ausonia è un fumetto che non esiterei a definire politico nel senso più ampio del termine. La critica alla società, per
quanto già sentita e già affrontata in tanti ambiti, è resa con arguzia e intelligenza. Il racconto non assume mai il senso di una vo-
lontà moralizzatrice, è piuttosto una critica sottilmente feroce, capace di passare quasi in sordina per riaffiorare a lettura ultimata,
costringendo a rileggere e ad affrontare nuovamente la storia per coglierne il quadro generale, le implicazioni più evidenti e quelle
sottintese. Dopo anni di lontananza, il ritorno di Ausonia è una sorpresa di quelle che lasciano il segno, una voce origi-
nale e acuta da non lasciarsi scappare.
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la storia dicollodi
Ausonia in un’intervistarilasciata all’amica Gea
“L’idea forse è nata quand’ero piccolo.
Era il 1979, mia madre mi forzava ogni
mattina, prima di andare a scuola, a leggere
qualche pagina di una vecchia edizione di
Pinocchio (Adriano Salani, 1946) illustrata
benissimo da F. Faorzi. Il punto è che a sei
anni tutto ciò che provi a leggere... lo detesti.
Fai fatica, è difficile. Così ancor prima di
capire di cosa stia parlando il libro che hai
tra le mani, sai già che lo odi. Che lo odi
profondamente. Andavo a scuola e ogni
mattina dicevo a qualcuno “Pinocchio
è una merda”.
E per anni (una ventina) ho ripetuto
“Pinocchio di Collodi? È una merda”.
inquadrature guidano il senso di lettura in maniera non banale m
a senza mai perdersi
nell’esercizio di stile fine a se’ stesso; il capitolo finale, in cui si mescola la vivisezione di
Pinocchio con i suoi ricordi e il suo inconscio, è riuscitissimo, disturbante, m
alinconico.
Vittorio Pavesio Productions
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Nel 1999 qualcuno mi disse che mi sbagliavo
e di grosso, e che Collodi aveva scritto
qualcosa di davvero interessante. Decisi di
comprarne un’edizione economica, Giunti,
mi pare... con le bellissime illustrazioni di
C. Chiostri incise su legno da A. Bongini.
Lo lessi in un giorno. Più lo leggevo, più
mi sembrava incredibile scoprire come
Pinocchio fosse un libro pericolosamente
sovversivo che spingeva all’omologazione e
alla perdita dell’individualità e che obbligava
i figli a riconoscere i padri come padroni a
cui sacrificare le loro vite
e le loro aspirazioni.
Passarono ancora degli anni.
I motivi per cui continuavo a parlare male di
quel libro erano cambiati, ma continuavo a
parlarne male.
Avevo letto ancora una volta Pinocchio
e, nonostante le mie opinioni a riguardo,
notai che conteneva non poche suggestioni
visive... cominciai a riconoscere che
Collodi era, comunque, riuscito a creare
un’ambientazione straordinaria e che i suoi
personaggi, appena nati dalla sua penna,
erano già dei classici: Mangiafuoco, il
gatto e la volpe... credo ne fosse
consapevole lui stesso.
Nel momento in cui Pinocchio
entra nel “teatro dei burattini”, infatti,
le maschere classiche come Pulcinella e
Arlecchino lo riconoscono subito, urlano:
“È il nostro fratello Pinocchio!”, come
se fosse già uno di loro. Un classico,
appunto. E in quel caso ho trovato Collodi
davvero moderno, presuntuosamente pop.
Grandioso.
Ma in quell’ultima lettura del libro
Pagine di storyboard, formato 21 x 29,7 cm, 2005
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cominciai ad individuare cose, nel testo,
quantomeno contraddittorie. La prima fu
proprio il nome che Geppetto mette al suo
bambino. Pinocchio. Se io fossi un povero
vecchio solo, desideroso di avere un figlio...
e me ne costruissi uno... beh, lo chiamerei
Mario, davvero. O Felice. Giorgio. Francesco.
Insomma, gli darei il nome di un essere
umano. Perché desidero che diventi di carne.
Reale. Vivo. “Occhio di Pino” è il nome di un
bimbo di legno impossibilitato a crescere. È
il nome giusto per una marionetta. E quando
Geppetto spiega le origini di quel nome, lo fa
così: “Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo
nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto
una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio
il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i
ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più
ricco di loro chiedeva l’elemosina”.
Ora, i nomi propri sono degli
auspici, dei portafortuna che i genitori
regalano ai figli... esiste il nome Gioia, non
Tristezza. Speranza, non Vanasperanza.
Esiste Vittorio, non Sconfitto. Franco, non
Subdolo... certo, Geppetto sembra un uomo
di spirito, ma il suo amore per quel bambino
è troppo profondo per dargli un nome che lo
inchiodi per sempre al legno e alla sua non
umanità. Stranissimo.
Collodi, parlandoci della trasformazione di
un monello in bambino perbene, ci parla di
un contesto sociale degradato e violento. E
lo fa con toni davvero splatter, a volte. Scene
che la Disney non ha potuto che censurare
nella sua bigotta versione cinematografica.
Come quella in cui i due assassini (il gatto
e la volpe) cercano di derubare il burattino: Pagina di storyboard, formato 21 x 29,7 cm, 2005
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“Allora l’assassino più piccolo di statura,
cavato fuori un coltellaccio provò a
conficcarglielo, a guisa di leva e di scalpello,
fra le labbra: ma Pinocchio gli azzannò la
mano con i denti, e dopo avergliela con un
morso staccata di netto, la sputò”.
Pinocchio è una vittima del mondo in cui
vive. Questo capivo della fiaba di Collodi.
Pinocchio è un’Arancia meccanica ante
litteram. Ecco perché Geppetto gli da quel
nome, perché niente potrà mai salvare quel
bambino dal suo destino di schiavo,
appeso per i fili.
In quel periodo, era il 2005, Gipi stava
girando I cento Pinocchi, un medio
metraggio su una famiglia di burattini che
costruiva burattini... mi chiamò una volta,
per avere un parere tecnico su dei nasi in
lattice da applicare agli attori, e ebbi modo
di parlargli di un’idea che avevo avuto su una
possibile rilettura della fiaba di Pinocchio...
e mi venne fuori per la prima volta, così, di
getto. E ci sembrò buona. Mi pare.
Fu da quel momento che
cominciai a prendere appunti e a volerne fare
un libro a fumetti.
L’idea era semplice ma efficace, usare
il libro di Pinocchio come fonte principale
e ricavarne una sceneggiatura al contrario.
Così immaginai un mondo popolato da
burattini, in cui ce n’era uno, Geppetto, il
macellaio, che trovando un pezzo di carne
parlante decide di farne un bambino, che
dovrà essere così ubbidiente da sembrare
un burattino. Eccola l’idea. E mai come
in questo caso la fiaba di Pinocchio mi è Pagina di storyboard, formato 21 x 29,7 cm, 2005
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sembrata più coerente e vera.
Non dovevo quasi inventare nulla, era già
tutto scritto, ma era tutto sbagliato e dovevo
correggerlo e metterlo a posto. Facile.”
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MORBIDOTaglientepungentemorbido
Ausonia
“C’erano delle macchie scure tutte intorno.
E al centro qualcosa di meraviglioso che
sentivo di dover estrarre e poi osservare.
Più o meno la sensazione è questa, ogni volta
che capisco che sta per venirmi fuori
un’idea per una storia.
Ma all’inizio non puoi metterti lì e capire
China e matita bianca su cartoncino colorato, formato 32,5 x 46 cm, 2006
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cosa sia. Cosa c’è al centro di quella nebulosa
scura. Non puoi disegnarlo… se non disegni
prima la nebulosa stessa.
Così cominci a fare cose con una penna, per-
ché quello che hai non è neanche un’idea. È
un po’ come i disegnini geometrici che faccio
quando sono al telefono.
Traduco le parole della conversazione in
segni. La mano apparentemente segue
solo quei suoni e non il loro significato. Ho
rubriche piene di scarabocchi. Scarabocchi
magici, che a riguardarli bene ti torna in
mente ogni singola frase della telefonata. China e matita bianca su cartoncino colorato, formato 32,5 x 46 cm, 2006
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China e matita bianca su cartoncino colorato, formato 32,5 x 46 cm, 2006
Associavo il suono della parola burattino
al suono della parola burro. Morbido. E a
quello della parola pattino. Il pattino che
scivola e incide il ghiaccio. Tagliente. dise-
gnavo cerchi morbidi che finivano per avere
un angolo su un lato.
E quella, a mia insaputa, sarebbe stata la
forma geometrica che avrebbe caratterizzato
l’aspetto dei burattini che avrebbero
popolato la mia storia. Personaggi morbido-
taglienti. Degli ossimori deambulanti e
parlanti. E soprattutto bugiardi. Ma niente di
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