Introduzione
L’analisi e la mappatura del mondo giovanile sono da diversi anni pratica diffusa
nell’ambito della ricerca sociologica, tanto da aver ormai generato un ambito di indagine
abbastanza ben delimitato. Le motivazioni dell’attenzione di vari attori sociali –
amministrazioni pubbliche, aziende, istituzioni educative, gruppi religiosi e chiese, ecc. – nei
confronti dei giovani vanno dalla considerazione di avere a che fare con la società di domani
alla necessità di penetrare in segmenti di mercato molto dinamici, dalla ricerca di dare
continuità alle istituzioni nel tempo alla costruzione di menti adeguate a reggere la sfida di
un mondo sempre più pervaso di tecnologia. Negli ultimi anni, in particolare nel nostro
paese, si è diffusa la consapevolezza di avere davanti un segmento demografico, quello dei
giovani appunto, in contrazione, in una società che va rapidamente invecchiando. La risorsa-
giovani, che rappresenta il futuro, sta diventando tanto più preziosa in quanto non più
sovrabbondante. Ecco dunque che le attenzioni nei suoi confronti si moltiplicano, e tra
l’altro cresce anche il bisogno di conoscenza e di analisi del mondo giovanile da parte degli
adulti.
L’occasione offerta dall’interesse dell’Amministrazione provinciale verso queste tematiche
ha consentito la realizzazione della ricerca di cui qui vengono sinteticamente presentati i
primi risultati della survey quantitativa, effettuata dall’Istituto demoscopico Eurisko di
Milano. La rilevazione si è svolta nel febbraio del 2004 su un campione di 1000 individui,
rappresentativo dei giovani residenti in Provincia di Cuneo di età compresa tra i 16 e i 29
anni, che sono stati intervistati faccia a faccia utilizzando un questionario strutturato a
risposte chiuse, articolato nelle varie dimensioni in cui si manifesta il mondo dei giovani.
Molti degli item rilevati consentono un’agevole comparazione con i risultati di una recente
analoga ricerca coordinata da Loredana Sciolla e Franco Garelli dell’Università di Torino su
un campione rappresentativo di giovani a livello nazionale.
La lettura dei risultati della survey in questione consente di tracciare un primo identikit dei
giovani della Provincia di Cuneo, nei loro rapporti con la famiglia, con gli amici, con le
istituzioni educative e sociali in genere, con il mondo del lavoro.
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1. Socialità diffusa e socialità ristretta
La famiglia e gli amici sono i due gruppi sociali di gran lunga più considerati dai giovani
della provincia cuneese, che in questo orientamento non si discostano di molto dalle
tendenze medie osservabili tra i coetanei italiani.
L’importanza attribuita dai giovani a queste realtà è un tratto ricorrente in tutta la ricerca.
Famiglia e amici sono anzitutto i due gruppi verso cui i giovani nutrono maggior fiducia,
con il 94% dei soggetti che l’attribuiscono alla famiglia e l’85% agli amici (Tab. 1). La
fiducia data a queste due realtà ‘primarie’ è di gran lunga superiore a quella riservata ad altri
gruppi e istituzioni presenti nella società e nell’esperienza di vita dei giovani, come la
scuola, la chiesa, le forze dell’ordine, i mass media, ecc.
Tab. 1. Fiducia in:
Molto Per
niente
Non so
… i tuoi familiari? 75.5 18.2 3.7 1.6 0.6 0.4
… i tuoi amici? 43.6 41.5 11.5 2.4 0.4 0.6
… i vicini di casa? 3.8 21.7 28.8 22.0 18.4 5.4
… gli abitanti del tuo Comune? 1.9 17.4 33.9 27.5 12.7 6.6
… gli abitanti del Cuneese? 1.7 15.6 33.6 23.9 10.3 14.9
… gli abitanti della tua Regione? 1.3 13.8 34.7 23.7 10.0 16.5
… gli italiani in generale? 3.0 13.3 37.6 26.4 10.6 9.1
… i cittadini dell’Unione Europea? 4.1 19.3 30.6 19.6 10.8 15.7
In secondo luogo, la famiglia e l’amicizia sono i due valori in cui i giovani maggiormente si
identificano (l’84% nella famiglia e il 70% nell’amicizia), molto di più di quanto essi
facciano rispetto a prospettive di realizzazione personale (come il successo economico, il
benessere del corpo) o a obiettivi sociali (quali l’uguaglianza, la giustizia, la libertà di
opinione, l’ambiente, ecc.).
In terzo luogo, la famiglia e gli amici sono i gruppi sociali con cui i giovani intrattengono le
maggiori relazioni, con i quali – ad esempio – essi si confrontano con maggior frequenza su
tutta una serie di argomenti nella vita quotidiana. Anche il partner, per chi ce l’ha, è un
soggetto di marcato confronto, ma con una frequenza inferiore a quella che i giovani
manifestano verso i genitori e gli amici.
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Sono sufficienti questi accenni per rilevare l’importanza che le nuove generazioni
attribuiscono alle relazioni ‘primarie’ e il ruolo fondamentale che la famiglia e gli amici
ancora esercitano per dei giovani pur caratterizzati – come vedremo – da un modello di
socializzazione ampio e variegato. Anche nell’epoca in cui (per dirla con Beck) la società
globale irrompe nella propria vita, in cui si moltiplicano i rapporti e le esperienze, i giovani
sembrano trovare nella socializzazione ‘ristretta’ (costruita attorno alle dinamiche familiari e
amicali) il loro punto di equilibrio e di realizzazione. Famiglia e amici non sono oggetto solo
di una considerazione astratta o ideale, ma sembrano essere per le giovani generazioni dei
‘punti’ effettivi di riferimento e delle realtà di reale frequentazione.
Il modello di relazione amicale tra i giovani della Provincia di Cuneo presenta alcuni tratti
distintivi rispetto a quanto si riscontra tra i giovani a livello nazionale.
Tra i cuneesi è anzitutto più diffusa la propensione ad avere contemporaneamente più gruppi
di amici, ad appartenere cioè nello stesso tempo a più cerchie di coetanei che non
necessariamente convergono o entrano in contatto tra di loro (Tab. 2). La presenza in gruppi
amicali diversi interessa il 64% dei giovani della Provincia di Cuneo, rispetto al 46% dei
giovani italiani. In rapporto a questo dato, si osserva – tra i giovani cuneesi – un minor
numero di soggetti che dichiarano di avere un solo gruppo di amici (12%, rispetto al 21% a
livello nazionale), o che coltivano relazioni di amicizia al di fuori di una dinamica di gruppo,
privilegiando contatti personali (24%, rispetto al 32% tra i giovani italiani).
Tab. 2. Tipi di amici
non ho amici 0.2ho un solo gruppo di amici 12.0ho più di un gruppo di amici 63.8non ho un gruppo, ho vari amici con cui mi mantengo in contatto separatamente
24.0
Oltre che a far parte mediamente di più gruppi informali di amici, i giovani cuneesi si
caratterizzano anche per una spiccata propensione ad avere un elevato numero di amici.
Solo il 18% dei casi dichiara di avere meno di 10 amici, mentre il 30% di averne da 11 a 20,
il 40% circa da 21 a 50 e oltre il 13% oltre i 50.
Messi a confronto con le tendenze nazionali, questi dati sembrano suggerire l’idea
sorprendente che l’ambiente giovanile della Provincia di Cuneo sia caratterizzato da una
maggior facilità di costruire e stabilire relazioni amicali; e ciò sia in rapporto a condizioni
ambientali (di omogeneità culturale e di integrazione territoriale) più favorevoli a questo tipo
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di solidarietà primaria, sia forse anche per la propensione ad un uso più estensivo e meno
impegnativo del concetto di amicizia che può prodursi appunto nei contesti sociali meno
esposti a tensioni. In tutti i casi, saremmo di fronte ad un dato singolare ed inatteso, che
mette in discussione – perlomeno per l’universo giovanile – l’immagine diffusa a livello
collettivo che quella della Provincia di Cuneo sia una terra segnata dalla difficoltà o dalla
riservatezza dei rapporti umani.
Ancora, i giovani cuneesi si distinguono – rispetto ai loro coetanei italiani – per una maggior
propensione a coltivare amicizie in ambienti diversi, risultando particolarmente abili a
maturare rapporti di scambio primario nei vari contesti in cui scandiscono l’esistenza. Le
amicizie si producono anzitutto nel territorio di appartenenza e tra i compagni di studi e a
questo riguardo l’87% dei giovani intervistati dichiara di avere amici tra i coetanei del
quartiere o paese e il 67% tra i compagni di scuola e di università. Ma oltre a ciò, quote
rilevanti di giovani (più di 1/3) ammettono di maturare amicizie anche tra i colleghi di
lavoro, o i membri del gruppo o dell’associazione frequentata nel tempo libero, o ancora
nella cerchia parentale.
Guardando alle caratteristiche del gruppo amicale emergono poi interessanti indicazioni
circa il modello di socializzazione prevalente tra le nuove generazioni. Quali convinzioni o
condizioni si condividono con gli amici che si frequentano? Che cosa accomuna il gruppo
informale degli amici?
Nel rispondere a tali questioni, gli intervistati potevano far riferimento o alla maggioranza
degli amici o ad alcuni di essi e addirittura a nessuno. Ciò per segnalare se una particolare
caratteristica (ad esempio lo stile di vita) è più o meno diffusa nel gruppo amicale, dal
momento che essa può essere condivisa dalla maggior parte dei propri amici o soltanto da
una parte di essi.
Ciò che si ha in comune con la maggioranza degli amici sono lo stesso livello di istruzione e
di cultura (indicato dal 62% dei giovani), i valori e gli ideali (dal 54%), la stessa estrazione
sociale (dal 52%).
Per contro le idee politiche e religiose, ma anche gli stessi gusti e interessi (in campo
sportivo, musicale, di abbigliamento) sono condivisi soltanto da alcuni dei soggetti che
compongono la propria cerchia amicale, ma non dalla maggioranza. Si esprime in questo
senso il 73% dei giovani per quanto riguarda le idee politiche, il 54% per le convinzioni
religiose, il 57% per i gusti e gli interessi connessi a stili di vita. L’orientamento politico è
dunque la caratteristica meno condivisa nel gruppo amicale, seguito dai gusti e interessi,
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dalle idee religiose, dall’appartenenza territoriale (dal fatto cioè che gli amici siano perlopiù
del proprio ambiente di residenza).
L’impressione di fondo che si ricava da questi dati è che i gruppi amicali siano delle realtà
tendenzialmente aperte o non troppo omogenee al loro interno. Vi sono indubbiamente dei
tratti culturali che fanno da collante al gruppo amicale, che ha però al suo interno vari spazi
di espressione e di differenziazione.
Si tende ad attivare e coltivare amicizie più tra soggetti ‘affini’ per cultura che tra persone
della stessa estrazione sociale (reddito economico, frequentazione dei medesimi ambienti,
ecc.). Oltre a ciò, sembra prevalere nel gruppo amicale una certa affinità di valori e di ideali,
ma essa si presenta più come un riferimento ultimo che come un criterio di condivisione di
scelte più contingenti. Il condividere dei valori non significa riconoscersi nello stesso stile di
vita o gusto musicale, e la diversità è ancora più accentuata per quanto riguarda le idee
religiose e soprattutto per quelle politiche. Ci si accetta reciprocamente, si matura una certa
qual affinità e solidarietà di generazione, senza necessariamente pensare o comportarsi tutti
allo stesso modo su questioni importanti dell’esistenza.
Prevale dunque un’interazione leggera nel gruppo amicale, tipica di soggetti che si sono
reciprocamente scelti senza rinunciare a proprie convinzioni e orientamenti o senza la
pretesa di creare un gruppo omogeneo. La varietà è un dato di fatto dell’attuale condizione
giovanile, che gioca il suo peso anche nei rapporti amicali. Si sta insieme per una comune
sensibilità (per una scelta affettiva e di ‘compagnia’ nelle vicende umane) che si esplica in
modo assai variegato. Su molte questioni non si affondano i colpi e le riflessioni, per rispetto
di quella diversità che è ormai parte integrante sia del proprio bagaglio culturale che del
proprio intorno immediato.
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2. Centralità della famiglia
Ancor più degli amici, la famiglia sembra essere il gruppo sociale più rivalutato dai giovani
della Provincia di Cuneo, e ciò in particolare in una stagione in cui le nuove generazioni
hanno molte possibilità di vivere un’esistenza plurima, di frequentare ambienti diversi, di
maturare molteplici appartenenze. Al riguardo si osserva un andamento curioso: quanto più
aumenta il grado di libertà per i giovani (di decidere autonomamente non soltanto su
questioni contingenti ma anche su aspetti decisivi della propria esistenza), tanto più questi
stessi giovani tendono a rivalutare il proprio ambiente familiare di origine, come luogo
particolarmente favorevole in cui ricomporre i vari frammenti della propria esperienza di
vita. Quanto più si può decidere circa le proprie scelte (a livello di lavoro, di tempi e modi
delle relazioni affettive e sessuali, di propensione al consumo, di modalità di divertimento
nel tempo libero, di rapporti associativi e amicali, ecc.), tanto più rimane fermo il riferimento
alla famiglia di appartenenza, che sembra svolgere al riguardo una funzione di ‘memoria’
personale capace di dar continuità alla variegata biografia del giovane.
L’identificazione con la famiglia è uno dei dati più sorprendenti della ricerca, che i giovani
della Provincia di Cuneo hanno comunque in comune con i loro coetanei italiani (Tab. 3).
Il 93% dei giovani cuneesi dichiarano di riconoscersi (molto o abbastanza) nei valori
trasmessi dai propri genitori, e quasi l’80% nel modello di famiglia costruito da padre e
madre. L’identificazione risulta elevata anche per quanto riguarda la concezione del lavoro
(75%) e lo stesso giudizio sulla società e sul mondo espresso dai genitori (67%). Una
maggior differenza di posizioni emerge invece sia sull’orientamento politico che sul modello
di coppia. Tuttavia, anche su questi aspetti meno condivisi di altri, oltre il 55% dei giovani
dichiara di riconoscersi vuoi nell’idea che i genitori hanno della politica, vuoi nello stesso
modello di coppia espresso dai genitori.
Tab. 3. Pensando ai genitori si identificano con:
Molto Abba-stanza
Poco Per nulla
- i valori che ti hanno trasmesso 53.2 39.4 4.7 1.4- il modello di famiglia che hanno costruito 36.7 41.3 14.9 6.2- il modo in cui concepiscono il lavoro 23.3 51.2 20.5 4.4- il loro giudizio sulla società e sul mondo 14.1 53.3 26.7 5.0- il modo in cui vivono il rapporto di coppia 14.4 39.9 29.5 14.2- il loro orientamento politico 12.9 43.7 28.7 13.0
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Questa valutazione complessivamente positiva della presenza dei genitori, viene confermata
dal giudizio altrettanto elogiativo circa il modo in cui i genitori hanno interpretato il loro
ruolo educativo nei confronti dei figli (Tab. 4).
Tab. 4. Comportamenti dei genitori verso i figli
Sì, deci-samente
Sì, abba-stanza
No, poco
No, per niente
- mi hanno aiutato a crescere serenamente, dandomi fiducia e sicurezza
54.1 36.8 7.2 1.1
- mi hanno sempre stimolato a dare il meglio di me nelle varie circostanze
46.8 41.3 9.4 1.9
- sono per me un punto di riferimento morale
45.9 40.0 10.9 2.5
- vivono troppo in funzione dei figli 10.1 41.5 38.5 9.2
- sovente hanno preteso troppo da me 9.6 24.5 47.6 17.7
- hanno dedicato molto più tempo al lavoro che alla vita di famiglia (gli affetti)
5.9 20.4 47.3 25.9
- sono più preoccupati della mia riuscita sociale che dei miei problemi personali
4.5 14.1 36.6 44.1
La grande maggioranza dei giovani è convinta che i genitori li abbiano aiutati a crescere
serenamente (91%); o abbiano avuto una funzione educativa costruttiva, stimolandoli
sempre a dare il meglio di sé (88%), o ancora rappresentino un punto di riferimento morale
(86%). Per contro, guardando ai lati problematici, l’accusa che i genitori vivano in funzione
dei figli è condivisa da poco più della metà del campione (52%), mentre altri giudizi negativi
circa il rapporto genitori-figli vengono espressi da una minoranza (più o meno estesa) di
giovani. Tra questi, la denuncia che i genitori abbiano “preteso troppo da me” è avanzata dal
34% dei soggetti, quella che abbiano “dedicato più tempo al lavoro che alla vita di famiglia”
dal 26% dei casi, quella che “siano più preoccupati della mia riuscita sociale che dei miei
problemi personali” dal 19% dei giovani.
Tutto ciò sembra confermare l’idea che i figli in famiglia stiano bene (si sentano cioè ben
accolti ed accompagnati), convinzione questa espressa dall’82% dei giovani; e che i genitori
siano prossimi e partecipi alle vicende personali dei figli (75%). Questo clima favorevole è
del resto confermato da vari altri giudizi, tra cui spicca l’82% dei giovani che dichiarano che
“i genitori si fidano di me”, dall’83% dei casi che negano che in casa non vi sia
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comunicazione tra genitori e figli, e dai 2/3 dei soggetti che ritengono che i genitori
rispettino le loro idee.
Alcune incongruenze.
Non tutto comunque luccica come dovrebbe e alcune smagliature nelle risposte lasciano
intravedere che dietro un quadro perlopiù di rapporti ideali si nasconde qualche problema di
relazione.
In famiglia si sta complessivamente bene e vi è un buon livello di comunicazione, ma ciò
non impedisce al 70% dei giovani di raccontare qualche frottola o bugia ai genitori per
evitare loro preoccupazioni varie. L’affetto è così marcato da orientare i giovani ad occultare
di tanto in tanto la realtà ai propri genitori, con la buona intenzione di evitare loro dispiaceri
o non far saltare loro le coronarie. C’è un’immagine personale o un’armonia familiare da
difendere, quale bene più prezioso della trasparenza o della piena comunicazione.
Inoltre, oltre 1/3 dei giovani ritiene che i genitori dovrebbero rispettare maggiormente le
proprie idee; e ciò nonostante che la grande maggioranza dei casi (tra l’80% e il 90%)
affermi di stare bene in famiglia, o che i genitori li seguono con affetto e fiducia, o di essere
cresciuti in un clima familiare positivo e costruttivo.
Una parte poi dei giovani che si identificano nel modo in cui i genitori interpretano il lavoro,
o il modello di famiglia, o la relazione di coppia, dichiarano però contemporaneamente di
avere delle idee molto diverse dai genitori in campi non marginali della vita (38%), o
ritengono che i propri genitori siano all’antica (37%).
Famiglia ‘idealizzata’ o rapporti più essenziali?
Che cosa rappresenta dunque per i giovani la famiglia?
Lo scompenso tra queste risposte sembra almeno in parte imputabile alla tendenza dei
giovani a idealizzare la famiglia di origine, percepita da molti come uno dei pochi ambienti
sicuri in un’epoca priva di punti di riferimento e in un’esperienza di vita esposta a molte
tensioni. In questo quadro, si può anche enfatizzare la bontà e la significatività di alcune
condizioni interne al proprio nucleo familiare (un clima di comunicazione, la caratura
morale dei genitori, l’essere cresciuti in un ambiente sereno e positivo, l’accettazione dei
valori trasmessi, ecc.) senza approfondire troppo la questione se si tratta di proposte davvero
arricchenti per il proprio orizzonte di vita e capaci di orientare nel profondo le proprie scelte.
Tuttavia, da questa valutazione positiva emergono varie indicazioni su come siano cambiati
nel tempo i rapporti tra genitori e figli in famiglia.
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Anzitutto prevale un clima sostanzialmente positivo, perlopiù costruito sulla fiducia
reciproca, sulla serenità dei rapporti, sull’invito a dare il meglio di sé nelle varie circostanze,
sulla propensione dei genitori a interessarsi della crescita dei figli e a dedicare loro del
tempo, ecc. Il modello di famiglia sperimentato dai giovani appare nel complesso assai
‘ragionevole’, come una proposta di fondo che li sostiene e li aiuta nella loro esperienza
personale e sociale.
Di qui – cioè da questa sostanziale conferma di sé e della validità delle proprie radici – inizia
un cammino di autonomia e di orientamento personale, che porta il giovane a sottolineare
alcune differenze rispetto al modello e ai riferimenti dei padri e delle madri. Così, essi si
riconoscono più nel modello di famiglia creato dai propri genitori che nel loro modello di
coppia; oppure, da un lato si identificano nei valori di fondo della famiglia e dall’altro lato
avvertono che vi può essere una sensibilità generazionale diversa nell’interpretare questi
stessi valori.
In questo quadro appare comunque singolare il fatto che un’ampia maggioranza di giovani
(il 70% circa) guardi ai genitori come ad un punto di riferimento anche relativamente alla
concezione del lavoro e al giudizio sulla società e sul mondo (e il 56% anche per
l’orientamento politico). Il microcosmo familiare sembra avanzare proposte credibili e
ragionevoli anche su importanti aspetti della vita sociale, quelli che un tempo più
segnalavano una forte discontinuità (se non una rottura) dei rapporti intergenerazionali.
In sintesi, questa rivalutazione (pur un po’ idealizzata) della famiglia, è indicativa della
pacificazione tra le generazioni che è venuta ad affermarsi nel tempo. La contestazione nei
confronti dei “padri”, la presa di distanza o il rifiuto dai loro modelli, il conflitto in famiglia,
sono ormai immagini che appartengono ad un lontano passato.
Diritti e doveri dei figli in famiglia
Quanto detto trova ampia conferma in altre parti dell’indagine.
Che cosa si attendono i figli dalla propria famiglia? Quali sono i più importanti diritti di un
figlio quando vive in famiglia? (Tab. 5)
Tab. 5. Diritti dei figli
Primo Secondo Terzo Totale- avere il sostegno affettivo dei propri genitori 36.1 16.3 12.2 64.6- avere i propri spazi di libertà (per la gestione del denaro, del tempo libero, degli orari)
17.2 14.8 18.0 50.0
- essere rispettati per le proprie idee e valori (abbigliamento, acconciatura, piercing, ecc.)
15.7 14.7 14.4 44.8
10
- poter decidere del proprio futuro scolastico e/o professionale
10.5 16.9 14.0 41.4
- avere il consiglio, l’orientamento dei genitori sul modo di perseguire le proprie aspirazioni profonde
9.5 14.8 13.3 37.6
- partecipare alle decisioni che riguardano la famiglia 6.9 12.6 13.2 32.7- frequentare le persone che vuole (amici, partner) 2.5 5.2 6.9 14.6- poter contare sul sostegno economico dei propri genitori per le spese extra
0.9 2.2 4.3 7.4
- poter contrattare le regole che riguardano il figlio/a 0.7 2.0 2.3 5.0Non indica 0.2 0.4 1.0
L’aiuto economico non è perlopiù menzionato (solo dal 7% dei casi), in quanto esso appare
un dato scontato, che rientra nella normalità e nell’ovvietà del rapporto intergenerazionale. I
figli, in altri termini, sanno di poter contare sul sostegno economico dei genitori (e quindi si
sentono parte integrante del sodalizio familiare), per cui non fanno rientrare questo aspetto
tra le aspettative prevalenti del loro rapporto con i genitori. Analogamente, scarso peso
viene dato alla negoziazione delle regole in famiglia (richiamate dal 5% dei giovani), da
parte di una generazione che sa di aver a che fare con genitori sufficientemente ragionevoli e
flessibili nei confronti delle loro esigenze e domande. Nemmeno “il frequentare chi si vuole”
sembra un diritto degno di essere affermato, e ciò forse per la ‘ragionevolezza’ dei figli che
si ritengono sufficientemente capaci a scegliere in modo adeguato i propri compagni di
viaggio.
Per contro, il diritto più rivendicato dai giovani è il sostegno affettivo dei genitori (65%),
seguito dalla possibilità di avere i propri spazi di libertà (50%), dall’essere rispettati nelle
proprie idee e valori (45%), dal poter decidere il proprio futuro (41%). Ad un livello
intermedio, troviamo poi la richiesta di poter contare sul consiglio dei genitori (38%) e di
partecipare alle decisioni che riguardano la famiglia (33%).
La rivendicazione dei diritti dei figli in famiglia lascia dunque intravedere sia i valori di
riferimento dei giovani d’oggi, sia le priorità a cui la famiglia deve far fronte per rispondere
ai loro bisogni di base. Due sono le domande di fondo dei giovani, anche nei confronti della
famiglia: una marcata richiesta di supporto affettivo e una forte esigenza di libertà
espressiva. Si tratta di due aspetti più collegati di quanto possa sembrare a prima vista. La
conferma di sé in un ambiente affettivamente favorevole è la precondizione al fatto che il
giovane possa esercitare la propria libertà e autonomia di vita. Si vuole dunque l’affetto e il
consiglio dei genitori, ma nello stesso tempo si chiede che questa ‘copertura’ familiare non
abbia a comprimere gli spazi della libertà e dell’autonoma espressione. La ‘prossimità’ dei
genitori deve essere così essenziale e di fondo da permettere un ampio grado di libertà e di
autonomia delle scelte e degli orientamenti. Di fronte a questioni così decisive, cadono
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nell’insignificanza altre rivendicazioni, quali – come s’è visto – il sostegno economico o la
contrattazione delle regole e delle modalità di presenza in famiglia.
La questione delle regole non è comunque secondaria, ma una conseguenza di rapporti in
famiglia basati su presupposti diversi dalla negoziazione.
E’ ciò che emerge dall’analisi di quelli che dovrebbero essere i doveri di un figlio in
famiglia, che nel disegno della ricerca rappresentava una parte simmetrica al discorso sui
diritti dei figli in questa istituzione (Tab. 6)
Tab. 6. Doveri dei figli
Primo Secondo Terzo Totale - rispettare le regole di convivenza familiare 32.0 9.4 11.9 53.3- sostenere i genitori nei momenti di difficoltà 16.1 15.2 12.4 43.7- imparare a essere autonomo e indipendente 10.7 14.0 13.0 37.7- collaborare attivamente alla gestione della vita familiare (faccende domestiche, contribuire alle spese familiari)
8.3 15.7 12.1 36.1
- rispettare gli impegni presi (ad es. scadenze nello studio, fare bene il proprio lavoro, ecc.)
9.0 10.7 14.8 34.5
- rispettare le idee, i valori e i gusti dei genitori 11.5 9.1 6.2 26.8- rendere conto ai propri genitori delle decisioni che si prendono
4.6 8.2 7.4 20.2
- prestare attenzione alle esigenze personali dei genitori 2.8 5.8 7.3 15.9- partecipare a momenti e rispettare riti familiari 1.4 4.1 6.3 11.8- informare i genitori sui luoghi e le persone frequentate 2.2 4.1 4.6 10.9- seguire comunque le indicazioni dei genitori 1.0 3.2 3.3 7.5- non ci sono doveri 0.3 - - - non indica 0.1 0.5 0.8
A detta degli intervistati, il primo dovere di un figlio in famiglia è di rispettare le regole della
convivenza (aspetto indicato dal 43% dei casi), cui fa seguito la disponibilità ad offrire ai
genitori il sostegno nei momenti difficili (44%), la ricerca di autonomia e di indipendenza
(38%), la collaborazione alla gestione della casa (36%), il rispetto degli impegni presi
(35%), il rispetto delle idee e dei gusti dei genitori (27%), ecc. Agli ultimi posti di questa
scala, troviamo – quali doveri di un figlio in famiglia – il seguire le indicazioni dei genitori
(7%), l’informare i genitori degli amici e dei luoghi che si frequentano (11%), la
partecipazione ai momenti e riti familiari (12%).
In questo quadro, l’accettazione delle regole sembra essere la cornice entro cui si afferma il
dinamismo dei rapporti familiari. La condivisione di alcune regole di fondo è essenziale per
una corretta vita di famiglia. Ma oltre a questa cornice, l’accento è posto su doveri che
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richiamano da un lato il primato della dimensione affettiva tra ‘padri’ e figli (in questo caso
il sostegno dei figli ai genitori in momenti critici della vita familiare) e dall’altro lato sono
connessi all’esigenza di libera espressione e di autonomia già emersa in precedenza. Infatti,
tra i doveri familiari più importanti, l’accento è messo dai figli sulla loro responsabilità nel
rendersi autonomi e indipendenti e sull’importanza di rispettare gli impegni e gli obblighi
sociali (lo studio e il lavoro).
L’importanza che si rispettino delle regole base della convivenza familiare è un tratto
ricorrente nell’orientamento dei giovani. Ma le regole su cui si concentra l’attenzione,
oggetto di maggior investimento, non sono tanto quelle spicciole della vita di tutti i giorni (la
gestione del tempo libero, il tenere in ordine la propria stanza, l’uso degli spazi domestici, il
rendere conto di chi si frequenta, l’aiuto nelle faccende domestiche, ecc.), quanto alcuni
criteri di fondo da cui dipende il rispetto reciproco dei soggetti in gioco (genitori e figli), la
loro possibilità di realizzazione, e più in generale la qualità dell’interazione familiare.
In sintesi, la famiglia di oggi, assai rivalutata dai giovani, appare ben diversa da quella di
alcuni decenni or sono. La centralità affettiva è un tratto prevalente, con genitori che non
sembrano porre ai figli troppi aut-aut e che appaiono sufficientemente rispettosi della voglia
di libertà e di autonomia dei figli. Va da sé che il sostegno economico gioca il suo peso, ma
questa dimensione è data per scontata e appare una conseguenza della prevalente
identificazione affettiva. Il termine “affetto” richiama il rispetto reciproco, la condivisione
di alcuni valori di fondo, l’idea che si è creata una convergenza e un’accettazione tra padri e
figli al di là della diversa sensibilità delle due generazioni. I genitori hanno la
consapevolezza di aver trasmesso qualcosa di essenziale ai figli, e questi ultimi di aver
appreso qualcosa di importante dai padri; senza per questo aver maturato una piena
identificazione.
Le regole in famiglia non mancano, ma sono sempre più essenziali e più oggetto di
persuasione che di costrizione. I figli cercano e godono di ampi spazi di libertà e di
autonomia (anche economica, e ciò anche col concorso dei genitori), e proprio questa
condizione aperta è ciò che li orienta a rivalutare la famiglia come una tra le molte
appartenenze che essi hanno a disposizione.
Resta da chiedersi se questa famiglia pacificata sia l’ambiente migliore possibile per la
crescita e lo sviluppo delle personalità giovanili. Genitori e figli sembrano comportarsi gli
uni versi gli altri in modo perlopiù urbano e ragionevole; ma occorre valutare se questa
ragionevolezza contenga al suo interno quegli stimoli sufficienti per richiamare i giovani ad
ampi orizzonti e responsabilità. In tutti i casi emerge qui l’idea (per alcuni controversa) che
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si possa diventare adulti senza maturare (come accadeva in un passato più o meno recente)
una presa di distanza più o meno conflittuale dal modello dei genitori.
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3. Atteggiamenti verso il lavoro
Una delle aree di maggior interesse della ricerca sui giovani nella Provincia di Cuneo è
certamente quella relativa agli atteggiamenti degli intervistati nei confronti del lavoro, per
alcuni versi differenti rispetto agli stereotipi diffusi nell’opinione pubblica a livello
nazionale. L’interesse di queste informazioni è accresciuto anche dal fatto che non capita
spesso di avere a disposizione le risposte di un campione così ampio per un universo di
riferimento tanto limitato a livello numerico, dunque con una significativa riduzione
dell’errore nelle stime statistiche.
Tab. 7. Gli aspetti più importanti del lavoro
1° posto
2° posto
3° posto
TOTALE
- lo stipendio, il reddito 18.2 14.4 13.9 46.5- buoni rapporti con i compagni di lavoro e i capi 15.1 14.7 13.1 42.9
- l’interesse per il tipo di lavoro 17.7 9.1 10.8 37.6- la possibilità di imparare cose nuove e di esprimere le proprie capacità
12.8 14.5 7.4 34.7
- le condizioni di lavoro (ambiente, sicurezza, orario)
10.2 10.1 9.7 30.0
- la possibilità di migliorare (reddito e tipo lavoro) 7.0 11.5 9.5 28.0- la sicurezza del posto di lavoro 5.9 8.7 6.3 20.9- l’autonomia, la possibilità di decidere 3.9 3.6 6.1 13.6- avere un lavoro che lasci suffic. tempo libero 1.6 4.0 8.0 13.6- avere un lavoro in linea con gli studi fatti 3.9 2.7 4.8 11.4- avere un lavoro che non procuri troppo stress 1.4 2.8 4.2 8.4- fare un lavoro utile alla società 1.5 2.0 3.1 6.6- maturare i diritti connessi al lavoro (malattie, maternità, pensione, ecc.)
0.4 1.5 2.1 4
Per i giovani della Provincia di Cuneo (Tab. 7), indipendentemente dal fatto che lavorino
oppure no, i tre fattori più importanti a proposito del lavoro risultano piuttosto articolati. Il
18,2% degli intervistati indica al primo posto lo stipendio, mentre il 17,7% ritiene che
l’aspetto più importante nel lavoro sia invece l’interesse per il tipo di lavoro svolto, seguito a
ruota dal 15,1% di coloro che hanno indicato i buoni rapporti con i compagni di lavoro, dal
12,8% di quanti indicano la possibilità di imparare cose nuove e via via dagli altri aspetti. Al
secondo posto le carte si mescolano maggiormente, con i buoni rapporti con i compagni di
lavoro che sono scelti dal 14,7% del campione, la possibilità di imparare cose nuove dal
14,5%, lo stipendio che viene indicato dal 14,4% degli intervistati, l’interesse per il tipo di
15
lavoro dal 9,1%, ecc. Al terzo posto ancora lo stipendio riscuote il consenso del 13,9%, i
buoni rapporti con i compagni di lavoro ottengono il 13,1%, l’interesse per il tipo di lavoro il
10,8%, la possibilità di migliorare reddito e tipo di lavoro il 9,5% scavalcando la possibilità
di imparare cose nuove, ecc.
Sommando tutte e tre le scelte si ha un quadro sintetico della situazione, che consente
qualche approfondimento. Da questo punto di vista lo stipendio è l’elemento preponderante,
scelto dal 46,6% degli intervistati, seguito però subito a ruota da elementi meno materiali,
come i buoni rapporti con i compagni di lavoro (42,9%), l’interesse per il tipo di lavoro
svolto (37,6%), la possibilità di imparare cose nuove e di esprimere le proprie capacità
(34,7%). Meno gettonati aspetti un tempo prevalenti, come le condizioni di lavoro (30,1%) o
la sicurezza del posto di lavoro (20,9%), aspetto questo legato certamente alla flessibilità del
mercato del lavoro nel quale questa generazione si inserisce.
Si evidenziano alcune differenze significative a seconda di alcune variabili strutturali. Ad
esempio le ragazze appaiono meno inclini a considerare la dimensione materiale del lavoro,
come il reddito, scelto dal 41,7% delle intervistate contro il 51,2% dei ragazzi, che hanno
invece una sensibilità meno marcata per i buoni rapporti con i compagni di lavoro (36,8%),
aspetto considerato molto importante dalle ragazze (49,2%). Per quanto riguarda le aree
legate agli agglomerati urbani principali, la zona di Alba presenta dati in linea con quelli
medi provinciali, su questo aspetto, le zone di Savigliano e Mondovì presentano scostamenti
non molto significativi dai dati medi, mentre nella zona di Fossano emerge una maggiore
attenzione per gli aspetti non materiali del lavoro (47,9% buoni rapporti con i compagni di
lavoro, 40,1% possibilità di imparare cose nuove, ecc.) e in quella di Saluzzo al contrario un
atteggiamento che pare privilegiare gli elementi concreti (60,2% reddito).
A questo modo di porsi nei confronti del lavoro – che manifesta una ricerca di equilibrio tra
gli aspetti materiali e quelli immateriali, sia pure con elementi di differenziazione talvolta
rilevanti – corrisponde poi una valutazione di adeguatezza del proprio livello di istruzione,
anche se accompagnata da rilevanti perplessità sui contenuti di questa istruzione (Tab. 8).
Tab. 8. Valutazione di adeguatezza del proprio livello di istruzione
- certamente adeguato 49.1 - sufficientemente elevato, ma poco utile per trovare un impiego 27.8 - troppo basso per poter trovare un impiego soddisfacente 15.0 - troppo elevato per i lavori disponibili e/o che mi sono offerti 1.3 - troppo distante dai lavori disponibili e/o che mi sono offerti 6.5 - non indica 0.4
16
Infatti, se per il 49,1% il livello di istruzione è certamente adeguato per l’ingresso nel
mercato del lavoro, per il 27,8% è sì sufficientemente elevato, ma poco utile per trovare un
impiego. Emerge qui il tema dello scollamento tra istituzioni formative e mondo del lavoro o
mercato che dir si voglia, aspetto molto sentito anche dai giovani di un’area
economicamente dinamica come la Provincia di Cuneo. Vi sono poi due aree di disagio, una
che ritiene troppo basso il livello dei suoi studi per trovare lavoro (15%) e una che al
contrario ritiene di avere un livello di istruzione troppo elevato per i lavori che sono
effettivamente disponibili sul mercato (6,5%). Entrambi sono elementi da non sottovalutare,
forse più il secondo del primo, per le potenziali conseguenze sociali che possono avere. Per
quanto riguarda le variabili strutturali, emerge un solo elemento di differenziazione
consistente: nella zona di Alba risulta sensibilmente più elevato il livello di adeguatezza
degli studi effettuati (57%); fenomeno esattamente opposto si rileva nell’area di Savigliano,
dove il livello di percezione di aver effettuato studi adeguati scende al 39%. Una pista di
riflessione per spiegare queste differenze potrebbe essere anche il diverso grado e modello di
sviluppo delle due aree.
Un altro aspetto che si è voluto rilevare nell’ambito della presente ricerca è la differenza tra
la percezione di quali sono i canali per trovare lavoro e quali sono invece i canali che
risultano poi realmente efficaci (Tab. 9).
Tab. 9. Canali per trovare lavoro
Per chi lavora
Per chi non lavora
- rispondendo alle inserzioni 6.8 20.9 - presentando il mio curriculum 28.0 63.3 - attraverso i servizi pubblici per l’impiego 3.0 11.8 - tramite agenzie di lavoro interinali 4.2 9.5 - vincendo un concorso 7.4 27.6 - tramite la mia famiglia e le sue conoscenze 24.4 16.3 - tramite la segnalazione della scuola 8.0 27.1 - tramite le mie relazioni personali 41.2 27.4 - non indica 1.3 6.7
Se si prendono in considerazione soltanto i soggetti facenti parte del campione che già
lavorano, il 64,4%, i canali che sono stati efficaci per trovare il lavoro in questione sono i
seguenti: per il 41,2% le proprie relazioni personali, per il 24,4% le relazioni e le conoscenze
della famiglia dell’intervistato, per il 28% presentando un curriculum, per l’8% grazie a una
segnalazione della scuola, per il 7,4% un concorso pubblico, per il 6,8% la risposta a
un’inserzione, per il 4,2% si è trattato di un’agenzia di lavoro interinale e per il 3% dei centri
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pubblici per l’impiego. La relazione personale o familiare, la conoscenza diretta precedente
il rapporto di lavoro è dunque il canale largamente prevalente, ancora basso il ruolo del
curriculum e scarsamente rilevante quello delle agenzie di lavoro interinale e dei centri
pubblici per l’impiego; questo ultimo dato va però letto con l’accortezza di considerare la
novità di questi due ultimi canali, emersi soltanto negli ultimi anni. Per contro, qual è la
percezione di chi ancora studia e un lavoro lo deve ancora trovare, nei prossimi anni, oppure
un lavoro non riesce a trovarlo? Gli intervistati che non svolgono un lavoro, il 35,6% del
campione, hanno una percezione dei meccanismi di ingresso nel mondo del lavoro molto
diversa dalla realtà con la quale hanno fatto i conti i loro coetanei che lavorano. Infatti, il
63,3% degli intervistati pensa di trovare lavoro inviando un curriculum, il 27% tramite le sue
relazioni personali e soltanto il 16% attraverso le relazioni della propria famiglia. Il 27,1%
ha fiducia anche nelle segnalazioni della scuola, il 27,6% non chiude la porta ai concorsi
pubblici, mentre le agenzie di lavoro interinale ottengono il consenso del 9,5% dei giovani e
i centri pubblici per l’impiego dell’11,8%. Senza dubbio il fatto che in questa domanda gli
intervistati abbiano potuto scegliere più di una risposta rende la comparazione con la
domanda analoga rivolta a chi già lavora limitata. In ogni caso la differenza è talmente
ampia da suggerire che effettivamente per chi non lavora ancora le relazioni, personali o
familiari, sono considerate nettamente meno importanti di quanto invece siano in realtà.
Inoltre, un altro elemento che emerge nettamente è la multicanalità: chi ancora non lavora
pensa che cercherà un lavoro utilizzando vari canali, dal curriculum alla scuola di
provenienza, dai concorsi pubblici alle inserzioni, senza disdegnare le relazioni personali o
familiari, ma senza anche considerarle il canale privilegiato che sembrano essere in realtà.
Un’altra caratteristica peculiare dell’atteggiamento dei giovani della Provincia di Cuneo
verso il lavoro è la forte predisposizione per il lavoro in proprio. Interrogati in proposito, i
giovani intervistati rispondono al 48,2% che potendo scegliere preferirebbero lavorare in
proprio, al 18,7% vorrebbero un lavoro dipendente in un ente pubblico, al 17,9% non sanno
rispondere, al 12,4% un lavoro dipendente in un’azienda privata, mentre il 2,9% preferisce
non rispondere. Questi dati sono evidentemente il portato di una situazione socio-economica
che vede la Provincia di Cuneo da anni ai primi posti delle classifiche nazionali che
misurano il tasso di imprenditorialità, manifestando uno dei livelli più alti di imprese per
numero di abitanti. Si tratta di una tendenza presente in modo abbastanza uniforme in tutte le
aree urbane della Provincia – con la sola parziale eccezione di Fossano, che presenta un
tasso di predilezione per il lavoro autonomo del 41,9% - e che risulta più marcato tra gli
uomini (57,7%) che tra le donne (38,3%).
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Si accompagna bene a questo aspetto anche l’atteggiamento nei confronti di un eventuale
cambiamento lavorativo. Dovendo cambiare lavoro, il 37,7% degli intervistati reagirebbe a
questa prospettiva sentendosi stimolato dall’idea di poter fare nuove esperienze, il 25,8%
sarebbe preoccupato dalle possibili conseguenze del cambiamento sulla propria vita, il
19,7% sarebbe comunque stimolato dall’idea di migliorare la propria posizione, il 15,7%
sarebbe preoccupato genericamente per il suo futuro e l’1% preferisce non rispondere. Gli
elementi che indicano dinamismo, voglia di cogliere le opportunità, atteggiamento positivo
nei confronti del cambiamento appaiono dunque maggioritari, mentre sembrano meno
importanti, per quanto tutt’altro che irrilevanti, gli elementi di preoccupazione.
Interrogati poi a proposito del tipo di professione che svolgerebbero potendo scegliere, i
giovani intervistati distribuiscono i loro consensi in modo molto vario su un range di
professioni davvero ampio. Qui si possono fare due considerazioni. La prima punta sul fatto
che anche sotto questo aspetto emerge una certa concretezza, che orienta i giovani a indicare
professioni solide come l’ingegnere, l’architetto, l’impiegato, il dirigente, ecc. piuttosto che
il cantante o lo sportivo. La seconda mette in evidenza che comunque il 33,6% del campione
si dice soddisfatto del lavoro che svolge e non ha intenzione di cambiarlo, neppure nel
mondo delle ipotesi. La stessa concretezza e solidità riemerge relativamente alla
realizzabilità di tali aspirazioni, già per loro stesse poco propense ai voli di fantasia. Il 53,6%
ritiene che dipenda soltanto dalla propria volontà, anche se il 31,5% riconosce un ruolo
importante all’imponderabilità della fortuna.
La discrepanza tra la percezione del mondo del lavoro e la realtà dei fatti emerge in modo
abbastanza chiaro anche quando si parla del livello di retribuzione che realisticamente si
aspettano i giovani e che in realtà percepiscono. Nell’insieme chi già lavora ha aspettative –
dichiarate “realistiche” nella domanda, per quanto soggettivo ciò possa essere – piuttosto
lontane dalla retribuzione dichiarata. Tra quanti lavorano, il 28,2% percepisce una
retribuzione tra 600 e 900 euro, mentre il 27,9% tra i 900 e i 1200 euro; le aspirazioni
realistiche sono per il 27,4% una retribuzione compresa tra 900 e 1350 euro, per il 26,1% tra
1350 e 1800 euro e per il 12,4% tra i 1900 e i 2100 euro. Dunque si tratta di uno scarto non
di poco conto. Leggermente più elevate le aspettative di retribuzione tra quanti invece non
lavorano: il 23,7% aspira realisticamente a una retribuzione compresa tra 900 e 1350 euro, il
25,8% tra 1350 e 1800 euro e il 15,8% tra i 1900 e i 2100 euro. In entrambi i gruppi la quota
che manca per raggiungere il 100% si distribuisce in modo frazionato tra gli altri livelli di
retribuzione, un po’ più verso il basso tra chi lavora e un po’ più verso l’alto tra chi non
lavora. Anche questo è un elemento su cui riflettere, perché evidente circola una percezione
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delle retribuzioni che è decisamente lontana dalla dura realtà degli stipendi ordinari, che
sperimenta quotidianamente chi già lavora. Risulta facile ricondurre tutto questo al solito
scollamento tra scuola e mondo del lavoro, ormai causa di tutti i mali e sempre indicato per
spiegare ogni cosa. Tuttavia forse una riflessione più approfondita sulle retribuzioni e sulla
loro percezione, spesso considerata un tabù dentro e fuori le aziende e le amministrazioni
pubbliche, rivelerebbe elementi più interessanti.
La formazione è poi un tema che interessa molto questi giovani dall’elevata istruzione, dalle
aspettative ancora maggiori e che spesso devono fare i conti con una realtà diversa da quella
percepita o immaginata. Il 30,9% degli intervistati sarebbe infatti certamente interessato a un
corso di formazione per il lavoro, il 31% sarebbe probabilmente interessato, il 22,6% non
riesce a collocarsi né per il sì né per il no, l’8,4% probabilmente non sarebbe interessato, il
7,1% non sarebbe certamente interessato e lo 0,1% preferisce non rispondere..
Complessivamente le ragazze sono più interessate dei ragazzi a questo tipo di formazione: il
68% contro il 56% dei ragazzi. Le differenze tra le varie aree urbane non appaiono
particolarmente significative. Passando alle caratteristiche che tale eventuale corso di
formazione per il lavoro dovrebbe avere, prevale il fatto che sia collocato in orari favorevoli,
caratteristica scelta dal 41,3% di intervistati, più ragazze (46,3%) che ragazzi (36,5%), più
dell’area monregalese – cuneese (50-51%) che albese (31,4%), rimanendo le altre aree
urbane in linea con i dati medi. Un’altra caratteristica ritenuta importante è il fatto che il
corso sia richiesto dall’azienda per la quale si lavora o si potrebbe lavorare al termine del
corso, opzione indicata dal 36,1% degli intervistati. Anche la gratuità, indicata dal 31% degli
interpellati, senza particolari differenziazioni, è una caratteristica che ottiene un certo
consenso, accompagnata alla vicinanza a casa, indicata dal 25,7%. Il grado di conoscenza
dell’esistenza di questi corsi in ambito locale appare abbastanza elevato, anche se non
comprende la totalità degli intervistati. Infatti, il 67,5% conosce i corsi di formazione delle
agenzie private, come scuole di lingue, di informatica, ecc.; il 60,5% conosce i corsi indetti
dalle scuole pubbliche per il recupero degli anni di studio per il diploma di scuola media
superiore rivolto agli adulti che hanno dovuto interrompere gli studi in giovane età; il 58,4%
conosce i corsi organizzati dalle aziende stesse; il 55,7% sa dell’esistenza dei corsi delle
agenzie formative pubbliche, ex centri di formazione professionale; infine, il 45% è anche
informato sull’esistenza dei corsi delle agenzie di lavoro interinale, che si sono diffuse in
Provincia negli ultimi anni. Le valutazioni positive su queste categorie di corsi rispecchiano
a grandi linee la graduatoria emersa per il grado di conoscenza, anche se su livelli
nettamente più bassi. Il 37% dei giovani ritiene validi i corsi delle agenzie formative private,
20
il 36,4% ha la stessa opinione dei corsi organizzati dalle aziende stesse, il 32,9% valuta
positivamente i corsi erogati dagli ex centri di formazione professionale, a fronte del 27%
che valuta allo stesso modo i corsi delle scuole pubbliche e del 15,7% quelli delle agenzie di
lavoro interinale. Un livello di soddisfazione tanto inferiore rispetto al grado di conoscenza
di queste iniziative va probabilmente messo in relazione all’efficacia del corso non tanto in
termini direttamente formativi, quanto piuttosto in termini di immediata efficacia
nell’ottenimento di un lavoro o di un miglioramento della propria condizione lavorativa per
quanti già lavorano. Sempre in tema di formazione, la preparazione scolastica ricevuta non
sempre risulta utile nel mondo del lavoro, secondo i nostri intervistati. Secondo il 16% tale
preparazione è stata molto utile, per il 38,5% abbastanza utile, per il 26% poco utile, per
16,5% per nulla utile, mentre lo 0,6% preferisce non dare alcuna risposta. Ritorna qui il
cortocircuito tra scuola e mondo del lavoro del quale si parla da anni, a quanto pare senza
aver ancora trovato una vera soluzione.
Si è ritenuto infine opportuno sondare le opinioni degli intervistati a proposito di alcuni temi
caldi del dibattito sul mondo del lavoro contemporaneo, che spesso compaiono sulla scena
mediatica nel nostro paese. Un tema ormai diventato classico delle ricerche che si occupano
di lavoro è quello della condizione della donna nel mondo del lavoro. L’80,1% degli
intervistati si ritiene molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione secondo la quale nel
mondo del lavoro le donne hanno ormai raggiunto la parità con gli uomini; prevale la
modalità “abbastanza” (57%) e naturalmente le donne (73%) sono meno d’accordo degli
uomini (86,5%) con l’affermazione citata. Il 62,8% è poi molto o abbastanza d’accordo sul
fatto che nella zona in cui vive vi sono molte opportunità lavorative; anche in questo caso le
ragazze manifestano un livello di accordo minore dei ragazzi, 57,6% contro 67,8% e
differenze significative si riscontrano anche a seconda dell’area urbana di appartenenza
all’interno della Provincia: si passa infatti dalle punte di 80,9% di Fossano e di 75,6% di
Alba ai valori sensibilmente più bassi (55,5%) di Cuneo e Savigliano. Le differenziazioni
sono molto meno marcate invece sul livello di accordo con l’affermazione secondo la quale
gli immigrati stranieri svolgono lavori che i giovani locali non vogliono più svolgere, con
cui è molto o abbastanza d’accordo l’85,2% degli intervistati. Un accordo analogo, al di là
del sesso e dell’area urbana di appartenenza emerge anche a proposito dell’affermazione
secondo la quale i lavori temporanei (Co.Co.Co, a progetto, interinali, ecc.) contribuiscono
ad aumentare il senso di precarietà dei giovani: si dice molto o abbastanza d’accordo il
77,3% degli intervistati. Inoltre per il 61,5% dei giovani i lavori temporanei impediscono di
fare progetti per il futuro a lunga scadenza. Vengono però percepiti anche gli elementi
21
positivi dei lavori temporanei, visto che il 64,9% si dice molto o abbastanza d’accordo con
l’affermazione secondo la quale i lavori temporanei permettono ai giovani di orientarsi nel
mondo del lavoro e di sperimentare le loro capacità e propensioni. Compare poi un certo
senso di autocritica, se il 73,9% dei giovani intervistati si dice molto o abbastanza d’accordo
con il fatto che molti giovani aspirano a lavori di buon livello senza avere la preparazione e
la formazione adeguata: una generazione di saggi ? Forse, e comunque quasi tutti
consapevoli del fatto che oggi per trovare lavoro occorre necessariamente accettare
occupazioni e lavori di livello inferiore al titolo di studio conseguito, affermazione con la
quale si trova d’accordo l’86% degli intervistati, anche in questo caso senza distinzioni
particolari di sesso o area geografica.
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4. Il legame con il territorio
Il legame con il territorio è stato spesso messo in evidenza – nelle ricerche sociali ed
economiche come nelle indagini giornalistiche e nei reportage di costume diffusi dai mezzi
di comunicazione di massa – come un elemento fondamentale alla base dell’originale e
duraturo modello di sviluppo costruitosi nel secondo dopoguerra nel “laboratorio” cuneese.
Che cosa rimane del legame con il territorio e del senso di appartenenza alle comunità locali
nelle giovani generazioni ? Alcuni indicatori presenti nel questionario possono fornire
qualche spunto di riflessione.
A prima vista emerge subito un primo dato che stride con questa visione: la fiducia nei
confronti della Pubblica Amministrazione locale tra i giovani non è certo a livelli elevati.
(Tab. 10).
Tab. 10. Fiducia in:
Molta Nessuna Non so Chiesa 10.2 21.6 27.2 19.6 15.9 5.4 scuola 8.5 30.7 36.3 15.7 4.6 4.1 magistratura 5.3 22.3 29.0 24.3 11.6 7.4 sindacati 2.9 14.1 30.5 26.8 16.1 9.6 forze dell’ordine 8.6 28.6 27.9 21.6 9.2 4.2 parlamento 2.1 9.7 25.7 30.1 23.9 8.5 impresa privata 10.7 28.3 30.2 15.2 5.4 10.2 governo 1.6 10.1 23.1 26.8 32.4 6.0 amministrazione comunale 3.5 20.3 33.7 24.0 11.0 7.5 amministrazione provinciale 1.4 16.3 34.6 25.8 8.6 13.3 partiti politici 1.2 5.3 19.9 35.5 30.2 8.0 mezzi di comunicazione di massa (ad es.: stampa, televisione)
5.8 18.7 30.3 27.0 14.8 3.4
Infatti, soltanto il 23,8% ha molta o abbastanza fiducia nell’amministrazione comunale,
mentre il 35,1% ne ha poca o nessuna e la quota rimanente si colloca tra gli incerti o tra
coloro che non rispondono. Le cose non appaiono migliori se si prende in considerazione
l’Amministrazione provinciale: il 17,7% dimostra molta o abbastanza fiducia, a fronte del
34,4% che ne dimostra poca o nessuna e della quota rimanente che si colloca tra gli incerti o
tra coloro che non rispondono. D’altra parte risulta non particolarmente elevato neppure il
grado di fiducia negli altri, fatta eccezione per i propri familiari e per la cerchia dei propri
amici. Infatti, il 93,7% ha molta o abbastanza fiducia nei suoi familiari, l’85,1% ne ha
altrettanta nei confronti dei suoi amici, ma soltanto il 19,3% degli intervistati ha molta o
abbastanza fiducia negli abitanti del suo Comune e il 17,3% nutre lo stesso sentimento verso
23
gli abitanti del cuneese. Prevalgono anche in questo caso gli incerti, coloro che non sanno o
non vogliono collocarsi né dalla parte della fiducia né da quella della sfiducia. Non stupisce
poi, dopo la lettura di questi dati, il fatto che soltanto il 54,7% dei giovani intervistati ritenga
che si può aver fiducia nei confronti delle persone. Dunque, se da un lato la sfiducia nelle
istituzioni locali desta preoccupazione, dall’altro si inserisce in un quadro d’insieme
connotato da un apparente deficit di fiducia complessivo negli altri e in tutto ciò che si trova
al di fuori della cerchia della famiglia e degli amici.
Tab. 11. Appartenenza a:
Molto Per niente
Non so
… tua città o paese 26.8 30.2 19.7 14.7 6.7 2.0 … tua provincia 10.9 27.5 26.9 20.1 9.6 5.0 … tua regione 11.0 25.4 26.1 21.4 9.3 6.7 … Italia 23.4 30.8 22.5 12.7 5.3 5.4 … Europa 12.4 25.6 26.7 17.4 10.0 7.9 … Mondo intero 21.7 21.6 19.4 18.3 8.7 10.5
Questo clima di sfiducia, però, non sembra compromettere in modo irrimediabile il senso di
appartenenza al territorio (Tab. 11). Infatti, il 57% degli intervistati – con una punta del 64%
nella zona di Alba-Bra – dichiara di sentirsi molto o abbastanza parte della sua città o paese,
il 38,4% della Provincia e il 36,4% della Regione. Il sentimento di appartenenza alla città o
al paese prevale anche su quello all’Italia, che si ferma al 54,2%, smentendo le previsioni di
perdita del senso di appartenenza alla comunità nazionale.
Dunque la città, prima e oltre ogni altro livello amministrativo o politico: conferma di un
fenomeno già conosciuto e rilevato in molte parti d’Italia, che resiste anche all’erosione del
clima di fiducia che si sta producendo in questi anni, dove la stagnazione economica
comincia a farsi sentire anche in un’area dinamica, avanzata e flessibile come la Provincia di
Cuneo, forse un po’ meno isola felice rispetto a qualche anno fa.
Se da un lato gli effetti di una non favorevole congiuntura economica internazionale iniziano
a manifestarsi anche nella Provincia di Cuneo, la percezione di vivere in un’area ad elevato
livello di sviluppo resta forte tra gli intervistati, che dichiarano che nella loro zona tenendo
conto di tutto nel complesso si vive molto bene (17,2%) o abbastanza bene (68,4%) (Tab.
12.).
24
Tab. 12. Nella città/paese degli intervistati si vive
molto bene 17.2abbastanza bene 68.4così così 11.7non molto bene 1.9piuttosto male 0.6non indica 0.3
Vi sono certo differenze tra le varie aree, ma riguardano più che altro la quota di coloro che
ritengono si viva molto bene piuttosto che abbastanza bene. Ad esempio, è inferiore alla
media e alle altre aree la quota di chi ritiene che si viva molto bene nelle aree urbane di
Savigliano (11,5%) e Saluzzo (9,5%), mentre è decisamente superiore nella zona di Alba
(24,8%). Viceversa è maggiore a Savigliano e Saluzzo la quota di quanti pensano si viva
abbastanza bene (rispettivamente 71,2% e 73,1%), mentre è minore ad Alba (67,2%). Si
tratta comunque di differenze di grado che non incidono sul trend di fondo, che rimane
quello di un generalizzato e diffuso apprezzamento delle condizioni di vita raggiunte
nell’insieme delle Provincia, eredità di un cammino di sviluppo lungo ormai oltre 60 anni.
D’altra parte l’elevata qualità della vita è anche la caratteristica che rappresenta meglio la
vita nella Provincia di Cuneo per il 43,4% degli intervistati (Tab. 13), con punte verso l’alto
del 54,7% nella zona di Alba, verso il basso delle aree di Savigliano (34,9%) e Saluzzo
(36%) con le altre zone urbane sui valori intermedi.
Tab. 13. Caratteristiche della vita in Provincia di Cuneo
Più vicine Più lontane
- buona / alta qualità della vita 43.4 7.7 - mentalità chiusa, poco aperta al nuovo, al cambiamento
30.9 27.6
- benessere economico diffuso 21.7 12.3 - troppa importanza data al lavoro e ai “soldi” 21.5 17.9 - valorizzazione della cultura e delle radici locali 16.3 12.8 - un benessere attuale costruito grazie ai sacrifici fatti dalle generazioni precedenti
15.1 5.4
- ambiente favorevole ai rapporti tra le persone 12.8 23.3 - senso di concretezza e realismo nell’affrontare la vita 11.2 7.7 - opportunità limitate di formazione e di crescita professionale
10.2 28.4
- l’orgoglio dell’essere cuneesi 8.9 28.1 - spirito individualistico e poca cooperazione 7.9 21.2 - altro 0.1 0.6
25
Qualità della vita quasi come un marchio di fabbrica, costruito certamente sul successo
economico delle molte aziende locali, grandi medie e piccole, ma anche su uno stile di vita
sobrio, attento ai valori concreti, che porta il 21,7% degli intervistati a identificare nel
benessere economico diffuso un’altra caratteristica importante vicina alla vita nella
Provincia di Cuneo. Accanto allo sviluppo e alla qualità della vita, però, emergono per una
minoranza consistente della popolazione giovanile locale anche elementi di chiusura vissuti
come limitazioni alla crescita personale. Ad esempio il 30,9% degli intervistati pensa che la
chiusura al nuovo, al cambiamento sia un tratto caratteristico della vita nel cuneese, accanto
al 21,5% che pensa che in questa zona si dia troppa importanza al lato economico
dell’esistenza umana. Un aspetto sembra emergere con chiarezza: a parte l’elemento “qualità
della vita” – fortemente presente negli ultimi anni anche nella sfera mediatica a proposito del
cuneese – le altre caratteristiche elencate non riescono a esprimere in modo univoco e forte
un’immagine unitaria della Provincia. Da un lato questo aspetto è certamente legato ai
processi di differenziazione e frammentazione, che tendono a mettere in secondo piano gli
elementi comuni alle varie zone; dall’altro probabilmente la dimensione del senso di
identificazione con il territorio andrebbe indagato in modo più approfondito con strumenti ad
hoc, per verificare se effettivamente mancano elementi simbolici in grado di unificare la
rappresentazione del territorio provinciale nei suoi abitanti di età inferiore ai 30 anni oppure
se il problema è di natura metodologica e ha a che vedere con gli strumenti di rilevazione.
Probabilmente approfondimenti di tipo qualitativo come ad esempio i focus group su questo
tema potrebbero fornire utili spunti di riflessione.
Al di là degli indicatori di atteggiamento, quelli di comportamento sono spesso utili
strumenti di verifica per le tendenze che i primi consentono di misurare in una prima
approssimazione. La disponibilità a trasferirsi fuori Provincia, dunque, può essere vista in
questo senso come un elemento di conferma o al contrario di scollamento del legame con il
proprio territorio. Il 41,4% degli intervistati non è disposto a trasferirsi dal suo attuale
Comune di residenza, con una punta verso l’alto del 54,9% nel saluzzese e verso il basso del
29,3 nella zona di Savigliano. Per il resto il valore appare abbastanza costante. Inoltre, il
10,3% del campione si trasferirebbe, sì, ma soltanto in un altro Comune della stessa
Provincia. Dunque l’attaccamento di oltre la metà della popolazione giovanile al cuneese
appare un fenomeno piuttosto radicato e che andrebbe certamente approfondito nelle sue
forme e nelle sue motivazioni. D’altra parte non va sottovalutato il fatto che l’altra metà dei
giovani cuneesi sarebbe disponibile a trasferirsi in un’altra regione italiana (17,1%) o
26
all’estero (26,3%); meno appeal manifestano le altre province piemontesi (2,5%) o il
capoluogo torinese (6,5%).
Sarebbe poco prudente, dunque poco in linea con uno dei valori proverbiali di questa terra,
trarre delle conclusioni definitive da queste poche e soltanto abbozzate tendenze. Tuttavia
emergono dalla lettura dei dati in questione due tendenze apparentemente contraddittorie: da
un lato viene ribadito un certo legame, anche forte con la propria città o il proprio paese, di
cui vengono riconosciuti il buon livello di qualità della vita, il fatto di essere a misura
d’uomo, ecc.; dall’altro lato, però, non mancano i segnali di un certo logorio, di un certo
sfilacciamento dei legami e delle solidarietà sociali che per molti versi hanno garantito il
successo economico e culturale di questa porzione del Sud Piemonte ormai divenuta un caso
paradigmatico nell’ambito degli studi economici e sociali.
Un fenomeno analogo era stato rilevato qualche anno fa a proposito del cattolicesimo
cuneese nel corso di una vasta e approfondita ricerca: dietro lo scenario di una sostanziale
tenuta del modello di cattolicesimo tradizionale in modo nettamente superiore alla media
nazionale, anche tra i giovani, emergeva già in quella ricerca il venir meno dei vincoli etici
individuali e collettivi che da quel tipo di cattolicesimo derivavano; analogamente, dietro lo
scenario dell’isola felice, della solidità che ancora riesce a garantire un livello di vita molto
elevato, delle città a misura d’uomo in cui le persone ritrovano la dimensione autentica del
vivere insieme, emergono le ombre di un declino della fiducia nelle istituzioni e negli altri,
una parziale disponibilità a lasciare la propria città che andrebbe indagata ulteriormente, ecc.
27
5. Atteggiamenti verso la politica
Non è una novità, né a livello nazionale né tantomeno a livello locale, ma anche nella
Provincia di Cuneo le forme tradizionali di partecipazione politica non riscuotono un grande
successo tra i giovani.
La tradizionale classificazione destra – sinistra, per quanto rilanciata a livello nazionale dalla
polarizzazione dei due principali schieramenti politici, Polo delle Libertà e Ulivo, non
appassiona i giovani della Provincia cuneese. Il 17,1% degli intervistati si rifiuta di
rispondere e il 29,4% non riesce a collocarsi da nessuna parte: quasi la metà del campione
quindi si colloca al di fuori da questa distinzione, rivelando uno scollamento piuttosto netto
rispetto agli schemi della politica nazionale. Questo naturalmente non significa che questa
quota di giovani si riversi automaticamente nell’astensionismo o nel voto nullo in occasione
delle consultazioni elettorali. Quanti invece riescono a collocarsi sul continuum destra –
sinistra sembrano più orientati verso l’area di centro sinistra che verso quella di centro
destra: l’1,3% si posiziona all’estrema sinistra, il 30,2% al centro sinistra, il 3,6% al centro,
il 16,7% al centro destra, l’1,6% al centro destra. Significativa la quasi assenza di giovani
schierati al centro, che era invece il posizionamento politico privilegiato delle generazioni
precedenti, molto legate alla cultura democratico cristiana. Tra i giovani sembra avvenuto un
travaso dal centro dello schieramento politico dei loro nonni e genitori all’area del non
schierarsi politicamente (Tab. 14).
Tab. 14. Collocazione politica
estrema sinistra 1.3 destra 8.0sinistra 14.3 estrema destra 1.6centro-sinistra 15.9 non so collocarmi 29.4centro 3.6 non voglio rispondere 17.2centro-destra 8.7
Si tratta di orientamenti confermati anche da altri indicatori. Il 39,5% degli intervistati
dichiara di tenersi al corrente del dibattito politico, ma dice anche in modo esplicito di non
partecipare attivamente, il 17,3% non si sente sufficientemente preparato per interessarsi di
politica, il 25,9% non manifesta interesse per la politica, l’11,8% si dice disgustato dalla
politica, l’1,2% non prende posizione e solamente il 4,4% si ritiene politicamente impegnato.
29
Spettatori parzialmente attenti, questo sembrano essere la metà circa dei giovani della
Provincia di Cuneo nei confronti della politica; l’altra metà va dall’atteggiamento dello
spettatore distratto al rifiuto della politica espresso da oltre l’11% del campione. Da buoni
spettatori il canale privilegiato per venire a conoscenza di ciò che accade nel mondo della
politica i giovani della Provincia cuneese, come i loro coetanei di tutta Europa, privilegiano
la televisione, indicata dal 74,2% degli intervistati, seguita a notevole distanza dai giornali,
al 54,4%, dagli amici, al 24,7%, e dai familiari, 22,2%. Ancora bassa la penetrazione di
canali innovativi, come i forum telematici o internet in generale, il cui utilizzo per tenersi
informati sulle questioni politiche coinvolge non più del 7% del campione.
Come già emerso in più occasioni nel corso dell’analisi dei dati della ricerca, la famiglia e la
cerchia degli amici sono i due principali punti di riferimento di questa generazione di
giovani. Si tratta di un aspetto che viene ribadito anche a proposito degli atteggiamenti verso
la sfera politica. Infatti, il 45% del campione condivide le sue opinioni politiche e sulla
politica con i suoi amici, il 39% con il padre e il 34,5% con la madre, il 26,5% con il partner
e il 16,2% con fratelli o sorelle. Più ci si allontana dal cerchio amicale-familiare meno spazi
di condivisione si trovano.
Disaffezione dalle forme tradizionali di partecipazione politica non significa però distacco
dai meccanismi democratici essenziali. Se domenica si andasse a votare il 73,7% degli
intervistati dichiara che parteciperebbe regolarmente al voto e il 64,1% sceglierebbe
comunque una coalizione o un partito, il 5,9% annullerebbe la scheda, il 3,6% voterebbe
scheda bianca, l’8,9% non andrebbe a votare e il 17,4% è indeciso (Tab. 15).
Tab. 15. Orientamenti di voto
sì, andrei a votare e: 73.7− sceglierei una coalizione o un partito 64.1− annullerei la scheda 5.9− voterei scheda bianca 3.6no, mi asterrei 8.9non so 17.4
Saltuariamente, poi, quote consistenti di giovani intervistati hanno partecipato a iniziative di
tipo politico che non richiedono una militanza costante e continuativa (Tab. 16).
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Tab. 16. Partecipazione a iniziative politiche in senso lato
SI’ sì fatto e
lo farei sì fatto, ma
non lo rifarei
partecipare ad uno sciopero 47.0 6.3partecipare a manifestazioni, assemblee o cortei 48.4 8.0firmare una petizione, firmare per un referendum o per leggi di iniziativa popolare
41.8 2.0
sostenere forme di finanzia-mento etico (es.: banca etica, commercio equo e solidale, adozione a distanza …)
32.8 1.5
partecipare a un boicottaggio (non usare un servizio pubblico o un prodotto per protesta)
20.2 1.0
occupare scuole, edifici e fabbriche 17.4 9.2partecipare a comitati civici, di quartiere, di frazione 8.9 2.0partecipare attivamente a campagne elettorali 5.0 1.4partecipare alle attività e iniziative dei centri sociali 10.8 2.5ascoltare trasmissioni tv su temi politici 59.2 8.2partecipare a forum telematici su Internet 6.3 1.4
Ad esempio, il 53,3% degli intervistati ha partecipato ad uno sciopero organizzato dal
sindacato e il 47% lo rifarebbe; inoltre il 31,6% non lo ha mai fatto, ma non esclude di
poterlo fare. Si tratta di un comportamento che può a tutti gli effetti rientrare nella difesa di
un interesse personale, ma è comunque un atto di partecipazione politica. D’altra parte il
56,3% ha partecipato in passato a manifestazioni o cortei, il 48,4% lo ha fatto e lo rifarebbe e
il 25,2%, pur non avendolo mai fatto non esclude di poterlo fare in futuro. Anche le modalità
più recenti di partecipazione politica cominciano a riscuotere un certo successo. Il 32,8% ha
partecipato a forme di finanziamento etico e lo rifarebbe, il 44% non lo ha mai fatto ma si
dice possibilista per il futuro. Inoltre, il 20,2% degli intervistati ha partecipato a forme di
boicottaggio di prodotti o servizi per protesta, il 41,8% non lo ha mai fatto ma non esclude di
poterlo fare. Per contro, una forma di partecipazione politica classica come l’attivismo
politico durante una campagna viene categoricamente escluso senza alcuna possibilità di
apertura dal 54,6% del campione, mentre il 32,2% non lo ha mai fatto ma non neppure lo
esclude. Molto diffuso invece il seguire le trasmissioni televisive su temi politici,
comportamento dichiarato dal 59,2% del campione che lo ha fatto e lo rifarebbe, accanto a
un ulteriore 12,2% che non lo ha mai fatto ma non lo esclude a priori. Una netta chiusura
appare invece nei confronti dei forum telematici su internet con tema la politica: il 55,8%
non lo ha mai fatto e non lo farebbe mai.
Emerge dunque una certa apertura verso la partecipazione politica in quanto azione sociale e
al contempo una netta disaffezione per le forme in cui questa azione si è concretizzata in
31
passato. L’attivismo politico, la partecipazione alle campagne elettorali, l’iscrizione e la
militanza in un partito politico o nel sindacato non sono più forme di partecipazione politica
che i giovani intervistati sentono parte della loro esperienza. D’altra parte emerge una sorta
di rifiuto anche per le forme di partecipazione troppo attive e innovative, come quelle che
avvengono sul canale internet, aspetto che va comunque messo in relazione al tasso di
alfabetizzazione informatica, che andrebbe verificato, anche tra i giovani. L’attenzione per i
temi politici più dibattuti sulla scena mediatica viene poi dichiarata con elevata intensità dal
34,6% del campione, con media intensità dal 53,7% del campione. Per molti di loro non si
tratta di un interesse estemporaneo, bensì di vera attenzione. Infatti, il 30,3% dei giovani
dichiara di seguire con una certa regolarità il dibattito che su questi temi si sviluppa in
televisione, alla radio o sui giornali, mentre il 44,6% lo fa in meno spesso e il resto non si
dedica a questa attività raramente o mai. Il fatto che le differenze in base al sesso o all’area
geografica non siano particolarmente eclatanti rafforza l’immagine di un fenomeno diffuso.
Si fanno strada apparentemente anche forme di partecipazione più impegnative della
fruizione passiva di contenuti mediali, sia pure su argomenti impegnativi (Tabb. 17 – 18).
Tab. 17. Interesse per temi sociali emergenti (pace, terrorismo, conflitti etnici, ambiente, immigrazione, lavoro, ecc.)
Molto 34.6Abbastanza 53.7Poco 9.5per nulla 2.1
Tab. 18. Partecipazione nell’ultimo anno a manifestazioni, dibattiti, iniziative varie su temi sociali emergenti (pace, terrorismo, conflitti etnici, ambiente, immigrazione, lavoro, ecc.)
no, mai 63.21-2 volte l’anno 25.34-5 volte l’anno 7.8circa 1 volta al mese 1.9più frequentemente 1.7
Infatti se da un lato il 63,2% degli intervistati dichiara di non prendere mai parte a
conferenze, dibattiti, manifestazioni culturali dedicate a tali argomenti, il 25,3% vi partecipa
1 – 2 volte l’anno, mentre l’11,3% vi partecipa più spesso, dalle 4-5 volte l’anno in su. Quali
sono gli argomenti “impegnativi” che attirano l’attenzione dei giovani intervistati (Tab. 19)?
32
Tab. 19. Temi sociali emergenti di particolare interesse per i giovani della Provincia di
Cuneo
pace 39.1ambiente 21.1paesi poveri, del Terzo Mondo 24.2il fenomeno immigrazione 12.9mobilitazione su problemi locali 7.8lavoro, occupazione 28.1conflitti etnici 7.5globalizzazione 13.4terrorismo 20.0salute 18.3
Il più gettonato risulta la pace, indicato dal 39,1%, dato di facile interpretazione in un
momento storico che vede vari focolai di conflitto armato, in Medio Oriente soprattutto.
Segue a ruota il tema dell’occupazione, che molti giovani vivono direttamente sulla propria
pelle, in termini di precarietà o di basse retribuzioni, che viene indicato dal 28,1% della
popolazione giovanile. Non siamo di fronte a una generazione completamente ripiegata su se
stessa, dal momento che il 24,2% indica quello dei paesi in via di sviluppo un tema molto
importante nel dibattito pubblico contemporaneo, seguito dall’ambiente con il 21,1% e dal
terrorismo con il 20%.
Siamo di fronte piuttosto a una generazione niente affatto disinformata o lontana dai
problemi sociali e politici contemporanei, che al contrario sono al centro della sua
attenzione. L’approccio a questi temi avviene tuttavia in forme nuove, flessibili e a volte
incostanti, non inquadrate in strutture organizzative rigide e vincolanti. Tutto lascia pensare
che forme nuove di partecipazione politica si stiano sviluppando, di pari passo con
l’affermarsi di nuove forme associative, in un panorama di fondo in cui la famiglia e il
gruppo degli amici sembrano essere rimasti i due ultimi e unici punti veramente fermi e
stabili nell’orizzonte sociale e culturale di questa generazione di giovani della Provincia di
Cuneo.
33
6. Gli orientamenti religiosi
L’indagine che qui presentiamo ci offre l’opportunità di verificare quale sia la posizione dei
giovani della Provincia di Cuneo sulla questione religiosa, analizzando in particolare
l’attuale stato di salute del cattolicesimo tra le nuove generazioni che appartengono ad una
terra fortemente ancorata nel passato alla fede cristiana. Su questo tema è stata svolta 5 anni
or sono una interessante ricerca – promossa dalle 5 Diocesi della Provincia Granda – che ci
servirà quindi da punto di riferimento e da elemento di sfondo per comprendere
(relativamente al campione giovanile) le eventuali trasformazioni avvenute nel breve
periodo. In questi pochi anni si sono registrati comunque molti fatti nuovi sulle questioni
religiose e sul modo in cui tali temi sono richiamati ed evocati nella società.
Da un lato si diffonde l’idea della plausibilità di una fede religiosa e dell’apporto che essa
può offrire in un tempo attraversato da varie inquietudini e paure., dall’altro lato, si parla
sempre più della presenza pubblica della religione, e ciò non soltanto per richiamare le
derive fondamentalistiche di certi gruppi religiosi; ma anche per sottolineare quanto la
religione possa essere una risorsa di integrazione sociale, in un’epoca carente di riferimenti
collettivi e densa di spinte disgreganti. Nonostante questi segnali, molti osservatori ritengono
che il processo di secolarizzazione non si sia ancora arrestato nei paesi occidentali, e che la
riduzione del sentimento e della pratica religiosa stia continuando nelle terre di più antica
tradizione religiosa. La gente può essere sensibile alla fede cristiana, o ritenere che essa sia
una risposta ai problemi del significato, ma nello stesso tempo affidarsi ad un’espressione
religiosa molto soggettiva, che si attiva solo di tanto in tanto o in particolari circostanze, che
si compone con molte altre proposte di senso e pratiche di ricerca.
Che cosa si registra tra i giovani della provincia di Cuneo ?
Un primo dato di fondo riguarda la diffusione ancora rilevante della socializzazione
religiosa dei giovani nel territorio esaminato. La quasi totalità dei giovani (il 96%) dichiara
di aver frequentato nel passato gli ambienti religiosi, di aver cioè conosciuto l’ambiente della
parrocchia o dell’oratorio negli anni dell’infanzia o dell’adolescenza. La rete religiosa
cattolica sembra dunque ancora ben attrezzata ad intercettare la presenza dei giovani sul
territorio, anche se può poi avere non pochi problemi nel trattenerli.
Oltre la metà dei soggetti ‘passati’ per gli ambienti ecclesiali hanno avuto delle esperienze
religiose positive, che hanno arricchito il loro bagaglio umano e spirituale. Analogamente,
circa il 55% di chi ha frequentato nel passato gli ambienti ecclesiali ha incontrato delle
35
figure religiose particolarmente significative, che hanno rappresentato (o lo possono ancora
essere) dei punti di riferimento positivo.
Su un altro versante, si rileva poi che meno di ¼ dei giovani del cuneese ha fatto delle
esperienze che li hanno allontanati dalla fede religiosa, mentre la grande maggioranza non ha
mai vissuto dei momenti critici di questo tipo.
Infine, emerge che poco meno della metà dei giovani ha fatto parte (o ancora partecipa) a
gruppi ed associazioni ecclesiali (perlopiù parrocchiali), e un’altra quota di soggetti è stato
impegnato (o lo è ancora) in gruppi di volontariato di matrice religiosa.
In sintesi, la presenza della chiesa cattolica è ancora assai rilevante e capillare nel territorio
cuneese, con strutture organizzative e con ambienti capaci di attrarre ampie quote dei
giovani (almeno per un certo momento della loro vita).
Un ulteriore segno del forte peso della socializzazione religiosa dei giovani nella provincia
cuneese si ricava dai dati relativi all’assunzione dei primi sacramenti. Sull’insieme dei
giovani intervistati, il 98.5% dichiara di essere stati battezzato, il 98% di aver fatto la prima
comunione, il 96% di aver ricevuto la cresima. Soprattutto il dato della cresima appare
decisamente superiore al dato medio nazionale.
Questo scenario di sfondo ha un’indubbia influenza sui livelli di religiosità espressa dai
giovani cuneesi, anche se l’effetto della socializzazione religiosa di base appare nell’insieme
meno rilevante di quanto si potrebbe supporre. In altri termini, i tassi di credenza, di
orientamento e di pratica religiosa dei giovani della Provincia di Cuneo risultano nel
complesso più elevati di quelli riscontrabili sul totale dei giovani italiani (e in particolare di
quelli dei giovani di Torino e della sua provincia), ma meno diffusi di quanto ci si
attenderebbe considerando l’insieme dei giovani della Provincia di Cuneo che hanno
frequentato (in un certo periodo della vita) gli ambienti ecclesiali e parrocchiali.
Una posizione atea o agnostica (Tab. 20) coinvolge il 12% dei giovani intervistati e un altro
8% dichiara di credere in una forza o in un potere superiore di qualche natura. La restante
quota (80%) crede in Dio, anche se al riguardo le posizioni dubbiose sembrano prevalere
rispetto alle convinzioni certe. Meno del 30% dei giovani crede che Dio esiste veramente,
mentre il 50% circa vi crede con qualche dubbio o in modo intermittente (in alcuni momenti,
ma non in altri).
36
Tab. 20. Credenza in Dio
secondo me Dio non esiste 6.9 sono indifferente al tema dell’esistenza di Dio 5.2 non credo in un Dio, ma in un potere superiore di qualche natura 8.5 mi ritrovo a credere in Dio in alcuni momenti, mentre in altri no 18.3 sebbene abbia dei dubbi, sento di credere in Dio 31.5 so che Dio esiste veramente e non ho alcun dubbio 28.9 non indica 0.8
Oltre a credere in Dio, la maggioranza dei giovani cuneesi (i 2/3) riconosce l’importanza
della religione nella propria vita, anche se una parte con grande intensità e altri in modo
meno coinvolgente.
Se da questo dato di sfondo si passa a considerare l’espressione religiosa dei giovani (nelle
varie modalità in cui essa si può cogliere e manifestare), ci si trova di fronte a tre gruppi di
soggetti caratterizzati da posizioni differenti e numericamente perlopiù equivalenti:
- vi è anzitutto il gruppo dei giovani che si distinguono per una marcata identificazione
religiosa, che si esprime nel riconoscere l’importanza della fede cristiana nella propria vita,
nell’assiduità della preghiera, nella frequenza costante ai riti religiosi
- al polo opposto troviamo un consistente gruppo di soggetti che risultano distanti da un
effettivo riferimento di fede (anche se alcuni di essi dichiarano di credere in Dio o di essere
cattolici), denunciando lo scarso peso che la religione occupa nella loro vita e non
manifestando pressoché alcun coinvolgimento nella pratiche religiose (preghiera e
partecipazione ai riti)
- tra il gruppo dei più identificati e quello che potremmo definire dei “senza religione” vi è
una posizione intermedia, rappresentata da quanti manifestano una propensione religiosa
senza particolare coinvolgimento o secondo delle modalità molto intermittenti e soggettive;
e ciò sia nel sentimento che nella pratica religiosa, vuoi personale vuoi comunitaria.
Così, a titolo esemplificativo, il 35% dei giovani cuneesi riconoscono alla religione un ruolo
importante o fondamentale nella propria vita, mentre un 30% vi attribuisce un’importanza
relativa e oltre 1/3 dei casi considera la religione ai margini della propria vita o un
riferimento del tutto irrilevante.
Ancora, poco meno di ¼ dei giovani non frequenta mai i riti religiosi (e il 17% solo una o
due volte l’anno), mentre il 31% dei casi partecipa alle funzioni religiose in modo
discontinuo e il 27,5% almeno con una frequenza settimanale (Tab. 21).
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Tab. 21. Pratica religiosa domenicale, esclusi matrimoni e funerali
no 23.8sì, e cioè: 75.8− 1/2 volte l’anno 17.3− più volte l’anno 12.0− circa 1 volta al mese 8.0− 2/3 volte al mese 10.9− ogni settimana 25.0− più volte alla settimana 2.5− non indica 0.5
La distribuzione dei giovani sulla variabile della preghiera rispecchia con maggior difficoltà
la ripartizione esposta in precedenza, dal momento che il concetto di preghiera si presta a
molteplici interpretazioni. Tuttavia, il 23% del campione dichiara di non pregare mai, il 33%
in modo discontinuo (qualche volta all’anno o più frequentemente), mentre oltre il 40% dei
giovani ammette di pregare qualche volta alla settimana o ogni giorno (Tab. 22).
Tab. 22 – Frequenza della preghiera
Mai 22.7qualche volta durante l’anno 20.2qualche volta al mese 13.1qualche volta alla settimana 20.1circa una volta al giorno 23.5non indica 0.4
Al dato di fatto corrisponde la percezione soggettiva che i giovani hanno della loro posizione
religiosa, discorso questo che si applica soltanto a quanti (l’86% dei casi, come vedremo)
hanno ammesso di appartenere ad una religione. Anzi, da questo punto di vista il giudizio
che gli intervistati danno sulla propria condizione religiosa è più restrittivo di quanto essi
dichiarano sia a livello di orientamento che di pratica religiosa. Solo 1/5 dei giovani ritiene
di aderire alla fede religiosa in termini attivi e convinti, condizione questa tipica di
un’adesione di fede consapevole e partecipata. Parallelamente, ¼ dei giovani si definisce dal
punto di vista religioso come una persona convinta ma non sempre attiva, delineando quindi
una propensione religiosa che non sempre si traduce nell’esperienza. Poco più di ¼ dei
soggetti chiama in causa la tradizione o l’educazione ricevuta per definire la propria
religiosità; ciò per dire che si è religiosi più per motivi etnico-culturali che per specifiche
convinzioni spirituali. Infine, il 12% dei casi si considera ‘religioso’ a modo proprio,
identificandosi in alcune idee della propria religione di appartenenza.
Si è sin qui parlato di orientamento e di pratiche religiose degli individui senza introdurre il
discorso di quale sia la religione di appartenenza (Tab. 23).
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Tab. 23. Appartenenza religiosa
… alla religione cattolica 81.5 … ad una religione cristiana non cattolica (protestante, ortodossa, ecc.)
1.7
… a religioni non cristiane monoteiste (religione musulmana, ebraismo, ecc.)
0.2
… a religioni orientali (buddismo, induismo, ecc.) 0.2 … alla new age 1.2 Altro 1.1 non appartengo ad alcuna religione 14.0
Essendo la Provincia di Cuneo una zona a forte tradizione cattolica, poteva sembrar
superfluo affrontare questo tema, ipotizzando che il cattolicesimo continui ad essere la
cultura comune anche per le giovani generazioni, che – come s’è visto – sono nate e
cresciute sotto un’evidente influenza della socializzazione religiosa della chiesa cattolica.
Tuttavia, i dati relativi alla religione di appartenenza risultano – tra i giovani cuneesi – assai
più mossi di quanto fosse ipotizzabile. E ciò sia perché il 14% dei casi dichiara apertamente
di non riconoscersi in alcuna confessione religiosa; sia perché quasi il 5% dei giovani
residenti nella provincia di Cuneo (dato questo superiore alle tendenze medie nazionali)
fanno riferimento a confessioni e gruppi religiosi diversi dalla chiesa cattolica (ad altre
confessioni o chiese cristiane e non, alla new-age, ecc.). Nei contesti caratterizzati da una
socializzazione religiosa lunga e omogenea, non è infrequente trovare una certa varietà di
posizioni e di appartenenze religiose, come effetto di reazione al ruolo preminente esercitato
nell’ambiente dalla fede della tradizione. In rapporto a queste indicazioni emerge quindi che
i giovani che appartengono alla religione cattolica ammontano all’81.5% dell’insieme della
popolazione giovanile, una quota questa un po’ inferiore rispetto al dato nazionale.
Nonostante tutte le discontinuità segnalate, la maggior parte dei giovani della Provincia di
Cuneo continua ad attribuire valore alla proposta religiosa, considerando la fede come una
risorsa di significato cui attingere non soltanto in particolari circostanze o momenti
dell’esistenza (matrimonio, nuove nascite, funerali, ecc.) ma anche nell’ambito della vita
quotidiana ordinaria, (Tab. 24).
Tab. 24. Grado di accordo o disaccordo su alcune questioni legate alla religione
Molto Abba-stanza
Poco Per niente
la fede religiosa è uno dei valori di fondo della mia famiglia di appartenenza/di origine
28.2 40.8 21.4 8.9
è importante che tra me e il mio partner vi sia sintonia anche sulle questioni religiose
15.3 32.2 29.0 22.6
è importante dare un’educazione religiosa ai figli
30.3 44.2 16.5 8.2
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Così, ad esempio, il 70% del campione ritiene che la fede religiosa sia uno dei valori di
fondo della propria famiglia di origine, che (come s’è visto) ha contribuito a delineare quel
modello di relazioni familiari particolarmente apprezzato dalle giovani generazioni. Ma la
considerazione della fede religiosa non si limita all’influenza positiva che essa può aver
avuto nel passato. Il 75% dei giovani infatti (anche quindi di una parte dei soggetti
caratterizzati da un atteggiamento discontinuo nei confronti della religione, o che non sono
attivi in questo campo, o che credono più per tradizione che per convinzione) ritiene che sia
importante dare un’educazione religiosa ai propri figli. Infine, poco meno della metà dei
giovani (quindi una quota ben superiore a quanti vivono la fede in modo attivo e convinto)
vorrebbe che nel proprio rapporto di coppia vi fosse sintonia anche sulle questioni religiose.
L’attenzione alla fede religiosa è del resto ribadita anche da quanti (il 76% dei casi)
dichiarano o di essersi sposati in chiesa o che intendono ricorrere al rito religioso in caso di
matrimonio.
In sintesi, prevale tra i giovani della Provincia di Cuneo un orientamento religioso diffuso,
con la grande maggioranza dei soggetti che – almeno idealmente – riconosce l’importanza di
un riferimento religioso, accetta i valori cristiani, dichiara l’appartenenza al cattolicesimo. Il
fenomeno dell’ateismo e dell’agnosticismo interessa una minoranza di giovani (circa il
12%), mentre i ‘non appartenenti’ alle ‘chiese’ ammontano a meno di 1/6 del campione. La
gran maggioranza di chi dichiara un’appartenenza religiosa si definisce cattolico, dato questo
che indica quanto sia diffusa la tendenza – anche nelle giovani generazioni – a riconoscersi
nella fede della tradizione. Tuttavia anche nel cuneese la religione comincia a diventare
plurale; e ciò sia come fenomeno di reazione alla religione per lungo tempo prevalente, sia
per la presenza dei nuovi flussi migratori.
Il pluralismo religioso assume anche un carattere nostrano e si manifesta in un forte processo
di differenziazione del modello della religiosità prevalente; vi sono, infatti, modi molto
diversi per definirsi e ritenersi cattolici e di interpretare la fede cristiana. La maggioranza dei
giovani presenta degli atteggiamenti religiosi discontinui o molto selettivi nei confronti della
proposta religiosa avanzata dalla chiesa. Per contro, vi è una minoranza consistente di
soggetti che interpreta in modo attivo e convinto la propria adesione religiosa e che
manifesta in molti campi degli orientamenti e dei comportamenti distintivi rispetto
all’insieme della popolazione tali da giustificare l’idea della persistenza di una ‘sub-cultura’
cattolica nell’ambiente sociale.
40
Tutto ciò avviene in un contesto in cui la chiesa cattolica mantiene una presenza di rilievo
nel territorio, operando a vari livelli per l’integrazione sociale e per far fronte alla domanda
religiosa.
41
7. Valori e morale
Sono già emerse varie indicazioni sugli orientamenti di valore prevalenti tra i giovani della
Provincia di Cuneo, che – al pari dei loro coetanei nazionali – danno grande rilievo alle loro
possibilità espressive, domandano autonomia, mettono al centro dei loro interessi lo scambio
e il sostegno affettivo, sono alla ricerca di ambienti e rapporti gratificanti, moltiplicano le
esperienze in molti campi di vita.
Al di là di questo scenario di fondo, si è cercato di affrontare in modo esplicito il tema dei
valori attraverso una batteria di giudizi circa l’ammissibilità o meno di una serie di
comportamenti individuali e sociali (Tab. 25).
Tab. 25. Comportamenti giustificabili o ingiustificabili
Per niente giustifica
bile
Poco giusti- ficabile
Abba- stanza
giustifi- cabile
Del tutto giustifica-
bile
Non risponde
gettare rifiuti in un luogo pubblico 79.2 16.6 2.3 0.5 1.4cercare di ottenere dallo Stato benefici a cui non si ha diritto (pensioni invalidità, assegni fam.)
71.0 18.9 4.4 3.3 2.4
fare a botte per fare valere le proprie ragioni
63.2 26.6 6.5 2.2 1.6
comperare qualcosa sapendo che proviene da un furto (fatto da altri)
55.1 29.2 10.4 3.0 2.3
non pagare le tasse (o pagarle meno del dovuto) se si ha la possibilità
52.0 25.1 14.9 5.3 2.6
prostituirsi 52.3 28.0 11.0 4.4 4.4assentarsi dal lavoro quando non si è realmente ammalati
41.7 44.6 9.0 2.4 2.2
usare droghe leggere (marijuana, hashish) 36.4 25.4 20.1 14.4 3.7dire il falso nel proprio interesse 35.1 44.3 15.1 2.9 2.6utilizzare manodopera in nero 34.4 37.5 23.0 3.0 2.1abortire 27.3 24.3 24.8 17.3 6.4avere rapporti omosessuali 21.1 13.0 21.9 36.8 7.2ricorrere alla fecondazione artificiale 13.4 17.8 30.2 33.5 5.1richiedere l’eutanasia 12.8 14.0 31.3 32.7 9.1divorziare 7.5 14.6 25.8 49.3 2.7vivere insieme senza essere sposati 3.6 9.4 21.2 63.9 1.9
I comportamenti meno accettati risultano nell’ordine:
- il gettare rifiuti in un luogo pubblico (96%)
- cercare di ottenere dallo Stato dei benefici a cui non si ha diritto (90%)
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- fare a botte per affermare le proprie ragioni (90%)
- assentarsi dal lavoro quando non si è ammalati (86%)
- praticare la prostituzione (80%)
- dire il falso nel proprio interesse (79%)
- non pagare le tasse (77%)
- utilizzare manodopera in nero (72%)
- fare uso di droghe leggere (62%)
- abortire (52%)
Anche se la diffusione della riprovazione sociale è assai diversa da caso a caso, tutti questi
comportamenti risultano condannati da oltre la metà dei giovani analizzati. Su altri
comportamenti, invece, la percentuale di giovani che esprime un giudizio negativo è
decisamente inferiore, per cui si tratta di azioni oggetto di riprovazione da parte di una
minoranza (in alcuni casi anche consistente) di soggetti.
Tra questi:
- avere rapporti omosessuali (34%)
- ricorrere alla fecondazione artificiale (31%)
- richiedere l’eutanasia (27%)
- divorziare (22%)
- vivere insieme senza essere sposati (13%).
Con poche eccezioni, tra i comportamenti più oggetto di riprovazione da parte dei giovani
troviamo tutta una serie di azioni di tipo sociale, che infrangono norme e regole alla base
della convivenza pubblica. La condanna più forte è dunque rivolta verso azioni e scelte che
possono minare l’ordine collettivo, che scardinano la vita civile, che sono espressione di
interessi ‘particolaristici’ caratterizzati da conseguenze negative per la comunità più ampia.
Sono questi i casi di chi cerca di frodare lo Stato, di chi mente per il proprio tornaconto
personale, di chi calpesta i diritti degli altri, di chi non rispetta l’ambiente, e così via. Al
riguardo, ciò che fa più problema non è tanto la violazione di norme e regole base della
convivenza civile, di una vita socialmente ordinata; quanto il fatto che queste scelte
particolaristiche ledono sempre i diritti altrui e sono foriere di conseguenze negative per la
collettività. Si presterebbe, in altri termini, particolare attenzione ai costi sociali connessi a
comportamenti individuali sregolati, che ricadono necessariamente sulla vita comune.
Stando a queste prime indicazioni, si potrebbe affermare che la morale sociale dei giovani
cuneesi è ancora particolarmente vigile e attiva, e non si piega ad un costume – che sembra
piuttosto diffuso nel nostro paese – di perseguimento di interessi individuali a scapito di
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quelli collettivi. I giovani della Provincia di Cuneo, in altri termini, sembrerebbero ancora
riflettere una cultura e tradizione locale che ha sempre riconosciuto l’importanza dei doveri
sociali e delle regole di fondo della convivenza civile. Questa constatazione non impedisce
comunque di osservare la fragilità di alcune riprovazioni, che possono suonare più come
petizione di principio (o come difesa ideale di certi valori) che come riflesso di criteri morali
effettivamente interiorizzati. Mi riferisco, ad esempio, (ma questo esercizio può riguardare
anche altri comportamenti) alla diffusa condanna di azioni che non rispettano l’ambiente
(come il gettare rifiuti in luogo pubblico), criterio questo che se fosse rispettato ci calerebbe
in un paese (ma forse anche in una Provincia di Cuneo) assai più lindo di quanto lo
conosciamo.
Tra i comportamenti più condannati non vi sono comunque solo quelli che hanno
conseguenze problematiche a livello sociale, ma anche alcuni relativi alla morale
individuale. E’ questo il caso dell’uso di droghe leggere e dell’aborto, condannati
rispettivamente dal 62% e dal 52% dell’insieme dei giovani.
Su questi temi – assai dibattuti a livello pubblico – la posizione dei giovani si divide, con
una maggioranza che riprova tali azioni e con una minoranza assai consistente che li ritiene
in qualche modo giustificabili. Ciò significa che su questioni di morale individuale pur assai
importanti (come quella dell’aborto), che chiamano in causa la libertà e la responsabilità del
singolo, l’insieme dei giovani della Provincia di Cuneo esprime un’articolazione di posizioni
che non si riscontra nel campo della morale sociale.
La sfera della morale individuale e familiare appare dunque più incerta e controversa di
quella della morale sociale; e ciò anche in una terra – quella cuneese appunto – fortemente
segnata dalla presenza cattolica e dall’esposizione della gente agli influssi della religione di
chiesa.
Il discorso qui iniziato trova ampia conferma nell’analisi dei comportamenti su cui si registra
una minor riprovazione sociale da parte dell’insieme dei giovani della Provincia di Cuneo. Si
tratta perlopiù di azioni attinenti a scelte individuali, che rientrano nel campo della morale
sessuale e familiare, sulle quali si osserva una marcata autonomia di giudizio dell’insieme
dei giovani rispetto alle posizioni espresse al riguardo dal magistero ecclesiale.
Così, come s’è visto, i 2/3 dei giovani approvano i rapporti omosessuali, e una quota più
ampia il ricorso all’eutanasia e alla fecondazione artificiale; ancora, la possibilità del
divorzio non fa problemi a quasi l’80% dei giovani e il vivere ‘more uxorio’ a poco meno
del 90% dei casi.
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Se si confrontano questi dati con le tendenze nazionali si osserva che nella Provincia di
Cuneo i giovani risultano sensibilmente più libertari e tolleranti – nel campo della morale
sessuale e familiare – dell’insieme dei giovani italiani. Questa maggior permissività e libertà
di giudizio può essere un effetto dei profondi e repentini mutamenti culturali ed economici
che hanno investito le terre di questa Provincia negli ultimi decenni. Già nell’indagine di 5
anni or sono (sull’insieme della popolazione delle Diocesi della Provincia di Cuneo) erano
emersi questi indizi di criticità, che ora vengono confermati dalle posizioni dei giovani. I
giovani della Provincia di Cuneo, dunque, sembrerebbero più secolarizzati (nel costume e
negli orientamenti della sfera privata) dell’insieme dei coetanei nazionali; e ciò nonostante
che nelle terre del cuneese l’influenza della chiesa cattolica e della socializzazione religiosa
sia maggiore e più capillare di quella riscontrabile sul territorio nazionale.
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APPENDICE Alcune variabili strutturali 1. SESSO Maschi 51.1
Femmine 48.9 2. ETA’
16/17 anni 11.2 18/19 anni 11.8 20/21 anni 12.5 22/23 anni 13.7 24/25 anni 15.6 26/27 anni 17.3 28/29 anni 17.9
3. AREA GEOGRAFICA
− ALBA 21.4− BRA-SAVIGLIANO 16.0− CUNEO 19.5− FOSSANO 8.2− MONDOVI’ 18.1− SALUZZO 16.8
4. VIVE CON
da solo/a 5.8 con il coniuge 8.8 con il partner/convivente 6.5 con i figli 4.8 con mia madre 75.7 con mio padre 69.6 con i fratelli/sorelle 45.9 con i nonni/zii 3.8 con altre persone (parenti o non parenti) 1.9
5. OCCUPAZIONE
LAVORO A TEMPO INDETERMINATO 29.4 LAVORO A TEMPO DETERMINATO 11.7 LAVORO PARASUBORDINATO (prest. occas., co.co.co, a progetto 2.1 LAVORATORE AUTONOMO 12.1 STUDENTE E LAVORATORE 9.2 STUDENTE A TEMPO PIENO 31.1 DISOCCUPATO (prima lavorava) 1.9 CASALINGA/O 0.5 IN CERCA DI PRIMA OCCUPAZIONE 1.1 IN SERVIZIO CIVILE O DI LEVA 0.9
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