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  • 52 Sabato 10 Maggio 2014 Corriere della Sera

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    IL CASO SOPAF-MAGNONI

    I controlli inesistenti della finanzaL’esempio Usa che non vogliamo vederedi SALVATORE BRAGANTINI

    BUON GOVERNO

    Einaudi, un’eredità attuale e scomoda

    I n questi ultimi anni, alcune delle più altecariche dello Stato hanno avvertito il biso-gno di un richiamo all’eredità di Luigi Ei-naudi. Un’eredità complessa, e forse piùscomoda di quanto sembri, che sintetizzereinel compito che Einaudi affidava ai liberali diogni generazione: custodire quel «bene su-premo che è la libertà dell’uomo», in vista diun «ideale» buon governo, nella consapevo-lezza di una tensione incolmabile con il realee di una ricerca che, dunque, è sempre aperta.Ma se «buon governo» è ormai uno sloganabusato, qual è il senso più autentico del buongoverno einaudiano?

    Oggi come allora, è sempre dopo una «cri-si»che la ricerca ricomincia. Per Einaudi essaemergeva dall’urgenza di ricostruire le istitu-zioni liberali distrutte dalla prima guerramondiale, dal fascismo e dalla crisi economi-ca del 1929. Ma oggi più che mai è vera la suatesi secondo cui il problema economico nonpuò risolversi solo con mezzi economici, es-sendo parte di un più ampio assetto «spiritua-le e morale». Il liberismo sostenuto da LuigiEinaudi si regge innanzitutto su regole mora-li: quanto più lo Stato aumenta la sua ingeren-za nell’economia, tanto più aumentano le oc-casioni di connivenze e corruzione, di sovrac-carico del bilancio statale, di ricerca di renditee di svilimento della libera iniziativa indivi-duale, e di sfiducia generalizzata verso lo Stato

    e la classe politica. Pochi pensatori furono,più di Einaudi, cantori dell’uomo libero, re-sponsabile e artefice del suo destino, che lot-ta, cade e si rialza, «imparando a proprie spe-se a vincere ed a perfezionarsi» (La bellezzadella lotta, 1923). L’idea di fecondità della lot-ta veniva da lui estesa alla società civile e alleistituzioni, nei termini di concorrenza e di-scussione critica.

    Muovendo da questo principio, Einaudi hacombattuto con coraggio innumerevoli batta-glie riformiste: contro il paternalismo politi-co, i monopoli, il privilegio, la burocrazia, lecorporazioni, l’«assalto alle risorse pubbli-che», e contro le ingiustizie perpetrate dai po-chi e dai «furbi» a danno dei molti. Preconiz-zando la fine del principio di sovranità, Einau-di si è spinto a immaginare un mercato unicoeuropeo e una Europa politica, con una mo-neta unica e istituzioni e bilancio federali. Hacombattuto per il valore delle associazioni in-termedie come peculiare tessuto connettivodella società civile, e per le autonomie localipiù vicine al cittadino. Ha poi insistito sull’im-portanza di un ampio ceto medio, per la suafunzione di «mediazione» nei termini diequilibrio e coesione sociale, in vista di unasocietà non eccessivamente sperequata e ingrado di garantire una maggiore eguaglianzanei punti di partenza.

    Un’eguaglianza che avrebbe però dovuto ri-

    conoscere le ragioni del merito: una società che nega la fecondità della lotta, della varietà edel dissenso, non solo impedisce l’emersionedei migliori ma si preclude, in senso più am-pio, qualunque prospettiva di miglioramento.Ecco perché la società liberale da lui auspicataè ancora davanti a noi, non dietro di noi.

    Tale società può dirsi «aperta» se non hapaura di rischiare. Essa deve lasciare spazioagli «intraprendenti», affinché «possano continuamente rompere la frontiera del noto,del già sperimentato, e muovere verso l’ignotoancora aperto all’avanzamento materiale emorale dell’umanità» (In lode del profitto, 1957). La parola «aperta»traduce l’istanza chetale società rimanga, per così dire, «ideale», edunque sempre pronta al cambiamento, nonperfetta ma perfettibile, lungo un cammino ditentativi ed errori. Per questo il buon governonon può che configurarsi come problema ecome ricerca. Niente di più lontano da unoslogan.

    La lotta di Einaudi contro i mali del suotempo dev’essere testimonianza che il futuroè sempre aperto, e che un altro mondo è anco-ra e sempre possibile. Anche per noi è arrivatoil momento di ricostruire. Avremo il coraggiodi rischiare? Sapremo essere all’altezza di quelsogno?

    *docente di filosofia all’Università di Torino© RIPRODUZIONE RISERVATA

    CON

    C

    di PAOLO SILVESTRI*

    Un documento della Federal Com-munications Commission ameri-cana, contenente nuove regole sulla Netneutrality, sta creando allarme nel mondoweb. E non c’è da stupirsene: la neutralitàdella Rete, cioè la possibilità di pagare ununico pedaggio indipendentemente dallaquantità di dati utilizzata, è infatti consi-derata da alcuni diritto inviolabile.

    Questo tabù è messo og-gi in discussione dalla boz-za di regolamento dellaFcc, che, se approvata, fa-rebbe nascere Internet adue velocità: una corsia piùrapida riservata a chi pagadi più e una carreggiata piùlenta per gli altri. Alla basedella rivoluzione normati-va non c’è un capriccio teo-rico dell’Authority ma unsommovimento reale che sta cambiandoInternet in profondità. L’enorme aumentodel traffico dati fisso e mobile, il boom de-gli smartphone e la diffusione dei tablet ri-chiedono forti investimenti nelle reti di te-lecomunicazione. E creano benefici so-prattutto per i colossi che quei dati produ-cono, come Google, Netflix e Amazon, e inmisura inferiore per le società di teleco-municazione che li trasportano sulle pro-

    prie infrastrutture. Le reti fisse in fibra ot-tica, così come le nuove generazioni tecno-logiche mobili, richiedono investimentiforti. Non è quindi sorprendente che a sol-lecitare la «doppia Internet» siano aziendecome Verizon in America ma anche Voda-fone e Deutsche Telekom in Europa.

    La Fcc ha insomma ragioni più che fon-date per voler ripensare la Net Neutrality,

    checché ne dicano i nuovidemagoghi digitali. Nessu-no, del resto, s’indigna sein autostrada un camionpaga più di una moto. O sel’utente del Telepass o ilviaggiatore del Frecciaros-sa versano un sovrappiù incambio di comodità e velo-cità. Perché questa regolanon dovrebbe valere per leautostrade virtuali? Profitti

    e costi dell’innovazione devono essere ri-partiti in modo più equo: tra chi gestisce leinfrastrutture, chi aggrega i dati e chi li uti-lizza (cioè tutti noi), e che ha sacrosanto diritto a migliori prestazioni. Anche Goo-gle e gli altri signori della Rete possonocontribuire a pagare il conto.

    Edoardo [email protected]

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

    LA POLIOMIELITE DI NUOVO IN MARCIAANCHE L’OCCIDENTE TORNA IN PERICOLO

    Il virus della poliomielite è dinuovo in marcia e l’Organizzazio-ne Mondiale della Sanità (Oms) ha decre-tato «lo stato di allerta per la salute pub-blica globale». Negli ultimi tempi Paki-stan, Siria e Camerun hanno esportatocasi di malattia e da qui in avanti potreb-be accadere il peggio dal momento che imesi estivi sono quelli più a rischio di tra-smissione. Così l’infezione potrebbe rag-giungere l’Europa (soprattutto attraversoi profughi siriani, come ha avvertito la ri-vista inglese Lancet) e le possibilità dicontagio diventare concrete. Perché è ve-ro che la popolazione è vaccinata, ma lamaggior parte (a partire dal 2002 quandoè stata certificata l’eradicazione della po-lio dalla Regione europea) ha ricevuto ilvaccino Salk (per iniezione) e non più ilSabin (per bocca) perché il secondo pote-va provocare, anche se raramente, parali-si flaccida, ma il primo è meno efficacenel proteggere dalla malattia.

    La poliomielite doveva essere la terzamalattia infettiva, dopo il vaiolo e la pestebovina degli animali, a scomparire dallafaccia della Terra, ma non sta succeden-do, nonostante le ampie campagne divaccinazione in tutto il mondo. Complici

    i Talebani, che nelle zone tribali del Paki-stan hanno bandito le vaccinazioni accu-sando gli operatori sanitari di spionag-gio, e la guerra civile in Siria, che ha di-sgregato il sistema sanitario.

    Così l’Oms raccomanda che siano vac-cinati tutti coloro che escono dalle tre na-zioni esportatrici di virus. Ma altri settePaesi hanno segnalato casi di malattia co-me Afghanistan, Guinea Equatoriale,Etiopia, Iraq, Israele, Somalia e Nigeria. Pochi in totale: 68 nei primi mesi del2014, ma che, appunto, preoccupano pro-prio perché si era a un passo dall’eradica-zione della malattia.

    Molti Paesi occidentali polio free, in-fatti, rischiano di non essere più attrezza-ti per affrontare un’eventuale emergenza,come si stanno rivelando fragili di fronteal riemergere di un’altra malattia chesembrava appannaggio del passato: la tu-bercolosi. Ecco perché è indispensabilemettere in atto qualsiasi sforzo per pro-muovere la somministrazione del vacci-no nei Paesi con casi di infezione, ma an-che tenere alta la guardia in Occidente.

    Adriana [email protected]

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

    LA PAURA DELLA RETE A DUE VELOCITÀUN’ALTRA ARMA PER I DEMAGOGHI VIRTUALI

    PREGHIERA, UNA TRADIZIONE AMERICANALA CORTE SUPREMA E UNA SOCIETÀ PIÙ LAICA

    Dal 1999 le riunioni del consi-glio comunale di Greece, unacittà di centomila abitanti nello stato diNew York, si aprono con una preghiera,affidata a turno al rappresentante di una delle chiese presenti in loco. Ungruppo di cittadini ha contestato l’ini-ziativa, in nome dei pari diritti di chinon crede e di chi crede diversamente.Il municipio ha difeso l’invocazione cri-stiana, nelle varie versioni confessiona-li: non ha voluto organizzare preghiereecumeniche o interreligiose né ha invi-tato ministri in rappresentanza di reli-gioni non cristiane.

    La controversia è finita in tribunale.Lunedì scorso, la Corte suprema ha infi-ne deciso in favore del comune di Gree-ce. Ancorché confessionale, la preghie-ra organizzata da un organo comunalenon lede il divieto d’istituire una reli-gione di Stato previsto dal primo emen-damento della costituzione degli StatiUniti. Per il giudice Kennedy, estensoredella sentenza, la preghiera in occasionipubbliche è diventata col tempo «partedell’eredità e della tradizione naziona-le». Invocando la benedizione di Dio

    sulle scelte compiute in nome della co-munità si sottolinea l’importanza dei ri-ti civili e si riconosce, scrive ancora Ken-nedy, il «ruolo della religione nella vitadi tanti privati cittadini». La decisionerafforza la crescente distanza della Cor-te suprema dall’interpretazione del pri-mo emendamento in chiave di laicità, dineutralità delle istituzioni, di separazio-ne tra Stato e chiese. La costituzione, cidice ora la corte, è violata non quando ilgoverno preferisce una chiesa a un’altra,o la religione alla non religione, ma sol-tanto quando, scrivono i giudici Scalia eThomas, il governo usa del suo potere per «finanziare la chiesa, obbligare aiprecetti religiosi o interferire nelle dot-trine religiose». L’orientamento è chia-ro, ma tutt’altro che unanime. Specchiodi un’America in cui crescono i non cri-stiani e gli agnostici, la Corte si è spac-cata. Hanno sottoscritto la decisione so-lo cinque giudici, tutti cattolici, su nove.Sarà arduo conciliare l’America cristia-na della tradizione con le tante fedi del-l’America d’oggi.

    Marco Ventura© RIPRODUZIONE RISERVATA

    SEGUE DALLA PRIMA

    Servirebbe spietatezza nell’analisi del-le nostre manchevolezze, ma purtroppoquesto non è carattere tipico della nostrasocietà: siamo inclini al perdono dato al-la leggera, nella speranza che un giorno,se toccasse a noi averne bisogno, lo rice-veremmo con altrettanta facilità.

    Tutti dobbiamo augurarci che gli arre-stati possano provare la propria inno-cenza rispetto ai gravi reati loro contesta-ti. Se i fatti sono quelli ieri resi noti, tut-tavia, bisogna pur prenderne atto, al di làdella loro qualificazione giuridica. In So-paf si sono potute realizzare operazioni finanziarie almeno spericolate, senzagrandi ostacoli, fino all’irruzione dellamagistratura.

    Dobbiamo domandarci dove era, inquel caso, la moltitudine di livelli di con-trollo che la nostra farraginosa legisla-zione impone a tutti, onesti e disonesti.

    Non produciamo né gli anticorpi né gliantidoti, perché non sembriamo pren-dere nota di questi comportamenti, nonne percepiamo la gravità, fino a quandosi spalancano le porte del carcere. I con-trolli spettano sempre a qualcun altro, laresponsabilità non è mai nostra. Se nonemergono elementi che un magistratoritenga penalmente rilevanti, finché nonscattano le manette, per noi nulla acca-de; e anche dopo non è detto che cambiqualcosa. In questa luce andava letta laproposta del ministero dell’Economiavolta a vietare la nomina in Consiglio diamministrazione (Cda) di persone cheabbiano riportato condanne, propostache i grandi fondi d’investimento hannoinvece bocciato in assemblea Eni: l’hanfatto, evidentemente, nella corretta sì,ma astratta, convinzione che spetti alCda sfiduciare un amministratore «mac-chiato».

    Ne soffre la nostra reputazione, in unmondo già di per sé incline ad affibbiarciun giudizio morale negativo sommario,forse ingiusto ma del quale non possia-mo scordarci.

    Con tutti i loro ben noti difetti, gli Usamostrano la reazione giusta di un grandePaese ad eventi che minano le basi dellaconvivenza civile: bisogna guardarsidentro per cogliere al proprio interno, estroncare, i sintomi di una grave malat-tia. La Securities and Exchange Commis-sion (Sec), organo di controllo dei mer-

    cati mobiliari americani, dopo un glorio-so passato veniva da una lunga stagionedi appannamento, ravvisabile nella man-canza di attivismo nella lunga incubazio-ne della grande crisi finanziaria, o nellamancata reazione alle segnalazioni sulleanomalie delle gestioni (poi rivelatesitruffaldine) di Bernard Madoff.

    Dall’inizio della crisi è toccato a duedonne presidenti, prima Mary Schapiro(esperta di mercati finanziari), poi aMary Jo White, ex procuratrice distret-tuale a New York, rimettere la Sec sul bi-nario giusto. Davanti ai disastri della cri-si, Schapiro aveva badato al sodo, cercan-do di far pagare il massimo possibile perle loro malefatte alle investment bank;queste pagavano sì ma senza riconoscerealcuna violazione di norme, anche perdepotenziare le indagini penali (su cuinegli Usa anche la Sec è competente).

    È stata la magistratura, a partire delladecisione del giudice federale JedRakoff, a costringere la Sec a invertire larotta, respingendo la sua proposta di un«patteggiamento» con Citicorp. Dopo dilui anche altri giudici federali hanno re-spinto proposte simili, sostenendo cheesse pur assicurando buoni incassi, im-pediscono l’indispensabile risanamentodi un ambiente finanziario gravementemalato.

    È più importante far emergere i fatti, ecostringere i responsabili ad assumerse-ne le responsabilità, che incassare i sol-di, anche tanti soldi. Di qui la scelta dellanuova presidente, White, che ha presouna linea determinata, andando fino infondo nelle indagini; ne sono venuti in-cassi miliardari, ben superiori ai «pat-teggiamenti», ma soprattutto è comin-ciata a venir fuori la verità.

    Non c’è bisogno di imitare in toto laSec, che costituisce perfino società di co-pertura per adescare e incastrare poten-ziali criminali; basterebbe che noi alme-no usassimo bene le risorse che abbia-mo, senza atteggiamenti retrò (comequello della Consob per i calcoli probabi-listici sul rendimento dei titoli offerti alpubblico). Prendiamo però esempio daWhite, che ha lanciato un grande pianodi investimenti in tecnologia informati-ca, essenziale per decifrare programmi ealgoritmi utili a realizzare le strategie ditrading. Big data sconvolgerà anche la vi-gilanza.

    La lezione sarebbe chiara, per chi aves-se voglia di ascoltarla: controlli più sem-plici, ma con chiara attribuzione e rico-noscimento delle responsabilità, un po’più di schiena dritta da parte di tutti. E indagini senza paraocchi per far emerge-re i fatti.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA


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