ISTITUTO SUPERIORE DI EDUCAZIONE FISICA DI TORINO CENTRO DI PSICOLOGIA DELLO SPORT SCUOLA UNIVERSITARIA INTERFACOLTA’ SCIENZE MOTORIE Corso di perfezionamento in Psicologia dello Sport Anno accademico 2001/2002 TESI LA MOTIVAZIONE NELL’ATTIVITA’ SPORTIVA E LA SUA OTTIMIZZAZIONE Candidato: Renato Gaiotti Relatori: Dott. Giuseppe Vercelli Dott. Marco Chisotti
Premessa Come istruttore, allenatore, coach, abbiamo sempre un unico
denominatore: per mezzo dell’allenamento arrivare a produrre
risultati didattici apprezzabili.
Abbiamo il compito di aiutare i nostri allievi a migliorare i processi
di apprendimento; il modo migliore per raggiungere questi risultati
è di creare delle condizioni favorevoli all’apprendimento, ovvero
essere dei facilitatori di questi processi.
Dobbiamo avere sempre ben presente l’elemento fondamentale, la
motivazione, che rimane comunque e ad ogni livello alla base di
qualsiasi successo sportivo, è senza dubbio la chiave d’accesso al
lavoro di tutti i giorni, attraverso il quale l’atleta soddisfa i suoi
bisogni, gli stimoli positivi, l’interesse e il divertimento, la ricerca di
affiliazione verso l’allenatore ed i compagni di allenamento e non
ultimo il bisogno di affermazione e di riuscita.
CAPIRE LA MOTIVAZIONE
L’individuo inteso come unità psico-somatica deve coinvolgere
ambedue le sfere contemporaneamente, per poter avere una
esaltazione di quei fenomeni relativi alla prestazione, anticipando
così l’insorgenza dei sintomi veri e propri della fatica.
Questo non è un’esclusiva del solo meccanismo fisiologico di natura
biochimica, oppure legato a fattori tipo l’età, la costituzione fisica, il
sesso, o l’allenamento, dobbiamo tenere in grande considerazione
altri fattori che svolgono un ruolo ancora più determinante, come: il
profilo della personalità, l’estrazione sociale, la monotonia, la noia e
le motivazioni.
In particolare mi occuperò di monotonia e noia, strettamente
correlate.
La monotonia: molto spesso istruttori, allenatori, coach, rischiano
inconsapevolmente di far scadere le sessioni di allenamento per
mezzo di ripetizioni stereotipate, che producono negli allievi l’effetto
della noia che prende spazio all’interno dell’individuo per mancanza
di soddisfazione verso un’attività che rimane estranea alla propria
realizzazione.
Pensando alla noia, possiamo dire che rappresenta senza dubbio e
in modo particolare nella popolazione giovanile di questo preciso
periodo storico un fattore negativo che incide fortemente su ogni
tipo di comportamento.
Senza dubbio la motivazione è un fenomeno molto complesso, ci
risulta spesso difficile capirne l’incidenza su un tipo di
comportamento piuttosto che un altro.
Resta logico pensare che una persona più è spinta ad imparare una
particolare attività, più vi si eserciterà.
Potremmo dire che noia e monotonia affrettano l’insorgere della
fatica, che si può riassumere in:
- - FATICA MUSCOLARE dipende dall’esaurimento delle fonti
energetiche e dalla conseguente lentezza di trasferimento
dello stimolo, dalla fibra nervosa alla struttura muscolare.
- FATICA GENERALE comporta una diminuzione della
destrezza; il senso della misura è il primo a manifestare segni di
affaticamento e quindi di diminuita funzionalità, in queste
condizioni insorgono facilmente gli errori ed anche gli incidenti.
- FATICA SENSORIALE quando, in seguito alla stimolazione
di senso, si ha una attenuazione delle risposte date dagli organi
stessi.
Dopo le premesse sopra esposte, andiamo ad analizzare in
concreto quello di cui si vuole svilupparne le tematiche : la
motivazione.
Addentrandoci nel fenomeno legato alla motivazione ci troviamo
in uno spazio molto complesso, spesso è difficile capirne
l’incidenza sul comportamento di un individuo.
Una forte motivazione è strettamente correlata ad una forte
monoidea, che si traduce in grande volontà nella ricerca del
raggiungimento di un obiettivo che possa appagare dei nostri
bisogni.
Vari autori hanno espresso alcune ipotesi:
secondo Salvini “per motivazione si indica in psicologia l’agente
fisiologico, emotivo e cognitivo che organizza il comportamento
individuale verso uno scopo.”
Per Bertolini la motivazione è “ ciò che sollecita l’individuo ad
assumere ogni suo atteggiamento ed a mettere in atto ogni suo
comportamento”.
Secondo Singer la motivazione “ influisce su ciò che facciamo,
(quando vi è la possibilità di scelta) su quanto tempo ci mettiamo
e su come lo facciamo”.
Thomas riporta le motivazioni a quattro desideri fondamentali:
1) 1) il desiderio di sicurezza
2) 2) il desiderio di ottenere il riconoscimento delle proprie
qualità
3) 3) il desiderio di ricevere risposte adeguate da parte dei propri
simili
4) 4) il desiderio di nuove esperienze.
La gerarchia dei bisogni di Maslow riporta le motivazioni a
bisogni fondamentali distinguendoli in:
- - AUTOREALIZZAZIONE ( metabisogni, qualità spirituali,
giustizia, bontà, bellezza)
- - BISOGNI DI BASE :
1) 1) bisogni fisiologici ( cibo, acqua, ecc. )
2) 2) bisogni di sicurezza ( protezione, mancanza di pericolo)
3) 3) bisogni di amore e di appartenenza ( accettazione , essere
apprezzati, affiliazione )
4) 4) bisogni di stima (autoapprezzamento, successo )
Murray esamina ben dodici bisogni di natura fisiologica e ventotto
di natura psicologica.
Secondo Singer si possono classificare i motivi per cui le persone
fanno ciò che fanno in:
1) 1) motivazione intrinseca ( gusto di fare una cosa, far
progredire e mettere a frutto certe capacità)
2) motivazione estrinseca ( trarre vantaggi materiali,
apprezzamenti e ricompense.
Entrambi i tipi di motivazione, insieme o indipendentemente,
determinano il comportamento.
Un'altra classificazione indica tre categorie di motivazioni :
1) 1) Psicofisiologiche suddivise in:
- - fondamentali, che dipendono da esigenze biologiche, quali:
la sete, la fame, il sonno,
- - proprie dell’organizzazione nervosa antropomorfa: bisogno
di esplorazione percettiva, bisogno di attività, di
manipolazione, ecc.
2) 2) Psicodinamiche : traduzioni delle pulsioni sessuali ed
aggressive. La motivazione è il risultato del rapporto tra la
scarica pulsionale originaria e la mediazione con la realtà da
parte della personalità.
3) 3) Psicosociali : sono il riflesso dei valori, dei modelli di
comportamento, delle opinioni che l’individuo acquisisce
durante il processo di socializzazione.
QUALE MOTIVAZIONE !
ELENCHIAMO LE MOTIVAZIONI
Come si diceva in apertura, pur restando in astensione di giudizio
a favore di una delle teorie precedentemente esposte, vorrei
esaminare alcuni passaggi a mio avviso degni di essere presi in
considerazione per arrivare ad ottimizzare la motivazione.
Sempre più spesso siamo in presenza di baby atleti, ovvero
bambini di 9-10 anni che svolgono una attività agonistica.
Non voglio entrare in merito all’opportunità o meno
dell’avviamento di bambini in età evolutiva ad attività
agonistiche, l’argomentazione sulla cura dell’apparato
osteoarticolare dei bambini nell’età dello sviluppo, richiederebbe
di per sé un trattato molto lungo.
Noi parliamo di motivazione e averla indotta e canalizzata a volte
tramite una specializzazione precoce, porta nel 90% circa dei
soggetti ad un abbandono precoce. (Burn-Out)
L’ESEMPIO DI MATTEO
MOTIVO DI RIFLESSIONE
Matteo è un bambino di 10 anni, ha buone capacità coordinative
e ha una grande passione per lo sport del tennis, o forse è
meglio dire aveva.
Ha iniziato a 6 anni a frequentare dei corsi di tennis presso il
circolo tennistico più importante della sua città; proseguendo
nella crescita il bambino dimostrava anche buona attitudine allo
sport del tennis fino a portarlo già a 8 anni a partecipare a gare
di tennis contro suoi coetanei.
Con l’accrescere dell’età crescevano anche i tornei arrivati a 10
anni l’allenatore di Matteo gli dice che visti i buoni risultati,
passerà ad allenarsi con i ragazzi under 12, quindi un pochino più
grandi di Matteo.
Questa notizia è una esplosione di carica e di motivazione
grandissima per Matteo, si sente importante agli occhi del suo
allenatore e dei compagni.
Passano le settimane ma il passaggio al gruppo promesso tarda
ad arrivare, Matteo ogni settimana chiede al suo allenatore
quando inizierà con il nuovo gruppo, l’allenatore continua a
tergiversare dicendogli che sta organizzando il passaggio di avere
pazienza.
Le settimane passano ma il passaggio di gruppo no; dopo mesi di
altalenanti promesse l’allenatore dice a Matteo che è meglio che
resti nel gruppo dove si trova adesso, perché forse è ancora
presto per passarlo ad un gruppo più avanzato.
Per Matteo questa notizia ha un effetto devastante; si sente
tradito, preso in giro, dal suo allenatore che per lui era “il
modello assoluto” una guida visualizzata non solo nello sport.
Una settimana dopo la comunicazione dell’allenatore Matteo
abbandona il tennis, le insistenze dei genitori, dell’allenatore, dei
compagni, non servono a nulla, non vuole più vedere la racchetta
e non vuole più andare su un campo da tennis; l’effetto delusione
non si ferma, anche a scuola Matteo (che era sempre tra i più
bravi della sua classe) non riesce più a stare attento non studia è
molto triste.
Dopo vari mesi di lavoro da parte dei genitori con l’aiuto di uno
psicologo sono riusciti a fare accettare la situazione a Matteo che
ora è ritornato come prima, ho conosciuto Matteo e attualmente
del tennis non ne vuole sapere è molto insicuro quando sente
questa parola, mi piacerebbe poterlo riportare a giocare e a
divertirsi al tennis, ma l’impresa è molto difficile, dipenderà da
Matteo.
LE MOTIVAZIONI
Iniziamo ad elencare vari tipi di motivazioni che vengo messe in
gioco nella pratica sportiva:
1) 1) Interpretazione intellettualistica: motivazione come
tendenza determinante della personalità
2) 2) Biologica: identificata con il bisogno che attiva il
comportamento.
3) 3) Istintiva: ciò che è innato è modificato dall’abitudine
appresa.
4) 4) Pulsionale: psicoanalitica, da cercare nell’inconscio
5) 5) Antropologica: dipende dalla matrice culturale in cui vive
l’individuo.
6) 6) Sociologica: l’individuo ha la necessità di sentirsi in
armonia con il gruppo in cui vive e di valorizzarsi.
7) 7) Umanistico-esistenziale: differenza tra bisogni e
motivazioni. Le motivazioni appartengono alla sfera dei valori
e degli ideali.
MOTIVAZIONI OMEOSTATICHE
La motivazione, alla base del comportamento dell’individuo, può
essere letta come tendente allo stabilimento o ristabilimento di un
equilibrio.
- - Motivi fisiologici e bisogni.
- - Meccanismo della privazione.
MOTIVAZIONI ANTIOMEOSTATICHE
La motivazione è rivolta alla continua rottura degli equilibri
preesistenti.
- - Bisogno di stimolazione.
- - Esplorative.
- - Hanno come oggetto: il mondo delle cose concrete, il
mondo sociale, il mondo ideale.
MOTIVAZIONI PRIMARIE:
Si riferiscono alla sfera biopsichica ( bisogno dell’uomo di fare del
movimento)
Cognitiva (bisogno di conoscere)
Emotiva (pulsioni interne)
MOTIVAZIONI SECONDARIE:
Si riferiscono alla sfera psico-sociale, culturale, socioeconomica.
Ora analizziamole più dettagliatamente:
CAPIRE L’AGONISMO
MOTIVAZIONI PRIMARIE : sono rappresentate dal gioco e
dall’agonismo. Il gioco serve ad incuriosire il bambino, ovvero
offrire la possibilità di soddisfare il bisogno di movimento, di
immaginazione, di creatività, di affermazione e socialità.
A tale proposito la psicologia dello sport ha svolto ricerche sulla
natura psicodinamica, cognitiva e sociale del gioco, in questo
campo deve essere ricercata la molla del piacere del gioco.
L’agonismo è la “ manifestazione matura, costruttiva e creativa
dell’aggressività”.
La strada che porta dall’aggressività all’agonismo è attraversata da
meccanismi intrapsichici che sono:
1) 1) la rimozione, respingere nell’inconscio ciò che non è
accettabile.
2) 2) La sublimazione, trasformare l’impulso aggressivo in una
azione socialmente accettabile e accettata.
3) 3) La ritualizzazione, vivere l’aggressività all’interno di una
situazione controllata.
4) 4) L’inibizione per identificazione, trasformare l’impulso
aggressivo verso forme di condotta reattiva (protezione,
affetto, gioco…..)
A livello agonistico i soggetti mettono in campo una grossa fetta
della loro aggressività, è importante che l’agonismo rimanga entro
canoni socializzanti e di sublimazione degli istinti agressivi,
rispettando le regole della ritualizzazione sportiva.
Dobbiamo comunque riconoscere che gioco e agonismo rivestono
un passaggio fondamentale nello sviluppo del bambino, anche se in
prospettiva dinamica abbiamo variazioni legate a seconda dell’età,
del sesso, della personalità, della situazione, ecc.
L’agonismo sorge dopo, rispetto alla funzione ludica e molto spesso
influenzato da modelli sociali esterni che per bisogni istintuali.
Dobbiamo sottolineare con forza che mentre nel gioco troviamo una
azione di organizzazione dell’Io ( vedi organizzazione del sé
corporeo, rapporti spazio-temporali, le relazioni con gli altri) nel
discorso agonistico si deve presupporre un Io già organizzato.
In molti testi vari Autori scrivono che non si dovrebbe praticare
attività agonistica nella fascia di età dai 9 ai 13 anni se non con
funzioni ludiche generali, nella realtà la tendenza è esattamente il
contrario; una preconizzazione che a 12 anni porta a giocare in un
anno un numero di incontri pari a quelli di un professionista, il
rischio è di danneggiare l’equilibrio psico-fisico del ragazzo,
utilizzando un modo errato per prepararlo all’agonismo.
Dobbiamo ricordare che il periodo della pre-adolescenza è
caratterizzato da instabilità psicologica, quindi sarà molto
svantaggioso sottoporre l’allievo a situazioni di stress competitivo
non sufficientemente bilanciate da un Io forte che consenta una
elaborazione “sportiva” (e non personale) di una sconfitta o di una
vittoria.
Le statistiche in merito all’abbandono sportivo, registrano in questa
fascia d’età le punte più alte.
MOTIVAZIONI SECONDARIE : si riferiscono alla sfera psico-sociale,
culturale, socioeconomica, e sono:
1)Motivazione al successo: ricerca di affermazione personale e
sociale, affermare valori che gli altri apprezzano, stimano,
desiderano, divismo sportivo, sponsorizzazioni, il tutto con il
supporto dei “mass media”.
Nel 1953 McClelland dimostra stretti legami di correlazione tra
motivazione al successo e rendimento, la spiegazione è il
collegamento ai processi di autostima, derivati da esperienze
positive di realizzazione e successo.
Questo tipo di reazione viene chiamata circolare.
A U T O S T I M A
ESPERIENZE ASPIRAZIONE AL
POSITIVE SUCCESSO
MECCANISMI MOTIVAZIONALI
Abbiamo anche una reazione circolare diversa, relativa a chi non
ha sperimentato situazioni di successo e quindi non è portato ad
avere “aspirazioni al successo”:
SENTIMENTO DI INFERIORITA’
ESPERIENZE ASPETTATIVA DI
NEGATIVE SUCCESSO
ASSENZA DI MOTIVAZIONE
A questo punto il ruolo pedagogico dell’istruttore è di
fondamentale importanza, per evitare l’insorgere di reazioni
negative nei confronti dell’allievo, cercando di non esporlo ad una
serie di insuccessi che portano inevitabilmente ad una
compromissione dell’attività motivazionale.
Nell’allenamento di tutti i giorni l’istruttore deve evitare
accuratamente la noia e la monotonia, cambiando e modificando
gli scenari delle esperienze didattiche, per renderle più motivanti
e stimolanti.
Una indagine interessante venne condotta da Hawthorne su un
gruppo di operai, dove nell’ambiente lavorativo furono apportate
delle semplici modifiche ( le pareti furono dipinte in modo e con
colori diversi, furono cambiati i sistemi di illuminazione) il
risultato fu una migliore produzione, una maggiore voglia di
recarsi al lavoro, ricerca della novità, ma la cosa più importante
che emerse da questa indagine fu che gli operai dissero di avere
la sensazione che qualcuno si occupasse di loro.
Le modifiche ambientali apportate non avrebbero avuto nessuna
attinenza con la produzione, ma sul piano psicologico esse
esercitarono una grande influenza.
2) Bisogno di affiliazione: a livello psicologica il periodo
adolescenziale è quello della massima spinta ad appartenere ad
un gruppo, le motivazione possono essere ricercate in:
assicurazione, accettazione, essere stimato, questo serve al
ragazzo per bilanciare insicurezze personali, atteggiamenti di
impegno, abnegazione, cooperazione.
Citiamo anche “una esperienza di socializzazione ricca di
significato” cosa da non sottovalutare in una società giovanile
basata sulla dipendenza dalla televisione e dai video-game.
Una volta inserito in un gruppo il giovane entra nella cosiddetta
“socializzazione secondaria” ovvero interiorizzazione dei valori
dell’attività sportiva, tendendo ad assimilare lo schema
ideologico ( norme+mete+valori) del proprio gruppo di
riferimento, divenendone parte attiva.
Nel periodo dai 10 ai 14 anni l’appartenenza ad un gruppo
rappresenta una delle motivazioni allo sport più importanti, sia
nello sport di squadra che nello sport singolo.
Gli allenamenti alla resistenza raramente sono “automotivanti”
nei giovani, vengono realizzati più facilmente se svolti con la
complicità del gruppo.
3)Motivazione estetica: il bisogno del raggiungimento di forme
ritenute “armoniche e belle”.
Lo spettacolo sportivo richiede oltre alle strategie anche la parte
estetica sia per chi lo pratica che per chi l’osserva, (l’azione ben
coordinata, un gesto tecnico ben eseguito, ecc.) in certi contesti
può assumere una certa importanza.
4) Motivazione compensativa: nella fase evolutiva è di estrema
importanza, può diventare “patologica” dopo la fase
adolescenziale.
Lo sport può servire come meccanismo di difesa nel nascondere
o superare sentimenti di inferiorità ( a livello fisico o psichico)
nell’espressione di desideri infantili di tipo affermativo di
aggressività latente, desiderio di potenza, dovuta ad un carico di
frustrazioni non elaborate.
Questi tipi di scompensi della personalità vanno osservati con
attenzione e superati con opportuni orientamenti. ( Si ritrovano
piuttosto frequentemente e per tanti versi anche “normali” in
soggetti in età evolutiva).
MOTIVAZIONE INTRINSECA ED ESTRINSECA
Passiamo ora ad analizzare un’altra spinta motivazionale che ci
spinge a muoverci in una specifica direzione:
Motivazione Intrinseca :
solitamente la molla che muove questo tipo di motivazione è
collegata al fare qualcosa solo per il gusto di farla, per migliorare
e progredire le proprie capacità, o per sfruttarle al meglio.
Forte stimolazione verso comportamenti competenti e
autodeterminati nei confronti dell’ambiente circostante.
Motivazione Estrinseca : principalmente ricerca di un miglio
status sociale, in questa situazione abbiamo un impegno verso
una attività da cui trarre vantaggi materiali, ricompense o
apprezzamenti che siano.
Di solito nella motivazione estrinseca avviene un controllo da
parte dell’adulto nei confronti del comportamento spontaneo del
bambino o ragazzo, utilizzando ricompense o punizioni.
Pensiamo ad esempio, al padre che in modo più o meno conscio
imponga al figlio di giocare a tennis, incoraggiandolo attraverso
piccoli ricatti di motivarlo verso una presunta carriera di tennista.
In casi di questo tipo l’istruttore può cercare di liberare il
bambino da questa induzione motivazionale esterna, questo nella
ricerca di una dimensione ludica e soprattutto di una scelta
spontanea, per evitare di esaurire precocemente la spinta
motivazionale, riconducendo l’allievo verso la motivazione
intrinseca, ovvero una motivazione spontanea del soggetto che
possa sostenere nel tempo la costanza di una scelta motivata.
DETTAGLI
Vediamo ora dettagliatamente questa spinta interna, e da cosa
deve essere originata, in particolare dobbiamo sentire e avere il
controllo di noi stessi, dobbiamo essere realistici in senso
ottimistico.
Secondo Singer le persone che rivelano un forte bisogno di
riuscire hanno la tendenza a:
1) 1) Prefiggersi scopi alti, specifici e raggiungibili.
2) 2) Predisporre piani o programmi personali che saranno
osservati per facilitare la realizzazione di quegli scopi.
3) 3) controllare continuamente i loro progressi e se sono fuori
rotta, a rettificare o modificare scopi, programmi, o gli uni e
gli altri.
4) 4) Pensare tenendo i piedi per terra.
5) 5) Tener conto dei fattori personali che potrebbero essere la
causa dei risultati desiderati, come l’impegno e la fortuna.
6) 6) Valutare con imparzialità ciò che hanno fatto e cercare di
migliorare i loro tentativi anziché prendersela con gli altri o
con le circostanze.
Senza dubbio un impegno di questo tipo giova
all’autocompiacimento e alla soddisfazione di partecipare a un certo
tipo di attività.
Con l’impegno personale è sicuramente più facile ottenere risultati
nei miglioramenti delle proprie capacità, contare al contrario sulle
ricompense, finisca per dare risultati di portata limitata.
E’ anche vero che spesso questo tipo di sistema influisce
fortemente sul nostro comportamento.
A parte le cause legate a fattori culturali, dei programmi educativi,
e dei sistemi di ricompensa potremmo dire che le attività motorie
potrebbero essere:
1) 1) Valutare in maniera positiva in prima persona.
2) 2) Apprezzate da altre persone legate al bambino
3) 3) Soddisfacenti, impegnative e divertenti.
Singer sostiene che se mettiamo insieme queste tre considerazioni,
unite ai sei fattori esposti in precedenza ci sono ottime possibilità
per avere una attività soddisfacente e ben riuscita.
LOCUS OF CONTROL
Vediamo di cosa si tratta; facendo un piccolo passo indietro
riprendiamo il discorso sulle attribuzioni relative ai motivi principali
delle prestazioni:
1) 1) L’abilità
2) 2) L’impegno
3) 3) La fortuna
4) 4) La difficoltà che l’attività presenta
Possiamo vedere che i primi due sono interni e personali, mentre i
secondi sono esterni al soggetto. Possono essere di causalità o di
controllabilità.
L’attribuzione di un successo a cause interne incrementa
l’autostima e l’interesse intrinseco verso quell’attività.
Viceversa, l’attribuzione di un insuccesso a cause interne può
influenzare negativamente la fiducia verso sé, e favorire una
riduzione volontaria del coinvolgimento per quel compito.
Interessante la valutazione data da Weiner nel 1980, dove
testualmente dice: “ l’attribuzione più importante che danneggia la
lotta per vincere è la sensazione di avere qualità modeste”.
Gli istruttori potrebbero sensibilizzare gli allievi a valutare in caso di
sconfitta l’imputazione alla mancanza di impegno piuttosto che
prendersela con la sfortuna.
Cercare di far capire agli allievi che loro stessi possono influire sui
risultati; (attribuzioni interne) e ottenerne di migliori, ad esempio
aumentando l’impegno durante le fasi di allenamento, siano esse,
tecnico-tattiche, fisiche, o di preparazione mentale.
PREMI O PUNIZIONI
Ora prendiamo in considerazione il discorso legato ai premi o le
punizioni che vengono dati dopo una determinata azione, atti a
dare un certo tipo di informazione al soggetto, su come doveva
essere svolta l’azione, in positivo o negativo:
1) 1) I premi possono essere incentivi a partecipare o ad
esercitarsi
2) 2) I premi possono plasmare i comportamenti in una
determinata direzione.
Potremo però fare anche un altro tipo di considerazione:
1) 1) Fino a che punto i premi vengono interpretati come tali da
chi li riceve.
2) 2) Fino a che punto ci si fa assegnamento per l’interesse e
per la perseveranza in una data attività.
Nel punto uno abbiamo una grande variabilità in base al soggetto a
cui viene dato il premio, lo stesso premio non per tutti i soggetti
può avere lo stesso valore di stimolo.
Dovremmo quindi stare attenti, se proprio dobbiamo premiare a
livello didattico, ad effettuare una analisi per verificare il valore
potenziale che potrà avere per ogni allievo.
Grande attenzione comunque a dare delle premiazioni ad alcuni e
non darle ad altri, ricordandoci che anche chi non viene premiato
può averci messo il massimo dell’impegno, credo personalmente e
in base anche alle mie esperienze che l’utilizzo di incoraggiamento
verbale agli allievi facendo sentire loro la vicinanza del proprio
allenatore, possa ancora essere lo strumento motivazionale
migliore.
Nel punto due sembra molto poco appropriato dare esclusivamente
delle ricompense a quello che facciamo.
E’ vero che le cause esterne della motivazione possono influenzare
anche quelle interne, ma con questo sistema nella maggior parte
dei casi i risultati sugli allievi sono stati molto scarsi.
Un suggerimento potrebbe essere quello di stimolare i seguenti
incoraggiamenti:
1) 1) L’intima tendenza a partecipare ad attività fisiche.
2) 2) La comprensione del valore di queste esperienze.
3) 3) La continua ricerca per migliorare se stessi, per essere
autosufficienti, per realizzare se stessi.
4) 4) Le sfide in grado di contribuire alla realizzazione di
potenziali mezzi di espressione, della destrezza, della
conoscenza e del divertimento.
IL RINFORZO
E’ una azione che serve ad aumentare le possibilità di riuscita di
un certo tipo di comportamento.
Burrhus Fedric Skinner dimostrò che i rinforzi servono come
informazione al nostro organismo in merito alla appropiatezza del
suo comportamento.
I rinforzi positivi sono utili al soggetto nella formazione del suo
comportamento, questo intento sta dietro l’utilizzo dei premi.
Dobbiamo fare attenzione ad una eventualità da non
sottovalutare, se conseguentemente ad una risposta premiante,
abbiamo la scomparsa di uno stimolo, accresce la possibilità che
questo tipo di risposta si presenti nuovamente; il rischio è che a
questo punto avremo uno stimolo considerato rinforzo negativo.
Vediamo ora l’aspetto punitivo, che è uno stimolo avversivo che
ha come scopo l’eliminazione di un certo tipo di risposta.
La punizione viene data sempre per dirci quello che non si deve
fare, non quello che si deve fare.
Bisognerebbe fare molta attenzione all’utilizzo del “non”, un
pensiero sicuramente più costruttivo sarebbe quello di dire cosa
si deve fare.
Le punizioni vengono date con l’intento di dare rinforzi per far
svolgere dei tipi di comportamento ideali, molto spesso la
punizione oltre ad essere inefficace crea anche delusione e
amarezza, è anche un modo negativo di rapportarsi con gli
individui.
Da preferire il rinforzo di carattere positivo, che può produrre un
tipo di condizionamento che possa dare autonomia al soggetto
senza dover far ricorso a rinforzi esterni.
Possiamo prendere in considerazione come istruttori che le cose
che diciamo, o che facciamo nei confronti degli allievi dopo una
loro prestazione possono essere rinforzanti, stimolanti, oppure
informative, in pratica possono fornire agli allievi il feedback
necessario in relazione alla prestazione.
IL FEEDBACK
E’ di fondamentale importanza nella funzione di apprendimento.
Il feedback avviene per mezzo dei sensi e questa informazione
può arrivare durante oppure dopo la prestazione, ma anche
durante e dopo, nella ricerca di adeguatezza di quella
determinata azione.
E’ necessario nelle prime fasi di apprendimento, senza feedback
non si può avere apprendimento, è anche vero che a volte il
feedback non risponde alle esigenze degli allievi o l’allievo non se
ne serva.
In questo tipo di caso si dovrà ricorrere al feedback
supplementare.
In pratica è una informazione esterna fornita da una persona o
da un oggetto all’allievo e dovrà servire come conoscenza dei
risultati, inoltre potrà essere anche rinforzante e motivante.
Il sinonimo di feedback è: la conoscenza dei risultati, in pratica
una informazione autogenerata dall’allievo in merito alla propria
prestazione ed ai risultati ottenuti.
A livello di informazione dovremmo prendere in considerazione
quella relativa alla conoscenza della prestazione; tecniche,
strategie, capacità, forma, e altri fattori che concorrono alla
buona riuscita di una azione motoria o di una partita, grande
considerazione alla disponibilità intrinseca di questo tipo di
informazione.
Questi due tipi di informazione: conoscenza dei risultati, e
conoscenza della prestazione possono essere date
simultaneamente “ nel corso dell’attività” o alla fine.
Molto importante il mezzo di comunicare queste informazioni che
potrà essere: visivo, uditivo, o di altra natura ( da considerare
anche l’utilizzo del video-tape per far rivedere le azioni agli
allievi, modello di feedback supplementare).
Se l’applicazione del feedback viene scelta alla fine dell’azione,
può essere fornito immediatamente o un po’ più tardi, inoltre può
essere molto preciso o molto vago.
Su alcuni testi vari Autori forniscono alcuni tipi di alternative:
(R.N. Singer)
1) 1) fare una analisi del compito e stabilire la necessità o le
possibilità del feedback nel corso dell’attività, o del feedback
finale, ovvero di entrambi.
2) 2) Che il mezzo di comunicazione sia condizionato da ciò che
è disponibile, dall’utilità e dalle preferenze dell’allievo.
3) 3) Che il feedback finale sia quanto più immediato possibile.
4) 4) Che il feedback sia specifico quanto basta affinché l’allievo
sia in grado di adoperarlo.
IL GOAL SETTING
La traduzione di goal-setting è: formulare degli obiettivi, è di
fondamentale importanza nell’orientamento dell’atleta,
altrettanto importante è classificarli a breve, medio, lungo
termine.
L’obiettivo può avere la funzione di punto di riferimento per
controllare la prestazione attuale con quella desiderata.
In questo senso molti autori hanno scritto una sorta di decalogo,
riassumiamo il pensiero di: ( Tubbs 1986 – Burton 1992 – Magill
1993 – Martens e Bump 1988 – Weinberg 1992/1994 )
1) 1) Obiettivi specifici regolano l’azione in modo più preciso di
obiettivi generali.
2) 2) In relazione a obiettivi quantitativi specifici, più elevato è
l’obiettivo, migliore sarà la prestazione, fermo restando un
livello adeguato di abilità e di impegno.
3) 3) Obiettivi specifici e difficili miglioreranno maggiormente la
prestazione, rispetto ad obiettivi del tipo “fai del tuo meglio”
o non avere obiettivi.
4) 4) La formulazione di obiettivi a breve termine e a lungo
termine migliora maggiormente la prestazione, rispetto alla
solo formulazione di obiettivi a breve termine.
5) 5) Gli obiettivi agiscono sulla prestazione guidando l’attività,
mobilizzando l’impegno, aumentando la persistenza e
motivando alla ricerca di strategie appropriate al compito.
6) 6) La definizione degli obiettivi è efficace solo in presenza di
feedback che evidenzino i progressi compiuti nella direzione
del raggiungimento degli obiettivi.
7) 7) Obiettivi difficili richiedono un notevole impegno che
determina prestazioni migliori, chiaramente mantenendoli
entro limiti ragionevoli e realistici.
8) 8) L’impegno può essere ottenuto chiedendo all’allievo di
accettare l’obiettivo, mostrando sostegno, permettendo la
partecipazione alla scelta degli obiettivi, degli incentivi e dei
premi.
9) 9) Il raggiungimento degli obiettivi è favorito dalla
determinazione di un piano di azione o strategia,
specialmente quando il compito è complesso o a lungo
termine.
10) 10) La competizione migliorerà la prestazione sino al grado
in cui sarà necessario stabilire obiettivi più elevati e/o
aumentare l’impegno.
Potremmo aggiungerne ancora due:
- - Mettere in evidenza obiettivi di prestazione ( ad esempio,
migliorare la tecnica esecutiva) piuttosto che di risultato
(vincere una gara) più difficilmente controllabili.
- - Controllo sistematico della valutazione degli obiettivi.
IL BURN-OUT e DROP-OUT
Come anticipato in fase di presentazione delle varie motivazioni
allo sport, vediamo cosa succede se la motivazione viene meno e
subentra la demotivazione, sindrome chiamata Burn-out che
letteralmente significa “ bruciato” “esaurito”.
Tradotto in pratica ci troviamo in presenza di un “esaurimento
emotivo” (Maslach e Jackson 1981), ovvero una sensazione di
totale mancanza di energia fisica e psichica,
“depersonalizzazione” che arriva fino ad atteggiamenti ostili nei
confronti delle persone del proprio ambiente ( allenatore,
preparatore fisico, ecc.).
“Ridotta realizzazione professionale” completa mancanza di
autostima e voglia di raggiungere i risultati prefissati quindi
sensazione di inadeguatezza.
Molti Autori tendono a riportare il Burn-out solo in campo
lavorativo e non sportivo altri come (Aguglia e Sapienza 1989 –
Smith 1986 ) sono convinti dell’importanza anche in campo
sportivo.
Questi Autori individuano il Burn-out come una perdita di ideali,
energia, e scopo, ricondotto in uno stress lavorativo dovuto a
vari tipi di pressioni ad esempio: pressioni socio-economiche,
non deludere l’ambiente esterno (allenatore, dirigenti, sponsor,
tifosi, ecc.) a dover sempre migliorare i propri risultati.
In relazione ai giovani in età evolutiva che svolgono attività
agonistica “precoce” personalmente sposo quest’ultima teoria.
Importante da considerare in questa fase di crescita dei ragazzi
l’attenzione ai bisogni di soddisfazione, gratificazione,
riconoscimento, sentirsi importanti, approvazione del gruppo.
Altrettanto importante ma da evitare, è la paura del fallimento,
cattivi rapporti nei confronti dell’istruttore-allenatore, dei
compagni, pressione psicologica elevata, la noia, la frustrazione.
Il Drop-out si presenta negli atleti adolescenti in evoluzione fisica
tecnica, dopo un certo periodo di allenamenti e gare piuttosto
lungo e intenso, decidano di interrompere il proprio impegno.
Vediamo più dettagliatamente i motivi che possono indurre
all’abbandono precoce (Agosti, Baldo, Benzi et al. 1986)
1) 1) CRISI ADOLESCENZIALI il rapido cambiamento dei
parametri fisici, e il mancato riconoscimento del proprio
corpo, sono la conseguenza di una modifica anche nelle
prestazioni e nelle relazioni.
2) 2) DIFFICOLTA’ SCOLASTICHE il binomio scuola-sport è un
impegno che molti adolescenti non riescono a sopportare.
3) 3) BISOGNO DI ESPERIENZE diverse e nuove nella ricerca di
costruzione del proprio Io.
Da non sottovalutare anche:
A) A) MONOTONIA DELL’ALLENAMENTO noia e
assenza di obiettivi validi e alternativi.
B) B) L’ANSIA nella fase preagonistica la mancanza
di capacità a gestire le emozioni.
C) C) INTEGRAZIONE NEL GRUPPO in generale lo
sport favorisce l’individualità a scapito della
coesione, prioritaria in questo periodo della
crescita.
D) D) RAPPORTO CON L’ALLENATORE
personalmente la reputo una delle cause in
percentuale più importanti. Il ragazzo spesso vede
valenze genitoriali ottimali con il proprio istruttore
e altrettanto spesso si sente “tradito” non capito,
sente fortemente una mancanza di possibilità di
crescita e di autonomia.
CONSIDERAZIONI
Avviandoci verso la conclusione di questo lavoro di ricerca sulla
motivazione vorrei soffermarmi a riflettere su qualcosa già trattato
ma meritevole di attenzione.
Molto spesso ci troviamo di fronte al bambino-atleta di soli 9 anni,
mi sento solo di pensare che in questi casi l’impegno dell’istruttore
deve essere ricondotto a far scoprire al bambino la motivazione
primaria e intrinseca ( vedi pag.14 e 22) far incuriosire il bambino
al piacere del gioco nel nostro caso il tennis.
Partendo dal gioco si arriverà ad elaborare un percorso di
formazione relativo all’organizzazione del proprio Io; a quel punto
possiamo inserire la parte relativa all’agonismo.
Se nel bambino si struttureranno questi due tipi di motivazione
avremo atleti che faranno una attività agonistica nata per il gusto di
farla, per migliorare e progredire le proprie capacità, o per
sfruttarle al meglio.
STATI MENTALI
Per illustrare il lavoro sugli stati mentali avremmo bisogno di
spendere molte pagine e soffermarci su parecchi aspetti legati alla
preparazione mentale dell’atleta.
In modo molto riassuntivo e semplice ci soffermeremo solo su un
passaggio che potrebbe darci delle indicazioni preziose.
Parliamo di ipnosi. Oggi abbiamo la consapevolezza che l’ipnosi non
ha nulla a che fare con l’idea che si tratti di pratiche magiche o riti
di strana natura.
Molto più semplicemente possiamo parlare di stato mentale
naturale. Quante volte durante la giornata entriamo e usciamo da
stati di trance ipnotica senza neanche rendercene conto,
sicuramente molto di più di quanto pensiate.
Quante volte ci capita di pensare a cose future o immaginare,
sognare, oppure in alcune situazioni dopo un qualcosa che ci è
capitato cambiamo atteggiamento e troviamo risorse che non ci
aspettavamo di avere.
Questi cambiamenti relativi agli stati mentali possono essere
allenati, fino ad arrivare ad una gestione completa; l’apprendimento
delle induzioni ipnotiche è favorito da condizioni mentali che
potremmo riassumere in:
- - avere interesse,
- - curiosità,
- - fiducia,
- - essere disponibili,
- - creatività,
- - fantasia.
La funzione dell’ipnosi è molteplice, favorendo la suggestione
aumenta l’empatia, permette una percezione selettiva, favorisce
l’esperienza limitandone il criticismo, consapevolezza l’aspetto
costruttivo del lavoro cerebrale.
L’ipnosi permette l’organizzazione del mondo esperienziale del
soggetto attraverso il linguaggio verbale, attraverso la voce, con la
comunicazione corporea, non serve a “scoprire” una realtà
oggettiva, bensì permette la costruzione di una realtà
ontologicamente stabile, come spazio di comune unità (comunità).
Nelle situazioni di grosso impegno fisico risultano altrettanto
importanti, accanto alle doti fisiche ed al livello di allenamento,
anche capacità prettamente psicologiche quale il potenziamento
mentale che ogni individuo è in grado di esprimere accedendo allo
stato di trance ipnotica.
L’allenamento mentale nello sport attraverso l’ipnosi e l’autoipnosi
viene sviluppato utilizzando il concetto di monoidea dinamica, in
relazione al rilassamento psico fisico, alla concentrazione, alla
motivazione, al focus attentivo.
L’attività sportiva è la più adatta alla dimostrazione delle prestazioni
fisiche, il piacere che ne deriva, è di gran lunga maggiore di
qualsiasi altra attività lavorativa, inoltre con essa è possibile dare
libero sfogo alla propria personalità e la gioia del movimento, e lo
spirito di lotta (come aggressività socialmente accettata) trovano la
loro giusta espressione.
Nello sport, come in nessun altra attività, è possibile ottenere un
grado massimo di miglioramento delle prestazioni.
Quindi possiamo riassumere che nella pratica sportiva l’applicazione
dell’ipnosi rappresenta una tappa fondamentale verso il
miglioramento delle prestazioni sportive.
A livello competitivo ci vengono fornite le seguenti indicazioni, sulle
quali possiamo inserire l’allenamento con l’ipnosi:
- - contratture e agitazione prima dell’inizio della gara
- - contratture dovute a complessi di inferiorità o ad
atteggiamenti di aspettativa
- - incapacità di sfruttare al massimo le proprie possibilità
- - difficoltà a compiere i movimenti con scioltezza e
leggerezza
- - debolezza di concentrazione nel giudicare la situazione, per
cui ci si lascia sfuggire anche una vittoria sicura.
- - Nervosismo generalizzato, collegato con stati di insonnia
prima della gara, e cosiddetta “febbre da competizione”.
Ricerche fatte sulle cause di insuccesso ad atleti di alto livello
internazionale, e scaturita come situazione preponderante quella
della “ipermotivazione” che provoca uno stato “ergotropico di
tensione eccessiva”.
In questi casi di instabilità emotiva, l’utilizzo della pratica regolare
dell’ipnosi, richiamata poi in forma abbreviata prima dell’inizio della
gara, può produrre una straordinaria sicurezza nell’atteggiamento
durante la competizione.
Impressionanti sono i risultati ottenuti con gli esercizi anticipatori:
un gruppo di studenti di educazione fisica si “allenò” per due
settimane rappresentandosi mentalmente la corsa agli ostacoli dieci
volte al giorno per dieci minuti ogni volta.
Nei 110 m. ostacoli, si ebbe un tempo inferiore do 0,57 sec.
Rispetto al gruppo di controllo il miglioramento della prestazione fu
del 100%. Facciamo notare che si trattava solo di allenamento
mentale, senza immersione autogena.
Da sottolineare l’utilizzo di alcune formulazioni di proponimenti, atti
a rinforzare motivazione e miglioramento delle prestazioni:
- - colpisco sciolto e potente
- - scatto veloce e fluido
- - avversario indifferente, mantengo il ritmo
Nello specifico sport del tennis possiamo trovare con l’utilizzo di
alcune tecniche la centratura giusta e il “qui ed ora”:
- - tecnica del campo, su
- - tecnica del respiro calmo e tranquillo
- - tecnica della palla gialla-rossa-verde
- - tecnica del guardare la palla
PROVARE PER…………..
In modo molto semplificato vediamo quali sono i passaggi
fondamentali di un percorso legato ad induzioni ipnotiche:
- - rilassare l’atleta per mezzo di tecniche tipo: rilassamento
frazionato di Vogt, rilassamento progressivo di Jacobson,
training autogeno o altre.
- - Iniziare una induzione ipnotica inserendo le visualizzazioni.
- - All’interno di questo percorso si inserisce un “interruttore di
attivazione”, (che porterà l’atleta a cambiare il suo stato
mentale) si tratta di un segnale postipnotico, personale, scelto
dall’atleta, (es. stringere il pugno, se in quello sport viene
utilizzato un attrezzo ad es. la racchetta, prima di iniziare il
gioco, stringere due volte fortemente l’impugnatura, ognuno
poi sceglierà un segnale personale).
- - Questo segnale verrà interiorizzato in fase di
visualizzazione ipnotica.
- - A questo punto il percorso relativo allo stato di
rilassamento per mezzo dell’ipnosi si conclude.
- - Nella fase della gara questo “segnale” potrà essere
richiamato ogni volta che l’atleta lo riterrà opportuno,
andando a variare il suo stato mentale.
Si precisa che queste tecniche servono per fissare i punti chiave di
uno stato mentale (ipnosi) di un lavoro con un atleta.
Per riassumere quanto esposto, prendiamo in considerazione
l’acronimo SE MoLTA FeDe importante riprendere tutti i passaggi
che vedremo con l’atleta.
Sincronismo: capacità di avvicinarsi alla persona, assomigliarle, può
esserci un sincronismo completamente opposto con la persona che
non ci assomiglia.
Emisfero emotivo: mettere da parte la razionalità, dare una
suggestione positiva, emotiva. Non bisogna fissarsi sui punti su cui
l’atleta non vuole andare, non fissarsi sui suoi NO.
Ciò che è negativo per una persona, può essere anche adoperato in
positivo; quando uno vede in negativo, trasforma in negativo anche
il positivo e viceversa.
Ecco perché pensare in positivo.
Monoidea: tutto è positivo, tutto è ok! Se il monoideismo è
negativo c’è da lavorare.
Il sincronismo, unito con l’emisfero emotivo porta ad innamorarsi.
Se sei innamorato hai una idea fissa e pensi sempre a quella
persona, quindi ottieni il risultato.
Quando si è di fronte a una cosa che non ha senso, si è
probabilmente di fronte ad una monoidea.
La realtà è una monoidea, solo che è condivisa.
Limitazione del campo di coscienza: contribuisce a fissare in un solo
punto la volontà responsabile per raggiungere la trance.
C’è un forte abbassamento della critica, è una prima risposta al
monoideismo.
Trance: stato mentale alternativo. Lo stato di veglia è uno stato
mentale, però è dato per scontato.
Quando si sta male è un classico stato mentale in cui si perde
l’equilibrio, perché si dice “ ma che mi sta succedendo?” e ci si
disorienta, rispetto allo stato mentale dello stare bene.
E’ però abbastanza facile riprendere l’equilibrio.
Attivazione: del potenziale mentale, un modo per costruire una
nuova “realtà” personale.
Essere attenti a ciò che ci circonda nello stato di veglia è
attivazione, oppure essere “nelle nuvole”, perché si è in uno stato
mentale proprio, con una fenomenologia diversa, è essere in
trance.
Fenomenologia: mette in evidenza lo stato di trance che è stato
attivato, sia in chi lo vive, che in chi lo induce.
E’ quello che si evidenzia (in una monoidea di rilassamento, la
persona avrà uno stato mentale diverso da quello di veglia, la
catalessi o la levitazione sono fenomenologie evidenti).
De trance: riporta allo stato di veglia di partenza (focus attentivo).
E’ l’uscita dallo stato mentale alternativo. Se abbiamo FEDE
(fiducia) riusciremo bene nel nostro lavoro.
Questo acronimo ci permette di rispondere a tutte le domande che
ci vengono fatte sulla Psicologia dello Sport e sui suoi problemi,
quindi dare una mano a chi ha dei problemi.
Lo psicologo dello sport deve essere un solutore di problemi, non un
creatore di problemi.
RIFLETTIAMOCI
MONOIDEA = OBIETTIVO + MOTIVAZIONE
MANTENUTI NEL TEMPO
L’OTTUNDIMENTO (smussare) DELLA CRITICA REALIZZA
LO STATO DI TRANCE
OTTIMIZZARE
Questo è l’ultimo pensiero a conclusione di questa ricerca sulla
Motivazione.
Utilizzando il termine ottimizzazione vogliamo riferirci al
raggiungimento della prestazione più elevata, l’obiettivo è di
cercare una riduzione dello scarto tra la prestazione reale e quella
potenziale.
Nell’atleta ( con questa definizione si intende il soggetto che ha
iniziato la fase di specializzazione) l’ottimizzazione è un progetto
strategico che prende in esame tutti gli aspetti della vita dell’atleta
in dettaglio: lo stile di vita, il tipo di allenamento, la squadra, lo
studio delle sue peculiarità biotipologiche in funzione delle
caratteristiche della prestazione.
L’atleta è un sistema molto complesso (interno ed esterno) e come
tale deve essere affrontato; e non in segmenti isolati o separati dal
contesto del tipo di prestazione.
FONTI DI RICERCA
- - Sito internet www.Psyco.com
- - R. N. Singer : apprendimento delle capacità motorie
- - Tamorri : neuroscienze e sport
- - Franco, Pittoni, Pozzenan : capacità coordinative
SOMMARIO
Premessa…………………………………………………………………………..Pag. 2
Capire la motivazione………………………………………………………. >> 3
Quale motivazione……………………………………………………………. >> 8
L’esempio di Matteo motivo di riflessione……………………….. >> 9
Le Motivazioni……………………………………………………………………. >> 12
Capire l’agonismo……………………………………………………………… >> 14
Dettagli……………………………………………………………………………… >> 23
Locus of control………………………………………………………………… >> 25
Premi e punizioni………………………………………………………………. >> 27
Il rinforzo…………………………………………………………………………… >> 29
Il feedback…………………………………………………………………………. >> 31
Goal Setting……………………………………………………………………….. >> 34
Burn-out e Drop-out……………………………………………………….. >> 37
Considerazioni……………………………………………………………………. >> 41
Stati mentali………………………………………………………………………. >> 42
Riflettiamoci……………………………………………………………………….. >> 50
Ottimizzare…………………………………………………………………………. >> 51
Fonti di ricerca……………………………………………………………………. >> 52