Dipartimento di Impresa e Management
Cattedra di Economia dei Mercati e degli Intermediari Finanziari
L’esposizione al rischio d’interesse del banking book e
la crisi finanziaria: evidenze dalle banche italiane
RELATORE CANDIDATO
Prof. Domenico Curcio Stella Boksic
Matr. 171601
Anno Accademico 2013/2014
I
INDICE
INTRODUZIONE
-1-
CAPITOLO PRIMO
Il rischio di tasso di interesse: fonti, effetti, metodi di misurazione e di gestione
-3-
1. Le fonti del rischio di tasso di interesse……………………………………………………. 3
2. Gli effetti del rischio di tasso di interesse………………………………………………….. 5
3. Metodi di misurazione del rischio di tasso di interesse…………………………………...7
3.1 Il modello del repricing gap……………………………………………………….. 7
3.1.1 Il modello base…………………………………………………………… 7
3.1.2 Le evoluzioni……………………………………………………………. 10
3.1.3 I limiti……………………………………………………………………. 13
3.2 Il modello del duration gap………………………………………………………. 15
3.2.1 Il concetto di duration…………………………………………………. 15
3.2.2 Il modello base…………………………………………………………...16
3.2.3 I limiti e le conseguenti evoluzioni del modello……………………..18
3.3 I modelli basati sul cash-flow mapping………………………………………… 21
3.3.1 La metodologia basata su intervalli discreti………………………...21
3.3.2 Il clumping………………………………………………………………. 21
4. Metodi di gestione del rischio di tasso d’interesse……………………………………… 23
4.1 Il duration matching………………………………………………………………. 24
4.2 Il ricorso ai contratti derivati……………………………………………………. 25
4.2.1 I contratti Future……………………………………………………….. 27
4.2.2 Gli Interest Rate Swap…………………………………………………. 29
4.2.3 Le opzioni sui tassi d’interesse……………………………………….. 32
II
CAPITOLO SECONDO
Le disposizioni di vigilanza prudenziale
-35-
1. I “Princìpi per la gestione e la supervisione del rischio di tasso di interesse”
proposti dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (Luglio 2004)…………......36
2. Le “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche” proposte dalla
Banca d’Italia (Circolare n°263/2006)……………………………………………………....40
CAPITOLO TERZO
L’esposizione al rischio di tasso di interesse del banking book: evidenze dal campione
di 26 banche commerciali italiane durante la crisi finanziaria del 2008
-47-
1. Il contesto: la crisi finanziaria del 2008………………………………………………….. 48
2. Le evidenze dal campione di 26 banche commerciali italiane………………………….51
CONCLUSIONI
-67- BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………………………..69
1
INTRODUZIONE
Il rischio di tasso d’interesse è uno dei principali rischi affrontati dalle banche nella
realtà operativa. La sua rilevanza nella determinazione del reddito d’esercizio e del
valore patrimoniale delle banche è strettamente legata alla natura delle attività e
passività detenute dalle banche stesse: esse tipicamente assumono posizioni in attività e
passività il cui valore è sensibile alle variazioni dei tassi d’interesse, e la cui redditività
o, nel caso delle passività, i cui oneri sono anch’essi ancorati al livello dei tassi di
mercato. Inoltre, uno dei compiti principali svolti dalle banche nel sistema economico è
quello della trasformazione delle scadenze: esse raccolgono il risparmio presso le
famiglie a breve termine e concedono prestiti a lungo termine alle imprese. Tale attività
comporta un mismatching delle scadenze tra le attività e le passività iscritte in bilancio,
e la conseguente assunzione del rischio di tasso d’interesse.
Tale rischio si configura dunque come parte integrante dell’attività bancaria e, se gestito
bene, costituisce un’importante fonte di redditività per la stessa. Dall’altro lato però, in
ipotesi di movimenti avversi dei tassi d’interesse, tale rischio può costituire una seria
minaccia per gli utili d’esercizio e per il valore patrimoniale delle banche.
La gestione del rischio d’interesse assume dunque grande importanza nell’operatività
delle banche: essa deve porsi l’obiettivo di limitare i possibili effetti negativi provocati
dalla volatilità dei tassi d’interesse e, se possibile, accentuare gli eventuali effetti
positivi. Affinché il sistema di gestione sia efficace, è indispensabile per le banche
dotarsi di opportuni sistemi di misurazione del rischio: affinché siano adeguati, tali
sistemi devono essere capaci di quantificare in modo corretto e affidabile il grado di
rischio sopportato dalle banche stesse.
Le autorità di vigilanza bancaria hanno predisposto negli anni un quadro regolamentare
di vigilanza organico e più volte aggiornato, con l’obiettivo di evitare un’eccessiva
esposizione al rischio d’interesse del sistema bancario. Tra le disposizioni di vigilanza
prudenziale proposte, le autorità suggeriscono le metodologie di misurazione del rischio
che le banche dovrebbero adottare, a conferma dell’importanza di questa fase nel
processo di gestione del rischio d’interesse.
La gestione del rischio d’interesse risulta poi ancora più importante nei periodi
caratterizzati da alta volatilità dei tassi d’interesse: è questo il caso della crisi finanziaria
2
iniziata negli Stati Uniti nell’estate 2007, e diffusasi velocemente in Europa e nel resto
del mondo nei mesi seguenti. La forte recessione sperimentata dall’economia globale
negli anni della crisi ha richiesto un deciso intervento delle banche centrali, che hanno
agito mediante manovre sui tassi d’interesse ufficiali e strumenti di politica monetaria
non convenzionali. La BCE, come anche altre banche centrali, é intervenuta sul
corridoio dei tassi d’interesse ufficiali riducendolo progressivamente, fino ai minimi
storici. L’alta volatilità dei tassi di mercato e le progressive riduzioni dei tassi
d’interesse ufficiali hanno provocato cambiamenti nella term structure e, di
conseguenza, nei tassi d’interesse praticati dalle istituzioni finanziarie, le quali si sono
trovate a fronteggiare un grande rischio, legato alla sensibilità del loro reddito
d’esercizio e del loro valore patrimoniale alle variazioni dei tassi d’interesse.
Il presente elaborato si propone di fornire una trattazione generale sul tema del rischio
di tasso d’interesse sopportato dalle banche, e ha come obiettivo finale quello di stimare
l’esposizione al rischio di tasso d’interesse delle banche italiane durante la crisi
finanziaria, per verificare se sono state in grado di gestire adeguatamente tale rischio e,
in particolare, se hanno mantenuto un livello di esposizione entro i limiti proposti dalle
autorità di vigilanza. Le stime sono state fatte mediante i metodi di misurazione proposti
dal quadro regolamentare di vigilanza prudenziale: la metodologia semplificata e la
tecnica delle simulazioni storiche. Il Capitolo 1 tratta le fonti, gli effetti, i metodi di
misurazione e di gestione del rischio di tasso d’interesse. Il Capitolo 2 espone le
principali disposizioni di vigilanza prudenziale in tema di rischio d’interesse a livello
internazionale e nazionale. Il Capitolo 3 riporta l’indagine empirica condotta su un
campione di 26 banche italiane durante la crisi finanziaria e volta a stimare il livello di
esposizione al rischio di tasso d’interesse del sistema bancario italiano.
3
CAPITOLO PRIMO
Il rischio di tasso di interesse: fonti, effetti, metodi di misurazione e di gestione
Il rischio di tasso d’interesse è definito dal Comitato di Basilea (BCBS, 2004) come
l’esposizione della condizione economico-patrimoniale di una banca ai movimenti
avversi dei tassi di interesse.
1. Le fonti del rischio di tasso di interesse
Il 1° comma dell’art. 10 del TUB (d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385) sancisce che
“[La raccolta di risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito costituiscono l'attività
bancaria]. Essa ha carattere d'impresa”. La raccolta del risparmio è tipicamente
effettuata presso le famiglie, le cosiddette unità in surplus, che preferiscono investire i
propri risparmi per brevi periodi, mentre l’esercizio del credito è rivolto alle imprese, le
cosiddette unità in deficit, che preferiscono essere finanziate a medio-lungo termine. E’
proprio questa incompatibilità di preferenze tra le due unità che richiede l’intervento
delle banche le quali, attraverso un processo di trasformazione delle scadenze, riescono
a trasferire indirettamente fondi dalle unità in surplus alle unità in deficit (Alemanni,
Anolli, Millon Cornett, & Saunders, 2011). Ciò comporta per le banche un mismatching
delle scadenze tra le attività e le passività iscritte in bilancio, e questo aspetto determina
per le stesse l’assunzione di un rischio di interesse (Resti & Sironi, 2008).
Il Comitato di Basilea (BCBS, 2004) individua in particolare quattro fonti del rischio di
interesse:
• il rischio di revisione del tasso;
• il rischio di curva dei rendimenti;
• il rischio di base;
• il rischio di opzione.
Il rischio di revisione del tasso deriva dal disallineamento delle scadenze (per le
posizioni a tasso fisso) e delle date di revisione del tasso (per le posizioni a tasso
4
variabile) delle attività, passività e posizioni fuori bilancio. Ciò implica per le banche
un’esposizione sia del reddito che del valore economico del patrimonio a fluttuazioni
impreviste al variare dei tassi d’interesse. Ad esempio, in ipotesi di rialzo dei tassi, una
banca che finanzi un prestito a lungo termine a tasso fisso con un deposito a breve
subirebbe una riduzione sia degli utili derivanti dalla posizione che del suo valore
sottostante: i flussi in entrata generati dal prestito rimarrebbero invariati per tutta la sua
durata, mentre i flussi in uscita per il pagamento degli interessi sul deposito
aumenterebbero al momento della sua scadenza, che è appunto inferiore a quella del
prestito.
Anche il rischio di curva dei rendimenti deriva dal disallineamento delle scadenze e
delle date di revisione del tasso, e consiste in variazioni inattese nella curva dei
rendimenti, che si ripercuotono negativamente sul reddito e sul valore economico delle
banche. Ad esempio, nell’ipotesi che la curva dei rendimenti accentui la sua
inclinazione, il valore economico di una posizione lunga in titoli di Stato a 10 anni
coperta da una posizione corta in titoli di Stato a 5 anni si ridurrebbe, in quanto la
posizione è coperta contro spostamenti paralleli della curva, ma non per tutta la sua
durata.
Il rischio di base, invece, deriva dal fatto che le variazioni dei tassi attivi e passivi su
strumenti diversi, ma con caratteristiche di revisione del prezzo analoghe, non sono
perfettamente correlate, e dunque lo spread tra i due tassi potrebbe variare, implicando
per la banca cambiamenti imprevisti nei flussi finanziari e nei differenziali di
rendimento fra attività, passività e posizioni fuori bilancio, nonostante queste abbiano
scadenze o frequenze di revisione del tasso analoghe. Ad esempio, se una banca
finanzia un prestito a un anno con revisione mensile del tasso basata sul rendimento dei
BOT a un mese mediante un deposito a un anno con revisione mensile del tasso basata
sul LIBOR a un mese, e in caso di rialzo dei tassi il LIBOR aumenta più del rendimento
dei BOT, la banca subirebbe una variazione sfavorevole dei flussi finanziari e una
riduzione del differenziale di rendimento fra le due posizioni.
Il rischio di opzione deriva dal diritto di opzione incorporato in molte attività, passività
e strumenti fuori bilancio detenuti dalle banche. Esse detengono nel portafoglio
bancario strumenti con opzioni implicite, spesso a favore della controparte, tra cui vari
tipi di obbligazioni con clausole call o put, prestiti che conferiscono al mutuatario la
5
facoltà di rimborso anticipato, e vari tipi di depositi a durata indeterminata che
conferiscono al depositante la facoltà di prelevare fondi in qualsiasi momento, senza
alcuna penale. Poiché, per definizione, un’opzione conferisce al detentore la facoltà, ma
non l’obbligo, di esercitare una data azione sull’attività sottostante, generalmente le
opzioni vengono esercitate a vantaggio del detentore e a svantaggio del venditore, che
in questo caso è la banca. Inoltre, esse contribuiscono ad aumentare il grado di leva
finanziaria delle banche, che amplifica gli effetti delle posizioni in tali strumenti sulla
loro situazione economico-patrimoniale.
2. Gli effetti del rischio di tasso di interesse
Se da un lato dunque l’assunzione del rischio di tasso di interesse è parte integrante
dell’attività bancaria, e anzi, può essere un importante fonte di redditività e di creazione
di valore per gli azionisti (BCBS, 2004), appare evidente dalle considerazioni effettuate
che un’eccessiva esposizione a tale rischio può costituire una minaccia agli utili e al
patrimonio delle banche.
In un’ottica reddituale un’ipotetica variazione dei tassi d’interesse ha effetti sul margine
d’interesse, in quanto incide sugli interessi attivi e passivi praticati dalle banche, ossia,
sui ricavi derivanti dalla concessione di prestiti e sui costi della raccolta.
A tale proposito il Comitato di Basilea (BCBS, 2004) fa notare che, con l’espandersi
dell’attività bancaria, il margine d’intermediazione e le commissioni nette hanno
acquisito maggiore peso nella determinazione, insieme al margine di interesse, del
risultato economico complessivo di una banca, e che i proventi e gli oneri non da
interessi sono anch’essi sensibili alle variazioni dei tassi d’interesse. Da tale
considerazione emerge la necessità di valutare in una visione più ampia gli effetti delle
variazioni dei tassi d’interesse sul risultato economico della banca: esso risulta infatti in
gran parte determinato da flussi sensibili a tali variazioni.
In un’ottica patrimoniale, un’ipotetica variazione dei tassi d’interesse ha effetti sul
valore economico del capitale, sul quale si ripercuotono le variazioni di valore attuale
sperimentate dalle attività e passività iscritte in bilancio.
6
Ad esempio, in un’ottica reddituale un ipotetico rialzo dei tassi di mercato
determinerebbe per le banche asset-sensitive1 un incremento del margine d’interesse,
perché l’incremento degli interessi attivi praticati sui prestiti sarebbe maggiore
dell’incremento degli interessi passivi corrisposti per la raccolta; in un’ottica
patrimoniale, invece, uno stesso ipotetico rialzo dei tassi di mercato determinerebbe per
le medesime banche una riduzione del valore economico del capitale, perché la
riduzione del valore delle attività sarebbe maggiore della riduzione del valore delle
passività. L’esempio esposto vale in modo speculare per le banche liability-sensitive2
(che, nel caso del suddetto ipotetico rialzo dei tassi, sperimenterebbero una riduzione
del margine d’interesse, ma otterrebbero beneficio da un incremento del loro valore
economico patrimoniale).
Il Comitato di Basilea (BCBS, 2004) ritiene che l’approccio patrimoniale, che considera
l’impatto dei movimenti dei tassi d’interesse su tutti i flussi finanziari futuri, sia più
appropriato per fornire indicazioni accurate circa la situazione complessiva di una banca
e i potenziali effetti a lungo termine di tali movimenti. L’approccio reddituale è, invece,
tipicamente incentrato su un’analisi di breve periodo, perché tiene conto unicamente
dell’impatto sul reddito d’esercizio.
Oltre agli effetti sul reddito e sul valore economico aziendale, il Comitato suggerisce un
terzo effetto, che riguarda i risultati futuri di una banca: le perdite latenti.
Questo effetto deriva dalla contabilizzazione a valori contabili piuttosto che a valori di
mercato delle poste di bilancio: esse incorporano così guadagni o perdite latenti dovute
a precedenti variazioni dei tassi d’interesse, ma che si ripercuoteranno nel tempo sul
reddito della banca. Ad esempio, un prestito a tasso fisso a lungo termine, erogato
quando il livello dei tassi d’interesse era più basso e rifinanziato in seguito con passività
recanti tassi d’interesse maggiori, comporterà per la banca un drenaggio di risorse per
tutta la durata residua del prestito.
1 Le banche sono definite asset-sensitive quando nel loro bilancio le attività sensibili ai movimenti dei tassi d’interesse sono in volume maggiore rispetto alle passività sensibili. 2 Le banche sono definite liability-sensitive quando nel loro bilancio le passività sensibili ai movimenti dei tassi d’interesse sono in volume maggiore rispetto alle attività sensibili.
7
3. Metodi di misurazione del rischio di tasso di interesse
Abbiamo visto come un’eccessiva esposizione al rischio di tasso d’interesse possa
impattare negativamente sul patrimonio e sulla redditività delle banche; esse dunque
dovrebbero disporre di adeguati sistemi di gestione del rischio: per fare ciò è necessario
innanzitutto l’utilizzo di metodi di misurazione che siano quanto più in grado di fornire
una rappresentazione precisa ed esaustiva del grado di rischio sopportato dalle banche.
Resti e Sironi (2008) propongono tre modelli di misurazione del rischio d’interesse:
• il modello del repricing gap;
• il modello del duration gap;
• i modelli basati sul cash-flow mapping.
I primi due modelli citati sono proposti anche da Millon Cornett e Saunders (2011).
3.1 Il modello del repricing gap
Il modello del repricing gap è un modello di tipo “reddituale”: esso misura
l’impatto che una variazione dei tassi d’interesse genera sul margine d’interesse, e
dunque sugli utili correnti.
3.1.1 Il modello base
“Il gap è una misura sintetica di esposizione al rischio di interesse che lega le variazioni
dei tassi di interesse di mercato alle variazioni del margine di interesse (differenza tra
interessi attivi e interessi passivi)” (Resti e Sironi, 2008, p.11).
Il gap (G) di un dato periodo t (gapping period) è definito come la differenza tra le
attività sensibili (AS) e le passività sensibili (PS) alle variazioni dei tassi d’interesse,
dove per attività (passività) sensibili si intendono quelle attività (passività) che scadono
o che prevedono una revisione del proprio tasso di interesse nel corso del periodo t:
𝐺! = 𝐴𝑆! − 𝑃𝑆! (1.1)
Il valore ottenuto è espresso in termini monetari.
8
Figura 1.1 – Il concetto di repricing gap
Attività sensibili (ASt) Passività sensibili (PSt)
GAPt = (ASt - PSt ) > 0
Attività non sensibili (ANSt) Passività non sensibili (PNSt)
Fonte: Resti A., Sironi A., (2008) “Rischio e valore nelle banche. Misura, regolamentazione, gestione”, ed. Egea.
Partendo dalla formula del margine d’interesse possiamo arrivare a una formalizzazione
della relazione tra la variazione del margine d’interesse e il gap:
𝑀𝐼 = 𝐼𝐴 − 𝐼𝑃 = 𝑖! ∗ 𝐴𝐹𝐼 − 𝑖! ∗ 𝑃𝐹𝐼 = 𝑖! ∗ 𝐴𝑆 + 𝐴𝑁𝑆 − 𝑖! ∗ 𝑃𝑆 + 𝑃𝑁𝑆 (1.2)
da cui:
𝛥𝑀𝐼 = 𝛥𝑖! ∗ 𝐴𝑆 − 𝛥𝑖! ∗ 𝑃𝑆 (1.3)
Dove MI, IA, IP, ia, ip, AFI e PFI sono rispettivamente il margine d’interesse, gli
interessi attivi, gli interessi passivi, il livello medio dei tassi attivi, il livello medio dei
tassi passivi, il totale delle attività finanziarie e il totale delle passività finanziarie.
La formula (1.3) si basa sull’ipotesi che le variazioni dei tassi d’interesse impattino solo
sulle attività e passività sensibili. Ipotizzando inoltre che gli interessi attivi e passivi
siano soggetti a variazioni uniformi,
𝛥𝑖! = 𝛥𝑖! = 𝛥𝑖 (1.4)
otteniamo:
𝛥𝑀𝐼 = (𝐴𝑆 – 𝑃𝑆) ∗ 𝛥𝑖 = 𝐺 ∗ 𝛥𝑖 (1.5)
L’equazione (1.5) mostra la relazione positiva tra la variazione del margine d’interesse e
il gap, in ipotesi di variazioni dei tassi d’interesse.
Ad esempio, in ipotesi di rialzo dei tassi, se G > 0 (dunque AS > PS), la banca subirà
una variazione positiva del margine d’interesse, perché il volume di attività sensibili che
subiranno una rinegoziazione, e quindi un incremento di tasso d’interesse, è maggiore
del volume delle passività sensibili. In questo caso il differenziale di rendimento dato
dalle suddette posizioni aumenterà. In caso contrario, se G < 0 (dunque AS < PS) la
banca subirà una variazione negativa del margine d’interesse, perché il volume delle
9
passività sensibili che subiranno una rinegoziazione, e quindi un incremento di tasso di
interesse, è maggiore del volume delle attività sensibili, e il differenziale di rendimento
dato dalle suddette posizioni si ridurrà.
Gli effetti di una variazione dei tassi d’interesse possono essere riassunti nella seguente
tabella:
Tabella 1.1 Gap, variazioni dei tassi ed effetti sul margine d’interesse
Gap > 0 Gap < 0
Δi > 0 (rialzo dei tassi) ΔMI > 0 ΔMI < 0
Δi < 0 (ribasso dei tassi) ΔMI < 0 ΔMI > 0
Fonte: Resti A., Sironi A., (2008) “Rischio e valore nelle banche. Misura, regolamentazione, gestione”, ed. Egea.
Inoltre, dal concetto di gap possiamo ricavare alcuni indicatori utili per la gestione del
rischio d’interesse:
• 𝛥(!"!") = ( !
!") ∗ 𝛥𝑖 (1.6)
dove MP sono i mezzi propri; questo indicatore ci fornisce informazioni riguardo
all’impatto delle variazioni dei tassi d’interesse sulla redditività della gestione denaro,
ossia sull’attività di intermediazione creditizia tradizionale;
• 𝛥(!"!") = ( !
!") ∗ 𝛥𝑖 (1.7)
questo indicatore ci fornisce una misura dell’impatto delle variazioni dei tassi
d’interesse sulla redditività delle attività finanziarie detenute;
• 𝐺𝑎𝑝 𝑟𝑎𝑡𝑖𝑜 = !"!"
(1.8)
quest’ultimo indicatore, non essendo espresso in termini monetari, non risente delle
dimensioni di una banca ed è dunque di agevole utilizzo nel confronto tra banche di
dimensioni diverse.
10
3.1.2 Le evoluzioni
L’analisi finora effettuata si fonda sull’ipotesi semplificatrice che eventuali variazioni
dei tassi di mercato si traducano in variazioni degli interessi attivi e passivi relative
all’intero esercizio, perché solo in questo modo vale l’equazione (1.5), che considera la
variazione del margine d’interesse come funzione positiva della variazione dei tassi
d’interesse. Nella realtà, l’eventuale variazione dei tassi d’interesse esercita i propri
effetti dalla data di scadenza o di revisione del tasso della singola posta alla fine del
gapping period ( che generalmente è uguale a un anno).
In generale, indicando con sj il periodo, espresso in frazione di anno, compreso tra oggi
e la data di scadenza o revisione del tasso di una generica attività sensibile j che frutta
un tasso di interesse ij, gli interessi attivi maturati nel corso dell’anno sono uguali a
𝑖𝑎! = 𝑎𝑠! ∗ 𝑖! ∗ 𝑠! + 𝑎𝑠! ∗ (𝑖! + 𝛥𝑖!) ∗ (1− 𝑠!) (1.9)
Gli interessi attivi maturati nel corso dell’anno sono dunque dati da una componente
certa [asj * ij * sj] e da una componente incerta [asj * (ij + Δij) * (1 – sj)], ed è proprio
quest’ultima componente che determina la variazione degli interessi attivi:
𝛥𝑖𝑎! = 𝑎𝑠! ∗ 𝛥𝑖! ∗ (1− 𝑠!) (1.10)
da cui possiamo ricavare la variazione complessiva degli interessi attivi maturati sulle n
attività sensibili della banca:
𝛥𝐼𝐴 = 𝑎𝑠! ∗ 𝛥𝑖! ∗ (1− 𝑠!) !!!! (1.11)
Lo stesso ragionamento è replicabile per le m passività sensibili, e otteniamo così
𝛥𝐼𝑃 = 𝑝𝑠! ∗ 𝛥𝑖! ∗ (1− 𝑠!) !!!! (1.12)
Definiamo il maturity-adjusted gap come la differenza tra attività e passività sensibili,
ognuna ponderata per il periodo compreso tra la data di scadenza o di revisione del tasso
e la fine del gapping period (fissato a un anno),
11
𝐺!" = 𝑎𝑠! ∗ 1− 𝑠! ! − 𝑝𝑠! ∗ (1− 𝑠!)
! (1.13)
e, ipotizzando sempre una variazione uniforme dei tassi d’interesse attivi e passivi
(Δij = Δik = Δi ∀j, k), otteniamo una nuova relazione tra la variazione del margine
d’interesse e il gap (che ora è “aggiustato per la maturity”):
𝛥𝑀𝐼 = 𝛥𝐼𝐴 − 𝛥𝐼𝑃 = 𝐺!" ∗ 𝛥𝑖 (1.14)
L’equazione (1.14) corregge la distorsione insita nell’equazione (1.5), la quale si fonda
sull’ipotesi semplificatrice che eventuali variazioni dei tassi di mercato si traducano in
variazioni degli interessi attivi e passivi relative all’intero esercizio.
Un passo ulteriore nell’affinamento del modello del repricing gap richiede che si
tenga conto delle scadenze effettive delle attività e passività considerate in un dato
gapping period. In questo modo, oltre al gap finale relativo all’intero gapping period, si
ottengono i gap marginali e i gap cumulati.
I gap marginali o periodali sono definiti come differenza tra attività e passività che
prevedono la rinegoziazione del tasso in un particolare periodo futuro.
I gap cumulati sono definiti come differenza tra attività e passività che prevedono la
rinegoziazione del tasso entro una determinata data futura. Questi ultimi non sono altro
che la somma algebrica dei gap marginali relativi ai periodi precedenti più il periodo in
esame.
Il calcolo dei gap marginali è importante poiché una banca, che ha un gap cumulato
annuo nullo, può comunque subire una riduzione del margine d’interesse: ciò accade
quando le variazioni dei tassi d’interesse rispetto alla condizione iniziale sono di segno
opposto a quello del gap marginale relativo al medesimo periodo. La tabella 1.2 aiuta a
comprendere questo fenomeno.
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Tabella 1.2 Gap marginali e variazioni dei tassi di interesse
Periodo Livello tassi
attivi
Livello tassi
passivi
Δi rispetto a
t0 (in bp)
MG
(€ mln) EFFETTO
SU MI
t0 6,0% 3,0%
1 mese 5,5% 2,5% -50 140 !
3 mesi 6,3% 3,3% +30 -170 !
6 mesi 5,6% 2,6% -40 120 !
12 mesi 6,6% 3,6% +60 -90 !
Totale 0
Fonte: Resti A., Sironi A., (2008) “Rischio e valore nelle banche. Misura, regolamentazione, gestione”, ed. Egea.
Nota: I valori di MG sono stati ricavati da un esempio presente nel testo citato.
Grazie ai gap marginali può essere definito un ulteriore tipo di gap, il cosiddetto gap
cumulato ponderato, dato dalla somma dei gap marginali ponderati per il relativo
periodo medio mancante alla fine del gapping period (fissato a un anno):
𝐺! = 𝑀𝐺! ∗ (1− 𝑡!)!!!! (1.15)
dove n, MGj e tj sono rispettivamente il numero degli intervalli temporali considerati
all’interno del gapping period, il gap marginale del j-esimo intervallo temporale, e la
scadenza media del j-esimo intervallo temporale.
Otteniamo così una nuova relazione tra la variazione del margine d’interesse e il gap
(che ora è “cumulato ponderato”):
𝛥𝑀𝐼 = 𝛥𝐼𝐴 − 𝛥𝐼𝑃 = 𝐺! ∗ 𝛥𝑖 (1.16)
Il gap cumulato ponderato è anche chiamato duration del margine d’interesse, perché è
un indicatore della sensibilità del margine d’interesse a variazioni dei tassi di mercato.
Esso è utile ai fini della semplificazione dei calcoli in quanto, contrariamente al
maturity-adjusted gap, non richiede la conoscenza dell’effettiva data di riprezzamento di
ogni singola attività e passività sensibile; ma il contributo principale di questo
indicatore è che consente di stimare l’impatto sul margine d’interesse di più variazioni
infra-annuali dei tassi d’interesse.
13
Riassumendo, anche se il gap cumulato annuo risulta nullo, la banca potrebbe subire
una riduzione del margine d’interesse per due motivi:
1. la possibilità che nel periodo di riferimento vi siano più variazioni dei tassi di
mercato di segno opposto a quello dei gap marginali;
2. anche se ci fosse un’unica variazione dei tassi di mercato, essa esercita effetti
differenti sul margine d’interesse generato dalle posizioni alla base dei singoli
gap periodali.
Secondo il modello del repricing gap la strategia ottima di immunizzazione del margine
d’interesse dalle variazioni dei tassi di mercato richiede che tutti i gap marginali siano
nulli, ossia che le scadenze delle attività e delle passività siano perfettamente bilanciate,
ma tale ipotesi risulta assolutamente irrealistica vista l’importanza e la rilevanza della
funzione di trasformazione delle scadenze svolta dalle banche. Nella realtà operativa le
banche, piuttosto che annullare, mirano a minimizzare i gap marginali attraverso
opportuni strumenti di copertura.
3.1.3 I limiti
I maggiori limiti del modello del repricing gap sono:
• l’ipotesi di variazioni uniformi dei tassi attivi e passivi;
• l’ipotesi di variazioni uniformi dei tassi di diversa scadenza;
• il trattamento delle poste a vista (secondo la logica del modello del repricing gap
anch’esse sono sensibili alle variazioni dei tassi di mercato, ma l’analisi
empirica mostra che l’adeguamento dei rendimenti delle suddette poste è
vischioso e asimmetrico);
• la mancata considerazione degli effetti di variazioni dei tassi d’interesse sulla
quantità di fondi intermediati;
• la mancata considerazione degli effetti di variazioni dei tassi sui valori di
mercato3.
3 Si veda anche Sharma M. (2012), “A Dynamic GAP Framework by Relaxing the Assumptions Behind the GAP and Duration GAP”.
14
Una possibile soluzione al primo limite (ipotesi di variazioni uniformi dei tassi) è il
ricorso al gap standardizzato, che tiene conto della diversa reattività dei tassi attivi e
passivi alle variazioni dei tassi di mercato.
Tale metodo si articola in 3 fasi:
1. identificazione di un tasso di riferimento (come per esempio il tasso Euribor a 3
mesi);
2. stima della sensibilità dei diversi tassi bancari attivi e passivi rispetto alle
variazioni del tasso di riferimento;
3. calcolo del gap standardizzato.
Indicando con βj e γk i coefficienti di sensibilità all’Euribor (rispettivamente per le
attività e le passività), definiamo il gap standardizzato come segue:
𝐺! = 𝑎𝑠! ∗ 𝛽!!!!! − 𝑝𝑠! ∗ 𝛾! !
!!! (1.17)
Il terzo limite, legato al trattamento delle poste a vista, è oggi meno rilevante,
almeno per quanto riguarda l’asimmetria, grazie all’art. 10 comma 5 del decreto legge
n. 223 del 4/07/2006, che prevede che “le variazioni dipendenti da modifiche del tasso
di riferimento devono operare contestualmente e in pari misura, sia sui tassi debitori sia
su quelli creditori”.
Il quarto limite, legato alla mancata considerazione degli effetti di variazioni dei
tassi d’interesse sui fondi intermediati, potrebbe essere attenuato costruendo i
coefficienti β e γ sopra citati in modo da tenere conto della sensibilità delle quantità ai
prezzi, ma poiché è plausibile che la relazione tra i tassi di mercato e i fondi
intermediati sia di difficile stima, normalmente le banche non tengono conto
dell’interazione tra prezzi e quantità nel calcolare la loro esposizione al rischio
d’interesse.
Per quanto riguarda l’ultimo limite (la mancata considerazione degli effetti di
variazioni dei tassi d’interesse sul valore economico aziendale), occorre cambiare
prospettiva e passare a un approccio di tipo patrimoniale: il modello del repricing gap è
per costruzione un metodo reddituale, e quindi inadatto a cogliere i suddetti effetti.
15
3.2 Il modello del duration gap
Il modello del duration gap è un modello di tipo “patrimoniale”: esso misura
l’impatto che una variazione dei tassi d’interesse genera sul valore di mercato del
patrimonio della banca. Questo modello supera uno dei limiti fondamentali del
repricing gap che, valutando gli effetti di variazioni dei tassi di mercato sul margine
d’interesse, è proiettato al breve periodo: con il duration gap è invece possibile avere
una visione più ampia e proiettata al lungo periodo, proprio perché ha come variabile-
obiettivo il valore economico del patrimonio della banca.
3.2.1 Il concetto di duration
La duration, o durata media finanziaria, è definita come la media aritmetica delle
scadenze dei flussi di cassa associati a un titolo obbligazionario a tasso fisso, ponderate
per i flussi di cassa stessi attualizzati al TIR:
𝐷 = !!!!! ∗ !"! ∗ (!!!)!!
! (1.18)
Essendo una media ponderata delle scadenze, la duration è espressa in unità temporali,
generalmente in anni. Essa ha relazione positiva con la vita residua dello strumento
analizzato, e ha relazione negativa con l’importo e la frequenza della cedola corrisposta
e con il TIR. Può inoltre essere interpretata come la sensibilità del prezzo di un titolo
obbligazionario a variazioni dei tassi di mercato. Dato il prezzo di un titolo
𝑃 = !"!(!!!)!
!!!! (1.19)
la sua derivata prima rispetto al tasso di rendimento (i) è
!"!"= −𝑡 ∗ 𝐹𝐶!!
!!! ∗ 1+ 𝑖 !!!! = − !!!!
∗ 𝑡 ∗ 𝐹𝐶!!!!! ∗ (1+ 𝑖)!! (1.20)
Dividendo entrambi i membri per P si ottiene
16
𝑑𝑝𝑑𝑖 ∗
1𝑃 = −
11+ 𝑖 ∗
𝑡 ∗ 𝐹𝐶! ∗ 1+ 𝑖 !!!!!!
𝑃 = −1
1+ 𝑖 ∗ 𝐷
(1.21)
da cui
!"!= − !
!!!∗ 𝑑𝑖 (1.22)
Definiamo poi la modified duration come
𝑀𝐷 = !!!!
(1.23)
e otteniamo infine
!"!= −𝑀𝐷 ∗ 𝑑𝑖 (1.24)
La duration modificata ci consente di approssimare le variazioni di prezzo di un titolo
date dalle variazioni dei tassi di mercato. Poiché in generale la duration di un
portafoglio è pari alla media delle duration dei singoli asset che compongono il
portafoglio ponderate per il valore di mercato dei rispettivi asset, le banche possono
ricavare le duration del loro attivo e del loro passivo semplicemente conoscendo le
duration e i valori di mercato delle poste iscritte in bilancio.
3.2.2 Il modello base
Il modello del duration gap si fonda, come suggerisce il nome, proprio sul concetto di
duration, la quale consente alle banche di stimare la variazione del valore di mercato
delle loro attività e passività in ipotesi di variazioni dei tassi d’interesse.
La variazione del valore di mercato delle attività è esprimibile con la seguente formula:
𝛥𝑉𝑀!
𝑉𝑀!= −
𝐷!1+ 𝑖!
∗ 𝛥𝑖! = −𝑀𝐷! ∗ 𝛥𝑖!
(1.25)
da cui
17
𝛥𝑉𝑀! = −𝑀𝐷! ∗ 𝛥𝑖! ∗ 𝑉𝑀! (1.26)
dove VMA, DA, MDA, e iA indicano rispettivamente il valore di mercato, la duration
media ponderata, la duration modificata e il tasso di rendimento medio dell’attivo.
Il ragionamento è equivalente per le passività:
𝛥𝑉𝑀!
𝑉𝑀!= −
𝐷!1+ 𝑖!
∗ 𝛥𝑖! = −𝑀𝐷! ∗ 𝛥𝑖!
(1.27)
da cui
𝛥𝑉𝑀! = −𝑀𝐷! ∗ 𝛥𝑖! ∗ 𝑉𝑀! (1.28)
dove VMP, DP, MDP, e iP indicano rispettivamente il valore di mercato, la duration
media ponderata, la duration modificata e il tasso di rendimento medio del passivo.
Combinando le equazioni (1.26) e (1.28) è possibile stimare la variazione del valore di
mercato del patrimonio delle banche:
𝛥𝑉𝑀! = 𝛥𝑉𝑀! − 𝛥𝑉𝑀! = −𝑀𝐷! ∗ 𝛥𝑖! ∗ 𝑉𝑀! − (−𝑀𝐷! ∗ 𝛥𝑖! ∗ 𝑉𝑀!) (1.29)
Assumendo che le variazioni dei tassi di rendimento medi dell’attivo e del passivo siano
uguali (ΔiA = ΔiP = Δi), l’equazione può essere riformulata come segue:
𝛥𝑉𝑀! = − (𝑀𝐷! ∗ 𝑉𝑀! −𝑀𝐷! ∗ 𝑉𝑀!) ∗ 𝛥𝑖 (1.30)
da cui, raccogliendo a secondo membro il valore di mercato, si ottiene
𝛥𝑉𝑀! = −(𝑀𝐷! − 𝐿 ∗𝑀𝐷!) ∗ 𝑉𝑀! ∗ 𝛥𝑖 (1.31)
dove L rappresenta l’indice di leva finanziaria della banca, ed è pari a VMP/ VMA.
Possiamo riscrivere l’equazione (1.31) come segue:
18
𝛥𝑉𝑀! = −𝐷𝐺 ∗ 𝑉𝑀! ∗ 𝛥𝑖 (1.32)
L’equazione (1.32) evidenzia le tre variabili che incidono sulla variazione del valore di
mercato del patrimonio delle banche:
1. la dimensione dell’attività d’intermediazione svolta dalla banca (VMA);
2. la dimensione della variazione dei tassi d’interesse (Δi);
3. la differenza tra la duration modificata dell’attivo e quella del passivo,
corretta per il grado di leverage della banca (leverage adjusted duration
gap), anche definita come duration gap (DG).
Secondo il modello del duration gap la strategia ottima di immunizzazione del valore di
mercato del patrimonio di una banca dalle variazioni dei tassi di mercato richiede che il
duration gap sia nullo - ossia che risulti soddisfatta la relazione MDA = L * MDP - e
dunque che la duration modificata delle attività sia inferiore a quella delle passività.
Nel caso in cui il duration gap sia diverso da zero, l’equazione (1.32) potrebbe essere
usata per stimare la variazione attesa del valore economico di una banca a fronte di
variazioni dei tassi d’interesse.
3.2.2 I limiti e le conseguenti evoluzioni del modello
Sebbene il modello del duration gap presenti dei vantaggi rispetto al modello del
repricing gap, perché offre una visione più ampia dell’esposizione al rischio d’interesse
di una banca, esso non è comunque esente da problemi, tra cui i principali sono:
• la natura dinamica delle politiche di immunizzazione dal rischio di interesse
fondate sul modello del duration gap (l’efficacia di una strategia volta ad
annullare il duration gap risulta molto limitata nel tempo per due motivi: il
primo motivo è che il duration gap varia nel tempo, come conseguenza delle
variazioni delle duration dell’attivo e del passivo, e il secondo motivo è che le
stesse variazioni dei tassi d’interesse implicano modifiche del duration gap della
banca, e ciò richiederebbe una riformulazione delle politiche di immunizzazione
ogni volta che si verifichi una variazione dei tassi di mercato);
• i costi connessi alle politiche di immunizzazione suggerite dal modello del
duration gap (tali politiche richiedono infatti una ristrutturazione del bilancio
19
della banca volta a modificare la duration, e dunque le scadenze, dell’attivo e del
passivo, e possono comportare elevati costi, sia in senso stretto che nel senso di
costi-opportunità);
• il grado di approssimazione con cui la duration stima gli effetti di variazioni dei
tassi d’interesse sul valore economico del patrimonio della banca;
• l’ipotesi di variazioni uniformi dei tassi attivi e passivi negoziati dalla banca4.
Il secondo problema è superato dalle banche nella realtà operativa grazie al ricorso
alla negoziazione di strumenti derivati, che risulta meno oneroso rispetto alle politiche
di ristrutturazione del bilancio sopra citate.
Il terzo problema può essere superato affiancando all’indicatore di duration gap un
secondo indicatore, il convexity gap, che consente di ottenere un’approssimazione più
puntuale dell’impatto di variazioni dei tassi d’interesse sul valore economico del
patrimonio della banca.
Tale indicatore si fonda sul concetto di convexity, che è espressa dalla seguente
formula:
𝐶 = !! ! ! ∗!"!∗(!!!)!!!!!!
! (1.33)
La convexity è un indicatore della dispersione dei flussi di cassa di un titolo intorno alla
sua duration. Dato il prezzo di un titolo
𝑃 = !!!! !"!
(!!!)! (1.34)
la sua derivata seconda rispetto al tasso di rendimento (i) è
!!!!!!
= −𝑡 ∗ −𝑡 − 1 ∗ 𝐹𝐶! ∗ (1 + 𝑖)!!!! =!
(!!!)!∗ !
!!! 𝑡! + 𝑡 ∗ 𝐹𝐶! ∗ (1 + 𝑖)!!!!!! (1.35)
Dividendo entrambi i membri per P si ottiene
4 Si veda anche Sharma M. (2012), “A Dynamic GAP Framework by Relaxing the Assumptions Behind the GAP and Duration GAP”.
20
!!!!!!
!!= !
(!!!)!∗ !
!!! !! ! ! ∗ !"!∗ !!! !!
!= !
!!! !∗ 𝐶 (1.36)
Il risultato ottenuto è anche definito come modified convexity:
𝑀𝐶 = !(!!!)!
∗ 𝐶 (1.37)
Il convexity gap è espresso dalla seguente formula:
𝐶𝐺 = 𝑀𝐶! − 𝐿 ∗ 𝑀𝐶! (1.38)
Esso permette di stimare con maggiore precisione la variazione di valore economico del
patrimonio della banca, ora ricavabile con la seguente formula (si noti la similitudine
con il polinomio di Taylor):
𝛥𝑉𝑀! = −𝐷𝐺 ∗ 𝑉𝑀! ∗ 𝛥𝑖 + 𝐶𝐺 ∗ 𝑉𝑀! ∗!!!
! (1.39)
Ed infine, il quarto problema, relativo all’ipotesi di variazioni uniformi dei tassi
attivi e passivi, può essere risolto grazie all’utilizzo del beta-duration gap, che tiene
conto del diverso grado di sensibilità dei tassi attivi e passivi alle variazioni dei tassi di
mercato. Indicando con βA e βP rispettivamente il grado di sensibilità media dei tassi
attivi e passivi alle variazioni dei tassi di mercato, il beta-duration gap è definito come:
𝐵𝐷𝐺 = 𝑀𝐷𝐴 ∗ 𝛽! − 𝐿 ∗𝑀𝐷𝑃 ∗ 𝛽! (1.40)
e la variazione del valore di mercato del patrimonio della banca sarà stimata come
segue:
𝛥𝑉𝑀! = −𝐵𝐷𝐺 ∗ 𝑉𝑀! ∗ 𝛥𝑖 (1.41)
21
Si tratta di una soluzione molto simile a quella adottata nel modello del repricing gap,
nel quale si ricorre all’uso del gap standardizzato per tenere conto della diversa
sensibilità dei tassi attivi e passivi alle variazioni dei tassi di mercato.
3.3 I modelli basati sul cash-flow mapping
Sia il modello del repricing gap che quello del duration gap si basano sull’ipotesi
limitante che le variazioni dei tassi d’interesse delle diverse scadenze siano uniformi,
ossia che la curva dei rendimenti sia soggetta a shift paralleli.
I modelli basati sul cash-flow mapping permettono di superare questo limite
considerando la possibilità di variazioni differenti dei tassi d’interesse delle diverse
scadenze. Tali modelli prevedono una distribuzione dei flussi di cassa attivi e passivi
delle banche in un numero limitato di fasce temporali e basano la loro analisi sulla term
structure (la curva dei tassi zero-coupon).
Le due metodologie più note sono:
• la metodologia basata su intervalli discreti;
• il clumping.
3.3.1 La metodologia basata su intervalli discreti
Tale metodologia è stata prescelta dal Comitato di Basilea e dalla Banca d’Italia ai
fini della misurazione dell’esposizione al rischio di tasso di interesse del banking book.
Per la sua trattazione si rimanda al Capitolo 2, Paragrafo 2.
3.3.2 Il clumping
Il metodo del clumping, detto anche cash-bucketing, prevede che ogni flusso reale
associato alle attività (passività) della banca sia scomposto in due flussi di cassa fittizi
con scadenza pari rispettivamente al vertice che precede e a quello che segue la
scadenza del flusso di cassa reale. Se il flusso reale scade al tempo t, i due flussi fittizi
avranno scadenza pari ai vertici predefiniti, rispettivamente n e n+1 (con n < t < n+1).
Poiché la creazione dei flussi di cassa fittizi non deve alterare significativamente le
caratteristiche delle singole attività (passività) di partenza, i nuovi flussi di cassa devono
garantire:
22
• l’identità dei valori di mercato;
• l’identità della rischiosità ( espressa in termini di duration modificata).
Analiticamente:
𝑉𝑀! =!"!!!!! ! = 𝑉𝑀! + 𝑉𝑀!!! =
!"!!!!! ! +
!"!!!!!!!!! !!!
𝐷𝑀! = 𝐷𝑀!!"!
!"!!!"!!!+ 𝐷𝑀!!!
!"!!!!"!!!"!!!
= 𝐷𝑀!!"!!"!
+ 𝐷𝑀!!!!"!!!!"!
(1.42)
dove ij è il tasso associato alla scadenza del flusso, VMj è il valore di mercato del flusso
che scade in j, FCj è il valore nominale del flusso che scade in j e DMj è la duration
modificata del flusso che scade in j (con j=n,n+1,t).
Il primo vincolo consente di mantenere invariato il valore attuale del portafoglio, e il
secondo permette di evitare che eventuali variazioni dei tassi zero-coupon delle diverse
scadenze (t, n e n+1) provochino variazioni di valore attuale del flusso reale differenti
da quelle subite dai flussi fittizi ad esso associati.
I valori di mercato che soddisfano entrambi i vincoli sono:
𝑉𝑀! = 𝑉𝑀!(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!!!)(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!!!)
𝑉𝑀!!! = 𝑉𝑀!(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!)(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!!!)
(1.43)
E i valori nominali dei due flussi fittizi sono pari a:
𝐹𝐶! = 𝑉𝑀!(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!!!)(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!!!)
1+ 𝑖! ! = 𝐹𝐶!(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!!!) 1+ 𝑖! !
(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!!!) 1+ 𝑖! !
𝐹𝐶!!! = 𝑉𝑀!(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!)(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!!!)
1+ 𝑖!!! !!! = 𝐹𝐶!(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!) 1+ 𝑖!!! !!!
(𝐷𝑀! − 𝐷𝑀!!!) 1+ 𝑖! !
(1.44)
23
Una variante del clumping si fonda sull’equivalenza fra la volatilità del valore di
mercato del flusso reale e la volatilità complessiva del valore di mercato dei due flussi
fittizi, tenendo in considerazione le rispettive correlazioni.
Analiticamente, la seconda equazione del sistema (1.42) sarebbe sostituita dalla
seguente:
𝜎!! = 𝛼!𝜎!! + (1− 𝛼)!𝜎!!!! + 2𝛼(1− 𝛼)𝜎!𝜎!!!𝜌!,!!!
(1.45)
dove α è pari a VMn/VMt e compreso tra 0 e 1 (0≤ 𝛼 ≤ 1), σt, σn, σn+1 rappresentano la
volatilità delle variazioni di prezzo dei titoli zero-coupon con scadenza rispettivamente
pari a quella del flusso reale (t) e dei due flussi fittizi (n e n+1), e ρn,n+1 è il coefficiente
di correlazione fra le variazioni di prezzo dei titoli zero-coupon con scadenza in n e
n+1. Questa variante del clumping è stata recentemente raffinata dai suoi stessi autori
(Mina & Xsiao, 2001).
Oltre ai tre modelli di misurazione del rischio di tasso d’interesse proposti, ne esistono
ulteriori, sia in letteratura che nella realtà operativa, che adottano tecniche più
sofisticate. Tra questi sono da citare le metodologie VaR5, i modelli M-Absolute/M-
Square, i modelli Duration Vector/M-Vector, i modelli Key-Rate Duration6, e i modelli
Principal Component Duration, di cui gli ultimi quattro sono stati discussi recentemente
da Nawalkha e Soto (2012).
4. Metodi di gestione del rischio di tasso d’interesse
Come abbiamo visto, l’assunzione del rischio di tasso d’interesse è parte integrante
dell’attività bancaria. Esso assume particolare rilevanza nella determinazione del
reddito d’esercizio e del valore patrimoniale delle banche, e proprio questa sua rilevanza
richiede che le banche si dotino, oltre che di un efficace sistema di misurazione, anche
di un adeguato sistema di gestione del rischio, al fine di limitare i possibili effetti
5 Per un’applicazione si veda Fiori R., & Iannotti S. (2006), “Scenario based principal component value-at-risk: An application to Italian banks' interest rate risk exposure”. 6 Per un’applicazione si veda Curcio D., & Gianfrancesco I. (2011), “Il rischio di tasso di interesse del banking book: profili applicativi”.
24
negativi che la volatilità dei tassi d’interesse può avere sulla loro situazione economico-
patrimoniale.
Tra i princìpi proposti dal Comitato di Basilea per la gestione e supervisione del rischio
d’interesse (BCBS, 2004) il Principio 3 in particolare prevede proprio che le banche si
dotino di apposite unità dedicate al monitoraggio e alla gestione del rischio,
indipendenti dalle altre funzioni aziendali preposte all’assunzione di posizioni rischiose.
Nel rispetto di tale principio, e in generale del quadro regolamentare di vigilanza
prudenziale in tema di rischi, negli ultimi anni le banche hanno rafforzato ulteriormente
il loro sistema di controlli interni e di gestione dei rischi. Tipicamente, esse prevedono
nella loro struttura organizzativa un’area apposita dedicata al risk management o
comunque, nel caso di banche di minori dimensioni, individuano persone o comitati
preposti esclusivamente a tale funzione.
Nella realtà operativa i risk manager ricorrono a due strategie principali per ridurre
l’esposizione della banca al rischio d’interesse:
1. Il duration matching;
2. L’utilizzo di strumenti derivati.
L’indagine condotta da Esposito, Nobili, e Ropele (2013) su un campione di 68 gruppi
bancari italiani nel periodo compreso tra il secondo semestre del 2008 e il primo
semestre del 2012 mostra che durante la crisi finanziaria le banche hanno ridotto la
propria esposizione facendo ricorso in modo complementare alle due strategie sopra
citate. Il carattere di complementarità ha caratterizzato specialmente le decisioni di risk
management delle banche asset-sensitive. É emerso poi che il ricorso ai derivati è stato
più marcato per le banche di grandi dimensioni e per quelle con un’elevata quota di
prestiti non finanziata mediante la raccolta al dettaglio. Il loro utilizzo ha garantito in
media una copertura pari a circa un terzo dell’esposizione di bilancio.
4.1 Il duration matching
La prima strategia, riguardante il bilanciamento delle attività e passività iscritte in
bilancio, rientra nell’ambito dell’Asset & Liability Management, il processo di gestione
delle attività e passività di una banca. Ai fini della riduzione dell’esposizione al rischio
25
d’interesse, tale processo ha come obiettivo quello di ridurre il disallineamento tra le
scadenze delle attività e passività sensibili, o meglio, tra le duration delle attività e
passività sensibili (si parla appunto di duration matching).
Come abbiamo visto, i modelli proposti nel Paragrafo 3 suggeriscono proprio
l’adozione di questo tipo di strategia, ma spesso le operazioni volte all’allineamento
delle duration tra attività e passività risultano molto costose per le banche. Inoltre, come
fa notare Hull (2011), tali operazioni non immunizzano il banking book dagli
spostamenti non paralleli della zero curve (solitamente, i tassi d’interesse a breve sono
più volatili dei tassi d’interesse a lungo termine, e non sono perfettamente correlati con
loro). Questo è il motivo per cui negli ultimi anni il ricorso ai contratti derivati ai fini di
copertura ha assunto sempre più rilevanza nelle strategie di risk management adottate
dalle banche.
4.2 Il ricorso ai contratti derivati
I derivati sono strumenti finanziari il cui valore è ancorato a quello dell’attività
sottostante. Essi sono negoziati sui mercati a termine.
Per coprirsi dal rischio d’interesse, le banche fanno ricorso tipicamente ai seguenti
contratti derivati:
• Futures
• Interest Rate Swap
• Opzioni sui tassi d’interesse
Mentre i futures e gli interest rate swap sono contratti derivati simmetrici, in cui
entrambe le parti si impegnano ad eseguire una prestazione, le opzioni sono contratti di
tipo asimmetrico, in cui una parte ha un privilegio, e nel caso in cui intenda esercitare
tale privilegio la sua controparte ha l’obbligo di eseguire la prestazione concordata.
Ne deriva che ricorrendo a derivati simmetrici le banche riducono le loro possibilità di
perdita, ma allo stesso tempo riducono in misura uguale le loro possibilità di guadagno,
mentre ricorrendo a derivati asimmetrici esse riescono a ridurre le loro possibilità di
perdita senza alterare le loro possibilità di guadagno.
26
Inoltre, mentre i futures sono contratti che hanno come sottostante un titolo
obbligazionario, gli interest rate swap e le opzioni hanno come sottostante un tasso
d’interesse. Da ciò si potrebbe concludere che i futures vengono usati per coprirsi dagli
effetti patrimoniali indotti da variazioni dei tassi d’interesse, in quanto consentono di
limitare la variabilità delle caratteristiche dei titoli obbligazionari sottostanti detenuti
dalle banche, e di conseguenza la variabilità del valore economico degli stessi titoli,
mentre gli altri derivati citati sono usati per coprirsi dagli effetti reddituali indotti da
variazioni dei tassi d’interesse, in quanto consentono di limitare la variabilità dei tassi
d’interesse praticati dalle banche, e di conseguenza la variabilità del loro margine
d’interesse.
Ahmed, Beatty, e Takeda (1997) hanno osservato un campione di 152 gruppi bancari
americani nel 1994 dal quale è emerso che il gruppo delle banche che faceva ricorso ai
derivati presentava un’esposizione al rischio d’interesse con media e mediana inferiori
rispetto a quelle registrate dal gruppo di banche che non ne faceva uso. Inoltre, per la
maggioranza delle banche che ne faceva uso, i derivati hanno determinato una riduzione
dell’esposizione.
Purnanandam (2006) ha analizzato un campione di circa 8.000 banche nel periodo
compreso tra il 1997 e il 2003 e ha rilevato che il 90% dei derivati de esse detenuti a fini
di copertura è composto da derivati su tassi d’interesse. L’analisi si pone in linea con
altri studi empirici che mostrano una relazione positiva tra la dimensione della banca e
il ricorso ai derivati a fini di copertura.
Lo studio condotto da Moser e Zhao (2009) ha mostrato che il ricorso ai derivati su tassi
d’interesse da parte dei gruppi bancari americani è più che raddoppiato (in termini di
valore nozionale) dal Dicembre 1997 al Dicembre 2003. Si tratta di un risultato coerente
con quanto detto prima riguardo alla convenienza che le banche riscontrano nell’usare i
derivati anziché effettuare operazioni di duration matching, che possono risultare
eccessivamente onerose. Dallo studio emerge un ulteriore risultato interessante: le
banche oggetto di osservazione usano le strategie di gestione del gap per controllare
l’esposizione associata a variazioni dei tassi d’interesse a breve, mentre fanno ricorso ai
derivati per controllare l’esposizione associata a cambiamenti nell’inclinazione della
curva dei rendimenti.
27
4.2.1 I contratti future
I contratti future sono contratti a termine negoziati su mercati regolamentati, le cui
condizioni sono standardizzate.
Un contratto a termine è un accordo mediante il quale due controparti si impegnano ad
eseguire una prestazione differita nel tempo, le cui condizioni sono però stabilite al
momento della stipula del contratto. Tipicamente i contratti a termine prevedono lo
scambio di una certa quantità di attività sottostante a un prezzo prefissato. I contratti
future permettono dunque di negoziare le condizioni di acquisto o di vendita di
un’attività sottostante sin da ora, eliminando l’incertezza che tipicamente accompagna
le condizioni future di mercato.
In Italia, i contratti future sono negoziati sull’IDEM (acronimo di Italian Derivatives
Market). A livello internazionale, tra i maggiori mercati figurano il CME Group, il Nyse
Euronext, l’Eurex, il Tokyo Financial Exchange, e il BM&F-Bovespa. Le caratteristiche
dei contratti sono stabilite dal mercato sui cui sono negoziati: ogni contratto è
specificato sulla base dell’attività sottostante, della sua dimensione, dei titoli
consegnabili, delle modalità e dei mesi di consegna, e il suo prezzo varia in relazione ai
movimenti di mercato.
Le controparti stabiliscono esclusivamente il volume di contratti negoziati (sulla base
dei tagli stabiliti dalla borsa) e scelgono i contratti sulla base del mese di consegna
previsto e sulla base dell’attività sottostante. Sui mercati dei future le controparti
interagiscono mediante la clearing house, un’istituzione che garantisce la corretta
esecuzione dei contratti e grazie alla quale le controparti non sono esposte al rischio
d’insolvenza.
Per “entrare” in un contratto future le controparti devono rivolgersi a un intermediario,
il quale bada a gestire il conto di margine del suo cliente: ciascuna controparte è tenuta
a versare un margine iniziale, per esempio pari al 5% del valore del contratto (ai fini di
garanzia dell’esecuzione del contratto); le oscillazioni giornaliere del prezzo del
contratto che si verificano sul mercato generano variazioni anche nei conti di margine, e
tali variazioni vengono addebitate/accreditate giornalmente. Ciascun mercato stabilisce i
propri livelli minimi del margine (chiamati margini di mantenimento), e qualora tale
livello sia superato, a seguito di perdite nella posizione, l’intermediario è tenuto a
chiedere al proprio cliente di reintegrare il conto per ripristinare il margine al livello
28
iniziale (margin call). Nel caso in cui il margine di garanzia non sia rispettato,
l’intermediario provvede a chiudere la posizione del suo cliente con una di segno
opposto.
Questa procedura, detta marking to market, fa sì che le controparti sperimentino
eventuali perdite o guadagni su base giornaliera, impedendo l’accumulo di ingenti
guadagni o perdite non liquidati con mezzi monetari (rischio insito nei contratti
forward, che prevedono il regolamento monetario dell’operazione solo a scadenza).
Tipicamente, pochissimi contratti future si concludono con la consegna dell’attività
sottostante: le controparti chiudono le proprie posizioni aprendone una di segno
opposto.
Nella realtà operativa, i contratti future possono essere utilizzati dalle banche per
coprirsi dal rischio che il valore economico del loro patrimonio si riduca in seguito a
movimenti avversi dei tassi d’interesse.
Per limitare le riduzioni di valore economico del loro patrimonio, le banche possono
agire in due direzioni: limitare le variazioni in diminuzione del valore delle attività
iscritte in bilancio, e/o limitare le variazioni in aumento del valore delle passività iscritte
in bilancio.
Consideriamo, per semplicità, una banca che detiene una sola attività e una sola
passività. Per coprirsi dal rischio che il valore dell’attività detenuta si riduca in seguito a
un ipotetico rialzo dei tassi d’interesse, la banca può aprire una posizione corta in un
contratto future che abbia come sottostante un’attività con le stesse caratteristiche di
quella detenuta. In questo modo, la riduzione del valore dell’attività sarebbe pienamente
compensata dall’aumento di valore del contratto future.
Allo stesso modo, per coprirsi dal rischio che il valore della passività detenuta aumenti
in seguito a un ipotetico ribasso dei tassi d’interesse, la banca può aprire una posizione
lunga in un contratto future che abbia come sottostante un’attività con le stesse
caratteristiche di quella detenuta. In questo modo, l’aumento del valore della passività
(che ha effetti negativi sul valore patrimoniale della banca) sarebbe pienamente
compensato dall’aumento di valore del contratto future.
Ad esempio, se la banca detiene all’attivo un titolo obbligazionario il cui valore dipende
dall’andamento dei tassi d’interesse europei, ad esempio un Euro Bund, essa è esposta
29
al rischio che i tassi di riferimento aumentino, perché in tal caso sperimenterebbe una
riduzione di valore dell’attività detenuta, e una conseguente riduzione di valore del suo
patrimonio. Per coprirsi da tale rischio, la banca può aprire una posizione corta in un
contratto future il cui valore è ancorato al valore nominale di un Euro Bund con le
stesse caratteristiche di quello detenuto dalla banca. In tal caso, se lo scenario di rialzo
dei tassi ipotizzato si verificasse, il valore dell’Euro Bund detenuto dalla banca si
ridurrebbe, ma tale perdita sarebbe pienamente compensata dall’incremento di valore
del contratto future in quanto, in generale, la parte che assume la posizione corta
beneficia di una riduzione di valore del sottostante.
È opportuno precisare che la natura standardizzata dei contratti future rappresenta un
forte limite alla realizzazione di una strategia di copertura perfetta mediante tali
strumenti: non sempre è possibile trovare sul mercato contratti future che presentino le
caratteristiche richieste dagli operatori e, come fa notare Pomante (2013), questi ultimi
devono spesso accontentarsi di stipulare contratti che si “avvicinino” il più possibile alle
loro esigenze, in relazione all'attività sottostante, alla dimensione, o alla durata del
contratto. Tanto più le caratteristiche dei contratti future differiscono da quelle richieste,
tanto minore sarà l’efficacia della copertura mediante tali contratti.
4.2.2 Gli Interest Rate Swap
Gli Interest Rate Swap (IRS) sono contratti mediante i quali le controparti si impegnano
a scambiare tra loro una serie di flussi monetari periodici, a scadenze prestabilite,
calcolati su un capitale nozionale. Essi sono interpretabili come una serie di contratti a
termine su tassi d’interesse (forward rate agreement)7.
Il più comune tipo di IRS è detto “plain vanilla”: in tale contratto l’acquirente si
impegna a corrispondere alla controparte, per un certo numero di periodi e sulla base del
capitale nozionale, un tasso fisso predeterminato (“tasso swap”), e a sua volta il
venditore si impegna a corrispondere un tasso variabile sullo stesso capitale nozionale,
per lo stesso numero di periodi.
Gli IRS sono negoziati su mercati over the counter (OTC): le controparti possono
stabilire liberamente le caratteristiche fondamentali del contratto, in base alle loro 7 I Forward Rate Agreement (FRA) sono contratti a termine che hanno come sottostante un tasso d’interesse. Essi prevedono che le controparti si accordino per scambiare un flusso d’interesse, calcolato su un capitale nozionale, a una data futura.
30
esigenze economiche, ma, dall’altro lato, l’assenza di una clearing house a garanzia
della corretta esecuzione dei contratti fa sì che le parti non siano esenti dal rischio
d’insolvenza della controparte.
Nella realtà operativa, le banche fanno ampio ricorso agli IRS: essi costituiscono
un’ottima alternativa alle operazioni di Asset & Liability Management volte
all’allineamento delle durate finanziarie delle attività e passività iscritte in bilancio. Tali
contratti permettono alle banche di “trasformare” le attività e le passività detenute in
bilancio.
Consideriamo, a titolo esemplificativo, una banca A che ha concesso prestiti a tasso
variabile, indicizzati al tasso EURIBOR, per un importo totale di 100 milioni di Euro, e
li ha finanziati mediante un’emissione di obbligazioni con scadenza quinquennale a un
tasso fisso del 10%. Tale banca è esposta al rischio di un ribasso dei tassi d’interesse. In
tale ipotesi, infatti, essa si ritroverebbe a incassare un tasso inferiore sui prestiti
concessi, ma dovrebbe continuare a corrispondere un tasso del 10% sulle obbligazioni
emesse, fino alla scadenza, e ciò provocherebbe una riduzione del margine d’interesse.
Consideriamo ora una banca B, che ha erogato finanziamenti a lungo termine a tasso
fisso per un importo totale di 100 milioni di Euro, e li ha finanziati mediante Certificati
di Deposito (CD) a breve termine, con scadenza annuale. A scadenza i CD saranno
rinnovati al tasso di mercato vigente al momento del rinnovo. Tale banca è esposta al
rischio di un rialzo dei tassi d’interesse. In tale ipotesi, infatti, essa si ritroverebbe a
dover corrispondere un tasso sui CD superiore, ma continuerebbe a incassare lo stesso
tasso attivo dai finanziamenti concessi, sperimentando una riduzione del margine
d’interesse. Le due banche hanno esigenze speculari: la banca A ha bisogno di
trasformare le proprie attività a tasso variabile in attività a tasso fisso, che si adattano
meglio alla struttura delle sue passività, mentre la banca B ha bisogno di trasformare le
proprie passività a breve termine e a tasso variabile in passività a tasso fisso, più adatte
alla struttura a lungo termine e a tasso fisso delle sue attività. Esse hanno caratteristiche
dello Stato Patrimoniale e, conseguentemente, esposizioni al rischio di tasso d’interesse
di tipo opposto. Per ridurre le rispettive esposizioni, le due banche potrebbero stipulare
tra di loro un contratto swap sui tassi d’interesse di durata quinquennale in base al quale
la banca B, nella veste di acquirente, si impegna a corrispondere un tasso fisso del 10%
31
alla banca A, e la banca A, nella veste di venditore, si impegna a corrispondere un tasso
variabile, ad esempio il tasso EURIBOR più uno spread dell’1%, a scadenze annuali. I
flussi d’interesse corrisposti sono calcolati su un capitale nozionale di 100 milioni di
Euro. In questo modo, la banca A provvederebbe al pagamento degli interessi passivi
del 10% sull’emissione obbligazionaria mediante i flussi in entrata corrisposti dalla
banca B in virtù del contratto swap in essere, e la banca B provvederebbe al pagamento
degli interessi passivi sui CD mediante i flussi in entrata corrisposti dalla banca A.
In conclusione, la banca A avrebbe di fatto trasformato le proprie passività a tasso fisso
in passività a tasso variabile (ora paga l’EURIBOR più l’1% per il suo finanziamento),
in linea con la natura delle proprie attività, e la banca B avrebbe di fatto trasformato le
proprie passività a breve termine e a tasso variabile in passività a lungo termine e a
tasso fisso (ora paga un tasso fisso del 10%), in linea con la natura delle proprie attività.
I flussi monetari annuali scambiati tra la banca A e la banca B sono rappresentati nella
Figura 1.2.
Figura 1.2 I flussi swap tra la banca A e la banca B.
EURIBOR+1%
10%
Boukrami (2002) ha analizzato un campione di 70 grandi banche commerciali
americane nell’anno 1999 e ha riscontrato che sussiste una relazione positiva tra la
dimensione delle banche (in termini di totale attivo) e l’uso degli IRS: le banche di
maggiori dimensioni utilizzano tali strumenti più intensivamente rispetto alle banche
più piccole. Oltre alla dimensione della banca, è emerso che anche la qualità degli asset
detenuti dalle banche e la loro capitalizzazione hanno una relazione positiva con l’uso
degli IRS: le banche con una qualità degli asset detenuti elevata e le banche con alta
capitalizzazione fanno maggiore ricorso agli IRS rispetto a quelle con una bassa qualità
degli asset detenuti e una minore capitalizzazione.
Banca A
Attività a tasso variabile
Passività a tasso
fisso
Banca B
Attività a tasso fisso
Passività a tasso
variabile
32
Entrop, Kick, Ruprecht, e Wilkins (2013) hanno svolto un’indagine sulle banche
universali tedesche, nello periodo compreso tra il 2000 e il 2011, dalla quale è emerso
che le banche considerano la gestione del maturity gap di bilancio e il ricorso agli IRS
come strategie di gestione del rischio sostitute. Sembrerebbe poi che le banche
prendono innanzitutto la decisione riguardo al livello del duration gap, influenzata dalle
preferenze per la liquidità dei loro clienti, dopodiché prendono le decisioni riguardanti
l’utilizzo degli IRS. Questo processo decisionale è stato rilevato per tutte le banche, ad
eccezione di quelle che utilizzano gli IRS per la prima volta: esse assumono le due
decisioni simultaneamente.
4.2.3 Le opzioni sui tassi d’interesse
I contratti d’opzione sono strumenti derivati che attribuiscono all’acquirente la facoltà,
ma non l’obbligo, di acquistare (opzione call) o di vendere (opzione put) l’attività
sottostante in una data futura a un prezzo prefissato (strike price), a fronte del
pagamento di un premio. L’esercizio della facoltà dipenderà dal livello del prezzo
dell’attività sottostante rispetto allo strike price.
Le opzioni sono di tipo europeo quando la facoltà che incorporano è esercitabile a una
data precisa, e sono invece di tipo americano quando la facoltà è esercitabile in un
qualsiasi momento dalla data di conclusione del contratto alla data di scadenza.
I contratti d’opzione sono negoziati sia su mercati regolamentati (in Italia sono
negoziati sull’IDEM) che su mercati OTC.
Quando i contratti d’opzione hanno come sottostante un tasso d’interesse si parla di
interest rate options, di cui i principali sono:
• gli interest rate cap;
• gli interest rate floor;
• gli interest rate collar.
Un cap equivale a un’opzione call di tipo europeo su tassi d’interesse: le controparti
fissano un tasso cap (che concettualmente equivale allo strike price) e, se a scadenza il
tasso variabile di mercato risulta superiore al tasso cap prefissato, l’acquirente esercita
l’opzione e il venditore si impegna a corrispondere all’acquirente il differenziale di
33
tasso (dato dalla differenza tra il tasso di mercato a scadenza e il tasso cap) calcolato su
un capitale nozionale predeterminato.
Un floor equivale a un’opzione put di tipo europeo su tassi d’interesse: le controparti
fissano un tasso floor e, se a scadenza il tasso variabile di mercato risulta inferiore al
tasso floor prefissato, l’acquirente esercita l’opzione e il venditore si impegna a
corrispondere all’acquirente il differenziale di tasso (dato dalla differenza tra il tasso
floor e il tasso di mercato a scadenza) calcolato su un capitale nozionale predeterminato.
Un collar è un contratto d’opzione che prevede la combinazione di due posizioni:
l’acquirente assume una posizione lunga su un cap e simultaneamente assume una
posizione corta su un contratto floor. Solitamente l’utilizzo di tale strumento è
giustificato dalla necessità dell’acquirente di porre un limite superiore al tasso
d’interesse da corrispondere (posizione lunga sul cap) pagando però un premio ridotto,
se non addirittura nullo: egli, assumendo un posizione corta sul floor, incassa un premio
e lo utilizza per far fronte al pagamento del premio per il cap acquistato.
Nella realtà operativa, le banche utilizzano le opzioni sui tassi d’interesse per porre un
limite superiore (cap) ai tassi che devono corrispondere a fronte delle passività a tasso
variabile detenute, e un limite inferiore (floor) ai tassi che incassano a fronte delle
attività a tasso variabile detenute.
In ipotesi di rialzo dei tassi, le banche sono esposte al rischio che il costo associato alle
passività a tasso variabile detenute aumenti. Per coprirsi da tale rischio esse possono
assumere una posizione lunga su un cap.
Ad esempio, una banca che si è finanziata mediante un’emissione obbligazionaria con
scadenza quinquennale del valore di 1 milione di Euro e che corrisponde a scadenze
annuali un tasso cedolare indicizzato al LIBOR a 1 anno, è esposta al rischio di un
rialzo dei tassi d’interesse. Essa può acquistare un cap di durata 5 anni con valore
nozionale di 1 milione di Euro che prevede pagamenti annuali e un tasso cap pari al
5%. Se, alla fine dell’anno 1, il LIBOR a 1 anno risulta pari al 6% (oltre la soglia
imposta dal tasso cap), la banca si vedrà corrispondere un importo pari al differenziale
tra il LIBOR a 1 anno e il tasso cap, moltiplicato per il valore nozionale:
6%− 5% ∗ 1.000.000€ = 10.000€
34
Se, alla fine dell’anno 2, il LIBOR a 1 anno risulta pari al 7%, la banca si vedrà
corrispondere un importo pari a
7%− 5% ∗ 1.000.000€ = 20.000€
e così via, fino alla scadenza del cap.
In questo modo la banca elimina l’incertezza sull’ammontare di interessi che deve
corrispondere: l’aumento del LIBOR a 1 anno determina per essa un aumento del costo
del finanziamento, ma tale aumento è compensato dal guadagno derivante dalla
posizione sul cap. Inoltre, per ridurre il costo del premio pagato per il cap, la banca può
aprire una posizione su un collar.
In ipotesi di ribasso dei tassi, le banche sono esposte al rischio che gli interessi attivi
incassati sulle attività a tasso variabile detenute si riducano. Per coprirsi da tale rischio
esse possono assumere una posizione lunga su un contratto floor.
Ad esempio, una banca che ha erogato un mutuo decennale del valore di 1 milione di
Euro che corrisponde interessi annuali indicizzati all’ EURIBOR a 1 anno più il 2%, è
esposta al rischio di ribasso dei tassi d’interesse. Essa può acquistare un contratto put di
durata 10 anni con valore nozionale di 1 milione di Euro che prevede pagamenti annuali
e un tasso put pari al 4%. Se, alla fine dell’anno 1, l’EURIBOR a 1 anno risulta pari al
3% (oltre la soglia imposta dal tasso put), la banca si vedrà corrispondere un importo
pari al differenziale tra l’EURIBOR a 1 anno e il tasso put, moltiplicato per il valore
nozionale:
4%− 3% ∗ 1.000.000€ = 10.000€
Se, alla fine dell’anno 2, l’EURIBOR a 1 anno risulta pari al 2%, la banca si vedrà
corrispondere un importo pari a
4%− 2% ∗ 1.000.000€ = 20.000€
e così via, fino alla scadenza del put.
In questo modo la banca elimina l’incertezza sui ricavi derivanti dal mutuo in esame: la
diminuzione dell’EURIBOR a 1 anno determina per essa una riduzione dei ricavi, ma
tale riduzione è compensata dal guadagno derivante dalla posizione sul put.
35
CAPITOLO SECONDO
Le disposizioni di vigilanza prudenziale
L’esposizione al rischio di tasso d’interesse implica per le banche un certo grado di
variabilità, ossia d’incertezza, degli utili generati dalla gestione corrente e del valore
economico del loro patrimonio. Maggiore è l’esposizione al rischio di tasso d’interesse
di una banca, maggiore sarà la variabilità cui sono soggetti il suo reddito d’esercizio e il
valore del suo patrimonio.
Se da un lato tale esposizione è parte integrante dell’attività di una banca ed è per essa
un’importante fonte di guadagno, dall’altro lato può incidere molto negativamente sulla
sua condizione economico-patrimoniale, determinando perdite d’esercizio e contrazioni
del valore patrimoniale.
Le banche, nella decisione di quanto rischio d’interesse assumere, affrontano dunque un
trade-off: un maggiore rischio implica maggiore incertezza della situazione economico-
patrimoniale, e dunque maggiori possibilità di elevati guadagni, ma allo stesso tempo
maggiori possibilità di elevate perdite; un rischio contenuto invece determina maggiore
certezza della situazione economico-patrimoniale della banca, e dunque minori
possibilità di perdite, ma allo stesso tempo minori possibilità di guadagni.
Per evitare che le banche si espongano in misura eccessiva al rischio di tasso d’interesse
le autorità di vigilanza bancaria hanno predisposto negli anni un quadro regolamentare
organico e più volte aggiornato, in considerazione dell’evoluzione dell’attività
economica e, in particolare, dell’attività bancaria, e dell’impatto sempre maggiore della
volatilità dei tassi d’interesse sulla condizione economico-patrimoniale delle banche.
A livello internazionale, il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha predisposto
un documento intitolato “Princìpi per la gestione del rischio di tasso d’interesse”,
pubblicato nel Settembre 1997 ed aggiornato nel Luglio 2004; tale documento è stato
recepito dalla normativa italiana con la Circolare n° 263/2006 della Banca d’Italia,
pubblicata il 27 Dicembre 2006 e soggetta a 13 aggiornamenti, di cui l’ultimo risalente
al 12 Maggio 2012, ed attualmente incorporata nella Circolare n° 285/2013.
36
1. I “Princìpi per la gestione e la supervisione del rischio di tasso di interesse”
proposti dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (Luglio 2004)
Il primo documento in tema di adeguatezza patrimoniale delle banche, noto con
l’espressione “Basilea 1” e risalente al 1988, è stato sostituito nel 2001 dal documento
“The New Basel Capital Accord”, meglio conosciuto con l’espressione “Basilea 2”,
recepito dall’ordinamento italiano con il decreto legge n° 297 del 27 Dicembre 2006.
Tale documento è suddiviso in tre pilastri: il primo pilastro contiene tutte le disposizioni
in tema di adeguatezza patrimoniale, il secondo pilastro si concentra sul ruolo delle
autorità di vigilanza nella sorveglianza dell’adeguatezza patrimoniale delle banche, e il
terzo pilastro riguarda la disciplina del mercato. Per quanto riguarda il rischio di tasso
d’interesse, esso è disciplinato nel secondo pilastro e, sebbene l’esposizione a tale
rischio richieda un’adeguata copertura patrimoniale, esso non prevede un apposito
requisito patrimoniale.
L’emanazione di Basilea 2 ha richiesto una revisione del documento “Princìpi per la
gestione del rischio di tasso d’interesse”, pubblicato dal Comitato di Basilea nel
Settembre 1997: esso è stato rivisto nella direzione di una maggiore trasparenza da parte
delle banche ed è stato ampliato.
Il nuovo documento, intitolato “Princìpi per la gestione e la supervisione del rischio di
tasso di interesse” ed emanato nel 2004, prevede 15 princìpi che riguardano
essenzialmente il ruolo del consiglio di amministrazione e dell’alta direzione nella
supervisione, le politiche e procedure di gestione del rischio, il sistema di misurazione,
monitoraggio e controllo del rischio, i controlli interni, le informazioni alle autorità di
vigilanza, l’adeguatezza patrimoniale, la comunicazione del rischio d’interesse al
pubblico e il trattamento del rischio d’interesse del banking book per finalità di
vigilanza. Il documento riporta poi in appendice una descrizione tecnica della scelta
dello shock standardizzato del tasso d’interesse, e una descrizione dettagliata dei passi
da seguire nell’applicazione della metodologia standardizzata ai fini della misurazione
del rischio di tasso d’interesse, entrambe riprese in gran parte dalla normativa italiana.
I 15 princìpi proposti sono riportati di seguito.
37
Supervisione del rischio d’interesse da parte del consiglio di amministrazione e del
senior management
Principio 1: Per far fronte alle proprie responsabilità, il consiglio di amministrazione di
una banca dovrebbe approvare strategie e politiche di gestione del rischio di tasso
d’interesse e garantire che il senior management compia i passi necessari per
monitorare e controllare questi rischi in armonia con le strategie e politiche approvate. Il
consiglio di amministrazione dovrebbe essere informato regolarmente sull’esposizione
della banca al rischio di tasso d’interesse per valutarne il monitoraggio e il controllo
rispetto alle indicazioni del consiglio stesso sui livelli di rischio ritenuti accettabili per la
banca.
Principio 2: Il senior management deve garantire che la struttura delle attività della
banca e il livello di rischio di tasso d’interesse assunto siano gestiti in modo efficace,
che vengano stabilite politiche e procedure adeguate per controllare e limitare tali rischi,
e che siano disponibili risorse per la valutazione e il controllo del rischio di tasso
d’interesse.
Principio 3: Le banche dovrebbero definire chiaramente le persone e/o i comitati
responsabili per la gestione del rischio di tasso d’interesse e dovrebbero garantire una
separazione adeguata dei compiti nei passaggi chiave del processo di risk management,
per evitare potenziali conflitti d’interesse. Le banche dovrebbero avere funzioni di
misurazione, monitoraggio e controllo del rischio con compiti chiaramente definiti, che
siano sufficientemente indipendenti dalle funzioni della banca che assumono delle
posizioni e che riferiscano sull’esposizione al rischio direttamente al senior
management e al consiglio di amministrazione. Le banche più grandi e complesse
dovrebbero avere un’unità indipendente deputata al disegno e all’amministrazione delle
funzioni di misurazione, monitoraggio e controllo del rischio di tasso d’interesse.
38
Adeguate politiche e procedure di risk management
Principio 4: È essenziale che le politiche e le procedure sul rischio di tasso d’interesse
delle banche siano chiaramente definite e coerenti con la natura e la complessità delle
loro attività. Queste politiche dovrebbero essere applicate su base consolidata e, quando
appropriato, anche a livello di singole controllate, specialmente quando si riconoscano
distinzioni legali e possibili ostacoli ai movimenti delle risorse finanziarie tra le società
del gruppo.
Principio 5: È importante che le banche identifichino i rischi inerenti ai nuovi prodotti e
attività e assicurino che tali prodotti e attività siano soggetti ad adeguate procedure e
controlli prima di essere introdotti o intraprese. Le principali iniziative volte alla
copertura e alla gestione del rischio dovrebbero essere approvate in anticipo dal
consiglio di amministrazione o da un idoneo comitato a ciò delegato.
Funzioni di misurazione, monitoraggio e controllo del rischio
Principio 6: È essenziale che le banche abbiano sistemi di misurazione del rischio di
tasso d’interesse che catturino tutte le fonti significative del rischio e che valutino
l’effetto di variazioni dei tassi in modo coerente con l’ampiezza delle loro attività. Le
assunzioni sottostanti al sistema dovrebbero essere chiaramente comprese dai risk
manager e dal management della banca.
Principio 7: Le banche devono stabilire e far rispettare limiti operativi e altre pratiche
che mantengano l’esposizione al rischio entro livelli coerenti con le loro politiche
interne.
Principio 8: Le banche dovrebbero misurare la loro vulnerabilità alle perdite in
condizioni di mercato difficili – incluso il venir meno delle assunzioni principali di
partenza – e considerare i risultati così ottenuti quando stabiliscono e rivedono le loro
politiche e i loro limiti al rischio di tasso d’interesse.
39
Principio 9: Le banche devono avere sistemi informativi adeguati per misurare,
monitorare, controllare e segnalare le esposizioni al rischio di tasso d’interesse. I
prospetti devono essere forniti in maniera tempestiva al consiglio di amministrazione
della banca, al suo senior management e, quando opportuno, ai manager delle singole
linee di business.
Controlli interni
Principio 10: Le banche devono avere un adeguato sistema di controlli interni sul loro
processo di gestione del rischio di tasso d’interesse. Una componente fondamentale del
sistema di controlli interni riguarda la revisione e valutazione indipendente, a intervalli
regolari, dell’efficacia del sistema tali da garantire, se necessario, che vengano apportati
le revisioni e gli ampliamenti appropriati ai controlli interni. I risultati di tali revisioni
dovrebbero essere resi disponibili alle autorità di vigilanza competenti.
Informazioni alle autorità di vigilanza
Principio 11: Le autorità di vigilanza dovrebbero ottenere dalle banche informazioni
sufficienti e tempestive per valutare il loro livello di rischio di tasso d’interesse. Tali
informazioni dovrebbero opportunamente tenere conto della gamma di scadenze e di
valute presenti nel portafoglio di ogni banca, comprese le poste fuori bilancio, e di altri
fattori rilevanti, come la distinzione tra le attività di negoziazione e le altre attività.
Adeguatezza patrimoniale
Principio 12: Le banche dovrebbero detenere capitale in misura adeguata al loro livello
di rischio di tasso d’interesse.
Comunicazione del rischio di tasso d’interesse
Principio 13: Le banche dovrebbero diffondere al pubblico informazioni sul livello del
rischio di tasso d’interesse e sulle politiche adottate per la sua gestione.
40
Trattamento del rischio di tasso d’interesse del banking book per finalità di vigilanza
Principio 14: Le autorità di vigilanza dovrebbero valutare se i sistemi di misurazione
interni delle banche catturano adeguatamente il rischio di tasso d’interesse del loro
banking book. Se il sistema di misurazione interno di una banca non cattura
adeguatamente il rischio di tasso d’interesse, la banca deve allineare il sistema agli
standard richiesti. Per facilitare il monitoraggio da parte delle autorità di vigilanza delle
esposizioni al rischio delle diverse istituzioni, le banche devono fornire i risultati dei
loro sistemi di misurazione interni, espressi in termini di danno per il valore economico,
usando uno shock standardizzato del tasso d’interesse.
Principio 15: Se le autorità di vigilanza ritengono che una banca non detenga capitale in
misura adeguata al livello del suo rischio di tasso d’interesse sul banking book,
dovrebbero considerare un’azione correttiva, chiedendo alla banca di ridurre il suo
rischio o di mantenere uno specifico ammontare di capitale addizionale, o una
combinazione delle due misure.
La storia dell’evoluzione del quadro regolamentare internazionale fa notare come le
autorità di vigilanza si pongano con un atteggiamento volto al continuo miglioramento
dei processi di misurazione e di gestione dei rischi assunti dalle banche: a tale proposito
il Comitato di Basilea, prendendo atto di alcune criticità insite negli attuali sistemi di
misurazione dei rischi, ha predisposto un documento apposito, dedicato interamente alla
trattazione delle problematiche nella determinazione del capitale economico a fronte dei
vari rischi, tra cui anche il rischio d’interesse del banking book (BCBS, 2009).
2. Le “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche” proposte dalla
Banca d’Italia (Circolare n° 263/2006)
La Circolare n° 263/2006 della Banca d’Italia ha recepito le disposizioni di
vigilanza prudenziale proposte dal Comitato di Basilea nel documento “Princìpi per la
gestione e la supervisione del rischio di tasso d’interesse” di Luglio 2004. Ad oggi essa
è stata sostituita dalla Circolare n° 285/2013, che riordina in un unico fascicolo le
41
disposizioni di vigilanza per le banche contenute in una molteplicità di sedi e aggiorna
tali disposizioni in osservanza delle novità intervenute nel quadro regolamentare
internazionale (in particolare, con riguardo al nuovo assetto normativo e istituzionale
della vigilanza bancaria nell’Unione Europea e all’emanazione di “Basilea 3”).
In tema di rischio di tasso d’interesse del banking book, la nuova circolare riprende
interamente la trattazione proposta dalla Circolare n° 263/2006. Per tale motivo, ai fini
del presente paragrafo, si continuerà a fare riferimento alla Circolare n° 263/2006.
In particolare, nell’Allegato C del Capitolo 1 del Titolo III, essa riprende le metodologie
di misurazione dell’esposizione al rischio di tasso d’interesse proposte dal Comitato di
Basilea, e coerentemente con le disposizioni di quest’ultimo, non stabilisce un apposito
requisito patrimoniale a copertura di tale rischio.
La Circolare prevede una suddivisione delle banche italiane in 3 classi:
• Classe 1: le banche appartenenti a questa classe definiscono in piena autonomia
le metodologie di misurazione adeguate ai fini della determinazione del capitale
interno. La Banca d’Italia si attende inoltre che tali banche ricorrano anche
all’utilizzo di metodi VaR, anche mediante affinamenti della metodologia
semplificata proposta nell’Allegato C;
• Classe 2: le banche appartenenti a questa classe possono ricorrere all’utilizzo
della metodologia semplificata proposta nell’Allegato C, valutando l’opportunità
di affinarla;
• Classe 3: le banche appartenenti a questa classe possono misurare il rischio di
tasso di interesse del banking book utilizzando gli algoritmi semplificati proposti
nell’Allegato C.
La metodologia semplificata, proposta dal Comitato di Basilea (2004) e recepita dalla
regolamentazione nazionale con la Circolare n° 263/2006, prevede cinque passaggi.
1. Determinazione delle “valute rilevanti”
Sono considerate “valute rilevanti” le valute il cui peso misurato come quota sul
totale attivo o sul passivo del banking book sia superiore al 5%. La metodologia
semplificata prevede che le posizioni denominate in “valute rilevanti” siano considerate
valuta per valuta, e che le posizioni denominate in “valute non rilevanti” siano
42
aggregate. Si ammette così per le sole “valute non rilevanti” la possibilità di
compensazione tra importi espressi in valute diverse.
2. Classificazione delle attività e passività in fasce temporali
Le attività e le passività sensibili a variazioni dei tassi d’interesse sono classificate
in una matrice per scadenza che prevede 14 fasce temporali (cfr. Tabella 2.1). Le attività
e passività a tasso fisso sono classificate secondo la loro vita residua, e le attività e
passività a tasso variabile sono classificate secondo la data di rinegoziazione del tasso
d’interesse.
Tabella 2.1 – Metodologia semplificata: Fattori di ponderazione per lo scenario
parallelo di +200 punti base
Fascia temporale
Scadenza
mediana
per fascia
Duration
modificata
approssimata
(A)
Shock di tasso
ipotizzato (B)
Fattore di
ponderazione
(C)=(A)x(B)
A vista e revoca 0 0 200 punti base 0,00%
Fino a 1 mese 0,5 mesi 0,04 anni 200 punti base 0,08%
Da oltre 1 mese a 3 mesi 2 mesi 0,16 anni 200 punti base 0,32%
Da oltre 3 mesi a 6 mesi 4,5 mesi 0,36 anni 200 punti base 0,72%
Daoltre 6 mesi a 1 anno 9 mesi 0,71 anni 200 punti base 1,43%
Da oltre 1 anno a 2 anni 1,5 anni 1,38 anni 200 punti base 2,77%
Da oltre 2 anni a 3 anni 2,5 anni 2,25 anni 200 punti base 4,49%
Da oltre 3 anni a 4 anni 3,5 anni 3,07 anni 200 punti base 6,14%
Da oltre 4 anni a 5 anni 4,5 anni 3,85 anni 200 punti base 7,71%
Da oltre 5 anni a 7 anni 6 anni 5,08 anni 200 punti base 10,15%
Da oltre 7 anni a 10 anni 8,5 anni 6,63 anni 200 punti base 13,26%
Da oltre 10 anni a 15 anni 12,5 anni 8,92 anni 200 punti base 17,84%
Da oltre 15 anni a 20 anni 17,5 anni 11,21 anni 200 punti base 22,43%
Oltre 20 anni 22,5 anni 13,01 anni 200 punti base 26,03%
Fonte: Banca d’Italia (2006)
43
Salvo quanto riportato dalla Circolare n° 263/2006 “Nuove disposizioni di vigilanza
prudenziale per le banche “ per alcune poste contabili, le attività e passività vanno
inserite nella matrice per scadenza secondo i criteri previsti nella Circolare n° 272/2008
“Matrice dei conti” e nella Circolare n° 115/1990 “Istruzioni per la compilazione delle
segnalazioni di vigilanza su base consolidata”.
In seguito all’aggiornamento del 27 Dicembre 2010 è previsto che i c/c attivi siano
classificati nella fascia “a vista” (ad eccezione dei rapporti formalmente regolati come
conti correnti ma riconducibili ad altre forme d’impiego aventi uno specifico profilo
temporale, come ad esempio gli anticipi salvo buon fine), mentre la somma dei c/c
passivi e dei depositi liberi è da ripartire secondo le seguenti indicazioni:
- nella fascia “a vista” per una quota fissa del 25%, corrispondente alla cosiddetta
componente non core;
- per il rimanente importo, corrispondente alla cosiddetta componente core, nelle
successive otto fasce temporali (“da fino a 1 mese” a “da oltre 4 anni a 5 anni”)
in misura proporzionale al numero di mesi in esse contenuti. Ad esempio, nella
fascia “fino a 1 mese” va inserito 1/60 dell’importo residuo, nella fascia “da
oltre 1 mese a 3 mesi” vanno inseriti 2/60 dell’importo, ecc.
Per le banche appartenenti alle classi 1 e 2 è prevista l’opportunità di affinare il criterio
sopra illustrato, relativo alla stima della componente core e alla sua distribuzione nelle
fasce temporali fino a 5 anni. Tali banche valutano anche l’opportunità di rappresentare
il cosiddetto prepayment risk (facoltà di rimborso anticipato) secondo modalità
alternative alla normativa segnaletica (delta equivalent value).
Il criterio adottato prima delle modifiche apportate dall’aggiornamento del 27 Dicembre
2010 prevedeva che i c/c passivi e i depositi liberi fossero ripartiti nella fascia “a vista”
per un importo pari all’ammontare dei c/c attivi, e per l’importo residuo nelle successive
quattro fasce temporali (“da fino a 1 mese” a “da oltre 6 mesi a 1 anno”), in misura
proporzionale al numero di mesi in esse contenuti.
Mentre il criterio precedente alle modifiche prevedeva una distribuzione dei c/c passivi
e dei depositi liberi su un arco temporale di 1 anno, il nuovo criterio prevede che essi
siano distribuiti su un arco temporale di 5 anni.
Curcio e Gianfrancesco (2011) hanno dimostrato che le diverse ipotesi di distribuzione
delle poste a vista (prima e dopo l’aggiornamento sopra citato) incidono notevolmente
44
sulla struttura per scadenza delle attività e passività detenute dalle banche, e
conseguentemente sulla stima del rischio da esse assunto. Tali ipotesi incidono in
misura maggiore rispetto al posizionamento delle poste di bilancio nelle fasce temporali
(in corrispondenza della scadenza mediana o agli estremi della singola fascia) o rispetto
al differente coefficiente di duration utilizzato (duration approssimata o key-rate
duration)8.
3. Ponderazione delle esposizioni nette all’interno di ciascuna fascia
Per ognuna delle 14 fasce temporali si calcola la posizione netta, ottenuta come
differenza tra le posizioni attive e le posizioni passive. La posizione netta di ciascuna
fascia viene poi moltiplicata per il relativo fattore di ponderazione, ottenuto come
prodotto tra una variazione ipotetica dei tassi e un’approssimazione della duration
modificata relativa alle singole fasce.
Il passaggio appena illustrato può essere sintetizzato con la seguente equazione:
∆𝑃𝑁! = 𝑃𝑁! ∗ 𝐷𝑀! ∗ ∆𝑟
dove: (2.1)
- ∆𝑃𝑁! è la variazione di valore economico della posizione netta relativa alla
fascia i-esima;
- 𝑃𝑁! è la posizione netta relativa alla fascia i-esima;
- 𝐷𝑀! è la duration modificata approssimata relativa alla fascia i-esima;
- ∆𝑟 è la variazione del tasso d’interesse ipotizzata. Nel caso della metodologia
semplificata tale variazione è uguale per tutte le fasce temporali (+/- 200 bp).
Si noti che un valore positivo di ∆𝑃𝑁! corrisponde a una riduzione di pari importo del
valore economico della posizione netta della fascia i-esima, ed è dunque da intendere in
senso negativo.
Per quanto riguarda l’ipotesi sulla variazione dei tassi, la banca può considerare diversi
scenari. In condizioni di stress, essa può procedere alla stima del capitale interno
ipotizzando variazioni dei tassi determinate sulla base di scenari prescelti dalla banca
8 Per un approfondimento si veda Curcio D., & Gianfrancesco I. (2011), “Il rischio di tasso d’interesse del banking book: profili applicativi”.
45
stessa, oltre a quello della variazione parallela di +/- 200 punti base. In condizioni
ordinarie invece essa può fare riferimento alla serie storica di variazioni annuali dei tassi
d’interesse registrati in un periodo di osservazione di 6 anni, considerando
alternativamente il 1° (ipotesi di ribasso) o il 99° (ipotesi di rialzo) percentile. In questo
caso si tratterebbe di calcolare l’indice di rischiosità mediante la tecnica delle
simulazioni storiche, sulla base delle variazioni annuali dei tassi d’interesse rilevate nei
5 anni precedenti la data di analisi9.
Per quanto riguarda la duration modificata, essa è stata calcolata come segue:
- per le fasce temporali con scadenze inferiori o uguali a un anno essa coincide
con quella di un titolo zero coupon avente scadenza pari alla mediana della
relativa fascia temporale, e un tasso di rendimento del 5%;
- per le fasce temporali con scadenze superiori all’anno essa coincide con quella
di un titolo obbligazionario avente scadenza pari alla mediana della relativa
fascia temporale, il tasso di valutazione e il tasso cedolare entrambi pari al 5%, e
lo stacco della prima cedola dopo 6 mesi dall’emissione10.
4. Somma delle esposizioni ponderate delle diverse fasce
Le esposizioni ponderate delle diverse fasce sono sommate tra di loro, ammattendo
così la piena compensazione tra le esposizioni positive e negative delle diverse fasce.
L’esposizione totale così ottenuta approssima la variazione di valore economico delle
posizioni in una certa valuta nell’eventualità dello shock di tasso ipotizzato.
Relativamente alla valuta j-esima, il passaggio può essere espresso come segue:
∆𝑉𝐸! = ∆𝑃𝑁!!"!!! (2.2)
5. Aggregazione delle esposizioni nelle diverse valute
Le esposizioni positive relative alle singole “valute rilevanti” e all’aggregato delle
“valute non rilevanti” sono sommate tra loro. Il fatto di considerare le sole esposizioni
positive fa sì che non sia permessa la compensazione tra le esposizioni nelle diverse
9 Si veda l’Appendice 3B. 10 Curcio e Gianfrancesco (2011, Appendice A) propongono a titolo esemplificativo il calcolo della duration modificata associata alla fascia temporale “da oltre 4 anni a 5 anni”.
46
valute. In questo modo si ottiene un valore che rappresenta la variazione di valore
economico del patrimonio della banca a fronte dell’ipotizzato scenario sui tassi
d’interesse. In termini analitici si ha:
∆𝑉𝐸! = ∆𝑉𝐸!!!!! + ∆𝑉𝐸! con ∆𝑉𝐸! > 0 e ∆𝑉𝐸! > 0 (2.3)
dove:
- ∆𝑉𝐸! è la variazione complessiva di valore economico del banking book a
seguito dello shock di tasso ipotizzato;
- ∆𝑉𝐸! è la variazione di valore economico della j-esima valuta rilevante;
- ∆𝑉𝐸! è la variazione di valore economico dell’aggregato delle valute non
rilevanti.
Il valore così ottenuto viene infine rapportato al patrimonio di vigilanza della banca: si
ottiene così un indice di rischiosità, il cui valore soglia è pari al 20%.
Analiticamente:
∆!"!!"
≤ 20% (2.4)
Nel caso in cui si riscontri un valore dell’indice di rischiosità superiore alla soglia
prevista, la Banca d’Italia approfondisce i risultati con la banca e si riserva di adottare
opportuni provvedimenti.
47
CAPITOLO TERZO
L’esposizione al rischio di tasso di interesse del banking book e la crisi finanziaria:
un’indagine empirica
1. Il contesto: la crisi finanziaria del 2008
“Nell'autunno del 2008 il mondo è entrato nella recessione più profonda mai
registrata dalla Seconda guerra mondiale” (Blanchard, 2011).
La causa della recessione è stata la crisi finanziaria iniziata negli Stati Uniti nell’estate
del 2007. Tale crisi, originatasi nel mercato americano dei mutui sub-prime, si è
propagata velocemente in Europa e nel resto del mondo attraverso il commercio
internazionale, provocando una contrazione dell’attività economica a livello globale e
una forte instabilità sui mercati finanziari internazionali. La crisi finanziaria è stata
inoltre accompagnata dalla crisi dei debiti sovrani, che è iniziata alla fine del 2009 e si è
accentuata nel 2010, e ha colpito alcuni Paesi dell’area Euro, portando a ulteriori
tensioni sui mercati finanziari.
La Figura 3.1 mostra l’andamento del PIL e del tasso d’inflazione nelle maggiori
economie mondiali dal 2008 al 2013.
Figura 3.1 – Andamento del PIL e del tasso d’inflazione nelle maggiori economie
Fonte: Rapporto annuale 2013 della BCE (2014).
Stati UnitiRegno Unitoarea dell’euro
GiapponeCina
Crescita del PIL 1)
(variazioni percentuali sul periodo corrispondente;dati trimestrali)
Tassi di inflazione 2)
(variazioni percentuali sui dodici mesi; dati mensili)
-10
-5
0
5
10
15
-10
-5
0
5
10
15
2008 2009 2010 2011 2012 20134
2
0
2
4
6
8
10
4
2
0
2
4
6
8
10
2008 2009 2010 2011 2012 2013
Fonti: dati nazionali, BRI, Eurostat ed elaborazioni della BCE.
1) Per l’area dell’euro e il Regno Unito sono stati utilizzati dati di fonte Eurostat; per gli Stati Uniti, la Cina e il Giappone, dati di fonti
nazionali. I dati relativi al PIL sono destagionalizzati.
2) Misurata sullo IAPC per l’area dell’euro e il Regno Unito, sull’IPC per gli Stati Uniti, la Cina e il Giappone.
48
Il contesto economico particolarmente sfavorevole ha richiesto un deciso intervento
delle banche centrali, che hanno adottato strategie di politica monetaria volte al
ridimensionamento della recessione e al sostegno delle economie nazionali, attraverso
interventi sui tassi d’interesse ufficiali e attraverso il ricorso a strumenti di politica
monetaria non convenzionali. Negli anni della crisi la BCE ha ridotto drasticamente il
corridoio dei tassi d’interesse ufficiali. Oggi i tassi ufficiali dell’area Euro sono ai
minimi storici: il tasso sui depositi presso la BCE è pari al -0,10%, il tasso sulle
operazioni di rifinanziamento marginale è pari allo 0,40%, e il tasso sulle operazioni di
rifinanziamento principali è pari allo 0,15%. L’andamento del corridoio dei tassi
d’interesse ufficiali della BCE e del tasso d’interesse Eonia è riportato nella Figura 3.2.
Figura 3.2 – I tassi d’interesse della BCE e il tasso d’interesse Eonia
Nota: I valori sull’asse verticale sono percentuali. I dati utilizzati sono giornalieri.
Fonti: BCE e DatastreamTM.
Le variazioni dei tassi d’interesse ufficiali hanno impattato sui tassi interbancari e hanno
generato variazioni nella term structure, implicando effetti sui tassi d’interesse praticati
dalle banche.
0 0,5 1
1,5 2
2,5 3
3,5 4
4,5 5
5,5 6
01/01/08 01/01/09 01/01/10 01/01/11 01/01/12 01/01/13
Tasso di interesse sulle operazioni di ri=inanziamento principali
Tasso di interesse sulle operazioni di ri=inanziamento marginale
Tasso di interesse sui depositi presso la banca centrale
Tasso di interesse overnight (Eonia)
49
Le Figure 3.3, 3.4 e 3.5 riportano rispettivamente gli andamenti dei tassi Euribor,
Eurepo e swap sui tassi d’interesse overnight a tre mesi, dei tassi sui depositi praticati
dalle Istituzioni Finanziarie Monetarie e dei tassi sui prestiti erogati alle famiglie e alle
società non finanziarie.
Figura 3.3 – Eurepo, Euribor e swap sui tassi d’interesse overnight a tre mesi
Nota: I valori sull’asse verticale sono percentuali. I dati utilizzati sono giornalieri.
Fonte: DatastreamTM.
Figura 3.4 – Tassi d’interesse delle IFM sui depositi a breve termine e Euribor a 3 mesi
Nota: I valori sull’asse verticale sono percentuali. I dati utilizzati sono mensili.
Fonte: BCE.
-‐0,5
0,5
1,5
2,5
3,5
4,5
5,5
Eurepo a tre mesi
Euribor a tre mesi
Swap a tre mesi sui tassi d'interesse overnight
0
1
2
3
4
5
gen-‐08 gen-‐09 gen-‐10 gen-‐11 gen-‐12 gen-‐13
Depositi overnight
Depositi con durata prestabilita =ino a due anni
Depositi rimborsabili con preavviso =ino a tre mesi
50
Figura 3.5 – Tassi di interesse sui prestiti alle famiglie e alle società non finanziarie
Nota: I valori sull’asse verticale sono percentuali. I dati utilizzati sono mensili.
Fonte: BCE.
L’alta volatilità dei tassi d’interesse che ha caratterizzato gli anni della crisi ha
rappresentato un grande rischio per le banche le quali, data la natura delle attività e delle
passività da esse detenute, hanno tipicamente un reddito d’esercizio e un valore
patrimoniale caratterizzati da sensibilità alle variazioni dei tassi d’interesse.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
gen-‐08 gen-‐09 gen-‐10 gen-‐11 gen-‐12 gen-‐13
Tassi a breve termine sui prestiti alle società non =inanziarie
Tassi a lungo termine sui prestiti alle società non =inanziarie
Tassi sui mutui alle famiglie per l'acquisto di abitazioni
Tassi sul credito al consumo alle famiglie
51
2. Le evidenze dal campione di 26 banche commerciali italiane
L’indagine riportata nel presente paragrafo ha come obiettivo quello di stimare
l’esposizione al rischio di tasso d’interesse delle banche italiane durante la crisi
finanziaria, per verificare se sono state in grado di mantenere un livello di esposizione
accettabile e, in particolare, di rispettare la soglia di esposizione al rischio d’interesse
prevista dal quadro regolamentare di vigilanza prudenziale (ΔVE PV ≤ 20%).
La metodologia standardizzata e le simulazioni storiche, basate sul concetto di duration
approssimata, previste dal Comitato di Basilea (BCBS, 2004) e recepite dalla
regolamentazione italiana con la Circolare n. 263 del 27 Dicembre 2006 della Banca
d’Italia (oggi sostituita dalla Circolare n. 285 del 17 Dicembre 2013) ai fini del calcolo
dell’esposizione al rischio di tasso d’interesse delle banche, sono state applicate a un
campione di 26 banche italiane. La Tabella 3.1 riporta alcuni key ratios relativi al
campione esaminato.
Tabella 3.1 – I key ratios del campione osservato
2008 2009 2010 2011 2012
TOTALE ATTIVO 58.580 51.891 54.923 55.501 60.233
LOAN/ASSET RATIO 75,47% 74,79% 74,76% 72,36% 68,92%
LEVERAGE RATIO 12,34 12,15 12,86 12,79 13,26
TOTAL CAPITAL RATIO 11,68% 11,82% 12,07% 12,53% 12,83%
COST/INCOME RATIO 66,42% 63,99% 69,46% 68,80% 62,27%
ROE 4,49% 3,66% 4,03% 1,16% -5,76%
ROA 0,46% 0,36% 0,32% 0,13% -0,23%
N° banche osservate 23 26 26 26 24
Nota: I valori riportati sono i valori medi del campione. Il totale attivo è espresso in milioni di Euro.
Fonte: Elaborazioni personali su dati di bilancio degli anni 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012.
La fonte delle informazioni quantitative sull’esposizione delle banche è la matrice che
contiene la distribuzione, per durata residua e per data di riprezzamento, delle attività e
passività finanziarie, disponibile nella parte E della Nota Integrativa di Bilancio
“Informazioni sui rischi e sulle relative politiche di copertura”. I dati di bilancio
52
utilizzati sono quelli relativi al 31 Dicembre 2008, al 31 Dicembre 2009, al 31
Dicembre 2010, al 31 Dicembre 2011 e al 31 Dicembre 2012. Per alcune banche
esaminate non è stato possibile reperire i dati relativi a tutti e 5 gli anni: in particolare, i
dati relativi all’anno 2008 sono disponibili per 23 banche, e i dati relativi all’anno 2012
sono disponibili per 24 banche; i dati relativi agli anni 2009, 2010 e 2011 sono invece
disponibili per l’intero campione di 26 banche. Inoltre, per 18 banche sono stati
utilizzati i dati del bilancio consolidato, e per 6 banche sono stati utilizzati i dati del
bilancio individuale d’esercizio.
Poiché la matrice desumibile dal bilancio d’esercizio presenta un numero di fasce
minori e di maggiore ampiezza rispetto a quanto previsto dalla regolamentazione
nell’ambito della metodologia semplificata, è stato necessario convertire tale matrice in
una nuova, conforme alle disposizioni regolamentari. In particolare, la matrice per
durata residua e per data di riprezzamento riportata nella Nota Integrativa di Bilancio
comprende 8 fasce temporali: “a vista”, “fino a 3 mesi”, “da oltre 3 mesi fino a 6 mesi”,
“da oltre 6 mesi fino a 1 anno”, “da oltre 1 anno fino a 5 anni”, “da oltre 5 anni fino a
10 anni”, “oltre 10 anni” e “durata indeterminata”. La maturity ladder regolamentare
comprende invece 14 fasce temporali: “a vista e revoca”, “fino a 1 mese”, “da oltre 1
mese a 3 mesi”, “da oltre 3 mesi a 6 mesi”, “da oltre 6 mesi a 1 anno”, “da oltre 1 anno
a 2 anni”, “da oltre 2 anni a 3 anni”, “da oltre 3 anni a 4 anni”, “da oltre 4 anni a 5
anni”, “da oltre 5 anni a 7 anni”, “da oltre 7 anni a 10 anni”, “da oltre 10 anni a 15
anni”, “da oltre 15 anni a 20 anni”, “oltre 20 anni”.
Nel passaggio da una matrice all’altra si è ipotizzata una distribuzione delle poste di
bilancio proporzionale al numero dei mesi contenuti nelle varie fasce temporali. Ad
esempio, le poste di bilancio comprese nella fascia “fino a 3 mesi” della matrice di
bilancio sono state redistribuite per 1/3 nella fascia “fino a 1 mese” e per 2/3 nella fascia
“da oltre 1 mese fino a 3 mesi” della matrice adottata in conformità con la
regolamentazione.
Nell’ambito delle simulazioni storiche i tassi d’interesse utilizzati ai fini della
valutazione sono rappresentati dai tassi Euribor per le scadenze inferiori a un anno e dai
tassi swap per le scadenze uguali o superiori a un anno (fonte DatastreamTM). I tassi
relativi a scadenze non disponibili sono stati ricavati mediante interpolazione lineare.
53
Le valutazioni sono state effettuate sulla base della term structure vigente all’ultimo
giorno dell’anno esaminato (ad esempio, le valutazioni relative all’anno 2008 sono state
effettuate sulla base della term structure vigente al 31 Dicembre 2008).
La componente delle poste a vista è stata distribuita secondo quanto previsto dalle
disposizioni delle Autorità di vigilanza in seguito al 6° aggiornamento del 27 Dicembre
2010 della Circolare n. 263 del 27 Dicembre 2006 della Banca d’Italia.
Curcio e Gianfrancesco (2011) hanno dimostrato che le diverse ipotesi di distribuzione
delle poste a vista (prima e dopo l’aggiornamento sopra citato) incidono notevolmente
sulla struttura per scadenza delle attività e passività detenute dalle banche, e
conseguentemente sulla stima del rischio da esse assunto.
La componente delle poste a durata indeterminata non è stata considerata perché si è
ipotizzato che tali poste siano insensibili alle variazioni dei tassi d’interesse.
Per la stima dell’indicatore di rischiosità è stato utilizzato come valore del Patrimonio di
Vigilanza delle banche quello riportato nella Parte F della Nota Integrativa di Bilancio
“Informazioni sul patrimonio”, e sono state prese in considerazione solo le posizioni in
Euro.
L’indicatore di rischiosità è stato stimato mediante le due metodologie proposte dalla
regolamentazione (la metodologia standardizzata e la simulazione storica).
Tutti i risultati ottenuti sono esposti in dettaglio nell’Appendice 3.A. Il procedimento
adottato per la stima degli indicatori di rischio mediante la tecnica delle simulazioni
storiche è esposto in dettaglio nell’Appendice 3.B.
L’analisi svolta mostra che le due metodologie proposte dal quadro regolamentare
conducono a risultati differenti, ma in entrambi i casi le banche osservate presentano in
prevalenza un indicatore di rischiosità sotto la soglia prevista dal quadro regolamentare
di vigilanza (∆𝑉𝐸 𝑃𝑉 ≤ 20%), per l’intero arco temporale preso in considerazione. Le
banche italiane, dunque, hanno avuto in prevalenza un’esposizione ridotta al rischio di
tasso d’interesse durante la crisi finanziaria. Tali risultati sono in linea con quanto
riscontrato da Esposito, Nobili e Ropele (2013), che hanno analizzato un campione di
68 gruppi bancari italiani nel periodo dalla seconda metà del 2008 alla prima metà del
2012. Lo stesso risultato è stato ottenuto da Curcio e Gianfrancesco (2011) sulle banche
del campione Assbank-ACRI nell’anno 2010.
54
Dalla stima effettuata con la metodologia standardizzata, le banche risultate
eccessivamente esposte al rialzo dei tassi d’interesse, per almeno uno dei cinque anni
analizzati, sono: il Gruppo Banca di Credito Popolare (BCP), il Gruppo BNL, la Banca
Popolare di Puglia e Basilicata (BPPB), il Gruppo Carichieti, e il Gruppo Banca Carige.
Le banche risultate invece eccessivamente esposte al ribasso dei tassi d’interesse sono:
il Gruppo Cassa di Risparmio di Ferrara (Carife), e il Gruppo Cassa di Risparmio di San
Miniato (Carismi). In particolare:
o in ipotesi di rialzo dei tassi d’interesse,
• il Gruppo BCP presenta un indicatore di rischiosità oltre la soglia
nell’anno 2010 (22,31%);
• il Gruppo BNL presenta un indicatore di rischiosità oltre la soglia negli
anni 2009 (38,51%), 2010 (25,83%), 2011 (22,03%), e 2012 (24,81%);
• la BPPB presenta un indicatore di rischiosità oltre la soglia nell’anno
2009 (24,12%);
• il Gruppo Carichieti presenta un indicatore di rischiosità oltre la soglia
nell’anno 2008 (75,64%);
• il Gruppo Banca Carige presenta un indicatore di rischiosità oltre la
soglia negli anni 2008 (23,43%), e 2009 (20,53%).
o in ipotesi di ribasso dei tassi d’interesse,
• il Gruppo Carife presenta un indicatore di rischiosità oltre la soglia
nell’anno 2010 (32,62%);
• il Gruppo Carismi presenta un indicatore di rischiosità oltre la soglia
negli anni 2008 (21,39%), e 2010 (20,05%).
Dalla stima effettuata con la tecnica delle simulazioni storiche, l’unica banca risultata
eccessivamente esposta al rialzo dei tassi d’interesse è il Gruppo Carichieti.
Le banche risultate invece eccessivamente esposte al ribasso dei tassi d’interesse sono:
il Gruppo Carife, e il Gruppo Carismi. In particolare:
o in ipotesi di rialzo dei tassi d’interesse,
• il Gruppo Carichieti presenta un indicatore di rischiosità oltre la soglia
nell’anno 2008 (29,26%);
55
o in ipotesi di ribasso dei tassi d’interesse,
• il Gruppo Carife presenta un indicatore di rischiosità oltre la soglia
nell’anno 2010 (33,20%);
• il Gruppo Carismi presenta un indicatore di rischiosità oltre la soglia
nell’anno 2010 (22,96%).
I risultati fin qui esposti mostrano le differenze determinate dalla scelta della
metodologia adottata. In ipotesi di rialzo dei tassi d’interesse, il Gruppo BCP, il Gruppo
BNL, la BPPB, e il Gruppo Banca Carige presentano indicatori di rischiosità sopra la
soglia del 20% se stimati con la metodologia standardizzata, e sono così eccessivamente
esposte al rischio d’interesse, mentre se stimati con la tecnica delle simulazioni storiche,
tali indicatori sono sotto la soglia. In ipotesi di ribasso dei tassi, il Gruppo Carife e il
Gruppo Carismi presentano indicatori di rischiosità sopra la soglia secondo entrambe le
metodologie, con la differenza che la stima effettuata mediante la tecnica delle
simulazioni storiche conduce a valori dell’indicatore maggiori, sia per il Gruppo Carife
che per il Gruppo Carismi nell’anno 2010. La tecnica delle simulazioni storiche
conduce invece a valori dell’indicatore inferiori - addirittura sotto la soglia - per il
Gruppo Carismi nell’anno 2008, contrariamente a quanto emerge dalla stima secondo la
metodologia standardizzata, da cui risulta che il Gruppo Carismi è eccessivamente
esposto al rischio d’interesse nell’anno 2008.
La Tabella 3.2 di seguito riportata fornisce la distribuzione del campione per tipo di
esposizione rilevata. Per banche asset-sensitive si intendono quelle esposte al rialzo dei
tassi d’interesse, mentre per banche liability-sensitive si intendono quelle esposte al
ribasso dei tassi d’interesse.
56
Tabella 3.2 – La distribuzione del campione per esposizione
2008 2009 2010 2011 2012
MS SS MS SS MS SS MS SS MS SS Banche asset-
sensitive, di cui: 11 6 8 4 7 4 5 4 5 2
-oltre la soglia 2 1 3 0 2 0 1 0 1 0
Banche liability-
sensitive, di cui: 12 14 17 22 19 22 15 21 4 6
-oltre la soglia 1 0 0 0 2 2 0 0 0 0
Banche neutrali
al rischio 0 3 1 0 0 0 6 1 15 16
N° banche
osservate 23 26 26 26 24
Legenda: MS = Metodologia Standardizzata
SS = Simulazione Storica
Fonte: Elaborazione personale
Anche da questa tabella emerge come le due metodologie proposte conducano a risultati
differenti: in particolare, stimando l’esposizione con la tecnica delle simulazioni
storiche, il numero di banche esposte a un ribasso dei tassi d’interesse risulta maggiore
di quello desumibile dalla stima con la metodologia standardizzata. Tale circostanza è
riscontrabile per l’intero arco temporale osservato, ad eccezione dell’anno 2012, che
però è caratterizzato un’anomalia importante: la presenza di un elevato numero di
banche neutrali al rischio.
Emergono poi due risultati rilevanti, riscontrabili indipendentemente dalla metodologia
di stima adottata:
• la maggioranza delle banche osservate è soggetta a un’esposizione al ribasso dei
tassi d’interesse (tale risultato si riscontra per l’intero arco temporale osservato,
eccetto per l’anno 2012);
• alcune banche risultano neutrali al rischio (tale risultato è accentuato nell’anno
2012).
Il primo risultato (maggioranza di banche liability-sensitive nel campione) è in parte
espressione del criterio di distribuzione delle poste a vista adottato nella stima. I c/c
57
passivi sono stati distribuiti su un arco temporale di 5 anni, secondo quanto previsto
nella Circolare n. 263 del 27 Dicembre 2006 della Banca d’Italia in seguito
all’aggiornamento del 27 Dicembre 2010 (prima dell’aggiornamento i c/c passivi
venivano distribuiti su un arco temporale di 1 anno): in questo modo le posizioni nette
negative, essendo distribuite su un arco temporale più ampio, assumono maggiore peso
nel calcolo dell’indicatore di rischiosità perché moltiplicate per fattori di ponderazione
maggiori.
La conseguenza principale di tale risultato è che la maggioranza delle banche osservate
ha subìto variazioni negative del valore del patrimonio aziendale durante gli anni della
crisi finanziaria.
Il secondo risultato (presenza di banche neutrali al rischio) pone invece l’attenzione
sull’adeguatezza delle metodologie usate per stimare l’esposizione al rischio delle
banche: è piuttosto anomalo, infatti, che una banca sia totalmente neutrale al rischio di
tasso d’interesse. La neutralità al rischio, più che una caratteristica strutturale della
banca, si configura qui come una conseguenza dei metodi di misurazione
dell’esposizione applicati: data la struttura dei tassi d’interesse vigente durante la crisi (i
tassi d’interesse hanno registrato valori molto bassi), il calcolo degli indicatori di
rischiosità ha richiesto l’imposizione del vincolo di non negatività11, per evitare che le
variazioni al ribasso dei tassi ipotizzate nelle stime portassero a valori negativi dei tassi
d’interesse. L’imposizione di tale vincolo però, come si può notare, introduce una
distorsione nella stima. Si noti come i maggiori problemi si siano riscontrati proprio nel
2012, anno in cui i tassi hanno registrato valori molto bassi e di conseguenza
l’imposizione del vincolo di non negatività ha introdotto maggiori distorsioni nella
stima dell’esposizione al rischio.
11 Si veda l’Appendice 3.B.
58
APPENDICE 3.A – LA COMPOSIZIONE DEL CAMPIONE E GLI INDICI DI
RISCHIOSITÀ DELLE SINGOLE BANCHE
La Tabella 3.A.1 riporta le banche oggetto di osservazione, il tipo di bilancio da cui
sono stati reperiti i dati necessari all’analisi, e gli anni per i quali tali dati non sono
risultati disponibili (relativamente all’arco temporale considerato, ossia dal 2008 al
2012). Le Tabelle 3.A.2 e 3.A.3 riportano gli indicatori di rischiosità delle banche
oggetto di analisi stimati, rispettivamente, con la metodologia standardizzata e con la
tecnica delle simulazioni storiche. Quando affiancati dal simbolo “(+)”, gli indicatori
sono associati a un’esposizione della banca al rialzo dei tassi d’interesse, quando invece
sono affiancati dal simbolo “(-)”, essi sono associati a un’esposizione della banca al
ribasso dei tassi d’interesse. Gli indicatori che hanno registrato un valore oltre la soglia
prevista dal quadro regolamentare di vigilanza sono stati riportati in grassetto. Quando
l’indicatore è sostituito dal valore “0” significa che la banca è risultata neutrale al
rischio di tasso d’interesse. Infine, il simbolo “-“ indica la mancanza dei dati necessari
per la stima.
L’analisi svolta mostra che le banche italiane hanno avuto in prevalenza un’esposizione
ridotta al rischio di tasso d’interesse durante la crisi finanziaria.
59
Tabella 3.A.1 – La composizione del campione
Banche Bilancio considerato Mancanza di dati
(nel periodo 2008-2012)
Banca Popolare dell’Alto Adige Individuale
Cassa di Risparmio di Asti Individuale
Banca di Credito Popolare Consolidato
BNL Consolidato
Cassa di Risparmio di Bolzano Consolidato
Banco Popolare Consolidato 2008
Banca Popolare del Lazio Individuale
Banca Popolare di Milano Consolidato
Banca Popolare di Puglia e Basilicata Individuale
Banca Popolare di Spoleto Individuale 2012
Carichieti Consolidato 2012
Cassa di Risparmio di Ferrara Consolidato
Cassa di Risparmio di Fermo Individuale
Banca Carige Consolidato
Cassa di Risparmio di Ravenna Consolidato
Cassa di Risparmio di San Miniato Consolidato
Banco Desio Consolidato 2008
Banca Etruria Consolidato
Banca delle Marche Consolidato
Banca Popolare di Marostica Individuale
Banca del Piemonte Individuale 2008
Banca Popolare Pugliese Consolidato
UniCredit Consolidato
Banca Valsabbina Individuale
Veneto Banca Consolidato
Banca Popolare di Vicenza Consolidato Fonte: Elaborazione personale
60
Tabella 3.A.2 – Gli indici di rischiosità stimati secondo la metodologia standardizzata
2008 2009 2010 2011 2012 Banca Popolare dell’Alto
Adige 11,42 (-) 11,02 (-) 13,04 (-) 7,38 (-) 0,72 (-)
Cassa di Risparmio di Asti 0,25 (+) 2,66 (-) 5,14 (-) 0 0
Banca di Credito Popolare 4,71 (-) 2,17 (-) 22,31 (+) 0 0
BNL 11,51 (+) 38,51 (+) 25,83 (+) 22,03 (+) 24,81 (+)
Cassa di Risparmio di Bolzano 3,40 (-) 3,50 (-) 4,68 (-) 4,35 (-) 0
Banco Popolare - 4,51 (+) 18,18 (-) 7,04 (-) 0
Banca Popolare del Lazio 3,34 (+) 5,36 (-) 2,62 (-) 2,74 (-) 0
Banca Popolare di Milano 10,14 (-) 13,97 (-) 4,84 (-) 1,97 (-) 0 Banca Popolare di Puglia e
Basilicata 14,62 (+) 24,12 (+) 11,89 (+) 8,86 (+) 6,88 (+)
Banca Popolare di Spoleto 4,92 (+) 5,35 (+) 0,45 (-) 0 -
Carichieti 75,64 (+) 3,88 (+) 1,29 (-) 0 -
Cassa di Risparmio di Ferrara 13,84 (-) 10,87 (-) 32,62 (-) 8,46 (-) 3,49 (-)
Cassa di Risparmio di Fermo 3,35 (+) 0 8,73 (-) 8,34 (-) 0
Banca Carige 23,43 (+) 20,53 (+) 3,82 (+) 12,17 (+) 12,54 (+)
Cassa di Risparmio di Ravenna 5,37 (-) 7,77 (-) 11,07 (-) 6,81 (-) 0 Cassa di Risparmio di San
Miniato 21,39 (-) 10,08 (-) 20,05 (-) 10,89 (-) 0
Banco Desio - 10,28 (-) 14,79 (-) 9,08 (-) 1,42 (-)
Banca Etruria 3,78 (-) 8,50 (-) 5,86 (-) 0 2,29 (+)
Banca delle Marche 0,41 (+) 3,76 (-) 11,37 (+) 0,23 (-) 0
Banca Popolare di Marostica 4,90 (-) 12,92 (-) 15,57 (-) 13,49 (-) 4,69 (-)
Banca del Piemonte - 7,69 (-) 8,23 (-) 0,58 (-) 0
Banca Popolare Pugliese 17,40 (+) 11,58 (+) 2,85 (+) 4,34 (+) 9,62 (+)
UniCredit 5,71 (+) 2,40 (+) 1,43 (+) 1,85 (+) 0
Banca Valsabbina 7,80 (-) 9,70 (-) 11,85 (-) 7,17 (-) 0
Veneto Banca 14,76 (-) 17,09 (-) 1,90 (-) 1,58 (-) 0
Banca Popolare di Vicenza 9,02 (-) 5,67 (-) 7,46 (-) 0 0
Nota: Tutti i valori sono espressi in %.
I valori riportati in grassetto indicano il superamento della soglia prevista dal quadro regolamentare di vigilanza.
I simboli “(+)” e “(-)“ indicano, rispettivamente, le banche asset-sensitive (esposte al rialzo dei tassi d’interesse) e le banche
liability-sensitive (esposte al ribasso dei tassi d’interesse). Il valore “0” indica le banche neutrali al rischio d’interesse. Il simbolo “-“
indica la mancanza dei dati necessari per la stima.
Fonte: Elaborazioni personali su dati di bilancio degli anni 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012.
61
Tabella 3.A.3 – Gli indici di rischiosità stimati con la tecnica delle simulazioni storiche
2008 2009 2010 2011 2012 Banca Popolare dell’Alto
Adige 7,93 (-) 12,68 (-) 13,28 (-) 8,41 (-) 1,12 (-)
Cassa di Risparmio di Asti 0,40 (-) 6,67 (-) 9,04 (-) 3,16 (-) 0
Banca di Credito Popolare 3,88 (-) 5,37 (-) 9,67 (+) 0,27 (-) 0
BNL 2,14 (+) 15,33 (+) 10,37 (+) 7,47 (+) 4,77 (+)
Cassa di Risparmio di Bolzano 2,84 (-) 6,43 (-) 7,33 (-) 5,90 (-) 0
Banco Popolare - 5,81 (-) 19,90 (-) 10,43 (-) 0
Banca Popolare del Lazio 0 7,36 (-) 5,23 (-) 4,24 (-) 0
Banca Popolare di Milano 7,31 (-) 16,94 (-) 9,19 (-) 4,37 (-) 0 Banca Popolare di Puglia e
Basilicata 4,39 (+) 7,55 (+) 2,18 (+) 2,00 (+) 0
Banca Popolare di Spoleto 0 2,15 (-) 6,33 (-) 1,55 (-) -
Carichieti 29,26 (+) 3,25 (-) 9,03 (-) 1,45 (-) -
Cassa di Risparmio di Ferrara 9,43 (-) 16,37 (-) 33,20 (-) 10,20 (-) 4,86 (-)
Cassa di Risparmio di Fermo 0 7,47 (-) 11,92 (-) 10,00 (-) 0
Banca Carige 5,30 (+) 2,67 (+) 6,04 (-) 0,48 (+) 0
Cassa di Risparmio di Ravenna 3,69 (-) 11,49 (-) 13,69 (-) 8,40 (-) 0,48 (-) Cassa di Risparmio di San
Miniato 14,64 (-) 16,22 (-) 22,96 (-) 12,55 (-) 0
Banco Desio - 14,39 (-) 17,42 (-) 10,15 (-) 1,43 (-)
Banca Etruria 3,33 (-) 14,74 (-) 11,27 (-) 3,97 (-) 0
Banca delle Marche 0,47 (-) 8,70 (-) 1,63 (+) 4,59 (-) 0
Banca Popolare di Marostica 3,40 (-) 14,81 (-) 16,90 (-) 13,71 (-) 4,70 (-)
Banca del Piemonte - 15,71 (-) 14,73 (-) 5,40 (-) 0
Banca Popolare Pugliese 2,34 (+) 2,99 (+) 3,23 (-) 0,35 (+) 1,15 (+)
UniCredit 0,37 (+) 4,64 (-) 2,85 (-) 0 0,23 (-)
Banca Valsabbina 5,53 (-) 12,74 (-) 14,46 (-) 8,13 (-) 0
Veneto Banca 10,27 (-) 19,06 (-) 8,47 (-) 8,39 (-) 0
Banca Popolare di Vicenza 6,91 (-) 12,06 (-) 11,30 (-) 1,88 (-) 0
Nota: Tutti i valori sono espressi in %.
I valori riportati in grassetto indicano il superamento della soglia prevista dal quadro regolamentare di vigilanza.
I simboli “(+)” e “(-)“ indicano, rispettivamente, le banche asset-sensitive (esposte al rialzo dei tassi d’interesse) e le banche
liability-sensitive (esposte al ribasso dei tassi d’interesse). Il valore “0” indica le banche neutrali al rischio d’interesse. Il simbolo “-“
indica la mancanza dei dati necessari per la stima.
Fonte: Elaborazioni personali su dati di bilancio degli anni 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012.
62
APPENDICE 3.B – LA STIMA DELL’INDICATORE DI RISCHIOSITÀ MEDIANTE
LA TECNICA DELLE SIMULAZIONI STORICHE
I passaggi seguiti per la stima dell’indicatore di rischiosità mediante la tecnica delle
simulazioni storiche sono stati i seguenti:
1. Reperimento delle serie storiche dal 1° Gennaio 2003 al 31 Dicembre 2012
dei tassi di valutazione associati ai vari nodi della struttura per scadenza
(Euribor per scadenze inferiori a un anno e tassi swap per scadenze uguali o
superiori a un anno). I tassi relativi a scadenze non disponibili sono stati
ricavati mediante interpolazione lineare;
2. Calcolo delle variazioni annue dei tassi di valutazione associati ai vari nodi
della struttura per scadenza. La variazione è stata ottenuta come differenza
tra il livello del tasso in un dato giorno dell’anno t e il livello del tasso nello
stesso giorno dell’anno t-1. Per ogni anno di valutazione è stata considerata
una serie storica di 5 anni di variazioni annue (ad esempio, la valutazione
relativa all’anno 2012 tiene conto della serie storica di variazioni annue dei
tassi d’interesse dal 1° Gennaio 2008 al 31 Dicembre 2012) (cfr. Tabella
3.B.1);
3. Imposizione del vincolo di non negatività pari a zero12. In corrispondenza di
ciascun nodo della struttura per scadenza, nell’ipotesi di variazione annua
negativa del tasso di valutazione, è stato confrontato il valore assoluto della
variazione con il livello del tasso di valutazione associato allo specifico
nodo, vigente al 31 Dicembre dell’anno di valutazione (ad esempio, nella
valutazione relativa all’anno 2012 il confronto è stato effettuato con la
struttura per scadenza del tasso di valutazione vigente al 31 Dicembre
2012). Nei casi in cui il valore assoluto della variazione annua per uno
specifico nodo è risultato maggiore del tasso di valutazione vigente al 31
Dicembre dell’anno di valutazione, si è ipotizzata una variazione annua
negativa esattamente pari al livello del tasso di valutazione vigente al 31
Dicembre dell’anno di valutazione (cfr. Tabella 3.B.1 e Tabella 3.B.2); 12 NB: Il vincolo di non negatività è stato applicato anche nella stima mediante la
metodologia semplificata.
63
4. Per ogni anno di valutazione, la serie storica delle variazioni annue dei tassi
d’interesse è stata tagliata in corrispondenza del 1° e del 99° percentile (cfr.
Tabella 3.B.3);
5. Applicazione della formula (∆𝑃𝑁! 𝑃𝑁! = 𝑃𝑁! ∗ 𝐷𝑀! ∗ ∆𝑟) ad ogni fascia
temporale i in cui sono state suddivise le posizioni nette (PN) in Euro delle
banche per calcolare l’indice di rischiosità. Il valore delle posizioni nette è
stato calcolato secondo le indicazioni del quadro regolamentare di vigilanza,
il valore della duration modificata (DM) utilizzato è stato quello proposto
dal quadro regolamentare di vigilanza, e lo shock di tasso ipotizzato (Δr) è
stato pari, in uno scenario di ribasso dei tassi d’interesse, alla variazione
annua corrispondente al 1° percentile della serie storica di variazioni annue
dei tassi d’interesse, corretta per il vincolo di non negatività, e in uno
scenario di rialzo dei tassi d’interesse, alla variazione annua corrispondente
al 99° percentile della serie storica di variazioni annue dei tassi d’interesse;
6. Somma delle variazioni di valore economico delle posizioni nette relative
alle i fasce temporali al fine di ottenere una stima della variazione del valore
economico del portafoglio di attività e passività delle banche per ogni
scenario ipotizzato;
7. Applicazione della formula (∆𝑉𝐸 𝑃𝑉): si è ottenuta così la distribuzione
degli indicatori di rischiosità relativi ai due scenari di rialzo dei tassi
d’interesse e di ribasso dei tassi d’interesse.
Le Tabelle 3.B.1, 3.B.2, 3.B.3 e 3.B.4 riportate di seguito si riferiscono alla valutazione
relativa all’anno 2012. La Tabella 3.B.4 riporta, a titolo esemplificativo, il calcolo
dell’indice di rischiosità della Banca Popolare dell’Alto Adige nell’anno 2012, in
ipotesi di ribasso dei tassi d’interesse.
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67
CONCLUSIONI
Dopo aver trattato nei primi tre capitoli gli aspetti principali, teorici e pratici, legati al
rischio di tasso d’interesse sopportato dalle banche, il quarto capitolo si concentra
sull’osservazione della realtà, e riporta l’indagine empirica condotta su un campione di
26 banche italiane nell’arco temporale che va dall’anno 2008 all’anno 2012 compresi.
Tale indagine ha come obiettivo quello di stimare l’esposizione al rischio di tasso
d’interesse del sistema bancario italiano durante la crisi finanziaria, per verificare se è
stato in grado di mantenere un livello di esposizione al rischio entro i limiti previsti
dalle autorità di vigilanza (un indicatore di rischiosità che assume valore oltre il 20%
identifica un’eccessiva esposizione della banca oggetto di analisi).
Dall’indagine condotta sono emersi tre risultati principali.
Innanzitutto, il campione osservato ha avuto in prevalenza un’esposizione al rischio di
tasso d’interesse accettabile - ossia entro i limiti previsti dalla regolamentazione -
durante gli anni della crisi finanziaria, fatte salve alcune eccezioni. Il secondo risultato
importante riguarda il tipo di esposizione delle banche italiane: le stime fatte mostrano
che la maggioranza delle banche osservate è esposta al ribasso dei tassi d’interesse.
Infine, alcune banche risultano neutrali al rischio di tasso d’interesse. Quest’ultimo
risultato è particolarmente accentuato nell’anno 2012.
Grazie ai risultati ottenuti è possibile fare delle considerazioni sul sistema bancario
italiano e sulla sua capacità di gestione del rischio di tasso d’interesse. In particolare,
esso è stato in grado di gestire bene l’esposizione al rischio di tasso d’interesse durante
la crisi finanziaria, un periodo storico in cui tale rischio è stato particolarmente
accentuato (come anche la maggioranza degli altri rischi sopportati dalle banche). Le
banche osservate hanno, infatti, registrato in prevalenza un indicatore di rischiosità
entro la soglia imposta dalle autorità di vigilanza. Il secondo risultato, che evidenzia una
maggioranza di banche liability-sensitive (esposte al ribasso dei tassi d’interesse) nel
sistema bancario, porta a concludere che la prevalenza delle banche italiane ha subito
una variazione negativa del proprio valore patrimoniale durante gli anni della crisi
finanziaria, come conseguenza della progressiva riduzione del livello dei tassi di
riferimento che ha caratterizzato il periodo. Questo risultato è in parte espressione del
criterio di distribuzione delle poste a vista adottato nella stima. I c/c passivi sono stati
68
distribuiti su un arco temporale di 5 anni, secondo quanto previsto nella Circolare n. 263
del 27 Dicembre 2006 della Banca d’Italia in seguito all’aggiornamento del 27
Dicembre 2010 (prima dell’aggiornamento i c/c passivi venivano distribuiti su un arco
temporale di 1 anno): in questo modo le posizioni nette negative, essendo distribuite su
un arco temporale più ampio, assumono maggiore peso nel calcolo dell’indicatore di
rischiosità perché moltiplicate per fattori di ponderazione maggiori.
Il terzo risultato consente infine di fare delle considerazioni sul quadro regolamentare di
vigilanza e sull’adeguatezza dei metodi di misurazione del rischio di tasso d’interesse
da esso proposti. In base all’esposizione stimata alcune banche risultano neutrali al
rischio, non esposte cioè né al rialzo né al ribasso dei tassi d’interesse. Una situazione
simile è piuttosto anomala, e difficilmente corrispondente alla realtà: le banche hanno
tipicamente un’esposizione definita, sebbene questa possa essere molto contenuta, e in
concreto è impossibile che siano totalmente neutrali al rischio di tasso d’interesse. Tale
risultato è dunque unicamente da attribuire ai metodi di stima adottati. Dato il livello
molto basso dei tassi d’interesse vigente durante la crisi, il calcolo degli indicatori di
rischiosità ha richiesto l’imposizione del vincolo di non negatività che, da quanto
emerso, introduce una distorsione nella stima. Si tratta di un forte limite delle
metodologie di misurazione del rischio proposte attualmente dalle autorità di vigilanza:
esse forniscono infatti stime degli indicatori di rischiosità tanto più distorte quanto più è
basso il livello dei tassi d’interesse. Ne deriva che in periodi caratterizzati da un livello
basso dei tassi d’interesse le stime non sono affidabili e non permettono di avere un
quadro chiaro ed esatto della reale esposizione delle banche. Questo limite caratterizza
anche l’indagine riportata nel presente elaborato, perché condotta proprio su un arco
temporale caratterizzato da livelli molto bassi della term structure.
Nell’aggiornare le disposizioni di vigilanza prudenziale, le autorità di vigilanza
dovranno tenere conto di questo aspetto e tentare di attenuarlo, al fine di ottenere stime
quanto più corrette e in linea con la reale esposizione delle banche al rischio di tasso
d’interesse.
69
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