Le varie forme di Partenariato Pubblico Privato e la Finanza di progetto nel nuovo assetto
normativo
Avv. Sergio Massimiliano Sambri
Introduzione
L’istituto del partenariato pubblico privato (PPP) può essere ai nostri fini definito come uno
strumento di collaborazione tra pubblico e privato avente come scopo principale quello di
individuare finanziamenti alternativi a quelli tradizionali (trasferimenti dal governo centrale e
indebitamento), che coinvolgono i privati nel reperimento delle risorse e nella realizzazione dei
progetti, con l’apporto di competenze specifiche e innovative.
In generale, infatti, con il termine partenariato ci si riferisce a forme di cooperazione tra le autorità
pubbliche e le imprese, al fine di finanziare la costruzione, il rinnovamento, la manutenzione o la
gestione di un’opera ovvero la fornitura di un servizio.
Possono essere individuate diverse forme di PPP. La distinzione fondamentale però, così come
individuata dalla Commissione Ue nel Libre Verde del 2004, è individuata tra il partenariato
contrattuale, che trova, cioè, il suo fondamento in un rapporto negoziale, (l’esempio tipico è
rappresentato dalla concessione) e il partenariato istituzionale, che si basa invece sulla costituzione
di un soggetto giuridico distinto cui partecipa sia il soggetto pubblico sia quello privato (il
riferimento va chiaramente alle società miste).
La base teorica del concetto del partenariato pubblico-privato può essere ricondotta alla teoria di “x-
efficiency” sviluppata da H. Leibenstein (1966), in contrapposizione a quella tradizionale di
efficienza allocativa, fondata sulla constatazione, corredata da importanti riscontri empirici, che le
imprese operano all’interno del proprio vincolo tecnologico anziché sulla frontiera dello stesso. La
teoria economica della produzione presuppone invero che le imprese svolgano la propria attività in
modo tecnicamente efficiente, scegliendo combinazioni di input e output in linea con il vincolo
rappresentato dalla tecnologia disponibile.
In altri termini, si ipotizza che nel lungo periodo ogni impresa utilizzi la ‘best practice technology’
e operi in corrispondenza del costo medio totale minimo. Sulla base di questa premessa, la teoria
citata concentra l’attenzione sulle inefficienze allocative che possono derivare, in senso paretiano,
da scelte distorte nella combinazione degli input e degli output. Leibenstein, criticando la tesi
convenzionale secondo la quale si può stabilire una rigida e certa relazione fra le quantità impiegate
dei fattori produttivi e quelle di output ottenibili, sostiene che la “x-efficiency” dipende da
insufficienti motivazioni, interne ed esterne all’impresa, affinché individui e aziende siano
incentivati a impegnarsi nell’erogazione delle prestazioni lavorative e nella ricerca delle soluzioni
tecnologiche più efficienti. Tre sono le principali ragioni addotte per giustificare tali affermazioni:
contratti di lavoro incompleti; assenza di un mercato per taluni input, in particolare per il
management; conoscenza incompleta della funzione della produzione.
Leibenstein conclude che la X-efficienza è particolarmente rilevante in mercati in cui la
concorrenza è debole, come in regime di monopolio, e dove l’incentivo alla ricerca della
minimizzazione dei costi è meno pressante. Ritiene, peraltro, che i guadagni di produttività
conseguibili da un miglioramento della X-efficienza possano largamente sopravanzare quelli
ottenibili da un aumento dell’efficienza allocativa (Dizionario di Economia e Finanza – Treccani).
In parole molto più banali, si tratterebbe di raggiungere l’obiettivo (tramite il PPP) di costi inferiori
per le imprese private, di maggiore qualità del servizio per gli utenti rispetto al solo intervento
pubblico, di trasferimento di competenze tra settore privato e quello pubblico.
Le varie forme di PPP nell’ordinamento italiano – accenni ai principali istituti
Nel d.lgs. 163/2006 - Codice dei contratti pubblici, è stata recentemente inserita, all’art. 3, comma
15-ter, la definizione dei contratti di partenariato pubblico privato, ossia quei “contratti aventi per
oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione
di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso
il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con
allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti”.
Entrambe le categorie di partenariato - contrattuale e istituzionale - individuate, come già ricordato,
dalla Commissione Ue sono, peraltro, richiamate tra gli esempi di PPP riportati dal Codice dei
Contratti che, dopo aver fornito la definizione di cui sopra, prosegue con un elenco (meramente)
esemplificativo dei contratti di PPP, includendovi: i) le concessioni di lavori o di servizi, ii) la
locazione finanziaria, iii) il contratto di disponibilità, iv) il project financing, v) l’affidamento a
società miste, nonché vi) l’affidamento a contraente generale, a condizione, però, che in tale ultima
ipotesi il corrispettivo per la realizzazione dell’opera sia in tutto o in parte posticipato e collegato
alla disponibilità dell’opera per il committente o per utenti terzi.
La ragione dell’accorpamento in un’unica definizione di diversi istituti tra loro sicuramente
differenti deve essere individuata principalmente nell’intenzione del legislatore di creare un legame
giuridico che consenta l’applicazione a detti istituti di tutta quella articolata struttura di regole
specificatamente introdotte a suo tempo nella legge sui lavori pubblici e per la Finanza di Progetto.
1) Rispettando l’ordine del codice, la prima forma di partenariato pubblico privato è
rappresentata dalle concessioni di lavori o servizi. L’istituto della concessione, nel corso degli anni,
ha subito una vera e propria trasformazione da strumento volto ad affidare compiti pubblicistici
intuitu personae a vero e proprio contratto (così definito nella direttiva in materia di appalti n.
17/2004). Scopo della concessione, dunque, non è più tanto la sostituzione del privato
all’amministrazione nello svolgimento di attività aventi profili anche pubblicistici, bensì
l’affidamento ad un soggetto privato di compiti articolati e complessi nell’ambito di una relazione
interdipendente tra le parti (sinallagmatica), (anche) al fine di attrarre capitali privati per il
soddisfacimento di interessi della collettività.
La concessione può avere ad oggetto lavori ovvero servizi. Con riferimento alla prima tipologia,
essa è definita dall’art. 3, comma 11, del codice come il contratto a titolo oneroso, concluso in
forma scritta, avente per oggetto l’esecuzione ovvero la progettazione esecutiva e l’esecuzione
ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici o di
pubblica utilità e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione
funzionale ed economica, che presenta le stesse caratteristiche dell’appalto, ad eccezione del fatto
che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto
accompagnato da un prezzo.
Per quanto concerne, invece, la concessione di servizi, il comma 12 dell’art. 3 procede
qualificandola come un contratto che si differenzia dall’appalto di servizi in quanto il corrispettivo
consiste nel diritto di gestire il servizio o in tale diritto accompagnato da un prezzo.
La concessione, sia essa di lavori ovvero di servizi, presenta, pertanto, un oggetto molto simile al
contratto di appalto, differenziandosi in radice da quest’ultimo per le modalità di remunerazione e
per la conseguente allocazione del rischio di esecuzione. Il corrispettivo è, infatti, costituito dalla
gestione economica e finanziaria dell’opera o del servizio, al più accompagnata da un prezzo, e, di
conseguenza, l’alea è (dovrebbe essere) trasferita integralmente o comunque in maniera
maggioritaria sul soggetto privato.
2) Il secondo contratto richiamato, sempre a titolo esemplificativo, tra quelli di partenariato
pubblico privato è la locazione finanziaria, con cui un soggetto conduttore ottiene la disponibilità di
un bene, acquistato o fatto costruire per suo conto da una società, che, appunto, lo loca al conduttore
a fronte del pagamento di un canone.
Il leasing finanziario pubblico, in cui, cioè, il conduttore è una pubblica amministrazione, trova la
sua disciplina nel codice dei contratti pubblici all’art. 160-bis, introdotto dall’art. 2, comma 1, del
d.lgs. 113/2007 così come integrato dal d.lgs. 152/2008, che, al comma 1, chiarisce che è possibile
farvi ricorso “per la realizzazione, l’acquisizione ed il completamento di opere pubbliche o di
pubblica utilità”. Si tratta, dunque, di un appalto pubblico di lavori, “salvo che questi ultimi abbiano
un carattere meramente accessorio rispetto all'oggetto principale del contratto medesimo”.
Tuttavia, a differenza del contratto di appalto, il leasing in costruendo rappresenta una forma di
finanziamento privato delle opere pubbliche, in cui il capitale necessario è connesso allo stesso
processo di realizzazione dell’opera.
E invero, il soggetto privato finanziatore anticipa i fondi per la costruzione dell’opera. Solo a
seguito del completamento e del collaudo dell’opera, la pubblica amministrazione inizierà a
rimborsare il costo della sua realizzazione, mediante la corresponsione di canoni periodici.
Tale peculiare figura contrattuale presenta dei vantaggi sul versante privato, sia per quel che
riguarda l’impresa esecutrice dei lavori, sia per il soggetto finanziatore. Quanto alla prima, infatti, il
vantaggio deriva dal pagamento diretto e immediato da parte della società di leasing, per cui il cash
flow non risulterebbe condizionato dai ritardi di pagamento imputabili all’Amministrazione. Per
quel che concerne, invece, il soggetto finanziatore, egli dispone della possibilità di impegnare
capitale con certezza di remunerazione a tempi e tassi definiti e concordati.
I vantaggi derivanti dall’applicazione dell’istituto non sembrano esaurirsi solo sul piano economico.
La società cui spetta il compito di realizzare l’opera sembra godere, altresì, di maggiore autonomia
nella gestione e conduzione del cantiere, con conseguente ottimizzazione della capacità di
pianificazione ed esecuzione dei lavori. A tal proposito, peraltro, occorre evidenziare che l’art. 160-
bis prescrive che il bando di gara indichi i requisiti soggettivi, funzionali, economici, tecnico
realizzativi e organizzativi, nonché le caratteristiche tecniche ed estetiche dell’opera, i costi, i tempi,
le garanzie necessarie e, infine, i parametri di valutazione tecnica ed economico-finanziaria
dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
In ogni caso, l’adempimento degli impegni da parte dell’amministrazione è sempre subordinato alla
verifica positiva della realizzazione e gestione dell’opera secondo le modalità prescritte nel bando
di gara.
Anche sul lato pubblico il ricorso al leasing in costruendo potrebbe invero risultare vantaggioso. In
primo luogo perché non vi dovrebbe essere alcuna limitazione e/o vincolo al bilancio in conformità
al Patto di stabilità. A tal proposito, però, bisogna sottolineare come la magistratura contabile (e
anche altra magistratura) ha avuto modo di chiarire che il ricorso alla locazione finanziaria non può
rappresentare un mezzo per eludere i limiti imposti dal patto di stabilità interno, al cui rispetto sono
chiamati tutti gli enti pubblici (v. Corte conti, sez. controllo, Lombardia, n. 1139/2009; n. 40/2012).
Dal lato del patto di stabilità esterno (Europeo) desta molte perplessità l’applicabilità delle regole di
Eurostat che così come modificate nel 2011 potrebbero portare a classificare l’investimento come
debito pubblico.
Sotto altro profilo, la pubblica amministrazione ha la certezza del costo, essendo l’opera realizzata
“chiavi in mano”, con attribuzione del rischio di costruzione alla società di leasing e infine perché
inizierà a pagare il corrispettivo pattuito solo ad avvenuta realizzazione definitiva dell’opera
medesima.
Un ulteriore vantaggio sembra possa essere rinvenuto nel fatto che all’interno di un unico
procedimento viene raggruppato il processo di costruzione dell’opera e il suo finanziamento. Merita
annotare che, a tal proposito, è stato posto a livello interpretativo il problema della necessità o meno
di una doppia gara: una per la scelta della società di leasing e l’altra per il soggetto che
effettivamente realizza l’opera.
L’art. 160-bis (nella sua ultima versione), però, fa riferimento a un’unica gara per l’individuazione
della società di leasing, cosicché sembra doversi ritenere che l’amministrazione instauri un rapporto
esclusivamente con la società che finanzia l’opera, restando distinto e autonomo il rapporto tra
quest’ultima e il soggetto realizzatore. La soluzione, allora, può essere rappresentata da un’unica
gara, nella quale la società di leasing indica già in sede di offerta il soggetto che realizzerà
concretamente l’opera.
Quanto appena detto sembra trovare conferma in quanto disposto dall’art. 160-bis al comma 3, in
base al quale “l’offerente di cui al comma 2 può essere anche una associazione temporanea
costituita dal soggetto finanziatore e dal soggetto realizzatore, responsabili, ciascuno, in relazione
alla specifica obbligazione assunta, ovvero un contraente generale”. Peraltro, nel caso di
inadempimento o sopravvenienza di qualsiasi causa impeditiva all’adempimento dell’obbligazione
da parte di uno dei due partecipanti all’ati, l’altro può sostituirlo, con l’assenso del committente, con
altro soggetto avente medesimi requisiti e caratteristiche.
Il vantaggio di ricorrere a detto istituto sembra consistere (principalmente) nella possibilità per
l’amministrazione di disporre di un bene senza la necessità di un esborso immediato dell’intero
valore. Anche se non si possono tacere, di contro, i maggiori costi complessivi dell’operazione,
posto che il totale dei canoni e della somma da versare per l’eventuale riscatto saranno ovviamente
decisamente superiori rispetto al valore del bene, dovendosi ricomprendere tutti gli oneri di
finanziamento che verranno integralmente ribaltati sull’Amministrazione.
Oltre all’elemento economico, tra gli aspetti negativi relativi all’istituto in esame potrebbe, invero,
annoverarsi anche la presenza di incoerenze normative che rendono incerto il percorso da seguire.
Infine, non si può tacere che la disciplina appare alquanto lacunosa in relazione alla fase di
esecuzione dei lavori, al ruolo della D.L.L., ai pagamenti in acconto e alle varianti in corso d’opera
sul progetto di riferimento.
3) La terza forma di PPP prevista dal già citato art. 3, comma 15-ter, è rappresentata dal
contratto di disponibilità, definito come “il contratto mediante il quale sono affidate, a rischio e a
spese dell’affidatario, la costruzione e la messa a disposizione a favore dell’amministrazione
aggiudicatrice di un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio di un pubblico servizio, a
fronte di un corrispettivo” e disciplinato dall’art. 160-ter del Codice, a seguito delle modifiche
introdotte dall’art. 44, c. 1, lett. d), del d.l. n. 1/2012, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo
2012, n. 27 (c.d. decreto Liberalizzazioni).
Mediante tale tipologia contrattuale, l’affidatario assume l’onere, a proprio rischio, di garantire
all’amministrazione (oltre ovviamente alla costruzione) la costante disponibilità e fruibilità
dell’opera realizzata conformemente a quanto pattuito, assicurando per tutta la durata del rapporto
la manutenzione, nonché l’eliminazione di eventuali vizi sopravvenuti.
La particolarità del contratto riguarda sicuramente la remunerazione, che si articola secondo tre
possibili modalità. Prima di tutto, l’amministrazione è tenuta a corrispondere all’affidatario un
canone dal momento in cui il bene entra effettivamente nella disponibilità del soggetto pubblico.
Peraltro, proprio in ragione del fatto che il canone è collegato alla disponibilità del bene, esso può
essere ridotto proporzionalmente ovvero annullato in caso di ridotta o nulla disponibilità. Può poi
essere previsto un contributo in corso d’opera, comunque non superiore al cinquanta per cento del
costo di costruzione dell’opera, da versarsi, però, solo nel caso in cui sia previsto il trasferimento
della proprietà dell’opera all’amministrazione aggiudicatrice. E sempre nell’ipotesi di trasferimento
della proprietà, è, infine, dovuto un prezzo finale, parametrato al rapporto tra il valore dell’opera, i
canoni già versati e l’eventuale contributo già erogato in corso d’opera.
Quanto al soggetto aggiudicatario, questi deve essere individuato mediante una procedura ad
evidenza pubblica, il cui bando ponga a base di gara un capitolato prestazionale, predisposto
dall’amministrazione, alla quale spetta il compito di indicare dettagliatamente le caratteristiche
tecniche e funzionali dell’opera, nonché le modalità per la rideterminazione del canone per i casi di
indisponibilità, anche parziale, dell’opera.
Il bando deve, altresì, prevedere i criteri che saranno osservati nella valutazione delle diverse offerte,
le quali devono contenere quali documenti principali una cauzione, un piano economico -
finanziario e un progetto preliminare rispondente alle caratteristiche indicate nel capitolato
prestazionale e devono essere corredate dalla garanzia di cui all’art. 75 del Codice.
Al soggetto aggiudicatario spetta poi il compito di redigere il progetto definitivo, il progetto
esecutivo e le eventuali varianti in corso d’opera. Questi ha, inoltre, la facoltà di introdurre le
varianti che siano utili per una maggiore economicità di costruzione o gestione, nel rispetto del
capitolato prestazionale e delle disposizioni normative e dei provvedimenti applicabili. Prima
dell’approvazione del progetto definitivo, di quello esecutivo e delle varianti da parte
dell’affidatario è comunque necessaria una comunicazione preventiva (e non una approvazione) alla
stazione appaltante e ed eventualmente a terze autorità.
Peraltro, assume indubbiamente rilevanza distinguere il rischio della mancata o ritardata
approvazione della documentazione di competenza da parte delle autorità terze, che ricade sul
soggetto affidatario (c.d. rischio amministrativo), dal rischio derivante dal mancato o ritardato
rilascio di autorizzazioni, pareri, nulla osta e ogni altro atto di natura amministrativa di competenza
specifica dell’amministrazione aggiudicatrice, che la norma rimette all’accordo delle parti (da
disciplinare nella concessione) pur ribadendo che, di principio, tale rischio dovrebbe ricadere
sull’amministrazione aggiudicataria.
Con il collaudo l’amministrazione verifica la conformità dell’opera al capitolato prestazionale e alle
norme applicabili e in caso di difformità può prescrivere modificazioni, varianti o rifacimenti di
lavori eseguiti oppure, sempreché siano assicurate le funzioni essenziali dell’opera, può disporre la
riduzione del canone. Anche se il contratto deve prevedere un limite massimo di riduzione del
canone superato il quale il contratto è risolto.
Il principale vantaggio che deriva all’amministrazione dallo stipulare un contratto di tal fatta
consiste nell’allocazione del rischio della costruzione e della gestione tecnica dell’opera in capo al
privato per tutta la durata della messa a disposizione del bene. A tal proposito, infatti, il comma 3
della norma prescrive la necessità che il soggetto aggiudicatario presti la cauzione definitiva di cui
all’art. 113 del Codice e che, dalla data di messa a disposizione del bene, presti una cauzione a
garanzia delle penali relative al mancato o inesatto adempimento di tutti gli obblighi contrattuali
relativi alla messa a disposizione dell’opera, da prestarsi nella misura del dieci per cento del costo
annuo operativo di esercizio e con le modalità di cui all’articolo 113.
Particolarmente indicata per le opere fredde, la forma contrattuale in esame garantisce anche una
riduzione della tempistica normalmente necessaria all’amministrazione per acquisire la disponibilità
di un bene, considerando che la gara si svolge esclusivamente sul capitolato prestazionale, mentre
l’onere della progettazione e dell’esecuzione (attività successiva all’aggiudicazione) ricade sul
privato.
Anche sul fronte privato, il ricorso al contratto di disponibilità sembra poter produrre discreti
vantaggi per varie ragioni, tra cui il fatto che l’affidatario realizza un’opera con la certezza dei
ricavi futuri. Occorre, altresì, considerare che con l’applicazione di tale istituto si dovrebbe avere un
aumento della domanda da parte delle pubbliche amministrazioni di opere specialistiche, con
conseguente innalzamento anche della qualità delle opere offerte dal privato.
Tuttavia, a fronte dei menzionati vantaggi, non possono trascurarsi alcune criticità legate all’istituto.
Per quanto riguarda il soggetto privato, questi assume da solo il rischio dell’ottenimento delle
necessarie autorizzazioni (con la precisazione sopra indicata), della costruzione e gestione tecnica
dell’opera per tutto il periodo di messa a disposizione in favore dell’amministrazione aggiudicatrice.
Inoltre, il privato deve essere in grado di ottenere i finanziamenti necessari per l’intera durata del
rapporto e deve disporre di una certa solidità patrimoniale e finanziaria.
Sul piano pubblico, invece, alcune perplessità potrebbero riguardare la difficoltà per
l’amministrazione di valutare le tipologie di opere per cui è opportuno ricorrere a tale schema
contrattuale, nonché le modalità operative, ad esempio in relazione al progetto di riferimento o alle
varianti in corso d’opera.
4) La più rodata modalità di partenariato pubblico privato è rappresentata dalla Finanza di
progetto, con cui ci si riferisce comunemente a un’operazione finanziaria mediante la quale una
pubblica amministrazione affida la realizzazione di un’opera pubblica il cui onere finanziario è
posto parzialmente o totalmente a carico del privato, sulla base di un piano di finanziamento
predeterminato.
Il project financing consiste, dunque (almeno nella sua accezione più classica), nel finanziamento di
un progetto idoneo a generare, nella fase di gestione, flussi di cassa sufficienti a rimborsare il debito
contratto per la sua realizzazione oltre che a remunerare il capitale di rischio. L’operazione viene
normalmente sviluppata tramite il ricorso a una società di nuova costituzione, la società di progetto,
che ha il compito di realizzare e gestire il progetto.
Il vantaggio della costituzione di una nuova società è rappresentato per il privato dal fatto che,
trattandosi di un soggetto giuridicamente distinto dal promotore, i capitali investiti restano separati
rispetto alle altre attività dei suoi soci e quindi con una delimitazione precisa del rischio in capo alla
società di progetto.
Le procedure di project financing possono essere di diverso tipo.
La prima, c.d. a “gara unica”, prevede che, ogniqualvolta l’amministrazione lo ritenga, venga
pubblicato un bando per la presentazione di una “proposta” da parte delle imprese interessate. In
sede di valutazione delle proposte, l’amministrazione tiene conto sia della qualità del progetto
preliminare sia del valore economico-finanziario del piano, oltre che del contenuto della bozza di
convenzione.
Nel caso non siano necessarie modifiche ai fini dell’approvazione del progetto preliminare,
l’amministrazione affida la realizzazione dell’opera alla stessa impresa promotrice scelta.
Diversamente, laddove l’amministrazione dovesse richiedere delle varianti al progetto, l’impresa
nominata promotrice potrebbe alternativamente accettare di appore le modifiche e realizzare l’opera
ovvero rifiutarsi. In questo secondo caso, l’amministrazione proporrà la realizzazione del progetto
alle altre imprese interessate secondo l’ordine di graduatoria.
La seconda modalità è detta a “doppia gara”, perché viene svolta una prima gara per la scelta del
promotore e una seconda per l’aggiudicazione della concessione. In questo caso, dunque,
l’aggiudicazione in favore del medesimo promotore si avrà solo laddove nessuna altra impresa
presenti un’offerta più vantaggiosa di quella proposta dal promotore. Tuttavia, nel caso in cui
un’altra impresa presenti un’offerta più vantaggiosa, sarà comunque riconosciuta al promotore la
facoltà di esercitare un diritto di prelazione e quindi aggiudicarsi la concessione, a condizione, però,
che sia disposto a realizzare l’opera allo stesso prezzo offerto dall’impresa che aveva presentato
l’offerta economicamente più vantaggiosa. Laddove, invece, la seconda gara dovesse andare deserta,
il contratto verrebbe aggiudicato automaticamente al promotore.
La terza procedura si basa, invece, sull’iniziativa dei privati e trova applicazione nei casi di inerzia
dell’amministrazione. In particolare, nel caso in cui non sia stato pubblicato alcun bando nei sei
mesi successivi all’approvazione dei programmi triennali di realizzazione di lavori pubblici, le
imprese interessate possono presentare proposte per realizzare una delle opere ivi inserite.
La pubblica amministrazione sceglie la proposta più attinente all’interesse pubblico (ove ve ne
siano più d’una relative alla medesima opera) e la pone a base di gara per l’individuazione del
soggetto che dovrà provvedere alla sua realizzazione. A tal fine, l’amministrazione dispone di varie
alternative: può procedere all’indizione di una gara per la concessione di opere pubbliche ex art. 143
del Codice ovvero avviare la seconda fase della procedura a doppia gara. Può anche procedere, ove
ne sussistano i presupposti e ove il progetto preliminare necessiti di modifiche al fine della sua
approvazione, ad indire una procedura di dialogo competitivo. In tutti i casi il promotore viene
invitato a partecipare.
Il quarto modello, infine, si basa sulla partecipazione dell’impresa privata mediante la presentazione
di progetti preliminari per la realizzazione di interventi di pubblico interesse relativi ad opere non
inserite nella programmazione triennale approvata. Entro sei mesi l’amministrazione può approvare
le proposte, apportando eventualmente le modifiche necessarie. In questo modo il progetto del
privato entra a far parte della programmazione dell’amministrazione e seguirà l’indizione della gara
per aggiudicare la concessione, cui il promotore parteciperà potendo al termine della competizione
attivare il diritto di prelazione e aggiudicarsi comunque la concessione.
Lo strumento del project financing sembra, in linea di principio, più adatto per le opere c.d. calde,
per le quali è possibile disporre una tariffazione sull’utenza finale e, quindi, garantire il recupero del
capitale impiegato tramite il flusso di cassa generato dall’espletamento dei servizi connessi alla
gestione della relativa opera.
Per un giudizio complessivo dell’istituto, potrebbe, dunque, dirsi che il project financing presenti
sia elementi di vantaggio sia di svantaggio per l’amministrazione e per il contraente privato.
Iniziando con gli aspetti positivi di tale peculiare forma di finanziamento delle opere pubbliche, non
può tacersi che, rispetto al tradizionale appalto di lavori pubblici, il grande vantaggio di ricorrere
alla finanza di progetto è di non impattare sul bilancio pubblico, assicurando, al contempo,
maggiore efficacia ed efficienza sia nella fase di realizzazione che di gestione dell’opera. Inoltre, il
rischio legato all’operazione è ripartito (dovrebbe essere) per la maggior parte in capo al soggetto
privato.
I vantaggi, d’altra parte, riguardano anche il soggetto privato. In caso di fallimento del progetto,
infatti, l’impresa è comunque più garantita, dal momento che per la realizzazione del progetto viene
costituita una società di capitali ad hoc. Per questa ragione, peraltro, il privato può accedere a nuove
forme di finanziamento, evitando, così, di peggiorare i propri indici di indebitamento, dal momento
che la società di progetto può (dovrebbe poter) indebitarsi a prescindere dalla situazione dei soggetti
che l’hanno costituita. Infine, un ulteriore elemento positivo può essere individuato nella possibilità
di attivare una leva finanziaria con percentuali elevate di debito su mezzi propri.
A fronte dei vantaggi appena richiamati, il project financing presenta, però, anche alcuni limiti. E
invero, da un lato, non risulta molto semplice coordinare i diversi soggetti coinvolti, nonché
ripartire tra loro i rischi; dall’altro, le tempistiche per la realizzazione del progetto appaiono
decisamente lunghe, a partire dalla procedura di aggiudicazione della concessione. Infine, si registra
la difficoltà per le amministrazioni di adottare questa struttura anche a causa degli elevati costi di
istruttoria dovuti già nella fase preliminare, ad esempio per le consulenze finanziarie, tecniche e
fiscali e legali.
5) L’ultima forma di partenariato pubblico privato richiamata dal codice è rappresentata
dall’affidamento a società miste. Il problema dell’affidamento diretto di lavori o servizi alle società
miste è stato risolto dalla giurisprudenza richiedendo che il socio privato venga scelto con una
procedura ad evidenza pubblica e che si tratti di un socio di lavoro o industriale ovvero operativo.
Tale orientamento, già espresso a livello nazionale (v. Cons. Stato, sez. II, parere n. 456/2007), è
stato recepito anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (v. 15 ottobre 2009, C-196/08), che
ha “salvato” il modello della società mista, a condizione che il socio, cui spettano i compiti
operativi, sia scelto mediante una procedura ad evidenza pubblica.
D’altra parte, questo modello ha trovato conferma anche nel dettato normativo con riferimento ai
servizi pubblici di rilevanza economica che, nonostante le recenti numerose modifiche, continua a
prevedere tra le modalità di affidamento dei servizi quello diretto a società miste il cui socio privato
sia stato individuato mediante una gara pubblica.
Vantaggi e svantaggi dei PPP e principali innovazioni normative
Il ricorso ai PPP costituisce indubbiamente un importante stimolo per la ripresa economica. La
capacità degli schemi di PPP di riunire gli interessi pubblici e quelli privati è in grado, infatti, di
contribuire allo sviluppo strutturale a lungo termine di infrastrutture e servizi.
A tale scopo, tutti i modelli di PPP devono essere improntati alla promozione dell'efficienza nei
servizi pubblici, mediante la condivisione dei rischi e lo sfruttamento delle competenze del settore
privato, al contempo alleggerendo la pressione immediata sulle finanze pubbliche grazie a una fonte
di capitale aggiuntiva. Questo è, infatti, quanto si legge nella Comunicazione della Commissione
europea del 19 novembre 2009 (COM 2009 615), dal titolo “Mobilitare gli investimenti pubblici e
privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-
privato”, emessa circa cinque anni dopo l’adozione del libro verde sui PPP.
Nella comunicazione vengono, altresì, messi in evidenza i principali aspetti positivi legati a questa
particolare modalità di realizzazione delle opere pubbliche. In particolare, si segnalano il
miglioramento della realizzazione dei progetti, che normalmente avviene nel rispetto delle
tempistiche stabilite e del bilancio concordato, la riduzione delle spese per le infrastrutture, grazie
allo sfruttamento dell’efficienza e dell’innovazione tipici del settore privato, nonché la ripartizione
del costo del finanziamento per l’intera durata dell’opera, così riducendo la pressione immediata sui
bilanci pubblici e consentendo di anticipare di molti anni i progetti infrastrutturali da realizzare.
Inoltre, i PPP migliorano la condivisione dei rischi tra settore pubblico e privato - mediante la
riduzione dei costi complessivi dei progetti -, favoriscono la sostenibilità, l’innovazione, la ricerca e
lo sviluppo e, infine, riconoscono al settore privato un ruolo centrale nell’elaborazione e
nell’attuazione delle strategie di lungo termine per i programmi industriali, commerciali e
infrastrutturali.
La Commissione ha poi espresso alcune considerazioni anche con riguardo agli aspetti negativi.
Tra le criticità dei PPP individuate dalla Commissione si possono prima di tutto richiamare
l’ingente esborso di risorse già nella fase di preparazione e presentazione dell’offerta, nonché la
necessità di disporre delle competenze specifiche del settore per preparare, concludere e gestire i
contratti. Ma non solo. Non si può, infatti, non considerare anche l’aspetto maggiormente politico
della volontà di condividere con il settore privato gli investimenti per grandi progetti pubblici e
della necessità di impegnarsi, a livello governativo, per lunghi periodi di tempo.
Infine, tra le difficoltà legate all’utilizzo dei PPP deve ricondursi anche la necessità di progettare
l’operazione in modo da garantire un buon rendimento, che consenta, cioè, al privato di ottenere
ricavi proporzionali ai rischi sostenuti.
Il report della Commissione conclude affermando che lo sviluppo del PPP come strumento diventa
cruciale allorquando (come ora) la crisi economica e finanziaria ostacola la capacità dei fondi
pubblici di mettere a disposizione finanziamenti adeguati per specifici progetti e individua cinque
piani di azione per agevolare la diffusione dei PPP.
In particolare, secondo la commissione, sarebbe utile 1) istituire un gruppo PPP, invitando le parti
interessate a discutere le proprie preoccupazioni e a proporre idee relative ai PPP, eventualmente
anche pubblicando degli orientamenti idonei ad aiutare gli stati membri a ridurre il carico
amministrativo e i ritardi nell’attuazione dei PPP; 2) collaborare con la BEI, al fine di rafforzare le
risorse finanziarie disponibili per i PPP, adeguando gli strumenti europei esistenti e sviluppando
strumenti finanziari per i PPP nelle aree strategiche; 3) esaminare le norme e le pratiche pertinenti
per garantire che ove siano coinvolti fondi comunitari i finanziamenti pubblici siano concessi senza
discriminazioni; 4) proporre un quadro normativo per l’innovazione più efficace, compresa la
possibilità per l’UE di partecipare a soggetti di diritto privato e di investire direttamente in progetti
specifici; 5) valutare la possibilità di proporre uno strumento legislativo relativo alle concessioni.
A tal proposito, è stata, peraltro, presentata una proposta di direttiva sull’aggiudicazione dei
contratti di concessione, con l'obiettivo principale di chiarire il quadro giuridico applicabile, nonché
di fornire una definizione più precisa dei contratti di concessione, soprattutto con riferimento al
concetto di rischio operativo (come si vedrà in seguito, il Parlamento europeo, a seguito della
proposta, ha effettivamente adottato, in data 15 gennaio 2014, una nuova direttiva in materia).
La proposta vuole precisare, inoltre, quali tipi di rischi si debbano considerare operativi e come
debba essere definito il rischio significativo. Altro importante obiettivo della proposta è, poi, di
estendere l'applicazione del diritto derivato all'aggiudicazione dei contratti di concessione nel
settore dei servizi di pubblica utilità.
Di particolare importanza appaiono, poi, i principi contenuti nel 7° e 8° considerando della proposta
di direttiva, dove si legge che le difficoltà legate all'interpretazione dei concetti di "contratto di
concessione" e di "appalto pubblico" sono state motivo di perdurante incertezza giuridica tra i
soggetti interessati, oltre che oggetto di numerose sentenze della Corte di Giustizia.
Da qui la necessità di precisare meglio la definizione di concessione, soprattutto con riferimento al
concetto di "rischio operativo sostanziale". La caratteristica principale della concessione consiste,
infatti, sempre nel trasferimento al concessionario del rischio economico, che comprende anche il
possibile mancato recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti.
L'8° considerando invece chiarisce che, qualora la regolamentazione settoriale specifica preveda
una garanzia a favore del concessionario per il recupero degli investimenti e dei costi sostenuti per
la realizzazione del contratto, il contratto stesso non si configuri come una concessione ai sensi
della direttiva. Per aversi veramente un PPP la sua struttura deve, infatti, spostare "effettivamente" i
rischi della gestione del progetto sulla parte privata, altrimenti lo stesso verrà considerato come un
semplice appalto, con tutto ciò che ne consegue in termini di disciplina applicabile, soprattutto ai
fini del calcolo del debito pubblico.
Di particolare rilievo per lo sviluppo dell’istituto della finanza di progetto è stato anche l’intervento
dell’UTEP (Unità Tecnica Finanza di Progetto), la quale, in diverse pubblicazioni, ha evidenziato le
tematiche principali da affrontare per migliorare l’applicabilità dell’istituto, in particolare con
riferimento all’aspetto preliminare della c.d. «ideazione del progetto», nonché alla questione della
localizzazione e della conformità urbanistica, che vanno risolte già nella fase di programmazione
triennale.
Un ulteriore punto critico evidenziato dall’UTEP riguarda, invece, il divario di conoscenze tra la PA
e le parti private sul tema della finanza di progetto. In particolare, l’UTEP ha individuato tra i punti
deboli del nostro mercato dei lavori pubblici l’eccessiva frammentazione delle amministrazioni
aggiudicatrici, spesso non dotate della necessaria expertise per l’affidamento dei contratti di PPP.
Inoltre, viene proposto un diverso approccio alle fasi di selezione della proposta, mentre nella fase
comparativa l’amministrazione dovrebbe seguire un procedimento che colga gli aspetti migliorativi
e innovativi delle varie offerte per arricchire solo quella che effettivamente verrà dichiarata di
pubblico interesse.
Tra le proposte vi è poi la previsione dell’obbligo di richiedere per le variazioni al progetto
originario una nuova attività di asseverazione da parte dei soggetti a ciò deputati, nonché della
necessità di assorbire e comprendere nel quadro economico del concessionario, mediante una stima,
anche i costi dell’attività di advisor. A tal proposito, si ricordi l’inserimento del comma 2-bis
dell’art. 153, ad opera della Legge n. 134/2012, ove è previsto che i costi per la predisposizione
degli studi di fattibilità sostenuti dalla PA per aver affidato la relativa attività a soggetti terzi
possano essere ricompresi nel quadro economico del progetto.
Un altro punto di grande rilievo riguarda l’opportunità di subordinare la sottoscrizione del contratto
di concessione all’impegno degli sponsor, e dei relativi finanziatori, a finanziare il progetto.
Sicuramente positiva è, quindi, la previsione inserita nell'art. 175 del Codice dei Contratti che
prevede che le proposte presentate in sede di gara debbano dare contezza di un coinvolgimento di
uno o più istituti finanziatori e che, addirittura, per poter procedere con l'aggiudicazione definitiva,
l'aggiudicatario deve dare contezza dell'integrale copertura finanziaria dell'investimento.
Altro aspetto di rilievo consiste nel prevedere l’inserimento, nel contratto di concessione, di una
disciplina dello step in right più aderente alle esigenze dei finanziatori, oltre alla previsione, come
obbligatoria a tutela dell’Amministrazione e dei soggetti finanziatori, dell’adozione effettiva di
tecniche di project management e cost control.
Di grande impatto potrebbe, poi, essere l’introduzione della procedura del dialogo competitivo nella
fase di valutazione delle proposte, mentre l’estensione anche alle concessioni di cui all’art. 153 di
quanto previsto dall’art. 125 c.p.a. - per cui i contratti di concessione relativi alle infrastrutture di
interesse strategico, una volta stipulati, non potrebbero più essere annullati se non per tassative
ragioni inerenti a gravi e palesi violazioni dei principi di pubblicità e concorrenzialità - ci riporta
ovviamente al delicato problema dell’equilibrio tra la certezza e la speditezza delle attività e il
rispetto e la garanzia dell’effettività dell’esplicazione del diritto di difesa e di legittimità dell’azione
amministrativa.
Sin da quando l’istituto della Finanza di progetto è stato normativamente disciplinato (con la Legge
Merloni) gli interventi di modifica sono stati numerosi. Nel corso degli ultimi anni però, certamente
anche a causa della grave crisi economico e finanziaria che il nostro paese ha subito, le modifiche
sono state numerose, ancorché frammentarie e a pioggia, ovviamente creando e peggiorando un
altro aspetto problematico dell’istituto, ossia quello della certezza del struttura normativa di
riferimento.
Molto, però, potrebbe ancora essere fatto. Si potrebbe, invero, giungere a considerare la finanza di
progetto come una figura istituzionale oltre che contrattuale e quindi l’eventualità di prevederne una
disciplina codicistica autonoma rispetto al corpus del Codice dei contratti pubblici.
In ogni caso, sembra assumere particolare rilievo quanto previsto con il d.l. n. 21 giugno 2013, n. 69
(c.d. Decreto del fare), con cui sono stati disposti i seguenti interventi:
- modifica del comma 5 dell’art. 143, per cui alla consegna dei lavori è previsto l’obbligo del
concedente di dichiarare la legittimità, efficacia e validità di tutti gli atti (autorizzazioni, licenze,
abilitazioni, nulla osta, permessi) di cui dispone;
- modifica del comma 8 dell’art. 143, prevedendo la possibilità che la revisione del piano
economico-finanziario possa realizzarsi anche a seguito di novità legislative o regolamentari che
possono incidere sul piano economico e finanziario, previa verifica del CIPE, sentito il Nucleo di
consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità. In
particolare, l’attuale formulazione del comma 8 prevede che “La stazione appaltante, al fine di
assicurare il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario degli investimenti del
concessionario, può stabilire che la concessione abbia una durata superiore a trenta anni, tenendo
conto del rendimento della concessione, della percentuale del prezzo di cui ai commi 4 e 5 rispetto
all'importo totale dei lavori, e dei rischi connessi alle modifiche delle condizioni di mercato. I
presupposti e le condizioni di base che determinano l'equilibrio economico-finanziario degli
investimenti e della connessa gestione, da richiamare nelle premesse del contratto, ne costituiscono
parte integrante. Le variazioni apportate dalla stazione appaltante a detti presupposti o condizioni di
base, nonché le norme legislative e regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi tariffari o che
comunque incidono sull'equilibrio del piano economico-finanziario, previa verifica del CIPE sentito
il Nucleo di consulenza per l'attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica
utilità (NARS), comportano la sua necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle
nuove condizioni di equilibrio, anche tramite la proroga del termine di scadenza delle concessioni.
In mancanza della predetta revisione il concessionario può recedere dal contratto. Nel caso in cui le
variazioni apportate o le nuove condizioni introdotte risultino più favorevoli delle precedenti per il
concessionario, la revisione del piano dovrà essere effettuata a favore del concedente. Al fine di
assicurare il rientro del capitale investito e l'equilibrio economico-finanziario del Piano Economico
Finanziario, per le nuove concessioni di importo superiore ad un miliardo di euro, la durata può
essere stabilita fino a cinquanta anni”;
- introduzione del comma 8-bis nell’art. 143, per cui “ai fini della applicazione delle disposizioni di
cui al comma 8 del presente articolo, la convenzione definisce i presupposti e le condizioni di base
del piano economico-finanziario le cui variazioni non imputabili al concessionario, qualora
determinino una modifica dell'equilibrio del piano, comportano la sua revisione. La convenzione
contiene inoltre una definizione di equilibrio economico finanziario che fa riferimento ad indicatori
di redditività e di capacità di rimborso del debito, nonché la procedura di verifica e la cadenza
temporale degli adempimenti connessi”;
- modifica dell’art. 144, comma 3-bis, con cui si stabilisce che il bando per le concessioni da
affidarsi con la procedura ristretta può prevedere che l’amministrazione aggiudicatrice indica, prima
della scadenza del termine di presentazione delle offerte, una consultazione preliminare con gli
operatori economici invitati a presentare le offerte, al fine di verificare l’insussistenza di criticità del
progetto posto a base di gara sotto il profilo della finanziabilità. L’amministrazione, a seguito della
consultazione, può adeguare gli atti di gara aggiornando il termine di presentazione delle offerte,
che non può essere inferiore a trenta giorni decorrenti dalla relativa comunicazione agli interessati.
Non può essere oggetto di consultazione l'importo delle misure di defiscalizzazione di cui all'
articolo 18 della legge 12 novembre 2011, n. 183 , e all' articolo 33 del decreto-legge 18 ottobre
2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 , nonché l'importo
dei contributi pubblici, ove previsti;
- introduzione, nell’art. 144, del comma 3-ter, in base al quale “Il bando può prevedere che l'offerta
sia corredata dalla dichiarazione sottoscritta da uno o più istituti finanziatori di manifestazione di
interesse a finanziare l'operazione, anche in considerazione dei contenuti dello schema di contratto e
del piano economico-finanziario”;
- introduzione nell’art. 144 del comma 3-quater, in cui si legge che “L'amministrazione
aggiudicatrice prevede nel bando di gara che il contratto di concessione stabilisca la risoluzione del
rapporto in caso di mancata sottoscrizione del contratto di finanziamento o in mancanza della
sottoscrizione o del collocamento delle obbligazioni di progetto di cui all'articolo 157, entro un
congruo termine fissato dal bando medesimo, comunque non superiore a ventiquattro mesi,
decorrente dalla data di approvazione del progetto definitivo. Resta salva la facoltà del
concessionario di reperire la liquidità necessaria alla realizzazione dell'investimento attraverso altre
forme di finanziamento previste dalla normativa vigente, purché sottoscritte entro lo stesso termine.
Nel caso di risoluzione del rapporto ai sensi del primo periodo, il concessionario non avrà diritto ad
alcun rimborso delle spese sostenute, ivi incluse quelle relative alla progettazione definitiva. Il
bando di gara può altresì prevedere che in caso di parziale finanziamento del progetto e comunque
per uno stralcio tecnicamente ed economicamente funzionale, il contratto di concessione rimanga
valido limitatamente alla parte che regola la realizzazione e gestione del medesimo stralcio
funzionale”;
- introduzione nell’art. 153 del comma 21-bis, per cui “al fine di assicurare adeguati livelli di
bancabilità e il coinvolgimento del sistema bancario nell'operazione, si applicano in quanto
compatibili le disposizioni contenute all'articolo 144, commi 3-bis, 3-ter e 3-quater”. La medesima
disposizione è stata inserita anche negli artt. 174 e 175, rispettivamente al comma 4-bis e al 5-bis.
Al di là delle modifiche normative intervenute, sembra importante richiamare anche le ulteriori
proposte relative all’istituto che, tuttavia, non hanno avuto riscontro e che, invece, potrebbero
contribuire al miglioramento dello strumento in esame.
Il riferimento va in particolare allo schema di disegno di legge del 30 ottobre 2012, recante norme e
deleghe in materia di infrastrutture, trasporti e territorio, in cui si proponeva l’introduzione, nella
disciplina dello step in right di cui all’art. 159 del Codice dei Contratti, del principio in base al
quale le parti nel contratto possono fissare criteri e modalità di attuazione del subentro (a tal fine
introducendo la possibilità di stipulare accordi diretti con il finanziatore che costituiscono parte
integrante del contratto), nonché il riconoscimento di una più ampia possibilità di utilizzare le
centrali di committenza e, infine, l’introduzione dell’istituto della Consultazione pubblica, mediante
l’inserimento dell’art. 162-bis, contenente la disciplina puntuale dell’istituto.
Continuando il discorso relativo agli interventi di miglioramento della finanza di progetto, sembra
utile richiamare anche l’adozione delle linee guida per l’applicazione delle misure previste dall’art.
18 della Legge 183/2011, approvate con la Delibera pubblicata nella Gazzetta Ufficiale in data 3
settembre 2013.
In particolare, si legge nelle linee guida che tali misure possono essere concesse per:
- nuove infrastrutture di interesse strategico nazionale ancora da realizzare, per le quali
non sussiste la sostenibilità economica dell’operazione (art. 18, co. 1);
- infrastrutture di interesse strategico nazionale già affidate - ossia quelle per le quali al
19 dicembre 2012, data di entrata in vigore della legge 17 dicembre 2012, n, 221
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge, 18 ottobre 2012, n. 179,
recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese) sia stata approvata la
convenzione di concessione;
- opere in corso di affidamento (per le quali al 19 dicembre 2019 sia già pubblicato il
bando di gara) nel caso in cui risulti necessario ripristinare l’equilibrio dl piano
economico finanziario (art. 18, co. 2).
Le misure, invece, non possono essere concesse per le infrastrutture strategiche già realizzate ed
entrate in esercizio.
Si legge sempre all’interno delle linee guida che il CIPE “con apposita delibera definisce l’importo
teorico del contributo pubblico a fondo perduto necessario per assicurare o ripristinare l’equilibrio
del piano economico finanziario (PEF), la cui somma con eventuali contributi pubblici pregressi
non può essere superiore al 50 per cento del costo dell’investimento; e determina l’eventuale
ammontare del contributo a fondo perduto da assegnare al progetto e conseguentemente
l’ammontare delle misure agevolative previste dall’articolo 18 comma 1, una sola volta e per
l’intera durata della concessione. I beneficiari del contributo a fondo perduto e/o delle Misure per la
realizzazione di nuove opere non possono accedere a ulteriori contributi. Nelle nuove opere
l’importo del contributo pubblico a fondo perduto è posto a base di gara per individuare il
concessionario. Le offerte vanno quindi valutate in base alla loro capacità di ridurre l’apporto di
denaro pubblico”.
La nuova direttiva in materia di concessioni
In data 15 gennaio 2014, il Parlamento europeo, su proposta del Parlamento e del Consiglio europei,
ha adottato una nuova direttiva in materia di aggiudicazione dei contratti di concessione. A tal
proposito, è particolarmente utile riportare alcuni (o parti) dei considerando, al fine di comprendere
i principi alla base delle nuove norme, nonché le finalità perseguite dal legislatore europeo che
confermano appieno le osservazioni presentate dalla Commissione nel rapporto del 2009 di cui
abbiamo dato conto in precedenza.
“1) Tale quadro giuridico consentirebbe inoltre di fornire maggiore certezza giuridica agli
operatori economici e potrebbe costituire una base e uno strumento per aprire maggiormente i
mercati internazionali degli appalti pubblici e rafforzare gli scambi commerciali mondiali.
2) (Le norme) dovrebbero tenere debito conto della specificità delle concessioni rispetto agli
appalti pubblici e non dovrebbero comportare eccessivi oneri burocratici.
3) In tale contesto, i contratti di concessione rappresentano importanti strumenti nello sviluppo
strutturale a lungo termine di infrastrutture e servizi strategici in quanto concorrono al
miglioramento della concorrenza in seno al mercato interno, consentono di beneficiare delle
competenze del settore privato e contribuiscono a conseguire efficienze e innovazione.
9) I raggruppamenti di operatori economici, inclusi quelli sotto forma di associazione
temporanea, possono partecipare a procedure di aggiudicazione senza dover assumere una forma
giuridica specifica. Nella misura in cui ciò sia necessario, ad esempio nei casi in cui sia prevista la
responsabilità in solido, è possibile imporre una forma specifica quando la concessione venga
aggiudicata a tali raggruppamenti.
10) E’ opportuno adottare alcune norme di coordinamento anche per l’aggiudicazione di
concessioni di lavori e servizi nei settori dell’energia e dei servizi di trasporto e postali.
11) Le concessioni sono contratti a titolo oneroso mediante i quali una o più amministrazioni
aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori o la prestazione e
gestione di servizi a uno o più operatori economici. Tali contratti hanno per oggetto l’acquisizione
di lavori o servizi attraverso una concessione il cui corrispettivo consiste nel diritto di gestire i
lavori o i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo. Essi possono, ma non devono
necessariamente, implicare un trasferimento di proprietà alle amministrazioni aggiudicatrici o agli
enti aggiudicatori, ma i vantaggi derivanti dai lavori o servizi in questione spettano sempre alle
amministrazioni aggiudicatrici o agli enti aggiudicatori.
17) I contratti che non implicano pagamenti al contraente e ai sensi dei quali il contraente è
remunerato in base a tariffe regolamentate, calcolate in modo da coprire la totalità dei costi e degli
investimenti sostenuti dal contraente per la fornitura del servizio, non dovrebbero rientrare
nell’ambito di applicazione della presente direttiva.
18) E’ necessario precisare meglio la definizione di concessione, in particolare facendo
riferimento al concetto di “rischio operativo”. La caratteristica principale di una concessione,
implica sempre il trasferimento al concessionario di un rischio operativo di natura economica che
comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per
realizzare i lavori o i servizi aggiudicati in condizioni operativo normali, anche se una parte del
rischio resta a carico dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore. (…) Allo stesso
tempo, occorre precisare che alcuni accordi remunerati esclusivamente dall’amministrazione
aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore dovrebbero configurarsi come concessioni qualora il
recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall’operatore per eseguire i lavoro o
fornire il servizio dipenda dall’effettiva domanda del servizio o del bene o dalla loro fornitura.
19) Il fatto che il rischio sia limitato sin dall’inizio non dovrebbe escludere che il contratto si
configuri come concessione. Può essere questo il caso, per esempio di settori con tariffe
regolamentate o dove il rischio operativo sia limitato mediante accordi di natura contrattuale che
prevedono una compensazione parziale, inclusa una compensazione in caso di cessazione anticipata
della concessione per motivi imputabili all’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore
ovvero per cause di forza maggiore.
20) Un rischio operativo dovrebbe derivare da fattori al di fuori del controllo delle parti. Rischi
come quelli legati a una cattiva gestione, a inadempimenti contrattuali da parte dell’operatore
economico o a cause di forza maggiore non sono determinanti ai fini della qualificazione come
concessione, dal momento che rischi del genere sono insiti in ogni contratto, indipendentemente dal
fatto che si tratti di un appalto pubblico o di una concessione. Il rischio operativo dovrebbe essere
inteso come rischio di esposizione alle fluttuazioni del mercato, che possono derivare da un rischio
sul lato della domanda o sul lato dell’offerta ovvero contestualmente da un rischio sul lato della
domanda e sul lato dell’offerta.
22) E’ opportuno definire i “diritti esclusivi” e i “diritti speciali” in quanto tali nozioni sono
essenziali per l’ambito di applicazione della presente direttiva e la nozione di “enti aggiudicatori”.
Si dovrebbe chiarire che gli enti che non sono né enti, né imprese pubbliche sono soggette alla
direttiva solo nella misura in cui esercitano una delle attività interessate sulla base di detti diritti.
Tuttavia, essi non saranno considerati enti aggiudicatori se tali diritti sono stati concessi per messo
di una procedura basata su criteri oggettivi, in particolare ai sensi della legislazione dell’Unione, e
alla quale sia stata assicurata un’adeguata pubblicità.
23) La direttiva si applica ai contratti di concessione il cui valore sia pari o superiore a una
determinata soglia. (…) Il calcolo dovrebbe fare riferimento al fatturato totale del concessionario
quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, stimato dall’amministrazione
aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, IVA esclusa, per la durata del contratto.
29) Nel caso di contratti misti in cui le diverse parti costitutive del contratto sono
oggettivamente non separabili, le norme applicabili dovrebbero essere determinate in base
all’oggetto principale del contratto.
38) E’ altresì opportuno escludere talune concessioni di servizi e di lavori aggiudicate da un
ente aggiudicatore a una joint venture, costituita da più enti aggiudicatori per svolgere attività
contemplate dalla presente direttiva e di cui l’ente faccia parte. Tuttavia, è opportuno anche evitare
che tale esclusione provochi distorsioni della concorrenza a beneficio di imprese o joint venture
collegate agli enti aggiudicatori; occorre prevedere un insieme appropriato di norme, segnatamente
per quanto riguarda il limite massimo entro cui le imprese possono ricavare parte del loro fatturato
dal mercato e oltre i quali perderebbero la possibilità di vedersi aggiudicare concessioni senza
indizione di gara, la composizione di tali joint venture e la stabilità delle relazioni tra queste ultime
e gli enti aggiudicatori di cui sono composte.
(40) Le caratteristiche particolari di tali regimi giustificano le esclusioni nel settore idrico
dall'ambito di applicazione della presente direttiva. L'esclusione riguarda le concessioni di lavori e
di servizi per la messa a disposizione o la gestione di reti fisse destinate alla fornitura di un servizio
al pubblico in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di acqua potabile o
l'alimentazione di tali reti con acqua potabile.
(41) La presente direttiva non dovrebbe applicarsi alle concessioni aggiudicate da enti aggiudicatori
e finalizzate a consentire lo svolgimento di una delle attività di cui all’allegato II se, nello Stato
membro in cui l'attività è esercitata, essa è direttamente esposta alla concorrenza su mercati
l'accesso ai quali non è limitato.
(46) Le concessioni aggiudicate a persone giuridiche controllate non dovrebbero essere soggette
all'applicazione delle procedure previste dalla presente direttiva qualora l'amministrazione
aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore di cui all'articolo 7, paragrafo 1, lettera a), eserciti sulla
persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, a
condizione che la persona giuridica controllata svolga più dell'80% delle proprie attività
nell'esecuzione di compiti a essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente
aggiudicatore che esercita il controllo o da altre persone giuridiche controllate da tale
amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, a prescindere dal beneficiario dell'esecuzione
del contratto. L'esenzione non dovrebbe estendersi alle situazioni in cui vi sia partecipazione diretta
di un operatore economico privato al capitale della persona giuridica controllata poiché, in tali
circostanze, l'aggiudicazione di una concessione senza una procedura competitiva offrirebbe
all'operatore economico privato con una partecipazione nel capitale della persona giuridica
controllata un indebito vantaggio rispetto ai suoi concorrenti.
(52) La durata di una concessione dovrebbe essere limitata al fine di evitare la preclusione
dell'accesso al mercato e restrizioni della concorrenza. (…) Tuttavia, tale durata può essere
giustificata se è indispensabile per consentire al concessionario di recuperare gli investimenti
previsti per eseguire la concessione, nonché di ottenere un ritorno sul capitale investito. Di
conseguenza, per le concessioni di durata superiore a cinque anni la durata dovrebbe essere limitata
al periodo in cui si può ragionevolmente prevedere che il concessionario recuperi gli investimenti
effettuati per eseguire i lavori e i servizi e ottenga un ritorno sul capitale investito in condizioni
operative normali, tenuto conto degli specifici obiettivi contrattuali assunti dal concessionario per
rispondere alle esigenze riguardanti, ad esempio, la qualità o il prezzo per gli utenti. (…) La durata
massima della concessione dovrebbe essere indicata nei documenti di gara, a meno che la durata sia
utilizzata come criterio di aggiudicazione del contratto. Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti
aggiudicatari dovrebbero sempre poter aggiudicare una concessione per un periodo più breve di
quello necessario per recuperare gli investimenti, a condizione che la corrispondente
compensazione non elimini il rischio operativo.
(68) Di norma le concessioni sono accordi complessi di lunga durata con i quali il concessionario
assume responsabilità e rischi tradizionalmente assunti dalle amministrazioni aggiudicatrici.
(70) Gli enti aggiudicatori dovrebbero avere la possibilità di escludere operatori economici che si
sono dimostrati inaffidabili, per esempio a causa di gravi o reiterate violazioni di obblighi
ambientali o sociali, (…) o di altre forme di grave violazione dei doveri professionali, materia di
concorrenza o di diritti di proprietà intellettuale. Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti
aggiudicatori dovrebbero anche poter escludere candidati o offerenti che, in occasione
dell'esecuzione di precedenti concessioni o altri contratti con le amministrazioni aggiudicatrici e gli
enti aggiudicatori, hanno messo in evidenza notevoli mancanze per quanto riguarda obblighi
sostanziali, per esempio mancata fornitura o esecuzione, carenze significative del prodotto o
servizio fornito che lo rendono inutilizzabile per lo scopo previsto o un comportamento scorretto
che dà adito a seri dubbi sull'affidabilità dell'operatore economico. Il diritto nazionale dovrebbe
prevedere una durata massima per tali esclusioni.
(72) (…) È inoltre necessario garantire una certa trasparenza nella catena dei subappalti, in quanto
ciò fornisce alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori informazioni su chi è
presente nei cantieri edili nei quali si sta lavorando per loro conto o su quali imprese forniscono
servizi all’interno e presso edifici, infrastrutture aree.
(75) È pertanto necessario precisare, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia
dell'Unione europea in materia, le condizioni alle quali le modifiche di una concessione durante la
sua esecuzione richiedono una nuova procedura di aggiudicazione della concessione. Una nuova
procedura di concessione è necessaria quando vengono apportate modifiche sostanziali alla
concessione iniziale, in particolare al campo di applicazione e al contenuto dei diritti e degli
obblighi reciproci delle parti, inclusa la ripartizione dei diritti di proprietà intellettuale. Tali
modifiche dimostrano l’intenzione delle parti di rinegoziare termini o condizioni essenziali della
concessione in questione. Ciò si verifica, in particolare, quando le condizioni modificate avrebbero
inciso sull'esito della procedura nel caso in cui fossero state parte della procedura sin dall'inizio.
(76) Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatari possono trovarsi ad affrontare
circostanze esterne che non era possibile prevedere quando hanno aggiudicato la concessione, in
particolare quando l'esecuzione della concessione copre un periodo lungo. In questi casi è
necessaria una certa flessibilità per adattare la concessione alle circostanze senza ricorrere a una
nuova procedura di aggiudicazione. Il concetto di circostanze imprevedibili si riferisce a circostanze
che non si potevano prevedere nonostante una ragionevole e diligente preparazione
dell'aggiudicazione iniziale da parte dell'amministrazione aggiudicatrice.
La Direttiva sembra, poi, risolvere il problema della definizione di concessione, soprattutto al fine
di distinguerla dal contratto di appalto, prevedendo che “l'aggiudicazione di una concessione di
lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla
gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato
dell'offerta, o entrambi. Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in
cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei
costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio
trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui
ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o
trascurabile”.
Conclusioni
Non è facile trarre delle conclusioni che non ribadiscano quanto già detto in numerose occasioni da
diversi soggetti istituzionali e non. Ritengo comunque che i pensieri che maggiormente mi si sono
presentati quando ho letto la nuova direttiva e ho rivisitato alcuni documenti legati all’intervento di
oggi sono riconducibili a due aspetti.
Il primo riguarda il fatto che l’istituto del PPP, che ha avuto un lungo periodo di tempo per la sua
migliore enucleazione, è oggi forse il primario istituto che deve essere sfruttato per affrontare e
superare le gravissime problematiche in cui, ormai da anni, navighiamo e che sono ovviamente
riconducibili alla cronica crisi economica e finanziaria in cui versa il nostro paese e che sono in
realtà frutto anche di un approccio, nell’affrontare certe problematiche, scevro dall’analisi della
realtà fattuale e non modificabile, cosa che invece nel passato abbiamo provato a fare.
L’altro è che l’enunciazione forte fatta dalla Direttiva in relazione al rischio operativo ovvero al
rischio sostanziale che deve essere trasferito alla parte privata è evidentemente figlia dei principi
stabiliti in sede Eurostat riguardanti l’inserimento o meno, nel debito pubblico di ogni Stato, degli
investimenti che non rispettino determinati criteri di allocazione dei rischi. Il vero tema che
dovremo affrontare nel prossimo futuro sarà quindi come contemperare la necessità di trasferire i
rischi operativi sul settore privato con la struttura consolidata presente nel nostro sistema, non
determinare le tariffe per i servizi offerti dal soggetto pubblico in base alle analisi economiche e di
mercato, ma subendo le pressioni, e assicurare costi ridotti per gli stessi.
Uno studio, pubblicato nel 2011 sul Financial Times e svolto dall’organismo che negli ultimi
vent’anni ha gestito il sistema del PPP in Inghilterra (paese dove forse è stato massimo il successo
nell’applicazione di questo istituto, se non altro per la mole di investimenti generati) ha sancito, in
linea col pragmatismo anglosassone, che questa tecnica operativa porta certamente ad offrire al
pubblico servizi sempre migliori e innovativi, ma che è impossibile ottenere questo risultato se non
si accetta che i servizi devono essere forniti a condizioni economiche reali (ovviamente con alcuni
correttivi), ma pur sempre legati agli effettivi costi economici.