L’imperialismo informale e le Guerre dell’Oppio.
Cultura, tecnologia e sfera pubblica
Elaborato per il C.I. in Profili di Storia Globale
Presentata da: Michele Santoro
Indice
Introduzione 2
Capitolo I 2
1.1 L’imperialismo informale 2
1.2 La strategia della porta aperta 4
Capitolo II 6
2.1.I Il fascino dell’Oriente 6
2.2 L’industrializzazione e il battello a vapore 8
2.3 Lin Zexu 12
Capitolo III 15
3.1 Il Nemesis 15
Conclusioni 16
Le lezioni dell’imperialismo 16
Bibliografia 19
2
Introduzione
La letteratura riguardante l’età moderna coincide spesso con le dinamiche relative
all’industrializzazione europea e allo sviluppo della società capitalista. Per un periodo piuttosto
ampio lo sviluppo della società industriale europea coincise con lo sviluppo della Gran Bretagna
ed in particolare dell’Inghilterra. Pioniere nell’industrializzazione la Gran Bretagnasi assunse un
ruolo egemone anche a livello intercontinentale grazie proprio alla capacità di adattamento alla
tendenza capitalista che si evolveva durante il corso della storia. Una stabile base economica,
maturata nel corso del XVIII secolo, in aggiunta alla pragmaticità della società industriale
britannica che riuscí ad applicare le scoperte tecnologiche alla massificazione nella produzione,
assicurò un vantaggio all’impero che si tradusse in egemonia economica durante il corso del
secolo XIX. Tuttavia l’egemonia britannica in molti casi si tradusse in una forma moderna di
vassallaggio delle colonie di sua Maestà che sotto un’ideologia del libero mercato divennero vere
e proprie riserve per gli investimenti britannici. Il sogno, allora utopistico, di un mercato
mondiale non era tuttavia una visione condivisa, o meglio, compresa dalle società che fino a quel
momento ebbero un differente tipo di sviluppo economico e socio-culturale. Fu questo il caso
della Cina. Questo breve studio si ha dunque come obbiettivo di analizzare quali furono le
prerogative che detreminarono le guerre anglo-cinesi e l’entrata della Cina nel mercato mondiale.
Oltre ad analizzare l’evoluzione del ciclo di sviluppo che portò la Gran Bretagna alla necessità di
ampliare i propri rapporti con la Cina sarà tenuto in considerazione anche il ruolo della sfera
pubblica cinese e britannica in relazione al commercio dell’oppio e al dominio autocratico del
Celeste Impero sino al ruolo delle potenze occidentale nella rivolta dei Taiping e l’entrata della
Cina nel mercato mondiale del XIX secolo.
Capitolo I
1.1 L’imperialismo informale
Gli esordi economici della Gran Bretagna furono in un certo qual modo connessi con il
mutamento delle sue istituzioni. La struttura gerarchica feudale britannica fu ben presto
sormontata infatti dalla mentalità imprenditoriale dei sudditi di Sua Maestà. Come lo storico
Hobsbawn sottolineava: «la resistenza allo sviluppo capitalistico aveva cessato di essere operante
3
già alla fine del secolo XVII»1. Ben presto la fioritura di nuovi stabilimenti produttivi favorì
l’aumento della classe operaia che sostituì gradualmente quella contadina. Le difficoltà
produttive vennero superate grazie alle scoperte tecnologiche che applicate in campo tessile,
l’industria più fiorente, e nei trasporti, favorirono il traffico e il commercio riportando notevoli
sviluppi. Sembrerebbe dunque che la chiave del successo britannico fu in realtà una
combinazione di molteplici fattori in concomitanza con la precocità nell’applicazione delle
moderne visioni di un mondo che era ormai cambiato. In sostanza si potrebbe dire che il processo
di trasformazione di un paese industriale in un impero capitalista dipenda dalla «flessibilità,
l’adattabilità o la resistenza delle sue vecchie istituzioni, l’urgenza del suo effettivo bisogno di
trasformarsi, e i rischi inerenti alle grandi rivoluzioni che normalemente sono le vie
d’attenuazione di grandi cambiamenti» 2 . L’aristocrazia britannica divenne gradualmente una
forma di borghesia e la monarchia aveva già dimostrato in due rivoluzioni di essere un’istituzione
abbastanza flessibile. Per un discorso analitico sullo sviluppo della società industriale britannica
non si possono non tenere in considerazione gli agenti esterni che hanno contribuito a rendere
possibile lo sviluppo dell’impero. L’economia di produzione infatti, ben presto, ebbe l’esigenza
di allargare la propria sfera d’influenza anche in mercati diversi da quelli europei. Il crescente
numero di imprese e la loro produttività furono così efficienti che rapidamente l’offerta superò la
richiesta del mercato interno e a questo scopo le colonie rappresentarono una vera e propria
opportunità. Fino all’inizio del XIX secolo i principali poli economici mondiali erano
rappresentati, oltre che dall’Europa, maggiormente dalle realtà Orientali. Difatti, analizzando
l’effettiva ricchezza mondiale è evidente che l’Europa, anche se in rapida ascesa, era tuttavia
sormontata dall’economia del mondo arabo e di quello orientale, con particolare riferimento
all’economia cinese che superava nettamente la ricchezza occidentale 3. Dal punto di vista storico
però ciò non spiega come, dopo l’incontro con l’Occidente, l’economia dei principali attori
economici del passato crollò inesorabilmente, ma soprattuto, sorge spontanea la riflessione sul
perchè la Cina Ming, facendo un esempio, che possedeva tutte le risorse economiche e
1 Eric John Hobsbawn, La rivoluzione indstriale e l’impero: dal 1750 ai giorni nostri, Torino, Giulio Einaudi editore,
1972., p.7. 2 Ibidem. 3 La fonte dei riferimenti statistici è rappresentata dalle stime dell’economista Angus Maddison sulla suddivisione
della ricchezza nel mondo durante la storia. Cfr. Maddison A., Contours of World Economy, Oxford University
Press, 2007.
4
tecnicologiche per conquistare un’egemonia territoriale anche in Occidente, ben prima della Gran
Bretagna, non sperimentò questa esperienza. Secondo l’interpretzione di Giovanni Arrighi:
Storicamente la tendenza più energica verso l’espansionismo territoriale ha avuto origine nel vivaio del
capitalismo politico (l’Europa) invece che nella sede dell’impero territorialista più svluppato e meglio
consolidato (la Cina). Questa discrepanza non fu dovuta a differenze nelle rispettive capacità iniziali. [...] la
decisione di astenersi dal fare ciò che poi avrebbero fatto gli europei è perfettamente comprensibile nei
termini di una logica di potere territorialista che soppesava attentamente i benefici, i costi e i rischi
dell’impegno supplementare di risorse nelle attività belliche e di formazione dello stato imposte
dall’espansione territoriale e commericiale dell’impero.4
In altre parole un’ipotetica “esperienza coloniale” cinese in Europa non avrebbe sicuramente
avuto gli stessi vantaggi che ebbero le campagne coloniali europee in Africa o in India. Tuttavia
lo scopo dell’intesificazione dei rapporti tra il mondo occidentale e quello estremo orientale
superava la mera logica coloniale che venne sormontata invece da una visione imperialista del
tutto nuova, ciò che venne definito come Imperialismo informale.
1.2 La strategia della porta aperta
Secondo la visione hobsoniana 5 , nei primi anni dell’Ottocento il nazionalismo, che aveva
dominato il periodo immediatamente precedente, mutò in una tendenza generale volta
all’espansione degli Stati oltre i confini nazionali. L’esperienza coloniale di questi Stati si
tradusse non solo con l’espansione territoriale ma anche nel trasferimento, nei nuovi territori,
della propria gente, lingua e istituzioni dando origine ad una vera e propria espansione della
nazionalità. Ciò che distingue il colonialismo dall’imperialismo è in effetti che quest’ultimo si
riferisce nello specifico all’influenza del potere politico dello Stato dominante su un’altro
territorio. Nell’ottica del liberalismo e del mercato mondiale dunque l’entrata nel mercato cinese
da parte della Gran Bretagna, si sarebbe tradotta nell’egemonia sulla più grande realtà economica
che l’Oriente poteva offrire. Per Hobson nel mondo ormai dominato dal nazionalismo,
l’internazionalismo avrebbe significato «un ordine informale tra nazioni libere ed indipendenti,
capaci di riconoscere l’armonia dei propri interessi nell’interscambio pacifico di beni ed idee»6,
4 Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo: denaro potere e le origini del nostro tempo, Milano, Il Saggiatore,1996, pp.
58-59. 5 Ci si riferisce all’economista John A. Hobson (1858-1940) e al suo studio molto dettagliato sull’imperialismo
intitolato Imperialism: a study, New York, James Spot & Company, 1902. 6 Giovanni Arrighi, La geometria dell’imperialismo, Milano, Feltrinelli, 1978, p 37.
5
un’impero informale si tradurrebbe dunque nell’interdipendenza economica tra le nazioni. Ma la
politica produttiva del capitalismo europeo si tradusse ben presto in una profonda crisi di
carattere sovraproduttivo. L’entrata di altri attori economici occidentali provocò un ritorno a delle
dinamiche di protezionismo che per la Gran Bretagna si tradussero in un mercato interno troppo
limitato per la sua produzione. La crisi si districò immettendo nei mercati delle colonie
dell’impero britannico prodotti di fabbricazione europea e favorendo la costruzione di
infrastrutture e trasporti in tutti i territori di dominio britannico. Inoltre, gli investimenti nelle
colonie, ebbero come risultato la sostituzione della produzione precoloniale in virtù di una
produzione incentrata sui fabbisogni europei che vennero trasmessi anche alle popolazioni delle
colonie. Un esempio di questa dinamica fu l’intensificazione della produzione di oppio in India, il
quale, sostituí gran parte della produzione agricola locale in virtù dell’unica moneta di scambio
con la Cina, oltre all’argento e ad altri metalli preziosi. Nel 1830 il controllo britannico dell’India
era già ben consolidato. I territori erano affidati alla gestione della Compagnia delle Indie
Orientali, una compagnia privata che aveva guadagnato il monopolio sui commerci coloniali.
Durante i primi anni dell’Ottocento il controllo territoriale aveva come vantaggio l’acquisto delle
materie prime a prezzi minori, la Gran Bretagna, esportava cotone grezzo dall’India che veniva
poi lavorato dalle industrie in patria con risultati modesti. Con l’avanzamento tecnologico dei
macchinari di produzione si affinarono anche le tecniche di lavorazione e calarono le esportazioni
dall’India a discapito delle loro importazioni di prodotto finito dalle industrie britanniche. La crisi
di questa produttività si risolse trasformando l’India in un mercato di prodotti britannici. Gli
interventi industriali in India, malgrado ciò, non tennero conto della conformazione socio-
culturale del paese occupato ed anzi contribuirono notevolmente alla disgregazione di un sistema
gerarchico secolare attraverso, per fare un esempio, la tendenza al superamento del sistema
castale indiano. La nuova struttura sociale di stampo britannico ebbe dei riscontri collaterali
poichè nonostante l’impegno nell’istruzione dei nuovi “tecnici” e “amministratori” le aspettative,
in termini economici, degli investimenti furono inevitabilmente più alte rispetto ai risultati reali.
In breve, il più grande peso dei cambiamenti socio economici della nuova società indiana pesò
inevitabilmente su quella classe di proprietari terrieri che a loro volta dovettero sovratassare i
contadini generando, per estensione, povertà e miseria tra la popolazione.
6
Capitolo II
2.1 Il fascino dell’Oriente
Dalla caduta della dinastia Ming nel 1644 ai primi anni dell’Ottocento il contatto con le
istituzioni europee divenne sempre più frequente. I contatti principali, oltre quelli commericiali
con Olanda e Portogallo furono quelli con l’isituzione ecclesiastica. Durante il XVIII secolo i
resoconti dei missionari in Oriente affascinarono le corti europee che si interessarono sempre più
costantemente a queste culture “esotiche” così differenti e lontane.
La Cina constituiva infatti l’esempio di una comuità immensa, popolosissima, una delle più antiche del
mondo, stabile e progressiva nello stesso tempo, che tuttavia non aveva una aristocrazia ereditaria. [...] La
Cina diventò il prototipo del governo illuminato e, poichè era lontana e non perfettamente conosciuta, la realtà
del despotismo cinese non recò alcun danno alla teoria del governo illuminato.7
Pechino era abitata anche da «molti sacerdoti europei, ai quali la corte affidava diverse mansioni.
Sebbene fossero tutti missionari, la loro attività nella capitale ebbe soprattutto un carattere
scientifico»8 . La comparsa delle navi commerciali britanniche non avvenne prima del 1685
quando un decreto imperiale aprì al commercio il porto di Guangzhou (Canton). La Compagnia
delle Indie Orientali possedeva a quel tempo il monopolio del commercio britannico e gli fu
consentito di aprire un’agenzia nella città. Essa divenne operativa a tutti gli effetti dal 1715
quando fu raggiunto un’accordo con il Commissario Imperiale delle Dogane che conferì alla
compagnia di commericiare con la Cina mediante ed esclusivamente il porto di Canton, sotto la
stretta sorveglianza della Hong una corporazione monopolistica delegata per gli affari cinesi. É
interessante notare quì come la gestione dell’apparato commerciale cinese divenne
successivamente il nodo in cui ebbero luogo le dinamiche di conflitto delle guerre dell’oppio. In
particolar modo:
L’atteggiamento dei Cinesi verso il commercio estero trovò la sua classica espressione in un decreto del
vicerè di Canton che diceva: « Il Celeste Impero nomina funzionari civili per governare il popolo, e funzionari
7 Kavalan M. Panikkar, Storia della dominazione europea in Asia: dal Cinquecento ai nostril giorni, Torino, Giulio
Einaudi editore, 1958, pp. 482-483. 8 Ibid., pp. 84-85. Per “carattere scientifico” l’autore intende la costruzione di artiglieria di tipo occidentale che fu
commissionata dall’imepratore ai gesuiti inviati in Cina.
7
militari per atterrire i malfattori. I mercanti stessi decidano circa le meschine faccende del commercio: esse
non riguardano affatto i funzionari» Da parte cinese chi controllava gli affari commerciali erano i mercanti
della Hong, dipendenti a loro volta dal Commissario Imperiale delle Dogane, desgnato impropriamente in
inglese col nome di Hoppo. Solo questo Hoppo poteva concedere le licenze commerciali e attraverso la Hong
controllava strettamente tutti gli affari.9
In breve, il meccanismo del commercio cinese divenne ben presto incompatibile con le modalità
di commercio che la Gran Bretagna e la Compagnia delle Indie Orientali attuavano nel resto delle
colonie. Difatti, per commericare con la Cina e per ogni altra questione amministrativa bisognava
rivolgersi al governo centrale, mentre nel caso dell’India per esempio era possibile trattare con
una serie di figure minori come governatori locali sulla quale era più semplice esercitare delle
pressioni. Inoltre il commercio con l’Estremo Oriente era molto svantaggioso per l’impero
britannico poichè il Celeste Impero, basato per secoli su una struttura economica estremamente
autonoma, non si avvaleva delle importazioni occidentali, fatta eccezzione per l’argento e i
metalli preziosi10. Già dalla seconda metà del XVI secolo entrò in vigore in Cina un sistema
tassativo che prevedeva il pagamento in argento «In 1581 a new tax system came into being with
the adoption of the “single tax.” Under this system all the government exaction, such as land tax,
tribute, corvee, and the poll, were combined to form a single land tax to be paid in silver»11. Ciò
nonostante il sistema dinastico permise ai grandi proprietari terrieri di etnia Manciù che avevano
fondato la nuova dinastia al potere, di moderare la loro tassazione poichè formalemte le loro terre
appartnevano allo Stato. Questo sistema di tassazzione pesò dunque sui piccoli proprietari terrieri
e per estensione sulla civiltà contadina. La società cinese fino al XIX secolo assumeva dunque
connotati di natura feudale. L’abissale scarto economico tra la ricchezza ostentata della nobiltà e
dalla classe dai grandi proprietari terrieri rispetto alla povertà della popolazione contadina causò
diverse rivolte mosse da alcune società segrete formatesi in opposizione all’autocrazia imperiale.
La fine del XVIII secolo vide infatti l’insurrezione di una serie di rivolte popolari promosse dalla
9 Ibid. p.87. 10 L’argento, secondo lo storico cinese Hu Sheng, rappresentò per secoli il sostentamento economico dell’impero
cinese. Con l’ascesa della dinastia Quing una parte dell’etnia Manciù che non ricopriva ruoli amministrativi o
militari, divenne la principale latifondista della Cina con un’esproprio delle terre dei contadini mediante il ruolo
esattoriale per conto dello Stato. I piccoli latifondisti si trovarono dunque a dover pagare una tassazione maggiore
per aver diritto alla prorietà e si trasformarono in artigiani.
11 Hu Sheng , From the opium war to the may fourth movement, Beijing, Foreign Languages Press, 1991, p.5.
8
White Lotus Society (Bailianjiao)12 La rivolta durò per ben nove anni e la soppressione di una
ribellione di questa portatata richiese un notevole sforzo economico da parte dello Stato, il quale
stando alle stime, finanziò le milizie per un valore totale di duecento milioni di tael13 in argento.
Oltre ad aver dato un importante scossa all’economia feudale cinese, la rivolta, ne mostrò i limiti
e ciò si tradusse influenzando l’opinione pubblica contadina che vide il dominio imperiale per il
suo vero volto, un’autocrazia basata sul sangue delle masse popolari. Il fascino per l’Oriente
contemporaneamente si tradusse in Europa in un’immaginario che aveva poco a che fare con la
situazione reale della popolazione. E dunque, mentre la seta vestiva le classi benestanti europee,
le storie dei missionari cattolici alimentavano le convinzioni di un ceto clericale che fece
dell’evangelizzazione un’affare di Stato e il tè diveniva la bevanda nazionale inglese, il sistema
feudale cinese rimase chiuso e disinteressato alle innovazioni politiche e tecnologiche
dell’Occidente. Ciò rappresentò nel XIX secolo il più grande tallone d’Achille per il Celeste
Impero.
2.2 L’industrializzazione e il battello a vapore
La superiorità britannica in campo produttivo, commericale e dal punto di vista nautico fu una
condizione unica nella storia. Le modalità di commercio con la Cina ciò nonostante, rimasero per
lungo tempo davvero svantaggiose e per certi versi umilianti:
Le donne, [...] non potevano entrare nelle agenzie; ancora nel 1830 le autorità cinesi, per obbligare le donne a
tornare a Macao, avevano minacciato di interrompere i traffici. Gli stranieri non potevano assumere servitori
cinesi, nè usare portantine, ma dovevano andare a piedi; non potevano fare reclami, ma soltanto presentare
petizioni tramite i loro mallevadori indigeni.14
Dal punto di vista inglese, a questi termini, le severe restrizioni cinesi si scontravano in pieno con
l’ideologia dominante per cui la libertà di commercio era un diritto divino. A tal proposito ci
furono numerosi tentativi ufficiali di ritrattare i termini del commercio tramite diverse
12 La peculiare struttura gerarchica di questa organizzazione le consentì di estendersi in tutto il territorio in maniera
esponenziale tenendo Il Celeste Impero impegnato per ben nove anni. Nel momento in cui un leader veniva arrestato
dai funzionari militari dello Stato un’altro prendeva il comando della ribellione e ciò permise non solo l’espandersi
dell’organizzazione in più territori ma anche di mantenersi celata guadagnandosi il supporto della classe contadina
cinese che appoggiava la rivolta. Per approfondimenti sulla White lotus rebellion: Cfr. H. Sheng, From the opium
war to the may fourth movement, pp. 17-19. 13 Il tael è un’unità di misura di peso cinese e un sistema di valuta in argento in alternativa ai sistemi basati sull’oro o
sulle alternative cartacee. 14 Kavalan M. Panikkar, Storia della dominazione europea in Asia, pp. 130-131.
9
ambascerie. Il primo tentativo fu di inviare una missione diplomatica a Pechino capitanata dal
colonnello Cathcart che suo malgrado morì prima di giungere in Cina. Pochi anni dopo, nel 1793,
una seconda ambasceria capitanata da Lord E.George Macartney, con credenziali di Giorgio III,
fu inviata nel tentativo di instaurare una rappresentanza alla corte di Pechino, di aprire al
commercio altri porti, tra cui Ningbo, Zhoushan e Tianjin e di istituire le proprie agenzie in questi
territori. La risposta dell’Imperatore Qianlong fu la seguente, riportata negli Annals and
Memories of the court of Peking:
As your Ambassador can see for himself, we possess all thing. I set no value on object strange or ingenious
and have no use for your countries manufactures. This then is my answer to your request to appoint a
representative at my Court, a request contrary to our dynastic usage which would only result in inconvenience
to yourself.15
Come si può evincere dalla risposta cinese, l’ambasceria di Macartney non diede i risultati
sperati. Malgrado ciò i commerci cinesi negli anni furono talmente redditizi che le umiliazioni
subìte erano ripagate dal rendimento del commercio e in particolar modo quello del tè. Il
commercio con il Celeste Impero rimase dunque unilaterale sino alla fine del XVIII secolo
quando gli i mercanti britannici riuscirono ad immettere un prodotto che i cinesi desideravano in
quantità sempre crescenti: l’oppio indiano. Le coltivazioni di oppio e gli oppifici in India, e in
special modo nel Bengala, si moltiplicarono per la crescente domanda cinese e il perno di questo
commercio fu la Compagnia delle Indie Orientali che ne deteneva il monopolio:
Al centro di questo commercio si trovava l’onorata Compagnia delle Indie orientali. L’oppio veniva coltivato
veniva coltivato per lo più sui terreni del Bengala appartenenti alla Compagnia, la quale dopo il 1797 divenne
l’unica produttrice di oppio. Inoltre la pricipale attività della Compagnia, oltre quella di amministrare e tassare
gli indiani, era l’esportazione in Inghilterra del tè cinese.16
Il vantaggio britannico nel commercio di un prodotto come l’oppio era rappresentato dal fatto che
la produzione della materia prima in India era davvero economica e il prezzo di vendita era
nettamente superiore al costo. Inoltre, è necessario tener conto dell’assuefazione che l’oppio
provocava nei consumatori e dunque ciò si traduceva in una domanda sempre crescente il quale
garantí alla Compagnia e per estensione alla Gran Bretagna, profitti stabili e sempre in aumento.
15 E. Backhouse, O.P. Bland, Annals and Memories of the Court of Peking, Boston, Houghton Mifflin, 1914, p.325.
Reperibile anche presso l’indirizzo: https://archive.org/details/annalsmemoirsoft002081mbp 16 Headrick Daniel R., Al servizio dell’impero: Tecnologia e imperialism europeo nell Ottocento, Bologna, Il
Mulino, 1984, p. 50.
10
Nel 1816 si tentò nuovamente di uniformare il commercio cinese al mercato europeo inviando
un’altra missione diplomatica guidata dal governatore dell’India Lord Amherst il quale non fu
ricevuto dall’Imperatore Xianfeng ma nonostate i mediocri risultati delle ambascerie, il
commercio di oppio con la Cina, divenne sempre più redditizio17. Nel periodo dal 1838 al 1839
il valore delle esportazioni dalla Gran Bretagna, India inclusa, consisteva in un valore di 5,6
milioni di pounds, l’esportazione dell’oppio rappresentava il 60% del profitto. Un mercato così
invitante attirò anche altri attori occidentali economicamente in ascesa. Gli Stati Uniti entrarono
nel commercio dell’oppio attraverso la Turchia e il volume della loro flotta mercantile era
secondo solo alle navi della marina britannica. Nel 1817, delle 4,500 casse importate in Cina,
1,900 erano americane. Il ruolo degli Stati Uniti nelle guerre dell’oppio infatti sembrerebbe
essere stato considerevolmente, tenendo atto non solo della loro entrata nel commercio dell’oppio
ma anche delle innovazioni tecnologiche che definirono l’esito delle guerre anglo-cinesi come il
battello a vapore. Il governo cinese ben presto realizzò la gravità della situazione e già nel 1799
ordinò di proibire l’importazione di oppio. La campagna di abolizione del commercio dell’oppio
nel corso del primo trentennio dell’Ottocento in Cina divenne un’affare di Stato. L’imperatore
Jiaquing intensificò le ispezioni nei porti di entrata e all’interno del territorio nel tentativo di
fermare, una volta per tutte, il consumo di oppio che penetrava anche nei ranghi militari,
mettendo a serio rischio la sicurezza dell’impero. Comiciò così l’era del proibizionismo cinese
che intendeva punire severamente i trasgressori del divieto. Malgrado ciò, i mercanti cinesi che
ormai da anni si arricchivano con la distribuzione interna, avevano assaggiato il dolce frutto del
capitalismo e la nuova ondata proibizionista cinese ebbe lo stesso effetto che avrebbe avuto, nella
prima metà del Novecento, il proibizionismo americano. Le fumerie clandestine si moltiplicarono
e il prezzo del prodotto, divenuto ormai illegale, raddoppiò. Le importzioni continuarono
indisturbate nelle località limitrofe ai principali snodi commerciali marittimi come l’isola
Neilingding, situata nell’estuario di Zhujiang al di fuori della giurisdizione di Canton. In altre
località il traffico era invece favorito dalla corruzzione dei funzionari minori sui quali i mercanti
inglesi e americani esercitavano pressioni ormai da tempo, assicurandosi la stessa politica di
17 L’importazione dell’oppio indiano in Cina, stando alle stime di Hu Sheng, è riscontrabile già nella fine del XVIII
secolo per una quantità annuale di 1,000 casse l’anno. Già all’inizio dell’Ottocento il commercio incrementò di 4,000
casse e negli anni anteriori alle ostilità della guerra la quota annuale di casse d’oppio importate in Cina era di 40,000.
Per dare un’idea del valore, ogni cassa pesava dai 50 ai 60 kilogrammi e veniva venduta dai 400 agli 800 dollari
cinesi in argento in base alla qualità al porto di entrata. Per approfondimenti sui dati statistici: Cfr. H. Sheng, From
the opium war to the may fourth movement, p. 33-34.
11
commercio che ebbero con i governatori Indiani. In aggiunta a ciò l’argento, principale risorsa di
cui la Cina si era impossessata per secoli, cominciò a defluire dall’impero poichè non avendo
altra moneta di scambio i mercanti cinesi cominciarono a pagare l’oppio con esso:
As more silver flowed out of the country in exchange for opium, a shortage of silver occurred and the price of
silver soared. This created a most difficult situation for local official who must hand in tax revenue to their
superior in silver, while the taxes they collected from taxpayers were mostly in copper.18
Seguendo la logica di mercato dunque, man mano che la quantità di argento diveniva più scarsa,
il suo prezzo lievitava vertiginalmente e le riserve d’argento cinese diminuirono in maniera
esponenziale mettendo in pericolo l’intera economia imperiale. Per risolvere il problema, il
ministro Naiji vedeva un compromesso appropriato nella legalizzazione dell’oppio come
medicinale.19 In questo modo, il commercio dell’oppio, poteva essere gestito e controllato dallo
Stato il quale avrebbe garantito una tassazione adeguata al profitto. Inoltre secondo il ministro, la
situazione era tale che se ci fossero stati degli scontri armati con le forze straniere, non solo
l’esercito non sarebbe stato abbastanza preparato, poichè assuefatto all’oppio, ma il Celeste
Impero non avrebbe avuto nemmeno le risorse per pagare gli invasori qualora avesse perso e
dunque si cercarono compromessi alternativi all’ostruzionismo. L’orgoglio nazionale
dell’Imperatore Daoguang ebbe però la meglio sulle ragionevoli proposte dei suoi ministri che
non si opposero, per lo meno non apertamente, alle sue decisioni. Nel dicembre del 1838,
l’imperatore della Cina, nominò Lin Zexu come Alto Commissario Imperiale inviandolo a
Canton con un nuovo mandato per implementare la lotta all’oppio.20
2.3 Lin Zexu
L’incarico dell’Alto Commissario era correlato da credenziali che gli conferivano pieni poteri per
dare inizio alla crociata contro l’oppio. L’analisi della storia di questo attore importante della
storia della Cina moderna è fondamentale per comprendere quale fu il punto di vista cinese
riguardo alle vicende legate al commercio dell’oppio. Due mesi dopo il suo nuovo incarico,
realizzò che la corruzzione mercantile aveva già intaccato i meccanismi della burocrazia cinese.
18 H. Sheng , From the opium war to the may fourth movement, p. 37. 19 Questo modello era già applicato in Gran Bretagna. L’oppio era legale sotto prescrizione medica e veniva
utilizzato, come il laudano in virtù delle sue proprietà soporifere. 20La brillante carriera e le pregresse esperienze di Lin Tse-hsü (Lin Zexu) come governatore ufficiale nelle varie
province dell’Impero lo resero il più adeguato dei candidati per il suo incarico.
12
A difficult will be, says Lin, that most of the person named are employers in Government officers or soldiers,
whose superior are likely to shield them in every way they can, flathely denying that such things have taken
place, or declaring that the names concerned do not figure on their establishment; or alternatively, that the
person named died long ago.21
Nel marzo dello stesso anno, giunto a Canton, ebbe diversi incontri con il Governatore Generale e
gli altri ufficiali in cui venne informato che il suo arrivo aveva messo in allarme i mercanti
stranieri che preventivamente si erano spostati altrove. I suoi intenti di arrestare i principali
esponenti del traffico di oppio di Canton furono dunque vanificati dalla preventiva iniziativa di
lasciare il luogo dell’ispezione.22 Fino al 1833 infatti il commercio con la Cina fu controllato
dalla Compagnia delle Indie Orientali che aveva interesse nel mantenre aperto il commercio
anche per vie illegali ma mantenendo un’umile facciata formale con il governo cinese. Dopo
l’abolizione del monopolio, il commercio, passò nelle mani di liberi imprenditori i quali «erano
assai meno tolleranti nei confornti dei modi cinesi o assai meno disposti ad accettare qualsivoglia
umiliazione»23. Mal disposti a rispettare le restrizioni cinesi, e con nuove navi a vapore che
permettevano che il traffico fluisse anche in circostanze prima impossibili, le nuove compagnie
commerciali diedero non poco filo da torcere alle autorità locali. Il Governatore di Canton era già
a conoscenza dei traffici della Jardine & Materson e raccomandò all’Alto Commissario il suo
arresto direttamente a Pechino. I tentativi delle autorità cinesi tuttavia non impedirono il
diffondersi della propaganda di W. Jardine contro le restrizioni sul commercio cinese che
arrivarono fino a Londra. Nel Chinese Repository egli scrisse:
Noi non dobbiamo permettere che I nostril profitti e il nostro commercio in India e in Gran Bretagna, cose
preziose, possano dipendere dal capriccio di certa gente, che un paio di cannoniere schierate bene in vista di
fronte a questa città [Guanghzhou] ricondurrebbero alla ragione sparando un paio di colpi. Quanto ai risultati
di una guerra contro i cinesi, non vi possono essere dubbi.24
La politica di restrizione cinese era inizialmente strutturata in modo tale da non interferire con i
commerci legalizzati ed autorizzati dal governo. La Gran Bretagna infatti importava dalla Cina
ancora seta, tè e rabarbaro e l’Alto Commissario pensò bene di di chiudere i commerci se la tratta
21 Arthur Waley, The opium war through Chinese eyes, London, George Allen & Unwin Ltd, 1958, p.18. 22 Un esempio, riscontrabile nel volume di Waley su Lin Zexu, fu il caso di William Jardine che dopo l’abolizione
del monopolio sul commercio della Compagnia delle Indie Orientali fondò proprio a Canton insieme a James
Matheson la Jardine & Matheson Holdings Ltd. 23 Daniel R. Headrick, Il predominio dell’occidente: Tecnologia, ambiente e imperialismo, Bologna, Il Mulino, 2011,
p. 180. 24 K..M. Panikkar, Storia della dominazione europea in Asia, p. 134.
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dell’oppio non si sarebbe estinta completamente. Lin Zexu inviò dunque due comuncazioni
importanti dirette una alla gilda dei mercanti locali e l’altra ai mercanti stranieri invitando gli
ultimi a consegnare tutti carichi d’oppio in loro possesso e incaricando la gilda di controllare che
gli stranieri obbediscano. Il 2 Novembre del 1839 il The Spectator riportava:
Two edicts had been issued by the Chinese authorities, prohibiting commerce with foreign vessels "outside"
the Bocca Tigris, forbidding trade at Macao except with the Portuguese, and ordering all ships to enter the
port within five days or to depart from the coast altogether. In these edicts we think there are symptoms of
mortification at the discontinuance of the' regular trade with England.25
Se ci fosse stata qualche forma di omertà da parte dei mercanti cinesi essi sarebbero stati accusati
di alto tradimento.26 Le comunicazioni di Zexu, dal punto di vista storiografico, assumono una
rilevanza notevole per comprendere l’esito delle guerre dell’oppio. In esse è infatti riscontrabile
che l’immaginario cinese dell’età moderna rigardo gli europei era completamente fuorviato da
dicerie e congetture del passato, come spiega Arthur Waley:
In the communication to foreigners […] Lin reminds them that it is only a favor that foreigners are allowed to
trade at all. China is completely self-supporting, whereas foreigners cannot live without the tea and rhubarb
that they get from China. The belief that foreigners, and particularly the English, would die of constipation if
deprived of rhubarb was widely held at this time in China. It had its origin, I think, in the practice, so widely
spread in early nineteenth-century Europe, of a grand purge every spring, rhubarb-root being often an
ingredient in the purgatives used.27
Lin Zexu ben presto realizzò però che le esportazioni di rabarbaro dalla Cina erano relativamente
basse e dunque pensò di proibire le esportazioni di tè che nel frattempo era divenuta la bevanda
nazionale inglese. Ciò nonostante il governo di Sua Maestà, in previsione di una restrizione sul
tè, provvedette in anticipo a stoccare i carichi nelle riserve nazionali e ad implementare
l’agricoltura indiana «dove la pianta del tè, che pure aveva origine proprio nell’ Assam, non era
mai stata coltivata prima»28. Cosicchè la Regina e i suoi sudditi continuarono a bere senza
pericoli, al mattino e al pomeriggio, la loro bevanda nazionale. In breve, uno dei fattori decisivi
per l’esito delle guerre dell’oppio sembrerebbe essere stato proprio il disinteresse cinese nei
25 The China trade, in The Spectator, 2 November 1839, p. 1. 26 L’Alto Commissario era conosciente del doppio gioco dei mercanti cinesi Ciò del quale non era a conoscenza era
però che i mercanti non mentivano, infatti, l’oppio non era scaricato mai direttamente a Canton ma nelle località
limitrofe in modo tale da eludere i controlli. 27 A. Waley, The opium war through Chinese eyes, p. 33. 28 K. M. Panikkar, Storia della dominazione europea in Asia, p. 479.
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confronti dell’Occidente. Essi infatti, nel XIX secolo, non erano coscienti delle grandi rivoluzioni
del passato europeo e del mutamento tecnologico e sociale che ebbe luogo in Europa e negli Stati
Uniti. A tal proposito è interessante analizzare la missiva che l’Alto Commissario inviò alla
Regina Vittoria pubblicata sul Chinese Repository:
During the commercial intercourse which have existed so long, among the numerous foreign merchants
resorting hither, are wheat and tares, good and bad; and of these latter are some, who, by means of introducing
opium by stealth, have seduced our Chinese people , and caused every province of the land to overflow with
that poison. 29
Riferendosi poi alla violazione delle restrizioni del governo cinese Lin esortò la Regina a
prendere provvedimenti: «We presume that you, the sovereign of your honorable nation, on
pouring out your heart before the altar of eternal justice, cannot but command all foreigners with
the deepest respect to reverence our laws. […] Let than your highness punish those of your
subject who may be criminal» 30 . Ciò che non poteva sapere era che la monarchia era
perfettamente a conoscenza e ben soddisfatta del capitale che proveniva dalle esportazioni in
Oriente. Il suo secondo errore, in conseguenza al primo, «consistette nel non voler credere a un
intervento della marina britannica in aiuto dei malfattori».31 Tuttavia, la crociata contro l’oppio
dell Alto Commissario, ebbe risvolti anche più pratici. Nel giro di pochi mesi confiscò più di
20.000 casse di oppio che furono bruciate in pubblico, fece preventivamente riarmare i cannoni
delle principali fortezze sulla costa per qualsiasi evenienza e mise agli arresti domiciliari decine
di famiglie britanniche.
Capitolo III
3.1 Il Nemesis
L’opinione pubblica britannica, in merito all’oppio non era mai stata severa ma le restrizioni
applicate dai funzionari cinesi furono viste come un’attentato al libero commercio e alla libertà
del popolo britannico. In The Spectator nel 1839 la questione dell’oppio venne commentata con
29 Lin Zexu, Letter to Queen Victoria, February 1840 No. 10, in The Chinese Repository: From may 1839 to April
1840, vol. VIII, Canton, 1840, p. 498. 30 Ibid. pp. 499-502. 31 K. M. Panikkar, Storia della dominazione europea in Asia, p.138.
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queste parole: «opium, used in moderation, is not more hurtful to the user than wine, whisky, or
other "medicines for the mind» 32 . Le circostanze in merito alla confisca e alla distruzone
dell’oppio di proprietà dei mercanti britannici misero a dura prova l’opinione pubblica che
reclamò una guerra in virtù de i danni subiti:
The voice of the general mercantile community ought to be for peace : but it happens that in this quarrel with
China a powerful diversion in favor of war is created by peculiar circumstances. Compensation for the opium
delivered up to destruction " for her Majesty's service "—valued, without interest, at about two millions and a
half sterling—can only be obtained by war.33
Dal The Standard e da altri giornali britannici furono pubblicate una serie di testimonianze di
mercanti che rivendicavano il diritto di prorpietà e un riscatto per le offese subite tra cui le
testimonianze del Sopraintendente per il Commercio in Cina Sir Charles Elliot:
The dangerous, unprecedented, and unexplained circumstance of a public execution before the factories at
Canton, to the imminent hazard of life and property and total disregard of the honour and dignity of his own
and the other western government whose flag were recently flying in that square […] it is their purpose to
detain all Her Majesty’s subject as hostages.34
L’opinione pubblica della Gran Bretagna si ritrovò divisa a metà tra interventisti che
rivendicavano il prestigio e l’onore dello Stato e della Corona, cui degna di nota è la
pubblicazione del politico britannico Samuel Warren35 e quella minoranza contraria alla guerra
in sè tra cui William Gladstone che definì tale commercio come “vicious, immoral trade”36. Il
governo britannico commissionò alla Compagnia delle Indie Orientali la costruzione di natanti
armati perticolarmente adatti al servizio militare, in altre parole, la costruzione di nuove tipologie
di battelli a vapore in ferro che avrebbero spezzato la situazione di stallo in Cina. Il primo ad
essere ultimato fu il Nemesis che «Con la sua stazza di 660 tonnellate, era il più grosso battello a
vapore mai costruito»37 . Queste imbarcazioni, particolarmente adatte sia per la navigazione
32 The China trade, in The Spectator, November 2, 1839, p.13. 33 The opium war, it’s supporters and opponents, in The Spectator, May 2, 1840, p. 10. 34 Proceedings at Canton relative to the trade in opium, in The Standard, August 13, 1839, p. 1. 35 Ci si riferisce al pamphlet di: Samuel Warren, The Opium Question, London, James Rigway Piccadilly, 1840. 36 H.Sheng, From the opium war to the may fourth movement, p. 46. 37 D. R. Headrick, Il predominio dell’Occidente, p. 182.
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oceanica che per quella fluviale, constituirono una vera e propria svolta tecnologica.38 Il battello a
vapore dal punto di vista cinese veniva considerato, prima delle guerre dell’oppio, come un mero
strumento di diletto occidentale. Alcuni ufficiali li chiamavano «fire-wheel boats (huo-lun
ch’uan)»39 e non si sarebbero mai aspettati un utilizzo militare di questa tecnologia.
Conclusioni
Le lezioni dell’Imperialismo
Il vantaggio tecnologico e la corruzzione interna alla Cina assicurarono la vittoria della Gran
Bretagna sul Celeste Impero nel primo scontro armato. L’esito della prima guerra dell’oppio non
fu tuttavia quello desiderato. Il trattato di Nanchino aprì il commercio cinese all’oppio ma non ci
fu mercato per altri prodotti britannici. Inoltre, i profitti del nuovo commercio non erano di gran
lunga superiori a quelli ottenuti nel passato con la pirateria. Successivamente al trattato di
Nanchino naquero dei sentimenti anti-britannici nella popolazione cinese. I cittadini di
Guandgong si organizzarono militarmente bruciando i quartieri dove gli stranieri risiedevano:
Several days before the incident, the Mingliun Hall, a gatering place fpr the city’s intellectuals, had posted a
public notice which called “all the righteous pepole in Guangdong” to organize themself as militias for the
pourpose of self-defence and “in accordance with the emperor’s edicts” to conduct a relentless struggle
against the British.40
Il governo cinese negò il suo ruolo in queste rivolte e provedette a giustiziare i colpevoli. Ciò
nonostante alcune esecuzioni non furono sufficienti per placare la rivolta. Prima delle guerre
dell’oppio i mercanti stranieri erano tenuti a risiedere al di fuori della città di Canton. Dopo
l’esito della guerra fecero richiesta per entrare nella città. Questa richiesta fu oggetto di numerose
minacce da parte del popolo di Canton nei confornti dei cittadini britannici e l’imperatore dovette
ritardare l’accesso degli stranieri in città finchè le rivolte non si sarebbero placate per assicurarne
38 La forza del vapore applicata alle imbarcazioni fu un’invenzione americana che consentì l’espandersi degli Stati
Uniti anche attraverso i fiumi con un fondale basso come il Mississipi. Tuttavia le testimonianze raccolte da L. Jung-
Pang in China’s Paddle-Wheel Boats evdenziano che dei prototipi del battello a vapore furono fabbricati in China già
nel 1132 per combattere la pirateria. Il modello consisteva in un’imbarcazione fornita di quattro ruote poste sui lati,
ogni ruota fatta ruotare rispettivamente da quattro uomini. 39 Lo Jung-Pang, China’s Paddle-Wheel Boats: Mechanized Craft Used in the Opium War and their Historical
Background, in Tsing hua Journal of Chinese Studies vol. II, 1960, p. 191. 40 H. Sheng, From the opium war to the may fourth movement, p. 88.
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l’ incolumità.41 Nei mesi seguenti diversi incidenti contro dei cittadini britannici funsero da casus
belli per la Gran Bretagna che ben presto inviò delle navi per bombardare la città stessa:
In October 1846, two British sailors were beaten up in a suburb of Guangzhou. In March, 1847, several
Englishman were stoned by mobs in the town of Fushan, near Guangzhou. Using these incidents as pretext,
John Francis Davis, the British Minister to China who served simultaneously as Governor/General of Hong
Kong, suddenly launched an armed attack against the city itself.42
Data la mancanza di determinazione del governo cinese il popolo indigeno si sentì richiamato
difendere la patria dagli stranieri che non solo avevano infangato l’onore imperiale ma che presto
avrebbero scatenato una seconda guerra nei confronti della Cina. La Gran Bretagna aveva
interesse a penetrare la Cina fino a Pechino per organizzarne un’ambasciata e per realizzare il
sogno del libero commercio in Cina. Lo Stato cinese, in questo preciso momento storico, subì una
frammentazione notevole e gli intellettuali cominciarono a comprendere che la causa dell’esito
della prima guerra dell’oppio era stata proprio la loro mancanza di comprensione dei costumi
stranieri: «Facing the crisis and perhaps stimulated by it, some bureaucrats and intellectuals, all
of a landlord background, thought it desiderable to learn a little about these stranger from the
West and to try to understand them»43. Ma nonostante i tentativi di instaurare una comunicazione
pacifica con l’Occidente, le masse dei contadini si mobilitarono in virtù di quella contraddizione
che era propria dell’impero Cinese. La preoccupazione degli intellettuali era infatti fondata. Per
secoli l’impero aveva oppresso la classe contadina che non riuscì a sviluppare una voce
d’opposizione forte all’autocrazia. L’ingresso di quell’occidente figlio delle rivoluzioni, nella
Cina imperiale, ebbe un’effetto catalizzatore per le masse:
For centuries the Empire had combined bureaucratic governance with ritually buttressed centralization of
authority in the person of the autocratic emperor, and it was considerably more successful than European
states in preventing public political debate. The family did provide a sphere for intimate relationships that did
not necessarily follow Confucian hierarchical models, but such practices were not legitimated by theory, and
41 Nello specifico il trattato di Nanchino dichiarava solamente Canton come uno dei porti aperti al commercio ma
non garantiva l’entrata in citta dei mercanti inglesi. I cittadini di Canton inviarono una comunicazone nel 1843
all’imperatore nel quale non assicurono che un’altra concessione agli stranieri sarebbe stata privi di pericoli.
Cfr. H. Sheng, From the opium war to the may fourth movement, pp. 90-91. 42 Ibid. p. 93. 43Ibid, p. 118.
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in any case family or lineage interests were too associated with the suspect concept of private to be used
effectively in challenging the state.44
In altre parole l’iniqua distribuzione della ricchezza e l’imperialismo straniero diedero vita ad un
movimento di ribellione che mise in ginocchio il Celeste Impero ormai debole e frammentato:
The oppressed peasant masses finally stood out. In the year following the Opium War, peasant movements
mushroomed across the nation, to resist the payment of taxes and rents, to assassinate government officials,
etc. [...] After 1847, peasant in these provinces staged armed uprising, though the uprisings were rather small
in size As for bandit-like groups purely motivated by economic gains, they were nearly everywhere. It was in
these circumstances that the great peasant revolution, known as the Taiping Revolution Started.45
La rivolta dei Taiping mobilitò grandi masse di contadini oppressi in tutta la nazione. Tuttavia
non tutti i gruppi reazionari erano collegati all’armata Taiping e fu proprio su questi gruppi che la
sfera di influenza occidentale fece le sue pressioni. La classe capitalista occidentale d’altronde
introdusse il cristianesimo in Cina e il suo scopo fu di influenzare la popolazione. Il regime
Taiping interpretò il cristinesimo in maniera del tutto originale e diede vita alle rivolte dei
contadini. In questo senso l’evangelizzazione ebbe dei risvolti positivi. Tuttavia la religione
cristiana, come le altre forme di superstizione pose un velo sui veri intenti degli stranieri che
condividevano ora lo stesso credo dei contadini oppressi. Con una magistrale operazione di
frammentazione del popolo cinese dall’impero, le potenze occidentali, strumentalizzarono la
rivolta Taiping fino alla firma del trattato di Pechino da parte dell’Imperatore, il quale, non
realizzò prontamente a quali condizioni avrebbe soppresso le rivolte del suo popolo tramite
un’alleanza con gli Stati stranieri. La flessibilità delle istituzioni europee ancora una volta
determinò il vantaggio e il superamento delle barriere che ostacolavano il sogno chimerico del
libero mercato. Supportando da un lato i gruppi reazionari esterni e sopprimendo la rivoluzione
dei Taiping allo stesso tempo, le potenze occidentali si assicurarono la vittoria nel secondo
scontro armato con il Celeste Impero. Il trattato di Pechino consolidò così il libero commercio in
Oriente e allo stesso tempo definì il crollo inesorabile di quell’ impero che dominò l’economia
mondiale fino all’incontro con il capitalismo occidentale.
44 Mary Backus Rankin, The origins of a Chinese public sphere: Local elites and community affairs in the late
Imperial period, in Études chinoises, vol. IX n.2, 1990, p.17. 45H. Sheng, From the opium war to the may fourth movement, p.123.
19
Bibliografia
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Hobsbawm Eric J., Industry and Empire. An economic history of Britain since 1750, London,
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Sheng Hu , From the opium war to the may fourth movement, Beijing, Foreign Languages Press,
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Waley Arthur, The opium war through Chinese eyes, London, George Allen & Unwin Ltd, 1958.
Articoli in riviste
Backus Rankin Mary, The Origins of a Chinese Public Sphere: Local elites and community
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Jung-Pang Lo, China’s Paddle-Wheel Boats: Mechanized Craft Used in the Opium War and their
Historical Background, in Tsinghua Journal of Chinese Studies vol. II, 1960.
20
Lin Zexu, Letter to Queen Victoria, February 1840 No. 10. in The Chinese Repository: From may
1839 to April 1840, vol. VIII, Canton, 1840.
Articoli in Giornali:
Proceedings at Canton relative to the trade in opium, in The Standard, London, August 13, 1839.
The China trade, in The Spectator, London, November 2, 1839.
The opium war, it’s supporters and opponents, in The Spectator, London, May 2, 1840.