IOSONOHELENDRISCOLL
1Ilgiornoincuilacosainiziò,un torrido sabato d'agosto,avevo lasciato l'ufficio poco
dopo mezzogiorno. MichiamoTomWallace, lavoroper gli stabilimenti dellaNorth American Aircraft diInglewood, in California,all'Ufficio Pubblicità. Alloraabitavamo a Hawthorne, inuna casa d'affitto a un pianosolo,conduecameredaletto,di proprietà di MildredSentas, una delle nostrevicine.FrankWanamaker,unaltro vicino, e io, eravamo
soliti andare insieme allostabilimento, usando a turnolamiaolasuamacchina.MaaFranknonpiaceva lavorareil sabato, e appunto quelgiorno era riuscito adassentarsiconunascusa.Cosìstavorincasandodasolo.Mentre svoltavo nella
TulleyStreet,vidilaMercurydel '51parcheggiatadi frontea casa nostra: Phil, il fratellodi Anne, era venuto a
trovarci. Mio cognato eralaureando in psicologiaall'Università di Berkley,California, e spesso veniva aLos Angeles per il finesettimana.Quellaeralaprimavolta che veniva a trovarcinella casa nuova, doveavevamo traslocato da duemesisoltanto.Imboccai il breve viale
d'ingresso e fermai la Forddavanti alla rimessa.
Dall'altrapartedellastradalamogliediFrankWanamaker,Elizabeth, strappava leerbaccedalpratodi casa.Misorrise alzando una manoguantata.Lerestituiiilsaluto,smontai dalla macchina eraggiunsi il portico. Mentresalivo i due scalini vidi cheElizabeth si rialzava a fatica,rassettandosi la veste dagestante. Il bambino dovevanascere fra tremesi. Ilprimo
rampollo dei Wanamakerdopo sette anni dimatrimonio.Apriilaportad'ingressoed
entrai nel soggiorno. C'eraPhil seduto al tavolo dicucina, davanti a una bibita.Aveva circa vent'anni, eraalto,snello,conicapelliscuritagliati a spazzola. Mi diedeun'occhiataesorrise.—Ciao,cognato—disse.— Ciao. — Mi tolsi la
giacca e l'appesi nelguardaroba.Annemi accolsesulla porta della cucina conunsorrisoeunbacio.—Comesta lamammina?
— le chiesi dandole duecolpettileggerisullapancia.—Ingrossa—sospiròlei.Risielabaciaidinuovo.—Faabbastanzacaldoper
te?—lechiesi.— Non me ne parlare —
rispose.
—D'accordo.—Haifame?—michiese.—Tantachenoncivedo.—Bene.Phileiostavamo
permetterciatavola.— Vi raggiungo in un
attimo.—Milavailemaniesedetti di fronte a Phil,contemplando la sua camiciasportiva di un color verdeacceso.— A che cosa serve? —
chiesi.—Per le segnalazioni
agliaerei?— Risplende nel buio —
disse.— Allora aiuta le tue
compagne d'università arintracciarti di sera —replicai.Philridacchiò.—Noncominciate,voidue
— intervenne Anne,mettendosul tavolounpiattodicarnefredda.— Cosa vorresti dire? —
chiesePhil.
— Non ho voglia disentirvi bisticciare durantequesto week-end. Fa troppocaldo.— Su questo siamo
d'accordo—dissePhil—masul resto no. Sei con me,cognato?—Pazienza—disseAnne.
— Non me la sento diaffrontare il caldo e anche levostrediscussioni.— Dov'è Richard? —
chiesi.— Gioca nel cortile
posteriore con Candy. —Annesisedetteaccantoamecon un gemito. — Oh,posiamoquestocarico,poveripiedimiei.Le accarezzai la mano e
cominciammo a mangiare digusto.— A proposito di Candy
— disse Anne — non avraidimenticato che dobbiamo
andaredaElsie,stasera?— Oh, mio Dio —
sospirai. — Sì che l'avevodimenticato. Dobbiamoproprioandarci?Annesistrinsenellespalle.
— Ci ha invitato da unasettimana. Per trovare scuse,èunpo'tardiadesso.— Pazienza. — E
cominciaiamangiare.—Il cognato sembrapoco
entusiasta — disse Phil. —
Le orge di Elsie non sonoallettanti?—Perniente.—Chiè?— La nostra vicina, sta
nella casa accanto— spiegòAnne. — Candy è la suabambina.—E i ricevimenti sono la
suaprofessione—dissiio.—ÈlaElsaMaxwelldeicomunimortali.Anne sorrise e scosse la
testa. — Povera Elsie. Sepotesse immaginare le coseorribili che le diciamo dietrolespalle.—Unascocciatrice,eh?—
dissePhil.— Perché parlarne? —
dissi.—Vienialricevimentoegiudicheraitustesso.— La terrò allegra io —
promisePhil.Poco dopo le otto e un
quartoRichardsiaddormentònel suo lettino e noi citrasferimmo in casa di Elsie.Nella maggior parte deimatrimoni, la casa dellacoppia viene considerata laloro casa. Questa facevaeccezione. Ronprobabilmente pagaval'affitto,malaproprietariaerasoloeunicamenteElsie.Losirespiravanell'aria.Venne Ron ad aprirci.
Ventiquattroanni,unpaiopiùdi Elsie, quattro o cinquecentimetri più alto dellamoglie. Era di corporaturaesile, biondo, con la facciatonda e infantile,generalmente impassibile,perfino quando sorrideva,come in quel momento,rialzando appena gli angolidellabocca.Frank ed Elizabeth c'erano
già.Elizabethsierainstallata
sul divano rosso come unapazientenellasalad'attesadeldentista; Frank, alto easciutto, era sistematoscompostamente in unapoltrona rossa.Si rianimòunpocovedendocientrare.Alzògliocchiannoiatidaltappeto,si raddrizzò sulla poltrona,poisialzò.PresentaiPhil.—Salve!Mi voltai e vidi Elsie che
faceva capolino dalla porta
della cucina. Si era fattatagliare i capelli neri ancorapiù corti e se li era fattiarricciareanchedipiù,notai.Quando eravamo andati adabitare là, li avevabiondissimielunghi.Tutti rispondemmo al suo
saluto,eleiscomparveperunattimo, poi tornò con unvassoio carico di bicchieri.Indossava un abito rosso dimaglia, che le aderiva alle
curve del corpo come unaseconda pelle. Quando sichinòperposareilvassoiosultavolino di legno chiaro, lascollatura dell'abito si staccòrivelando il reggiseno neroben aderente. Notai losguardo intentodiFrank.PoiElsie si raddrizzò con unsorriso spavaldo e guardòPhil in modo decisamenteprovocatorio. Anne fece lepresentazioni.
— Piaceeeeere — tubòElsie.—Sonomoltocontentache siate venuto. — Ciguardò. — Ecco, scegliete ivostriveleni.Quellocheaccaddedurante
la serata fino al momento incui la cosa cominciò, non haimportanza. Ci furono lesolite peregrinazioni allacucina e al bagno; il solitosciogliersi e riunirsi digruppetti: le donne, gli
uomini, Frank, Phil e io,Elizabeth e Anne, Elsie ePhil, Ron e io, e viadiscorrendo, brani diconversazione alla derivacomesuccedeinognisalotto.Mettemmoqualchediscoe
ci fu qualche sporadicotentativo di ballare. Candyfece un'apparizione fugace insoggiorno, intontita per ilsonno interrotto, e subitovenne rimessa a letto. Ci
furono le varie esibizionipersonaliprevisteinanticipo.Frank cinico e annoiato,Elizabeth tranquilla eraggianteperlasuamaternità,Phil divertente e irrequieto,Ron muto e affabile, Annepacata e disinvolta, Elsiesaltellante e forzatamentevivace.Uno stralcio di
conversazioneme la ricordo:stavo per fare un salto alla
casaaccantopervederecomestava Richard, quando Elsiefece un commentosull'opportunità di avere unababy-sitter.—Quando si trattadi fare
solo un salto a casa, comeadesso,nonoccorre—disse.—Madovretepuruscire,unavoltaognitanto.—Unavoltaogni tanto, per Elsie,significava una media diquattrosereallasettimana.
—Piacerebbe anche a noi— disse Anne — ma nonsiamo ancora riusciti atrovarneuna.— Provate la nostra —
disse Elsie. — È una bravaragazzina,moltofidata.A questo punto uscii per
andare a vedere Richard.Vissiunodiqueimomentidiadorazionenotturna; fermarsinellalucefiocavicinoallettodel proprio marmocchio e
guardarlo.Nient'altro.Restarecosì, e basta, fissando lafaccia arrossata dal sonno, esentirsi quasi sopraffare daun'ondata di tenerezzaindescrivibile. Percepirequalcosa di divino in quellostesso piccolo mascalzonechemagariqualcheoraprimaha trovato il modo dimandarti letteralmente inbestia.Regolai un po' la
temperatura della stanza, etornaiacasadiElsie.Li trovai che parlavano di
ipnotismo. In realtà, a partePhil, Anne, e forse Frank,nessuno sapeva esattamentecosa pensare dell'argomento.Si trattava soprattutto di unadissertazione di Phil su unodeisuoitemipreferiti.—Oh, io non ci credo—
dichiarò Elsie, mentre io misedevo accanto a Anne e le
mormoravo che Richarddormiva come un angelo.—Quelli che affermano diesserestatiipnotizzati,nonlosonostatiaffatto,inrealtà.—Ecome,selosonostati!
— ribattéPhil.—Altrimenticome spiegare gli spilloni dacappello infilati nella golasenza che ne uscisse unagoccia di sangue? Senza cheloromandasseroungrido?Elsieinclinòlatestadauna
parte e guardò Phil conquell'aria dubbiosa, un po'esasperata e un po'accusatrice, che la genteassume quando devepuntellareipropridubbi.— Avete visto qualcuno
con la gola infilzata da unospillone?—chiese.Tutti guardavano Phil
incuriositi.— Ho avuto uno spillone
piantato nella mia gola —
replicò Phil. — E una voltane ho affondato uno per piùdimetànelbracciodiunmiocompagno... dopo averloipnotizzato.Elsie finse di rabbrividire.
— Uuuhh — disse — checosaorribile.— Niente affatto —
rispose Phil col tonoindifferente che gli studentiostentano quando fannoesploderebombe intellettuali.
— Non ho sentito niente, enemmenoilmioamico.— Ve lo state inventando
in questo momento — disseElsie,volutamentescettica.—Nemmenopersogno.—Eppurenonposso...Fu Frank a dare la spinta
finale,decisiva.—Benissimo— disse.—
Fateci vedere, allora.Ipnotizzate qualcuno. — Cirivolse uno dei suoi sorrisi
sbiaditi e crudeli. —IpnotizzateElsie—propose.— Oh, no, che non lo
farete— strillò Elsie.—Miguarderò bene dal fare coseterribilidavantiatutti.— Mi sembrava di aver
capito che non ci credete—dissePhil,divertito.— Infatti, infatti — disse
lei.—Però...ecco,iononmipresto.Gli occhi neri di Frank si
spostaronodall'unoall'altro.— Va bene — disse. —
Chi si lascia ipnotizzare,allora?— Io non mi propongo, a
meno che non vogliatepassare qua tutta la notte—disseAnne.—Philpassaoreintere nel tentativo diipnotizzarmi.— Sei un soggetto
pessimo, ecco perché —spiegò Phil, guardando la
sorellaconunsogghigno.— Sta bene, chi si offre,
allora?—Frank non si davaper vinto. — Ci stai tu,Lizzie?— Oh... — Elizabeth
abbassò gli occhi, e sorriseimbarazzata.— Ti promettiamo di non
farti togliere il vestito —disseFrank.— Frank! — Elizabeth
aveva trentun anni, ma
arrossiva ancora comeun'adolescente. Adesso nonosava più guardare nessuno.Elsie feceuna risatina.Frankparvesolocompiaciuto.Elsieeraunbersagliotroppofacileperlui.—Coraggio,Elsie—disse
— sii sportiva. Lasciatiipnotizzare. Non vogliamofarti fare lo spogliarello sultavolodicucina,tel'assicuro.— Potresti... — cominciò
Ron.—Oh,sei terribile,Frank!
— interruppe Elsie, in brododigiuggiole.—Cosa volevi dire, Ron?
—chiesiio.Ron deglutì. — Ecco... io
volevo chiedere a Phil sepotrebbe costringerequalcuno che non vuol fareunacosaa farla lostesso.Sì,voglio dire... se non volessefarla... Insomma, se è una
cosa che da sveglio nonfarebbe.— Cosa vuoi saperne tu
dell'ipnotismo, Ronny? —disse Elsie, cercando diassumere un tono divertito emondano. Ma l'aciditàtrasparivaugualmente.— È possibile e non è
possibile — spiegò Phil. —Non puoi costringere unsoggetto a infrangere il suocodice morale. Però... puoi
fare in modo che quasi ogniatto rientri nel suo codicemorale.— Spiegati meglio — lo
incoraggiòFrank.—Lacosasembrapromettente.— Ecco, per esempio —
disse Phil — se ipnotizzassituamoglie...— Potresti farle fare
qualcosa di diabolico? —chiese Frank guardandoattentamenteElizabeth.
— Frank, ti prego —mormoròlei.— Diciamo che se le
mettessi in mano una pistolacarica— continuò Phil— ele dicessi di spararti, lei nonlofarebbe.— Questo lo pensi tu —
precisòFrank,sogghignando.Guardai di nuovo
Elizabeth,elavidiinghiottirea vuoto. Era una di quellecreaturepallidechesembrano
facilmente vulnerabili. Vienevogliadiproteggerle,enoncisi riesce.Franknoneracertol'uomo ideale per viverciassieme.— Bene, per amore di
discussione — disse Philsorridendo — ammettiamoche tua moglie nonsparerebbe.— D'accordo,
ammettiamolo pure —acconsentì Frank, e guardò
Elizabeth mentre un sorrisocrudele gli vagava ancorasullelabbra.— Ma se io dicessi a
Elizabeth che tu stai perstrangolarla— continuò Phil— e le dicessi che l'unicadifesachelerestaalmondoèquella di spararti addossoimmediatamente, bene,probabilmente lei tisparerebbedavvero.— Ma guarda! — disse
Frank.Elsie insistette: — Io non
cicredo!—Ma è vero— dissi io.
— Ilmio amicoAlanPorter,uno psicanalista, ha datopropriounadimostrazionedelgenere. Ha ipnotizzato unagiovane madre, poi le hadetto che voleva ucciderle ilbambino e che perimpedirglielo lei avrebbedovutopugnalarlocolcoltello
che aveva in mano.Naturalmente il coltello eraun pezzo di cartone. Lei l'hapugnalato senza pensarci duevolte.—Questoègiàdiverso—
disse Elsie. — Comunque,probabilmente lei si eradivertita a prendere parte algioco.— Sentite — disse Phil,
accompagnandosi con ungesto drammatico. — Ve lo
dimostrerò seduta stante, sevolete.Lasciateviipnotizzare.— No, signore mio —
rifiutòElsie.—Iono.—Ci state voi?— chiese
PhilaRon.Rpn bofonchiò qualcosa e
scosse la testa con un lievesorriso.—Ègiàmezzoipnotizzato
— disse Elsie, in tonoagrodolce.—Possibilechenonriesca
a trovare un cliente?— Philsembravadeluso.— Prestati tu, Frank —
proposiio.— Ah, ah — fece lui,
sorridendo e soffiando ilfumo della sigaretta.—Nonvoglio che la vecchia Lizziesappia cosa c'è nel mio nerosubconscio.Elsie scoppiò a ridere, ed
Elizabethstrinselelabbra.— Bene, non resti che tu,
cognato — disse Phil,guardandomi.— Non ti illuderai di
potermi ipnotizzare davvero?—loprovocai.— Non essere così
maledettamente sicuro di te— mi rispose, puntandomicontro l'indice. — Voialtriarrogantisietesempreiprimiacadere.Sogghignai, stringendomi
nelle spalle. — Tutto
sommato,cosacirimetto?—dissi.
2Primaditutto,Philpregòchevenissero spente tutte le luci,tranne la debole lampada amuro sopra il caminetto. Poimi fece stendere sul divano,mentreRonandava incucinaa procurare altre sedie. Poco
allavolta,tuttisisistemarono.Quando i fruscii, i commentieicolpiditossefuronofiniti,Phil parlò. — Per ora nonposso promettervi niente —annunciò.—Vorreste dire che avete
fatto tutta questa messa inscena per niente? — chieseElsie.—Alcunisoggettisonopiù
difficilidaipnotizzaredialtri,tutto qui — spiegò Phil. —
Non posso ancorapronunciarmi riguardo aTom. Mentre voi, peresempio, Elsie, sareste unottimo soggetto. Ne sonocerto.— L'adulazione non vi
porterà a niente — ribattéElsie. — Accontentatevi diipnotizzarevostrocognato.—Benissimo, fratello. Sei
pronto?—chiese.— Prontissimo, signor
Cagliostro.Phil mi puntò addosso un
dito accusatore. — Sta'attento, sai, perché qualcosami dice che ti rivelerai unbuonsoggetto.—Aituoiordini.— Bene. — Phil si
accomodòsullasedia.—Ora,tutti zitti, per favore. Unattimo di distrazione puòrovinare tutto fino a chel'ipnosinonècompiuta.—Si
protese in avanti e puntò dinuovol'indice.—Guardalo—miordinò.—Unbellissimoindice—
dissi.Frankridacchiò.—Silenzio,prego—disse
Phil. Teneva il dito a circaquindici centimetri dai mieiocchi. — Non guardarenient'altro,soloilmioindice.— Perché, cosa sta per
fare?—chiesi.— Sta per entrarti
nell'occhio, se non chiudi labocca.—Philavanzòl'indicedi scatto, e istintivamente iochiusigliocchi.— Bene— disse Phil.—
Adesso riaprili. Proviamo dinuovo.—Sì,signore.— Adesso guarda il mio
dito. Soltanto il dito. Nonguardarenient'altro.Continuaaguardareildito.Vogliochetuguardisoltantoildito.
— Hai l'unghia sporca —dissi.Tutti risero. Phil si lasciò
andare Contro lo schienalecon una smorfia, premendosipolliceeindicesugliocchi.— Lo dicevo — gemette.
—Unpessimosoggetto.ProvòaguardareElsie.— Volete provare? Sono
sicuro che riuscirei aipnotizzarvi.— No. — Elsie scosse
risolutamente la testa dairicciolifitti.— Lascialo provare, Elsie
—disseRon.—No,hodetto!—Elsielo
fulminò con un'occhiata,come se le avesse propostoqualcosadiindecente.— Avanti, campione —
dissi a Phil. — Proviamo dinuovo.— Hai intenzione di fare
sul serio, o ti esibisci per il
loggione?— Sarò buono, signor
Mesmer,saròbuonissimo.— Ci credo proprio... —
Phil si protese di nuovo, poisiappoggiòalloschienale.—Lasciamo perdere il dito —disse.—Chiudigliocchi.— Chiudo gli occhi —
ripeteiedeseguii.— Buio, vero? — chiese
Frank.—Tidecidiachiuderegli
occhi, rompiscatole? — Philcominciava a perdere lacalma. Ubbidii. Trassi unprofondo respiro e miabbandonai contro i cuscini.Udivo il leggero ansare e loscricchiolio delle sedie deglialtri.— Benissimo — approvò
Phil. — Ora voglio che miascolti.Finsi di russare. Sentii la
risata esplosiva di Elsie, poi
aprii gli occhi e guardai lafacciadisgustatadiPhil.— Va bene, va bene —
promisi — sarò buono. —Chiusigliocchi.—Continuapure — dissi — ora staròserio.—Paroladionestoindiano
bastardo?— È un gergo poco
raffinatodausareinpresenzadi queste belle signore —dissi. — Comunque, di
onesto indiano bastardo,comedicitu.— Speriamo. Chiudi gli
occhi una buona volta,piantagrane.— Non è il modo più
adattoperguadagnarti lamiafiducia—protestai.—Comepossovenerarti semiparli inquesto modo? Alan Porternon...—Vuoichiuderegliocchi
una buona volta? — sbottò
Phil.— Li chiudo, li chiudo.
Calma!Philsbuffò,seccato.—Oh,
al diavolo — disse. Poiricominciòaimpartireordini.—Deviimmaginarediesserea teatro. Un teatro enorme.Sei seduto vicino alpalcoscenico. All'interno c'èbuiopesto.Nella stanza risuonò un
leggero colpo di tosse. Era
Elizabeth.— Nel teatro non c'è luce
— riprese Phil. — Ècompletamente buio. Tuttonero come il velluto. Lepareti sono tappezzate divellutonero.Lepoltronesonoricopertedivellutonero.—Moltocaro—dissi.Tutti risero. — Oh...
sparati—esplosePhil.Apriigli occhi, e lo guardairidendo.
—Scusami,scusami.—Uff...scusauncorno.—Ma sì, scusa,mi scuso.
—Chiusi bene gli occhi.—Vedi?Sono tornato in teatro.Sonoinpalco.Cosadanno?— Sei proprio un figlio
di...—brontolòPhil.— Signore, controllatevi!
Continua, su. Se non staròtranquillo, ti autorizzo adarmiunabottaintesta.— Ti prendo in parola.
Qualcuno mi passi quellalampada. — Phil tacque unmomento, poi: — Vuoidavverocontinuare?—Cognato,siamouomini,
no?— Pezzo di... — Phil si
schiarìlagola.—Vabene—concluse.Non vi esporrò tutto il
procedimento,sarebbetroppolungo. È difficile rimanereseri in un gruppo simile,
soprattutto per me e Philabituatiafarcicontinuamentedispetti. Temo di averlodisillusoinparecchimomentiincuieraconvintodiavercelafatta. Dopo un po', Elsie siannoiòdi aspettare e andò incucina a preparare la cena.Franksimiseachiacchierarecon Anne, inviando di tantoin tanto un commentosarcasticoalnostro indirizzo.Passò probabilmente un'ora
senza che approdassimo aniente. Non so perché Philcontinuasse a insistere. Forsevolevatenermitesta.Adognimodo,nonsidiedepervinto.Continuò a battere sul temadel teatro, e dopo un po',Frank smise di chiacchierareeciosservò.Salvo il leggeroacciottoliodeipiattiincucinanon si sentiva che il suonomonotonodellavocediPhil.—Leparetisonodivelluto
nero, il pavimento è copertodivellutonero.All'internoc'èbuio, buio pesto. Tranne unparticolare. Nel pozzo nerodel teatro c'è solo una cosache puoi vedere. Le letteresullo schermo nero,nerissimo. Dicono: Dormi.Dormi. Stai comodissimo,molto comodo. Sei seduto làe fissi lo schermo e guardi,guardi sempre quella parolalassù.Dormi.Dormi...
Non ho mai capito comeavvennechelacosacominciòafareeffetto.Probabilmente la mia
convinzione di essererefrattario all'ipnosi fece ilresto.Una convinzione d'unatale illogica presunzione dalasciare la mia volontàcompletamenteindifesa.— I tuoi nervi si
distendono—dicevaPhil.—Piediecavigliesonorilassati.
Le gambe sono inerti,completamente inerti. Lemani sono pesanti,intorpidite. Stai cominciandoa perdere conoscenza.Rilassati. Rilassati. Stai peraddormentarti.Addormentarti... stai peraddormentarti.Era vero. Mi sentivo
scivolare via. Quando miaccorsi molto vagamente diquello che stava per
capitarmi, era troppo tardi.Era come se lamiamente, omeglio, lamia volontà, fosseuna mosca imprigionata inuna cera molle in via dirassodamento. Fluttuòlievemente nel tentativo direagire,mainvano.Aprii gli occhi, e vidi di
fronte a me Phil che miosservava divertito. Battei lepalpebre.— Cos'ho fatto, mi sono
addormentato?—chiesi.Phil ridacchiò. Mi guardai
attorno. Ognuno mi fissavacon espressione diversa:Frank incuriosito, Ronperplesso, Elizabethsbalordita, Elsie un pocospaventata.Anne aveva l'ariapreoccupata.— Stai bene, caro?—mi
chiese.— Benissimo. Perché? —
Laguardaiperunistante,poi
mi alzai a sedere. — Nonvorraidirmichel'esperimentoèriuscito?—dissi,incredulo.— Non è mai riuscito
meglio — disse lei, conespressione solo in partedivertita.—Sonostatoipnotizzato?La mia domanda ruppe la
tensione. Si misero achiacchieraretuttiincoro.— Che io sia dannato —
esclamòFrank.
— Misericordia —mormoròElizabeth.Ron scuoteva la testa
assorto.— Eri ipnotizzato sul
serio?—mi chieseElsie.Lanotaincreduladelsuotonosieramoltoaffievolita.—Io...credodisì—dissi.— Lo sai benissimo —
ribatté Phil, che non sapevatrattenersidalridacchiare.GuardaidinuovoAnne.—
Maèvero?— Se non fosse vero,
sarestiilpiùgrandeattorecheabbiamaivisto.— Non ho mai assistito a
una cosa del genere —commentòRon,calmo.— Come ti senti? — mi
chiese Phil, e da come lodisse, capii che la domandaeratendenziosa.— Come dovrei sentirmi?
—replicai,insospettito.
Philcercòdistareserio.—Non sei un po'... accaldato?—michiese.All'improvviso mi resi
conto che avevo caldo. Mipassaiunamanosullafronteela sentii bagnata di sudore.Mi sentivo come se fossirimastotroppotempoalsole.— Cos'avete fatto... mi
avetedatofuoco?Phil scoppiò a ridere. —
Abbiamo tentato— disse—
maseidimaterialerefrattario.Poi mi spiegò
tranquillamentechementreioerostesocomeunatavolatraduesediedicucina,luisieraseduto sul mio stomaco eaveva fatto scorrere lafiamma dell'accendino su egiùlungolemiegambenude.Lofissaiboccheggiando.— Varrebbe la pena di
riprovare—dissi.— Infatti — disse lui,
ridendo, lusingato dalsuccesso.GuardaidinuovoAnne.—
Dice sul serio? — le chiesisenza fiato. Lei si alzò,sorridendo, e si avvicinò aldivano. Sedette, e miabbracciò.—Seidavverounsoggetto
di classe, tesoro—disse.Lavoceletremavaunpochino.Dieciminutidopoeravamo
seduti attorno al tavolo di
cucina e discutevamo dellamiaipnosi.DevodirecheeralaprimavoltachesentivounadiscussioneanimataincasadiElsie.— Non ci credo —
protestavo,ridendo.— Ma sì, ti assicuro —
ripeteva Anne. Fece unarisatina. — Eri tornatododicenne e ci raccontavi diun certo Joey Ariola... chedoveva essere un castigo di
Dioegiudicaredacomel'haidescritto.— Ariola. — Scossi la
testa riflettendo.—Me l'erodimenticatocompletamente.— Tu credevi di averlo
dimenticato—obiettòPhil.—Oh... è impossibile che
uno possa ricordare cosetanto lontane — protestòElsie. — Stava soltantoinventando.—Potrebbe ricordare cose
molto più lontane — dissePhil. — Ci sono stati casiammessi scientificamente icui soggetti sono tornati aigiorniprenatali.—Achecosa?—Aprimadiesseremessi
almondo.— Oh! — Elsie piegò di
nuovo la testa da una parte.Ora che l'immagine delsottoscritto, irrigidito e stesotra due sedie cominciava a
svanire, Elsie recuperava ilsuoscetticismo.— Ma è così — assicurò
Phil. — E poi c'è BrideyMurphy.—Chi?— Una donna che, sotto
ipnosi,dichiaradiesserestatairlandese durante laprecedenteincarnazione.— Ma no, è assurdo —
disse Elsie. Per un pocotacemmo tutti, poi Elsie
guardò l'orologio. Scosse latesta,guardandoPhil.— Non è ancora il
momento—risposePhil.— Il momento di che?—
chiesiio.—Vedrai—dissePhil.Elsie si alzò e si avvicinò
al fornello. — Chi vuoleancora caffè? — chiese.Guardai Phil ancora per unistante,poilasciaiperdere.— Che altro ho detto,
mentre ero... sì, voglio dire,mentre credevo di averedodici anni? — chiesi adAnne.Leisorriseescosselatesta.
— Un mucchio di cose. Dituo padre, di tua madre. Diuna bicicletta che desideravi,colmanubriodacorsa.— Mio Dio, è vero —
dissi, emozionato dal ricordoimprovviso.—Misembradivederla. Dio, quanto ho
sospiratoquellabicicletta.— Io volevo qualcos'altro,
adodicianni—disseFrank.Mi accorsi che Elizabeth
abbassava gli occhi sullatazza, stringendo le labbrapallide.TuttoinElizabetherapallido:latintadelrossetto,ilcolore della pelle, il biondodei capelli. Sembravasbiadita.Miaccorsi cheancheRon,
dopoaverguardatol'orologio,
lanciava un'occhiata a Phil.Phil represse un sorriso, ealtrettantofeceFrank.Elsiesiavvicinò al tavolo con unvassoiodipasticcini.— Bene, credo che non
succederàniente—disse.—Sonogiàleundici.—Dichecosasitratta?—
chiesi.— Lasciami pensare —
disse Anne, come se nonavessi parlato — hai
raccontatodituasorella...ah,sì, della tua camera.E anchedelcane.Per un secondo rividi
Corky e il suo modo diappoggiarmi il testone sulleginocchiaedifissarmi.— Cos'avete, voialtri? —
chiesi poi, perché eraevidente che c'era sottoqualcosa.—Perchésembratetanti gatti che stannogiocandoconuntopo?
Eaquestopuntomitolsilascarpa sinistra e andai ametterlanelfrigorifero.L'esplosione di una risata
generalemi fece voltare. Perun attimo confesso che noncapii di che cosa stesseroridendo. Poi, all'improvviso,mi resi conto di quello cheavevo fatto. Aprii ilfrigorifero e sbirciaiall'interno, contemplando lamia scarpa sinistra sistemata
in bell'ordine accanto a unvasettodipiselli.—Cosa ti salta inmente?
— mi chiese Phil con ariainnocente.— Non lo so— dissi.—
Così... è stato un capriccio,immagino. Perché nondovrei... — tacquibruscamente, e guardai Philcon aria accusatrice. — Seistato tu! Mi hai dato unordinepostipnotico!
Phil sorrise, assurgendo dinuovoallagloria.—Visietemessid'accordo
— dichiarò Elsie petulante.— Tom sapeva benissimoquellochestavafacendo.— Ma no, credimi —
protestai.— Non me la fate —
insistetteElsie.— Di un po' — chiese
Frank — se Tom fosse unaragazza e tu le dessi il
comandopostipnoticodi...be'lasciamo andare, a miamoglie certi discorsi dannofastidio.Vero,Lizzie?— Mi prende in giro —
spiegò lei sforzandosi diapparire allegra. Anche ilsorriso di Elizabeth erapallido.—Sperovivamenteche tu
non mi abbia dato nessunaltro ordine idiota — dissi,seccato.
Phil scosse la testasorridendo.—Stai tranquillo— disse. — È tutto qui,fratello.Lafaccendaèchiusa.Leultimeparolefamose.
3La riunione si sciolse versol'una. Fino a quel momentorestammoattornoaltavolodicucinaaberecaffè,agustare
i pasticcini di Elsie, e achiacchierare di quello cheerasuccessodurantel'ipnosi.A quanto sembrava, era
stato un successo strepitoso.Nonsoloerorimastostesotradue sedie, ma avevo risocome un pazzo per niente, eavevo pianto come unbambino, sempre per niente.Cioè, per niente che fossevisibile. Naturalmente avevopianto e riso per qualche
motivo che Phil mi avevasuggeritodivoltainvolta.E avevo tremato di freddo
ebattutoidentisuunlastronedighiaccionell'Artico.Avevosudato e invocato da berementre stavo sdraiato sullesabbieardentidelSahara.Miero ubriacato di whiskyimmaginario, un bicchieredopo l'altro, riducendomiaddirittura fradicio. Mi erolasciato prendere dalla
collera,lafacciaduraerossa,ilcorpotremanteperilfurorerepresso. Avevo ascoltato unconcerto di Rachmaninoffeseguito al pianofortedall'autore in persona, eavevo detto a tutti quanto ilpezzo fosse bello e solenne.Avevo teso un braccio infuori,eFrankvisieraappesocome a una sbarra mentrePhil mi piantava degli aghinellapelle.
Un successo strepitoso,insomma.Avremmo potuto andare
avanti tutta la notte aparlarne,credo.Non capita tutti i giorni di
assistereaunfenomenotantomisterioso.Matranoic'eranodue mamme in attesa cheavevano bisogno di riposare.Inoltre, credo cheElsie dopoun po' ne avesse abbastanza.Lacosaeratroppolontanadai
suoi interessi per tenerlaoccupataalungo.Usciti dalla casa di Elsie,
Phil e io augurammo labuonanotte a Frank e aElizabeth. Entrammo in casamentre loro dueattraversavano Tulley Streetper raggiungere la loroabitazione.Seguì una mezz'ora di
silenziosi preparativi per lanotte. Andai in camera di
Richard per prenderedall'armadio la vecchiacoperta dell'esercito, mentreAnne prendeva lenzuola eguanciale dal guardarobadell'ingresso. Phil si preparòla branda, poi ci infilammonei pigiama; ci lavammofaccia e denti, ci augurammola buonanotte e andammo adormire.Non riuscivo ad
addormentarmi.
Sdraiato accanto a Anne,fissavo il soffitto. Avevo lemolle negli occhi. Appena lichiudevo si riaprivano discatto.Continuavoafissareilsoffitto e ascoltavo i suonidella notte: il fruscio di uncespugliomosso dalla brezzasotto la nostra finestra; loscricchiolio delle mollequandoAnnesimuovevanelsonno, gli scricchiolii leggeridella casa. Nella strada un
cane abbaiò per un poco aqualchenemicoimmaginario,poisicalmò.Deglutivo e sospiravo. Mi
voltavosuunfiancoefissavolamassacupadelcassettone.— Cosa succede? —
mormoròAnne,nelbuio.— Mah, non riesco a
dormire—risposi.—Tisentimale?—No.Troppocaffè,forse.— Non dovresti berlo di
sera.— Lo so. Dormi tu, cara.
Vedrai che mi addormenteròanch'io.— Va bene — sospirò,
assonnata.—Però se ti sentimale,svegliami.— Sto benissimo. — Mi
voltai verso di lei e la baciaisulla guancia calda. —Buonanotte.—...notte.Siallungòesentiiilcalore
del suo fianco contro il mio.Poi rimase immobile, a parteilritmoregolaredelrespiro.Giacevo completamente
sveglio, quasi in attesa diqualcosa. Impossibile teneregli occhi chiusi. Mi sentivocome quando, all'università,micoricavodopocinqueoseioredistudiointenso:lamentenaviga tra le cognizioniapprese; gira e gira come unmotore lasciato acceso per
distrazione.Rotolai di nuovo su un
fianco. Niente. Mi rimisisupino e chiusi gli occhi.Dormi,mi dissi, e sorrisi nelbuio ricordando la vocesolenne di Phil chem'imponevadidormire.Però,eh?C'erariuscitodavvero.Suquesto avrei dovutorinunciare a punzecchiarlo.Aveva fatto centro. Avreigiurato che non sarebbe
riuscito a ipnotizzarmi, einvece! E senza nemmenofaticaremolto.Appenaavevosmessodi fare ilpagliaccio...tac,c'erariuscito.Tornai a voltarmi sul
fianco,mollandounpugnoalguanciale. Sentii Annemormorarequalcosa,estrinsii denti. L'avrei svegliata dinuovo se non la finivo diagitarmicosì.Perché ero così inquieto?
Avevobevutocaffè,vabene,ma neanche poi tanto. Tretazzine in tutto, in fin deiconti.Aggrottai la fronte. Che
fosse effetto dell'ipnosi?Forse Phil aveva dimenticatodi riallacciare qualche filomentale sciolto. Forse avevaimpresso un movimentorotatorio al mio cervello eavevatrascuratodifermarlo.Ma no, che sciocchezze.
Evidentemente Phil sapevabenissimo quello che faceva.Lacolpaeradelcaffè.Sospirai, disperato. Il mio
cervello era vivo. È l'unicomodo in cui riesco adescrivere la sensazione. Ipensieri mi turbinavanodentro come gas riscaldati. Iricordi andavano e venivanocome lampi di luce. Miopadre, mia madre, Corky, lascuolamedia, le superiori, la
cameradiquand'erobambino,l'università, iprati, i libricheavevo letto, le ragazze cheavevocorteggiato,leuovacolprosciutto... mi sembravaaddiritturadisentirneilgusto.Mi tirai su a sedere, e
scossilatestapropriocomesifa con un orologio fermo.Solochenonvolevometterlainmoto,volevofermarla.Manon potevo. La mia mentevibrava.Una spugna vivami
riempiva il cranio, imbevutadi bollenti pensieri liquidi,strizzatadallamiamemoriaedallafantasia.Mi alzai, respirando
affannosamente. Ilmiocorpoera tutto un formicolio, unsenso di oppressione miserrava il petto e lo stomaco.Mimossi sul tappeto, poimifermaisullasogliaechiusigliocchi.— Mio... Dio! — ricordo
d'aver mormorato, parlandoinconsapevolmente. Scossi latesta. I pensieri stavanofuggendo via. Frank,Elizabeth, Ron, Elsie, Anne,Phil, mia madre, mio padres'inseguivano velocementesullo schermo della miamente come immaginiproiettate da un operatoreimpazzito. Decine diimpressioniappenaabbozzatemi venivano incontro, si
annullavano, si inserivano inun nucleo di consapevolezzamultiforme.Deglutii ancora, e andai
nella stanza da bagno.Ammiccai nella luceabbagliante, chiusi la porta emi avvicinai allo specchiotrascinandomi alla meglio.Fissai la mia facciainespressiva. Non mi dicevaniente.Qualcosa non va. Non so
beneselodissioselopensai.Mal'ideaeraquella.Qualcosanon andava. C'era sottoqualcosa di più del troppocaffè, dell'eccitazione per lachiacchierata insolita. Cosafosse, però, non lo capivo,nonlocapivoaffatto.Volevo un po' d'acqua
fresca. Tentai di farlascorrere, ma il rumore delgettomiparevatroppoforteesubito chiusi il rubinetto.
Buttai giù un sorso d'acqua:sapeva di acido. Vuotai ilbicchiereelorimisiaposto.Mi voltai, spensi la luce,
uscii dal bagno, e ciabattaifino alla porta di Richard.Tesi l'orecchio. Si sentivasolo il respiro di Phil. Miavvicinai al lettino e posaiuna mano sulla schiena diRichard. Come sonotranquilli di notte i bambini,ricordo di aver pensato
distrattamente. Poi sentii illeggero alzarsi e abbassarsidel piccolo dorso e tolsi lamano.Usciidinuovoincorridoio,
cercando di calmarmi. Entraiin salotto e mi affacciai allafinestra che dava sul cortileposteriore. La sagoma scuradell'automobilina di Richardsi delineava nel prato. Più inlà, dove cominciava la casaaccanto, risplendeva la luce
fioca di un lampione. Tuttoeraimmersonelsonno.Mivoltaidiscatto.Niente. Solo oscurità e le
sagome nere dei mobili.Eppure avrei giurato di aversentito qualcosa. Rabbrividii,imuscolidellostomacomisicontrasserospasmodicamente. Mi passaiuna mano tremante suicapelli. Cosa stavasuccedendo,innomediDio?
Andai all'altra estremitàdella stanza e mi lasciaicadere in una poltrona.Sospirai, abbandonandostancamentelatestacontroloschienale. Il formicolio alletempieaumentava.Losentivoquasimaterialmente.Portailedita alle tempiemanonc'eraniente. Lasciai ricadere lemani in grembo, stesi legambe.Qualcosanascevadentrodi
me, quasi che in me venisseversata una conoscenzaignota. Sentivo le cose, lepercepivo...Cose che non capivo, che
non vedevo neppure conchiarezza; frammenti diintuizioni sconosciute.Percezioni impossibili daafferrarechemifluttuavanoelampeggiavano nel cervello.Era come stare fermo inmezzo alla nebbia e veder
passare in fretta gentesconosciuta, abbastanzavicino per intravvederla atratti, troppo lontana perriconoscerla.Lasensazionesifaceva sempre più forte. Laconsapevolezza mi inondavail cervello. Ero il canale permilionidiimmagini.Tutto si fermò
bruscamente.Fino a quel momento non
avevo mai saputo cosa fosse
ilterrorechetoglieilrespiro,paralizza il corpo, impediscequalsiasimovimento che nonsia quello di sbarrare gliocchi.Era sui trent'anni, pallida,
con i capelli arruffati.Indossava uno strano abitoscuroeavevaunfilodiperleal collo. Aggrappato allapoltrona, con gli artiparalizzati,lafissavo.Non so quanti minuti
passarono mentre quelladonna e io ci guardavamo.Non mi venne fatto dichiedermi perchémai potevovederla con tanta chiarezzanel buio, perché ci fossequellaspeciediluminositàsudilei,omeglioinlei.I minuti passavano. Capii
chequalcosadovevaromperequelsilenziosinistro.Apriilabocca per parlare,ma non ciriuscii.Dallamiagolauscìun
suonoesile,rotto.—Chisiete?—balbettai.La donna indietreggiò,
sebbene non la vedessimuovere le gambe, eraggiunselafinestra.Eilfiatosen'eraandatodi
nuovo... bloccato con ungemito di terrore.Mi accorsidi premere contro loschienale, con gli occhidilatati, le labbra tremanti.Perché, attraverso la donna,
potevo vedere il lampionedellastrada.Lanciai un grido debole e
breve, un suono soffocato ingola.Rimasiafissareilpuntodoveladonnastavaunattimoprima. Non so per quantotempo rimasi così. Nonpotevo alzarmi. Forse rimasiseduto là per più di un'oraprimaditrovareilcoraggiodialzarmi, e lentamente,angosciosamente, come se
stessiinseguendoamorteunapreda, avvicinarmi al puntodoveerastatalei.Niente.Fuggii a precipizio in
camerada letto.Soloquandoscivolai terrorizzato sotto lecoperte mi resi conto diessere gelato dalla testa aipiedi. Cominciai a battere identi e per un bel pezzo nonriuscii a dominarmi. Perfortuna, Anne dormiva
profondamente. Almenocinque volte fui sul punto disvegliarlaperdirle...maognivoltamibloccavoalpensierodi quanto si sarebbespaventata.Allafinedecisidiaspettare il mattino. Tentaipersino di convincermi cheavevo avuto un incubo e chein realtà non era successoniente.Purtroppo, sapevo che la
realtàeraun'altra.Sapevoche
mierasuccessaunacosachecredevo non potessesuccedere a nessuno. Laparola?Metterla sulla carta èfacile, bastano pochi tratti dipenna. Ma il suo significatopuòsconvolgereunavita.Laparolaè:spettro.
4La dissi al mattino seguente,
acolazione.Appena alzati, me n'era
mancato il coraggio. Peralcuni minuti c'era statol'inevitabile assalto dellaragione che rifiutava diammettere quello che avevavisto. Quello che avevo giàtentato di fare durante lanotte, lo rifeci: tentai diconvincermiatuttiicosticheera stato solo un sogno difebbricitante. A questo c'è
una spiegazione, è qualcosaalla quale attaccarsi, anchequandononèvero.Ero stato incapace di
pronunciarla, inoltre, perchésembravaassolutamentefuoriluogo.Nonsipotevainserirlafra le frasi di buon giorno, ibaci, i turni per andare inbagno, i preparativi per laprimacolazione.Ma appena Richard ebbe
finito di mangiare e venne
mandato a giocare ingiardino,appenaAnne,Phileio fummo riuniti intorno altavolodicucinaperprendereilcaffè,ladissi.— Stanotte ho visto uno
spettro.Incredibile come la
dichiarazione più terrificantepossa suonare assurda. Lareazione di Phil fu unsogghigno. Perfino Annesorrise.
—Cos'haivisto?Il suosorriso fu ilprimoa
spegnersi.Scomparveappenaleividequantoeroserio.—Caro,cosastaidicendo?
Vuoidirechel'haisognato?Deglutii. Non è proprio
quellachesidice lacosapiùfaciledaspiegare.—Vorrei proprio crederlo
— dissi. — Ma... èimpossibile. — Li guardaientrambi. — L'ho visto
davvero.Voglio dire che erosveglioechel'hovisto.— Insomma, parli sul
serio?—chiesePhil.Non risposi. Mi limitai ad
annuire.— Quando? — chiese
Anne.Posailatazza.— Stanotte, dopo essermi
alzato. Anzi, verso mattina.Dovevanoesserecircaledue.— Non ho sentito quando
tiseialzato—disselei.— Dormivi — le spiegai.
Perfino nel raccontare fuiassalito dalla speranza,crudele, che si trattassesoltantodiunsogno.— È stato... dopo che mi
hai detto che non riuscivi adormire? — chiese Anne.Non potevo dire che non micredesse; piuttosto noncredeva che io avessi vistoproprio quello che avevo
visto.Risposidisì.Liguardaidi
nuovo e mi strinsi nellespalle, alzando lemani in ungestosconsolato.—Ècosì—dissi.—Hoproprio visto unfantasma.L'hovisto.— Che aspetto aveva? —
chiese Phil. Non tentavanemmeno di nascondere ilsuo interesse. L'argomentoerauninvitoanozze,perlui.Presi fiato, poi mi strinsi
ancora nelle spalle come semi vergognassi di quello chestavo dicendo. Per dire laverità,unpo'mivergognavo.— Era una donna. Una
donna di... trent'anni,trentacinque. Aveva i capellineri ed era alta... almeno unmetro e sessantadue,sessantatré... Indossava unvestito strano... nero, concerti disegni curiosi. E alcolloportavaunfilodiperle.
Seguìunattimodisilenzioteso, poi Anne disse:—Haivistotuttoquesto?— L'ho visto. Ero in
salotto, seduto sulla poltronaverde.Hoalzatogliocchie...e lei era là, in piedi. —Deglutii.—Mifissava.— Caro... — Non saprei
direcosaprevalessenellasuavoce,selacomprensioneoilraccapriccio.— L'hai proprio vista,
allora — disse Phil. — Sì,vogliodire...congliocchi?— Phil, te lo ripeto. L'ho
vista. Non è stato un sogno.Misonoalzatodalletto,sonoandatoinbagno.Tihosentitorespirare nel sonno. Sonoandato a vedere se Richardera a posto, poi mi sonoaffacciatoallafinestrachedàsul cortile. Sono andato asedermi sulla poltronaverde...el'hovista.
Notai ilmodo in cuiAnnemi fissava. Era uno sguardocomplesso. Curiosità,repulsione, preoccupazione,affetto, terrore; tutto inquell'unicaocchiata.— Prima che il fatto si
verificasse— chiese Phil—qualera il tuostatomentale?Voglio dire, perché nonpotevidormire?Lo guardai incuriosito. —
Perché?
— Perché penso chedovevitrovartiinunostatodiagitazionementale.Primachetu vedessi... quello che haivisto.— Phil, io l'ho visto sul
serio — tornai a ripetere,stavoltaunpo'spazientito.—Andiamo. Mi rifiuto diammettere che sia stato unsogno. Per amor di Dio,fammiilsantopiaceredinontentare di calmarmi. Non
sonouncasopatologico.—Naturale chenon lo sei
— ribatté Phil. — Nonintendevodirlonemmenoperscherzo.Quello chehai vistoeratantoveropertequantolosono io adesso seduto qui difronte.Non capivo esattamente a
cosamirasse,madissi:—Stabene, allora. Questo èaccertato.— Tu eri in uno stato di
agitazione mentale, però —insistette Phil. Non era unadomanda,questavolta.Lo guardai un attimo,
perplesso. Non volevolasciarmitrascinareanessunaconclusione su questo punto.Ma naturalmente dovettiammettere l'esattezza dellasuaasserzione.— Benissimo— disse lui
— e scommetto che haiancoramalditesta.Vero?
— Un po'. — Trasaliiinvolontariamente. — Comefaiasaperlo?— Perché fa parte della
sintomatologia, cognato. Haiavuto un'allucinazione inseguitoa...Sussultai.—Phil...—Stammiasentire...— Phil, non è stata
un'allucinazione. Prima haidetto bene: quello che hovisto era vero permequanto
lo sei tu stesso, seduto lì difronte.— Certo che lo era. Ma
credi per questo che fosseanchereale?Questo mi tagliò la parola
in bocca. È una di quelledomande che possono farvacillare qualsiasi cosa;costringere perfino la realtàpiù oggettiva a roteare viafino a trasformarsi in unatenue apparenza. Sedevo là,
guardandolo con ariainespressiva,consciosoltantodelmioleggeromalditesta.— Cosa intendi dire? —
chiesidopounlungosilenzio.— Semplicemente questo
— disse lui.— La gente hasempre avuto delleallucinazioni, anche in pienogiorno, e non soltanto dinotte. Qualcuno ha stretto lamano alla propriaallucinazione, ha conversato
conessadelpiùedelmeno.— Cioè, tu vorresti
insinuare—ribattei,incapacedi reprimere un leggerosorriso— che tuo cognato èpronto per la camicia diforza?—Diavolo,no!—protestò
Phil.—Quella donna esiste.Nonsodove...oquando...maèunesserereale.Vogliodirechevive,oviveva,daqualcheparte. È qualcuno che tu hai
visto o conosciuto, o forsenemmeno visto; non èstrettamente necessario. Ilpuntoèquesto:quellochehaivisto non era uno spettro.Non nel senso solito dellaparola,comunque,sebbenelamaggior parte dei cosiddettispiritiappartengaproprioallastessacategoria.—Chesarebbe?— Quella delle immagini
telepatiche. Se una persona
può vedere una carta dagioco, un'altra persona puòvedere benissimoun'immagine che somiglia aun essere umano. Dicopropriovedere. La tuamenteera sovreccitata a causa delnostropiccoloesperimentodiieri sera. Così hai visto ladonna. Naturalmente, perprima cosa hai pensato a unfantasma. Purtroppo questa èla reazione di chiunque, non
soltantotua,Tom.Tacque. Anne e io lo
guardavamo attenti. Avevaparlato proprio come AlanPorter.— Ho finito — disse lui,
sorridendo.—Passo.— Dunque, tu non credi
cheiol'abbiavista—dissiio.— Ma l'hai vista! — mi
rispose. — Però solo conl'occhio della mente. E,credimi, cognato, questo
modo di vedere produce uneffetto tanto realisticoquantoquello prodotto dal modotradizionale. A volte perfinopiù realistico. — Sorrise. —Diavolo, fratello, stanotte tueriunmedium.Chiacchierammo ancora
della cosa. Io non avevomolto da offrire in fatto diargomenti, riuscivo solo afare obiezioni. È difficilerinunciare a una convinzione
del genere. Forse la reazioneumanaèquelladiaffezionarsiun po' all'idea. Come avevadetto Phil, è molto piùromantico vedere unfantasmachenonlimitarsiadavere fenomeni pochissimoemozionanti di semplicetelepatia.Fu Anne che interruppe la
discussione.— Stiamo facendo un
saccodichiacchiere—disse,
con la sua pratica mentefemminile — e intantotrascuriamo l'essenziale. Chiè questa donna? Questo mipiacerebbesaperlo.Phil e io scoppiammo a
ridere:iltonodiAnneeraunmistodicuriositàegelosia.— Chi vuoi che sia? —
chiesePhil.—Unadelle sueamanti.Scossi la testa. — Magari
lo sapessi,manon ricordodi
averlamaivista.—Mistrinsinelle spalle. — Forse era...come si chiamava, poi?...HelenDriscoll.—Chiè?—chiesePhil.—Ladonnacheabitavain
questa casa— spiegò Anne.— La sorella della signoraSentas, la nostra padrona dicasa,chevivequiaccanto.— Ah. — Phil si strinse
nellespalle.—Puòdarsi.— Cosicché, ho visto il
fantasmadiHelenDriscoll—dissiio,serioserio.— C'è solo un piccolo
particolare — disse Anneridendo.—Quale?—chiesePhil.— Helen Driscoll non è
morta. È semplicementeandatanell'est.Il mal di testa peggiorò.
Peggiorò tanto che dovettiastenermi dall'andare alla
spiaggia quel pomeriggio.Dissi ad Anne di nonpreoccuparsi, che avrei presoun'aspirina emi sarei buttatosul letto finché il dolore nonfossepassato.Seneandaronopocodopo
le due, dopo avereammucchiato nella macchinadi Phil un cestino, unlenzuolo da bagno, la borsada spiaggia, lozioni varie evia dicendo. Rimasi sotto il
portico a fare cenni di salutoaRichardmentre laMercuryschizzava via lungo TulleyStreet. Come tutti i giovani,Phil amava fare sfoggio divelocitàprimadiingranarelaterza.Rimasi a guardare fino a
che la macchina svoltò asinistra sullo stradone, poirientrai in casa. Nelrichiudere la porta vidiElizabeth di nuovo sul prato,
con i guanti, intenta arivoltare con una zappetta ilterreno di un'aiuola. Portavaun largo cappello di pagliabianca che lei e FrankavevanoacquistatoaTijuana.Nonmi guardava.Mi fermaiun momento a osservare isuoi gesti stanchi e lenti. Iltermine martire diprofessione mi sfiorò lamente, ma mi parve pocoefficace.
La feci sparire dal miocampo visivo chiudendo laporta. Tutto sommato, avevoguaimieicuipensare.Perunistante mi chiesi dove fosseFrank,poilasciaiperdere;chestesse dormendo in camerasua, o che stesse facendol'occhiolinoalleragazzesullaspiaggia,nonmiriguardava.Mi voltai e mi misi a
contemplareilpuntodoveeracomparsoilmiofantasma.Un
brividomi corse per la spinadorsale.Cercaidirichiamarlaalla mente, ma di giorno eradifficile.Andaiamettermi inquellostessopuntoecirestai,sentendo sulle caviglie ilcalore del sole che entravadalla finestra. Ora misembrava quasi impossibilecrederechenonfossestatounsogno.Andai in cucina e misi a
scaldare l'acqua per il caffè.
Appoggiato contro lacredenza, aspettai chebollisse. Sentivo il ticchettiodella sveglia di cucina, chemi ricordò un racconto diPoe. Chiusi gli occhi esospirai. Perché non potevocredere a Phil? Tutto quellochemio cognato aveva dettosembrava dettato dal buonsenso,almenoinsuperficie.Ecco la risposta, pensai.
Quellochesentivoiononera
in superficie. Era un flussosotterraneo di sensibilitàvigile, molto al di sotto dellivellodellacoscienza.—Hodettodivenirequi!Sussultai, alzando la testa
così violentemente da sentiredelle fitte nei muscoli delcollo. Per un attimo, miaspettai sinceramente divedermi davanti la donnadallostranoabitonero.—Ron!—sentiidinuovo.
—Subito,haicapito?Deglutiierespiraiafondo.
Tremavoancora.— Va bene — sentii. —
Vabene!Equestochilofa?Nonmiarrivavalarisposta
diRon.Ronnonlosisentivamai. Era sempre come seElsie stesse urlando unmonologoabasediinvettive.— Te l'avevo detto anche
stamattina,maledizione!Nonvoglio la mia casa tutta in
disordine per colpa dei tuoimaledettistracci!Risi tra me, divertito, e
scossi la testa. Buon Dio,pensai,lasuacasa.Ledavanofastidio ivestitidelmarito ingiro per la casa!La casa è ilregno dell'uomo, pensavo, ameno che la moglie non locostringa a vivere in cantina.Mi chiesi involontariamenteche specie di coppiaavrebbero formato Ron ed
Elizabeth. Una cosa almenoera certa: sarebbe stata lafamiglia più silenziosa delvicinato.— E il forno? — chiese
Elsie. — Hai detto chel'avrestipulitodurantequestoweek-end.Allora,l'haifatto?Miformicolavano leditaa
sentirla parlare così. Strinsi ipugniistintivamente.— Una volta o l'altra —
brontolai trame,mettendomi
per un attimo nei panni diRon. — Una volta o l'altravolerannoipugni!Sferrai un pugno all'aria
col risultato che la mia testaparve volare in pezzi. Larisata finì in un gemito.Nonavevo nessuna voglia diridere, fra l'altro. Il mioproblemanonerarisolto.Philpotevadirequellochevoleva,nonerarisoltoaffatto.Stavo bevendo il caffè
quando sentii un passo dipiedi nudi nel vicolettolaterale, poi Elsie comparvesotto il portico posteriore.Attraverso la tendina dellaporta, vidi che indossava uncostumedabagnonero.Bussò. — Anne? —
chiamò.Mialzaieandaiadaprire.— Oh, ciao — disse lei,
cambiando prontamente ilsorrisotipovicinacordiale in
un altro tipo seduttriceirresistibile.Almenoquestoèl'effettochemifece.—Buongiorno—dissi.Il costume da bagno
aderiva sfacciatamente allasuafiguragrassoccia.—Tom,potreiprenderein
prestito i vostri bicchieri conla rafia? Abbiamo in visitadeiparentistasera.— Sì certo. — Feci un
passo indietro, poi mi voltai
per andare alla credenza. Lasentii entrare in cucina echiuderelaporta.—Dov'èAnne?—chiese.
Il tono della domanda erainnocente. Eppure, chissà,sapevocheladomandanonloera.—Èandataallaspiaggia.— Allora sei solo? Uhhh!
—volevaessereunoscherzo,naturalmente ma, comeFrank,Elsienoneracapacedi
mascherare i sentimenti conleparole.—Infatti—dissi,aprendo
lo sportello della credenza.Improvvisamente sentii dinuovo il formicolio nelletempie. La mia mano feceuno scarto. Mi voltai, quasiconvinto di vedere la donna.C'erasoltantoElsie.—Avresti dovuto dirmelo
— stava gorgheggiando. —Mi sarei messa addosso
qualcosadipiù...adatto.Non risposi e tirai fuori i
bicchieri.Avevoundesideriourgente di dirle di uscire dicasamia.Nonsapevoperché.C'era qualcosa in lei che midava fastidio. E nondipendevadalsuocostumedabagno.—Finoacheorastaranno
via?—chiese.Mivoltaicoibicchieri.—Perchémelochiedi?—
dissi, e commisi l'errore disorridere.A Elsie, probabilmente,
parve che io inciampassi,manon fu così.Avevo vacillato,colpito dall'ondata disensazione violenta. Perritrovare l'equilibrio miaggrappai al lavandino,cercando di sorreggermisenza lasciar cadere ibicchieri.— Te lo chiedo così —
disse lei, evidentementescambiando il mio capogiroper turbamento. — Perché?Dovreiavereunmotivo?Laguardai.Non sorrideva.
Stava là immobile,unamanosulla curva prosperosa di unfianco.Notai il sudoreche lebagnava il labbro superioreeilmodoincuilalucedelsolealle sue spalle facevascintillare la peluria doratadelle spalle, delle braccia e
delcollo.— Non credo. — Mi
avvicinaielediediibicchieri.Nonso se fuper caso,ma lenostre mani si sfiorarono,Ritirailamiaunpo'troppoinfrettaperchéilgestopassasseinosservato.— Cosa ti succede, Tom?
— chiese lei, col tono delladonna convinta di essereirresistibile.—Niente—dissi.
—Seiarrossito!Sapevo che non era vero:
capii inoltre che queltrucchetto Elsie dovevaaverlo usato spesso, permettere nel sacco gli uominicoiqualicivettava.— Davvero? — chiesi
freddamente. Il desiderio dibuttarla fuori si facevasemprepiùimpellente.— Non ti darò mica alla
testavestitacosì,vero?
— Per niente — dissi.Stare così vicino a lei micausava un vero malesserefisico. Sembrava emanarequalcosachemicontorcevaleviscere. Mi voltai verso laportael'aprii.—Hounpo'dimal di testa, ecco tutto —spiegai.—Stavoappuntoperandareabuttarmisulletto.— Ohhh! — Anche la
comprensione che mostravaper ilmiomalannoera falsa;
losentivo.—Buttatisulletto,allora. Il letto è la cosamigliore... in tutti i casi —concluse, come inseguendounpensieronascosto.—Certo.Oravado.— Riporterò i bicchieri
stasera.—Nonc'èfretta—risposi.
Avrei voluto gridarle sulmuso: Ti vuoi levare ditorno? Lo sforzo perdominarmi mi diede un
brivido.—Ieriseraabbiamoavuto
una riunione emozionante,eh?—disse lei.Lasuavocesembrava giungere da unagran lontananza. Distinguevoappenalasuafaccia.— Sì — riuscii a
rispondere — moltointeressante.— Tu però sapevi quello
chestavifacendo,vero?Annuii in fretta, disposto
adammetterequalunquecosapurché se ne andasse.— Sì.Naturalmente.— Lo sapevo— disse lei
soddisfatta. Cominciai achiudere la porta. — Bene!— Elsie trasse un profondorespiroe ilcostumesigonfiòsul davanti. — Grazie deibicchieri — disse, come sevolesse ringraziarmi diqualcos'altro.Le chiusi la porta alle
spalle.Boccheggiavo.—Nonusciredalgiardino!
—strillòElsie.Feci un salto tale che
sbattei il ginocchio contro laporta. Mentre mi chinavo amassaggiarlo, sentii Candyfrignare,nelvicolo.Quando Elsie se ne fu
andata mi lasciai cadere suuna sedia accanto al tavolo echiusi gli occhi. Mi sentivocome se fossi appena uscito
da un pozzo. Avevo un beldirmi che era tutta fantasia,non serviva a niente. Lamiamente era di nuovo a malpartito, sopraffatta dalleemozioni.Misentivostorditoeindebolito.Aprimavistalacosa pareva insensata. Elsieera un tipo comune, non eranemmeno attraente. Primanon mi aveva mai fatto nécaldo né freddo. Le suesvenevolezze mi avevano
soltantodivertito.Ora non mi divertivo
affatto,però.Quelladonnamifacevaquasipaura.E,nonsonemmeno io come ci arrivai,riuscii a trovare un'unicaspiegazione: avevo visto,dietro le sue parole, le sueazioni.Chissàcome,erostatodentrolasuamente.Unpostoorribile.Ne parlai ad Anne la sera
stessa,appenaPhilripartìperBerkley. Richard dormiva, enoi ci stavamo preparandoper andare a letto. Io ero inpigiama, Anne si stavaspogliando accantoall'armadio.— Non capisco cosa vuoi
dire — osservò lei quandoebbifinitodiraccontare.Scossi lentamente la testa.
— Non posso darti torto —dissi cupamente. —
Nemmenoiocapisco.— Sì, ma... cos'è
esattamente? Dici che ti haispirato un senso direpulsione, ma... — non finìla frase. Mi guardava conespressioneinterrogativa.— Vedi io... io credo di
aver capito cosa le passavaper la testa. Non i pensieriesatti, capisci?Non le parolee le frasi... — Gesticolaiavvilito. — Quello che lei
provavadentrodisé.— Mio Dio — mormorò
Anne. — A sentirti, sembracheparlidiunmostro.—Forsesiamotuttimostri
nelsubcosciente—conclusi.Lavidirabbrividirementre
si avvolgeva nella vestaglia.Si avvicinò e si sedetteaccanto ame.Restammoperunpo'insilenzio.—Stabene—dissipoi—
dimentichiamo un momento
Elsie. Credi che questo fattosia uno strascico della seratadi ieri? Come... l'aver vistoquelladonna?— Non so cos'altro
potrebbeessere.Lei si morse il labbro
superiore. — Cosa saràsuccesso?—Non so proprio. Tu eri
presente. Ho... agitostranamente in qualche sensomentreerosottoipnosi?
Miguardòpreoccupata.—No, che io ricordi. Ho giàvisto gente ipnotizzata. Hovisto Phil ipnotizzare altriamicinostri.Sicomportavanotuttipiùomenocomete.Sospirai. — Non capisco
proprio,allora.— Avresti dovuto dirlo a
Phil.Forseluiavrebbepotutofarequalcosa.— Come? Per quanto lo
riguarda, lui ha voluto solo
fare un esperimento diipnotismo. Stamattina hadetto che ero soltanto un po'eccitato.—Loso,ma...Sembrava così sconvolta,
checercaidimostrarmiunpo'meno preoccupato. —Telepatia,puòcapireatutti.— Pensi davvero che sia
questo?—Nonsocosasia—emi
strinsi nelle spalle.— Penso
chelaparolavadabenecomequalsiasialtra.— È una parola così...
insolita. La si sente talmentedi rado.Qualche volta capitadi leggerla. Ma non la sipensa mai in terminipersonali.— Forse sto precipitando
le conclusioni. Forse si trattasoltanto di un po' diesaurimentonervoso.Anne mise la mano sulla
mia.— Bene, se questa
faccenda misteriosacontinuerà, andremo daAlanPorter. — Mi sorriseimpacciata. — Faremoqualcosa.—Faremoqualcosa,certo,
magari un ricovero inmanicomio.— Caro, non dire queste
cose!—Scusami—l'abbracciai,
erestammounpo'vicini.—Quidentrohounamico
chehabisognodiunpapà—mormorò lei. — Non di unmaniaco chiuso in una cellaimbottita.La baciai. — Di' al tuo
amico che accetto le suecondizioni.Lavidiancora.Eraidentica
acomel'avevovista laprimavolta; lo stesso vestito scuro,
lostessofilodiperlealcollo,i capelli lunghi che lecircondavano la faccia comeun'aureola nera. Era fermaallostessoposto,conlespallealla finestra, e mi guardava.Stavolta potevo vederlameglio perché non eroparalizzato dal terrore.Vedevochiaramentegliocchiimploranti, come se volessechiedermiqualcosa.— Chi siete? — chiesi
ancora.Poimisvegliai.Per qualche istante mi
sentii sopraffare da un sensodi sollievo, alla scoperta chePhil aveva ragione. Non erastato un fantasma aspaventarmi, non era statoneppure un fenomeno ditelepatia. Soltanto un sogno.Quella figura non era reale.Ero salvo. Tutti questipensieri mi si affollarono in
mente nello spazio di pochisecondi.E sparirono altrettanto
presto. Perché il ticchettionelle tempie mi ripreseimmediatamente, la tensionealle viscere mi attanagliò dinuovo. Fui ripreso da quellostesso formicolio che miaveva strappato dal letto lanotteprecedente.Eseppiche,se mi fossi alzato e fossiandato in salotto, l'avrei
trovatalàadaspettarmi.Nascosi la faccia nel
guanciale e giacqui così,tremando dalla testa ai piedi,lottando con tutte le mieforze.Noncisareiandato.Noepoino,nonmisareimosso!Auntrattomiraggelai,tesi
l'orecchio. C'era qualcosa inanticamera: lo sentivodistintamente. Un rumoreleggeroefrusciante...comelasottana di una donna che
cammina.Poi, bruscamente, sentii
piangere.Richard! Una lama di
terroremisipiantònelpetto.Boccheggiando, gettai via lecoperte e balzai in piedi,attraversai a precipizio lacamera slanciandomi inanticameraepoinellacameradi Richard. Lo presi inbraccio e accostai la miaguanciaallasua.
— Buono, piccolo, nientepaura — bisbigliai. — Staitranquillo,c'èquiiltuopapà.—Sentii unbrivido lungo laspina dorsale. Strinsi forte ilbambino, battendogli laschiena con dita tremanti.—Niente paura, tesoro, c'è quipapà.Dormi,Richard.Non èsuccessoniente,sai?Sentivo il suo terrore: lo
sentivodistintamentecomesefosse una corrente d'acqua
gelida che scorresse dal suocervello al mio. — Non c'èniente—dissiancora.—Oradormi,su.Papàrestaquiconme. — Continuai a parlarglifinoachesiriaddormentò.—È stato solo un brutto sogno,caro.Solounsogno.Giorno pieno. E, con la
luce, tornò quello che disolito chiamiamo ragione: undisperato affannarsi dietro
unaspiegazionerassicurante.La donna l'avevo soltanto
sognata,ilfrusciodellagonnal'avevo immaginato, eRichard aveva avuto unincubo. Il resto era fantasia,disordine del sistemanervoso. Quella fu la miaconclusionementremifacevolabarba.Un insieme di
combinazioni venne arafforzarequell'ottimismo.La
luce del sole, un fattoreimportantissimo per metterel'uomo in grado di negare iterrori della notte.Aggiungete una colazionegustosa, una moglie serena,un marmocchio sorridente, ilprimogiorno lavorativodellasettimana, e avrete radunatounaforzapotentecontrotuttoquello che non ha nessunaformaologica.Quandousciidicasaneero
proprioconvinto.Accaddenelpomeriggio.Era appena andato a
rinfrescarmi la faccia. Mifermai alla colonninadell'acqua per bere. Bevvi,poi,appallottolatoilbicchieredicarta, lobuttainelcestino.Mivoltaipertornareallamiascrivania.Barcollai violentemente
mentre qualcosa di pesantemicolpivaallatesta.
Al mio grido, parecchicolleghi e colleghedell'ufficio smisero di colpodi lavorare, e mi guardaronosbalorditi. Sentivo le gambemolli e stavo scivolando difianco verso uno dei tavoli;riuscii ad aggrapparmidisperatamente e asorreggermi, guardandomiintorno con espressioneattonita.Uno dei colleghi, Ken
Lacey, mi corse vicino e miafferròperunbraccio.— Cos'hai, Tom? — lo
sentiichiedere.—Anne—disse.—Che?— Anne! — Mi liberai
dalla stretta, poi barcollai dinuovo, premendomi le manisul sommo del cranio.Sentivo delle fitte in quelpunto, come se qualcuno miavessse colpito con un
martello.Altrisiaffollaronoattorno.— Cos'è successo? —
sentii chiedere da una dellesegretarie.— Non lo so — rispose
Lacey.—Portateunasedia.— Anne. — Mi guardai
attorno con espressione dipanico.Nonvollisedermi.— Sto benissimo, sto
benissimo — insistevo,cercando di nuovo di
liberarmi dalla stretta diLacey.Gli altri mi guardarono
sorpresi, vedendomi correrealla scrivania, gettarmi sullasedia e afferrare il telefono.Piùtardimiraccontaronocheavevo l'aria terrorizzata.L'unico guaio è che nonsapevo le cause del mioterrore.Sapevosoltantocheilpresentimento riguardavaAnne.
Il telefono continuava asquillare a casa senza chenessuno rispondesse. Miagitavosullasediae,comemidisseropoi,l'espressionetesa,stravolta, della mia facciaandavapeggiorando.Rifeciilnumero con le dita chetremavano. Non alzavo maigliocchisuimieicolleghichemi osservavano. Tenevo ilricevitore premuto control'orecchio.
— Su — ricordo di avermormorato in un'agonia diangosciainesplicabile.—Su.Rispondi!Sentiistaccareilricevitore.—Pronto?—Anne?— Sei tu, Tom? —
riconobbi la voce esile diElizabeth,emisentiicomeseavessi ricevuto un calcionellostomaco.—Dov'èAnne?— chiesi,
respirandoafatica.—È sul letto—mi disse
Elizabeth. — L'ho trovatasvenuta sul pavimento dellacucina.—Sièfattamale?—Nonloso.Hochiamato
ilmedico.— Vengo subito. —
Scaraventaigiùilricevitoreeafferrai la giaccadall'attaccapanni. Dovetterocredermi pazzo quando mi
precipitaifuori.La mezz'ora che seguì fu
un inferno.Dovetticorrerealreparto di Frank per farmidarelachiavedellamacchina- era il suo turno - e perquesto occorreva unlasciapassare. Poi dovettiprocurarmi un altrolasciapassared'emergenzaperlasciarelostabilimento.Corsiattraversoilparcheggiofinoafarmi venire un dolore acuto
alfianco.NaturalmenteFrankaveva lasciato la macchinanel punto più lontano dalcancello.Lanciailamacchinaa tutta velocità, frenaibruscamente al cancello,mostrai il lasciapassare, poisfrecciaivia.Rischiai di essere arrestato
almeno una decina di voltedurante il percorso versocasa. Passai tutti i semaforirossi, i segnali di stop senza
fermarmi, ignorai i vigili.Sorpassai a destra, non tenniconto dei divieti di svolta adestra e a sinistra, infransiogni regola sui limiti divelocità.Maarrivaiacasa indodiciminuti.Frenai massacrando i
copertoni,ederogiàsaltatoaterra prima ancora che ilrumore del motore sispegnesse.Attraversaiilpratocomeunbolide,milanciaisu
per i gradini del portico epiombai in casa dall'ingressoprincipale.Le trovai in camera:Anne
stesa sul letto, Elizabethsedutaaccantoalei.Richard,quando mi vide entrare,rotològiùdallettoemicorseincontro.— Papà, papà — gridò
allegramente.— Ciao, piccolo. — Gli
accarezzai distrattamente la
testa e corsi accanto al letto.Elizabeth si alzò, e io misedettialsuoposto.Anne mi sorrise
debolmente. Pareva nonvedercimoltobene.NotaicheElizabeth le aveva messo laborsadelghiacciosullatesta.—Staibene,amore?Anne deglutì lentamente e
sorrisedinuovo.—Stobene.—Piùcheparlare,accennavaleparoleconlelabbra.
— Dov'è il medico? —chiesiaElizabeth.—Nonèancoraarrivato.— Come... che cosa
diavolo ha? — brontolai.Guardai Anne. — Cos'èsuccesso? No, aspetta. Nonparlare. Sei sicura che siatutto a posto? Vuoi che tiportiall'ospedale?— No. — Mosse
leggermente la testa sulguanciale.
—Papà,mamma è cadutagiù.—Richarderaaccantoame ora, e mi guardavaintento.—Sì, caro, lo so—dissi,
mettendogli un braccioattornoallespalle.Guardaidinuovo Anne.— Sei certa distarebene?— Benissimo. — La sua
voceorasierafattaunpo'piùchiara.— Quanto tempo fa hai
chiamatoilmedico?—chiesiaElizabeth.—Pochiminutiprimache
tutelefonassi.—Com'èstato?Èsvenuta?—Erovenutaquiper fare
quattro chiacchiere — disseElizabeth. — Ho trovatoAnne sul pavimento dellacucina. Credo che le siacaduta sulla testa una grossalatta di pomodori e l'abbiastordita.
La guardai sbalordito. PoimirivolsiadAnne.— Sul... proprio sul
cocuzzolo?—chiesi,allibito.Le sue labbra si mossero.
—Sì.Il medico arrivò verso le
tre e disse che l'unicacomplicazione era un grossobernoccolo sulla testa.Telefonai allo stabilimento eavvisai che non sareirientrato. Elizabeth avvertì
chesarebbeandataaprendereFrankallequattroemezzo.Poco prima delle cinque,
Anne volle alzarsi perpreparare la cena.Mentre leistava ai fornelli, mi sedettiaccantoaltavoloconRichardsulleginocchia,eleraccontaiquellocheerasuccessoame.Smisedirigirareilmestolo
e mi diede una stranaocchiata.—Èfantastico—disse.
— Lo so. Ma è propriosuccesso.Continuava a fissarmi,
immobile.— No; perché vuoi
prenderti la briga diavvertirlo?—dissi.—Avvertirechi?— Stavi dicendo che
dovremmo...dirloaPhil,no?— Tom, io non ho aperto
bocca.Una pausa
imbarazzatissima.—No?—riusciiadireallafine.—No.Deglutii. Mi appoggiai
contro lo schienale. Richardintanto mi raccontava di unverme che lui e Candyavevano scoperto nelgiardino, ignarodel fatto cheio vedevo benissimo, con gliocchi della mente, la scenadeiduebambiniinginocchiatisul prato, chini, intenti a
osservare le piccole spire delverme;vedevo tutta la scena,propriocomesierasvolta.— Che cosa succederà
ancora? — mormoravointanto.Di nuovo il sogno. Il
risveglio con un gemito diterrore, gli occhi sbarrati nelbuio, la certezza che lei miaspettava nel soggiorno. Ildesideriodiurlare:Vattene!e
ilbisognoinvecedicacciarmisottolecoperte,stringendomiil più possibile ad Anne,tremante e atterrito. E ilfruscio di una gonna nelcorridoio,lacorsaprecipitosaversolastanzadiRichardchesierasvegliatoepiangeva.Eal mattino, un altro mal ditesta sordo e implacabile, unaltro crampo allo stomaco.Un senso di vuoto, disfinimento mortale. E
l'inevitabile tentativo diconvinceremestessocheerastatosoltantounsogno.Tentativofutile,ormai.
5Quando rincasai dopo illavoro, martedì pomeriggio,posai il pacchetto sul tavolodicucina.— Cos'è — chiese Anne,
dopoilbaciodibenvenuto.—Lozucchero—dissi.Miguardò.— È lecito chiedere —
disse—comehaisaputocheavevamo bisogno dellozucchero?— Non mi hai chiesto di
comprarlo?—dissi, sapendogiàlarisposta.Annescosselatesta.—Be'
— sospirò — forse lafaccenda finirà per esserci
utile, tutto sommato. — Eraundebolosforzodivolgerelacosainscherzo.Misi lo zucchero nella
credenzaemitolsilagiacca.—Facaldo—dissi.—Sì.Miaffacciaiallafinestradi
cucinaperguardareRichardeCandy che correvano attornoinseguendounafarfalla.— Tom? — sentii che
Anne diceva. — Cosa hai
intenzionedifare?— Dici per... — non
riuscivoatrovarelaparola.Leiannuì.Sospirai. — Cosa posso
fare? Non è una cosa che sipuòtoccareconmano.Sognouna stranadonna...—non leavevo ancora detto che noncredevo si trattasse di unsogno. — Posso percepirequello che si nasconde nellatestadiElsie.Sentosulcranio
lo stesso colpo che hairicevuto tu. Colgo i tuoipensieri se in casa non c'èzucchero...—mistrinsinellespalle. — Che cosa possofare, dimmi? Da che partecomincio?—PotresticonsultareAlan
Porter.—Ma lamiamentenonè
malata — replicai,voltandomi di nuovo aguardaredallafinestra.
— Bene, allora di che sitratta secondo te? Succededentrolatuatesta,no?— Sì, ma non è un...
esaurimento. Se mai... —tacqui per un momento,perché un'idea si stavafacendo strada.— Semai, èun aumento di facoltà, nonunadiminuzione.— E questo ti consola
molto?—disselei.—Tuseiterrorizzato,Tom.Ammettilo.
Sento benissimo come tremila notte quando fai quelsogno. Chiama la cosa comevuoi,iososoltantocheiltuoisistema nervoso ne soffre. Esono del parere che dovresticercareunrimedio.Subito.— D'accordo — dissi,
perplesso. — Cercherò unrimedio. — Mi sembrava ditrovarmi con le spalle almuro.Certamenteanch'ioeropreoccupato per quello che
mi stava succedendo. Nellostesso tempo, ero ancheincuriosito.Per tutto il giorno, in
ufficio, avevo continuato araccogliere frammenti dipensieri e di emozioni deicolleghichemicircondavano.Brandelli di sentimenti,irritazioni, noia, stanchezza,sogniaocchiaperti,desideri.Vaghe visioni disgiunte, eparti di frasi. Non sapevo a
chiappartenesseognisingolopensiero, ma questoaumentava più che mai ilfascinodellasensazione.Uno di loro, per esempio,
immaginava se stesso, o sestessa, durante una crociera,fatta o semplicementedesiderata. Giuro che potevoquasiannusareilprofumodelmareosentire sotto ipiedi ilrollìo del ponte. Un altrostava pensando a un donna,
unavisioneconlestessetinteche avevo percepito nellamente di Elsie. La cosa miprocurava un lievemalesserefisico, ma restavainteressante.Mi voltai dalla finestra
mentre mi balenava unsospetto.— Sta a vedere... —
cominciai.—Chec'èora?— Sta a vedere che sto
diventandounmedium.— Un medium? — Anne
posòconforzalabottigliadellatte.— Sì — dissi — perché
no? — L'espressione dellasua faccia mi fece sorridere.— Cara, un medium non habisogno di essere una donnadi mezz'età, piena di porri econloscialledilana,sai?—Losoma...Pensai un momento. La
parola stessa, medium, è ladescrizione perfetta.Significa:unpostodimezzo.I medium sono proprioquesto. Stanno ametà stradafra la... fonte e l'obiettivo, eattraverso loro fluttuanopensieri e impressioni. Imedium...— Se sei un medium —
m'interruppe lei — spiegamiunacosa.—Cosa?
Mi guardò intenta,accusatrice.—Comemainonpossiedi
nessun controllo su quellochefluttuaattraversote?Questo fu ilnocciolodella
conversazione a tavola,inframmezzatadapreghiereeordini a Richard perchémangiasse.— No, non capisco — si
ostinava Anne. — Tu soffriperquesta storia.Vedogià il
cambiamentointe...sì,insolipochi giorni — insistettequando tentai di protestare.—Seipallido.Sembristanco,sciupato.—Loso—confessai.Non
potevo discutere. Ogni voltailfenomenomilasciavaconilmalditestaeleossarotte.—Bene,adessocapisco—
replicòAnne, irritatadalmioapparente cambiamento dimodi.—Tuseid'accordocon
me che la cosa ti danneggia,ma mi dici che non vuoiprendere nessunprovvedimento. E tuttoperché pensi di essere unmedium.Ochissàchecosa.— Cara, non sto dicendo
questo. Sto dicendo solo chevoglio aspettare un po' ditempo per vedere come simette la faccenda. Qualcosadevesuccedere,losento.—Oh... lo sento, lo sento.
— Strinse le labbra,indignata.—Eiocosadovreifare,intanto,dinotte,quandotu ti svegli di soprassalto,come catapultato da unamolla? Aspetto un bambino,Tom. Sono nervosa, anche,nervosa davvero. Credi chemi faccia bene stare inagitazionetuttalanotte?—Cara,io...Suonò il campanello. Mi
alzai e attraversai il
soggiorno, chiedendomiperché mai mi avesseriassalitoquellasensazionediformicolio. Durò poco, mal'impressione che riportai fudi essere di metallo e diessere passato attraverso unfortecampomagnetico.Aprii laporta evidiHarry
Sentas.—Oh—dissisorpreso.—
Buonasera.— 'Sera — disse lui. Era
molto alto e ben piantato, esembrava troppo grosso pergli abiti che indossava.Sarebbe stato molto a suoagio in tuta, magari con unamacchia d'unto sulle guancefloride.—Sonovenutoperl'affitto
— disse. — Ho pensato dirisparmiarvilastrada.—Ah—annuii.— Chi è? — Richard
trotterellònella stanza.Sentii
Annechelochiamava.— Ma non mancano
ancoraduegiorni?—chiesiaSentas.—Ho pensato che voleste
levarvi la seccatura — disselui.—Capisco.—Mi schiarii
la voce. — Bene, se voleteaspettare, vi faccio unassegno.—Aspetterò.Tornai in cucina e presi il
libretto degli assegni da uncassettino della credenza.Anne mi guardava con ariainterrogativa e io mi strinsinellespalle.Compilai l'assegno, lo
staccaidallibretto,eloportaiaSentas.— Obbligato— disse lui,
prendendolo.—Oh,aproposito—dissi.
— La fate aggiustare voiquestaserratura?
—Laserratura?— Sì. Non è possibile
chiuderla dall'esterno.Quando usciamo dobbiamochiudere dall'interno elasciare aperta la porta delpatio.— Una bella noia. Me ne
occuperòio.— Ve ne saremo grati —
risposi,mentreluisivoltavaesi dirigeva verso casa sua.Restai un momento a
guardarlo camminare, poichiusi la porta e tornai allamiaminestra.— Sarà così tutti i mesi?
— disse Anne. — Credevoche le prime due volte fossestatouncaso.—Nonso—risposi.—È
un'abitudine che non mipiace,però.Annesistrinsenellespalle.
— Probabilmente è il suodenarocheconta,perlui.
—Ildenarodi suamoglie— precisai. — SecondoFrank, è lei che ha ilmalloppo.Lei sorrise, scuotendo la
testa.—QuelcaroFrank.Hasempre una buona parola pertutti.Sospirai. — Comunque,
quel Sentas nonmi piace—dissi.Anne alzò gli occhi dal
piatto. — Si tratta sempre
della tua... qualità dimedium?—Cara, da come parlimi
faisentireunmaniaco.—C'èunpo'difissazione,
no?— Fissazione — ripeté
Richard. — Fissazione,mamma?—Sì,bello—disselei.— Bene, non credo di
essereunmaniaco—replicai.— Oh, andiamo. Non
prendetela,adesso.—Seituchetelaprendi.—Non ti pare che abbia i
miei buonimotivi?— scattòlei,irritata.— So che per te non è
piacevole,ma...—Ma tudevipassare alla
storia,quindivabenecosì.—Cara,nonlitighiamo—
dissi.— Senti. Tirerò avantisolounaltropo'.Tipromettoche se la cosa ti darà sui
nervi,setispaventa,ochesoio, andrò... andrò subito aconsultare Alan Porter. Seicontentacosì?— Tom, sei tu che stai
diventando spaventato enervoso.— Bene... voglio resistere
ancora un po'. Ti confessochelacosamiincuriosisce.Eteno?Esitò prima di rispondere.
Finalmente inclinò la testa,
annuendo con riluttanza. —Certo,è... insolito,d'accordo.Ma...serischiadidistruggerel'equilibrio della tua vita, nevalelapena?— Non permetterò che le
cose arrivino a questo punto— la rassicurai. — Lo saibenissimo.Quella sera, prima di
andare a dormire, arrivammoa scoprire un filo bendefinito.
Avevo chiesto ad Anne diricordare quello che erasuccessodurante l'ipnosiesePhil avesse detto qualcosache poteva aver provocato ilfenomeno.Anne ricordò due cose.
Nessuna delle due contenevala chiave della spiegazione,naturalmente, ma in questicasi non c'è mai niente didefinitivo. Tuttavia eranoentrambepienediinteresse.
Mentre io ricordavoavvenimenti dei miei dodicianni, era stato fatto uncommento. Phil, rispondendoa una domanda di qualcuno,aveva detto: "No, non c'ènessunlimite,aquellochelasuamentepuòfare.Ècapacediqualsiasicosa".La seconda frase era stata
detta quando Phil mi avevasvegliato dall'ipnosi. E qui,secondo me, stava la
soluzione."La tua mente è libera,
ora",miavevadetto."Nonc'èniente che la tenga legata. Èlibera,assolutamentelibera."Una frase che lui aveva
detto centinaia di volte asoggetti ipnotizzati. Andavainterpretata, a parer mio,come un ordine espresso alfine di impedire alla mentedel soggetto di ritenerequalche suggerimento dato
inavvertitamente e chepotesse rivelarsi dannoso inseguito. Come ripeto, Phill'aveva usata centinaia divolte. In seguito me loconfermòluistesso.Tuttavia, per ragioni
ignote,conmesi era rivelataun'armaadoppiotaglio.Saltai su a sedere con un
grido soffocato, e sentii l'ariafredda della notte contro lafacciamadida di sudore. Col
cuore che mi martellava,fissavo agghiacciato la portadelsalotto.Eradinuovolà.Sedevoirrigidito,imuscoli
dello stomaco contratti,cercando di farmi forza peralzarmieandareavedere.Manon potevo. Ogni forza divolontà si era dileguata. Lavedevo mentalmente, e ilpensierodialzarmi,andareinsalotto e trovarcela, bianca e
immobile chemi fissava conquegli occhi neri, erasuperioreallemieforze.—Dinuovo?—Sì—mormorai.—E...èlàdentro?—Sì.Sentii Anne rabbrividire
accantoame.— Tom — disse, e c'era
qualcosa di diverso nella suavoce: una nota interrogativa.—Tom,cosavuole?
— Non lo so — risposi,comese,alla fine, tuttiedueavessimo accettato la donnacomeunarealtàoggettiva.—È...ancoralà?—Sì.— Oh... — Mi parve di
sentirla singhiozzare eallungai un braccio pertoccarla. Sentii che tenevauna mano sulla bocca. Se lastavamorsicando...forte.— Anne, Anne —
bisbigliai.—Nonaverpaura.Non aver paura. Non puòfarciniente.Tolse lamanodallabocca.
La sua voce mi aggredì nelbuio.— Che cosa fai qui? Hai
intenzionedirestartenealettoe lasciare che la cosa vadaavanti così?Se lei è davveroinsalotto,seèdavveroquellochetupensichesia...Ebbi l'impressione che a
entrambi si fosse fermato ilrespiro. Fissavo la sagomaneradiAnne,mentreilcuoremi batteva lento a tonfiirregolari.—Anne?—miaccorsidi
mormorare.—Cosa?— Non... non credi a
quellochehadettoPhil?Chesitrattidi...—Tucicredi?Lemanimitremavano,non
potevo rispondere. Perchéimprovvisamentemi ero resoconto che non credevo aquello che aveva detto Phil.Che non ci avevo maicreduto.Noneratelepatia:eraqualcosadimoltopeggio.Macosa?— Hai intenzione di
parlarne a Frank e aElizabeth?— Erano quasi lecinque del mercoledì ed
eravamo in camera da letto.Anne, seduta sul letto,spazzolava i capelli diRichard,iostavomettendomiunacamiciapulita.Trapochiminuti avremmo attraversatolastradaperandareacena.Mi feci passare la camicia
dalla testa, poi rimasi afissare le loro immaginiriflesse nello specchiodell'armadio.—Glielodirai?—ripetélei.
Scossi la testa. — A chescopo?Frankriderebbecomeun matto. — Seguì unsilenzio.Sapevo a cosa stavapensando Anne. Pensavoanch'io alla stessa cosa.Sapevocheancheleiavrebbepreferito non pensarci.Proprio come me. E, apensarci bene, non avevamonessuna ragione di meditarcisopra.Qualeprovaavevamo?Soltanto una sensazione
imprecisa nel cuore dellanotte. Il lampo di un istinto,un breve secondo durante ilquale il desiderio di crederein qualcosa di soprannaturalesembrava diventare unacertezza, una verità scontata.Nonerasufficiente,affatto.Mi voltai, Anne evitò
imbarazzatailmiosguardo.—Bellacamicia,papà!—
disseRichard.—Grazie,caro.
—Prego—disseRichard,e per un istante, qualcosaparve passare tra di noi: unaspecie di comprensione. Poiluisivoltò.Loguardaiepensaiacome
sarebbe stato più facileallevarlo se avessi potutoavere un po' di fiducia. Tuttiqueiterrorisemprepresentisisarebberoassopiti:lapauradiuna malattia pericolosa, ilterrore che finisse sotto una
macchina, chevenisseuccisoda uno qualsiasi degliinnumerevoli incidenti aiquali un bambino è cosìorribilmente esposto. Pensaiquanto sarebbe statomeraviglioso poter credereche il mio Richard fosse alsicurodatutto.Per un attimo gli occhi di
Anneincontraronoimiei.— Io so una cosa—dissi
impulsivamente. — C'è
qualcosa attorno a noi. Nonsocos'è,mac'èqualcosa.Edèlà,Anne.Èlà.Ricordo l'occhiata che mi
diede; il modo come, per unistante, premette le labbrasullatestadiRichard.— Sarebbe così bello —
mormoròquasitrasé.—Cosìbello.VenneadaprirciFrank.— Salute, compagni di
sventura — biascicò. Il suoalito carico di birra mi colpìimmediatamente.Appena entrammo nel
soggiorno, Elizabeth uscìdalla cucina. Si capivabenissimo che avevanolitigato.Anche se non avessipercepitolatensionechec'eranell'atmosfera, l'avrei capitodagliocchirossidiElizabeth.— Salve! — ci venne
incontro sforzandosi di
sorridere, senza guardareFrank.—Ciao,caro—disseaRichard.— Ecco mia moglie —
disseFrank.—Lamadredelmio rampollo non ancoranato.Elizabeth s'inginocchiò
davanti a Richard... odio! Laparola parve lampeggiarenella mia mente come unalampadina che si brucia e sispegne.
— Come sei bello,Richard! — disse lei. C'eraun'incrinatura nella sua voce.—Chebelvestito.—Amenondicemaiche
sonobello—osservòFrank.— Bello? — Richard
afferrò la camicia e tese lastoffavivaceversoElizabeth.—Oh,sì.Moltobello.— Bene, accomodatevi,
prego — disse Frank —scegliete i vostri veleni per
citare le parole immortali diuna famosa sgualdrina, ElsieLeight.— Sei di buon umore —
osservai.— Be', maledizione, cosa
bevete?— Per me niente— disse
Anne, rigida. Io chiesi ungocciodivino,sel'aveva.Mene nominò tre qualità. ScelsiilSauterne.—Sauterne...arrivasubito.
— Frank si avviò verso lacucinaconunsingulto.Elizabeth si rialzò. Aveva
stampato in faccia un sorrisoforzato.— È una cattiva giornata
— disse, cercando invano dimetterelacosainscherzo.—Nonglibadate.— Sei certa che non
disturbiamo, Liz? — chiesedolcemente Anne. — Non tipreoccuparepernoi...
— Non dire sciocchezze,cara — assicurò lei, e iopercepii l'ondata di infelicitàche l'attraversava. — Oh,prima che mi dimentichi —aggiunse — ho lasciato unpettine a casa vostra l'altrogiorno?Anne sorrise. — Non me
ne parlare. Sì, l'hai lasciato.Avrò pensato di riportarteloalmenounadecinadivolte,eme ne sono regolarmente
dimenticata.Scusami.— Figurati, Anne. Volevo
solo saperedov'era finito.Loporterò via io una volta ol'altra.— Sauterne! — Frank
rientrò nella stanza con inmanounbicchierepieno.— Vado ad occuparmi
della cena—disseElizabethavviandosiversolacucina.—Vengo ad aiutarti— si
offrìAnnepremurosamente.
— Non c'è niente da fare—sorriseElizabeth.Ilsorrisosi spense. Frank le stavasbarrando il passo.— Frank—disselei,implorante.— Lizzie non aprirà più
bocca— disse lui.— Vero,Lizzie?—Frank, lasciami passare
—lavocedileieratesa.— È così indignata, così
indignata... — Frank leappioppò una manata sulla
spalla. — Sei indignata,Lizzie?— Vengo ad aiutarti, Liz
— disse Anne alzandosi eprendendopermanoRichard.Elizabeth aprì la bocca perdire qualcosa, poi rinunciò.Percepivo il suo senso digratitudine mista a rabbia.Frank si fece da partevedendo Anne avvicinarsi, ele due donne con Richardandaronoincucina.
— Una donna incinta —elencò Frank — e unbambino.Due donne incinte!—Mandòunfischioamo'dicommento.—C'èdichestareallegri. — Rise cinicamente.—Micamale,eh?—Permevabenissimo—
risposi.— Tu sei soddisfatto,
naturalmente, idiota. — Mitese ilbicchiereconungestosgarbato. Un po' di vino
traboccò bagnandomi lamano. — Oops! — disseFrank.Si lasciò cadere sul
bracciolodiunapoltrona.— È furibonda — spiegò
—soloperché le hodetto ditentare di sollevare ilfrigorifero così cirisparmieremolaseccaturadiavere un bambino... —Ridendo, allungò la manoverso la lattina di birra. La
sollevò in alto. — Allafemminilità indomita —brindò.— E che l'inferno seleportiviatutte.Se avevo avuto la minima
intenzione di raccontare lorodelladonna,Frankmelatolsesubito.Continuòaberefinoache la cena fu in tavola, ementre mangiavamo, toccòappenailcibo.Pensavo a come certi
medium descrivono spesso
l'impressione provataentrando in certe caseossessive, il modo comesentono presenze estraneenell'aria. Bene, anche quellacasa era satura di ombre. Losentivo intensamente. Saturadi disperazione, dei fantasmidi mille parole crudeli, delresiduo spettraledella collerarepressa.— Bambini — ripeteva
Frank, attaccando
ferocemente la bistecca. —Bambini... sono validi? Sonointegrali? Assommano aqualcosa?Lochiedoavoi.— Frank, stai facendone...
—cominciòElizabeth.—Tutaci.Nonlochiedoa
te.Tuseimalatadimenteperquanto riguarda i bambini.Sonolatuamania.Tuvividibambini, respiri bambini. —GuardòAnneeme.—Lizzie— disse — non pensa ad
altro. Continuamente...Quandoavremounbambino?Quando...— Frank! — La forchetta
diElizabethrisuonòcontro ilpiatto. La poveretta si coprìgli occhi con la manotremante. Richard la fissavasgranando gli occhi. Anneallungò la mano e strinse lamanodiElizabeth.— Piantala una buona
volta, Frank — dissi io. —
Vuoi farci andare tutto ditraverso,percaso?— Già — sbottò. —
Piantala, dice lui. È facile.Cerca tu di prendere la cosacon calma quando un cosoche non è nemmeno ancoravivo ti sta divorando tutti ituoisoldi.Scosse la testa: aveva i
movimentiincerti.— Bambini, bambini,
bambini — canterellò. Mi
gettò un'occhiata improvvisa.—Cos'hai da guardarmi?—Ora non parlava più ingenerale.Mi fissava come sevolessesbranarmi.Abbassaigliocchi.Nonmi
ero reso conto di guardarlo,assorbito com'ero dai nodicontortidellasuamente.—Guardavosolounidiota
checonosco—dissi.Sbuffòsprezzante.— E va bene, sono un
idiota. Siamo tutti idioti chefacciamodeibambini.— Frank, per amor del
cielo!—Elizabethsialzòdatavola tremando, e andò amettere il suo piattonell'acquaio.—Richard— disse Frank
— non fare bambini. Vai adonne, sbronzati, combinaguai,manonfarebambini.Il resto del pasto venne
consumatoinunsilenzioteso,
rottosoltantodaqualchevanotentativodiconversazione.Più tardi, Frank e io
uscimmo per una corsa inmacchina. Lui avevacontinuato a bere e si stavafacendo sempre piùindisponente nei confronti diElizabeth. Allora suggerii diuscire in macchina, con lascusachedovevofareilpienodi benzina, e presi la nostramacchinaperguidareio.
—Chiseneinfischiadellabenzina—disselui.—Tantodomani non vado al lavoro.Chimelofafare?Mentre ci staccavamo dal
marciapiede, Elsie uscì dicasa in prendisole, poi sichinò per raccogliere unazappetta.— Sgualdrina — disse
Frank tra i denti.L'impressione che riportaicirca quel commento non fu
di rabbia, però, a meno chenon si trattasse di cupidigiarabbiosa.Per un pezzo guidai in
silenzio. Frank avevaabbassato completamente ilfinestrino dalla parte sua etenevalatestafuori,colventodella sera che gliscompigliava i capelli. Iofissavo la strada dirigendomiverso l'oceano. Ogni tantoFrank brontolava qualcosa,
ma non gli prestavoattenzione. Meditavo sullavita che continua, sui piccolifatti reali che ci trasportanolontanodaogniproblema.Una volta avevamo visto
un ipnotizzatore allatelevisione. Avevaipnotizzato una donna, e leigli riferiva con la massimacalmafattiecifre riguardantila sua precedente vitatrascorsaaNorimberga.
Da principio ero rimastoinchiodato alla sedia,assolutamente senza parole.La donna parlavacorrettamente in tedesco,sebbene lasuafamiglia fosseamericana da almeno quattrogenerazioni. Aveva descrittolecaseelagente;avevadatoindirizzi,nomi,date.Poi, mentre l'osservavo,
piccoli fatti della realtàavevano cominciato a
distrarmi. Sentii che stavoscomodo sul cuscino sulquale ero seduto. Provai unpo' di prurito alla testa. Miaccorsidiaverseteebevviunsorsodalbicchiereposatosultavolino accanto. Udii ilfrusciodell'abitodiAnnecheera venuta a sedersi suldivano accanto a me. Fuiimprovvisamente consciodella piccolezzadell'immagine televisiva in
rapporto alla stanza. Sentiipassareunaereo,notai i librisullo scaffale. E la donnacontinuava a parlare, e pocoper volta quel fenomenoincredibile divenne banale enoioso. Mi lasciai andarecontro lo schienaleosservando il video senzatroppo interesse. Finiiaddirittura per cambiarecanale prima chel'esperimentofosseterminato.
Adesso stava succedendola stessa cosa. Il sedile duro,ilvolantetralemani,ilsuonodel motore della Ford, ilvedere, con la codadell'occhio, Frankimbronciato accanto ame, lelucichefuggivanovia... tuttoera troppo reale, troppopratico. Qualsiasi altra cosasembrava inaccettabile. Ladonna, ancora una volta,ridiventavaun sogno.E tutto
il resto, perfino la possibilitàdi captare i pensieri diFrankedElizabeth,diventavafruttodellafantasia.Dopo una corsa di venti
minuticifermammoinunbardi Redondo Beach, per bereuna birra. Frank ne buttò giùtrebicchieriinfrettaprimadicentellinare il quarto.Strofinavailfondoghiacciatodel bicchiere contro lasuperficie liscia del tavolo,
fissandoilvuoto.—Acosaserve?—dissea
untratto,senzaguardarmi.—Cosa?— Tutto. Il matrimonio, i
bambinietuttoilresto.—Leguanceglisigonfiaronoperilfiato trattenuto, poi sbuffòrumorosamente. —Scommetto che tu ci tieni adavereunfiglio.—Certo.— Eh già — disse lui, e
buttògiùunsorsodibirra.—Tunoncitieni,allora?— Ci sei arrivato,
finalmente — mi risposeamaro.Contrasselamanosulbicchiere come se volessemandarlo in pezzi. — Cosame ne faccio io di unbambino? Perché diavolodovreivolerneuno?— Un figlio è importante
—dissi.Luisiabbandonòcontrolo
schienale.—Certo— disse.—Sicuro.Ancheungruzzoloinbancaloè.Ancheunpo'disicurezzaperl'avvenire.— Non mangiano denaro,
Frank— dissi.—Mangianosolounpo'dipappaelatte.— Mangiamo denaro, e
anche le mogli lo mangiano.E così le case, i mobili, lemaledette tendine, e viadicendo.— Frank, sembri un
vecchioscapolodeluso.— Un marito deluso —
corresse. — Magari,maledizione a me, fossiscapolo.Quellieranotempi!—Erano bellissimi,ma io
preferiscoquesti.—Etutienteli!—grugnì.
Sbuffòdinuovo,disgustato,egiocherellò col bicchiere. —Non ero abbastanzasfortunato—mormorò.—Ègià un monumento di
ghiaccio quando è normale.Ora, con questa storia inballo, è come se non fossenemmenomiamoglie.Risi,mi pare.—È questo
che ti dà ai nervi?— chiesi.Non mi sentivo moltotelepatico in quel momento.Lacosamicolsedisorpresa.— Accidenti, se mi dà ai
nervi. Quella donna ha iltemperamentodiunaformica.Perfino quando è normale.
Adesso...— Frank — lo interruppi
— credimi, la maternità nonhanientedianormale.— Al diavolo se lo è —
imprecò lui.—Èunosprecodi energie. — Si proteseverso dime, la faccia dura eassorta. — Bene, amico —disse—iononhointenzionedi starmene con le mani inmano. — Sogghignò. —Tanto per usare il gergo. —
Siguardòattornocomefannogliuominiperindicarechelaprossimalororivelazionesaràesplosiva.—C'èuntipinocoicapellirossi,allostabilimento—disse.Rimasidinuovosorpreso.— Oh, mia moglie lo sa.
La vecchia Lizzie sa sempretutto.Cos'altropuòaspettarsi,in findeiconti?Unuomohabisogno di certe cose. Tuttoqui.Iopiùditantialtri.Èuna
questione di aritmeticaelementare.Continuò a informarmi
sullaragazzadaicapellirossi:piccola, camicette aderenti epantaloni attillati. Portavaincartamenti al reparto diFrank.— Non si mangia mica
molto nell'intervallo dellacolazione—concluseFrank,ammiccando.
6Anne appese fieramente unagruccia nell'armadio. — Èdisgustoso— disse.—E leinon dice mai niente. Vuolesoltanto un bambino. Setteannidimatrimonio,edètuttoquellochepretende.Elui...—Forse è qui che sbaglia
— osservai.— Non sa farsirispettare.— Cosa può fare? —
chiese Anne, sedendo alla
pettiniera e prendendo laspazzola.—Lasciarlo—suggerii.— E dove vuoi che vada?
—ribatté,usandolaspazzolacon colpi brevi e nervosi.—Nonhaunamicoalmondo.Igenitori sonomorti tutt'e dueda nove anni. Se noi duelitigassimo,io,almeno,potreiandare un po' dai miei persuperare la crisi. Elizabethnon ha un posto al mondo
dove andare. La sua unicacasa è quella. E quel... quelmaialeriesceatrasformarlainuninferno.Sospirai.—Loso—dissi.
Misdraiaisulletto.—Chissàselamoglielosadavverocheluihaunarelazionecon...Mifermai.Dalmodocome
lei aveva voltato la testasapevogiàlarisposta.— Lui, cosa? — chiese
Annelentamente.
Ci guardammo per unmomento. Poi lei si voltò dinuovo.—Mabene—disse,conil
tono falsamente calmo cheunadonnariesceamantenerequandoèalcolmodelfurore.— Benissimo. Questocompleta l'opera. Nonmancavaaltro,proprio.Sorrisi,senzaallegria.—Dunque,leinonlosa—
dissi.— Lui mi aveva detto
disì.—Oh,lui... luiè...nonc'è
un termine abbastanzaespressivoperdefinirlo.Scossilatestalentamente.—Lasituazioneèdavvero
edificante.Avivereinquestacasa c'è da sentirsi come ipersonaggidiun'operetta.Dauna parte abbiamo unamoglie che ha ridotto ilmarito come un perfettoimbecille. Dall'altro lato
abbiamo un adultero e unaschiava.—Miinfilaisottolecoperte. — Non lo direi, aElizabeth,sefossiinte.— Dirglielo? Buon Dio,
non oserei mai. Se qualcosapuòfarlaimpazziredeltuttoèproprioquesto.Rabbrividii.—Dirglielo.Oh,Dio...me
ne guarderò bene! Tremo alpensiero di quello chepotrebbe succedere se lo
scopre.—Nonloscoprirà—dissi.Per un poco restammo in
silenzio. Sdraiato nel letto,fissavo il soffitto,chiedendomi seavrei fattodinuovo quel sogno: esploravolacasamentalmente,comesei miei pensieri fossero leantennevibrantidiuninsetto,che cercano timidamente,pronte a ritrarsi in un istanteal contatto col minimo
ostacolo.Ma non c'era niente.
Cominciaiapensarecheforselo stato di eccitazione in cuiPhil mi aveva lasciato stavadavvero diminuendo, ailludermi di essere già scesosotto il livello dellapercezione, di essere a buonpunto per tornare in brevetempo normale come prima.Sinceramente provavo unvago senso di delusione.
Quella qualità era piena difascino.Miaccorsi che stavoinvolontariamentesforzandomidi risvegliarla inme. Naturalmente nonserviva.Non dipendeva dallavolontà.Pochi minuti dopo, Anne
s'infilònellettoaccantoame,espegnemmolaluce.— Tom... credi che
sognerai anche stanotte? —chieselei.
— Non so. Non credo,però.—Forseèpassato.—Puòdarsi.Unbrevesilenzio.—Caro?—Sì.Lasentiideglutire.—Apropositodi...—Diierisera?—chiesi.—Sì.Mi...mi dispiace di
essermi lasciata trasportaredainervi.
— Non c'è ragione dipreoccuparsene,cara.— Sì, invece. È sciocco
fare tante congetture soloperché...perviadiquellocheèsuccesso.—Locredoanch'io.—Mi
rivoltai su un fianco, el'abbracciai.— Senti... promettiamoci
che...— Va bene, cara. Non ne
parleremopiù.
— Mai più. Perché noncredo che ci sia niente dilogico.—Sonod'accordoconte.Mi baciò.—Buona notte,
Tom.— Buona notte. — Sul
tavolino accanto al letto, lelancette luminosedell'orologio segnavano leundiciemezzo.—No!
Scattaisudalmaterasso,lamente percettiva come unradar, gli occhi sbarrati.Fissavo in direzione delsalotto.Anne,accantoame, si era
svegliata di soprassalto. Lasuavocetremava.—Ancora?—Sì.—Oh, no. No!— Pareva
quasiirritata.Restammo così alcuni
momenti.Sentivoilmiopettoalzarsi e abbassarsiaffannosamente. Avevo lelabbra serrate, il cuore mimartellava con battiti sordi,irregolari.— Cosa pensi di fare?—
chiese lei. C'era una sfidapienaditerroreediamarezzanellavocediAnne.—Cosa...possofare?Ebbeunaspeciedirantolo.—Alzatievaiavedere.
Mi voltai di scatto. —Anne,cosasarà?—Cosasarà?Cherazzadi
domandaèquesta?Losaichecos'è. Ora alzati... — Unsinghiozzolefecemancarelavoce.—Alzatievaidilà.Mi sentivo mancare il
respiro. Tremavo dalla testaai piedi. Ogni volta chepensavo alla donna,l'immagine pareva stagliarsicon chiarezza spietata nella
mia mente: terrea, con gliocchifissi,imploranti.Ritrovaiilfiato.— Va bene— dissi. Non
sosemirivolgevoadAnneoalla donna. — Va bene. —Respinsi le coperte e misi ipiediaterra.—Caro...—Lacolleraera
improvvisamente svanitadalla voce di Anne. Restavasolol'inquietudine.—Cosa?
—Io...vengoconte.Mifeciforza.—Restaqui,
tu—dissi.— No. Vengo. Voglio
venireanch'io.Mi passai una mano
tremante sulla faccia e laritrassi madida di sudoreghiacciato. Sapevo chesarebbe stato mio dovereimpedirglielo.— Va bene—mi accorsi
didire.—Vieni,allora.
Udii il fruscio della suacamicia da notte mentre sialzava,edistinsilasuafiguranel buio contro la finestra.Arrivammocontemporaneamente ai piedidel letto. Sentii la sua manoaggrapparsi alla mia, el'afferrai forte. Era fredda easciutta: tremava nella miastretta.Trassi un respiro profondo
ecercaidiarrestareiltremito
dei muscoli dello stomaco.Erano di nuovo irrigiditi econtratti.Sentivonelletempieil solito pulsare caldo,pungente.— Coraggio — dissi. —
Andiamo.Hanno mai due persone
attraversato l'oscurità cosìlentamente? Ci muovevamocome se avessimo le gambedi piombo, come se fossimodue statue, vive soltanto a
metà. Raggiungemmo laporta con movimentiimpercettibili, e per tutto iltempoilmiocuorecontinuòabattere sempre più in fretta.Anche lamiamano tremava,ora. Non offriva nessunconforto a quella di Anne.Che conforto può venire daunuomoterrorizzato?Arrivammoinanticamerae
ci fermammo come per unaccordo reciproco. Tra noi e
il salotto c'era una porta.Rabbrividimmo,immobilinelbuio, poi sussultammoquando, nell'altra camera daletto, Richard si mosse nelsonno. Infine udii la voce diAnne,unesilefilodivoce:—Apri.Mifeciforza.Strinsilasua
mano fino a farle male, nesonocerto.Bruscamente,aprii laporta
conuncalcio.
Entrambi retrocedemmoautomaticamente,abbracciandoci in attesa delpeggio.Poi tutto parve svanire
improvvisamente. Le nostrebracciaricaddero.Entrammo nella stanza
vuota. Il ticchettio delle mietempie svaniva, i muscoli siscioglievano nel miostomaco.— Stupido— disse Anne
con chiarezza, e c'era solosollievo divertito nella suavoce.—Oh,stupido,chenonseialtro.Deglutii.Lei trasse un profondo
respiro.—Allora?—disse.—Ce
ne torniamo a letto? —Capivo dalla sua voce cheavrebbe urlato da farsiscoppiareipolmoniseavessevistoqualcosa.
—Traunattimo—dissi.Lei se ne tornò in camera.
La sentii infilarsi sotto lecoperteechiamarmi.—Vengosubito.Tornai a letto emi sdraiai
tranquillamenteaccantoa lei.Non le dissi della gelida,umidaventatacheerapassatasu di me mentre lasciavo ilsalotto.—Hoprenotatounababy-
sitter per questa sera —annunciò allegramente Annequando rincasai giovedìpomeriggio. Misi a terra ilmarmocchio che avevotrasportato in groppa dalgiardino.Baciaimiamoglie.— Bene — dissi. —
Magnifico.Abbiamobisognodi uscire dopo quello cheabbiamopassato.— Amen — disse lei. —
Misentocomeseavessifatto
dieci anni di lavoro per laSocietà di RicerchePsichiche.Risi e l'accarezzai. —
Comeva,mammina?— Molto meglio, grazie,
signormedium.— Chiamami ancora così,
epasseraiiguaituoi.Era uno scherzo forzato.
Nonpotevoparlaredelsordomal di testa che avevosofferto tutto il giorno, del
crampo allo stomaco, dellacontinua tensione percettiva.Anneeratroppofeliceperchéosassisconvolgerladinuovo.Etral'altro,nonerosicurodiniente. Come al solito, tuttoeravagoeindefinito.—Chiè lababy-sitter?—
chiesi, mentre mi lavavoprimadiandareatavola.—La ragazza di cui ci ha
parlato Elsie — disse Anne.— È un affare, tra l'altro.
Prende solo mezzo dollaroall'ora.— Come mai così poco?
— dissi. Ci pensai su unmomento.—Seisicurachecisiadafidarsi?— Ricordi, no, quello che
hadettoElsie?Moltofidata.Meloricordavo.Andai a prendere la
ragazzapocoprimadelleotto.Abitavaacircaseichilometridacasanostra, ilchenonera
proprio l'ideale, macercavamo da tanto tempouna baby-sitter, che non eraproprio il caso di fare ipignoli.Frenai davanti alla casa
della ragazza e stavo perscendere, ma la portad'ingressosiaprìeneuscìlei.Era grossa, e i blue-jeansaderenti che indossava nonl'aiutavano certo amigliorarela figura. Portava un
giubbotto di pelle, e tra icapelli neri, poco curati, unnastro giallo sbiadito chesembrava una fetta di burro.La ragazza usava lenticerchiatedicorno.Aprii lo sportello. Lei
scivolòdentro tirandoa sé laportiera.—Buonasera—dissi.— Buona sera. — Voce
sottile, sguardo sfuggente.Mollai il frenoamano,diedi
un'occhiata allo specchiorestrovisore, poi, con unarapidasvoltaaU,ripartii.— Mi chiamo Tom
Wallace—dissi.Nonrispondeva.—SieteDorothy?—Sì—lasentiiappena.Guidai per un po', poi la
guardai.Leifissavalastrada,con aria cupa. Non ne sonocerto,ma credo che fu allorache cominciai a sentirmi a
disagio.— Com'è il vostro
cognome? — chiesi. Noncapiicosabrontolò.—Comeavetedetto?—Muller.— Ah. — Misi fuori la
freccia, svoltai a destra nellaHawthorne Avenue e ripresivelocità.— Avete lavorato spesso
perElsie?—ElsieSpesso?
—No. Elsie Leight. È damolto tempo che voi fate lababy-sitter per la signoraLeight?—No.—Capisco.—Cosaaveva
che mi metteva di cattivoumore?— Io... mm... noi cistavamo chiedendo se aveteun limite di orario.Pensavamoche...—No—m'interruppe.— Pensavamo che forse...
perviadellascuola,eccetera.—No.— Capisco. La mamma
nonstaràinpensiero,allora.Non rispose.
Improvvisamente ebbi unasensazionenettanel cervello:che la ragazza non avessemadre.—Lamammaèmorta?—
dissi, senza pensare o,piuttosto pensando a vocealta.
Voltòlatestadiscatto.Nelbuio sentii il suo sguardo sume.Capiidiavereindovinatosenza bisogno che leiparlasse.Mischiariilavoce.— Elsie l'aveva accennato
— dissi, sperando diimboccare la scusa giusta ecorrendointantoilrischiocheElsienonnesapesseniente.—Ah.—Dalmodocome
lodissenoncapiiaffattosesi
fosse accorta della bugia ono. Riprese a guardare lastrada. Io feci lo stesso.Guidai in silenzio, da quelmomento,chiedendomicomemai la ragazzamidessequelsensodidisagio.Quandoarrivammoacasa,
Dorothyscesedallamacchinae si avviò verso l'ingressoprincipale. Là aspettò fino ache la raggiunsi sotto ilportico e aprii per farla
passare. Mi accorsi che eramoltopiccola.— Entrate — dissi,
provando uno stranoformicolio nella schienamentre mi passava accanto.La cosa cominciava a darmisui nervi. Avevo sperato inuna piacevole seratadistensiva con Anne. Invecemi stavano riprendendo isolitisintomi... inesplicabiliefastidiosi.
Anne uscì dalla camera diRichard e ci raggiunse insalotto.—Salve—disse.Le labbra di Dorothy si
mossero in un sorrisomeccanico.Miaccorsi che lafaccia pallida e alquantocomune era cosparsa dibrufoli.— Il bambino dorme —
disseAnne.—Sonocertachenonvidarànessunfastidio.
Dorothy annuì. E,inaspettatamente, provaidentro di me un impeto dipaura. Mi passò quasiimmediatamente, ma milasciòindebolito.— Sarò pronta in un
secondo — disse Anne,rivoltaame.Non ricordo cosa risposi,
so solo che mormoraiqualcosadistrattamente.Annetornò in bagno per darsi una
ritoccataaicapelli,eDorothysi fermò accanto alla finestrachedavasulretro,proprionelpunto dove avevo visto ladonna. Per un istante, sentiiquellasensazionedigeloedicrampo allo stomaco. Sorrisinervosamente alla ragazzaappenamiguardò,eleindicailalibreria.— Se vi fa piacere...
leggere qualcosa, prendetepureliberamente.
I suoi occhi evitarono imiei. Aveva ancora addossola giacca di pelle con lacernierachiusafinoalcollo,etenevalemaniaffondatenelletasche.— Toglietevi pure la
giacca, Dorothy — dissi.Annuìsenzaguardarmi.La fissai per unmomento.
Quellocheprovavoera,comesempredelresto,indefinibile.Più che altro, un senso di
vago,remotomalessere.—Bene, lìc'è il televisore
—aggiunsi.Annuìancora.Andai in cucina a bere un
bicchiere d'acqua. Mi pareche avesse un gusto salato.Ricordo di avere stretto lelabbra, dicendo a me stesso:Basta!Staseradevidivertirti,acostodicrepare.—Seavetefame—gridai
a Dorothy — servitevi dal
frigorifero.Nessunarisposta.Quando tornai in salotto,
lei si stava togliendo lagiacca. Colsimomentaneamente la visionedel contorno di un senotroppo pesante per unaragazza della sua età. Poi lagiaccavennesfilatadel tutto,le braccia tornarono nellaposizione normale e lacamicettalargachelaragazza
indossava ricadde attorno albusto nascondendone leforme. Una vampata dirossore infiammò le guancediDorothy.Passaioltrecomese non mi fossi accorto diniente. Andai in bagno e,tenendomi alle spalle Anne,miguardaiallospecchio.Sorrisi all'immagine di lei.
—Staibene?—michiese.— Certo. Perché me lo
domandi?
—Misembraviunpo'giù.—Sto benissimo— dissi.
Mitolsiunpettinedallatascadellagiaccaemelopassaitrai capelli. Mi chiesi se si eraaccorta del leggero tremitodellamiamano.Mi chiesi selei sospettasse che stavoconsiderando la possibilità diperderelaragione.—Oh,Dorothy—chiamò
Anne, mentre stavamo peruscire.
— Sì. — Dorothy si alzòdaldivano.— Dovrete chiudere la
porta dall'interno. Nonpossiamochiuderenoicon lachiave,dafuori.—Ah—Dorothyannuì.— Bene, buona sera —
disse Anne. — Ci vediamopiùtardi.Dorothygrugnìunsaluto.Non posso descrivere la
sensazione di mancamento
che provai quando sentii ilrumore della serratura cheveniva chiusa dall'interno daDorothy.Perunattimorimasiirrigidito, sentendo lacontrazionedeimuscolidellostomaco. Poi Anne mi preseper il braccio, e sforzandomidi sorridere per amor suo, lascortaifinoallamacchina.—Tel'hodettochestasera
sei splendida? — le dissi,mentremi sistemavo accanto
aleisulsedileanteriore.Si chinò verso dime emi
baciò leggermente.—Moltogentile,signore—disse.La tenni un momento
abbracciata, respirando ladelicata fragranza del suoprofumo. Maledizione,pensavo, devo assolutamentefarlafinitaconquestaassurdasciocchezza. Il troppo ètroppo.— Che buon profumo —
dissi.—Graziecaro.Poi guardai su verso la
casa,edebbi l'impressionediscorgere Dorothy che ciosservavaattraversoletende.— Tesoro, che c'è? —
chieseAnne.Mi tirai indietro,
sorridendo. Dovevo averel'aria poco convincente... —Checosa,cara?—Haiavutounsussulto.
—Unsussulto, amore?—Cercai di scherzare. — Èpassione,desiderio.Chinò un poco la testa da
unlato.—Proprio?—Proprio,sì.Noncredere
di poterti mettere in salvotirando in ballo le tuecondizioni.— Sei l'autista più
impertinente che abbia maiassunto—disselei.
Risi e accesi il motore.Mentre ci staccavamo dalmarciapiede, gettai un'altraocchiata alla casa. Stavoltanon c'era dubbio: vididistintamente la tendinascivolarealsuoposto.Provaiuna fitta allo stomaco el'impulso irrefrenabile dibloccare i freni e tornare incasa di corsa. Dovettipraticamente farmi forza perrestare calmo. Il mio piede
ebbe uno scatto control'acceleratore, e la macchinasussultò.— Calma, calma —
ammonìAnne.— È la vostra presenza,
signora, che mi confonde,dissi, e riuscii alla meglio anon lasciar trapelare iltumultocheavevodentro.Lemie mani avrebbero trematosenonavessistrettocontantaforza ilvolante.Ero infuriato
con me stesso, e questopeggioravalecose.— A proposito, le hai
chiesto se ha un limited'orario?—disseAnne.— Nessun limite —
risposi, desiderandoimmediatamente di avermentito dicendo chedovevamo rincasare per leundici,magariledieci.— Meraviglioso — disse
Anne — proprio come
speravo! Così possiamogodercela senza dover tenerd'occhiol'orologio.—Già.—Iltonomitradì,
stavolta. Con la codadell'occhiomiaccorsi,mentresvoltavo sullo stradone, cheAnnemiosservava.— È pieno di significati
quelgià.—Nienteaffatto,mia...—
poi tacqui.Mi resi conto cheero preoccupato per Richard.
Anne non aveva certo nienteda obiettare su questo. Sesolo avessi potuto esprimerela mia preoccupazione inmodo che lei non pensassechec'eradinuovoinballo lastoria della telepatia...Cominciavodavveroanutrireun complesso di colpariguardoaquellafaccenda.— Ecco — dissi esitando
— vedi... sono un po' indubbiosesiailcasodirestare
fuori finoa tardi,visto cheèla prima volta. Tuttosommato, laraccomandazionediElsienonèpropriounsigillonazionaledigaranzia.— No — ammise. —
Bene... non faremo più tardidella mezzanotte. Di qui amezzanotte possiamo fare unmucchiodicose,delresto.Mezzanotte. Strinsi i denti
em'irrigidii.Nonerastatoun
trionfo. Provavo ancoral'impulsoditornareindietroeriportare a casa quellaragazza.Maeraridicolo.Cercaidiconvincermene.Discutemmo un poco sul
posto dove conveniva andareeciaccordammoinfineperlaLighthousediHermosaBeachperché era relativamentevicino,einoltreeraunlocalesimpaticoperberequalcosaeascoltare un po' di buona
musica. Stabilito questo, laconversazione vennesostenuta soprattutto daAnne. Io guidavo e mi davomentalmentedell'idiota.—Tesoro,c'èqualcosache
non va — disse a un trattoAnneinterrompendosinelbelmezzodiunafrase.—Nontisentibene?Dovevo ammettere che, in
realtà, il mal di testa stavapeggiorando. Comunque, ero
deciso a ignorarlo. Non eraquellochemipreoccupava,almomento.— No, va benissimo —
risposi, irritatoconmestessoper il bisogno dimentire.—Sono soltanto... mah, unpochinopreoccupatoperaverlasciato Richard con quellaragazza.— Caro, me l'ha
raccomandataElsie!— Lo so. Vedi... — mi
strinsi nelle spalle e sorrisiimpacciato. — Forsesembreròpiùimpiastrodiunavecchia zia. Ma vorreisentirmi tranquillo sul contodiRichard.— Tom, pensi che io non
mipreoccupi?Ho tempestatoElsie di domande su quellaragazza. E ho parlato altelefono col padre, nelpomeriggio, prima di fissarel'impegno.
—Lamadreèmorta,vero?—Sì.Comelosai?Mischiarii lavoce.—Me
l'ha detto Dorothy. —Desideravo più che mai dipoter dire le cose comestavano, spiegare ad Anneche il fenomeno non erapassato, che continuavo aintercettare pensieri esentimenti, e che insommaquella ragazza non miispirava fiducia. Nello stesso
tempo, considerando ilrovescio della medaglia,capivo che avevo altrettanteragioni valide per non direniente. Se avessi parlato,avrei gettato di nuovo Anneinpredaalpanico,econtuttaprobabilità avrei calunniatounaragazzacheaveval'unicacolpadiesseretroppograssa.In fin dei conti, non mi eroforse sbagliato sullapresenzadelladonnalanotteprima?
Questi ragionamenti nonapprodarono a niente. Quistava il lato peggiore di tuttala faccenda: potevo dubitaredella logica. Cosa sentissiesattamente,nonmel'eromaichiesto. Inoltre, non eroaffatto certo di essermisbagliato a proposito delladonna.Continuavo a macinare
dubbi, mentre Anne miparlava di Dorothy e la mia
mente oscillavacontinuamente tra la soliditàdella logica e la fluiditàdell'emozione. Confesso chel'ascoltavosoloametà.Dorothy aveva quindici
anni, questo l'avevo sentito.Vivevacolpadreeunfratellodi otto anni. Frequentava lascuola superiore e faceva lababy-sitter per parecchiefamiglie. Il padre lavoravaanche lui per la North
American: era saldatore,facevailturnodinotte.Non c'era niente in queste
informazioni che potesseturbarmi, ma non significavaniente. Quello che miturbava,oracomesempre,eraquello che stava dietro ifatti... l'emozione dietro laparola, il pensiero cheindugiava dietro le barricatedeisilenzi.EraquestochemiavevaturbatoinElsiee...
Elsie!Mi tornò improvvisamente
in mente la sensazione dimalessere, di repulsione, cheElsie mi aveva comunicato.Erastatal'identicasensazioneche mi aveva comunicatoDorothy.Per qualche istante la
constatazionemi fece sentiremeglio,secondolalogica.Lecuriosità crudeli e snervantidella pubertà non erano
proprio un mistero, e nonrappresentavano certo unaminaccia.— Allora sei convinto,
padre in pena? — chieseAnne a conclusione delrapportosuDorothy.Annuii. — Mi inchino,
facciopenitenza.Faialzareilpeccatore pentito.Avviamociversolaterradeljazz.Anne rise e si fece più
vicina.Miposòunamanosul
ginocchio.—Finalmente—esclamò.Riuscii a convicere me
stesso che le miepreoccupazionieranosvanite.Durò fino al momento in
cui, dopo aver parcheggiatoed essere smontati dimacchina, ci avviammo allaLighthouse, entrammo inquella bolgia allegra, ciprocurammountavolovicinoal pianista della piccola
orchestra, ordinammo unabibita e ci mettemmo adascoltarelefantasiedelicateeatonali di un pezzo intitolatoAquarium.Poil'angosciamiriafferrò.Seduto là, con la mano
stretta attorno al bicchiereghiacciato, fissando leespressioni estatiche delsuonatore di violoncello,ricominciai a pensare aDorothy.
Ogni pensiero era ungelido sgoccioliopremonitore. Cosa mai nonandava in quella ragazza?Perché la temevo? In chemodo poteva fare delmale aRichard?Questoeraunpuntocruciale del problema,naturalmente. In che modopoteva...Anne disse qualcosa,
spezzando la catena deipensieri. La musica era
troppo forte, e io non capii.Dall'espressione della faccia,però, sapevo già più omenodi che cosa si trattava. Miprotesiversodilei.— Tom, cosa c'è? —
ripeté,impressionata.Scossi la testa, sorrisi
vagamente, e lei si voltò. Laguardai. Il terrore crescevadentro di me. Diglielo,pensavo.Diglielo, per amoredi Dio! Fai un errore se è
necessario,manonrestartenequi seduto, in preda alpanico.Le toccai un braccio, e lei
sivoltòaguardarmi.Non dissi niente. Per un
lungo istante inostriocchi siincontrarono. Poi, stringendole labbra, lei prese ilsoprabitoeafferròlaborsetta.Quandolaportasbattéalle
nostre spalle, tagliando fuoriil baccano selvaggio della
musica,leisidiresseversolamacchina.—Anne...—Nonimporta,Tom.—Ascolta—dissi irritato
—credichesiaperme?Fece un piccolo gesto
sfiduciatoconlamanodestrae non rispose. Quandoraggiungemmo la macchina,si fermò ad aspettare che leaprissi la portiera. Per unattimo fui quasi sul punto di
dirlechemidispiacevaechevolevotornarenel locale.Masapevo che mi eraimpossibile.Aprii in fretta laportiera, e lei montò. Sbatteilo sportello e mi accorsi dicorrere attorno allamacchinaperprecipitarmialvolante.Misi in moto e mi staccai
dalmarciapiede,confracasso.All'angolo dovetti frenarebruscamente per via delsemaforo e sbuffai
d'impazienza. Sapevo cheAnnemistavaguardandomanon volevo incontrare i suoiocchi. Quel pensieroaccresceva più che mail'angosciachemidivorava.Appena il semaforo
cambiò, premettil'acceleratore, e la Ford silanciò con uno scatto su perla salita che porta allostradonedellacosta.Oracheavevorinunciatoa
combatterlo, il terrorenasceva rapidamente.Lamiamente sembrava fuggireavanti, verso casa.Improvvisamente, mi trovaisotto ilportico,ero in salottoelelucieranospente.Mandaiun gemito di terrore, eAnnesivoltòdiscattoaguardarmi.La Ford sfrecciò attornoall'angolo e puntò a nordlungo lo stradone. Non soquale parte di me prestasse
attenzione alla guida. Quasitutto il mio essere era inquella casa, in preda alpanico, alla ricercaaffannosadi qualcosa chemi sfuggiva.Richard!misentivogridare.Richard!La macchina non mi era
mai sembrata così lenta.Novanta chilometri era comestrisciare,ottantaeraavanzarea fatica, sessanta, addiritturarestare immobili. Aspettare a
un semaforo era un'agonia.Sapevo che Anne avrebbevolutoparlaremachenonneaveva il coraggio. Io, diparlare non me la sentivo,volevo solo arrivare a casa,immediatamente.Quando mi fermai davanti
a casa nostra, stavo giàtremando.Mentrespegnevoilmotore, spalancavo già laportiera. Corsi attraverso ilprato buio, e superai con un
unico salto i gradini delportico.Allemiespallesentiisbattere la portiera, poi ilrapido ticchettiodei tacchidiAnne. Non mi diedinemmeno la penadi bussare.Un solo giro della manopolami disse che la porta eraancora chiusa dall'interno.Con un rapidissimo dietro-front, corsi via, passandoaccanto ad Anne che stavavenendosupergliscalini.
— Dove corri? — michiese.—Allaportasulretro.— Le luci sono spente—
disseleiconvocealterata.Non risposi. Schizzai
attorno all'angolo dellarimessa e imboccai il vicolocorrendoaperdifiato.La porta posteriore era
spalancata. Feci per entrare,poi,bruscamente,giraisumestesso e mi lanciai di nuovo
fuori, incerto. D'istinto mibuttai a sinistra e corsi nelcortile.Si era rannicchiata in una
angolo buio. Tra le braccia,avvolto in una coperta,stringevaRichard.Senza una parola glielo
tolsi, e levoltai le spalle.Unsuono orribile, da demente,gorgogliò nella gola diDorothy. Non mi fermai.Portai Richard verso Anne
che era ferma in fondo alvicoletto.— Cos'è stato? — chiese
leiterrorizzata,conunfilodivoce.— Accendi la luce in
cucina.Fece un passo indietro, si
voltòesiprecipitòincasa.Lacucinasiilluminò.Anne mandò un gemito
mentre portavo dentroRichard. — No — disse lei
convocedipianto.— Sta benissimo — le
dissi, in fretta. — Non s'ènemmenosvegliato.Mi seguì attraverso il
salotto e l'anticamera,accendendo le luci. RiportaiRichardnelsuoletto,esciolsilacoperta.Annemiraggiunsecon una luce di terrore negliocchi.—Glihafatto...delmale?—Noncredo.—Accesile
luci, e Richard si mosse nelsonno.Miparvedicaptareunsensodipaurachevenivadalbambino.Mastavasvanendo.In un istante era già passato.Richard riprese a respiraretranquillonelsonno.—Oh,mioDio!—Anne
sarebbecadutasenonl'avessisostenuta al volo. Laricondussi in anticamera,tenendola abbracciata,spegnendo la luce mentre
uscivamo dalla camera diRichard.— Sta benissimo —
ripetevo — non è successoniente,Anne.La sua faccia sembrava di
cera.—Pensasenonfossimotornatiindietro—bisbigliò.— Ma siamo tornati in
tempo — dissi — È questocheconta.— Oh, Tom! — Anne
tremavacomeunafoglia.
La tenni stretta perparecchiminuti.Poidissi:—Saràbeneche
lariportiacasa.— Cosa?—Anne alzò la
testa.—Laragazzaabita troppo
lontanoperandarciapiedi.Annetrattenneilrespiro,le
labbra le tremavano. — Iochiamolapolizia—disse.—No,no—dissi.—Non
servirebbeaniente.
— Tom, potrebbesuccedere di nuovo! —protestò Anne, con ariaterrorizzata. — Cercherà dirapirequalchealtrobambino!—Nonlofarà—dissi.—
Ha fatto compagnia allabambina di Elsie per tuttoquesto tempo e non ha maitentatoniente.Nonsoperchél'abbia fatto stasera,ma sonocertochenonsiripeterà.Anne scuoteva la testa.—
Nonloso.Nonloso.Cercai di metterla a letto,
ma lei non volle. Quandouscii di casa era ancora inpiedi vicino al letto diRichard.Dorothy non era più nel
cortile. Uscii nella strada eguardaiverso lo stradone.Lavidi camminare barcollandovicinoall'altroisolatodicase.Saltaiinmacchinaelaseguii.Lei continuò a brancolare
dalla luce di un fanaleall'altra, evidentementeaccecata dal dolore, senzasapere da che parte andare.Avanzai lentamente dietro dilei finoachevidiquelcorpopesante crollare in avanti suun prato e restare a terra,sussultando. Fermai lamacchina e scesi. Quando laraggiunsi stava strappandol'erbaconlemaniecoidenti,gemendocomeunanimale.
Mandò una specie disingulto quando la sollevai.Allalucediunfanalevicino,gli occhi neri mi fissaronoatterriti.— No— ripeteva.— No
nono.—Andiamo,Dorothy.All'improvviso cercò di
respingermi, piagnucolando,le labbra tirate, la saliva chescorreva sul mento dai dentiserrati. Dovetti darle uno
schiaffo per calmarla: silasciò condurre nellamacchina.Mentremettevoinmotolei
ricominciòapiangere,scossada profondi singhiozzi, lemani premute sulla faccia.Dapprima pensai che imugolii chemandava fosserosoltanto gemiti didisperazione. Poi capii chestava cercando di direqualcosa... e, sebbene non
distinguessi le parole, capiicosastavadicendo.— No, non ti porto dalla
polizia—dissi.—Enondiròniente a tuo padre. Ma laprossima volta non andràcosì,Dorothy.Nonscherzo.Enon voglio più vederti dalleparti di casa nostra, dopoquellocheèsuccesso.Mi dispiacque delle ultime
parole,mami erano sfuggiteautomaticamente.
Durante il resto delpercorso lei continuò asinghiozzare e a mandaregemiti da bestia disperata.Evitaidipropositodileggerlenel pensiero. Quandoarrivammoacasasua,leiaprìla portiera e si allontanòbarcollando lungo il vialetto.Tirai ame lo sportello e feciunarapidasvoltaaU.Inquelmomento non mi curavoaffatto di quello che sarebbe
stato di lei. Non volevorivederla mai più. Quandotornaiacasa,Anneerasedutasul divano: indossava ancorailsoprabito.—Stabene?—chiesi.— Sì, l'ho spogliato tutto.
Nonhaniente.Era pallidissima, emi resi
contodinonessereriuscitoaproteggerla da niente: unadonnahaunpropriogenerediintuizione.Misedettiaccanto
aleielatenniabbracciata.— È tutto passato, ora,
Anne.Questo provocò un
collasso.Scoppiòapiangereepremette la faccia contro lamia.Lasentiitremare.—Ètuttoaposto—dissi,
cercandodicalmarla.Dopo un po' si ricompose,
erialzòla testa.Mifissòconun'espressione che non avreipotuto misurare con un
semplice sguardo. Tuttaviasentivo cosa provava:meraviglia,paura,ansia.—Lo sapevi, vero?—mi
disse.— Sì — ammisi — lo
sapevo.Chiusegliocchi.—Allora
nonèpassato—disse.— Ti dispiace? Se fosse
passato, ora saremmo allaLighthouse, pensando chetuttoè...
— No... — Si mise unamanoagliocchie ricominciòa piangere, sommessamente.Stavolta piangeva più disollievochedidolore.Scoppiai a ridere
inaspettatamente. Anne alzògliocchiunpo'scandalizzata.—Cos'hai?—chiese.Scossilatesta.—Moltofidata—dissi.
7Niente sogno quella notte.Noneranecessario:Anneeiosapevamo benissimo che lacosa provocata da Phil eraancoraconnoi.Ne parlammo il mattino
seguente. Richard dormivaancora. Si era svegliatodurante la notte quando gliavevamo tolto di nuovo ilpigiama per assicurarci chenon avesse proprio niente.
Ora si stava rifacendo delsonno perduto. Anne e iostavamo bevendo il caffè incucina, in quei pochi minutichepassavamoassiemeprimache io uscissi per andare inufficio.— Andrai a consultare un
medico, finalmente? — michiese.—Perché?Vidi che tentava di
mascherare una contrazione
della gola bevendo un sorsodicaffè.— Preferisci restare così,
allora?—chieseallafine.—Nonl'hovolutoio.—Questononc'entra.Mescolavo il caffè
pigramente. — Non è comese io fossi malato. Tu stessahai ammesso che ieri sera lecoseavrebberopotutoandarediversamente.Esitò, poi: — Si,
l'ammetto. Questo noncambiailresto,però.—Ilresto?— Sai benissimo cosa
vogliodire.Losapevo.Ilrestoeracon
meancheinquelmomento:lapressione sul cranio, losconvolgimentoallostomaco,il ricordo pauroso delladonna, il terrore di cosesconosciute che potevanodiventare conosciute da un
momentoall'altro.— D'accordo, lo so bene
—ammisi.—Maancoranonposso convincermi che sia...chesiaunafacoltàdannosa.— E se comincerai a
leggereimieipensieri?Lofaigià,unpoco.— Cara... io non intendo
affatto spiarti. Lo saibenissimo.Lepochecosecheho intuito erano senzaimportanza.
—Comeierisera?—Stavamoparlandodi te,
cara.— Va bene — disse, e
capii che la mia presenza larendeva un po' nervosa: eraunsentimentopiùfortedilei.— Va bene. Ma se tu puoicaptare queste cose, puoicaptare anche quello chepensoio.Cercai di scherzare,ma fu
unerrore.
— Cos'è questa storia —dissi. — Hai forse qualcosadanascondere?Forse...—Tuttihannoqualcosada
nascondere!—urlò.—E senon si potesse nasconderequalcosa,ilmondosarebbeinuna confusione anchepeggioredicomeè.Dapprima rimasi solo
stordito. Poi capii che Anneaveva ragione. Ognuno hadiritto a un posto segreto
nellasuamente.Altrimentilerelazioni sarebberoimpossibili.— E sia — dissi. — Hai
ragione.Mapensochedovreiconcentrarmiprimadipoter...leggerelatuamenteochesoio.— Ti sei concentrato per
leggerelealtrecose?— Era diverso. Quelle
eranosensazioni,non...— Non vuoi ammettere
proprioniente,dunque?— Cara, questa... questo
potere, qualunque cosa sia,può aver salvato la vita anostro figlio, stanotte. Nonmuoio dalla voglia dirinunciarcicosì.— Preferisci tormentarmi
purditenertelo,vero?—Tormentarti?Fissò dentro la tazza e mi
sarebbe bastato il modoansante, rigido, in cui
respirava per capire quantoera sconvolta. Ma lo capivoancheinunaltromodo.—Vabene—ripeteva—
vabene.— Oh, andiamo, Anne—
dissi. — Smettila di farmisentire un verme per questastoria. È colpa mia? È statoquell'idiota di tuo fratello lacolpaditutto.Avevo inteso, con la
maldestra ottusità del
maschio, dire una frasescherzosa. Il risultato fu unaltro.CertamenteAnnenonlapreseperquelverso.Ostentò di non rilevarla
neppure.—Alloranonandraiaconsultareunmedico?— Cosa potrebbe fare un
medico, in nome di Dio?—ribattei, infuriato dallapochezza delle mieargomentazioni.—Nonsonomalato!
Annesialzò,emiselasuatazza nell'acquaio. Restò aguardare fuori dalla finestracon aria sostenuta.Èmalato.Sapevo che era questo chestavapensando.— Non sono malato —
ripetei,aggiungendolaparolafinale in modo da lasciarcredere che stessi soloinsistendo,enonrispondendoalsuopensiero.Lei si voltò a guardarmi.
L'espressioneeramoltocupa.— Ripetilo stanotte —
disse— quando ti sveglieraitremando.Mentre rincasavo dal
lavoro, nel tardo pomeriggiodi quel giorno, scorsi Elsieche innaffiava il prato.Indossava calzoncini gialli eun maglioncino di parecchiemisuretroppostrettoperlei.QuandoscesidallaFordlei
stava posando l'innaffiatoiosulla piccola zollarettangolare tra i nostririspettivi viali d'ingresso. Sirialzò, con le mani suifianchi, e trasse un profondorespiro di soddisfazione. Ilgolfino, se fosse stato dilegno,avrebbescricchiolato.—Fatto—disse.—Così
dovrebbebastare.—Senzadubbio—risposi,
annuendo, e aprii la porta
della rimessa. Sentivo giàquelfamososensodidisagio.Strinsi i denti e tornai allamacchina.— Ehi, cos'è successo ieri
sera?— chiese Elsie.—Hotelefonato aDorothy, oggi, eil padre mi ha risposto laragazzanonfaràpiùlababy-sitter. Cos'è successo, nonl'avrete mica ipnotizzata,vero? — Il filo di un suopensiero contorto mi
raggiunse dicendomi quelloche lei immaginava avessifatto. Sentivo lo stomaco insubbuglio.— Sta' tranquilla— dissi.
—Nonèsuccessoniente.— Ah... — Sembrava
delusa.Salii in macchina e portai
la vettura nella rimessa.Mentre smontavo vidi cheElsie era ancora là fuori, inattesa. Fui sul punto di
lasciarelarimessadallaportaposteriore, poi mi resi contoche sarebbe stata unascortesia troppo evidente.Sospirai, uscii, e mi allungaipertiraregiùlasaracinesca.— Vengono degli amici,
domani sera — disse Elsie.— Perché non fate unascappatina, tu e Anne?Magari riusciremo ad avereunaseratinapiacevole.— Verremmo volentieri,
Elsie — risposi — madomani sera ceniamo damiasuocera.—Unbel viaggio— fu il
commentodiElsie.Lamadredi Anne viveva a SantaBarbara.— Lo so — dissi,
mandandomiaquelpaeseperaver trovato una scusa cosìcretina. La saracinesca scesecon fracasso.—La vediamoraramente, capisci? — Oh,
all'inferno, pensavo,possiamo sempre mangiarefuori e andare al cinemaall'aperto.Elsiesilisciòicalzoncini.— Davvero non hai
ipnotizzato Dorothy perimporle di non venire più dame?—chiese.Anchelavoceerapienadiaffettazione.—No,quelloècompitodi
Phil—dissi, voltandomi perandarmene.—SalutamiRon.
Mispiaceperdomanisera.Non rispose. Forse si era
accorta che io cercavo ditagliare lacorda.Nonpotevofarci niente, in ogni modo.Nonriuscivoarestareespostotroppotempoalleemanazionidellasuapersonalità.Quando aprii la porta,
Richardarrivòcorrendodallacucina.—Papà—gridò.Presi in braccio il piccolo,
e nel farlo captai il suo
scoppio gioioso d'affetto. Mibaciò, mi strinse le bracciaattorno al collo. Unsentimento impreciso, senzaparole, sembrava versarsi inme: un affetto al di làdell'espressione, un'onda difiducia, di bisogno diprotezione, di devozione chenonconoscevadubbi.Avoltepenso che quell'esperienza,contuttiisuoilatispiacevoli,meritasse di essere vissuta
grazieaquelbreveistante.—Ciao,bambino—dissi.
—Comeva?—Bene.Tu?Premetti la guancia contro
la sua faccia accaldata. PoiAnne uscì dalla cucina e lasensazione si attenuò. Miavvicinai a lei e la baciai.Nonfuiricambiato.—Ciao—dissi.— Ciao, Tom — mi
rispose,tranquillamente.Quel
sensodidiffidenzaeraancorapresente in lei. La baciai dinuovo, le passai un braccioattorno alla vita. Cercò disorridere, ma era unatteggiamentoforzato.— Sono andato a
consultareunmedico,oggi—dissi. Per un secondo nellasuamentebrillòunguizzodisperanza, ma subito languì.Mi guardò con freddezza. "Eallora?" La domanda mi
toccòilcervello.—Eallora?—chiese.Deglutii, sorrisi.—Niente
—dissi,cercandodiprodurreun tono di consolazione. —Sono in perfetta formapsichica.— Bene. — Era calma,
rassegnata.— Cara, ho fatto quello
chemihaichiesto.Strinse le labbra. — Mi
dispiace—dissepoi.—Non
sochecosafarci.Leiseneandòincucina,io
sedetti con Richard sulleginocchia e chiacchierai conlui per qualcheminuto. Pocodopo, misi giù il bambino, eandai a lavarmi le mani percenare.— La ragazza ha lasciato
quigliocchialiierisera—fulaprimacosachedisseAnneatavola.—Ah.Be'...—Misentivo
sconcertato. — Non misembrailcasodiprendermilabriga di portarli indietro.Potremmospedirglieli.— Li ho buttati dalla
finestra—disse leiconvoceincolore, e avvertii per unattimo quell'odio protettivoche avevo percepito in lei lasera prima. Decisi però cheavreifattobeneastareattentoanonanticiparelesueparole.I suoi pensieri fluivano
troppo chiari, adesso, troppofacilidaafferrare.—Hairestituitoilpettinea
Elizabeth?—lechiesi.Anne scosse la testa. —
No.Me ne sono dimenticata.— Silenzio. Poi, come sefosse una cosa normale, mirivolsiaRichardsorridendo.— Davvero, caro? —
chiesi.—Eleicosa...LaforchettadiAnnecadde
rumorosamentenelpiatto.
—Tom, lui non ha apertobocca. — La sua voce eratalmentetesadatremare.La fissai a lungo prima di
riportarelosguardosulpiatto.— Mamma? — disse
Richard.—Cosa,mamma?— Mangia, Richard —
disseleitranquillamente.Mangiammoinsilenzioper
qualcheminuto.—Oh,sai...dimenticavodi
dirtelo — mi ricordai a un
tratto.—Domaninonlavoro.Non devo andare allostabilimento.Anne prese la tazza del
caffèsenzaguardarmi.—Mifapiacere—disse.Balzai a sedere con un
grido rauco, completamentesveglio e in predaall'eccitazione.Tutta la mia vita era
concentrata in quell'istante di
risveglio improvviso in cuifissavo in direzione delsalotto, dove la donna miaspettava.Poi cominciai a rendermi
conto che Anne si erasvegliata e mi guardavanell'oscurità.Nonparlava.Masentivoinleipauraecollera.Deliberatamente,
ignorando ogni impulso cheurlava nella mia mente, misdraiai supino
concentrandomi nello sforzodi dominare il tremito.Stringevolelenzuolaconditadi ferro, e tenevo gli occhichiusi.Il mio cervello sembrava
inondato di sensibilitàselettiva, il corpo era teso edolorante. Ma dovevo farfinta di niente. Sapevo chel'ombraeralàadaspettarmi.Non so per quanto tempo
lottai contro l'attrazione di
quell'immagine femminile.Per me ormai era unapresenza vivente. La odiavopropriocomeavreiodiatounessere umano, la odiavoperché era là, perché cercavadi attirarmia sé con le cordedi quella sua richiestaagghiacciante.Solo dopo un lungo
intervallo percepii unrallentamento nel suo potere.Rimasi ugualmente irrigidito,
prontoa lottare.Soloquandol'attrazione passò del tuttolasciai che i muscoli sirilassassero. Giacqui così,senza forze, sapendo cheAnneeraancorasveglia.Sussultai di nuovo quando
lalampadasiaccese.Per un attimo Anne non
disse niente. Mi guardavasoltanto, inespressiva. Poi lasua resistenza parve crollare,il suo sguardo si fece più
attento.—Sei bagnato fradicio—
midisse.La guardai senza parole,
sentendo le gocce gelidescivolarelungoleguance.— Oh... Tom. — Anne
respinse le coperte e corsefuori dalla stanza. La sentiientrare in bagno, poi la viditornare con un asciugamano.Sedette sull'orlo del letto adasciugarmi la faccia. Non
parlava.Quand'ebbe finito, buttò
via la salvietta, emi lasciò icapelliumidi.—Cosa ti sto facendo?—
mormorò.—Cosa?— Dovrei aiutarti, invece
dilitigareconte.Dovevoavereun'ariamolto
scoraggiata e avvilita, perchési chinò e posò la guanciacontrolamia.
—Tom,Tom—bisbigliò.—Caro,scusami.Dopo un momento mi
baciò sulla guancia e si tiròsu. Capii dall'espressionedecisadellasuafacciacheerarisoluta ad affrontare la cosadipetto.—Eralàdentrodinuovo?—Sì.—E se tu fossi andato là,
credichel'avrestivista?Respiraiafondo.
—Non lo so— dissi.—Propriononloso.— Sei sicuro che esiste,
però.Vogliodire...— Esiste. — Sapevo che
stava per chiedermi se fossisicuro che la donna nonesistesse soltanto nella miafantasia.—Nonlosochisiao cosa voglia, ma esiste. —Inghiottii con fatica. — Oalmenoesisteva.— Tu pensi proprio che
sia...Scossistancamentelatesta.
— Non so niente, Anne. Lacosa non ha nessun senso.Perchéunpostocomequestodovrebbe essere invaso daglispiriti?Lacasahasoltantounpaio d'anni, e l'unica personache ci abbia abitato è lasorella della signora Sentas.Edèsoltantoandata...andataall'est. — Sorrisi miomalgrado,ricordando.
Fucostrettaasorridere.—Tom, Tom— disse—
ricordami di rompere la testaa mio fratello la prima voltachesifavivo.—Certamente.Anne esitò, poi: — Non
pensicheforsedovremmo...— No — dissi,
dmenticandolamiadecisionedi non anticipare i suoipensieri. — Non credo chePhil possa aiutarci. Però non
sarebbemalescriverglichelasmettadi ipnotizzarelagentesenonè sicurodiquello chefa.— Gli scriverò domani
mattina.Poco dopo, lei spense la
lampadaesicoricòaccantoame.—Miperdoni?—chiese.— Amore mio... —
l'abbracciai, confortato dallavicinanza della sua persona
calda e reale. — Non c'ènientedaperdonare.Fu in quel momento che
l'idea mi attraversò:semplicemente, con assolutachiarezza.Apriilaboccaperdirglielo,
poimifermai.— Cosa volevi dirmi? —
chieselei.Deglutii. — Ahh... allo
scopo di sottrarci a un altrodei suoi maledetti
ricevimenti, ho detto a Elsieche domani sera saremmoandatiacenadatuamadre.Anne rise, divertita. — E
adesso come facciamo? Cificcheremo in un cinemaall'aperto fino a che potremorincasaresenzaesserevisti?—Precisamente.Supino,calmo,lastringevo
a me. Quello che avevocominciato a dirle nonriguardavaElsie.La storia di
Elsiemi era venuta inmentein tempo per nasconderequello che pensavoveramente. Perché, quandostavo per parlare, mi eravenuto il sospetto che Annepreferissenonsapere.Einfindei conti avevo il cinquantaper cento di probabilità diindovinare che il nostroprossimo figlio sarebbe statounabambina.
8La lettera venne recapitata ilmattino seguente, poco dopoledieci.La portai in cucina ad
Anne,chiedendomiperchémisentissi tanto preoccupato.Dalla calligrafiadell'indirizzo, sapevo che ilmittenteeramiosuocero.Perunattimo,miricordaidiaverdetto ad Elsie che la serasaremmo andati a cena dalla
mammadiAnne,emivenneil sospetto che si trattasse diqualcosa di più di unacoincidenza.Anne aprì la lettera e
cominciò a leggere.Osservail'espressione d'ansia apparirea poco a poco sulla suafaccia.—Oh,no—disse.Si trattadisuamadre.Fui
sulpuntodidirloavocealta,poi, in fretta,strinsi le labbra
perché lei non se neaccorgesse. Anne alzò latesta.—Lamammastamale.La guardai fisso. Sentivo
distintamente il ticchettiodell'orologiosullacredenza.—No!—dissi.Pensò che mi riferissi alla
lettera.Ripresealeggereeiosentii ungranpesonel petto.Continuavo a fissareAnne, ecominciavoasentirmimale.
—Papàdiceche...S'interruppe di colpo e mi
guardòmeravigliata.Feceperparlare, poi rinunciò. Rimasea lungo combattuta. Quando,finalmente, si decise aparlare, capii che lo facevacontrovoglia.— Cosa c'è? — La sua
voce era bassa e spaventata.Scossi immediatamente latesta.—Niente—dissi.Lodissi
intonofalso,pococonvinto.Continuava a guardarmi.
Sentivo il cuore martellarecon forza. Non potevostaccare gli occhi dalla suafaccia. La vedevo ansimarepenosamente.— Voglio che tu mi dica
cos'hai—ripeté.—Manonhoniente.—La
testa mi girava, vedevo lastanza oscillare. Temetti dicrollareaterra.
—Tom...In quel momento suonò il
telefono.Il gemito che mi lasciai
sfuggire era terribile. Unsuono lamentoso,un'esclamazione gutturale etremante di terrore. Anne siritrasseinorridita.Il telefono continuava a
squillare.— Cosa c'è? — La sua
voce era incrinata, sul punto
dispezzarsi.Deglutii, ma la gola mi
rimase chiusa. Il telefonosquillava,squillava.Cercaidiparlare ma non ci riuscii.Scossidinuovola testa.Nonpotevo far altro che scuoterelatesta.Improvvisamente, con un
singhiozzo, lei mi spinse daparte. Rimasi inchiodatodov'ero mentre lei correvaattraverso il salotto
precipitandosi in corridoio.Losquillocessò.—Pronto—lasentiidire.
Silenzio.—Papà!E questo fu tutto. Silenzio
assoluto. Premetti le palmetremanti sul pianodell'acquaio e rimasi acontemplarmi le ditaallargate.La sentii riappendere.
Continuai ad aspettareimmobile. No, pensavo. Non
venire qui.Nonmi guardare.Sentivo i suoi passi, lenti epesanti, sul tappeto delsalotto. No, imploravo. Percarità.Nonguardarmi.Sentii che si fermava sulla
soglia della cucina. Nonparlava. Ansavo. Poi dovettivoltarmi.Non ce la facevo arestare là immobile, assalitodatuttiisuoipensieri.Mi stava fissando. Uno
sguardo così l'avevo visto
solo una volta in vita miasulla faccia di una bambinache stava guardando il suocane schiacciato daun'automobile. Era unosguardo fatto di terrore e diassoluta,totaleincredulità.—Losapevi!Allungai una mano con
gestoimplorante.— Lo sapevi — ripeté, e
stavolta non c'era nessuntentativo di mascherare la
ripugnanza, la paura. —Sapevi anche questo. Losapeviprimaancorachepapàtelefonasse.—Anne...Con un gemito soffocato,
mivoltòlespalle,efuggìviadalsalotto.Lecorsidietro.—Anne!Si precipitò nel bagno,
sbattendosi la porta allespalle.Andaiaurtarvicontromentreleisichiudevadentro.
Dall'interno, mi giunserosinghiozzi disperati, daspaccareilpetto.—Annetiprego!—Vaiviadame—gridò.
—Vattene!Rimasi lì, tremante e
avvilito, ad ascoltare isinghiozzi convulsi di Anneche piangeva per sua madre,mortaquelmattino.Anne partì per Santa
Barbara nel primo
pomeriggio,portandoRichardcon sé. Non le chiesinemmeno se voleva chel'accompagnassi. Sapevo chenonmivoleva.Nonmiavevapiù rivolto la parola dalmomentoincuierauscitadalbagnofinoaquandoerasalitain macchina per partire.Stordita, con gli occhiasciutti,avevamessoqualcheindumento per sé e perRichard in una borsa da
viaggio, si era vestita, avevavestito Richard, e se n'eraandata. Non le avevo dettoniente. Si può parlare allapropria moglie quando si sadifarleorrore?Dopo che se ne fu andata,
rimasi sul prato a fissare ilpunto dove la macchinaaveva svoltato a sinistra perimboccarelostradone.Ilsolemi scottava la schiena, ilriflesso metallico dell'asfalto
mifacevalagrimaregliocchi.Rimasi così per un pezzoimmobile, sentendomi vuotoetramortito.—Anchetu,eh?Sussultai bruscamente
perché qualcuno mi avevachiamato. Dall'altra partedella strada vidi Frank cheusciva in calzoni corti, dallarimessa, con lamacchinapertagliarel'erba.—Ticredevoilsostenitore
accanitodelsabatolavorativo—migridò.Lo guardai senza parlare.
Lui lasciò la falciatrice evenne verso di me. Con unbrividomi voltai, e tornai incasa. Mentre mi chiudevo laporta alle spalle, lo vidiriprendere la falciatrice, eguardare con aria perplessadalla mia parte. Scosse latesta,poisichinòperregolarelelamedellamacchina.
Mi scostai dalla porta eandai a buttarmi sul divano.Abbandonailatestacontrolaspalliera, chiusi gli occhi erividi l'espressione di Annedopo che aveva parlato altelefono. Ricordai una fraseche le avevo detto la seraseguente a quella in cui Philmiavevaipotizzato.Forse siamo tutti mostri
nel subcosciente le avevodetto.
Versoledueemezzopresianch'io la falciatrice dallarimessa e cominciai alavoraresulprato.Incasamisentivosoffocare.Sforzo inutile, però. Il
gestomonotonodispingerelamacchinaavantieindietrosulprato, non faceva altro cheaiutare l'introspezione.Inoltre,vistolostatoincuimitrovavo, dubito che ci fosseun'attivitàalmondocapacedi
distrarmi.Inparolepovere:lavitaera
diventata un incubo. Daquella festicciola in casa diElsieerapassatamenodiunasettimana, tuttavia, in queipochi giorni, mi eranosuccesse più cose incredibilidi quante me ne fosseroaccadute inventisetteanni.Eandavano di male in peggio;molto peggio. Temevo igiorniavenire.
PensavoadAnne,all'orroreche si era acceso nei suoiocchiquandosieraresacontoche io sapevo della morte disuamadre... ancheprimacheil padre telefonasse.Mi misinei suoi panni. Non eradifficile capire perché avevareagito così. La doppiasorpresa del dolore e delterrore avrebberomandato inpezziinervidichiunque.—Ehi,tu!
Trasalii e mi guardaiintorno. Harry Sentas erafermosottoilsuoportico.Miguardava. Mi accorsi chestavo avanzando sul suoprato, lasciandomi unastriscia falciata più bassa dellivellodell'erba.— Oh... oh, scusa —
balbettai,mortificatissimo.—Chissà a cosa stavopensando...Lui grugnì qualcosa, e nel
voltarmi con un sorrisonervoso per tornare sui mieipassi lo vidi, con la codadell'occhio,scendereigradinidel portico per venire aesaminareildanno.Continuai a camminare
senzaguardaredallasuapartefinché non fu rientrato incasa.Poi lasciai la falciatricee andai a cercare unasciugamano. Sedetti sugliscalinidicementodelportico,
asciugandomi la faccia eguardando la casa di Frankdall'altrapartedellastrada.Ripensai a quando avevo
colto i pensieri suoi e diElizabeth. Pensai a Elsie chenascondeva dietroun'espressione ingenua unosporco guazzabuglio disensualità. Pensai a Sentas ealla moglie, e alla tensioneche sembrava regnarecontinuamente tra quei due.
Pensai al conducentedell'autobus che abitava aqualche casa di distanza, unalcolizzato che passava lamaggiorpartedeisuoiweek-end in galera. Alla massaiadellastradaaccantochese laspassava con gli studentiquando ilmarito era assente.Pensai ad Anne e me, allecoseincredibilichecistavanosuccedendo.Tutti questi fatti
avvenivano in quel pacificovicinatodigraziosecasettealsole.PensavoatuttoquestoemivenivanoinmenteJeckylle Hyde. Il vicinato eracomposto di due universi:presentava al mondo unaspetto lindo e sorridente,mentre,aldisotto,neserbavaun altro totalmente diverso.Era disgustoso, in un certosenso, considerare il mondocontorto e perverso che
esistevadietrolavistaridentediTulleyStreet.Così disgustoso che mi
alzai e mi rimisi a tagliarel'erba, cercando di nonpensareaniente.Fu allora, credo, che
considerai la possibilità diperdere la ragione. Prima siera trattato soltanto di unabizzarra fantasia, e ne avevosorriso.Adessoeradiverso.Era un problema che
andava affrontato. La miamente era un prisma.Rompeva raggi di pensiero eli scomponeva in visioni eimpressioni. Detto cosìsembrava abbastanzasemplice.Ildifficilestavaneldeterminare da che partearrivavano quei raggi:dall'esternoodall'inferno?Notte.Seduto in cucina, bevevo
birraefissavolatovaglia.
Me la prendevo con Anneperchémiavevalasciatosolo.— Perché — ricordo che
ripetevo,quasicheleipotessesentirmi—perchénonmihailasciato venire con te? Ècolpa mia se sapevo che tuamadre eramorta?Ho chiestoiodisaperlo?Eraunaragionesufficiente per lasciarmi quasolocomeuncane?Chiusi gli occhi. Avevo
camminatopercircadueotre
chilometri pur di non restarein casa, e mi ero cacciato inun cinema locale. Dopo, eroentrato in un bar, avevobevuto un paio di birre eavevoguardatounincontrodipugilato alla televisione.Durante la strada di ritornomi ero fermato in unabottiglieria, avevo acquistatodue litri di birra e i giornalidelladomenica.Avevolettoigiornali da cima a fondo,
guardando tutto, senzaafferrare il senso di niente.Avevo scolato il primo litrodi birra, dopo di che mi erosentito troppo intontito percontinuare a leggere. Avevoacceso il televisore, emi erosorbito senza entusiasmounarivista, mandandomaledizioni agli attori. Allafinemierodecisoaspegnereil televisoreemierofermatofino all'ultimo a osservare la
luminosità grigia del videoche rimpiccioliva, le piccolescintille di luce cheammiccavano prima dispegnersi. E adesso ero dinuovo in cucina, seduto altavolo, a dare fondo alsecondolitrodibirra.Easpettavo.Sapevochenonc'eraviadi
scampo. Non potevo certodormire inmezzoalla strada.Presto o tardi avrei dovuto
rassegnarmiadandarea lettoeaddormentarmi.Appena l'avessi fatto, la
donnasarebbetornata.Ne ero matematicamente
sicuro, proprio come erosicuro che, subito dopo ilfunerale, Anne sarebbetornataacasaconRichard.— Troppo tardi —
l'ammonii da centoventichilometri di distanza. —Troppo tardi. Tu tornerai e
saràtroppotardi.Mi irrigidii. Cos'era stato?
Un rumore in salotto?Strinsiidentieascoltai finoa farmidolere i timpani.Gelatodallatesta ai piedi, fissavo latovaglia incapace di voltarmiaguardarenelladirezionedelsalottoinpenombra.— Sei là dentro? —
mormoravo.—Cisei?All'improvviso alzai la
testadiscatto.
—Allora,cisei?Non c'era. Un gemito
simile a un singhiozzodisperato uscì dal mio petto.Lo sentii. Avevo paura. Erounbambinochehaterroredelbuio, un ragazzo che teme ifantasmi.Avevobevutobirranella speranza diaddormentare la tensione, edero riuscito soltanto aindebolire le barriere dellaresistenza cosciente. Mai
ubriacarsi se si vuole evitarela tensione interna: l'hoscoperto quella sera. Il berenon fa che aprire i cancelli elasciar uscire i terroriprigionieri che la volontàcoscientetienerinchiusi.— Ti odio — ripetevo
come un ubriaco.—Ti odioperché mi hai lasciato. Chespecie di moglie sei alasciarmiquida solo?Lo saicheleièqui.Losaichevuole
qualcosadame.Tu...Boccheggiai mentre una
risata squillante risuonavanella casa accanto. Sentii lavocediElsie:—Oh,smettila,ora!Rabbrividii. Siamo tutti
mostri nel subcosciente,pensai.— E il più mostruoso dei
mostri è il mostro femmina— farfugliai. — Le donnesono mostri ipocriti,
ingannatori,sannoacquattarsimostruosamente, nascondersidietro un rivestimento difalsità, perché sono mostriingannatori.Crollai in avanti, con la
testasullebraccia.Tacqui.Mialzaitraballante
e portai la bottiglianell'acquaio. Versai la birraavanzata nel lavandino eosservai la schiuma ambrataspariregiùperloscarico.Poi
posailabottiglia.— Sono solo in questa
casa.Calai un pugno sullo
scolatoiodeipiatti.—Perchémi hai lasciato solo? —chiesi,furibondo.Mi voltai e mi avviai
pesantemente verso la portadellacucina.Qui,Anneavevasostato proprio quel mattino,fissandomi inorridita.Ricordaiquellosguardo.
—L'hovolutoio, temo—brontolai.—Temodi...Alzai la testa di scatto,
voltandomi a guardare nelsalotto.— Va bene, dove sei? —
urlai.—Maledizione,se...Trasalii quando il telefono
suonò. Inchiodato al suolo,guardavoversoilcorridoio.Poi, bruscamente, corsi
come un pazzo, schizzandoattraverso il corridoio, e
strappai il ricevitore dalgancio.—Anne?—Tom.Doveseistato?Ti
hochiamatopertuttalasera.Chiusigliocchi, sentii che
la tensione si stavaaffievolendo.—Tom?— Sono stato fuori. Io...
nonme la sentivo di stare incasa.Sonoandatoalcinema.—Tisentimale?
— Non è niente, stobenissimo. Sono...contentissimodisentirelatuavoce.—Tom. Io...nonsocome
dirtelo. Sai, sentire dellamamma, e poi, come se nonbastasse...— Capisco, capisco. Non
haibisognodispiegarti,cara.Capisco perfettamente.Dimmi solo chenonmiodii,chenon...
— Caro, che cosa dici?Naturalmente non ti odio.Sonostatascioccaa...—No,no,no.Nonfartidei
rimorsi. È tutto a posto,credimi. Va tutto benissimo.Purché io sappia che non cel'haiconme.—Oh...Tom,tesoro.— Tu stai bene? Richard
stabene?— Sì, certo, Tom. Mi
sembrisconvolto.
Risi per rassicurarla. —Sono stati i due litri di birra.Hocercatodiconsolarmi.— Oh, caro, mi dispiace.
Ti prego di perdonarmi.Nonvolevo dire quello che hodetto, lo sai che nonintendevodire...—Staitranquilla,bambina.
Nonpensarcipiù.—Feciunapausa. — A quando... aquandoifunerali?—Domanipomeriggio.
—Tuopadrecomesta?— Sta... l'ha presa
abbastanzabene.—Silenzio.—Vorrebbechetufossiqui,Tom.Èstatoorribiledapartemialasciartiaquelmodo.— Anch'io vorrei esserci.
Vuoi che ti raggiunga conl'autobus?— Oh, no. Domani sera
saròacasa.Nonvogliofarti...— Vengo volentieri, sai,
Anne.
— No, tesoro. Resta acasa...Estaicalmo.Furono quelle ultime tre
parole.Non so cosa non andasse
nel tono in cui furono dette,ma mi irrigidii subito, sulladifensiva. E mentre leicontinuava a parlare,compresi che nascondevaqualcosa. Quando cidicemmo buona notte e leiriagganciò, mi sentivo di
nuovo a terra, come primacheleichiamasse.Perché? Stavo là col
ricevitore in mano,ascoltando il debole ronziocontrol'orecchio.Nel momento in cui
riappesi,meneresiconto.Anne pensava che stessi
diventandopazzo.Mi lasciai cadere
pesantemente sul divano erimasi là, tremante. Non
potevoadattarmiall'idea,nonpotevo. Sì, anch'io avevoconsiderato la possibilità,manon ci credevo. Anne sì. Cicredeva tanto che non miaveva nemmeno confidato ilsuo timore.Aveva cercato dicalmarmi, mi aveva trattatocomeunpoveromalato.Serravoipugni.— Parla dolcemente col
matto—mormoraidisperato.— Parlagli con parole di
miele per evitare che vadasulle furie e ti salti allagola.Oh...Dio!Calai sulle ginocchia i
pugni dalle nocche diventatebianche.In quello stato di
umiliazioneedi rabbia sentiiiprimisintomi.Rimasisedutolàperpiùdi
un'ora, credo; la testaabbandonata sulla spalliera,gliocchifissialsoffitto.
Bruscamente cominciò ilticchettioalletempie.Non lottai. Con calma,
decisi di affrontare ilmomento.Nesentivoquasi ilbisogno.Allungaiperfinounamano, e con disinvolturaspensi la lampada da tavolo,poimi sistemai di nuovo nelbuio,concentrandomi.La concentrazione parve
ostacolare la cosa, allora mirilassaieaspettaiglieventi.
Non ero mai stato cosìconsapevolediesseresoltantouncanalepassivoperilflussomisterioso. Ma non opposiresistenza. Ero pieno diamarezza: contro Anne,controilmondointero,ancheperché dubitavano di me. Evabene, sevolevanopensareche stessi per perdere laragione,facesseropure.Anche la collera era un
ostacolo.Qualsiasiesplosione
cosciente della forza divolontà sembrava limitare lemie facoltà percettive. Mirilassai di nuovo. Aspettavo,indifferente. Mi resi contoche il motivo per cui c'eravoluto tempo la prima seraera che avevo oppostoresistenza, sia pure senzaresistere a niente diparticolare.Tutto si ripeté come era
successo la prima volta, ma
con un ritmo moltoaccelerato. Ci furono i lampielescintillediemozioniedipensieri. Le visioni alternateai ricordi nitidi, uncaleidoscopio di facce, diidee, di concetti... tutte stellefilanti contro il firmamentonero dell'osservazioneannebbiata.Poituttoparveraggiungere
lo zenit: non per sparire, mene resi conto, ma piuttosto
per librarsi lassù tenendomisospeso in una morsa disensibilitàacuitaalmassimo.Ecco!Lentamente,comese fosse
entrata Anne e io avessialzato la testa per guardarla,guardailafinestra.Un sogno? Nessun sogno
ha mai avuto in sé tantaassoluta realtà. Potevo quasisentire la carne liscia ecandida di lei, la stoffa
dell'abito nero con queidisegni sul petto, la sofficemassa dei capelli scomposti.Provai un brivido disoddisfazione vedendola;quasi che fosse apparsa perapprovarmi, per dare tortoagli altri. E capii che laragione per cui non l'avevovista due notti prima era cheAnne, con la sua presenza,aveva indebolito l'influssodelladonna.
Poi lo sguardo penetrantedeisuoiocchinericominciòaspegnerelamiasoddisfazionee un brivido di gelo miserpeggiò lungo la spinadorsale. Stavo immobile,Potevo perfino sentire irumori e le risa chearrivavanodallacasadiElsie.— Chi sei? — chiesi. La
mia voce era quasi unsussurro.Nessuna risposta. Una
sensazione di formicoliogelido mi attanagliava lafronte.—Cosavuoi?Nessuna risposta. La
fissavo.Laosservavodacapoa piedi imprimendomi inmente ogni particolare: ilvestito originale, le perle,l'orologio al polso sinistro,l'anellocon laperlaalmediodella sinistra, le scarpe neredicamoscio, lecalze,perfino
la pienezza della figura. Leirestava immobile mentre laguardavo.— Cosa vuoi? — chiesi
ancora.Gli occhi mi imploravano,
adesso.Vidilelabbraesanguitremare.E,tutt'auntratto,miprotesiinavanti,colcuoreintumulto.— Dimmi — ordinai,
improvvisamente ansioso,rendendomi conto che non si
sarebbe fermata a lungo. —Dimmelo,tiprego.Ma stavo parlando a una
stanzabuiaedeserta.Fissavoilpuntodoveleierastata.Piùniente.Nonc'erapiùniente.Tranneunacosa.Un debole, disperato
singhiozzonell'oscurità.Svanitoinunattimo.Avevo intenzione di
chiedere alla signora Sentas
cheaspettoavessesuasorella,ma ci ripensai in tempo.Sarebbe sembrata unadomanda alquanto strana daparte mia. Cosa le avreirisposto semi avesse chiestoperchévolevo saperlo?Ecco,vedete, continuo a vedere unfantasma nel mio salotto, ecosì...Ormai, per essere franco,
non pensavo più alla donnacome a un fantasma, la mia
mente si rifiutava conraccapriccio di affacciarsi dinuovo su quel baratro.Ricordando l'emozione chemi aveva assalito quandoavevo creduto di averetrovatolaprovadiquellochegli uomini definisconol'aldilà, respingevocon forzaquella convinzione. Per lomeno, mi mantenevo moltoscettico. Non dubitavo più,naturalmente, dell'esistenza
della donna. Per il momentoera già un'ammissionepenosa, considerandone leimplicazioni.Ilmattinodopomisvegliai
verso le nove; era domenica,erimasialettocontemplandotranquillamente le chiazze disole sul soffitto. Per alcuniistanti fui assalito di nuovodall'incredulità, mal'impressione svanìimmediatamente.Nonpotevo
piùdubitare,ormai.Anchesemancavailsolitomalditestae il crampo allo stomaco,dovevocredere.Dopo la prima colazione,
scartatal'ideadiinterrogarelasignora Sentas, attraversai lastrada e andai a far visita aFrankeaElizabeth.Quando arrivai sotto il
portico posteriore, Elizabethera seduta a bere il caffè altavolo da cucina. Bussai
delicatamente, e lei si voltò.Unpallidosorrisoleabbellìilineamenti.—Avanti,Tom.Entrai.—Buongiorno—dissi.—Buongiorno.— Quel vagabondo è
ancoraaletto?Lei annuì. — Come sta
Anne?Nonl'hovistaieri.Le dissi della madre di
Anne.
— Oh, no! — disseElizabeth, rattristata. — Checosa terribile, povera Anne.— Sentii che volevachiedermi perché non eroandato anch'io a SantaBarbara,ma che le sembravauna domanda troppoindiscreta.— Così sei solo— disse.
— Frank ha detto di avertichiamatoieri,machetu...—nonfinìlafrase.
— Non ho sentito.Probabilmente stavopensandoaqualcosa.—Èquellocheglihodetto
anch'io — disse. Sorrise. —Vuoiuncaffè?— Sì. Grazie — Bere un
caffè con lei mi avrebbeofferto l'occasione di farlequalche domanda su HelenDriscoll.Lo feci appena mi ebbe
riempito la tazza e si fu
seduta di nuovo. — Cheaspetto aveva? — ripetéElizabeth. Rifletté. Perchévuoi saperlo? Seppi che lostava pensando. Mi trattenniappena in tempo dal fornirlelarisposta.—Cosa stavi per dire?—
chieselei.—Niente.—Mieraparso...—Ilsuo
sguardo resse il mio per unattimo e io pensai quanto
sarebbestatagraziosasesullafaccia avesse avuto un toccodicolore,unpo'divita...— Veramente io non l'ho
maiconosciutabene—disse.—Cisiamotrasferitiquisolosei mesi prima della suapartenza, e non abbiamomaiavuto niente a che fare conlei. Stava molto sulle sue...molto,proprio.—Capisco.—Quantoal suoaspetto...
— Elizabeth si morse illabbro inferiore con ariaassorta — ecco... era alta...Capellineri,occhineri.Involontariamente mi
protesiinavanti,fissandola.— Aveva una specie di...
abito nero, anche?— chiesi,cercando, conpoco successo,credo, di darmi un tonoindifferente.Elizabethmiguardavae la
suamenteeraunmiscugliodi
sospettoedicuriosità.—Unabitonero?— Sì. Nero ma con... con
unaspeciedidisegnochiaro?— Aveva un vestito
acquistato a Tijuana. Ne hovisto uno uguale con Frank,unavoltachecisiamoandatiinmacchina.—Erascuro?—Sì,Fondonero.Eaveva
dei piccoli disegni. Unaspecie di ornamenti aztechi,
credo.—Eloportavaconunfilo
diperle?Parve ritrarsi un poco.
Dovevo farle l'effetto di unmaniaco. Riuscii appena asentirlaquandorispose:—Sì,infatti.Mi appoggiai all'indietro,
le mani che mi tremavanosulleginocchia.— Immagino che ti starai
chiedendo perché te l'ho
chiesto— dissi, cercando dimantenerecalmalavoce.— Be', io... — sembrava
unpo'spaventata.—Ho trovato una piccola
fotografia in un cassetto, acasa — dissi — e mi sonosempre chiesto se fosse lafotodell'inquilinaprecedente.— Oh! — Probabilmente
l'avevo convinta. Comunque,l'atteggiamento sospettosoparvesvanire.
Finii il caffè, sforzandomidi chiacchierare sul vicinatoin termini generali. Poi,quandomialzai,Elizabethmichiesenotiziedelsuopettine.—Oh...buonDio—dissi
—Cel'abbiamoancoranoi?Sorrise. — Non ha
importanza.— Vado subito a
prendertelo.—Oh,no,posso...— No, vado
immediatamente. Haiaspettato anche troppo. —Aprii la porta. — Faccio unsaltoeteloporto.—Vabene,comevuoi.Appena la porta si chiuse
alle mie spalle, tutta la miaeccitazione sfumò. Strinsi ipugni, e sentii che il respiroaccelerava. Era HelenDriscoll! Questo forse nonprovavaunavitaultraterrena,tuttavia provava qualcosa di
altrettanto eccitante: e cioècheHelenDriscolldesideravatornare in quella casa, e dauna distanza di quattromilachilometri stava trasmettendoqueldesideriocontantaforzache io potevo realmentevederlanelsoggiorno.Desiderai che Anne fosse
già di ritorno per poterglielodire; almeno avrebbe capitodi che cosa si trattava eavrebbe smesso di
preoccuparsi per il mio statomentale. Non ero piùindignatocontroAnne;ilsuoatteggiamento era naturale,datelecircostanze.Maquellecircostanze eranomolto al dilà di quello che leiimmaginava. Per un attimoebbi il presentimento che miavrebbe creduto. Poi miconvinsi che doveva. AvevoElizabeth come testimone, ionon avevo mai visto Helen
Driscollinvitamia.Tuttavia mi ero informato
sul vestito e mi ero sentitodareragione.Stavo pensando a queste
cosequandoentrai incucina.Il pettine era sul davanzaledella finestra, vicinoall'acquaio.Mi avvicinai e lopresi.Mi lasciai sfuggire un
grido breve e soffocato; ilgrido di un uomo che ha
toccato qualcosa di vivoquandomenosel'aspettava.Perché, quando la mia
manosierachiusasulpettine,avevo immediatamentesentito una scossa nelle dita,proprio come se avessitoccato un filo scoperto.Avevo ritirato il braccio discatto e il pettine era cadutonellavandino.Rimasi a guardarlo,
inebetito, mentre un brivido
mipercorrevalaschiena.Nonso quale fosse l'espressionedella mia faccia, ma dovevaesseredisorpresaangosciosa.Sorpresa per come misentivo, angoscia per untimore che era stato tropporapidoperessereidentificato,e tuttavia troppo forte perpassareinosservato.Allungai la mano con
riluttanza, poi ritirai le ditacome se il pettine fosse
qualcosa di pericoloso. Loguardavo trattenendo ilrespiro: tutti i pensieririguardanti Helen Driscollerano svaniti. Un nuovoelementoeraentratonellamiamente, spazzando via tutto ilresto.Rimasi così circa due
minuti, con gli occhi fissi, lamenteinlottaneltentativoditrovare un filo logiconell'accaduto. Impossibile.
Immaginate di uscire di casaunamattinadiretto al lavoro,digirarel'angoloeditrovarvidi fronte un drago a setteteste. Immaginate il vostrotentativo di pensarerazionalmente, di accettare ilfatto, o almeno di capirequale sia la natura di quelloche state contemplando, iltuttomentre vi rendete contoche siete proprio voi, in unamattinacomelealtre.
Non esistono nella mentecanali di adattamentoall'improvvisaapparizionedelbizzarro: per questo tenevogli occhi fissi e restavoimmobile;perquestoallungailamanoalmenounadecinadivolte per toccare il pettine,ma non ne feci niente. Perquesto la mia mentesembrava di legno,paralizzata.Finalmente, presi un
coltello dal cassetto dellacredenza e tornai allavandino. Toccai il pettineconlalama.Niente.Provaidinuovo. Niente. Guardai ilpettine perplesso, senzacapire.Provaiaposareilcoltelloe
ripresiinmanoilpettine.Stavolta non fu così
violento,masiripeté.Mentrestringevo l'oggetto,spaventatoesenzasapereche
cosa fare, la stanza parveoscurarsi e mi sentiiavvolgere da una presenzagelida.Morte! Riconobbi quel
concetto,erainconfondibile.Lasciai il pettine e
cominciai a tremare.L'oggetto, caduto a terra sullineoleum, sembravaassolutamenteinnocuo.Nonriuscivoadominareil
tremito. Ancora un volta ero
terribilmente consapevoledell'incertezza,dell'incontrollabilitàdellamiapercezione. Mi sorprendevasempre quando meno mel'aspettavo. Mi ricordaval'esperimento che glipsicanalisti usano per farimpazzire i cani. Quando ilcane meno se lo aspetta, disolitoquandostaperchinarsisulla scodella per mangiare,gli fanno sentire un fischio
lacerante e la nota alta evibrante innervosisce il cane.Dopo che l'atto è statoripetuto una ventina di volte,il cane è diventatocompletamente matto ed èdegenerato in una carcassatremante e bavosa incapacedelminimoragionamento.Anch'io mi sentivo
qualcosa del genere: con ladifferenza tragica che iovedevo perfettamente lo
svolgersi del procedimento.Salvoche,ognitanto,quandomenome l'aspettavo, quandoi miei nervi eranocompletamente distesi, misarebbecapitatounodiquestiincidenti e ne avrei riportatouna scossa tremenda. Se lacosa si fosse protratta troppoa lungo anch'io mi sareiridottoaunapietosacreaturatuttascattieconvulsioni.Dopounpo'misi ilpettine
in una busta e lo portai aElizabeth.Solo quando arrivai in
cucinaeglieloporsi,l'orribileconnessionesifecestradanelmiocervello.Quando la parolamorte si
era stampatainequivocabilmente dentro dime, io stringevo in mano ilpettinediElizabeth.Lagiornatafuun'agonia.
Lamiaesultanzaperaverescoperto chi fosse la donnaera stata di breve durata.Passai lamaggior parte dellagiornata seduto in salotto,aspettando che succedessequalcos'altro. Non sono lesorpresechepossonomettereaterraunuomo,quantoilnonsapere quando questesorpresearriveranno.Verso il tardo pomeriggio
avevo i nervi a pezzi. Un
gridodibambinonellastradami faceva trasalire. Il suonodiunclacsond'automobilemifaceva sussultare e gemere.Lo scricchiolio dellevenezianemossedalventomifaceva voltare la testa contantarapiditàcheilmiocollosembrava un puntaspilli. Equandoversolecinquesuonòil telefono, la tazza di caffèmi schizzò di mano quasifosseanimatadivitapropria,
e rotolò sul tappeto versandoilliquidoscuro.Mialzai,tremando,eandai
a rispondere. Era Anne. Midisse che il funerale erafinito, che sarebbe tornata acasa con suo padre persalutare alcuni parenti. Sisarebbe messa in viaggioversoleotto.—Staibene?—michiese.—Sì,benissimo.Riappesi. Rinunciai al
caffè emi attaccai alla birra,sperando di allentare latensione dei nervi chesembravano fasci di gomma.Anne ha ragione, pensavo,mentre raccoglievo i coccidella tazza e asciugavo ilcaffè. Ragione da vendere:dovrei consultare AlanPorter. Ci andrò, anche,moltoprobabilmente.Magarila settimana ventura. Ma,pensai dopo, a cosa
servirebbe? Sapevo ormai dinon essere pazzo, maindirettamente ricettivo.Cosapoteva fare Alan permigliorare le cose? Ero unapparecchio senza fili, apertoa tutte le direzioni, privo dioperatore. Nessuna manoesperta regolava i pulsanti,nessun occhio vigile vedevaarrivare i messaggi e miavvertivaintempo.Confesso che fui lì lì per
fare il numero di casa diAlan. No, pensai, già con ilricevitore in mano, Alan sioccupa di aberrazionimentali. Il mio caso nonrientranelsuocampo.Non so se dipendesse dal
tempo o da me, ma sta difatto che la giornata, caldafino a poco tempo prima, sicambiò in una serata fredda.Verso il tramonto andai ainfilarmi un maglione, ma
servì poco. Allora pensai diaccendereilcaminetto.Presi alcuni ceppi da uno
stipo incucinae limisi sullagrata, poi radunai un po' ditrucioliperpreparareilfuoco.Erano circa le otto, credo,quando l'accesi. Fuori, stavagià calando l'oscurità e lenuvole incendiate dal solecominciavanoastriareilcielodiporpora.Sedettisuldivano,fissando
lefiammebasseepensandoaElizabeth.Cercavo di dirmi che era
stata tutta una fantasia, maquella difesa non funzionavapiù. Sapevo che la fantasianonc'entrava.Troppecose sierano rivelate vere perchépotessi nutrire dei dubbi.Avevo paura di questo miopotere rozzo e informe, manon potevo negarnel'esistenza.
Ma Elizabeth... poveraElizabeth, così buona. Comepotevo starmene lì seduto,pensando a quello chepensavo? Conobbi allora lamaledizionediessereprofeta,l'agonia della preveggenza.Come, pensavo, uno comeNostradamus aveva potutosopportare lo strazio diprevedere, passo per passo, isecolifuturi?Ma perché, poi dovrebbe
morire?michiesi.La risposta fu quasi
simultanea alla domanda.Diparto. Elizabeth era magra,strettadibacino.Enonavevamai avuto figli.A quantomirisultava, c'era una storia dimaternità disgraziata nellasuafamiglia.Mi mordevo le labbra,
profondamente infelice.ComeavevadettoAnne?Leivuole soltanto un bambino.
Era terribilmente vero. Eraquestocheledavalaforzaditirare avanti, ne ero sicuro.Era questo che lametteva ingrado di sopportare lemaniedi Frank, i suoi sgarbicontinui,lasuaindifferenza.E sarebbe morta, senza
avereconosciutosuofiglio.Seduto nella stanza
silenziosa, fissavo il fuocoattraversounvelodi lacrime:piangevo per Elizabeth e per
me,perchéentrambiavevamobisogno di aiuto e nessunopotevadarcene.Poi, mentre sedevo
immobile,ilfuococominciòaspegnersi e la stanza a farsibuia.Mialzaiperrimuovereiceppi.Mi inginocchiaivicinoal caminetto e trafficai coltiraggio.Poiallungailamanoversol'attizzatoio.Ancora!Stavolta mandai un grido
d'angoscia. L'attizzatoio misfuggì di mano e cadde conviolenzasultappeto.— No!— ricordo di aver
singhiozzato.—No, no, no!— Ero completamentesconvolto dal furore edall'orrore. Avrei volutorinchiudermi in un guscio eliberarmi dal mondo che sieratrasformatoinunaforestadi trappole. Da qualunqueparte mi voltassi c'era una
minaccia, tutto quello chetoccavo poteva esserespaventosamenteanimato.Passò molto tempo prima
che potessi rialzarmi. Stavoraggomitolato sul pavimento,latestaquasitraleginocchia,il corposcossodaun tremitoirrefrenabile, lo stomacosconvoltodallanausea.Allafine,dopoore,almeno
cosìmi sembrò,mi rimisi inpiedi tremante, e crollai sul
divano. Accesi una lampada,un'altra lampada. Il fuoco sieraspento.Lofissaiunpoco,poiimieiocchisispostarono,quasi per attrazione,sull'attizzatoio. Era di ferro,dipinto di nero. Unamacchina, o un fabbro,l'aveva forgiato conun'estremità ripiegata adangolo retto. L'attizzatoioterminava con un manicoritorto.Tuttoqui.Unoggetto
semplice, funzionale, che sipresentava comeassolutamente innocuo.Eppure, per me, quell'arnesepossedeva tutti i requisiti diun incubo: mi sarebbe statopiùfacilevolarechetrovareilcoraggioditoccarlodinuovo.EroincucinaquandoAnne
tornò.Erorimastolàperdueore,
incapace di tornare in salottosebbeneavessiaccesotuttele
luci. Avevo bevuto birra efissato la stessa pagina delgiornale senza afferrarne ilminimosignificato.Quando lei entrò, trasalii
involontariamente. Dovevoavereun'espressione atterrita.Purtroppo lei la vide primache potessi sostituirla conun'altradibenvenuto.Sentìanche,nesonocerto,
il mio tremito mentrel'abbracciavoelabaciavo.
—Ciaotesoro—midisse,gentilmente.—Sonotantocontentoche
tusiatornata—dissi.Mieratornata la voce, ma midenunciò subito, tanto erastenta.Cercaidisorridere.—Dov'èRichard?—Addormentatosulsedile
posteriore. Non ho volutoprenderlo in braccio. Il miostato,sai.
— Si capisce. — Sorrisinervosamente.—Oravadoaprenderlo.—Bravo.Ero quasi contento di
sottrarmi al suo sguardo.Uscii e aprii la portieraposterioredellaFord.Richardera caldo e aveva le guancerosse:solo la facciaspuntavadi sotto la coperta. Per unmomento rimasi immobile acontemplarlo, sentendomi
invadere dalla tenerezza. Michinaielobaciaisullafronte.Luisospirò,elapiccolamanosimossenelsonno.— Oh, Dio, ti adoro
bambino—gli sussurrai.Misentivo come un condannatoche guarda il figlio perl'ultimavolta.Mentre rientravo in casa,
con Richard tra le braccia,vidiAnne in piedi davanti alcaminetto,con l'attizzatoio in
mano.Miguardò.Mifeceunsorrisoforzato.— Cos'è successo? —
chiese, cercando di assumereuntonodisinvolto.Esitai. — Avevo... acceso
il fuoco. Ho lasciato caderel'attizzatoio e ho dimenticatodi raccoglierlo. Ah, e quellamacchiaèunpo'dicaffèchemisièversato.Rimisel'attizzatoioaposto
mentre io lasciavo la stanza.
Sentivonellasuavoceenellasua mente una diffidenzacaricadinervosismo.Quando ritornai era seduta
suldivano.Misorriseebattécon la mano sul cuscinoaccantoasé.—Qui,vicinoallamamma
—invitò.Sedetti accanto a lei.
Nonostante sentissi che c'eraun muro tra noi, era sempreun conforto averla di nuovo
con me, ritrovare il suoamore, il suo calore, la suaconfortevolenormalità.— Dimmi del... —
cominciai,sperandodievitarediscussionisulcontomio.— La solita cosa —
m'interruppe. Mi accorsi aquesto punto che avevapiantomolto.Avevagliocchigonfi. Le passai un braccioattorno alle spalle e lei siappoggiò contro di me. Per
un po' le nostre parti siinvertirono:eroiocheledavoconforto.— È stato terribile? —
chiesi.Singhiozzò. — Molto.
Specialmentedopo.Tuttiqueiparenti riuniti. Certe personesonocosì...cosìeccitatedopoifunerali.—Loso—dissi.—Loso,
èlareazione.Restammo unmomento in
silenzio.— Papà come sta? —
chiesi.— Non c'è male. Andrà...
per un mese a stare con zioJohn.Credocheloziovogliaportarseloinbarca,apescare.Dinuovosilenzio.Nonfeci
niente per interromperlo.Sapevo che, presto o tardi,avreidovutodiscutereconlei.— Tom — mi disse, alla
fine.
—Sì?Sentii quello che provava:
timore, paura di irritarmi, diferirmi con parole pocoadatte. Mi resi conto chedovevovenirleinaiuto.— Sei preoccupata perché
temi che io diventi pazzo,vero?Lasentiitrasalire.— Questo... è un modo
alquanto crudo di esporre lecose.
— Perché esporle intermini delicati? — dissi esubito strinsi le labbra. Eroirritato conme stesso perchémi rendevo conto di averleparlatointonotroppofreddo.—Tom,io...— Va bene. L'altra sera
avevocapito,sai,chepensaviquesto. Ti confesso che erotutt'altrochecontento.Maoranon sono più arrabbiato.Penso che... fosse inevitabile
chetulopensassi.Per un attimo pensai di
servirmi di Helen Driscollcomeprovainmiofavore,mapoi decisi di lasciar perdere:era una prova troppo fragile.Segliel'avessioffertaora,nonavrei fatto che peggiorare lecose.— Cosa vuoi che faccia?
—chiesi.—Primachetumelo dica, però, voglio fartisapere che non ho ilminimo
dubbio sulle mie condizionimentali. Lo so che, come sisuppone, questo è uno deisegni più sicuri di squilibrio,ma...ècosì.Perquantonesoio,sonosanoquantote.Ho...unacapacitàchesièmessainmoto in un modo che noncapisco.Tuttoqui.Io...Tacqui, accorgendomi che
se avessi continuatomi sareimesso a citare esempi: nelqual caso mi sarei lasciato
scappare di bocca quello cheera capitato quel giorno e ilgiorno precedente. E nonvolevo;nonora,mentreAnnelapensavacosì.— Bene, non mi resta
moltodaaggiungere—disselei.Capivo benissimo quantosisentisseinfeliceesmarrita.— Nemmeno io so cosa
potreiaggiungere—replicai.Esitò.— Tom...—Respirava in
fretta.— Tom, quando sonoentrata questa sera, mi haiguardatocomese...— Lo so, lo so — la
interruppi. — Sarò statonervoso, nient'altro. Forselavorotroppo.—No,èqualcosadipiù.I
sogni, quello che è successol'altraseraconlababy-sitter...l'attizzatoio stasera. Non soperché l'hai lasciato a terra...mascommettochenonèstato
perdistrazione.— Ma sì, invece —
protestai.Comebugiardononvalgoniente,però.Esitòancora.—Vuoi fare una cosa per
me?—Cosa?—Promettimichelafarai.—Cara,devoprimasapere
cos'è...— Certo, certo — mi
interruppe. — Vuoi scrivere
aituoie...chiederesecisonostati altri... casi simili al tuoin famiglia? — e subitoaggiunse, precipitosamente:—Nonprendertela, tiprego!Aspettounbambino,edègiàunacosaabbastanza faticosa.Non posso... sopportare tuttoinsieme. Devi almenosforzartidiaiutarmi.— D'accordo — dissi —
hairagione.— Una volta mi hai detto
che tuo padre sapeva fare...come dire, ma sì... deitrucchettidasalotto.Laguardaisorpreso.—Noneranonientedipiù
—dissi.—Soltantogiochettidasalotto.La mia risposta, però, fu
puramente automatica.All'improvviso stavopensando che forse unrapporto c'era, un rapportobendefinito.
Mio padre usciva dallastanzaedicevaaunodinoidiscegliereacasounnomeeunnumero nella guida deltelefono: un nome qualsiasi,in un punto qualsiasi delvolume.Noisceglievamoeciscrivevamo il nome. Papàtornava, apriva la guida etrovavailnomecheavevamoscelto. A noi sembravadivertente, e non capivamocome facesse. Però, dato che
papà non dava nessunaimportanza alla cosa,eravamo sempre rimasticonvintichefossesoltantoungiochettodasalotto.Adesso mi erano sorti dei
dubbi. E il termineereditarietà dominava i mieipensieri.— Vuoi scrivergli? —
chiese Anne, interrompendolemieriflessioni.—Oh. Sì, certo. Scriverò.
Forse avevo un nonnomedium o qualcosa delgenere,eh?— Tom, non scherzare su
questastoria.Le accarezzai una spalla.
—Vabene.Piùtardi,mentremilavavo
identi, sentii cheAnnestavatrafficando con i piatti incucina.Quando venne in camera
da letto, mi chiese: — Hai
riportato il pettine aElizabeth?Milasciaicaderesullettoe
mi chinai a slacciarmi lescarpeperchénonmivedesseinfaccia.— Sì — dissi —
stamattina.—Ah, benissimo—disse
lei.
9Anne mi disse di andare ariprendere certe teglie cheElsie si era fatta prestare.Acconsentii e attraversai ilsalotto passando sopral'attizzatoio che giaceva aterra, poi uscii di casa.Elizabeth era stesa sull'erba,dall'altra parte della strada.C'era il medico chino su dilei. Ero terribilmenterattristato da quel fatto ma
non poteva fermarmi perchéAnneavevaurgenzadiquelleteglie.Svoltai nel vialetto di
separazioneperraggiungereilportico posteriore della casadi Elsie. Sulla porta c'eraun'insegnachedicevaCasadiElsie. Bussai e lei venne adaprirmi. Indossava unavestagliaumida,gialla,cheleaderivaalcorpo.Entra,disse.Lechiesisepotevoriaverele
teglie. Disse di sì e si chinòper prendere le teglie dallacredenza, in basso. Lavestaglia si aprì mettendo anudo la gamba destra, leimiguardò sorridendo. Tommy!disse. Indietreggiai. Lei sialzò con le teglie e siavvicinò. Me le porse, e leteglie mi diedero una scossaelettrica. Non potevo piùmuovermi,eleimipassavaledita tra i capelli. Tommy,
diceva, Tommy. La vestagliasi aprì. Sotto non avevaniente. Tommy, implorava,Tommy.Mi strappai a lei e tirai a
me la porta. Non si apriva.Lei mi tratteneva per unbraccio. Resta con me,Tommy, diceva. Si strinsecontro di me e cominciò abaciarmi.Apriidiviolenzalaporta e cercai di liberarmi.Anneerafermasottoilnostro
portico posteriore e ciguardava. Elsie rise. Adessosmettila,Tommy,disse.Anne,gridai,per amor diDio, nonvedi che è lei, non sono io?Anne indietreggiò, siprecipitò in casa passandodalla porta della cucina.Anne! urlai. Vai lontano dame!gridòlei.Mi voltai e diedi uno
schiaffo a Elsie, con forza.Con un grido strozzato, lei
cadde all'indietro sulpavimento della cucina,agitando braccia e gambe.Tiucciderò! gridava. Girai suitacchi e infilai di corsa ilvialetto. Svoltai a sinistra,nella strada, e mi misi acorrere verso lo stradone.IncontraiDorothy,e lechiesidove credeva di andare. Afare la bambinaia da Elsie,mi disse scontrosamente.Badadistareallalargadalla
nostra casa, le dissi. Va'all'inferno,risposelei.Continuai a correre.
Dall'altro lato della stradaFranksichinavadentrolasuamacchinaeaiutavaascendereuna ragazza dai capelli rossi.Ho invitato il principale acena,midisseconsogghigno.Animale! gli gridai. Lui simise a ridere in manieradisgustosa.Presesottobracciola rossa e passarono insieme
accanto a Elizabeth che sicontorceva sul prato, urlandodidolore.Adesso correvo a
perdifiato.Lecase fuggivanovia dalle due parti. Invecedello stradone mi trovaidavantiibinaridellaferrovia.Strano, pensai, non mi eromaiaccortochequicifosserodei binari. Cominciai acorrere lungo le rotaie,respirando a fatica. In fondo,
davantiame,vedevodeifarisplendere nella notte. Chissàche cosa sono quei fari,pensavo, e correvo semprepiù svelto. Mi accorsi cheavevopersoleteglie.Annesisarebbe arrabbiata. Poi miricordai di Elsie, e capii cheAnne nonmi avrebbe rivoltomaipiùlaparola.Correvo e correvo. Chissà
cos'è stato, mi dicevo. Certosembra che ci sia una gran
confusione.Luci, uomini chelavorano e corrono attorno,sirenecheululano.All'improvviso mi fermai
lungo la rotaia, stordito eterrorizzato. Guardavo unascena spaventosa. Ne ero inmezzo.C'eraun treno ridottoa un ammasso di rottami.Vidi la locomotivarovesciatasu un lato, con le ruote chegiravano lentamente, ilvapore che usciva dal
fumaiolo come il respiro diuna bestia morente che sicongeli nella notte diaccia.Non riuscivo a muovermi.Guardavo e non potevomuovermi. C'erano portatoridi barelle che correvanoavanti e indietro tra leambulanze e i corpi stesi alsuolo.Vidi una testa che erarotolata su un mucchio dighiaia. Solo una testa. Nonriuscivo più a staccarne gli
occhi.Largoperfavore,disseuna
voce. Mi voltai. Un agentestava accompagnando deimedici.Mio Dio, che cosa èsuccesso? gli chiesi. Il trenohaderagliato,mirispose.Guardai di nuovo il
disastro.Oracapivocomeerasuccesso. La locomotivaaveva incontrato qualcosasulla rotaia ed era schizzatafuori dai binari, aveva
percorso venti metri sulterrenoprimadicapovolgersisul fianco destro facendovolare in alto i vagoniattaccati e poi rovesciandoli,stridendo e rimbalzando sulterreno cosparso di ghiaia,fino a che il suo stesso pesol'aveva fermata, e le vetture,più leggere, che ancora simuovevano per inerzia, sierano infilate l'una dentrol'altrainunmucchiotragicoe
mostruoso.Oh, no, implorai.Oh Dio,
no!Sedetti in mezzo al letto.
L'oscurità mi opprimeva,agghiacciandomi.SentiiAnneaccanto a me, che respiravafortenelsonno.Nonsoperchélofeci,forse
perché il sogno riempivaancora la mia mente conchiarezza terrificante. Mi
alzai e andai barcollando incucina.Accesi la luce e apriiun cassetto della credenza.Presi il libro della spesa diAnneeunamatita,eliportaisultavolo.Misedettiescrissiogni particolare del sognocome lo ricordavo. Mi civolle una pagina e mezzo difrasi brevi e monche, tipo:Treno deragliato. Slittatosulla ghiaia. Capovolto sulfianco. Gente caduta dai
finestrini.Rimastaschiacciatasotto.Impiegai almeno cinque
minuti per annotare tutto.Quando ebbi finito rimasiseduto esausto, guardandoquello che avevo scritto. Poiposai la matita e mi alzai,tornai in camera da lettosenza nemmeno chiedermicomemai non vedevoHelenDriscoll. Mi infilai nel lettoaccanto adAnne e chiusi gli
occhi.Perunattimomichiesiperché avevo fatto quelsogno, e perchémi ero presala briga di trascriverlo. Miaddormentai senza avertrovatolarisposta.Ilmattinoseguente,allesei
emezza,suonòlasveglia.Apriigliocchietrasalii.La
testami ronzava, lo stomacoera sconvolto da crampi.Mandaiungemito.Annefermòlasuoneriaesi
voltòaguardarmi.—Cosasuccede?— Non mi sento bene —
dissi.Ildoloremitorturavalatesta a ondate. Dovevoconficcarmi le dita nellebracciaperresistere,erestareimmobile. Perfino quandoAnnespostavailsuopesosulmaterasso, ogni scossa miconficcava nel cervello aghilancinanti.—Cometisenti?
—Maldistomaco.Malditesta.— La solita cosa— disse
lei, guardandomi con ariapreoccupata.Non risposi. Tenevo gli
occhichiusi.Erosfinito.— Vuoi che... chiami il
dottore?— No. No. Ora passa.
Solo, telefona allostabilimento e di' che non cela faccio a... — m'interruppi
senzafiato,mentreuncrampomi attanagliava lo stomaco.Mivoltaisuunfianco.— Caro, ti senti tanto
male?Ilcramposiallentò.—No,
sta' tranquilla — mormorai.—Io...resteròunpo'aletto.— Vado a telefonare in
ufficio.Mirimisisupinomentrelei
andava in corridoio atelefonare. Mi sentivo
sofferente e debilitato, comese un vampiro invisibile mifosse rimasto attaccato allagola per tutta la notte,svuotandomi di sangue e divita.— Non... credo che tu
voglia far colazione— disseAnne. Era riapparsa sullasoglia.—No.Grazie.Venne a sedersi accanto a
me. Cominciò ad
accarezzarmi i capelli, maperfino la lieve pressionedelle sue dita facevaaumentare il dolore.Ritirò lamano.—Scusami—disse.—Niente,cara.Respirò. — Vuoi che... ti
diaun'aspirina?— Proviamo — dissi.
Sapevo, però, che era ilriposo quello che mi civoleva.
—Tom,hai...—cominciòAnne, poi esitò e tacque.Capiichestavapensandochementre lei dormiva avessivisto la donna. Attribuiva aquesto la causa del miomalessere.—No—dissi.—Nonl'ho
vista. — Non mi preoccupainemmenodiaspettareche leifinisse la frase. A che scoponascondere,ormai...—Capisco.
Rimase seduta ancora unmomento, come se volessechiedermi qualcosa. Poi sialzò e andò a prenderel'aspirina. Quindi mi lasciòsolo,chiudendosidolcementelaportaallespalle.Giacqui immobile
cercando di dormire, masenzariuscirci:ascoltavoleieRichardmuoversinellastanzaaccanto.Unavoltalaportasiaprì, e Richard fece per
entrare con un allegro: —Ciao, papà! — ma Anne lotirò indietro, dicendogli: —No, no, caro. Papà non sisentebene.— Sente bene? — stava
chiedendo Richard mentre laportasirichiudeva.Sorrisitrame,adispettodeldolore.Cercai di dormire ma non
ci riuscii. Continuavo aripetermi che bisognava farequalcosa. Anne aveva
ragione. Dovevo farequalcosa.Dovevaesserciunasoluzione.ForseilmioamicoAlan Porter poteva aiutarmi.Non vedevo come, ma nonpotevo continuare cosìall'infinito. I vantaggi moltodubbi di quella storiacominciavano a esseresuperatidaidanni.Annemi aveva lasciato da
circa dieci minuti quandoricomparve.
Erabiancacomeunpannolavato.Si fermòaccanto al letto a
guardarmi fisso. Lo stessosguardochemiaveva rivoltoilmattinoincui lamadreeramorta.Stavo per chiederle cosa
fossesuccesso,mamifermai.Non occorrevano parole: lanecessità di una spiegazioneera svanita d'incanto. Nonavevo che da guardare
l'espressione della suafaccia... e il quadernoche leitenevainmano.— Tu... l'hai sentito alla
radio—dissi.Nonriuscivaaparlare.—Vero?—Mialzaisuun
gomito e sussultai per ildolore.—Anne, l'hai sentitoallaradio?Annuìlentamente.—MioDio!—Riaffondai
nelguancialeealzaigliocchi
per guardarla, mentre il miopetto si alzava e siriabbassava rapidamente. —Quandoèsuccesso?—Stanotte.— Stanotte. L'ho... l'ho
sognato.Poimisonoalzatoeho trascritto tutto il sogno.Nonsoperché,io...Cadde a sedere sul letto,
attonita. Guardava ilquaderno, poi me. Le suelabbra si muovevano senza
emettere suoni. Sembravaincapace di trovare le paroleadatte.— Forse adesso mi
crederai — ricordo di averdetto.Trasse un respiro, si
scosse.—Nonloso—mormorò.
Guardavaancorailquaderno.— Questo — ripeteva. —Questo...Restammo un po' così, in
silenzio. Anne guardava ilquaderno, io guardavo lei.Nonc'eranientedadire.Quelpocochesipotevacapireeratuttolà,nerosubianco.Pocodopoleisialzòeuscì
dalla stanza. La sentii uscireanche di casa. Qualchemomentodopoeradiritorno.Vennedinuovoincameradaletto. Era andata alla casaaccanto per farsi prestare ilMirror-NewsdaElsie.
La mezz'ora seguente fuspesa a confrontare tuttoquello che avevo scritto iocon quello che riportava ilgiornale.Treno deragliato, avevo
scritto."Secondoilfuochista,Maxwell Taylor" diceva ilgiornale,"un'ostruzionelungola rotaia ha provocato ilderagliamento dellalocomotivadaibinari."Fari,Ambulanze,Portatori
dibarelle, avevo annotato. Ilgiornale riportava: "La scenaera un incubo illuminato dafari; i portatori di barellecorrevanoavantieindietrotraleautoambulanzeelevittimesparpagliate su un'area dialmenocentometriquadrati."Testa per terra, avevo
scritto.IlcronistaPaulCoatesriferiva: "Vidi una testa chegiaceva al suolo. Solo unatesta.Uninservienteportòun
lenzuoloelacoprì."Mi abbandonai sui
guanciali e guardaiAnne.Lemie mani si agitavanodebolmentesottolelenzuola.Leiscosselatesta.— Non... non capisco —
disse.—Nonsopropriocosadire. — Fissava la primapagina del giornale. Il titoloeraimpressionante:47 MORTI IN UNA
SCIAGURAFERROVIARIAPensava a quello che
potevoavervistoinsogno.— Non so— ripeteva—
noncapiscopiùniente.Dormiiquasituttoilgiorno
di un sonno pesante, danarcotizzato. Il mio corporiproducevaleenergiecheglieranostatesottratte.Mi svegliai verso le tre e
mivestii.Anneeraincucina,
intenta a sgusciare piselli.Mentre attraversavo il salottovidi Richard e Candy chegiocavano in giardino.Avevano trovato un gatto estrillavano di gioia nelvederlogiocareconlapropriacoda.Anne alzò la testa. Mi
sedettidifrontealei.— Stai meglio? — mi
chiese.—Sì.
—Menomale.Haifame?— Non molto. Vorrei un
po'dicaffè,però.Me lo preparò. Mentre
bevevo, riprese a sgusciare ipiselli.— L'hai detto... a
qualcuno?—chiesi.— A chi dovevo dirlo? A
Elsie?AElizabeth?—Nonsaprei.— Non ho intenzione di
dirloanessuno.
— No — dissi —naturalmenteno.Lei posò il coltello. —
Tom — cominciò confermezza.—Cosa?—Chealtroèsuccesso?—Chealtro?— Mentre ero a Santa
Barbara, e prima ancora. —Vide la mia espressione, eaggiunse: — Non dirò unaparola, Tom... Devo crederti.
Dopo quello che è successoquestamattina.—Vuoidirechenonpensi
piùcheiosia...—Comeposso,ormai?Cosìledissitutto:diHelen
Driscoll, del pettine diElizabeth, dell'attizzatoio,dell'impressionechemiavevafattoElsiequandoeravenutaachiedereibicchieri(manondel sogno di quella notte).Non ci vollemolto a esporre
queifatti.Quando tacqui, mi guardò
intenta. Poi, con un sospiro,ripreseilcoltelloericominciòasgusciareipiselli.— E tu... credi a tutto
questo? — chiese, senzaguardarmi.—Tuno?Vidilasuagolapalpitare.— Non chiedermelo —
disse. — Non vogliopensarci. E, se hai qualche
nozione di... quello chepotrebbesuccedereame,nondirminiente.—Vabene.Mi guardò. — Vuoi dire
che sai qualcosa? — chieseconunfilodivoce.Scossilatesta.—No.Si rimise al lavoro.—Per
quanto tempo?— chiese.—Quando comincerai a saperetuttoanchedime?—Cara...
Rimise giù il coltello. —Tom, cos'hai intenzione difare? Deve continuare cosìpersempre?Nonpotevoguardarla.Non
sapevochecosadirle.— Te l'ho detto. Non
permetteròchequestastoriatifacciasoffire—dissiinfine.—Moltoconsolante.Mi alzai e portai la tazza
nel lavandino. — Faròqualcosa, presto. Non so
ancora cosa, ma lo farò...Prometto.Si strinse nelle spalle.
Capiichenoncicredeva.— Ti dispiace riportare il
giornaleaElsie?—chiese.—Subito.Andai in salotto. Presi il
giornale dal divano e loripiegai. Ero già sotto ilportico, quando Anne michiamò. Andai vicino allafinestra e le chiesi cosa
volesse.— Ti dispiace farti ridare
le teglie che Elsie si è fattaprestare?Dissidi sìprimaancoradi
capire, poi rimasi làimmobile, fissando il salottoattraverso l'intelaiatura dellafinestra. Non potevo piùritrovareilfiato.Eranoparolecosì semplici. "Fatti ridare leteglie che Elsie si è fattaprestare". Assurdamente
semplici. Tuttaviami davanol'impressione di sentirmicalareinunpozzodifollia.Dapprima pensai di
rientrare in casa, dire chemisentivo male di nuovo epregare Anne di andare leistessa a riprendersi le teglie.Ma sapevo che le sarebbesembrata una scusa, e chel'avrei gettata di nuovo inpredaal sospettoeal terrore.Quasi automaticamente mi
voltai,giraiattornoallacasaeimboccai il vialetto che cidivideva dalla casa di Elsie,sebbene mi sentissi tremaredallatestaaipiedi.Tutto come nel sogno.
Tardopomeriggio, ilcielounpo' nuvoloso, io cheraggiungevo il portico ebussavo, quasi aspettandomidi vedere quel cartello sullaporta.Elsiecheapriva.Lavestagliagiallaaderente
alla persona.Non era umida,eccol'unicadifferenza.—Ciao—disse.— Ti ho riportato il
giornale — dissi,meccanicamente. Misembravadisentirelavocediunaltro.—Ah,grazie.—Loprese.Nonmimuovevo.—C'èaltro?— Hai... — cercai di
mandar fuori il fiato.—Hai
delleteglienostre?—chiesi.— Ah, sì!—Mi voltò le
spalle.Guardai automaticamente
verso lo sportello in bassodellacredenza...esentiicheicapelli mi si rizzavano sullatesta nel vederla chinarsi adaprirelosportello.Quandolavestagliascivolò
scoprendo la gamba destra,indietreggiaiinvolontariamente. Elsie fece
una risatina.Cercòdi coprirelagambamalastoffatornavaa scivolare. — Oh, bene —sbuffòlei.Con un brivido, aprii la
porta,euscii.—Dove vai?—mi gridò
dietroElsie.Corsi giù dagli scalini del
portico e infilai il vialetto,guizzai come una folgorelungo la siepe, oltre la portadellanostrarimessaeattorno
all'angolodicasanostra.Soloallora mi fermai e miappoggiai al muro, senzaforze. Tremavo come unafoglia. Realtà e sognosembravanoconfondersi.Nondistinguevo più l'unadall'altro. Se Helen Driscollfosseuscitadalnostrosalottomi avrebbe spaventato manon sorpreso. Se avessi vistoElizabeth stesa sul prato colmedico chino su di lei avrei
forse trovato la cosaraccapricciante... ma nonincredibile. Il mio respiro sifaceva semprepiùaffannoso.Sentivo che la mia mentestavasmarrendosi.All'improvviso, chissà
perché, mi ricordai delleteglie.Eropreoccupatoperleteglie. Non potevo tornare acasa senza teglie. Anne miavrebbechiestoperchénonleavevo prese e non avrei
potuto spiegarglielo. Dovevoassolutamente procurarmidelle teglie, pensai disperato.Delletegliequalsiasi.Mi staccai dal muro e
cominciaiacorreresulprato.Mi girai automaticamente, evidi Elsie sotto il porticoposteriore della sua casa,maio mi misi a correre più infretta e attraversai la strada.Saltaisull'altromarciapiedeecorsi attraverso il prato di
Frank ed Elizabeth. Superaicon un salto i gradini delportico.Mifermaitramortito.Sul pavimento del salotto
vidi Frank raggomitolato suse stesso, rattrappito, colsangue che usciva a fiottimacchiando il davanti dellacamiciabianca.—Frank!Entrai come un bolide
urlando il suo nome una
secondavolta.Da quel momento
seguirono azioni confuse esimultanee. Io che mibloccavo oltre la soglia,boccheggiando e fissando ilpavimento deserto, Elizabethche accoreva dalla cucina,allarmata e stravolta, Frankche usciva dalla camera daletto, dicendo: — Cosadiavolo...Io in piedi, colto dal
capogiro.— Oh, no — mormoravo
—oh,no.Sto diventando pazzo! Le
parole mi attanagliarono lamente.— Cosa diavolo sta
succedendo?—chieseFrank.Entrambi mi guardavano alcolmo della sorpresa. Sentiiche la stanza oscillava edanzava.— No!— ricordo di aver
urlato.Poipiùniente.
10Alan Porter, grande e grossocome un Golia, si lasciòsprofondare in una enormepoltronadicuoio,accavallòlegambe,posògliocchialisulloscrittoio,emisorrise.— Bene — disse —
sentiamo tutto. Parla concalma.Era lunedì sera. Avevo
ripresoconoscenzasuldivanodel soggiorno di Frank edElizabeth.Anne era china sudi me, preoccupatissima. Lamia prima reazione era statadi guardarmi attorno, poi disorridere timidamente. PrimadiandarceneavevamodettoaFrank e a Elizabeth che nonmierosentitobenepertuttoil
giorno. Non era unaspiegazione esauriente, maloro erano stati tanto discretida accettarla. Per lo menoElizabeth, Frank non erasembratomoltoconvinto.Eravamo tornati a casa, e
dopo una breve ma energicadiscussione, avevo telefonatoad Alan. Aveva risposto cheandassimo da lui la serastessa. E adesso eravamo là,Anne che aspettava
innervositanellasalaesterna,io nello studio di Alan.Elizabeth stava facendocompagniaaRichard,acasa.— Bene, te la sei passata
brutta — commentò Alanquand'ebbi finito la miastoria. Poi scosse la testa eridacchiò. — Il fantasticopotenzialedellamenteumana—disse.Nonrisposi.Noncredodel
resto che si aspettasse una
risposta.Alan si raddrizzò sulla
sedia. — Bene. Percominciare — disse — nonstaidiventandomatto.Nemmeno io l'avevo mai
creduto davvero, tuttavia fuipercorso da un fremito disollievo nel sentire laconferma da labbra cosìautorevoli.— Il che provoca una
domanda—dissi.
— Di che cosa si trattaesattamente, vero? — Dopoaverlaformulataperme,Alanintrecciò le dita e se lecontemplò,insilenzio.—Perquanto riguarda l'ipnosi —proseguì — questa nonavrebbepotuto,naturalmente,conferirti nessun potere. Almassimo avrebbe potuto,diciamo, liberare un poteregià latente. Il che nonequivale a dire — continuò,
alzando una mano, mentrestavoperaprirebocca—chesi tratti di qualcosa diinnaturale.Èsenzadubbiouncasocherientrainquellochegli studiosi della psichedefiniscono supernormale,per distinguerlo dal vecchiotermine comunesoprannaturale. È molto piùfacile trattare con processiche si inseriscono nelloschema di quello che è
naturale, di quanto non siatrattareconfenomeniastratti.—Nientespettri,allora—
dissi. — Niente poteridivinatori.Sorrise.—Direi di no. Per quanto
misteriosa sia la circostanza,in apparenza, esiste unaspiegazione relativamentenaturale. Dico relativamente,perché ci sono, si capisce,alcune asserzioni base da
accettare, quali ad esempiol'esistenzadellatelepatiaedeisuoi collegamenti:chiaroveggenza, psicometria,eccetera, le cosiddettecapacità para o ultra normalidellamenteumana.— Ma... proprio io? —
chiesi. — Perché dovreiaverle io?— Non gli avevoparlato di mio padre. Chissàperché quei giochetti senzaimportanza adesso mi
sembravanosignificativi.—Tu o chiunque altro—
rispose Alan lentamente. —La cosa va oltre un'ereditàparticolare. — Parvedivertito. — Questaconvinzione mi rende, potreiaggiungere, una specie diribelle nellamia professione.Ci sono altri miei colleghi,temo, ai quali, nei tuoiconfronti, sarebbe già venutoin mente il termine
schizofrenia.— Non potrei dar loro
torto. Ora che ci ripenso, misono comportato in modoalquanto stravagante durantelasettimanapassata.— Direi anch'io —
approvòAlan.Simossesullasedia. — Bene. Adesso —continuò— prima di entrareneiparticolari,saràopportunochetiespongaalcuniconcettigenerali che ritengo possano
interessarti.—Sentiamo.— Vedi, l'evoluzione
mentale ha seguito unoschema ben definito.Dapprima uno stato informe.La coscienza che lotta.L'istinto. Poca individualitàcome funzione, moltacollettività. Lo stato mentaleprimitivo."Segue poi una
cancellazione della
rispondenza su larga scala.Massima limitazione discambio per massimadirezioneepotenza.Èlostatoin cui possiamo dire ditrovarci al momento. Siamomaestri assoluti della tecnicae, all'apposto, totalmente albuio per quanto riguardal'autoconoscenza."Il passo finale, il passo
chedeveancoravenireoche,probabilmente,ègiàinatto,è
questo: conservare i valoridella razionalità,dell'obiettività, e tuttavia, econtemporaneamente,rituffarsi nell'irrazionaleinforme. Quello che potràsembrare un passo indietrosaràinveceunpassoinavantiverso la speculazionesoggettiva. Il passo versol'auto-direzione. In breve,versolaconoscenzacompletadellapsi.
Sorrise.— Parole grosse, vero? Il
sensoloafferri,però.—Quindi—dissi—vuoi
arrivare alla conclusioneche... quello che mi èsuccesso sia una specie diacceleramento meccanico diquestoprocessoevolutivo?— Non esattamente,
sebbene pensi che l'ipnosi o,per meglio dire, l'errataestrazione della tua mente
dallo stato d'ipnosi, abbianostimolatoil tuopoterelatentedi dissociazione.O, per dirlain altre parole, sbloccato latua doppia articolazionepsichica.Latuapsi.Vide lamia aria confusa e
aggiunse:—Housatoquestaparola già due volte.Probabilmente ti disorienta.Ma il suo significato èsemplicemente questo: lafunzione mentale grazie alla
qualesiverificalacognizioneparanormale.—Ilmiocommentoè:Oh!
—dissi.Feceunbrevesorriso.— Il che ci porta a un
particolare—continuò—unpunto tangenziale accettatosoltanto da pochi, tra i qualiio.—Cambiòposizioneemiguardòconariasolenne.— Ricorderai — disse —
che un momento fa, quando
mihaichiesto:perchéproprioio, ti ho risposto: tu ochiunque altro. Questo è unpunto fondamentale. Sonoconvinto che ogni essereumano sia, dalla nascita,dotato di vari gradi dipercettività psichica, cheabbia bisogno solamente diunimpulsoimpressoaquestomeccanismoper usare questapercettività nel reagireall'esperienza. Naturalmente,
questo potere è leggermentesospetto. L'intero concetto,sotto questo punto, gode almomento di pochissimocredito. Ne consegue che siapostopochissimoinevidenza.Come molte reazioni umane,questo potere ha bisogno diun'affettuosa attenzione peressereportatoalla luce.Ogniapproccio negativo loavvilisce. Non è un fattoremisurabile che possa essere
esaminato sia che uno cicreda o meno: questo è ilguaio, il fatto che lo rendesospetto scientificamente. Ioinsisto nel credere, tuttavia,cheasuotempogliuominisirenderanno contodell'esistenza della psi, e nelrendersene conto saranno ingrado di riattivare le loropotenzialità rimaste oscuretroppoalungo.—Sai—dissi—èstrano
questo. Perché ci sono statimomenti in cui avrei giuratoche Richard sapesse quelloche stavo pensando... esapesse che io sapevo cosastavapensandolui.— Possibilissimo. Fino a
cheibambininonacquistanoil potere di comunicazioneverbale, fanno probabilmenteun uso più o meno indirettodel loro naturale poteretelepatico. — Il che —
proseguì — è applicabileanche storicamente. Credoche, nelle epoche primitive,prima che si stabilisse lacomunicazione verbale,questi talenti paranormalifosserounfenomenocomune.Laragionelovuole.Potevanoforse tutti i bisogni umaniessere espressi da suoniinarticolatiedagesti?— Allora, quando gli
uomini hanno cominciato a
comunicare per mezzo dellaparola — dissi — questecapacitàandaronosmarrite?— Più che smarrite direi
represse. Ma credo cheesistano ancora in noi pallidiechidellaloroanticavitalità.Tacque e mi guardò un
momentoinsilenzio.— Quanto al tuo caso
particolare, penso che lapercettività liberata in te siapiù affine a quella dei
primitivi che a quella,diciamo così, dell'uomo didomani. Ma non prendertelaper questo. Il novantacinqueper cento dei cosiddettimedium è nelle tue stessecondizioni, sebbene nessunodi loro sarebbe disposto adammetterlo.Le loroazioni loprovano, tuttavia: ilbrancolare disordinato, senzadirezione, senza messa apunto delle loro sedute, i
risultati così assurdamentecontradditoricheottengonoingenere."Ed ecco perché le cose
che ti sono capitate, sonoarrivate di sorpresa, senzapreavviso, a parte qualcheoccasionale stato dieccitazione. Eccitazione cheserve proprio a provarel'imperfezione della tuapercettività. I mediumperfettamente sviluppati non
hanno questi effetti postumidi debilitazione fisica di cuitu hai sofferto. La loropercettività è strettamentementale. È un fatto, sevogliamodirecosì,cerebrale,non viscerale. In più, sicapisce, è continuamentesottounrigidocontrollo.Nonli coglie di sorpresa. Sonolorocheneregolanoilflusso.— Immagino che sia una
specie di consolazione —
dissi—saperechealtri sonopassati attraverso le stesseesperienze.— Moltissimi altri —
precisò Alan. — E sebbeneloro definiscanoprobabilmenteilfenomenoundonopsichico,iolochiamereipiuttosto un'afflizione. Nellasua mancanza diautodirezione eautocomprensione, nel suofunzionamento non ancora
sviluppato e ineguale, fa piùdannochealtro.—Chebello!Sorrise al mio tono cupo,
poi riprese:—Prendila sottoquesto aspetto. Tu, e lagrande maggioranza deimedium non sviluppati, stateattraversando una galleriabuia nella quale di tanto intanto brilla un lampo di luceche sfugge completamente alvostro controllo. Cogliete
sprazzifugacidiquellochevicirconda, senza mai saperecosavedreteinseguito,senzamaisaperequandolovedrete.— Suona poco
incoraggiante—obiettai.— È un inizio. Quanto ai
particolari, poi, assommanotutti a un risultato, secondome: la telepatia, o gli aspettidella stessa. Tu sapevi chequella latta di pomodoriavevacolpitotuamogliesulla
testa perché lei ti avevatrasmesso il pensiero deldolore fisico... e tu l'haiconvertito in sensazionefisica. Per l'episodio dellababy-sitter, eri sintonizzatocon lamentedella ragazza,einuncertosensosapevicosastava per fare, per cui haiagito di conseguenza. Lostessodicasiper la tuavicinadi casa. Hai bussato alla suamente parecchie volte... poi
hai sognato una conclusionedeisuoidesiderinascosti.— Ma la vestaglia — gli
feciosservare—leteglie...— Tutte cose note per te.
Eralaprimavoltachevedeviquellavestaglia?— No. Gliel'avevo vista
altrevolte,ma...—Ecco, leprobabilitàche
lei la indossasseeranomolte.Quanto alle teglie, le avevaprese in prestito, quindi
presto o tardi dovevanoessererestituite.Sapevianchequesto.— Ma Anne ha mandato
meaprenderle.—Chi ti ha fatto restare a
casa oggi, Anne o tu stesso?Tu stesso hai provocatol'episodio.—Avrebbe potuto andarci
Anne.—Forseavevagiàpensato
di mandare te prima ancora
chetusognassituttalascena.Perciò tu sapevi che leivolevamandartia farequellacommissione. Del resto, c'èanchelapossibilitàchelatuamente faccia coincidere gliavvenimenticoisogni.— Come la storia
dell'incidente ferroviario, peresempio?—dissi, in tono disfida.— Chiaroveggenza, altro
aspetto della telepatia.Molto
probabilmente eri in contattotelepatico con qualcunopresente alla scena. Questocapita molto spesso quandosuccede una catastrofe delgenere.Elatelepatiahapresola forma di un sognoassolutamentechiaro.— E il pettine?
L'attizzatoio?— Anche per il pettine si
trattadiun'altravariantedellatelepatia. Si chiama
psicometria. Una capacitàgrazie alla quale il medium,tenendo in mano un oggettoappartenente a una personacon la quale comunicatelepaticamente, viene asapere cose riguardanti lapersona stessa. L'oggetto, inun certo senso, agisce daaiuto al trasferimento deipensieri.Nel tuo caso era unpettine.L'ideadellamortechetu hai ricevuto era senza
dubbiodiElizabeth...mipareche si chiami così, vero? Ledonne in stato interessantehannodiquestepaure,consceo inconsce, durante tutto ilperiodo della gravidanza, persestesseeperilbambinochedeve nacere. Per l'attizzatoio,vale lo stesso ragionamento,trannechenonsappiamoconquale mente sei entrato incontatto. O quale rapportol'attizzatoioavesseconquesta
persona non identificata. Sevuoiscoprirlo,nonhaichedariprenderloinmano.— Ah, no — dissi
scuotendo la testa ericordando l'ondata di nauseasconvolgente che mi avevaprovocato.— Non posso darti torto,
sebbene questo potrebbeesserel'unicomodo.—Comespieghiilfattodi
sapere che lamadre diAnne
era...morta?— Telepatia, o forse, in
questo caso, semplicecoincidenza. In fin dei conti,tuamoglie ti avevadettochesuamadreeramalata.Sapevichesuamadreeravecchiaederastatamaleparecchievolte,l'annoscorso.Noneraun'ideaassurda pensare che potesseesseremorta.Latelefonatahacontribuito a complicare lecose.
—Ma...— Oppure, come dicevo,
potrebbe essere ancoratelepatia. Da parte del padredi Anne, o da parte di tuasuoceramorente.—E...ilfattodiavervisto
il mio vicino per terra,insanguinato?—Mihadettoche,lasera
dell'ipnosi, si fecero deicommenti sulla possibilitàcheElizabethsparassecontro
ilmarito.Lacosatièrimastainmente.Sapeviinoltrecheilmarito aveva una relazioneextra-coniugale.Nientedipiùfacile, per una mente sottostimolo, unire le due cose ericavarnelavisionedelvicinoconunapallottolanelpetto.— E se succedesse
davvero,cosadovreipensare?— Non proverà niente,
tranne il fatto che Elizabethha ucciso suo marito. Da
parte tua non sarà unaprofezia,comenonlosarebbese tu predicessi la morte ditrecento persone il quattroluglio,equelletifacesserolacortesiadimoriredavveroperincidentistradali.Quisitrattadiprobabilità,elafaccendaècompletamentediversa.E,traparentesi, direi che leprobabilità che Elizabethspari contro il marito sonoalquanto forti... specialmente
se hanno una pistola in casa.Cel'hanno?Loguardaiinterdetto.—Frank ha unaLuger—
dissi. — L'ha presa inGermania.— Speriamo che sia
scarica—disseAlan.Scossi la testa. — Quale
delle loro menti stavoleggendo, quando ho visto lascena?— Quella di Elizabeth,
forse. Oppure, visto che leinon sa della relazione delmarito, quella di lui. Timoredovuto al senso di colpa.Teme che lamoglie gli sparipervendicarsi.Tuhaicoltoilsospetto, e la tua menteeccitatahacompostolascenacome se il fatto fosseveramente accaduto. Tu haivistolascena.Mi abbandonai contro lo
schienaledellapoltrona.
— Sembra tuttomaledettamentesemplice.—Tutt'altro—disseAlan.
—Seistatotestimonedicosemeravigliose, Tom... haiaccumulato numerose provesulla telepatia e sulle suediversemanifestazioni.Nonècosadapoco.Rimasi qualche momento
insilenzio,cercandoqualcosada ribattere. Mi sembravaimpossibile che tutto quel
terrore, tutta quell'esperienzaincredibile potesse esserespiegatatantofacilmente,chepotesseessere cancellata cosìinfretta.Forse ero anche un po'
deluso. Alla superficie,convenivocon luisu tutto:sitrattava più che altro di undanno. Sotto sotto c'eraancoraildesideriopuerilechesi trattasse di qualcosa diinsolito.Qualcosadimagico.
—Eladonna?—chiesi.— Telepatia che, senza
dubbio, viene da quelladonna...comesichiama?—HelenDriscoll.—Appunto.Probabilmente
hai ragione di pensare che ladonna desideri trovarsinuovamente in quella casa echeturiescaaintercettarneildesiderio. Inoltre, non èimpossibile che la donnaabbia lasciato in quella casa
unaspeciediricordocaricodienergia, e che tu l'abbiacaptato. Ma questo è moltopiù arrischiato, quindi comeipotesi lasciamola da parte.L'altra ipotesi è la piùaccettabile.— Niente fantasmi, allora
— dissi, sorridendo, pococonvinto.—Nientefantasmi.Sospirai.Gliconfessaiche,
per un certo tempo, avevo
nutrito la certezza di avereottenuto una prova sulla vitaultraterrena.Alansorrise.—Sarebbeunconforto—
disse — se una prova delgenere esistesse. Purtroppo,non esiste... checché nedicano i nostri amicispiritualisti. Per quanto miriguarda, l'unica risposta èancora la telepatia.Per tutti ifenomeniparanormali.Siappoggiòallaspalliera,e
intrecciò le mani dietro lanuca.—Sì—disse.—Sarebbe
molto piacevole credere inuno schema semplice,continuo. Una forza vitalecontinua che si svolgesse inuna infinita fase ciclica tracondizione latente e attività,azioneeinerzia,incarnazionee non incarnazione, vita e...per dirla in parole povere,morte. — Si strinse nelle
spalle. — Non possiamo,purtroppo. Almeno, non consicurezza, non con onestàscientifica. La teoria puòsembrare libera dacomplicazioni, semplice edesatta.Questo,tuttavia,nonlarende provabile. — Sorrise.—Nonèprovabile,capisci?Abbassò le braccia e
ripresegliocchiali.—Eadesso—disse— ti
ipnotizzerò di nuovo e ti
toglierò gli spauracchi dallatesta.Leultimeparolefamose.
11Ilgiornodopo,quandotornaidall'ufficio, Anne mi venneincontrosullaporta.Mibaciòe mi guardò con ariainterrogativa.Lesorrisi.—Credopropriocheabbia
funzionato—dissi.Seguìunattimodisilenzio.
Poi lei si fecepiùvicina e siaggrappò a me. — Dio siaringraziato—mormorò.Entrammo in cucina e,
mentre lei si occupava dellacena, le dissi che, a quantopotevoconstatare,Alanavevarimosso quello chemi avevatormentato fino ad allora.Nonsolononavevosognato,lanotteprecedente,maavevo
dormito tranquillo e mi erosvegliatobeneeinforze.Perdi più, la giornata eratrascorsa senza nessunaintrusione nella mia mente.Sotto questo aspetto, se nonaltro, ero tornatoall'isolamentoassoluto.— Non riesco ancora a
crederci — disse Anne. —Alan è riuscito a guarirti inunasolaseduta.— Anche tuo fratello era
riuscito a combinare il guaioinunasolaseduta.— Già. Bene, comunque
Alanèmeraviglioso.— Lui lo negherebbe —
risposi.— Sai quello che hadetto.Le avevo raccontato che
Alan, rapidamente edefficacemente, mi avevarimesso sotto ipnosi e avevalisciato alcune grinzepsichiche con le palme della
suggestione. Appena mi erosvegliato dall'ipnosi, mi erosubito accorto di uncambiamento deciso. Latensione era sparita, restavasoltantounnotevole sensodibenessere che sentivo ancorae che, evidentemente, stavarimuovendo un peso dalcuorediAnne.— Lui non saprà mai
quanto sollievo provo —disse lei.—Non so davvero
per quanto ancora avreipotuto continuare. Non misono ancora... ripresa daldolore per la morte di miamadre. E...— L'abbracciai eleisiappoggiòameconariastanca.— È stata una settimana
terribile per te — dissi. —Cercherò di compensarti inqualchemodo.Lei sorrise emi accarezzò
unaguancia.
—Sei tornatocomeprima— disse. — È questo checonta.— Tale e quale come
prima.Mentre mi cambiavo, le
dissi che Alan avevaintenzione di citare il miocaso in una rivistapsichiatrica ("...userò solo letue iniziali, si capisce"). Ilfatto capitato a me lointeressavamolto.
Stavoperandare inbagno,quandoAnnemichiamò.— Se hai intenzione di
lavarti, guarda che non èconsigliabile. Il lavabo èotturato.Hafinitodivuotarsisolo una mezz'ora fa. C'èvolutotuttoilgiorno.—L'haidettoaSentas?—Hoprovatoatelefonare
pertuttoilpomeriggio,masivede che non sono in casa.Vuoi provare tu un'altra
volta?— Subito. — Tornai in
corridoio e feci il numero diSentas.Rispose la moglie. —
Pronto?— Signora Sentas, parla
Tom Wallace. C'è vostromarito?—Unmomento,perfavore
— posò la cornetta e migiunse il rumore attutito deipassi che si allontanavano.
Debolmente, la sentiichiamare:—Harry!Qualche momento dopo,
Sentasprendevailricevitore.—Cosac'è?—chiese.— Il lavabo del bagno è
otturato, signor Sentas. Cimetteoreeoreavuotarsi.— Il bambino ha lasciato
caderedentroqualcosa?— Non credo. Comunque
vi saremo grati se volestedare un'occhiata, o
provvedereafarloriparare.— Sono appena rientrato
—brontolò.—Nonmisonoancoramessoatavola.—Bene,dopocenaallora?
— dissi. — È un guaio nonpoterusareillavabo.Nel breve momento che
seguì mi parve quasi divedere l'espressione dura eirritatadellasuafaccia.— Passerò più tardi —
promise.
—Grazie—dissi.Ma luiavevagiàriattaccato.Andaiincucina.— Gentile, come sempre
— dissi. — Proprio un tipoaffascinante.Annesorrise.— Forse avrà anche lui i
suoiguai.— Sarà. — Andai alla
finestra e guardai fuori.Richard e Candy erano nelgiardino accanto. Giocavano
conlaterraelepalette.— Giocano volentieri
insieme,vero?—osservai.—Mmmm!—fuilpacato
commentodimiamoglie.—CosavuoldireMmm?— Che litigano tanto
durante la giornata da esseretroppo stanchi per azzuffarsiall'oraincuiliveditu.—Richardsiazzuffa?— Abuserò delle mie
prerogativedigenitriceedirò
che di solito la colpa è diCandy. Anzi, quasi sempre.Nonèpernienteeducata.—Peccato,poverapiccola
— dissi, guardando i duebambinichegiocavano.— Tom, quando pensi di
andare al supermercato? —chiese Anne, cambiandodiscorso.—Stasera?— C'è molto da
comperare?—Parecchio.Lasettimana
scorsa non ci siamo andati.Quando mi è caduta lascatolettaintesta,ricordi?— Ah, già. Senti, quanto
mancaperlacena?—Sto facendo ilpasticcio
di carne. Ci vorrà ancoraun'ora,almeno.— Ottimo. Allora vado
adesso. A proposito, la tuatestacomesta?—Benissimo.— Sarebbe divertente se
cominciassi tu,ora,a leggerenelpensiero.— Da sbellicarsi dalle
risate.L'accarezzai mentre le
passavo accanto. Presi iltaccuino del droghiere e unamatita dal cassetto, e misedettivicinoal tavolo.Apriiiltaccuino.— Cosa ne hai fatto dei
mieiappunti?—chiesi.— Li ho messi in una
scatola.—Limostreremoainostri
nipotini.Annesisforzòdisorridere.
Mi resi conto che era ancoraaddolorata per lamorte dellamadre enondissi piùniente.Presi lamatita e disegnai seirettangoli per raffigurare ibanchi del mercato. Avreiscritto i nomi che Anne midiceva sul rettangolocorrispondentealbancocheli
vendeva.Eraun'abitudinecheavevo preso fin dal primoanno di matrimonio. Sievitava di dover tornare suipropri passi il che, nellavastitàdeisupermarketdiLosAngeles,potevaassommareachilometri, e a perdite ditempoprezioso.—Cosascrivo?—chiesi.— Vediamo. Dunque,
occorrono zucchero, farina,sale,pepe...
— Calma! — scrissi ogninome nel rettangoloappropriato. — Ecco,continuapure.—Burro.Pane.—Poi?— Succo d'arancia. Uova.
Prosciutto...—Scritto.— Qualche bustina di
estratto. Qualche scatola dicereali.Scrissi, poi la guardai. —
Sì—dissi—chealtro...Mi interruppi agghiacciato
eguardai lamiamano.Stavascrivendo.Dasola!Sono certissimo che i
capelli mi si drizzarono.Sedevo boccheggiando, efissando la matita che simuoveva, che stavascrivendo. Sentivo solovagamente quello che Annemidiceva.
Lamatitasifermò.—Eh?— trasalii, guardai
Anne.—Hochiestosehaiscritto
leultimecose.—No.No.Stavo... ancora
scrivendoquellediprima.—Non si era accorta di niente,perfortuna.— Mi hai chiesto se
occorrevaaltro—obiettòlei.— Sì. Ma invece... ne
avevodimenticatouno.
— Ho detto cracker,marmellata e burro diarachidi.— Benissimo. — Mi
sforzavo di tenere calma lavoce.Mentre Anne ispezionava
la credenza per vederecos'altrooccorresse,diediunarapida scorsa alle parole cheavevo scritto attraverso lapagina, accorgendomi, così,chenoneralamiacalligrafia.
Poi continuai ad annotare lecose che leimi dettava.Nonle dissi niente. È unacombinazione, mi ripetevo.Solo un piccolo strascico.Nonsignificaniente.Dieci minuti dopo ero in
macchina, diretto almercato:guardavo la strada e pensavoalle parole che avevo scritto.Non potevo cancellarle dallamiamente.
IosonoHelenDriscoll!Sentasvennesoltantodopo
lenove.Fino a quel momento
rimasiinrimessaalavorarealvecchio passeggino diRichardcheavevabisognodibulloni nuovi e di una manodi vernice. Non avevonessunavogliadifarlo;avevorimandato quel lavoro persettimane. Ma non me la
sentivo di stare in casa.Temevo che potessesuccederequalcos'altro.Dico temevo,maadesso la
cosaeradiversa.Nontemevopiù per me stesso. Era perAnne. Non mi occorreva latelepatia o qualcos'altro delgenerepercapireinchestatofossero i suoi nervi. Lasettimana appena trascorsa leavevadatounnumeropiùchesufficientedisorprese.Anche
in condizioni normali lamortedellamadre, allaqualeeramoltoattaccata,unitaallosforzodivivereaccantoaunuomo che era passatoattraverso quello che avevodovuto passare io, era giàsufficiente per scuotere ilsistema nervoso più solido.Che tutto questo fossesuccesso durante un periododi gravidanza, semprecaratterizzato da un'estrema
tensione nervosa, avevapeggiorato mille volte lasituazione, Proprio nonpotevo dirle d'avere scrittoquelleparole.Nonneavevoilcoraggio.Mentre dipingevo il
passeggino, ripensavo aquelleparole.Non potevo immaginare
cosa significassero. Avervisto Helen Driscoll era unacosa e, secondo Alan, una
cosa spiegabilissima.Ricevere una specie dimessaggiodalei(econlasuascrittura, ci avrei giurato),andava oltre i limiti delcredibile.Macomehodetto,nonero
tantoallarmatopermequantoper Anne. Per qualcheragione (la mia visita adAlan, senza dubbio)percepivo una differenza inme.Lamiatensionenervosa,
la tendenza a scattare per unnonnulla, erano scomparse.LapreoccupazioneperAnne,d'altra parte, era altrettantograve.Speravo,peramorsuo,che non capitassero altriincidenti.Capitarono, naturalmente.
E senza dover aspettaremolto.Perfortunaleinonerapresentequandosiverificò ilprimo. Non ringrazierò maiabbastanzailcieloperquesto.
Mancavano forse dieciminuti alle nove quandoAnne mi raggiunse nellarimessaperdirmicheRichardsi era addormentato, e didargli per favore un'occhiataogni tanto mentre lei andavada Elizabeth per aiutarla afare non so che cosa con lamacchinapercucire.Ledissidiandaretranquilla,eappenasi fu allontanata, rientrai incasa. Era appena calato il
buio.Sedetti in cucina, con il
quaderno della spesa fra lemani.Continuavo a prendere in
manolamatitaearigirarlatrale dita. Come dal primomomento in cui la cosa eracominciata, la curiositàrestavaunfattore importante.Penso che sia comprensibile.Adispettodi tutto, l'interesseeraenorme.
Avevo appena deciso diprovare a scrivere qualcosa,quando sentii un colpo allaporta d'ingresso. Sussultai eposai in fretta lamatita. Poi,pensando che Anne forseavevalebracciacaricheenonriusciva ad aprire la porta,infilai la matita nel suopiccolo sostegno a lato delquaderno e buttai il tutto nelcassettodellacredenza.Era Sentas, che appariva
stancoeseccato.—Buonasera—dissi.— Ancora otturato? —
chiesebrusco.— Ancora. — Mi feci da
parteperlasciarloentrare.Luientrò come se io fossi unintrusoincasasua,nonilsuoinquilino.Andò difilato nel bagno e
cominciò a far scorrerel'acqua. Il lavabo si riempì.Lo scarico non funzionava
affatto. Sentas continuò a farscorrere l'acqua, fissandoconaria assorta il livello chesaliva.Noncredichesarebbeuna buona idea chiudere ilrubinettoormai?pensavo.Luinon si muoveva. Lasciòscorrere l'acqua fino a che illavabo fu quasi pieno. Soloallora si decise a chiudere ilrubinetto.Borbottò qualcosa.Guardò
l'acqua. Mise una mano nel
lavaboebattéilditotozzosulforo di scarico. Parvedisgustato.— Vostra moglie si è
lavata i capelli in questigiorni?—Nonloso.—Èotturatodaicapelli.—Capisco.Allora cosa si
puòfare?Sbuffò, annoiatissimo. —
Peroranonpossofareniente.Intanto sei riuscito a
riempire il lavabo, pensaiirritatissimo.— Domani mattina
manderò un idraulico —promise,riluttante.— È troppo tardi per
chiamarneunosubito?— Eh, sì. — Uscì nel
corridoio. — Lo chiameròdomanimattina.Fu allora che accadde. Più
orribilechemaiperchéarrivòsenza avviso, perché seguì
così dappresso la nostradiscussione terrena sullavandinootturato.— Sentas — disse
qualcuno.Sentas si irrigidì. Non vi
dicoio.—Sentas.HarrySentas—
ripetélavoce.Provaiunbrivido.— Tu mi conosci, Harry
Sentas.Era lavocediunbambino
didueanni,ilmio!E tuttavia non era la sua
voe. Veniva dalle sue cordevocali, sì, ma era una voceestranea.Avetemaivistounospettacolodimarionettedovei burattinai parlano con voceflebile,perdarel'impressioneche le parole escano dallelabbra immobili dei loropupazzi? Era così, come lavocediunfantocciocheparlanelfalsettodeformatodelsuo
padroneventriloquo.— Tu sai chi sono, Harry
Sentas.Tusaichisono.Sentas boccheggiava. La
sua faccia era inespressiva,pallidissima.—Cosa diavolo è questo?
—chiese convoce tremante,gutturale.Aprii la bocca per parlare,
manonneuscìnessunsuono.— Tu mi conosci, Harry
Sentas — diceva la voce di
mio figlio.— Ilmio nome èHelenDriscoll.Sentas e io sussultammo
per la sorpresa. Lui fece unpasso verso la camera daletto, poi indietreggiò comese stesse eseguendo uncomicopassodidanza.Misiavventòcontro.— Che roba è, uno
scherzo?— gridò in tono disfida.— Vi giuro che... —
mormorai.— Tu mi conosci, Harry
Sentas—disselavoce.Sentasmilanciòunalunga
occhiata bieca. Poi,bruscamente, si voltò e sidiresseversoilsalotto.— Scherzi idioti —
proruppe. — Aggiustatelovoi,ilvostrolavandino!La casa tremòper il colpo
della porta sbattuta conviolenza.
Entrai nella camera congambe di piombo, e miavvicinailentamenteallettinodi Richard. Lo sentiimormorarenelbuio.— Torna indietro —
diceva con quella voceorribile, da pupazzo. —Tornaindietro,HarrySentas.Poi rimase immobile. Un
lungo brivido gli scosse ilcorpicino,mabenprestovidiche dormiva, di un sonno
profondoeindisturbato.Ero seduto sul divano
quandoAnnerientrò.Penso che capì nell'istante
stessoincuimivide.— No — disse
debolmente. — Oh, no. —C'era tanta tristezzanella suavoce: una tristezza stanca, dichisiarrende.—Anne,siediti—dissi.—No.
— Tesoro, per piacere.Non rifiutarti di affrontare lasituazione. Servirebbe solo apeggiorarelecose.Restava là, tremante, a
fissarmi.—Siediti—ripetei.—Per
favore.—No.—Siediti!Si avvicinò e si sedette
all'altra estremità del divano,appoggiata sull'orlo dei
cuscini come una bambinaspaventatama obbediente. Sistringeva le braccia con leditasbiancate.— Te lo devo dire —
cominciai — perché... ecco,se accade a te e tu non seipreparata, potrestispaventarti.All'improvviso si coprì gli
occhiescoppiòapiangere.—Oh...Signore,aiutaci—
singhiozzava.—Credevoche
fossefinito,credevochefossefinito.—Cara,nonfarecosì.Alzòlatesta,identiserrati,
l'espressione sconvolta erigida.— Non posso più andare
avanti—disse con voce cheera anche più impressionanteperiltonosommesso.—Nonpossopiùcontinuarecosì.—Anne,forse...M'interruppi, innervosito.
Per un istante di odiosadistrazioneerostatosulpuntodi suggerire che lei tornasseda sua madre fino a che lacosanonfossefinita.— Forse cosa? — chiese
lei.—Niente.Io...— Oh, ricominciamo coi
segreti? — disse, e dal tonodella voce capii che erasull'orlo del collasso. — Isegretiancora?
— Cara, ascolta — lascongiurai. — Se oraaffrontiamo la cosa,potremo...— Affrontarla! — mi
interruppe impetuosamente.—Che cosa ho fatto finora?Ho vissuto con questa cosa!Sono stufa, adesso! Non losopportopiù!Fuiimmediatamentealsuo
fianco e strinsi a me il suocorpotremante.
—No,piccola—bisbigliaiscioccamente—no,nonfarecosì.Simetteràtuttoaposto.È diverso, adesso, diverso.Non sono più in balia diquello che succede. — Leparole mi uscivano rapide,fluenti, e avevo la certezzache corrispondessero allaverità. — Posso controllarequello che succede, ora,Anne.Nonpotràpiùfarcidelmale se l'affrontiamo.
Credimi, non sono più unavittima.—Ma io sì— singhiozzò
Anne.—Iolosono.La strinsi a me a lungo
senza parlare. E, durantequesto tempo, presi unadecisione, che sapevoinevitabile. Ora vedevochiaro. Quello che avevodetto ad Anne era vero. Neero sicuro. Non ero più unapedinaimpotente.
Avrei fatto inmodoche lecose andassero come volevoio.
12Non potevo dire niente adAnne in quel momento. Eratroppo sconvolta. Tutta latensione accumulatasi in leisembrava prorompereirrefrenabile, non c'era piùverso di calmarla. La mortedella madre, le emozionisubite per colpa mia; poi, ladistensione seguita allasperanzachetuttofossefinitoe, proprio mentre era
disarmata e impreparata, unnuovo tuffo nel terrore.Chiunque avrebbe perso ilcontrollo.Lamisia letto, lediediun
sedativoe rimasicon lei finoa chenon cadde in un sonnopesante.Appenafuicertochesieraaddormentata, tornai incucina e presi il quadernodella spesa. In questa storiac'era qualcosa di più diquanto aveva detto Alan. Se
HelenDriscollvolevatrovarsidi nuovo in quella casa,perché mai avrei dovutoricevere messaggi scritti dalei?Equestoèniente.Perchéavrebbe dovuto parlareattraverso la bocca di miofiglio? E proprio a suocognato?A meno che, nel luogo
dove si trovava, non le fossesuccesso qualcosa, a menoche...
No. Lottai contro quelpensiero. Non me la sentivodiguardareancorainfondoaquel baratro. Era unatrappola. Stavolta dovevoaffrontare il fenomenofreddamente e con buonsenso, non con la scioccapresunzionediscoprire,inunistante, quello che i filosofiavevano impiegato tutta lavita a cercare. Non avreicommesso ancora lo stesso
errore. Ero disposto adammettere soltanto che inquellastoriac'eraqualcosadipiù di quello che pensavaAlan.Afferrailamatitaelatenni
sospesasullacarta.Guardavofuori attraverso la finestra.Bisognava fare così nei casidi cosiddetta scritturaautomatica. La cosa èestranea alla volontà, al di làdella scrittura cosciente.
Sembra che qualcuno haperfinoscrittodormendo.Cercaididistoglierelamia
attenzione dalla matita.Volevo togliermeladimente,per permettere al miosubcosciente di controllarequello che succedeva.Guardai dentro la cucina diElsieelavidisedutaconRone con i suoi genitori.Facevano la solita partitasettimanale a bridge. Vidi la
faccia di Elsie contorcersi inuna risata il cui suono miarrivò attraverso la finestra.Mi chiedevo se quei rumorimiavrebberodistratto,poimiresi conto che la distrazioneera proprio quello che mioccorreva.PrestailamassimaattenzioneaElsie.Pensaiatuttelevolteincui
avevo letto nella sua mentecontorta. Pensai a comesarebbe stato terribile il
mondosegliuominiavesseroimprovvisamente scoperto leloro potenzialità nascoste eognunoavessepotutoleggerenelpensierodeglialtri.Qualeorribile fallimento per lasocietà! Non poteva piùesserci società quando ogniuomo fosse stato come unlibro aperto per il suoprossimo. A meno che,naturalmente, prima che unasimile situazione dilagasse,
gli uomini non fosserodiventati più maturi e capaciditenervalidamentetestaalleloronuovepossibilità.Passò un'ora. Avevo il
crampo alla mano, ma lamatitarestavaimmobile.Passò un'altra ora.
Bruscamente, rinunciai. Nonsarebbe successo niente, eraevidente. Mentre mi infilavoil pigiama pensai che HelenDriscoll stava diventando di
volta in volta più debole.Prima mi appariva, poiparlava per bocca del miobambino, un'altra voltaancora comandava alla miamano di scrivere, usando lasua calligrafia. Se era unospirito, ma questo non erodisposto ad ammetterlonemmeno conme stesso, erauno spirito moltodisorientato. Il pensiero mifece sorridere. Pensai che in
fondo era possibile. Volendoammettere la sopravvivenzadello spirito, il fatto che lagente conservasse oltre lamorte la propria coscienzanon bastava certo a garantireanche l'onniscienza. Alcontrario, la bruscaimmersione nel limbodoveva,piuttosto,produrreungran turbamento. Una volta,avevo letto che le animerifiutanospessodiammettere
di essere morte e tentano dicontinuare a vivere comeprima. Perciò, se HelenDriscollera...Scacciai in fretta questi
pensieri.Nonvolevosaperne.Mi dissi che, per il mioproblema immediato, avreifatto meglio a tentare ilmetodo solito di mettermi incontatto con Helen Driscoll:tentaredivederla.L'ideanonmi procurava nessun panico,
ormai. Né temevo unadebilitazione psichica. Forsestavo diventando, almeno inparte, quello che Alan avevadefinito un mediumsviluppato, cioè non più unavittima impotente dellapropriapercettività.Eracircalaunamenoventi
quandomisedettisuldivano,spensi le luci e cominciai aconcentrarmi.Non abbandonai la testa
all'indietronéchiusigliocchi.Sentivo che quegliatteggiamentieranoinutili.I miei sforzi per mettermi
incontattoconHelenDriscollnon seguirono unprocedimento sicuro, giàsperimentato.Nonmormorai:Dove sei? Se ci sei, batti lagambadel tavolino,uncolpoper i sì, due per i no.Cercaisolodivuotarelamiamenteeaspettai che Helen si
manifestassedasola.Noneroingradodi controllare le sueforze psichiche, ma solo dioffrireunmezzoattraverso ilqualepotesseroesprimersi.L'intrusione cominciò
proprio in quello stato didormiveglia.Dapprima fu unsensodi tensione,unadoppiasensazione: discoraggiamento e di reazioneallo scoraggiamento. Mimossisuldivanoemiguardai
attorno pensando di vedereapparire la donna. Ma nonc'era niente. Restava soloquell'impressione dimalessere e di inquietudine,simile a quella provata laprima volta. Tuttavia adessoera diversa. Il mio sistemarispecchiava soltanto ilsentimento, ma la tensioneeraesterna,noninterna.Misi naturalmente la cosa
in relazione con Helen
Driscoll. Cercai di capire sequesto sentimento, questaemozione, potesseroappartenerealei.Nonpotevodirlo con certezza; eppure,avevo l'impressione che nonfossecosì.C'eraunanotachestonava,chenonsiadattavaalei.Misforzavodicapire.Eraforse sconvolta, stavaprovando difficoltà nelrivelarsiame?Unadifficoltàderivantedal fatto che io ero
diverso in seguito alla visitadiAlan?Feci per alzarmi: volevo
prenderecartaematita.Un'emozione puramente
animale colpì la mia mente:caddi a sedere pesantemente.Era stata troppo forte, troppovicina. Si espandevafluidamente, scorrendomidavanti alla mente,rapprendendosi in una brevecoesione, liquefacendosi di
nuovo. Come se quello chevedevo fosse una serie diimmagini rispecchiatenell'acqua, ma qualcuno viimmergesse ogni tanto lamano disperdendo a trattil'immagine.Sempre inconsapevole,
pensavo ancora a HelenDriscoll. L'emozione era sua,ne ero certo. Stava cercandodi comunicarmi qualcosa.Cosa, non sapevo. Tutto era
vago e impreciso, nonriusciva a prendere forma.C'era del furore, ira violenta,risentimento,odio.Macontrochinonavreisaputodire.Erocerto soltanto che si trattassedi Helen Driscoll. Forse,pensai a un tratto, odiavaSentas per motivi personali.Tutto sommato, avevacominciato a parlarglidicendo: Tu sai chi sono,HarrySentas.
Congetture di vario genereattraversavano il mio iocosciente, annebbiandone lesensazioni. Forse Helen erastata attaccata molto allasorella, eSentas, insofferentedi quell'affetto, si eracomportato scortesementecostringendola ad andarsene.O forse lei era statainnamorata di Sentas, epiuttosto che affrontare lavergogna inevitabile di
tradirsi in presenza dellasorella,avevapreferitoandarevia. Pensai addirittura cheSentas avesse avuto unarelazione con lei e che lasignora Sentas li avessescoperti, e che per questoHelenDriscollavesselasciatola casa. Ecco perché c'erasempre quell'atmosfera ditensione fra Sentas e lamoglie,comeseiduefosseroattori intenti a rappresentare
unacoppiabeneassortita,maesagerassero nel tonoformale.Continuavo a pensare a
questo, ma il pensierodeformava le immaginiulteriormente,scomponendole in macchieintelligibili. L'unica cosa cherestava costante erano leondatedifurorecrescente.All'improvviso, con
terrore, pensai che potesse
trattarsi di Anne, e chel'oggetto di tanta animositàfossiio.Cercai di scacciare l'idea,
ma invano. Poteva darsibenissimo, lo sapevo. Nellasua disperazione, nellageneraletensionediessereinattesadiunfiglioinunacasapiena di emozioni, niente dipiùfacilechesottol'influenzarilassatrice del sonno Annestesse emanando correnti di
odiocontrodime.Mialzai.Tornaiasedermi.
Non potevo crederci. Nonpotevo.Il furore aumentava.
Parole, come arti privi dicorpo,mifluttuavanoattorno,dapprima troppo distaccate,troppoimpreciseperavereunsignificato.Tentaicontutteleforze di capirle ma lasuperconcentrazione leindeboliva di più. Capii
improvvisamente che dovevorilassarmi. Tentai. Leimpressioni mi saltarono allamente.Parole.Crudele.Senzacuore. Casa, moglie, tu.Vergogna. Brutale e io. Tunonsai...E,finalmente,adulterio.Improvvisamente capii. E,
nelcapire,fucomesemilionidi frammenti di specchio sifossero ricomposti in unistante permettendomi di
vedervi riflessa la verità.Balbettaiparoleincoerenti.Si accese la luce del
corridoio. Trasalii. Sulriquadro di luce che piovevasulpavimentodelsalotto,miamoglie avanzavacamminandolentamente.—Tom?—chiamò.Un momento terribile. Un
momento in cui mi trovaisospeso in due punticontemporaneamente...
conscio di due fatti separatimasimultanei.— Tom, sei là dentro?—
Voce esitante, voce carica dipaura.— No!— Fu tutto quello
chepoteidire.— Tom, cosa... — Anne
tacque,elasuaformasifecenebulosa e indistinta davantiaimieiocchi.L'altrascenasimiseafuoco.FrankedElizabeth...
PoiAnneapparvedinuovonitida. Vidi che la sua manosialzavainpiccolimovimentitremanti fino a raggiungereunaguancia.— Cosa stai facendo? —
michieseconunfilodivocetremula.Non parlai. Stavo
osservando la faccia diElizabeth devastatadall'angoscia e intenta afissare Frank.Lo sguardo tra
sorpreso e ostile che lui lerestituiva.Leisapevadellarelazione!—Tom,cosastaifacendo?
—La voce di Anne irruppe,penetrando nell'ombra dellastanza.Mi riportò alla realtà.Sentii ilfrusciodellacamiciada notte nel buio, poi lalampada sul tavolo si accese.Annechesichinavasopra,lafacciairrigidita,emifissava.—Cosastaifacendo?
—ÈElizabeth—misentiirispondere con vocestrozzata. E, nel dire questo,ricordai tutt'a un tratto leparolediAlan.Speriamochesiascarica.—Oh,mioDio!—Scattai
ecorsiversolaporta.—Dovevai?—Lavocedi
Anneavevauntonoacuto.—Devo arrivare...—non
finii la frase. Spalancai laporta e mi lanciai fuori, a
piedinudi.— Tom! — Il suo grido
rauco fu terribile. Per unistante esitai, attrattodall'angoscia disperata diAnne.Poiecheggiòlosparo.Saltai sui gradini del
portico e attraversai l'erbafredda e umidaprecipitandomi verso ilmarciapiede.Ero a circa metà strada
quando sentii il secondosparo. Strinsi i denti e cercaidi correre più in fretta. Milanciai sul loro prato. Ilsalotto era illuminato da unasolalampada.Alan aveva torto. Chissà
perché questa fu la primacosa che pensai mentre mifermavo ansante e spiavodallafinestra.Perché Frank giaceva
rannicchiato sul pavimento...
nella posizione esatta in cuil'avevo visto il giorno prima.Tuttoera identico: lasmorfiacheglicontraevalafaccia,gliocchi fissi, il sangue cheusciva a fiottimacchiando lacamiciabianca.C'eraunasoladifferenza.Elizabeth stava immobile
come una statua sulla soglia,la Luger in mano,un'espressione selvaggia estravolta sulla faccia. Nel
silenzio sentivo lo scatto delgrilletto che lei seguitava apremereavuoto.Quando corsi all'interno,
leisivoltòdiscatto:mifissòunistanteprimadicrollareinavanti sul tappeto senzamandare un suono. Udii iltonfodellapistolasultappeto.Da quell'istante tutto fu
movimentoeconfusione.Corsi da Frank e mi
inginocchiaiaccantoalui,persentirgli il cuore. Battevaancora,debolmente.Solaunadelle pallottole l'avevacolpito, a quanto sembrava,ma era una brutta ferita alpetto. Mi rialzai, col sanguechemi pulsava nelle tempie,escavalcaiinfrettaElizabeth.Nell'armadio del corridoiotrovai delle lenzuola pulite.Mentre tornavo a scavalcareilcorpodiElizabethstavogià
trafficando col lenzuolo,spiegandolo e ripiegandolonel senso della lunghezza.Poi, inginocchiatomi ancoraaccanto a Frank, glieloavvolsi attorno al corpo contutta la delicatezza possibile.Lo sentii lamentarsidebolmente,maerasvenuto.La cosa che feci subito
dopo fu di precipitarmi incorridoio e chiamareun'ambulanza. Fatto questo,
mi arrangiai per trasportareElizabeth sul divano. Lafacciadelladonnaeradicera,efreddaaltatto.Leslacciaiilcolletto e cominciai amassaggiarle i polsi. Mentrefacevo questo, lei aprì gliocchi.Mi fissò per un attimo
come se non mi avesse maivisto in vita sua. Poi,bruscamente,sitiròsu.—Frank!—gemette.
La trattenni. — Stai giù,Elizabeth,staigiù.—No!No!Lottava, congliocchi fissi
su Frank, le spalle cheresistevano con forza allapressione delle mie mani.ContinuavaaripetereilnomediFrank.Poi,all'improvviso,leforze
parvero abbandonarla:ricadde sui cuscini deldivano.Chiusegliocchi,eun
lungo sospiro le uscì dallelabbraesangui.Ero di nuovo accanto a
Frank quando udii dei passiall'esterno. Pensai che fosseAnne, invece era un tale cheabitavanellacasavicina.— Cosa succ... —
cominciòadire,poitacque,abocca spalancata. —Misericordia — mormorò, erimase immobile, gli occhifissisuFrank.
Poco dopo arrivò ancheAnne, che si era infilata unsoprabito. La sua unicareazione fu di fissare Franksenza capire, poi me. Infineandò a sedersi accanto aElizabeth,elepreselamano.Sentii i singhiozzi rotti eaffannosidiElizabethmentrestringevo il lenzuolo perarrestarel'emorragiadiFrank.L'ambulanza arrivò dopo
cinque minuti, e qualche
minuto più tardi arrivò lapolizia.Quando tornammoincasa,
andaiinbagnoperlavarmilemani. Vidi il lavabo mezzopieno, imprecai, e mi diressiverso la cucina. Nel passareaccanto ad Anne cercai dinascondere le mani sporchedisangue.Sentii l'orologio battere la
unamentreentravoincucina.Era stata una serata
incredibile. EAlanmi avevadettocheormainonavreipiùavuto motivo dipreoccuparmi. Davverogrottesco.Mi stavo asciugando le
mani quando sentii unfruscio, e guardando al disopra della spalla, vidi Anneferma sulla soglia. Miguardava fisso. Riappesil'asciugamano, chiedendomiintantocosamiavrebbedetto.
Ormai credo che non sisorprendessepiùdiniente.Mentremivoltavovidiche
si sedeva vicino alla tavola.Mi appoggiai al lavandino eciguardammo.Finalmenteleiparlò.— Morirà? — chiese,
tranquillamente.Non era quello che mi
aspettavo. Per un attimo laguardaisenzarispondere.—Nonso—dissipoi.
Si portò una mano allagola.—Losai...manonvuoidirmelo.—No, non lo so davvero.
Ioeroconvinto...chesarebbemortaElizabeth.Anneabbassògliocchi.La
guardai in silenzio, poi miavvicinaiesedettidi frontealei.—Senti, Anne. Penso che
tu sappia... spero che tusappiaquantomifastarmale
tutta questa storia. Non sonoun mostro, Anne. Sonoancora l'uomo che haisposato, credimi. Detesto ilpensiero di spaventarti.Detesto il fatto che tuttequeste cose debbano capitarein un periodo come questo.Ma non posso impedirlo. Locapisci? Capisci che non lofaccio apposta? Pensi che iovoglia farti soffrire diproposito? Quello che mi
succede non è colpa mia.Sono una vittima, propriocome te. Non so nemmenocosa sia né perché debbacapitarmi.Masuccede,Anne.Devo adattarmi all'idea. Ècosì,enoncredochepasserà.Ne sono sicuro. Non soproprio cosa potrebbemettervi termine, ormai. Faparte di me. Cos'altro possodirti? Se solo tu volessiaccettarelecosecomestanno,
senza lottare con tantaviolenza...Seaccettil'idea,lacosanonfapiùpaura.Nonèpiù così terribile. Puòdanneggiarti solose ti ribelli,se credi che sia qualcosa diinnaturale.Locapisci?Dovevo essere stato
convincenteperchémiguardòquasiconcomprensione.Poil'attimopassò.— Cosa sarà di noi? —
chiese. — Potrà essere
ancora... come prima? Puòesserecomeprimaorachetusei diverso? Tom, che cosasuccederà se comincerai aprevedere il futuro sul contomio,sulcontonostro?Meneaccorgerei, Tom, per forza.Non potresti nascondermelo.E io sarei sempre in attesache ci succeda qualcosa diorribile!— Cara, quello che deve
succedere, succederà
comunque. Io non sono lacausadiniente.Èquestochehai pensato? Ma come haipotuto? Io prevedevo che lecosesarebberosuccesse...manon le ho fatte accadere io.Nonlocapisci?Si torceva le mani,
disperatamente.—Forsehai ragione,ma...
— mi guardò. — Staileggendominelpensiero,ora?—Anne, io...—eroquasi
senza parole. — Cosa pensiche sia, in nomediDio, unostregone? No, no che non tisto leggendo nel pensiero.Probabilmente non potreinemmeno se tentassi. Te l'hodetto che è diverso, ora.Prima la mia volontà eraimpotente, ricevevo le cosecome venivano. Ora debboconcentrarmi. Non so qualipoteri tumi attribuisci.Ma...bene,credimi,nonèpoicosì
fantastico. Tu non sei...esposta alla mia mente.Niente lo è. Io... io non soproprio come spiegarmi,Anne.Annesospirò.—Nonso—disse.—Non
so se potrò resistere. Viverecosìpersempre,vogliodire.—Cara,nonsaràcosìtutti
igiorni.Forseche...Elizabethsparerà a suo marito tutti igiorni? Forse che... tua
madre...—nonfiniilafrase.— E la donna? Come
facciamoconHelenDriscoll?Sesitrattadilei.— Questa è una cosa da
sistemare— ammisi. — Maunavoltasistemata...— E tu credi di poterla
sistemare?—Tenterò,Anne.Rimase silenziosa. Sentivo
ilticchettiodell'orologiosullacredenza.Dopounminutomi
alzai.—Mi dirai...— cominciò
lei.Mirisedetti.—Midiraitutto?Qualsiasi
cosa,Tom?—Tihogiàdettoche...—Tutto,Tom.Anchesesi
trattassedinoi.— Se vuoi — dissi —
certochelofarò.—Lepresilamanoattraversolatavolaegliela strinsi. — Io voglio
solo che tumi stia vicino—dissi.—Nonvogliochetumisfuggadi nuovo.Hobisognodi te, Anne. Questo non ècambiato.Sisforzòdisorridere.—Ho scritto amia zia—
ripresi. — Presto dovreiricevere risposta. Allorasapremo se... sapremoqualcosa di più. Questosemplificherebbe le cose perte, vero? Se tu sapessi che
esistono precedenti infamiglia?Esitò un momento, poi la
suamanostrinselamia.—Proverò,Tom.Perora...
non posso dire altro. È unastoria che mi spaventa amorte,maciproverò.Restammo un poco in
silenzio. Poi lei chiese: —Morirà,Tom?— Non lo so, Anne. È la
puraverità. Il sensodimorte
che ho provato si riferiva aElizabeth, non a Frank. Noncapisco, ti assicuro.Tuttavia... deve trattarsi dilui,credo.Mifissava intenta.Vedevo
chesimordicchiavaillabbro.—Tom.—Cosa?—E...io?— Tesoro, non so niente
riguardo a te... o a noi,credimi.
Poiricordai,lesorrisi.—Ameno...Parve terrorizzata. — Di
chesitratta?—Rimarrestimoltodelusa
— dissi— se ti annunciassicheavremounabambina?Mi guardava senza fiatare.
Poi i suoi occhi siaddolcirono, le labbra sischiusero.—Davvero?—mormorò.Le tenevo le mani. —
Credodisì.Guastaqualcosa,questo?Saperlo,vogliodire.—Unabambina—ripeté.
—Unapiccolabambina...Il pomeriggio seguente,
quandotornaiallavoro,Elsieera sul prato e innaffiaval'erba.Appenafrenaiinfondoalviale,misiavvicinò.—Nonèorribile?—disse.Perunmomentolaguardai
senzacapire.
—Oh—dissipoi—sì.Sì,èorribile.— Siamo tutti così
sconvolti! Una cosa tantotremenda. Ohhh! —Riconobbi quel brivido. Eralo stesso che aveva ostentatola sera in cui Phil le avevaparlato di spilloni piantatinella gola di soggettiipnotizzati.— Perché avrà fatto una
cosa simile?— continuò.—
Licredevocosìfelici.Non avevo bisogno di
telepatia o di altre percezionispeciali per captare l'eternacuriositàfemminile.—Propriononloso,Elsie.Elsie fece una risatina. —
Che cosa impressionante —ripeté.— Sì. — Feci per
allontanarmi.— Specialmente per via
delbambino—aggiunselei.
Restai col passo amezz'aria. Il piacere provatonelconstatarechenoneropiùespostoalle emanazionidellasua mente sfumò in unattimo.—Il...—feciperdire,poi
svoltai rapidamente l'angolodellacasaedentrai.Anne, in cucina, pelava
patate.— Il bambino? — le
chiesi,dopoaverlabaciata.
Annuìrattristata.—Stamattina—disse.—
Loshock.Haabortito.Mi sentivo male. La
visione era stata vera,dunque. Lamorte riguardavaproprioElizabeth,ma lacosaera più tremenda di quantoavessiimmaginato.— Povera Elizabeth —
dissi.— Si, ormai ha perso
propriotutto.
Restammo un momentosilenziosi.—AlloraFranknonmorirà
—dissi.Annescosselatesta.—No.Vivrà.—Strinsele
labbra.—Vivrà,lui.Duegiornidopo,andammo
all'ospedale a prendereElizabeth. Non c'eranoparentiperriportarlaacasa,eFrank era ancora ricoverato.
Contro lamoglienonc'eranoaccuse.Frankavevadettoallapolizia che si era trattato diun incidente, che entrambierano convinti che l'armafosse scarica. Credo che luivolessse farsi perdonare inqualche modo... anche seormaieratardi.Elizabeth era
assolutamente priva dicomunicativa quando lasostenemmo fino alla
macchina. Anne e io lestavamo ai lati. Leicamminava a passi lenti,esitanti, come se, nel giro dipoche ore, fosse invecchiatadimoltianni.La corsa fino a casa si
svolse in un silenzio quasicompleto. I tentativi diconversazione di Anne sultempoealtriargomentibanalirestavano senza risposta, oerano ricambiati da
monosillabiappenaudibili.Durante quella corsa in
macchinaricevettilepeggioriimpressioni mentali di tuttal'avventura. I momenti piùraccapriccianti, scoprii quelgiorno,possonoverificarsi inpienosole,nellapiùpraticaeterrena delle situazioni. Lanotte non è un elementoindispensabile, né i tuoni, ilvento, o la pioggia chescrosciaallefinestre.Quinon
c'eranomostri,masoloesseriumani.Nientestranecreaturedellanotte,nientesuonifatatio apparizioni. Tuttavia nondimenticheròmaiilmalessereche mi agghiacciò quelgiorno.La sensazione veniva da
Elizabeth,suquestononc'erail minimo dubbio. Cominciòlentamente, come un forterimorso, un senso didisperazione, una bramosia
patetica. Non durò a lungo.Crebbe gradualmente,emettendo scintille diemozione animalesca,trasformandosi in una massaorribile di fame crudele.Saliva e saliva. Emozioni diquellaforzaschiacciano.Nonavevo certo bisogno diconcentrarmi per captarle.Una richiesta imperiosa, unfreddo desiderio bestiale,terrificantenellasuaintensità.
Quando l'immaginedivampò nella mia mente,sentii che trasalivo,sussultavo sul sedile dellamacchina. Le mie mani sistrinsero al volante fino adivenirefreddeedesangui.La visione rappresentava
Elizabeth.Conmaniadunche,tremanti, la donna stavadilaniando i fianchi diAnne,lacerandone la carne estrappandone il bimbo.
Urlava come un'ossessa,strappavalapropriacarne...ecollocava il bambinoall'internodelsuocorpo.Fui contento di essere
arrivatoacasa.Anne voleva restare con
Elizabeth,mal'altradissechepreferiva rimanere sola. Nefui contento.Mentre noi dueuscivamo sotto il portico,sentimmo che Elizabethchiudevalaportaachiave.
— Tom... non tenteràqualcosa contro di sé? —chiese Anne. C'era unafiducia infantile nella suavoce: la fiducia nella miaabilità di uomo che vedevatutto,chesapevainanticipo.Stavo per rispondere che
non era possibile, poi ciripensai. Sapevo che nonavevo il diritto di dirlo. Nonavevo assolutamente idea diquello che poteva fare
Elizabeth.— Non so, Anne. Non
posso dirlo. Te l'ho spiegato,nonsonounostregone.— Scusami. — Mi prese
sottobraccio.—Avreidovutorestareconlei,però.— Vedrai che non le
succederàniente.Quando raggiungemmo
casa nostra, Anne fece unacorsa da Elsie per vedere seRichard stava giocando
tranquilloconCandy. Iosaliisotto il portico per entrare incasa.Laletteraeranellacassetta.La portai in salotto e la
lessi. Sorrisi. Era davvero unconforto.QuandoAnne tornò, gliela
porsi. Vidi che le sue labbrasi schiudevano mentreleggeva.—Tuononno—dissepoi
tranquillamente. Sorrideva
serena.— Il bisnonno. Castor
James Wallace delloYorkshire,Inghilterra.Strano,mierodimenticatodilui.Miamadre me ne parlava, credo,quandoerobambino.—Dunque,iltuobisnonno
era un medium — concluseAnne.—Sembradisì.Qualche momento dopo,
Anne piegò la lettera e se la
miseintasca.—Ebbene?—chiesi.Sospirò.—Ebbene, penso
che non ci sia altro daaggiungere.— Accetti la cosa? Puoi
adattarti a vivere con questopensiero?Sospirò ancora. Sembrava
rassegnata.— Sei mio marito, signor
medium.Le strinsi le spalle fino a
farla gemere. — Attento aSam—avvertì.—Non amaesseresoffocato.—ASandy—lacorressi.Sfregai la guancia contro i
suoi capelli soffici. Ricordaichemi avevachiestodi dirletutto.Bene,nonleavreicertodetto cosa passava per lamente di Elizabeth. Sapevocheperilfuturoavreidovutovenire a compromessi con lasincerità. Ci sono bugie e
bugie.— Bene— disse lei— e
adesso?—C'è ancora una cosa da
sistemare.—HelenDriscoll?Annuii.
13Venne la signora Sentas adaprirelaporta.Lastessasera,
pochiminutidopolesette.— Sì — disse. Aveva un
tonoregale,pienodialterigia.—Posso parlare a voi e a
vostro marito, signoraSentas?—chiesi.—Parlaredi che cosa?—
chiese,aggrottandolafronte.Mi schiarii la voce. — È
una faccenda alquantodelicata — dissi. — Possoentrare?Mi fissò un po', quasi
volesse stabilire se ero unessere umano o meno. Poi,con espressione di disgusto,chiese: — È proprionecessario? Mio marito e iostavamo preparandoci peruscire.—Sitrattadivostrasorella
—dissi.Se l'avessi punta con un
ago non avrei potuto farlasussultarepiùvivacemente.—Mia...—S'interruppe.
— Posso entrare? —ripetei.Si fece da parte.Le passai
accanto per entrare nelsoggiorno. Lei chiuse laporta.— Accomodatevi, prego
—disse.Mi guardai attorno e mi
sedetti sul divano. Ilsoggiorno era un duplicatodel nostro, ma larassomiglianza si limitava
alle dimensioni. Mentre ilnostroeraarredatoconmobilia rate stile coloniale, quellodei Sentas era pieno disuppellettili di stile franceseantico,deltipopiùpreziosoericco: tavolini col piano inmarmo,sedieedivaniantichi,specchi dorati, pesantitendaggi e tappeti soffici.Anchesenzal'aiutodellamianatura di medium, avreigiurato che il gusto era della
signoraSentas.Lei si sedette sull'orlo di
una sedia, e dalla cucinasbucòilsignorSentasconunbicchiereinmano.— Cosa c'è? — chiese,
guardandomi come se fossiun commesso viaggiatoreinopportuno.—IlsignorWallacedicedi
aver qualcosa da riferici suHelen—spiegòlamoglie.— Oh! — Sentas prese
posto su un'altra sedia. —Allora?Deglutii innervosito. Una
cosa era esporre i fatti adAnne, tutt'altro era affrontareiSentasconquellocheavevodadire.— Mi chiedevo —
cominciai— se potete dirmise vostra sorella vi ha scrittoultimamente...—Perchécelochiede?—
chiese Harry Sentas prima
ancorachefinissi.—Hounamia ragione—
spiegai.—Hascritto?— Non vedo perché vi
impicciate... — incominciòSentas.— Harry. — Lei aveva
parlatotranquillamente,mailmarito si calmò subito. Mirivolsiallasignora.Sembravaleggermenteturbata.— Perché ce lo chiedete?
—s'informò.
— Cosa avete fatto, aveteapertounaletteraindirizzataanoi?—chieseSentasin tonodisfida.Guardailasignoraprimadi
rispondere.— No — dissi,
fulminandoloconun'occhiata.— Signor Wallace, vi ho
fattounadomanda—disselasignoraSentas.La guardai di nuovo.
Dietro l'aspetto imponente,
percepivounapauraabietta.— L'ho chiesto, signora
Sentas, perché devo dirviqualcosa riguardo a vostrasorella. Ma prima di tuttodebbosaperese...—Dircichecosa?— Temo che dobbiate
prima rispondere alla miadomanda.— Signor Wallace,
pretendodisaperedichecosastateparlando!
— Sto parlando di vostrasorella, signora Sentas —replicai. — Temo che siamorta.La signora Sentas trasalì,
poirimaseimmobile.— Ma di cosa state
farneticando! — proruppeHarrySentasincollerito.Posòil bicchiere con un colpoenergico. — Sentite,giovanotto...—Harry!—Lavocedella
donnaeramoltoscossa.Seguì un lungo silenzio.
Rimpiansi di aver espresso imiei timori con così pocotatto,sebbeneleimiciavessepraticamentecostretto.LasignoraSentasritrovòil
fiato.— Perché dite che è... —
nonpotéfinire.Mifecicoraggio.—Perchél'hovistaincasa
nostra—dissi.
—Cosa?—La signora siprotese in avanti, sbarrandogliocchi.—L'hovista—ripetei.La signora Sentas
rabbrividì.— Chi diavolo credete di
essere per venire qui araccontarci delle fantasie delgenere!—esploseSentas.—Maledizione, ho una mezzavogliadi...—Non sono...— feci per
ribattere.— Non so quale sia il
vostro gioco— continuò lui,puntandomicontroundito—ma farete meglio a stareattento.Viavviso.—Harry...L'uomo tacque, e guardò
nervosolamoglie.—Stammiasentire,Mildred—disse—questoèunaspeciedi...—siinterruppe di nuovo,vedendolascuoterelatesta.
—Nonaveteavutonotiziadalei,vero?—chiesi.La voce della donna era
incerta.—Mai, da quando èpartitaperNewYork.—Equandoèstato?—Circaunannofa.— Sentite, amico, siamo
stufi di queste chiacchiere,capito?—disseSentas.—Harry,perfavore.— Senti — insistette lui
rivolto alla moglie —
dobbiamopropriostarequiadascoltare tutte queste... —s'interruppeemiincenerìcongliocchi.—Fuoridiqui!—ordinò.—Subito!Mialzai.— Signor Wallace, cosa
intendete dire affermando diavervistomiasorella incasavostra? — chiese la signoraSentas,alzandolavoce.—Quello che ho detto—
risposi. — L'ho vista. E se
volete vederla anche voi,venitaacasamiatraun'ora.— Maledizione,
giovanotto,levatevidiqui!—ruggì Sentas, facendo unpassoversodime.— Guardatevi bene dal
toccarmi — lo minacciai,dirigendomiversolaporta.—SignorWallace!Mi voltai. La signora
Sentas,inpiedi,mifissava.— SignorWallace, questo
è uno scherzo di cattivogusto...—cominciòconvocetesa.Aprii la porta. — Non è
unoscherzo—dissi.Sentas raggiunse la porta.
Me la sbatté violentementealle spalle, facendomelabatteresuitalloni.— Se rimettete piedi qui,
chiameròlapolizia!—urlò.Sbuffai inferocito mentre
mi dirigevo verso il vialetto
di separazione. Dall'altraparte della strada vidiElizabeth seduta sul prato.Anne era in piedi accanto alei, ed entrambe guardavanonella mia direzione. Senzadubbio il colpo della portasbattutaeragiuntofinoaloro.Anne disse qualcosa aElizabeth, poi attraversò lastrada.—Bene, tanto rumore per
niente—dissi,mentreleimi
seguivaincasa.—Nonvoglionovenire?— No, all'inferno. Sentas
mi ha buttato fuori.Probabilmente il meseprossimo ci manderà ladisdetta.—Allorachesifa?Mi strinsi nelle spalle,
sbuffai.— Lo sa il cielo—risposi.Annemiguardòsenzadire
niente.
—ComestaElizabeth?—chiesi.— Come vuoi che stia? È
viva,nient'altro.— Poveretta... —
mormorai.—Leho...dettodi...—Cosa?— Di quello che è
successo. Non tutto, sicapisce. Solo di HelenDriscoll.Scossi la testa. —
Garantitochequesto la tireràsudimorale.— Sai, ti ha visto entrare
daiSentasemihachiesto seavevi qualche questione conloro.Annuii. Poi mi lasciai
cadere sulla sedia. — Bene—disse—siamodinuovoinaltomare.Sealmeno...Il telefono suonò. — Oh,
sveglieràRichard.—Annesiprecipitòincorridoio.
— Pronto? — la sentiirispondere. Silenzio. Poi —Ah?— Pausa.— Sì. Infatti.— Ancora una pausa. —Arrivederci.Tornòmeravigliatissima.—Vengono—annunciò.Alle otto e un quarto
bussarono alla porta. Noieravamo in cucina, finivamodisparecchiare.—Tom?Mi fermai sulla soglia. —
Dimmi.—Sarà...terribile?Stavo già per mentire, ma
ci ripensai. — Non lo so,tesoro, onestamente. Non socosa succederà. Per questovoglio che tu vada daElizabethecirestifinchésaràfinito.Il campanello suonò di
nuovo.Annescosselatesta.—Non ti lascio solo.Se...
svieni, o che so io, voglio
esserepresente.Sorrisi.—Puòanchedarsi
chenonsiverifichiniente—dissi—madobbiamotentaredi tutto per aggiustare questastoria.Il campanello squillava
insistentemente. PotevoimmaginareSentaspremereilpulsante, stringendoimpazientelelabbra.— Sarà meglio che tu lo
facciaentrareprimachebutti
giù la porta a calci — disseAnne,sforzandosidiapparireallegra.— Niente paura — dissi.
— Non danneggerà la suaproprietà. O meglio, laproprietàdisuamoglie.Attraversai il soggiorno e
apriilaporta.—Buonasera—dissi.Sentas annuì. La signora
fece un breve cenno.Entrarono, e mi accorsi che
fissavanoiltavolinodagioconel mezzo del salotto e lequattrosedieattorno.ArrivòAnne.—Buonasera
—disse.Sentasgrugnìdinuovo.—
Signora Wallace — salutòMildred Sentas, freddamentecortese.—Voleteaccomodarvi?—
invitòAnne.Si sedettero a disagio,
rigidi.
— Ora ascoltate bene —esordì Sentas prima ancorachenoicisedessimo.—Nonilludetevi nemmeno per unattimo che noi beviamoquesta storia... questa vostratrovata.Noncicrediamo.Mamia moglie è preoccupataperché non ha notizie di suasorella, capito? Per questosiamo qui. Se questo è unoscherzo o qualcosa delgenere...—non finì la frase.
Noncen'erabisogno.— Vi assicuro che non è
unoscherzo—dissi.—Allora cos'è?— chiese
la signora Sentas. — Cosaintendevatecoldircidivenirequi se volevamo vedere miasorella?—Intendevo...— E cosa debbo pensare
del vostro bambino che miparlaval'altrasera?—accusòSentas.—Nonèunoscherzo,
quello?Guardai la sua faccia
furiosa.—Nonpenseretechefosse
un bambino a parlarvi, vero?—glichiesi.Stava già per dare una
risposta tagliente, ma rimaseseduto a bocca aperta. —Cosavorrestedire?—chieseintonospaventato.— Io penso che fosse
vostracognata.
— Signor Wallace, ne hoabbastanza! — ci interruppeinfuriatalasignoraSentas.—O vi spiegate chiaramente oce ne andiamoimmediatamente!— Sarò felicissimo di
spiegarmi.In breve, omettendo i
particolarimenosignificativi,dissi loro dell'ipnosi e deisuoirisultati.— È... proprio vero? —
chiese, incredula, MildredSentasquandoebbifinito.—Se lo desiderate, potete
telefonarealdottorPorterpercontrollare—ribattei.— Può darsi che lo faccia
—disselei.— Non ho mai sentito un
mucchio di fesserie delgenere in vita mia — disseSentas, ma la sua voce noneraaggressivacomealsolito.— Ancora non capisco
perché affermiate che miasorella sia...morta—obiettòlasignoraSentas.—Ho detto: penso che lo
sia—precisai.—Perquestovi ho chiesto se avevate suenotizie. Il fatto che non nesappiateniente...— Vorreste dirci di avere
visto il suo... spettro? —chieseleisprezzante.— Penso di sì — dissi.
EvitavodiguardareAnne.
—Virendete...— Andiamocene! —
esclamòSentas.— Vi rendete conto di
quello che ci state chiedendodi credere? — terminò suamoglie.— Me ne rendo conto —
dissi.—Mahovistopropriovostrasorella.Diquestosonosicuro.— Come sapete che si
tratta di lei? — chiese la
signora Sentas. —Ammettendo che abbiatevisto qualcosa, cosa di cuidubito.Le dissi del vestito, di
Elizabeth che ne avevaconfermatoladescrizione.—Avete visto questo?—
disselei.—Quidentro?—Oh,peramordelcielo!
— sbottò Sentas. — Avràvisto una fotografia diHelene sta cercando di
imbrogliarci.Cosavolete...— Imbrogliare chi, signor
Sentas?Cosa credete chemene venga in tasca a dirviquestecose?Feceper rispondere, poi si
controllò, mi lanciòun'occhiatabieca.Mirivolsiasua moglie. — Quando halasciato la California vostrasorella?—Nelsettembrescorso.—Nonvoglioindagarenei
fatti degli altri — dissi —ma... aveva qualche motivospecialeperandarsene?Lei scosse la testa.—No,
nessunmotivo.— Non si comportò
stranamenteprimadipartire?—Noinonl'abbiamovista
partire,signorWallace.Le parole agirono su me
comeunascossaelettrica.Laguardai.—Noncapisco.
—Helen ci ha lasciato unbiglietto—spiegò la signoraSentas.Cercai di calmare i tonfi
sordidelmiocuore.— Capisco — dissi. —
Bene... vogliamo provare a...—indicaiiltavolodagiocoelesedie.—Andiamo,Mildredvieni
viadiqua—disseSentas.Lei lo fece tacere con un
gesto, mentre mi guardava
intensamente. — Cosasperate di ottenere, signorWallace? Tanto vale che vidicachenoncredoaunasolaparola del vostro discorso.Ma sono preoccupata perHelen.— È molto semplice —
spiegai. — Ci sediamoattornoaltavolinodagiocoeio cercherò di mettermi incontattoconvostrasorella.— Oh, per... — Sentas
s'interruppe calandosi unpugnosulginocchio.—Forsetu sei abbastanza ingenua darestare qui, Mildred, ma iomenevado!— Resteremo — fu tutto
quellocheleidisse;ma,inunsecondo, percepii conesattezza la situazione tra leie Sentas: l'uomo ignorante,sempre pronto ad alzare lavoce, sposato alla donnabrutta ma ricca e colta. Una
donna che aveva preferitoquelmatrimonioaunosterilezitellaggio.— Vogliamo provare,
allora? — proposi,alzandomi.Senza una parola, Anne e
la signora Sentas presero iloro posti al tavolino dagioco.MildredSentassedevarigida, la faccia inespressiva.Masticando un'imprecazione,ilmaritosisedettedifrontea
me, facendo scricchiolare lasedia sotto il suo peso.Incrociò le braccia e mipiantò gli occhi addosso.C'era qualcosa di animalescoin quegli occhi... e nella suamente. Sentivo provenire daluiondatediaggressività.— Benissimo — dissi,
sforzandomidiingnorarlo.—Ora sedete tranquilli, perfavore.La signora Sentas non si
muoveva. Anne mi guardavacon apprensione erabbrividiva. Sentas siappoggiòall'indietrocontrolaspalliera, facendolascricchiolare.—Unmucchiodiidiozie—brontolò.Poi si fece silenzio.
Aspettaiche tutti fosserobensistemati,poichiusigliocchi.L'unicosuonocheudivoerailrespiro pesante di HarrySentas.Cercai di sgomberare
la mia mente, sentendo concertezzachequalcosasarebbesuccesso.Non sapevoda checosa mi venisse quellacertezza: era solo unaprofonda convinzionepersonale.Dopo un certo tempo
cominciaiachiedermiperchémai Sentas respirasse cosìaffannosamente. Finché,bruscamente mi resi contocon un ultimo guizzo di
coscienza che ero io. Il miopettorespiravafaticosamente,ilmiocervellovenivaavvoltoda nuvole di oscurità. Sentiiiche piedi, caviglie, mani,polsi, diventavano dighiaccio. Il mio respiro sifece sempre più affannosofinché si trasformò in unansareviolentoerotto.Perunistante colsi l'immagine deitrechemifissavano.Poipersiconoscenza.
Annemiraccontòtuttopiù
tardi.Appena chiusi gli occhi, il
miorespirosifeceagitato.Latesta mi ricadde in avanti ecominciò a oscillare da unaparte all'altra, le bracciascivolarono lungo i fianchirestandovi abbandonate,sussultandoditantointanto.Ilineamenti si indebolirono, laboccasiaprì,tuttiitrattidella
faccia persero i contorni,svuotandosi di ognipersonalità.La cosa durò parecchi
minuti.Poi, all'improvviso, il
respiro affannoso cessò: sifececalmissimo.Loro trasalirono mentre la
miatestasirialzavadiscatto,gliocchisemprechiusi.C'eraun rantolo secco nella miagola, un gorgoglìo... come
quando un demente tenta diparlare.Poiparlai.— Mildred — dissi, in
tonopiatto,inespressivo.La signora Sentas sussultò
e si contrasse sulla sedia, gliocchi neri fissi sulla miafaccia.— Mildred — dissi. —
Mildred.Leimandòungemitorotto,
soffocato.
—Farete...faretemeglioarispondere — le bisbigliòAnne.—Mildred?—insistevo.—...sì—disselei.Lamia faccia fu sconvolta
all'improvvisodaunasmorfiadi disperazione amara. —Mildred — gridai, con lavoce rotta dall'emozione. —Oh,Dio,Mildred,dovesei?LasignoraSentastremava,
fissandomiinorridita.
Allungai una mano,annaspando.—Mildred?— No — piagnucolò lei,
ritraendosi.— Mildred? — La mia
mano continuava adannaspare.—Maledizione, smettetela
—mormoròSentas.Trovai la mano fredda,
tremantedellasignoraSentas,e la trattenni. La signoragemette. Cercò di sottrarsi,
manonlalasciaiandare.— Scusami, Mildred —
dissi,intonodesolato.—Oh,Dio,comemidispiace,cara.Sentas, con gli occhi fuori
dall'orbita, fece per allungareunamano,maAnnelefermòintempo.—No!—bisbigliòinfuriata.— Mildred — dissi —
sonoio,Helen.La signora Sentas
abbandonò improvvisamente
latestasultavolo,scoppiandoinsinghiozzi.—Mildred,nonodiarmi—
dissi. — Ti scongiuro, nonodiarmi.— Smettete questa
maledetta...Sentas tacque di colpo
mentre, con un sibilo daserpente, io scattavoall'indietroritirandolamano.Lofissai.— Andiamo, vieni via —
disse lui alla moglie,pensando probabilmente cheioadessofossisveglio.—Harry—lochiamaicon
voceterrificante.Mi lanciò un'occhiata. —
Sentite, giovanotto —cominciò, poi rimase zitto,fissandomi a bocca aperta,rendendosi contoall'improvviso che non eroaffattosveglio.— Harry — ripetei. —
HarrySentas.—Imieidentibattevano, il fiato mi uscivasibilando.—Dio ti condanniall'inferno, Harry, maledettofigliodiuna...Bruscamente, chiusi gli
occhiemicopriilafronteconle mani. — Oh, Dio cos'hofatto?— singhiozzai.Rialzaila testa. Tesi le maniimploranti verso HarrySentas, le guance bagnate dilagrime.
— Harry, perché? —chiesi. — Perché, Harry?Perché?Conungrido rauco,Harry
Sentasmirovesciòiltavolinoaddosso, mandandomi lungodistesosulpavimento.
14Rinvenni con una scossaviolenta. La testami pulsava
dolorosamente.—Caro!Fissai la faccia di Anne
sbiancata dalla paura,mentremisiinginocchiavaaccanto.— Lasciami andare! —
udii cheSentas ringhiava,—Chi diavolo crede di essere,inscenareunabuffonatacomequesta!ElasignoraSentas,chegli
urlava con voce isterica: —Smettila!Smettila!
Non potei seguire quelloche accadde della loro lottanel soggiorno fino alla lorouscita dalla casa. Credevo digiacere a terra sul tappetomentre ero sdraiato suldivano conAnne china su dime,chemistavabagnandolafaccia con un asciugamanoumido.— Acqua — fu la prima
cosa che riuscii a dire. Poisospiraiericaddiall'indietro.
—Nonc'èdameravigliarsiche se ne siano andati —dissi.— Sbattendo la porta —
concluse lei. Scosse la testaconunsorrisodoloroso.Sentivo tornare il vecchio
terroremistoasbigottimento.—Anne...—Nondireniente.Deglutii. — Va bene —
acconsentii—ma...eSentas?Si ritirò indietro, con aria
preoccupata.—L'haipropriomandatoinbestia.— Credo di sapere il
perché—dissi.Leinon fecedomande,ma
sapevoacosastavapensando.— Helen Driscoll non è
maipartitaperl'est—dissi.—È...—Annemifissava
aspettando.—Èmortaqui.Sentasl'ha
uccisa.—Cosa?
— Sono pronto ascommetterci.Tuttocoincide.Se lui sapeva che la cognataera a New York, perchépreoccuparsi tanto?Diquelloche ha sentito stasera, vogliodire.—Ioavevocapitoche...—Cosa,tesoro?— Pensavo che forse lui
aveva avuto una relazionecon questa Helen Driscoll, etemeva che tu fossi venuto a
saperlo e volessi ricattarlo ochesoio.Nonmiparecheluicreda a quello che gli haidetto a proposito di lei... delmedium,eccetera.— Nemmeno io lo credo,
ma la sua reazione è statatroppo forte, violenta, perchési tratti solo di quello chepensi tu... e che convinceanche me, però. Sonoconvinto che lui sia statol'amante di Helen Driscoll.
Ma penso anche che l'abbiauccisa,echepoiabbiascrittoquel biglietto per far credereche la cognata fosse partitaperNewYork.—Ma...leidov'èallora?— Probabilmente sepolta
inuncanyon—dissi.Anne rabbrividì. —
Orribile—mormorò.—Peròcomepossiamoessernecerti?Se è morta, la polizia comepotrebbeprovarlo?
—Non lo so. So soltantoche se volessi dare unatestimonianza, mi riderebbeinfacciatuttoiltribunale.— Se soltanto si potesse
sapere dove questa donna èsepolta, ammettendo che tuabbia ragione... e veramentecomincioproprioacrederlo...—Rabbrividì.—Zitta!—L'abbracciai,le
accarezzai la testa. Cercai dirisponderle qualcosa. Ma
quello che avevo detto eraassolutamente vero. Cosapotevo dire alla polizia, perconvincerli?Sonounmediume la donna assassinata miappare regolarmente? Miavrebberorisoinfaccia.Eppure sapevo che era
vero. Lo sapevo. Tutto loindicava. La reazione diSentasquandoRichardavevadettoilsuonomequellasera.La reazione a quello che
avevo detto io poco prima. Isuoi tentativi di tenere lamoglie alla larga da casanostra per paura che leiscoprisse qualcosa. Ilbiglietto lasciato da HelenDriscoll.Ilfattochelasorellanon l'avesse vista partire. Lasituazione in sé. Una mogliebrutta, dispotica, un maritoanimalesco, e per completareilquadro,lacognataattraentecheabitavaallaportaaccanto,
che probabilmenteminacciava di denunciare leinfedeltà di Sentas, il furoreche montava nel cervello dilui, i piccoli occhi selvaggiche cercavano qualcosa perferire,percolpire.— Che io sia dannato —
dissi.—L'attizzatoio!—Miprecipitai al caminetto, efacendomi coraggio presi inmanol'attizzatoio.Anne vide ilmio sussulto.
— Per questo lo lasciaicadere quella sera — lespiegai.—È...—Lo lasciaicadere di nuovo. — È stataammazzata con questo —dissi.Anne guardava me,
guardaval'attizzatoio.— Portamelo vicino alla
lampada, ti dispiace? — lechiesi.—Devo...portarlo?— Non posso toccarlo,
tesoro.Comesesi trattassediuna
serpe,Annepresel'attizzatoioe lo portò sotto la luce dellalampada.—Mel'immaginavo.—Cosa?— Lui l'avrà raschiato.
Sono certo che sul ferro nonc'èpiùnessunsegno.— Non potrebbero
essercene altri di... segni?—chieselei.
—Aquest'orasarannotutticancellati. Non sapreinemmeno da che partecominciareacercarli.— Se è andata proprio
così, la polizia non potrebbeobbligarloaconfessare.Scossi la testa.—Senza il
cadavere,lacosanon...M'interruppi per un
pensiero improvviso. —Chissà...—dissi.Lei non parlò ma vidi la
sua espressione di nuovoallarmata.—Quellevecchiestorie—
continuai — sui... fantasmi,sulle case con gli spiriti.Spesso, sotto la casa c'erasepolto...— Tom! — Anne era
pallidissima.—Percarità...— Mi dispiace. So che
l'idea è atroce, ma potrebbeessere vero, Anne. Quellosguardo implorante negli
occhidelladonna...—Tom,tiprego!—Bene,c'èsolounmodo
perscoprirlo.—No—mormoròlei.Poi,
riluttante, aggiunse: —Adesso?—Sentaspotrebbefuggire,
Anne. Se pensa che io abbiaqualcosa di preciso con cuiaccusarlo,potrebbescappare.— Sì, ma... — Cadde
pesantemente sul divano. —
Nonpossoaiutarti.—Scosselatesta.—Oh,Signore,speroche sia tutto un sogno. Sescoprirò che abbiamovissutosopra un... — Chiuse gliocchi.— Starò via solo pochi
minuti.—Midiressiversolacucina.—Tom?Mivoltaidallasoglia.— Dove... dove hai
intenzionedicercare?
Feci un gesto vago. —Sotto la casa, penso. Nelcortileposteriorenonsarebbestato prudente. Avrebbepotutoessereritrovato.Tornosubito—aggiunsi.Uscii nell'aria fredda della
sera e raggiunsi la portalaterale della rimessa.All'interno, accesi la luce etrovai lazappa.Avreidovutoscavareproprio sotto la casa,e la vanga aveva il manico
troppo lungo. Staccai dalgancio la lampada a pila eusciidinuovo.La cantina non c'era:
raramente esiste nelle villettea un solo piano dellaCalifornia. C'era soltanto unpiccolo pozzo di cementoaccanto allo sbocco dellatubatura, con un'aperturagrande abbastanza perentrarvi alla meglio. Posaizappa e lanterna, tolsi la
griglia di ferro e l'appoggiaicontro la casa. Poi accesi lalanterna,afferrailazappaemintrufolaisottolacasa.Era come essere in una
cella frigorifera là sotto. Ilterreno dell'impiantito eraumido e freddo. Feci girareintorno la lucedella lanterna,provando un sollievocrescente perché la luce nonmostrava che terra piatta ebattuta.
Duròpoco.Conunoscarto,il mio braccio si irrigidì: ilbiancoraggioluminososierafermato su un piccolomucchioditerra.Deglutendo a vuoto,
strisciai verso il tumulo. Miparve che nella mia mentefosse echeggiata una parola:sì.Lo spazio eramolto basso
vicino al tumulo e potevoscavarestandoquasisdraiato.
Nel silenzio, l'unico rumoreerailtonfoleggerodellaterraumidaebrunachegettavodaparte. Cercai di ignorare ilcrescente pulsare della miamente. Presto, mi sembravadi sentire, presto! Forsetroverò un medium vero chepossa insegnarmi acontrollare completamentequesta mia forza, questotalento.Alloranoncifaràpiùsoffrire,allorapotrò...
Poi,bruscamente,piantailazappetta nella terra eindietreggiai più presto chepotei. — Va bene —mormorai—vabene,èfatta.Èfatta.Ora la prova c'era, il
misteroerarisolto.All'esterno, mi alzai in
fretta e scossi la terra dallacamicia e dai pantaloni.Rimisiapostolagrata,poimiavviai verso l'ingresso della
cucina,spegnendolalanterna.Incucinalasciailalanterna
sul tavolo. Nel soggiorno,Anne si voltò di scatto nellamiadirezione.Nondisseunaparola.Laraggiunsi.—Oh—dissi,sorpreso—
ciao!—C'era Elizabeth. Eraseduta sulla sedia verde, colsoprabito addosso. Mi salutòannuendo.—Hodetto aElizabethdi
venire da noi se si sentiva
sola—disseAnne.Lodicevatanto per occupare il tempo,lo sapevo, perché la suamente era dominata da unpensierosolo.— Ecco — diedi
un'occhiataaElizabeth.—Lehai...detto?—No.Elizabeth guardava i miei
abiti.Guardaiamiavolta:erotuttomacchiatodifango.— Bene, hai trovato
qualcosa? — disse Anneall'improvviso.Deglutii. — È là sotto —
dissi.—Oh,Dio!Ci fu un leggero fruscio
all'altrolatodellastanza.—Ècosì, eh? — sentii dire daElizabeth.Quandomivoltai,mistava
puntandocontrolaLuger.
15— Liz, cosa stai... — Annenon poté dire altro. Fissavainebetitalapistola.Immobile, senza parole,
guardavo la faccia pallida diElizabethquasistravoltadallatensione. Dopo tantechiacchiere, pensavo, dopotutta la mia decantatatelepatia, ero ammutolitodallasorpresa.— Liz, cosa significa? —
chieseAnne.LosguardodiElizabethera
terribile.— Tu? — dissi io,
incredulo.—Tu?—Non parlarmi in questo
modo—ringhiòElizabeth, eio trasalii vedendoche il suoditosiirrigidivasulgrilletto.—Elizabeth?—Annenon
si raccapezzava.Eraevidentedal suono confuso, agitatodellasuavoce.
—Dovevi ficcare il naso,vero? — disse Elizabethrivolta a me. — Doveviimpicciartiditutto.—Elizabeth—dissi io—
metti...viaquellapistola.—Ti piacerebbe, vero?Ti
sarebbe piaciuto se la poliziami avesse portato viaquest'arma, vero? Ma nonl'hanno fatto... perché Frankha detto che era stato unincidente. Non è stato
gentile? — Tutto l'odio e ildisprezzo che aveva repressoper mesi sembrò affiorarenellasuavoce.— Cosa significa questo?
—vollesapereAnne.— Posso sedermi? —
chiesi a Elizabeth fissandolainviso.— Posso sedermi? —
ripeté lei facendomi il verso,sprezzante.—Fa'comevuoi,chedifferenzac'èormai?
Sedetti lentamente perchéil movimento non la facessescattare. Posai la mano suquelladiAnne.— Liz? — ripeté mia
moglie.— Che bel quadretto —
disse Elizabeth, ignorandola.—Unbelquadrettodavvero!— Il tono, che all'inizio erasprezzante, terminò con unsinghiozzo.— Elizabeth, metti via
quellapistola...—Taci!—Un lagrima le
rotolò lungo la guancia, malei non parve accorgersene.— Non voglio più sentirtiparlare.— Elizabeth, cosa c'è?—
chieseAnne, che ancora noncapiva.—Elizabeth,èl'a...—feci
perdireaAnne.—Smettila dimormorare!
—scattòElizabeth.
— Elizabeth, sveglierai...—Anne s'interruppementre,presodalpanico, lestringevolamanofinoafarlemale.— Richard? — disse
Elizabeth, con occhiscintillanti. — Il tuobambino?Sentii che Anne
boccheggiava per ritrovare ilfiato.—Cosa...—mormorò.—Diccitutto,Liz—dissi
in fretta. — Se possiamo
aiutarti...— Aiutarmi... — La sua
voce era convulsa, stravolta.— Volete aiutarmi? Miridarete il mio bambino,forse?Eh?Cercai di stare calmo. —
No, Elizabeth, ma possiamoaiutartiperquantoriguardalapolizia.Si raddrizzò sulla sedia, la
pelle tesa sulle guancediafane.
—Non la vedrete mai, lapolizia. Non vedrete piùnessuno.Tuseiunficcanaso.Unmaledettoficcanaso.TihosentitoquandoiSentaseranoqui.Erofuori,sottoilportico.Ho sentito tutto. Maledettopettegolo! — La voce lemancò, cercò di soffocare isinghiozzi con un respirorantolante.— Elizabeth! — gemette
Anne.
— Vorreste sapere comel'ho uccisa, vero? Come houccisoquella...sgualdrina!La parola sulle sue labbra
suonòdisgustosa.— Ecco cos'era. Ma a lei
non importava. No! Nonpensava che agli uomini, lei.Sempre.Qualunqueuomo.UdiiAnne singhiozzareun
poco.— Non era... non era
abbastanzachesiprendesseil
maritodisuasorella.No,no,non bastava ancora. —L'arma oscillò nella mano diElizabeth.— Doveva rubarlitutti, prendersi tutti i mariti.Un marito, uno qualsiasi,purché potesse portarselo a...—Batteva identi, lavoce lesi strozzava in gola, tremavadallatestaaipiedi.—Liz—dissi,manonmi
badò.—Liscoprii—dissedopo
un po', annuendo. — Liscoprii. Tutti pensano che iosiacosìstupida...PoveraLiz.PoveraLiz!Leinonsaniente,povera Liz. È solo... unastupida... — Un altrosinghiozzo.Mialzai.— Siediti! — mi gridò,
inferocita. Subito mi ritrassi.Leimiguardavacongliocchiin fiamme. Era evidente chein lei c'era rimasto ben poco
di equilibrato. Del resto, contutto quello che avevapassato, non c'era dameravigliarsene.— Scoprii tutto —
continuòtentennandolatesta,conun sorrisoorribile, truce.— Scoprii tutto. Frankcredeva che non sapessiniente,masapevo.Perquestomi permise di avere unbambino. Non lo sapevatequesto, vero? Dovetti
mercanteggiare. Fare uncontrattoper...Improvvisamente la mano
libera le salì alla faccia,coprendo un occhio e laguancia. — Ho dovutocontrattareconmiomantoperpoter avere un figlio! Èmeraviglioso. Non èmeravigliosoforse?— Liz non fare così —
mormorai. Era sconvolgenteascoltarla,sentirequellavoce
pietosa confessare tutti gliorrori che aveva dovutosopportare.—No,dovretesentiretutto
— minacciò, puntando laLuger contro di noi. Miaccostai di più ad Anne,prontoagettarmidavantialeise fosse stato necessario. —Ancheiparticolaripiùsudici!Ricadde contro lo
schienale.— Frank era uscito quella
sera.Nonsodovefosse.Cheimportanza ha?Probabilmente era andato dauna donna, qualche sporca...— tacque, rabbrividendo,stringendolelabbra,lafacciaridotta a una mascherademente. — Vidi Sentasvenire qua. Sua moglie nonc'era. Così lui venne quastrisciando. — Ora la suavoce era un pianto pieno didisprezzo. — Come un cane
che annusa l'aria e sente chec'è una cagna in calore nellevicinanze.Povera Elizabeth, timida,
tranquillaElizabeth.—Non ci rimase a lungo.
Noncimiseromolto.Luiuscìpocodopo.Nellacasa le lucierano spente e io miavvicinai.Laportaeraaperta.Entrai. Lei non era nelsoggiorno. Sapevo dovepoteva essere. C'era un solo
posto dove poteva essere,nell'unico posto adatto a lei.Sdraiata su un letto. Alloraio... io...— si agitò di colpoal ricordo. — Afferrail'attizzatoio, quello... Non losapevate, vero? Ed entrainellacameradaletto.Nella stanza c'era un
silenzio innaturale, si sentivasolo l'ansare rauco diElizabeth.— Era ancora vestita...—
Ora la voce era dura,selvaggia. — Aveva ancoral'abito indosso. Quello nero!— disse rivolta a me,sorridendo diabolicamenteper un attimo. — Quello dicui mi hai chiesto, ricordi?Con... con i simboli atzechi.Nonsel'eranemmenotolto...Sipremetteunamanosugli
occhi e fu squassata da unsinghiozzodisperato.—Dio!— gridò. — Oh, Dio! L'ho
uccisa e la ucciderei dinuovo. Ancora e ancora eancoraeancora!—Unfilodisalivalecolavasulmento.Non se ne accorse
nemmeno.Sedeva davanti a noi
ansimando.— L'ho uccisa — ripeté
con acredine rinnovata. —L'hocolpitasullatestamentrestava sdraiata sul letto. Si èalzata e io l'ho colpita di
nuovo. È caduta. E io l'hocolpita ancora. Ha strisciatonel corridoio e io le sonoandata dietro. E l'ho colpitaancora. Ha strisciato fino alsoggiorno. E ho colpitoancora, ancora. Ancora... hocolpitoancora.Continuava a ripetere le
stesse parole con vocemeccanica,monotona,finché,all'improvviso, tacque e cifissò.
—Allora,nonseisorpresa,Anne? Non sei sorpresa diquello che può fare la tuapiccola Liz? Di quello chepuòfareallesgualdrine?Eaimariti che vanno a letto conlesgualdrine?—Elizabeth.—Annenon
riuscivaaguardarla.Abbassòlentamente gli occhi, lichiuse.—Elizabeth—dissiio.Leimiguardò.
— Ascolta — dissi. —Lasciati aiutare. Tu non staibene, Liz. Nessuno ti puniràper una cosa che hai fattoquandononstavibene.Tu...—Bravo!—urlò,conuna
risata cinica. — Non stobene! Oh, sei intelligente,vero?Sei intelligente! Iononstobene.Bravo.Si protese in avanti, di
nuovo mortalmente calma,con un cambiamento di
umore improvviso epazzesco.—Nonm'importadiquello
che sarà di me. Lo capisci?Non m'importa. Ho perso ilmio bambino. Non potròaverne più. Ho perso miomarito, non voglio averneun'altro. Ho ucciso unadonna... una donnaccia. Hocercatodi uccidere unuomo.Credichem'importidiquellochemi succederà? Credi che
ci sia ancora qualcosa chepossafarmidelmale?Credi?— Vuoi fare dell'altro
male,Eliz...—Sì!—ruggì, scoprendo
i denti in un sogghigno dapazza.— Sì, voglio fare delmale! Voglio farlo! Voglioche altra gente sappia cosasignifica soffrire!Voglio chetuttilosappiano!— Elizabeth, se metti giù
quella pistola, non ti
succederà niente— dissi.—Senon...— Non mi succederà
niente! — rise di nuovo,forte. — Dio come seidivertente! Oh, Dio, quantoseidivertente!—Mamma?Ci immobilizzammo come
statue. Sentii il cuorebalzarmiingolaconviolenza.Anne gemette, poi rimasesenza respiro. Gli occhi di
Elizabeth fissarono ilcorridoio.Improvvisamente scattò in
piedi.—No!—Miprecipitai in
avanti sbarrandole la stradaprima di capire quello chestessi facendo. Con un gridodi furore, Elizabeth alzò lapistola e sparò. Anne urlò, equalcosa mi passò rasente alcranio facendomiindietreggiareconungemito.
Mitrovaia terra,poi,portatosolo dall'istinto, mi rimisisulle ginocchia cercando dirialzarmi,mentre qualcosa dicaldo e umido mi scendevasull'occhio destro. VidiElizabeth lanciarsi verso ilcorridoioemituffaidietrodilei, sfiorandole le scarpe conleunghie.All'improvviso, un urlo
lacerante risuonò tra leparetidella casa. Cercando di
liberarmi gli occhi da quellacosa appiccicosa, caddicontroildivano.Elizabeth retrocedeva dal
corridoio, con un'espressionediterroresullafaccia.— No! — balbettava. —
No!No!Inciampò, e si sostenne,
mentreisuoiocchiseguivanoqualcosa.Qualcosa che stavaavanzando. Non vedevoniente, ma di colpo capii
cos'era. Sentii Richardpiangere.— Va' via — disse
Elizabeth, in tono vuoto,inumano. — Va' via —ringhiò. Alzò la pistola esparò in aria. L'esplosionerintronò assordante nellastanza.Richardgridò.Conunrantolo soffocato,gorgogliante, Elizabeth sitrascinava all'indietro sultappeto, mentre la saliva le
colavadallabocca.— No! — gridò ancora.
Bruscamente, alzò la Luger,se la puntò alla tempia,premette il grilletto. Unrumore secco: la pistola erascarica. Premette il grillettoancora, ancora: invano. Poi,con un ultimo gorgoglio diterrore, Elizabeth ricadde sultappeto rovesciandogliocchiall'indietro, battendopesantementelatesta.
Seduto a terra, la fissavo.Anne si chinò su di me, gliocchidilatatidalterrore.—...stobene—mormorai.
—PensaaRichard.Poiprecipitainelletenebre.Rinvenni su un letto
sconosciuto.Annemi sedevaaccanto, guardandomiansiosa.Apriigliocchi,leimipreselamano.—Staibene?—mormorò.
— Certo. — Battei lepalpebreemiguardaiattorno.—Dovesiamo?— A Inglewood,
all'ospedale.—Oh!—Poi ricordai.—
Dov'èRichard?—Sta bene.È fuori, nella
sala d'aspetto. Un'infermiera,entusiasta di lui, gli staraccontandolefavole.—Dio sia lodato—dissi.
— Quando Liz si è lanciata
verso il...— gemetti,mentreuna fitta dolorosa mistringeva le tempie.— Cosamièsuccesso?— Una pallottola ti ha
sfioratolatesta.—Ègrave?—No, il dottore dice che
te la caverai presto. — Sichinòabaciarmi.—MioDio,credevod'impazzire.Labaciaisullaguancia.—
Comestalapiccolina?
—C'èsempre—disselei.—Diosolosacome.Risi debolmente. — Dopo
ilmodocome sonoandate lecose — dissi — scommettoche non avrà nessuna vogliadivenirealmondo.Lei sorrise, mi strinse la
mano. — Ricorderò semprecome ti sei buttato davanti aquella pistola per salvareRichard.— Ma non ho combinato
niente di buono. C'è volutaHelenDriscollpersalvarlo.—Pensiche...—Naturalmente.Elizabeth
l'havista.Noncapiscoperchénonl'hovistaanch'io,però.Aproposito,dov'èlei?— All'infermeria del
carcere.— Poveretta — sospirai.
Chissà perché mi tornò inmenteilpettine.Miresicontoche la morte che avevo
percepito era quella diHelenDriscolì. Non lo sapevo, maavrei scommesso cheElizabeth aveva il pettine intasca la sera in cui avevaucciso Helen Driscollbrutalmente, nel buio. HelenDriscoll non aveva maisaputo chi fosse l'assassino.Avevapensatoasuocognato.Perfinodopo...—Eiosonoandatodaleia
farle domande sulla Driscoll
—dissi,ricordandolapauraeil sospetto che avevo sentitonella mente di Elizabeth. —Chemedium!—Credidiesserloancora?
—chieseAnne.—Nonloso—risposi.Non lo ero più. Non so
ancora spiegarmelo, a menochequellaferitaallatestanonavesse spostato qualcosa nelmio cervello. O forse avevo
avuto quel potere per untempo limitato... o per unoscopo specifico. Comunque,erasparito.Ma posso sempre dire di
averchiusoinbellezzalemieprevisioni, perché, verso lafinedisettembre,Anneentròin clinica, e dopo il parto,quando andai a trovarla, leimi chiese con voce esile,ancora sonnolenta e debole:—Èunabambina?
Labaciaiesorrisi.—Cos'altropotevaessere?
—risposi.
FINE
UnraccontodiJoeL.HensleySANGUED'ARGENTO
13 aprile: Oggi ho fatto unascoperta. Mi si è presentatal’occasione di guardarminello specchio che c’è nellostudio del dottor Mesh. Ho
circa quarant’anni, agiudicare dalla faccia e daicapelli. Ho stentato ariconoscermi, e con questovoglio dire che non esisterelazioneapparentetralamiaimmagine riflessa nellospecchio, e il falso ricordoche ho di me stesso. Ma èbellovederelapropriafaccia,anche se è perfettamentenormale.Devo però ammettere che
hoprestatopiùattenzioneallegraziose bottiglie allineatesugliscaffalideldottorMesh,che non alla mia faccia. Inqualche angolo dei mieisogni, io ricordavo dellebottiglie come quelle. Le hodesiderate con forza, tantoche la mia testa haincominciatoagirare.Manonho tentato di prenderle.AvevoilsospettocheildottorMesh mi stesse osservando
attentamente.IldottorMeshhadetto:— State migliorando.
Prestovilasceremogirareperil nostro piccolo ospedale enel parco, tranne,naturalmente, che nellecamere degli alienati. — Miha dato scherzosamente unpizzicotto sul braccio. —Dovete conservarvi in buonasalute.Ho fatto un cenno
affermativo. Ero soddisfatto,e il turbamento intimo èscomparso. Allora sonoriuscitoadistoglieregliocchidalle bottiglie... piene diottimi veleni... Alcuni liconoscevo vagamente, altrimi erano completamentesconosciuti.Si sarebbe presentata
un’altraoccasione.Piùtardisonotornatonella
mia piccola camera... la mia
casa... l’unica che riescoveramente a ricordare. LasignorinaUtzmihasorrisodadietro la scrivania. Mi sonocoricato sul letto e sonorimasto a guardarla. Avevadegli occhi strani, senzafondo. Vedendola, ildesiderio di tornare normalesi faceva sempre più forte.Maiturbamentitornavano.La mia camera è dipinta
concoloritenuichehannoun
effetto riposante.Sonosicurodi non avere mai dormitotanto, né di avere tantosognato.Bottiglie,bottiglie,eancorabottiglie.Il cibo è buono, e io
mangio parecchio. Il miopeso rimane più o menocostante. Diminuisce durantei turbamenti, e tornanormalequandomicalmo.I miei compagni di
degenza non sono in
condizioni altrettanto buone.Quasituttisonomoltovecchi,o completamente fuori disenno, o comatosi. Solol’uomo con la barba ragionaquel tanto da permetteretalvolta uno scambio diparole.L’uomo con la barba ha
vistocheloguardavo.—Pet!—mihagridato.A
volte mi fa arrabbiareparecchio. Quando è turbato
me lo grida sempre. Vorreisaperecosavuoldire.Peroggismettodiscrivere.
Il dottor Mesh dice che èbene tenere un diario. Hosoltanto paura che qualcunopossa leggerlo. Mi farebbearrabbiare parecchio, e unaforte collera provoca sempreturbamenti.Adessohosonno.
18 aprile: Devo far cessare
questo stato di cose. Hotentato ancora con l’uomobarbuto,maluinonbevechel’acqua appena fatta scorreredal rubinetto. Forse sospettache io ci mescoli qualcosa,datochemihavistofissarloalungoconsguardomalevolo.Ieri sono uscito dalla
camera d’isolamento, debolee sconvolto, senza ricordarenientediquantoerasuccesso.Nessuno sembra essersi
accortodellabottigliachehonascostoilgiornoincuimièvenuto l’attacco. Unabottigliapienafinoall’altezzadel teschio con le tibieincrociate. L’ho nascosta pervia della rabbia che mi favenire l’uomo con la barba.Mi domando perché il dottorMesh mi faccia andare tantoin collera; e anche lasignorinaUtz forse perché simuovono,parlano,esistono.I
vecchichenonsimuovonoenonmiparlano,nonmifannoandare in collera... Solol’uomoconlabarba,ildottorMeshelasignorinaUtz.Ma niente sembra avere
efficaciacontroildottoreolasignorina Utz; e l’uomo conlabarbaètroppoprudente.Oggi,ametàdellamattina,
la signorina Utz mi ha fattosalirenel“solarium”.Cisonorimasto per un po’ di tempo.
Nelparcoifioricomincianoasbocciare,ealcuneminuscolepiante rosse e verdi siarrampicano sul muro checirconda il piccolo asilo.Sonomoltobelle,esembranovelenose.Mi prudeva il collo e mi
sono grattato, fino a farlosanguinare. La signorina Utzsi è messa a ridere e mi hadisinfettato. Mi ha detto chesi tratta di un asilo privato,
gestito con fondi privati.Prendono in cura soltantoquei pazienti senza speranza,che sono rimasti rinchiusidiversianniinaltriposti.Seèvero quello che dice lei,perchémitrovoqui?Nel pomeriggio, il dottor
Mesh ha controllato i mieiriflessi, e mi ha sentito ilcuore. Dice che sono inbuonecondizioni fisiche.Luimisembrafelice.Peròèstato
evasivoquandoglihochiestose potevo rimettermicompletamente;questomihafatto arrabbiare, ma sonoriuscitoacontrollarmi.Quando sono rientrato
nellamiastanzaelasignorinaUtz si è allontanatamomentaneamente, potertoccare la bottiglia di velenomihaconfortato.
30 aprile: I sogni diventano
sempre più terribili, tantosono chiari e reali. Hosognato di trovarminell’ufficiodeldottorMeshedi vedere le belle bottiglieallineate sugli scaffali. LasignorinaUtzeildottorMeshstavano leggendo il miodiario, e ridevano. L’uomocon la barbami sogghignavadamoltolontano.Ilsognoeraspaventosamente reale, manon riuscivo ad aprire gli
occhi.Stamani l’uomo con la
barba mi guardava dal suoletto.Avevaunaspettomoltodebole, perché questasettimana ha subìto unattacco. Su certe persone,miha detto una volta il dottorMesh, le alterazioni hannodeglieffettispaventosi.Prima sono entrato
nell’ufficiodeldottorMeshesono riuscito a guardarmi
nello specchio.Anche questavolta non mi sonoriconosciuto. A volte ho lasensazione che mi abbianoaperto la testa, frugato neipensieri, e poi ricucito tutto.Nonprovodolore,manonsodovericercareiricordi.Pocofahotentatoqualcosa
con lanuovabottigliachehopreso nell’ufficio del dottorMesh. Non funziona. Nientefunziona... anche se ho visto
la signorina Utz bere diquell’acqua.
2 maggio: Devo nasconderequesto diario. Sono quasisicuro che lo leggano. Oggihannoriportatoilvecchioconla barba dalla salad’isolamento.Avevagliocchirossie infossati,edèrimastotutta la mattina a guardarmi.Quando la signorina Utz èuscita dalla stanza, luimi ha
chiamato muovendo un ditoconinsistenza.Non ha detto niente. Ha
sollevato la barba e mi hamostrato la gola. L’hoguardata, ma non ho vistoaltro che dei piccoli segnirossi, come se si fossegraffiato con le unghie. Conmani tremantisièapertaunadelle piccole ferite e ha fattouscire una goccia di sangue.Poièscoppiatoaridere.
Ho distolto lo sguardo. Ilsangue mi fa impressione.L’angolo di una pagina delmio diario è strappata. Nonsonostatoioastrapparla.
3 maggio: Oggi hochiacchieratoconl’uomoconla barba... se chiacchierare sipuò definire la nostraconversazione. Lui è statomolto insistente. Volevasapere. Poi ha detto che non
posso sapere quando sinutronodime,perchéinqueimomenti io è come se nonesistessi e che sono il loro“pet”, per il fatto che sonogiovane e forte. Ha volutoche mi guardassi il collo, el’ho visto infatti coperto disegni rossi. Ha detto che milasciano rubare il velenoperché sono sicuri che nonpossofarelorodelmale.Mi ha detto che una volta
ho ucciso tre persone, con ilveleno. Ha detto che erofarmacista, che adesso sonoun pazzo incurabile, e chenon verrò mai rilasciato. Hadetto anche che prima divenire qui ho trascorsodiversianniinunospedalediStato.Nonloricordo.AssicuracheildottorMesh
e la signorina Utz sono deivampiri.Quando mi ha lasciato
andare, sono tornato acoricarmi nel letto e hotrascorso un pomeriggio diriposo. Ho sognato lebottiglie sullo scaffale, e nelsognoqualcosamièritornataalla memoria... Una cosaperfettacomemestesso.L’uomo con la barba dice
che li possiamo uccidere conle pallottole d’argento, ma ilpensiero delle armi mi farabbrividire.
Non ho mai creduto inquesto genere di cose,ma sel’uomo con la barba avesseragione? Se il dottorMesh ela signorina Utz fosseroveramente dei vampiri? Illuogo è perfetto. Nessunaindagineperlemortisospette,nessuna noia legale, pazientidimenticati ormai da moltianni. Ospitano soltanto gliincurabili, i dimenticati. Unrifornimentocostante.
Un piano complicato eperfetto. Devo conquistarmil’aiuto dell’uomo con labarba.Dovràrubareluiquelloche mi occorre. Se mitengono d’occhio, e ridonoquandoioruboloroqualcosa,prendere quel che mi servepotrebbeesserepericoloso.
4 maggio: Oggi abbiamocominciato a fare i piani.L’uomo con la barba è
riuscito a rubare una grossabottiglia di soluzione salina,l’ago e una siringa periniezioni endovenose. Ilprodottoerasulloscaffaledeldottor Mesh, esattamente nelpunto che io avevo indicato:avevo anche precisato ilcolore della bottiglia. Oradobbiamo aspettare ilmomento giusto. Questanotte?Devo nascondere bene
questoquaderno.
6 maggio: Ho la febbre.Abbiamo dovuto aspettarefinoaquestanotte,edèstataun’attesa molto lunga. Misentobruciareinternamente,ehounsensodivertigine.Cercodiandareincollerae
difarmivenireunattacco.Lasignorina Utz mi staguardando dalla suascrivania.Hagliocchiaccesi
eattenti.Mi dovranno portare in
camerad’isolamento.
9maggio: Poche righe. Sonoammalato. Mi sembra diavere tutto il corpo a pezzi,sento un calore terribile, evedosoltantodelleombre.Sono nella camera
d’isolamento. Per tutta lagiornata non è entratonessuno. Posso sentire la
risatastriduladelvecchioconlabarba,el’hosentitobatterelemani.Penso che siano morti.
Devonoesseremorti.Abbiamo messo il
cloridrato d’argento nellasoluzione salina, e con lasiringa me lo sono iniettatonel braccio. Quando mi èvenuto l’attacco, devonoessersinutritidime.Se mi alzo, posso vedere,
vicino alla porta, la punta diuna scarpa femminile,immobile. Non riesco ascorgere il dottor Mesh, madev’essere poco lontano,vicinoallasignorinaUtz.Morti con il mio sangue
avvelenato. Il mio buonsangue corretto. Un nuovoantidoto per vampiri: ilsangued’argento.Vorrei che il caldo
diminuisse. Vorrei avere più
tempoper...
Titolo originale: Argent Blood -Traduzione di Mario Galli - ©1967Mercury Press Inc.., e 1968ArnoldoMondadoriEditore.