2
poesie e filastrocche pagina 3
le maschere tradizionali italiane pagina 16
Le maschere: dettati ortografici e letture pagina 21
Il carnevale: dettati ortografici e letture pagina 25
storia delle maschere pagina 31
il carnevale nella storia pagina 35
le origini del carnevale pagina 37
carnevale qui e lì per il mondo pagina 38
carnevale qui e lì per l’Italia pagina 40
teatrino di carnevale: dialoghi tra le maschere pagina 41
3
Poesie e filastrocche
Pranzo e cena
Pulcinella ed Arlecchino
cenavano insieme in un piattino:
e se nel piatto c'era qualcosa
chissà che cena appetitosa.
Arlecchino e Pulcinella
bevevano insieme in una scodella,
e se la scodella vuota non era
chissà che sbornia, quella sera. (G. Rodari)
Il vestito di Arlecchino
Per fare un vestito ad Arlecchino
ci mise una toppa Meneghino:
ne mise un'altra Pulcinella,
una Gianduia, una Brighella.
Pantalone, vecchio pidocchio,
ci mise uno strappo sul ginocchio,
e Stenterello, largo di mano,
qualche macchia di vino toscano.
Colombina che lo cucì
fece un vestito stretto così.
Arlecchino lo mise lo stesso,
ma ci stava un tantino perplesso.
Disse allora Balanzone,
bolognese dottorone:
"Ti assicuro e te lo giuro
che ti andrà bene il mese venturo
se osserverai la mia ricetta:
un giorno digiuno e l'altro bolletta." (G. Rodari)
Pagliaccio
Ed ecco un flauto si mette a suonare.
Allora un pagliaccio rosso
coperto di campanellini
esce a ballare con lazzi ed inchini!
E tenta una capriola...
fa finta di farsi male...
ride...
Si rizza con un salto mortale!
Poi s'arrampica, come fa il gatto
per acchiappare i pipistrelli!
E poi fa finta di ruzzolare,
perchè ridano tutti quanti. (U. Betti)
4
L'allegra mascherata
Che risate che allegria
per la via!
Con tamburi di cartone,
con lustrini di... stagnola,
i monelli
van cantando a squarciagola.
Son vispi come uccelli
che han trovato
l'usciolino spalancato
dell'aerea prigione.
Chi s'è tinto di carbone,
chi s'è tutto infarinato,
chi strombetta per la via...
che allegria! (M. Castoldi)
Burattini
Son di legno, son piccini,
sono svegli e birichini,
semre buoni ed ubbidienti,
sempre allegri e sorridenti,
son delizia dei bambini:
viva, viva i burattini.
Pulcinella ed Arlecchino,
Stenterello e Meneghino,
e Brighella e Pantalone,
Facanappa e Balanzone,
fanno ridere i bambini:
viva, viva i burattini.
Quando alcun non li molesta,
dormon tutti nella cesta,
se ne stanno in compagnia,
sempre in pace ed armonia,
come tanti fratellini,
viva, viva i burattini. (E. Berni)
Il gioco dei "se"
Se comandasse Arlecchino
il cielo sai come lo vuole?
A toppe di cento colori
cucite con un raggio di sole.
Se Gianduia diventasse
ministro dello Stato
farebbe le case di zucchero
con le porte di cioccolato.
Se comandasse Pulcinella
la legge sarebbe questa:
a chi ha brutti pensieri
sia data una nuova testa. (G. Rodari)
5
Maschere
Sono una maschera dotta e sapiente
chiacchiero molto, concludo niente!
Son di Bologna un gran dottore,
mi sottopongono ogni malore,
ed io con l'abile mia parlantina
sputo sentenze di medicina.
Curo il malato col latinorum
per omnia saecula saeculorum!
Sono una maschera multicolore
di professione fo il servitore.
Mia prima origine fu bergamasca,
ma non avendo mai un soldo in tasca
vissi a Venezia come emigrante.
Son litigioso, furbo, intrigante,
ma sono il principe dei birichini!
Sono una maschera sempre affamata
biancovestita e mascherata.
Mia patria è Napoli, dove perfetti
nascono i piatti degli spaghetti.
Son della terra delle canzoni,
son del paese dei maccheroni,
son specialista in bastonate:
quante ne ho prese tante ne ho date! (D. Volpi)
La maschera
Vent'anni fa mi mascherai pur io!
E ancora tengo il muso di cartone
che servì per nasconder quello mio.
Sta da vent'anni sopra un credenzone
quella maschera buffa, ch'è restata
sempre con la medesima espressione,
sempre con la medesima risata. (Trilussa)
La trombettina
Ecco che cosa resta
di tutta la magia della fiera:
quella trombettina,
di latta azzurra e verde
che suona una bambina...
Ma, in quella nota sforzata,
ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi,
c'è la banda d'oro rumoroso,
la giostra coi cavalli, l'organo, i lumini.
Come, nel gocciolare della gronda,
c'è tutto lo spavento della bufera,
la bellezza dei lampi e dell'arcobaleno;
nell'umido cerino d'una lucciola
che si sfa su una foglia di brughiera,
tutta la meraviglia della primavera. (C. Govoni)
6
Armi dell'allegria
Eccole qua
le armi che piacciono a me:
la pistola che fa solo "pum"
(o "bang", se ha letto
qualche fumetto)
ma buchi non ne fa...
Il cannoncino che spara
senza fare tremare
nemmeno il tavolino...
il fuciletto ad aria
che talvolta per sbaglio
colpisce il bersaglio
ma non farebbe male
nè a una mosca nè a un caporale...
Armi dell'allegria!
Le altre, per piacere,
ma buttatele tutte via! (G. Rodari)
Che allegria!
Guarda, mamma, nella via
quanta gente e che allegria!
Che bizzarre mascherate,
dalla banda rallegrate!
Quante voci, quanti fiori
quanta gioia inonda i cuori!
Vedo Cecca e Meneghino,
Scaramuccia ed Arlecchino,
e quell'altro? Ah, è Trivella,
che dà il braccio a Pulcinella!
E quel goffo Pantalone
con i baffi... di cartone?
Or s'avanzano bel bello
e Pagliaccio e Stenterello...
Senti, senti, mia mammina,
che gazzarra! Una ventina
di giocondi fanciulletti
mascherati da folletti. (G. Pisani)
7
Le maschere
Io sono fiorentino
vivace e birichino;
mi chiamo Stenterello
l'allegro menestrello.
Cantando stornellate
fo far mille risate.
Ed ecco qua Brighella,
la più brillante stella
del gaio carnevale
quando ogni scherzo vale...
Arrivo io ballando,
scherzando e poi saltando.
Mi chiamano Arlecchino
e sono il più carino.
Mi chiamo Pantalone:
il vecchio brontolone;
ma in tutto onor vi dico:
"Io sono vostro amico".
Ed io son Pulcinella!
La maschera più bella.
Oh oh, che ballerino,
somiglio ad un frullino... (S. Antonelli)
Carnevale
E' arrivato carnevale
con coriandoli e stelline
e graziose mascherine.
Van cantando per la via
in allegra compagnia
Arlecchino e Pulcinella
Balanzone con Brighella,
e Rosaura e Colombina.
Con le maschere la gente
se la spassa assai beata:
è stagione spensierata
va passata allegramente. (L. Borselli)
8
Viva le maschere
Viva le maschere! Evviva! Evviva!
Io ti conosco, maschera bella:
tu sei Gianduia, tu sei Brighella,
qui Colombina con Pantalone,
quindi Arlecchino con Pulcinella.
O mascherine, chi ve l'ha fatto
quell'abituccio tutto a colori
quell'abituccio che ci ricorda
la primavera coi mille fiori?
Chi ve l'ha messa nel fondo del cuore
quell'allegrezza che a tutti date?
O mascherine, grazie di cuore
per tanta gioia che ci portate. (A. Caramellino)
Volta la carta di carnevale
Volta la carta di carnevaletto
quattro salti e uno sgambetto.
C'è Arlecchino "venessiano"
Pulcinella "nabbolidano"
c'è Gianduia piemontese
Pantalone bolognese.
C'è Rosaura e Colombina
cameriera sopraffina,
Meneghin vien da Milano
Sor Tartaglia gli è toscano.
L'uno mangia maccheroni
l'altro grossi panettoni,
uno suona il mandolino
l'altro al fianco ha lo spadino,
ma son tutta una brigata
bella, allegra, indiavolata,
che si bacia, che s'azzuffa,
che combina una baruffa,
ma che alfin allegramente,
ricomincia come niente
il più gaio girotondo
che rallegra tutto il mondo. (C. Gasparini)
9
A carnevale
Pensato han tutti e due che in carnevale
ogni burletta vale.
E per fare un bella mascherata,
la camera dei nonni han saccheggiata.
Lui s'è pigliato il panama, il bastone,
un solenne giubbone;
ed una grossa pipa con la canna,
certamente più lunga di una spanna.
Lei s'è messa una gran cuffia trinata,
la vestaglia fiorata,
ha preso un ombrellino del Giappone
e con gli occhiali legge un giornalone.
Così a braccetto, come due sposini,
vanno a far chiasso in casa dei cugini,
perchè ogni burla vale
nella lieta stagion di carnebale
Mascherata
Carnevale pazzerello,
sei davvero tanto bello!
Tu porti sulla via
un pochino d'allegria.
Coi coriandoli e le stelle,
mascherine gaie e belle
fanno smorfie e sorrisini,
fan balletti e fanno inchini.
C'è Pierrot e Pierottina,
Arlecchino e Colombina,
Rugantino e Pantalone
con Tartaglia e Balanzone;
Stenterello e Meneghino
vanno a spasso con Gioppino;
e si vede Pulcinella
fare chiasso con Brighella.
Carnevale pazzerello,
sei davvero tanto bello. (T. Romei Correggi)
10
Carnevale
Il febbraio pazzerello
ci ha portato Carnevale
a caval di un asinello
e con seguito regale:
Pantalone e Pulcinella
e Rosaura e Colombina,
Balanzone con Brighella
e Pieretta piccolina.
A braccetto con Gioppino,
che dimena un gran bastone,
van Gianduia e Meneghino
sempre pronti a far questione.
Arlecchin chiude la schiera,
che, fra canti e balli e lazzi
lieta va, da mane a sera,
con gran coda di ragazzi.
Va, tra salti e piroette,
seminando per la via,
di coriandoli una scia,
tra un frastuono di trombette. (L. Re)
Teste fiorite
Se invece dei capelli sulla testa
ci spuntassero i fiori, sai che festa?
Si potrebbe capire a prima vista
chi ha il cuore buono, chi la mette trista.
Il tale ha in fronte un bel ciuffo di rose:
non può certo pensare a brutte cose.
Quest'altro, poveraccio, è d'umor nero:
gli crescono le rose del pensiero.
E quello con le ortiche spettinate?
Deve aver le idee disordinate,
e invano ogni mattina
spreca un vasetto o due di brillantina. (G. Rodari)
Il girotondo delle maschere
E' Gianduia torinese
Meneghino milanese.
Vien da Bergamo Arlecchino
Stenterello è fiorentino
veneziano è Pantalone
con l'allegra Colombina.
Di Bologna Balanzone
con il furbo Fagiolino.
Vien da Roma Rugantino,
pur romano è Meo Patacca,
siciliano il buon Pasquino
di Verona Fracanapa. (G. Gaida)
11
Canzoncina
Danza lieta, mascherina,
danza fino a domattina!
Son coriandoli le stelle!
E i panini son frittelle.
Sono tutti sorridenti,
sono tutti assai contenti.
Lo sapete che Arlecchino
fu vestito, poverino,
con cenci regalati
dai bambini fortunati?
Arlecchino sorridente
è l'immagine vivente
dell'aiuto che può dare
chi anche agli altri sa pensare.
Danza lieta, mascherina,
danza fino a domattina!
La giostra
Eccola nella piazza della chiesa,
eccola sorta come per incanto!
Chi non l'avea desiderata tanto?
Chi non l'avea tanto sognata e attesa?
Bella la giostra! E' tutta luce e argento,
tutta specchi, bagliori, oro, turchesi,
così come quei fantastici paesi
ch'io vedo solo quando mi addormento. (M. Moretti)
Carnevale
Carnevale vecchio e pazzo
s'è venduto il materasso
per comprare pane e vino
tarallucci e cotechino.
E mangiando a crepapelle
la montagna di frittelle
gli è cresciuto un gran pancione
che somiglia ad un pallone.
Beve e beve e all'improvviso
gli diventa rosso il viso
poi gli scoppia anche la pancia
mentre ancora mangia, mangia...
Così muore carnevale
e gli fanno il funerale
dalla polvere era nato
ed in polvere è tornato. (G. D'Annunzio - Filastrocche del mio paese)
12
Maschere
Rosaura geme
Florindo freme,
Lelio domanda, Pantalon nega;
Brighella stringe
solida lega
con Arlecchino;
chè, se Cavicchio
trova Batocchio
presso un crocicchio,
gli strizza l'occhio
e stretto il patto,
saldo il contratto.
Pierrot non vede...
egli strimpella
la serenata...
e Colombina
che l'ha sentito
fruscia in sordina
nel vano scuro
della vetrata...
E là, premendosi
la man sul cuore,
trepida ascolta... (G. Adami)
La mascherina povera
Lazzi
e schiamazzi
fanno i ragazzi
tutti un po' pazzi.
E il bimbo va
col cappello del nonno,
la giacca del papà,
stanco, pieno di sonno,
per la grande città.
Lazzi e schiamazzi
fanno i ragazzi.
e il bimbo è lì
aria di funerale
a godersi così
il suo "bel" carnevale. (A. Novi)
13
Mascherine
Bentornate, mascherine,
nell'allegro girotondo!
Arlecchini e Colombine
in un palpito giocondo.
Trallalera, trallalà.
Ogni lieto scherzo vale:
benvenuto carnevale
che vi porta tutte qua.
C'è bisogno d'un sorriso
dopo tante tante pene,
che c'illumini un po' il viso.
Vi vogliamo tanto bene. (Zietta Liù)
Carnevale
Che fracasso!
Che sconquasso!
Che schiamazzo!
E' arrivato carnevale
buffo e pazzo,
con le belle mascherine,
che con fischi, frizzi e lazzi,
con schiamazzi,
con sollazzi,
con svolazzi di sottane
e di vecchie palandrane,
fanno tutti divertire.
Viva viva carnevale,
che fischiando,
saltellando,
tintinnando,
viene innanzi e non fa male,
con i sacchi pieni zeppi
di coriandoli e confetti,
di burlette e di sberleffi,
di dispetti,
di vestiti a fogge strane,
di lucenti durlindane,
di suonate,
di ballate,
di graziose cavatine,
di trovate birichine!
Viva viva carnevale,
con le belle mascherine! (M. Giusti)
14
Stornellate di carnevale
Fior di melone!
Giochiamo e divertiamoci ben bene:
è carnevale! Evviva Pantalone!
Fior di mortella!
A carnevale tutto il mondo balla;
la maschera più gaia è Pulcinella!
Fior di cedrina!
Anche Rosaura danza la furlana,
con Florindo e la vispa Colombina!
Fiore di grano!
Arrivano Tartaglia e Rugantino;
facciamo girotondo: qua la mano!
Fiore di spino!
Ogni viso sia lieto e il cor sereno.
Viva, viva, Brighella ed Arlecchino! (V. Masselli)
Carnevale
E' tornato carnevale.
Quante belle mascherine
per per strade e per le sale!
Son tesori di damine
in merletti e crinoline,
con la cipria sui musetti.
Castellane e gnomettini,
pellirosse e gnomettini,
che si scambiano gli inchini:
"Colombina, i miei rispetti"
"Un saluto ad Arlecchino!"
"Ciao, Brighella!"
"Pierottino, vuoi confetti?"
"Mi regali una ciambella?"
Ora fanno un girettino
per le strade, per le sale
per mostrare il costumino,
dell'allegro carnevale.
Poi la sera stanche, alfine,
delle chicche e dei balletti,
tutte a nanna, mascherine,
a sognare gli angioletti. (V. S. Pagani)
15
Carnevale
Mascherine, mascherine,
per i bimbi e le bambine
son venute da lontano,
nel costume antico e strano
Pulcinella ed Arlecchino,
Pantalone e Colombina
facce buffe, occhio ridente,
saltan tutte lietamente
tra i bambini e le bambine,
benvenute mascherine! (G. Vaj Pedotti)
Carnevale
Chiuso nel suo cappottino,
sta nella terra il semino
sogna le cose più belle:
sono dei fiori o son stelle?
Fuori c'è un mare di gelo,
vento tra i rami del melo
cime coperte di neve,
che scende placida e lieve
ad un tratto il silenzio si rompe:
tra rumori e squilli di trombe
mille canti si sentono fuori,
nelle strade frastuoni e colori
mascherine allegre cantate,
che l'inverno ha le ore contate
ricordate voi tutte al semino,
che il suo sogno è davvero vicino.
16
Viva carnevale
La stagion di carnovale
tutto il mondo fa cambiar.
Chi sta bene e chi sta male
carneval fa rallegrar.
Chi ha denari, se li spende;
chi non ne ha, ne vuol trovar;
e s'impegna, e poi si vende
per andarsi a sollazzar.
Qua la moglie e là il marito,
ognun va dove gli par;
ognun corre a qualche invito
chi, a giocar e chi a ballar.
Par che ognun di carnovale,
a suo modo possa far,
par che ora non sia male
anche pazzo diventar.
Viva dunque il carnovale,
che diletti ci suol dar.
Carneval che tanto vale,
che fa i cuori giubilar. (C. Goldoni)
17
La canzone delle mascherine
Un saluto a tutti voi:
dite un po': chi siamo noi?
ci guardate e poi ridete?
Oh, mai più ci conoscete!
Noi scherziam senza far male.
Viva, viva il Carnevale!
Siamo vispe mascherine,
Arlecchini e Colombine,
diavolini,
follettini,
marinari,
bei ciociari,
comarelle,
vecchiarelle:
noi scherziam senza far male.
Viva, viva il Carnevale!
Vi doniamo un bel confetto,
uno scherzo, un sorrisetto:
poi balliamo,
poi scappiamo.
Voi chiedete:
"Ma chi siete?"
Su, pensate,
indovinate.
Siamo vispe mascherine,
Arlecchini e Colombine,
diavolini,
follettini,
marinari,
bei ciociari,
comarelle,
vecchiarelle:
noi scherziam senza far male.
Viva, viva il Carnevale! (A. Cuman Pertile)
18
Le maschere tradizionali italiane
In febbraio comincia il lieto periodo del Carnevale, che può dirsi la festa dei bambini
perchè, in genere, sono loro che tramandano ancora la tradizione delle maschere. I
Greci e i Romani usavano maschere tragiche o comiche che i loro attori tenevano sul
viso durante la rappresentazione. Nel settecento, su questi modelli, altri tipi di maschere
furono escogitati e introdotti nel teatro. Nacquero così le maschere italiane, e si può
dire che ogni regione abbia la sua.
Il Piemonte ha Gianduia, montanaro dalle scarpe grosse e dal cervello fino.
Meneghino, milanese, è un golosone impertinente, ma anche cordiale, sincero,
generoso.
A Bergamo c'è Gioppino, sornione e trasognato, almeno in apparenza, perchè, se
qualcosa non gli va, eccolo a roteare il suo bastone e a distribuire sonanti cariche di
legnate.
Arlecchino ha un abito fatto di pezze di tutti i colori, cento ritagli di stoffa offertigli dagli
amici per potersi confezionare un indumento che non possedeva.
Pantalone è di Venezia. Vestito di rosso, col mantello nero, secondo la tradizione è
piuttosto avaro ma, come capita spesso agli avari, è a lui che si estorcono i denari per
pagare i debiti agli altri.
Talvolta gli si accompagna Colombina, maliziosa e pettegola, che fa il paio con la sua
amica Rasaura, anch'essa di lingua lesta e di movenze aggraziate e civettuole.
Compagno inseparabile di Rosaura è Florindo, assimato e lezioso.
Bologna la dotta ha per esponente Balanzone, sputasentenze, spaccone e bonario,
sempre pronto a distribuire purganti e pillole.
Stenterello è fiorentino: arguto e di lingua appuntita, non risparmia motti da levare il
pelo, così come è in uso tra gli abitanti della sua città.
19
Roma ha Rugantino, anche lui spaccone, ma di cuor d'oro.
Pulcinella è la maschera tipica di Napoli; vestito di un bianco camicione, ha una
maschera nera con un grosso naso caratteristico. E' buffo, sornione, arguto e...
scroccone.
Reggio ha Fagiolino, Modena Sandron, Verona Facanapa ...
... e si può dire che ogni regione ha la sua maschera, sempre allegra, ridaciana e
arguta. Ogni maschera usa il dialetto caratteristico della città in cui vive e rappresenta
un personaggio che riassume in sè i vizi e le virtù dei suoi cittadini.
20
Le maschere: dettati ortografici e letture
Piccola storia delle maschere
Furono i Greci a introdurre nel teatro il modo di camuffarsi e l'uso delle maschere così
uno stesso attore poteva sostenere più ruoli, ampliare per mezzo della maschera stessa
la propria voce, sottolinare i lineamenti del volto che dovevano esprimere o ira, o
gioia... Giunsero in Italia attraverso i teatri della Magna Grecia e poi per tutta la
penisola. Lorenzo il Magnifico, nella seconda metà del 400, incoraggiò le pompe
carnevalesche e le sere meravigliose e importanti. Verso la fine del XVI secolo nasce la
Commedia dell'Arte e le maschere italiane diventano popolari in tutta Europa.
Arlecchino
Arlecchino è una maschera dal costume fatto di stracci di tutti i colori. Sua città
d'origine è Bergamo. Arlecchino rappresentò i bergamaschi in un primo momento, poi
divenne una maschera popolare e anche il suo costume cambiò. Prima era servo, poi
diventò un poltrone e un imbroglione, desideroso solo di mangiare. Il più importante
autore di commedie che hanno per protagonista questa maschera fu Goldoni.
Arlecchino si presenta
Vi saluto, piccoli amici. Allegria! E' Carnevale! Come, non mi riconoscete? Non vedete
il mio vestito di pezze multicolori, la mia barbetta nera, la spada di legno, la scarsella
sempre vuota appesa alla cintura?
Sono Arlecchino Batocio, nato a Bergamo più di quattrocento anni fa: la più bizzarra, la
più originale di tutte le maschere del mondo! Sono agile come una cavalletta,
coraggioso come un coniglio grigio, goloso come quel biondino seduto nell'ultimo
banco. Se qualcuno mi dà noia, guai a lui! Mi accendo di rabbia come un fiammifero
svedese e lo bastono di santa ragione. Non importa se poi, le prendo sonore anch'io: il
mio destino è questo ormai: bastonare e essere bastonato. Tanto c'è chi mi consola: la
mia dolce e buona Colombina.
(G. Kierek e D. Duranti)
Arlecchino
Da dove viene? Da Bergamo. Intendiamoci bene: non è che a Bergamo sia nato un
omettino come lui, con quel testone fuligginoso e tondo e quelle setole di sopracciglia
sopra due buchetti lucidi e neri, che gli fan da occhi; nè a Bergamo usarono mai vestiti
come quello che egli indossa, tutto quadrettini rossi, bianchi, gialli, turchini. Ma dal
buonumore bergamasco fu donato al teatro questo buffissimo tipo di servo, di
facchino, di vagabondo che tutti i paesi del mondo hanno amato e festeggiato. In
fondo è un gran bonaccione, anche quando vuole imbrogliare, l'imbrogliato è sempre
lui. Colpa della sua ignoranza non dovuta, ohimè, a negligenza personale, ma al fatto
che, mentre andava a scuola, una vacca gli ha mangiato i libri. (R. Simoni)
Pulcinella
Figura goffa e buffa; gran nasone, mascherina nera, una bobba, un cappello a punta,
un camiciotto bianco, oppure un grembiule giallo e rosso stretto alla vita, un par di
braconi pure gialli, un mantelletto sulle spalle, giallo orlato di verde, collaretto e calze
bianche, scarpe gialle con nastri rossi: un pappagallo tale e quale! Ma quante risate
matte ha fatto fare questa maschera partenopea nota in tutto il mondo. (A. Gabrielli)
21
Arlecchino
Arlecchino è bergamasco; viene dalle vallate che circondano Bergamo. Magro, con
una curiosa pancetta sporgente, lesto di gambe e pronto di lingua, è chiacchierone,
mettimale e mettibene, a seconda delle circostanze, e, quando fiuta odor di vivanda
nessuno lo tiene più: Arlecchino ha sempre una fame da lupo.
Il dottor Balanzone
E' una maschera che parla molto; è la maschera che parla più di tutte. Bolognese, il
Dottor Balanzone espone con sussiego le sue idee e i suoi consigli, ricorrendo a un
diluvio di parole, infarcite di sentenze latine, di detti sgangherati nella grammatica e
nella sintassi, ma risonanti, pomposi, imponenti, tali da far restare a bocca aperta.
Procede imperterrito nei suoi discorsi senza spaventarsi delle colossali buaggini che gli
escono dalle labbra. Veste una casacca nera e lucida, guarnita di un bianco collare.
In testa un feltro a larghe tese, nero. Alla cintura un pugnale o un fazzoletto, e
sottobraccio un librone. Calzoni corti, calze nere, scarpette con fibbia e gli occhi
inquadrati in una mascherina nera.
Pantalone
Veste rossa come il fuoco, ornata di una cintura che regge la borsa dei quattrini,
(magari vuota) calzoni dello stesso colore, calze nere, scarpette dalla punta all'insù;
naso lungo e adunco, baffi a mezzaluna, con le punte diritte fino agli occhi: ecco
Pantalone, la più assennata delle maschere. Il mantello nero, che si mette sulle spalle,
aggiunge dignità alla sua gobba figura. La maschera di Pantalone fa ridere proprio per
la sua serietà, con la sua imponenza.
Pulcinella
Cappello a cono, come il latte, casacca, calzoni che pendono molli e flosci, muso
nero e, nel mezzo, un naso adunco: ecco Pulcinella, buffonesco e allegro, affamato e
mangiatore come Arlecchino, agile nei salti e nelle capriole. (E. Possenti)
Le maschere
Siamo in Carnevale. Per le strade si vedono girare le maschere. Come sono buffe! Chi
le riconosce sotto quel pezzetto di stoffa che nasconde il viso facendo brillare solo gli
occhi? Nessuno. Se parlassero senza cambiare voce, allora sì che verrebbero
riconosciute! (G. Bitelli)
Pantalone
Celebre maschera veneta. Il suo vestito è ben conosciuto: giubbetto rosso stretto alla
cintura, calzoni e calze attillate, uno zimarrone nero sulle spalle, scarpettine gialle con
la punta all'insù. In capo uno zucchetto a corno, come quello dei dogi, e sul viso una
mascherina nera che lascia ben esposto il nasone adunco. Ricco mercante e avaro.
Ma quante volte le vicende della vita lo costringono al allentare le corde della borsa,
dalla quale cadono sonanti monete d'oro! Mai più numerose, tuttavia, delle lacrime e
dei lamenti che le accompagnano. Arlecchino, trapiantato a Venezia, è suo non
sempre fedelissimo servitore. (A. Gabrielli)
22
Arlecchino
E' la più famosa ed internazionale delle maschere. Pare che Arlecchino sia nato nel
1572 e che il creatore di questa maschera sia stato un certo Alberto Ganassa da
Bergamo, il quale si attribuì il nome di Arlechin Ganassa. La sua patria è dunque
Bergamo, anche se generalmente, lo si sente parlare il dialetto veneziano; ma questo si
spiega col fatto che Bergamo, a quel tempo, era un dominio veneto.
Fu chiamato anche Arlechin Batocio, dal bastone (batocchio) che porta alla cintola e
che usa spesso per far intendere le proprie ragioni a quanti vengono in baruffa con lui.
Arlecchino interpreta la parte del servitore astuto, ficcanaso e attaccabrighe; passa in
un momento dal pianto al riso, per tutte le occasioni ha pronta una battuta burlesca; è
scansafatiche, ingordo e goloso. Nelle varie città e regioni d'Italia Arlecchino mutò
d'abito e di nome. Ed ecco così apparire la pittoresca schiera formata da Truffaldino,
Mezzettino, Tortellino, Fagottino, ecc...
Pulcinella
E' l'Arlecchino di Napoli ed è ancor oggi una maschera "viva" per opera di alcuni autori
contemporanei di commedie in dialetto napoletano. Ha un carattere più bonario,
rassegnato e meditabondo dell'Arlecchino bergamasco.
Storia di Gianduia
Gianduia doveva personificare il Piemontese furbo, coraggioso, pratico, disposto
magari a fare il "finto tonto" per raggiungere i propri fini.
In quegli anni, in cui incominciavano le prime idee di Unità e di risorgimento, Gianduia
venne a simboleggiare, in un certo modo, il Piemonte, che si era messo
coraggiosamente alla testa della rinascita nazionale. "E' una maschera libera,
democratica", scrive un suo biografo dell'Ottocento. "Non conosce padroni, parla
francamente e schietto anche al suo Re. E' la sola maschera italiana ad avere un
carattere politico, e la rappresentazione di un popolo."
Il popolo infatti lo aveva soprannominato " 'l citt ciaciarett" (il piccolo pettegolo),
perchè Gianduia si era improvvisato, sul palcoscenico, il temerario portavoce delle sue
proteste e delle sue lagnanze: era l'avvocato volontario del popolo piemontese.
Passa Gianduia
Il corteo delle maschere passa allegramente con un frastuono assordante tra una ressa
soffocante di uomini, donne, bambini. Tutti corrono a gara a vedere; s'alzano sulla
punta dei piedi o s'aggrappano ai pilastri e i bimbi strillano, perchè vogliono essere
sollevati in braccio. Il cocchio di Gianduia scompare a poco a poco tra le case... (L.
Aimonetto)
Meneghino
Come tutte le maschere, Meneghino è un "carattere" nato per simboleggiare i vizi e le
virtù dell'umanità. Nelle intenzioni di Carlo Maria Maggi, che ben a ragione si può
considerare il padre della popolare maschera, Meneghino doveva rispecchiare le
qualità dell'infaticabile e generoso popolo milanese, e mostrarsi furbo e galantuomo
insieme, talvolta padrone, talvolta umile servo che non mancava di levare la sua
critica mordace contro l'egoismo e la vanità di certa aristocrazia.
E proprio per ricordargli questo suo compito di "strigliatore", il Maggi volle dare a
Meneghino il cognome di Pecenna (parrucchiere).
Sul perchè poi del nome Meneghino i pareri sono discordi. Potrebbe infatti il nome
significare "piccolo uomo" (omeneghino), o più propriamente "piccolo Domenico",
23
riferendosi all'antica consuetudine secondo la quale, in ogni giorno di domenica,
alcuni uomini del popolo erano chiamati a prestare servizio di tuttofare nelle case dei
ricchi signori.
Il nostro Meneghino, nato sulla fine del Seicento, calcò le scene per circa due secoli
acquistando, or nelle vesti di servo, or in quelle di padrone, ora col sussiego del
diplomatico, ora con la rudezza del contadino, una sempre maggior fortuna, dovuta in
gran parte alla bravura degli attori che lo seppero interpretare.
Celebri fra questi furono, nella prima metà dell'Ottocento, Gaetano Piomarta e
Giuseppe Monclavo. Con quest'ultimo divenne decisamente spregiatore degli Austriaci
che ancora dominavano in Lombardia.
Sulla fine dell'Ottocento la fortuna di Meneghino cominciò a declinare, vuoi perchè
mancarono altri ottimi interpreti, vuoi perchè i tempi ormai andavano relegando le
maschere nel teatro delle marionette.
Anche il costume di Meneghino subì variazioni: in origine era simplicemente vestito
d'una veste bianca, lunga fino al ginocchio, trattenuta in vita da una cintura, ed era
calzato di calze verdi e di ruvidi zoccoli; in seguito acquistò un aspetto settecentesco,
con parrucca e tricorno marrone, con veste pure marrone, con codino fasciato di
rosso, con calzoni corti e calze a righe.
Così lo si può vedere ancora sui carri carnevaleschi.
E' una maschera muta ormai, perchè le folle ora non hanno più tempo di ascoltare le
maschere; ma il suo sorriso sembra ancora ammonirci:
"Tegni sempre st'usanza: fè 'l fatt vost con crianza".
24
Carnevale: dettati ortografici e letture
Benvenute, mascherine di Carnevale! Quando arrivate voi, mettete il sorriso sulle
labbra di tutti. Siete allegre nei vostri costumi variopinti e scherzate sempre. Ecco
Pulcinella col suo camiciotto bianco e il grosso naso nero, ecco Arlecchino col suo
vestito multicolore, ecco Rosaura e Colombina, graziose e smorfiose. Ogni paese ha la
sua maschera, tutte allegre, con una gran voglia di fare scherzi e di divertirsi.
Quando le mascherine, una volta all’anno, vengono fuori, ne combinano di tutti i
colori. Ecco Pantalone, veneziano, con la sua barbetta a punta. Arlecchino nel suo
vestito a toppe di tutti i colori, minaccia, col suo bastone, di dar botte a tutti.
Balanzone, dottore di Bologna, di dà molta importanza, ma nessuno si cura di lui e dei
suoi purganti. Tutte le maschere sono allegre, festose, e la gente le vede volentieri.
Quando Carnevale dà la libertà alle maschere, è una festa dappertutto. La gente si
diverte a tirare coriandoli e stelle filanti che si attaccano ai rami degli alberi e vanno da
un balcone all’altro. I passeri si fermano a guardare, incuriositi, e non sanno che cosa
accade. E’ Carnevale, passerotti, l’epoca in cui gli uomini fanno festa, mentre per voi,
uccellini spensierati, è Carnevale tutto l’anno!
Il Carnevale è un periodo di allegria tra il Natale e la Quaresima; praticamente ha inizio
il giorno di Sant’Antonio abate, il 17 gennaio, ma generalmente la festa si limita agli
ultimi tre giorni e in particolare al cosiddetto “martedì grasso”. Nelle chiese di rito
ambrosiano il Carnevale termina con la prima domenica di quaresima.
Tutti si riversano nelle strade e nelle piazze ad ammirare le maschere. Durante gli ultimi
due giorni si vedono le strade affollate di maschere vestite nelle fogge più strane. Per le
maschere tutto serve; si vuotano i canterani e si sciorinano gli indumenti delle bisnonne,
le divise militari. E poi barbe, nasi, pance e gobbe fuor di squadra. (U. Vaglia)
Ecco i grandi carri mascherati! Ecco i pupazzi giganteschi che tentennano la testa e
spalancano la bocca enorme! E’ carnevale che passa per le strade. Guardatelo: è
vestito di cento colori, ha manciate di coriandoli sui capelli, ride come un matto e si
diverte a prendere in giro la gente. Ma non è cattivo: non vuole che si facciano scherzi
pericolosi. (M. Mortillaro)
Sin dall’antichità, i popoli istituivano varie feste di tripudio con riti festosi e travestimenti.
Nel Medioevo risorsero le antiche tradizioni e in Italia fu famoso il carnevale di Venezia
a cui partecipavano il doge, la Signoria, il Senato e gli Ambasciatori. L’antica usanza
delle maschere, che ha origine antichissima, raggiunse il massimo splendore in Italia,
nelle principali città. Infatti quasi tutte le regioni hanno la loro maschera caratteristica.
In febbraio comincia il lieto periodo del Carnevale, che può dirsi la festa dei bambini
perchè, in genere, sono loro che tramandano ancora la tradizione delle maschere. I
Greci e i Romani usavano maschere tragiche o comiche che i loro attori tenevano sul
viso durante la rappresentazione. Nel settecento, su questi modelli, altri tipi di maschere
furono escogitati e introdotti nel teatro. Nacquero così le maschere italiane, e si può
dire che ogni regione abbia la sua.
25
Per Carnevale si usano alcuni dolci caratteristici: le castagnole, gli struffoli, le ciambelle,
la cicerchiata, le chiacchiere e i crostoli: nomi particolari di ogni regione che ha i suoi
usi e le sue ghiottonerie.
Non tutti sono d’accordo sull’origine del nome “Carnevale”. Secondo alcuni esso
deriva dal primo giorno di quaresima in cui s’inizia il digiuno e l’astinenza e
significherebbe “togliere la carne”. Secondo altri, siccome in latino “vale” significa
“addio”, Carnevale significherebbe “addio alla carne”. Il periodo carnevalesco era, in
origine, compreso tra il Natale e la Quaresima. In seguito si iniziò il giorno seguente
l’Epifania per terminare il giorno delle Ceneri. Oggi il Carnevale ha inizio comunemente
il 17 gennaio, festa di Sant’Antonio abate, e finisce il giorno che precede le Ceneri.
Il carnevale le chiamò e le maschere accorsero. Uscivano una volta all’anno, ma
quando uscivano, che baldoria! Il più allegro era Arlecchino, col suo vestito di tanti
colori e la sua mascherina nera. Aveva sempre voglia di bisticciarsi, ma allegramente,
s’intende. Il suo fido amico era Pulcinella, vestito di bianco, con un nasone che faceva
venire allegria.
Dopo trentun giorni di cammino, anche gennaio, sentendosi morire, chiamò forte:
“Febbraio! Febbraio! Piccolo fratello, tocca a te!”. Ed ecco che, con tintinnii di
sonaglietti, colpi di grancassa e scrosci di risa, spuntò febbraio, il più sbarazzino e il più
piccolo dei dodici fratelli. Si trascinò dietro il Carnevale con cortei di maschere e
mascherine. Intanto la coltre di neve che copriva la terra aveva di già qualche
strappo, perchè febbraio, capriccioso, lasciava che il sole giocasse a rimpiattino con le
nubi. La terra si vestiva di puntine verdi e offriva i primi fiori di mandorlo e le prime viole.
(G. Nuccio)
Febbraio è anche il mese delle allegre gazzarre, delle maschere, delle frittelle. Che bel
tripudio di carri mascherati per le strade e per le piazze! Arlecchino, Pulcinella, fanno a
gara a chi grida di più. Dalle finestre piovono i coriandoli: verdi, gialli, rossi, violetti e le
stelle filanti corrono da balcone a balcone, girano attorno ai fili elettrici, si
aggrovigliavano in matasse e ricadono in bizzarri festoni. (Palazzi)
I ragazzi si misero i nasi finti, maschere di cartone da pochi soldi, e cominciarono ad
andare su e giù facendo schiamazzo con i dischi di terracotta, le trombette colorate, i
pezzi di legno usati come maschere. La brigata infastidì parenti e amici, con i suoi
coriandoli. Alla fine, dopo essere saliti nelle proprie case, i bimbi gettarono un ponte di
stelle filanti da finestra a finestra, attraverso la strada. Ma la notte piovve, e il ponte
crollò. (V. Pratolini)
Pulcinella giaceva sul letto. Era malato. Da una parte stava il notaio, che scriveva il
testamento; dall’altra i parenti, che piangevano in silenzio. Pulcinella diceva: “A
Carminella lascio la roba della casa e gli oggetti d’oro…”. Carminella, a quelle parole,
rispondeva con un singhiozzo. “A Gennaro, a Mariuzza lascio…”. “Dov’è tutta questa
roba che tu lasci, o Pulcinella?”. “Dov’è?” rispose il malato, “io la lascio, sta a loro
cercarsela!” (I. Drago)
Una delle stelle filanti che dondola dalla ringhiera di un balcone, un pugno di
coriandoli che il vento ha spinto nel rigagnolo, l’eco degli schiamazzi di un’allegra
brigata che poco fa è scomparsa dietro l’angolo di una casa… e nella livida alba di
26
febbraio, in questo scenario di “festa finita” ecco presentarsi, quasi irreale, la figura
dello spazzino. Intanto, una finestra illuminata all’ultimo piano del caseggiato, si
spegne, mentre un’altra, al primo piano, si accende. C’è chi si corica dopo una
nottata di baldoria, chi si alza per mettersi a lavorare. (B. Mercatali)
Carnevale è passato. E dei giochi buffi, delle burle, dei carri mascherati, degli sberleffi e
delle matte risate di questa favola che si ripete ogni anno, non rimane che poca carta
colorata sospinta dalla scopa dello spazzino. Una trombetta di cartapesta,
infiocchettata di striscioline di carta rossa, prende a rotolare adagio verso una
pozzanghera. Lo spazzino la raggiunge e la prende. Poi, sorridendo, se la porta alle
labbra. Ma il suono che ne esce è breve e stonato, sgradevole; e allora l’ometto
scaraventa il giocattolo nel resto della spazzatura. (B. Mercatali)
Giorno di carnevale
In piazza San Carlo, tutta decorata di festoni gialli, rossi e bianchi, s'accavallava una
grande moltitudine; giravan maschere d'ogni colore; passavano carri dorati e
imbandierati, della forma di padiglioni, di teatrini e di barche, pieni d'Arlecchini e di
guerrieri, di cuochi, di marinai e di pastorelle; era una confusione da non saper dove
guardare; un frastuono di trombette, di corni e di piatti turchi che laceravano le
orecchie; e le maschere dei carri trincavano e cantavano, apostrofando la gente a
piedi e la gente alle finestre, che rispondevano a squarciagola, e si tiravano a furia
arance e confetti: e al di sopra delle carrozze e della calca, fin dove arrivava l'occhio,
si vedevano sventolare bandierine, scintillar caschi, tremolare pennacchi, agitarsi
festoni di cartapesta, gigantesche cuffie, tube enormi, armi stravaganti, tamburelli,
crotali, berrettini rossi e bottiglie: pareva tutti pazzi. (De Amicis, Cuore)
Il carro
Andava dinanzi a noi un carro magnifico, tirato da quattro cavalli coperti di
gualdrappe ricamate d'oro, e tutto inghirlandato di rose finte, sul quale c'erano
quattordici o quindici signori, mascherati da gentiluomini della corte di Francia, tutti
luccicanti di seta, col parruccone bianco, un cappello piumato sotto il braccio e lo
spadino, e un arruffo di nastri e di trine sul petto; bellissimi. Cantavano tutti insieme una
canzonetta francese, e gettavan dolci alla gente, e la gente batteva le mani e
gridava. (De Amicis, Cuore)
Platero e il carnevale.
Com'è bello, oggi Platero! E' il lunedì grasso, e i bambini che si sono vestiti
chiassosamente da pagliacci e da guappi, gli han messo la bordatura moresca, tutta
ricamata di rosso, verde, bianco e giallo in ricercati e complessi arabeschi. Acqua, sole
e freddo. I coriandoli di carta vanno rotolando parallelamente sul marciapiede sotto la
27
sferza del vento... Quando siamo arrivati in piazza han preso in mezzo Platero in un
cerchio tumultuante, e poi, tenendosi per mano, hanno cominciato a girare
allegramente intorno a lui. Tutta la piazza non è più che un concerto allusivo di ottone
giallo, di ragli, di risate, di canzoni, di tamburelli e di mortai. (J. R. Jimenez, da Platero y
yo)
Il giorno delle frittelle
Quando le donne fanno le frittelle, non è detto che stiano sempre in cucina. Qualche
volta escono di casa, corrono a più non posso, e sempre correndo, girano le frittelle
nella padella. Questo succede ogni anno, il martedì grasso, a Olney in Inghilterra. Le
donne si allineano nella piazza del paese, tutte hanno con sè una padella con dentro
una frittella calda, e devono voltare la frittella almeno tre volte prima di giungere alla
porta della chiesa, all'altra estremità della piazza. Pronte...via! Le frittelle saltano, i piedi
volano. Una donna vestita di blu è quasi arrivata alla chiesa, sta per voltare la frittella
per la terza volta e... sì! Ce l'ha fatta! Ha vinto! Ora riceve il premio: un bacio dal
campanaro. E la frittella? La mangia il campanaro, ma se glielo chiedi, può darsi che
te ne dia un pezzetto.
L'aria si rincrudì e comiciò a venir giù un brutto piovigginio con qualche farfalluccia di
neve. Ma erano gli ultimi giorni di carnevale, e al brutto tempo chi ci badava? In quasi
tutte le osterie si ballava a più non posso. Non passava notte, senza che fossimo destati
da baccani, cantate, liti giù in strada. Qualche mascheraccia bislacca compariva di
tanto in tanto, con un codazzo di marmocchi dietro. Si sentiva, attraverso l'aria fosca,
un odore di gran baldoria, che dava alla testa. (F. Chiesa)
Sera di carnevale
Certe sere di carnevale vi accorgete che è Carnevale perchè, nel rincasare,
pensando ai casi vostri incontrate a ogni passo sparati bianchi, code di vestiti dorati su
scarpini metallici...
...che gesta, ora, che allegria e che splendore nella casa, poc'anzi silenziosa e triste!
Una piccola regina sta nascendo a poco a poco dall'ammasso dei veli e dei nastri,
mentre un principe un po' scapestrato lotta col bottoncino del colletto che non vuole
entrare nell'asola.
Chi pensa più alla miseria di tutti i giorni? Chi ha voglia di cenare? Le patate,
abbandonate e neglette, giacciono in fondo a un oscuro tegame, in cucina. (A.
Campanile)
28
Il carnevale
Non c'è ormai alcun dubbio, in base agli studi di eminenti glottologi, che Carnevale
deriva da carnem levare, e prove sicure di questa etimologia ci vengono anche dal
termine siciliano carnilivari e da quello spagnolo carnestoltes. Carnevale, all'origine,
indicava il giorno da cui sarebbe coniciato il periodo della quaresima, durante la quale
non si sarebbe più mangiata carne, perchè dedicato a penitenza e digiuni. Prima che
tale periodo di privazioni incominciasse bisognava approfittarne per fare baldoria.
La vita moderna, offrendo ormai durante il corso dell'anno divertimenti e spettacoli, ha
attenuato di molto i motivi di interesse per il carnevale che un tempo si presentava
come l'unica, intensa stagione di godimento. Tuttavia, questo periodo di baldorie non
è scomparso del tutto. Anzi, per particolari condizioni psicologiche e sociali, in alcuni
luoghi si è conservato e talvolta con una reviviscenza alimentata anche da ragioni
turistiche.
Carnevale nella via
Quest'anno il carnevale sarebbe passato lontano dalla nostra strada se non ci fossero
stati i ragazzi a ricordarne l'esistenza e a mettersi nasi e baffi finti e maschere di cartone
da pochi soldi, ad andare su e giù facendo il più possibile schiamazzo con i fischi di
terracotta, le trombette colorate, i pezzi di legno usati come nacchere. In questo,
Giordano è un maestro. Egli stringe i due legnetti della stessa misura fra indice e medio
e fra medio e anulare della destra ed è capace perfino di eseguire il Rataplan
verdiano... Giordano aveva quest'anno una maschera di cinese, e Gigi quella di un
vecchio con la barba bianca. Musetta si era accontentata di un apparato naso-baffi-
occhiali, più adatto ad un avvocato che a una bambina. A Piccarda, suo fratello
aveva comperato un cono stellato con sul dietro dei riccioli di stoppa, per cui ella era il
Mago Merlino. (V. Pratolini)
Carnevale a Nuoro
Le vie erano affollate; mascherate barocche e variopinte andavano su e giù, tra un
nugolo rumoroso di monelli che urlavano improperi e parole scherzose. Maschere sole,
vestite a vivi colori, passavano, seguite dallo sguardo indagatore e beffardo degli
operai e dei borghesi: passavano signore, bimbe, serve dai corsetti scarlatti; gruppi di
paesani un po' brilli si pigiavano in certi tratti del Corso; e musiche malinconiche di
chitarra e fisarmonica salivano e vibravano in quell'aria tiepida e velata che rendeva i
suoni più distinti come in un crepuscolo d'autunno. (G. Deledda)
Il carnevale di Viareggio
Il carnevale è sempre un periodo di gaia baldoria e di spensieratezza, ma in nessun
luogo come a Viareggio la gioia di questa festa invernale prorompe in modo così
clamoroso. Nella bella cittadina balneare toscana si svolgono sfilate di carri, che
29
restano indimenticabili per chi le ha viste. Il martedì, ultimo giorno di carnevale, e le tre
domeniche precedenti, il meraviglioso viale che si snoda lungo il mare, fra la pineta
foltissima e la sabbia dorata della riva, si anima come per incanto. Folla e folla accorre
dalle città vicine e lontane per godersi questo spettacolo. Come si affaticano per mesi
e mesi, i Viareggini, a fabbricare giganteschi pupazzi, uno più buffo dell'altro; a
costruire carri grandiosi che rappresentano navicelle, castelli o aeroplani; a guarnirli in
modo originale così che la gente, vedendoli sfilare lungo i corsi, non può trattenere le
grida di meraviglia. Ci sono le maschere isolate che sfilano a piedi, portando in capo
buffi testoni enormi, fra un lancio continuo e instancabile di coriandoli, di stelle filanti, di
caramelle. E intanto le bande suonano, la gente grida, canta, ride... (L. Bindi Senesi)
Carnevale per le strade
La città si animava; si animava il vento, la neve per le strade. E, all'improvviso, pur
dentro il buio, il colore dei costumi, dei coriandoli. Fummo in mezzo alla piazza con
attorno bambini dai cappelli a cono con la mezzaluna d'argento. Le mascherine ci
sfioravano, scherzavano, ridevano. Pareva che non importassero il freddo, la neve, il
vento: senza rumori che non fossero musica o viva voce o risa.
Un carnevale in piena estate
Il carnevale di Rio è una festa di Piedigrotta moltiplicata per cento: eso esprime la gioia
di vivere, la volontà di dimenticare almeno per quattro giorni tutti i guai di questo
mondo...
La città assume l'aspetto di un immenso palcoscenico durante l'allestimento di un
grande spettacolo. E quando l'ora scocca, la Fiesta esplode. Donne e uomini, brasiliani
e stranieri, tutti sono spettatori e attori della sagra sfrenata. Per quattro giorni ogni altra
attività è sospesa, ogni strada e ogni piazza sono teatro di uno spettacolo disordinato e
pittoresco che si rinnova continuamente. E' quasi un punto d'onore non ritornare a
casa durante le notti carnevalesche. Il cielo di Rio si trasforma in una crepitante
fornace da cui piovono in continuazione scintille multicolori, e la città in un'enorme
cassa armonica risuonante... di motivi che poi prenderanno le vie del mondo...(M.
Procopio)
30
Storia della maschere
dall'antico Egitto alla Commedia dell'Arte
Il nome di Carnevale è stato dato al periodo che va dal 26 dicembre al giorno
precedente le Ceneri in tempi abbastanza recenti: forse soltanto nei secoli XV e XVi,
quando divennero celebri i Carnasciali, fiorentini, organizzati dagli stessi Medici, e
specialmente da Lorenzo il Magnifico.
Da Carnasciale, appunto, venne il nome di Carnevale, che indicò non soltanto un
periodo dell'anno, ma anche tutte le manifestazioni festose e mascherate che
avevano luogo in quel periodo particolare.
Ma in ogni tempo, e presso tutti i popoli, si sono avuti periodi di feste alle quali
prendevano parte principi e popolo e che possiamo considerare come il moderno
Carnevale.
Nell'antico Egitto
Gli antichi Egizi adoravano molti dei, ma la sola dea adorata in tutto il Paese era Iside,
invocata come maga nelle malattie e considerata la benefattrice dell'Egitto, perchè le
sue lacrime producevano le benefiche inondazioni del Nilo.
Ebbene, in suo onore, una volta all'anno, si faceva una grande processione, alla quale
partecipava tutta la popolazione.
La dea si presentava travestita da orsa, per simboleggiare la costellazione dell'Orsa
Maggiore. Era seguita da un corteo di sacerdoti, tutti mascherati, i quali
simboleggiavano fatti notevoli e, specialmente, le quattro stagioni. Un sacerdote
mascherato da sparviero rappresentava l'inverno, un altro mascherato da leone
raffigurava l'estate, un terzo mascherato da toro simboleggiava la primavera, mentre il
sacerdote mascherato da lupo era l'autunno. Seguivano popolani e popolane
mascherati a piacimento, danzanti e cantanti.
Si tratta, insomma, del primo corteo mascherato del quale si hanno notizie storiche
abbastanza precise.
Nell'antica Grecia
I Greci ebbero un loro particolare periodo che possiamo dire carnevalesco: quello
delle feste in onore di Dioniso e di Bacco, dette "Feste dionisiache" e "Baccanali".
Si trattava addirittura di quattro feste, celebrate in marzo-aprile; le più celebri e le più
lunghe erano le "Grandi feste dionisiache": si facevano solenni sacrifici al dio, vi erano
processioni, gare, rappresentazioni, drammi in cui apparivano personaggi mascherati.
E naturalmente, poichè Bacco è il dio del vino, si beveva molto...
Nell'antica Roma
In Roma il periodo che possiamo dire carnevalesco era quello dedicato alle feste in
onore di Saturno, perciò dette "Saturnali": avevano luogo dal 17 al 23 dicembre.
Saturno era considerato il dio dell'oro e del benessere agricolo e in onore suo era
proibito lavorare durante i Saturnali; si facevano banchetti ai quali erano ammessi
anche gli schiavi e ci si scambiavano doni, come facciamo noi nel periodo natalizio.
Infine, erano ammessi anche i giochi d'azzardo, proibitissimi durante gli altri periodi
dell'anno.
Erano giorni di baldoria, di scherzi, e spesso, poichè non mancava chi alzava troppo il
gomito, finivano con risse e feriti.
Durante le feste dei Saturnali in Roma vi era l'abitudine anche di pagare gli avvocati.
Gli avvocati meno celebri avevano la loro clientela di poveracci: gente disgraziata e
31
biliosa i cui mezzi non corrispondevano al piacere di litigare. Era gente che pagava
male l'avvocato, anzi spesso non lo pagava affatto, e si ricordava di lui soltanto
durante i Saturnali. E l'avvocato che riceveva più doni si riteneva più grande e andava
enumerando i doni ai conoscenti come prova della sua fama e dei suoi successi.
"I Saturnali hanno fatto ricco Sabello: con ragione egli va tronfio e pettoruto, e pensa e
dice che tra gli avvocati non ce n'è uno cui le cose vadano bene come a lui..." dice
Marziale, un poeta romano, e aggiunge anche la lista dei regali: mezzo moggio di farro
e mezzo di fave, una libbra e mezzo di pepe e di incenso, una salsiccia e un tocco di
carne secca, una bottiglia di mosto cotto, un vaso di fichi in conserva, e bulbi, e
chiocciole, e cacio; poi una cestella piena di olive...
Evidentemente, benchè tronfio e pettoruto, Sabello non era un avvocato pagato
troppo bene.
I principi e il Carnevale
E' noto che, specialmente durante il periodo medioevale e delle Signorie, anche i
personaggi d'alto rango (re, principi e nobili) prendevano parte gioiosamente alle
mascherate carnevalesche.
A Torino, dove si svolgevano tornei e cavalcate che riproducevano fatti storici, i principi
di Savoia partecipavano al Carnevale seguiti da tutta la corte, con carri colmi di fiori.
A Venezia, dove il Carnevale era un richiamo per gli stranieri e si svolgeva
principalmente lungo il Canal Grande, con gondole mascherate e illuminate, i Dogi, gli
altri membri del Gran Consiglio e della Signoria e gli Ambasciatori, si univano al popolo
festosamente.
A Firenze poi, esisteva l'antica usanza di far girare per la città, durante il Carnevale, dei
carri decorati e scortati da uomini in maschera, che cantavano canzoni composte per
la circostanza. Lorenzo il Magnifico seppe vedere in questo genere di spettacolo un
mezzo straordinario per divertire i fiorentini e attirarne le simpatie, e lo circondò
abilmente di pompa inusitata. Così, attraverso la città, passavano carri con strane
mascherate di una variopinta folla di fornai, di mercanti, di spazzacamini, e d'ogni
categoria d'artigiani, ma anche carri in cui si rappresentavano le virtù, i diavoli, gli
angeli, i trionfi della dea Minerva, della Gloria, della Fama, della Frode, della Calunnia,
ecc...
Alcune canzoni carnescialesche, le più belle, furono proprio composte dallo stesso
Lorenzo e dai poeti della sua corte.
Anche all'estero il Carnevale era divertimento tanto del popolo quanto dei regnanti. E'
infatti rimasta celebre una mascherata di stregoni diretta personalmente da Enrico IV
re di Francia. A un re, Carlo IV, in uno dei tanti balli mascherati venuti di moda alla sua
corte, capitò quasi di bruciare vivo. Si era camuffato da satiro, imbrattandosi tutto il
corpo di pece e rotolandosi poi fra piume di uccelli; non si sa bene come la pece però
prese fuoco e il re fu salvato appena appena...
La Commedia dell'Arte
Pantalone, Arlecchino, Balanzone, il Capitano e così via furono in origine i personaggi
della Commedia dell'Arte, nata in Italia nel '500 e diffusa poi trionfalmente in tutta
Europa nei due secoli che seguirono. Commedia dell'Arte significa in sostanza
"commedia dell'abilità" o "di mestiere" in quanto si affdava non ai testi, sommari o
inesistenti, ma per l'appunto all'abilità degli attori, che sulla scena improvvisavano
situazioni e battute.
Tale abilità era a volte straordinaria: quando agivano le migliori compagnie,
la Commedia dell'Arte diventava un'entusiasmante girandola di gag, una sorta di
32
"fumetto animato" pieno di meraviglia e di sorprese, in cui la splendida libertà delle
improvvisazioni si univa ad un meccanismo infallibile e preciso.
La "maschera" è una "faccia tinta", tragica o buffa, che indossata da una persona in
aggiunta di solito a un particolare costume, vale a creare un "tipo": il servitore furbo e
famelico, il dottore pedante, il soldataccio spaccone, e così via; così che la parola
"maschera" non indica più soltanto la testa o la faccia di cartapesta, ma proprio quel
tipo che è identificato da "quella" maschera, e che presto assume un nome
(Arlecchino, Pantalone, e così via), nome che gli resterà anche se, per caso, trascuri di
mettersi sulla faccia la faccia finta, e la sostituisca per esempio col trucco, o anche
soltanto col costume.
Molte maschere che conosciamo nacquero come personaggi della Commedia
dell'Arte. I primi, i più antichi di questi personaggi, furono il Padrone e il Servo.
Tra i vari tipi di Padroni delle antiche farse, si affermò quello di un anziano e ricco
cittadino di Venezia, avaro e burbero: prima si chiamava Magnifico, con allusione
all'altezza della sua condizione sociale, e poi Pantalone.
C'è anche un altro tipo di Padrone, il Dottore pedante e sputansentenze, che prende
prima il nome di Graziano, e poi di Balanzone: è di Bologna, laureato alla famosa
università.
Il Servo proviene invece dalle valli bergamasche; veste un camiciotto bianco di fatica
e si chiama dapprima Zanni (Giovanni), finchè un ignoto comico non ha l'idea di
rappezzarne l'abito con toppe variopinte, e nasce Arlecchino.
Un altro Zanni si chiamerà Brighella, che è, almeno all'inizio, un tipo da prendersi
davvero con le molle.
Un altro "tipo" antichissimo è il soldato spaccone, che rinasce anche lui come
"maschera" e si chiamerà Capitan Fracassa, o Matamoro, o Rodomonte, o
Sbranaleoni, o così via spaventando.
Vi sono poi gli Innamorati, di cui gli ultimi e più noti sono Rosaura e Florindo, e le
Servette come Corallina e Colombina.
Tante altre maschere agiscono in quelle farse, come il gran Pulcinella, nato a Napoli tra
il popolo, o il suo compatriota Coviello, o Scaramuccia, a volte capitano a volte servo,
o Scapino, parente stretto di Brighella, o Giangurgolo calabrese.
Conclusa la Commedia dell'Arte, nelle varie regioni d'Italia si affermarono altri tipi e
caratteri, che divennero maschere anch'essi; come Gianduia in Piemonte, Meneghino
a Milano, Stenterello in Toscana, Gioppino a Bergamo e Sandrone a Modena, e a
Roma Meo Patacca e Rugantino... non si finirebbe più.
Portavano la maschera ma non era Carnevale
Immaginiamoci di trovarci nella Venezia del '700. Che curiosa e bella città! Ecco le sue
tortuose viuzze (le calli), e le piazzetti (i campi) ornate al centro da un pozzo di pietra.
Percorriamo una fondamenta, lo stretto marciapiede che costeggia i canali che
attraversano in ogni senso la città; ci viene incontro un vecchietto ricurvo; passandoci
accanto solleva il capo per salutarci, secondo la consueta cortesia dei veneziani; lo
guardiamo e la nostra risposta ci muore sulle labbra... il volto di quel vecchietto è
mascherato!
Affrettiamo il passo e andiamo oltre. Ecco uscire da un uscio una giovane servetta, che
va a fare la spesa; canta nel suo bel dialetto... ed è mascherata.
Ecco un mercante; è mascherato anche lui; ecco una mamma col bambino in
33
braccio: anch'essa porta una mascherina nera. Ora incrociamo un gruppo di
giovanotti che parlano e ridono fra loro: portano tutti la maschera. Ah, ma allora
abbiamo capito! Però, persino questo mendicante che tende la mano, porta la
maschera! Incontriamo una lettiga, portata a braccia da due servitori: il viaggiatore
scosta la tendina e sporge il viso che (ormai non ci stupisce più) è mascherato. Passa
una gondola: la dama che la occupa porta anch'ella la sua brava mascherina.
Non c'è dubbio: è tutta questione di calendario. Ci avviciniamo a un popolano:
"Scusi..."
"Comandi, paron" ci risponde, guardandoci, naturalmente, attraverso le fessure di una
maschera.
"Scusi, siamo di Carnevale?"
Nossignori: non eravamo affatto di Carnevale. A Venezia in quel tempo la maschera la
portavano tutti, e tutti i giorni dell'anno. Inutile domandarsi perchè: era la moda.
Oggi la parola maschera ci richiama alla mente soltanto la festa di carnevale. In altri
tempi, e ancora oggi presso altri popoli, le maschere hanno invece avuto
un'importanza e un significato ben diversi; ne abbiamo visto un esempio.
34
Il carnevale nella storia
Scommettiamo... scommettiamo che non sapete che, secondo una certa tradizione,
Carnevale comincia subito dopo le feste natalizie, e che la parola cernevale significa
"carnem levare", ossia togliere la carne? No? Allora due paroline di spiegazione me le
permettete, vero? L'espressione letterale della parola si riferisce più esattamente al
giorno delle Ceneri (cioè al primo giorno di quaresima) e all'intero periodo quaresimale.
Per lungo tempo, nell'era cristiana, da questo giorno in poi ci si doveva astenere dal
mangiare carne. Ma i bravi cittadini, per rifarsi della lunga astinenza che li aspettava,
prima di togliere la carne dalla tavola, pensarono bene di abbandonarsi ai più pazzi
divertimenti.
Oggi come oggi il carnevale nelle sue più evidenti manifestazioni corrisponde,
pressapoco, a quella settimana che precede la quaresima. In teoria dovrebbe iniziare
dopo Natale e terminare il primo giorno di quaresima. Vi piacerebbe, eh?
Allora dovreste riferirvi a Venezia... o meglio alla Venezia di alcuni secoli fa, dove il
carnevale durava sei mesi e il giovedì grasso veniva solennizzato in gran pompa alla
presenza del Doge con l'accensione dei fuochi artificiali in pieno giorno.
E già che ci siamo vogliamo vedere come era ed è festeggiato il carnevale in Italia e
nel mondo?
Nei secoli passati il carnevale assunse al massimo splendore in parecchi luoghi,
specialmente a Venezia, a Ivrea, a Nizza. In Firenze, col favore dei Medici, signori della
città, i festeggiamenti si svolgevano in forma grandiosa, in mascherate su carri
allegorici (i "trionfi"), accompagnate dai canti carnescialeschi. L'uso dei carri allegorici
è rimasto poi in molte città italiane e straniere.
Nella Roma papale, i giorni destinati alle mascherate erano otto e il permesso di uscire
per il corso era dato alle 13.00 dalle campane del Campidoglio. Nell'ultima notte di
carnevale tutti i romani, principi e popolani, giocavano per la strada a "moccoletti".
Ciascuno aveva una candelina accesa, e tutti facevano a gara nel rubarsela di mano
o nello spegnersela scambievolmente, motivo di riso e simbolo di uguaglianza, perchè
la candelina ("moccoletto") del principe, valeva quanto quella del popolano.
Com'è lontano da noi il magnifico carnevale di Velletri del 1546! Per festeggiarlo, ai
rami di centinaia di alberi di un bosco furono appesi, alla portata di mano di chi voleva
mangiarli, capponi, torte, focacce, galline, mentre quattro cannoni sparavano quattro
diverse qualità di vino! Ma se a Velletri si regalavano polli e capponi, a Venezia si
scialava nello zucchero. Infatti, per mostrare al mondo stupito la sua potenza
economica e la sua ricchezza, Venezia allestiva dei banchetti colossali con grande
spreco di zucchero, prodotto allora rarissimo perchè importato dall'oriente. Per onorare
Enrico III di Polonia, in un pranzo furono fatti di zucchero persino le tovaglie e i tovaglioli;
l'ospite, che non ne sapeva nulla, rimase di stucco quando, prendendo il tovagliolo e
spiegandolo sul petto, se lo trovò sbriciolato tra le mani. E nelle altre nazioni?
Ovunque si trovano carri, danze, e pantagruelici pasti. A carnevale, nessuna distinzione
di nazionalità. Anche oggi, più o meno, il carnevale viene festeggiato dappertutto con
una sfilata di carri e qualche mascherata. Solo però in poche città, come Viareggio,
Torino, Ivrea, rivive il vecchio carnevale. Sfilano carri tra musiche, canti e getti di
coriandoli e fiori.
Getti di fiori! Ma se andate in Perù, in Bolivia, in Venezuela o in uno qualsiasi degli altri
paesi sudamericani, attenti! Non di gettano fiori nè coriandoli, nè stelle filanti, ma
palloncini di gomma pieni d'acqua, che vi colpiscono all'improvviso bagnandovi tutto!
35
E non basta: lucido da scarpe, vernici, tinte, tutto è buono per quei pazzerelloni per
cambiarvi il colore della pelle... e degli abiti.
Il carnevale ci mostra, mettendolo in caricatura, come sarebbe disordinato il mondo se
ciascuno potesse fare ciò che gli passa per la mente senza pensare agli altri. Invece
anche nel divertimento è importante la buona educazione. In Calabria vi è l'uso di
portare in giro, sulla groppa di un asino, chiunque nel giorno si carnevale venga
sorpreso al lavoro. Ben venga, dunque, il carnevale: e impazziscano gli uomini per un
giorno, purchè si ricordino di non esserlo troppo per gli altri 364! (da "Il Vittorioso")
36
Le origini del Carnevale
Il carnevale deriva, secondo alcuni studiosi, da antiche feste latine in cui, dopo un
certo periodo di dissipatezze e di piaceri, veniva nesso a morte un fantoccio travestito
da re, cosa che ancor oggi si fa in alcune città, specialmente in quel giorno di metà
quaresima che è detto per lo più "Carnevalino" e che è come un ritorno di fiamma
dell'autentico Carnevale.
Questo rito burlesco sta forse a significare la morte dell'inverno: di qui il tripudio di tutti e
l'attesa della primavera, della sua gioia, dei suoi frutti. Il carnevale ha dunque
un'origine agricola, contadina.
Sembra certo che nelle costumanze carnevalesche debbano riconoscersi quelle feste
religiose da tutti i popoli celebrate nell'antichità con gran pompa al principio del nuovo
anno per propiziarselo, o all'inizio della primavera per simboleggiare la rinascita della
natura.
Ricordiamo le feste degli Egizi e dei Babilonesi, che nell'equinozio d'autunno onoravano
i cherubs, buoi importati dai primi sacerdoti etiopi. Venuto il giorno stabilito, il bue,
dipinto a festa, con le corna dorate e ricoperto di un ricco manto, era tratto dal sacro
recinto e lo si conduceva per tutte le vie di Menfi. Un ragazzo gli stava sul dorso. Uomini
e donne, vecchi, adulti, giovani, bambini, travestiti e mascherati, a piedi, a cavallo, lo
seguivano canticchiando inni in sua lode; venivano poi le ragazze che lo avevano
servito... insieme ai sacerdoti. Soldati e ufficiali facevano ala nelle vie, al suo passaggio.
Dal momento in cui il bue usciva, incominciavano per tutto l'Egitto e l'Etiopia le feste, i
godimenti pubblici, le mascherate. Queste duravano sette giorni, fino al sacrificio
dell'animale...
Il Carnevale degli antichi Romani
Il giorno decimoquarto avanti le calende di gennaio o, per dirlo più alla buona, il 19
dicembre, era giorno di festa e di gazzarra per i discendenti di Romolo... Le vie erano
affollate di gente ilare e gaudente, che riempiva il foro, i templi, le basiliche, le vie
principali, i termopolii, le popine (taverne) e le più infime bettole, in preda alla più
sfrenata allegria.
E questa bella allegria, che doveva durare per tre giorni, era fatta in onore del dio
Saturno. La particolarità che distingueva questa festa dalle altre, quanto al rito,
consisteva in questo: che i sacerdoti sacrificavano le vittime a capo scoperto, mentre
per le altre divinità sacrificavano con la testa coperta.
Le feste di Saturno, o Saturnalia, erano aspettate con impazienza da tutti, ma
specialmente dagli schiavi, che per tre giorni erano liberi dalle loro penose fatiche, e
potevano fare quello che volevano...
Nasce la maschera
Il comico dell'arte (salvo rarissime eccezioni), per raggiungere l'eccellenza, rinunzia
all'illusione di potersi rinnovare sera per sera; e decide una volta per sempre di limitarsi,
in perpetuo, a una sola parte. Per tutta la vita e in tutte le commedie che reciterà, il
comico dell'arte sarà un solo personaggio: sarà unicamente o Pantalone, o Arlecchino,
Rosaura o Colombina. Persino il suo nome si confonderà con quello della sua
maschera, sicchè a un certo punto non si saprà più quale sia il vero e quale il fittizio.
Alle volte come nel caso della Andreini, il personaggio che ella incarna, la maschera
che ella crea, prende il nome di battesimo dell'attrice, della donna, Isabella. Molto più
spesso sarà il nome della maschera che farà sparire quella dell'attore: sicchè, all'arrivo
di Francesco Andreini a Parigi si dirà: "E' arrivato Capitan Spaventa!"; alla morte di
Domenico Biancolelli, correrà la notizia: "E' morto Arlecchino.".
37
Carnevale qui e lì per il mondo
Maschere per i vivi e per i morti (Messico)
La fabbricazione delle maschere rappresenta per i Messicani uno dei più curiosi aspetti
del loro artigianato. Le maschere vengono fabbricate con vari materiali: legno, stoffa,
carta, cuoio, stagno e vengono dipinte o laccate nelle maniere più strane e divertenti
che denotano una grande originalità di gusto e di talento. Le maschere, oltre che per i
giorni di carnevale, servono anche per il giorno dei morti. In questo caso, sono di
carattere macabro e, per mezzo di esse, gli abitanti sono convinti di poter comunicare
con le anime dei defunti.
Si balla dappertutto (Guadalupa)
In occasione del carnevale, si balla ovunque: nelle campagne, si balla al suono di
strumenti primitivi come scatole o bidoni pieni di sassi che vengono freneticamente
agitati dai suonatori, mentre nelle città si balla il doudou al quale gli invitati
intervengono mascherati o vestiti con le acconciature più strane. Un'altra danza
caratteristica delle città e anche delle campagne, è quella dei tagliatori della canna
da zucchero, durante la quale uomini e donne si muovono agli ordini di un
comandante: gli uomini devono presentarsi armati di coltelli, mentre le donne tengono
in mano una canna da zucchero verde.
Costenos, tigri, coccodrilli (Colombia)
Per i Colombiani, il carnevale è la più importante delle feste. Per tre giorni nessuno
lavora, ma i preparativi hanno inizio già tre settimane prima. Tali preparativi occupano
migliaia di persone addette alla fabbricazione delle maschere più curiose. La
maschera è quasi d'obbligo durante i tre giorni che precedono la quaresima. Oltre alle
maschere, molte sono le usanze del carnevale colombiano. Una è quella dei costenos,
che sono giovani mascherati i quali girano facendo la questua e lanciando frizzi, insulti,
o cospargendo di nerofumo coloro che osano negare un'offerta. C'è poi l'uso di molti
carri allegorici, come quello di Barranquilla che è superato in splendore solo da quello
del gran carnevale di Rio de Janeiro. Altre manifestazioni sono la caccia alla tigre. C'è
poi il ballo del caimano che si svolge il 20 gennaio con la fabbricazione di un enorme
coccodrillo nel quale si nasconde un uomo che lo fa muovere in una frenetica danza
avanti e indietro, davanti ad ogni negozio o bar: per liberarsi dal mostro i proprietari
devono offrire al grosso animale un dono in liquore o in altri generi.
La festa delle lanterne (Cina)
Dopo la grande festa del primo dell'anno, la vita in Cina si fa più vivace e festosa per
un periodo che corrisponde su per giù al nostro carnevale. Molte sono le feste, ma la
più caratteristica è senza dubbio quella delle lanterne. Essa ha inizio al rombo del
cannone, delle campane e di tutti gli strumenti musicali disponibili. Per tre giorni
consecutivi milioni di fuochi brillano sui fiumi, sul mare, sui monti, nelle strade, nelle
campagne, nelle città, alle finestre dei poveri e a quelle dei ricchi. I più ricchi,
sfoggiano naturalmente lanterne magnificamente decorate, mentre i meno ricchi si
accontentano di lanterne più modeste. Nessuno comunque vuole esserne privo. Sono
lanterne quadrate, triangolari, cilindriche, a globo, a piramide. Ce ne sono di carta, di
seta, di corno, di vetro, di madreperla. Per tutta la durata della festa i negozi restano
chiusi e la gente circola per le vie vestita con fogge strane e insolite. Anche per i Cinesi,
come per qualsiasi altro popolo del mondo, questa specie di carnevale rappresenta
uno sfogo alla vita di tutti i giorni con i suoi pesi, le sue fatiche, le sue quotidiane
38
preoccupazioni.
Halloween
Halloween è il carnevale dei ragazzi che si travestono nelle fogge più spaventose
raffiguranti scheletri, streghe, diavoli, spettri. Così camuffati, essi, di notte, girano di casa
in casa e chiedono ragalucci o dolci pronunciando la formula: "Treat or trick" che
significa "o mi regali qualcosa oppure la vedrai brutta". Se qualcuno infatti osa negare il
dono, la vendetta non si fa attendere: i colpevoli si vedranno in un batter d'occhio
imbrattati i vetri delle finestre, delle vetrine, delle macchine.
La festa degli insulti (Ghana)
Ogni tanto gli uomini sentono la necessità di rompere la monotonia della vita
quotidiana facendo qualche cosa di strano e di diverso. Così nel Ghana, in Africa,
nacque la festa degli insulti. Per qualche giorno, tutte le abitudini vengono sconvolte.
Gli Akan, abitanti del Ghana, affermano chelo spirito Sunsum, legato ad ogni singola
persona, in quei giorni si ribella e vuol sfogarsi fadendo fare a tutti una specie di grande
vacanza. Si mangia, si beve, si danza, e soprattutto si dicono tutti gli insulti che
vengono in mente. Gli Akan, nascosti sotto maschere, ombrelli, baldacchini, si lanciano
a vicenda ogni sorta di parolacce, scherzi, insulti. E questo dura per ben otto giorni.
Passato questo periodo, i sacerdoti, sotto la maschera di leopardi, leoni, iene o
sciacalli, sacrificano una capra con il sangue della quale purificano i loro vasi sacri.
Fatto questo, gli spiriti Sunsum tornano nell'ordine abituale e ognuno riprende la vita di
ogni giorno
Il Coon Carnival (Città del Capo)
Durante gli ultimi tre giorni dell'anno, a Città del Capo, in Africa, succede un fatto
straordinario: ogni sera un gran numero di persone scompare dalla città. Dove vanno?
Nessuno lo sa. Tutti però conoscono il motivo della loro scomparsa. Si sa, cioè, che sono
scomparsi per andarsi a nascondere nella foresta, dove preparano, sotto la guida di un
capo, costumi, maschere, carri carnevaleschi, danze e canti che dovranno essere una
grande sorpresa per la città. Guai se qualcuno osasse tradire il segreto del Coon
Carnival, cioè prima di capodanno qualdo il carnevale avrà inizio nella città che in un
batter d'occhio si trasformerà in un fantastico carosello di musiche, di costumi, di carri
meravigliosamente addobbati e carichi delle maschere più strane e varie.
Il carnevale brasiliano
Il carnevale brasiliano non è solo quello famoso che si celebra a Rio de Janeiro, ma è il
carnevale di tutto il Brasile. Fu introdotto dall'Europa e, se in parte conserva ancora le
caratteristiche del continente d'origine, esso ha d'altra parte assimilato molti elementi
pagani del popolo brasiliano. I preparativi del carnevale brasiliano richiedono mesi di
lavoro; si può affermare che, appena terminato il carnevale di un anno, già si comincia
a pensare a come preparare quello successivo. Costumi europei, fogge russe e tirolesi,
si mescolano a quelli hawaiani in una splendida fantasiosa fantasmagoria di colori. I
festeggiamenti durano quattro giorni: cominciano il sabato a mezzogiorno quando, ad
un dato segnale, si chiude ogni negozio, laboratorio, fabbrica; per terminare a
mezzogiorno del mercoledì delle Ceneri. Per quattro giorni, su Rio e su ogni centro
piccolo e grande, sembra passare un vero ciclone: maschere, danze, carri, musica,
frastuono, sfilate. Ogni sfilata è un fantastico carosello di maschere svariate che
passano tra la folla a ritmo di samba e di marcia, invitando la folla stessa ad entrare nel
corteo.
39
Carnevale qui e lì per l'Italia
Il carnevale di Viareggio
Il carnevale di Viareggio è vecchio. Ma il carnevale è un mattacchione che più
invecchia e più diventa allegro. Figurarsi che gli storici gli attribuiscono cinquemila anni
di vita. Invecchiare per lui è niente, morire ancor meno di niente. Ringiovanisce e
resuscita sempre più ingegnoso di trovate, sempre più colorato e sempre più vivace.
In Toscana il carnevale sembra sia nato per opera di Lorenzo il Magnifico.
A Viareggio poi, il carnevale sembra una festa di uomini e di cose, una fantasia
bellissima dove collaborano il cielo, il mare, le pinete incantevoli, la parlata sonora e
abbondante, e gli uomini con colori, canti, scenari. Il carnevale a Viareggio è uno
spettacolo di cui cercheresti invano lo scenografo, il macchinista, il pittore, il cantore,
l'inventore, perchè non sapresti se andarlo a trovare fra gli uomini o fra la natura.
Per preparare il carnevale ogni anno, centinaia e centinaia di operai per parecchie
settimane non conoscono riposo, nè di notte nè di giorno. Dormono qualche ora e
sognano il carro mascherato con cui hanno deciso di partecipare alla gara.
Questo corteo fantasioso di carri oscillanti sotto le manovre delle maschere che
cantano nel sole, questi giganti che sembrano usciti dalla fantasia di poeti, questi
mostri dalla corteccia di carta, che, tagliando la folla, passano suscitando risa
fragorose, non solo costano fior di soldi, ma costano fatiche e sacrifici.
Ogni anno ognuno dei più famosi costruttori di carri ha un'idea, cerca degli aiutanti, si
chiude nel proprio laboratorio e fabbrica. Cosa fabbrica? Quello che l'estro gli ha
suggerito. Un carro. Cosa metterà su questo carro? Chi lo può sapere, prima del giorno
fissato? I fabbricanti di carri sono gelosissimi l'uno dell'altro. Inventano tutti i sotterfugi
per sapere cosa fanno gli altri, e per mascherare ciò che faranno loro.
Talvolta assoldano i ragazzetti per far loro da spie, per introdursi nel laboratorio di un
concorrente temuto. Il ragazzetto, quando non è scoperto (e allora sono guai!) riferisce
quel che ha visto, facendo nascere preoccupazioni e timori.
(G. Cenzato)
Il carnevale torinese
Il carnevale torinese, negli anni passati, ormai lontani, era ritenuto uno dei più fastosi
che si celebrassero in Italia.
Anche la corte interveniva in equipaggi alla postigiona, con cocchieri, staffieri, valletti
in parrucca bianca, incipriati, in costume scarlatto argento; e la Regina Maria Teresa,
consorte di Carlo Alberto, vi compariva festosa, sopra un cocchio tirato da otto cavalli
bianchi.
Le vie erano adorne di festoni, i balconi gremiti di gente, e sotto i portici giravano le
maschere a piedi: Gianduia, Giacometta, Gipin, mentre nella strada circolavano le
cavalcate e i carri allegorici.
I torototela, poeti da strapazzo, cantastorie, rimavano la canzoncina:
"Cerea bela fia, cerea bel gasson
ch'a stago an alegria, ch'a beivo del vin bon"
mentre ferveva, tra i balconi, la vivace battaglia delle caramelle e dei mazzolini di fiori.
L'ultima notte di carnevale, il martedì grasso, si bruciava in piazza Castello il bogo, un
enorme fantoccio pieno di fuochi d'artificio.
A mezzanotte in punto la fiamma provocava lo scoppio, salivano fischiando numerosi
razzi al cielo; e così fra lingue di fuoco rossiccio, grida, urla, canti, moriva il carnevale.
40
Teatrino di Carnevale con le maschere tradizionali italiane
Questi brevi dialoghi, pensati per le recite scolastiche, sono anche degli ottimi strumenti
per esercitare la lettura in modo divertente. Facendo in modo che ogni bambino
legga solo la voce di un personaggio, si stimolano tutti i bambini a seguire il testo
mentre legge il compagno, e si migliora nella lettura a voce alta la capacità di
cogliere l'intonazione e l'espressività data dai segni di interpunzione e dal contenuto
del testo stesso.
E' inoltre una bella attività per viaggiare tra le Regioni italiane attraverso le maschere
della Commedia dell'Arte.
per far conoscere le maschere ai bambini, puoi stampare queste schede didattiche;
le trovi qui: http://www.lapappadolce.net/teatrino-di-carnevale-ebook/
41
Scherzo di Carnevale
La scenetta si svolge su una piazza da fiera tra Brighella, venditore di cialde, e
Arlecchino.
Brighella: (davanti al banco delle cialde) Da Brighella, orsù venite; e le cialde sue
sentite, fatte al gusto bergamasco, da condir con un buon fiasco!
Arlecchino: Anche tu alla bancarella, e che vendi, buon Brighella?
Brighella: cialde, cialde ancor fumanti, ma per te saran pesanti (tra sè) Ci scommetto
che Arlecchino non ha il becco di un quattrino!
Arlecchino: belle, invero!... (tra sè) Che disdetta rimaner sempre in bolletta!
Brighella: Bella gente; cialde uguali, fan passare tutti i mali; e la spesa e ben meschina:
cento lire una dozzina! E, su dodici, ecco qua: una in dono se ne avrà!
Arlecchino: (tra sè) Una in dono? O intesi male? Che pensata originale!
Brighella: Arlecchino, vuoi comprare? Vieni avanti, è un buon affare!
Arlecchino: Dimmi ancor... dodici cialde...
Brighella: cento lire... calde calde!
Arlecchino: E una cialda... hai detto tu...
Brighella: La regalo in sovrappiù!
Arlecchino: (servendosi di una cialda ed allontanandosi in fretta) Allor senti, buon
Brighella, per intanto prendo quella e, per le altre a pagamento, tornerò un altro
momento! (mangia la cialda fra le risa del pubblico)
Brighella: il furfante m'ha giocato... Ah, il citrullo che son stato!
42
Bugie
Brighella: avevo lasciato sul tavolo un bel pezzo di torrone. E' sparito! Ehi, Arlecchino.
Ma che guancia gonfia! Che ti succede?
Arlecchino: un terribile mal di denti. Ahi! Ahi!
Brighella: un momento fa stavi bene, però...
Arlecchino: improvvisamente ho sentito un gran male e il dente si è gonfiato!
Brighella: il dente? Vorrai dire la guancia
Arlecchino: Sì, la guancia destra
Brighella: ma non è la sinistra? A proposito: c'era qui un pezzo di torrone avvelenato per
i topi...
Arlecchino: Avvelenato? (sputa il torrone) Aiutooooo!
43
L'imbroglione bastonato
Scena 1
Una stanza in casa di Brighella. Sulle pareti di fondo la porta d'ingresso. La stanza è
arredata con poche seggiole spagliate e un tavolino zoppicante. All'aprirsi del sipario,
Brighella è in scena, seduto in terra, intento a rattopparsi le scarpe. Si ode bussare
all'uscio.
Colombina: E' permesso? (entra appoggiandosi ad un grosso ombrello)
Brighella: (alzandosi) avanti, avanti. Che cosa comanda?
Colombina: sta qui di casa un certo Arlecchino?
Brighella: sì, abita qui; ma in questo momento non c'è
Colombina: va bene, l'aspetterò. (si siede)
Brighella: Madamigella, il mio amico Arlecchino è uscito per un affare di premura; non
so quando tornerà. C'è il caso che rientri molto tardi
Colombina: non importa. L'aspetterò lo stesso. (Si accomoda meglio sulla seggiola che
scricchiola)
Brighella: Se intanto vuole dire a me di che cosa si tratta...
Colombina: Non vi prendete pena, bravuomo. Quello che ho da dire, lo dirò al signor
Arlecchino in persona quando si degnerà di tornare. Devo dirgli due paroline...
(accompagna le ultime parole con un gesto minaccioso dell'ombrello).
Scena 2
Pulcinella: si può? (entra appoggiandosi ad un grosso bastone)
Brighella: Avanti... oh, caro Pulcinella, qual buon vento ti porta?
Pulcinella: (minaccioso) vento di bufera, caro Brighella
Brighella: che dici? Non comprendo...
Pulcinella: Mi capisco da me... C'è quella buona lana di Arlecchino?
Brighella: Sì, non vedo l'ora di vederlo (alza l'ombrello in maniera minacciosa)
Pulcinella: capisco. Ed io non vedo l'ora di suonarlo! (agita il grosso bastone)
44
Scena 3
(si odono per le scale i passi di Arlecchino che sale cantando):
Arlecchino: Fior di mortadella! Voglio mangiare e bere un anno intero, in barba a
Colombina e Pulcinella...
(Colombina e Pulcinella balzano in piedi e si mettono ai lati della porta: appena
Arlecchino entra, lo prendono a ombrellate e a bastonate cantando):
Colombina e Pulcinella: Fior di imbroglione! Va' a lavorar invece di rubare! E balla
intanto al suono del bastone!
45
Castelli in aria
Rosaura: (la padrona) Colombina! Colombina!
Colombina: (la cameriera) Eccomi, signoara, Che c'è?
Rosaura: un cliente, un cliente di riguardo!
Colombina: e com'è?
Rosaura: com'è, com'è! Vai di là! Vallo a servire e lo vedrai. Ma spicciati e trattalo bene
Colombina: volo! (esce)
Rosaura: che cliente! Che vestiti!
Colombina: (rientra) Signora, signora! Mi ha ordinato anguilla al forno, vino di bottiglia...
Rosaura: dici davvero? Ma questo è un gran cliente! Servilo subito, per carità
Colombina: lasci fare a me, signora. Qui si diventa ricche! (esce di corsa)
Rosaura: uno, due, tre, mille pasti. E dopo quello...
Colombina: Ecco, è servito. M'ha detto grazie con un cenno del capo. Pareva un duca!
Rosaura: sai che ti dico? Che se a quel cliente piacerà la nostra tavola, ritornerà
Colombina: e porterà con sè gli amici
Rosaura: duchi e marchesi
Colombina: conti e baroni
Rosaura: principesse, dame eleganti
Colombina: vedremo splendere monili e anelli
Rosaura: sarà la ricchezza. La trattoria diventerà un albergo di prima classe
Colombina: ed io sarò la direttrice della servitù
Rosaura: le mie colleghe mi invidieranno. Ma non importa. Una splendida gondola mi porterà in
sogno lungo la Riva degli Schiavoni
Colombina: (affacciandosi alla porta di fondo) Signora!
Rosaura: che c'è?
Colombina: (coprendosi gli occhi con le mani) Il cliente! Ha mangiato tutto!
Rosaura: beh, che c'è di male?
Colombina: ha mangiato tutto e se n'è andato senza pagare!
(Rosaura sviene)
46
Il grano d'oro
Atto 1
(Nella casa di Arlecchino; una stanza assai povera)
Arlecchino: signor dottore, sto molto male
Dottore: dove, figliolo mio, dove?
Arlecchino: nelle tasche
Colombina: ha il vizio di tenerle sempre vuote
Dottore: vediamo... uhm! E' un vuoto spaventoso! (esamina una tasca...). Ma che cos'è
questo seme?
Arlecchino: sarà un chicco di grano, o di miglio, avanzato da quelli che offro ai
piccioni sulla piazza
Dottore: (esamina il seme) Ma no, ma no... Questo è un grano d'oro... Granum
auriferum... perbacco! Vale un tesoro!
Arlecchino: Un tesoro? Davvero? Qua, qua...
Dottore: Granum auriferum... rarissimo. Preziosissimo. Avete un vasetto? Un po' di terra?
Colombina: sì sì
Dottore: pianterete questo grano, e in capo a sei mesi la pianta vi darà tanti pomi, tutti
d'oro!
Arlecchino: oh, pomidori!
Dottore: dico che saranno pomi fatti d'oro. Però perchè la pianta dia il suo frutto,
bisogna annaffiarla...
Colombina: con l'acqua fresca?
Arlecchino: con la malvasia?
Dottore: no, col sudore della fronte. Tu poi, Colombina, ascoltami bene. (parla
sottovoce a Colombina)
Atto 2
(la medesima stanza, che ha un aspetto meno misero. Sul davanzale della finestra c'è
un vasetto con una piantina)
Brighella: (entrando) C'è Arlecchino?
47
Colombina: è a lavorare
Brighella: anche oggi? Povero amico mio, è ammattito. Perduto. Spacciato.
Colombina: voi siete un uomo perduto, che passate i giorni all'osteria e vorreste
tascinare anche gli amici alla rovina!
Brighella: badi come parla, signora Colombina, io sono un servo onorato
Colombina: non vi dico nè sì nè no, ma sono contenta che Arlecchino non frequenti
più la vostra compagnia. Ah! Eccolo che viene!
Arlecchino: (entrando in furia) Lasciatemi passare, che il sudore si raffredda!
Brighella: e per non raffreddarti vai sotto la finestra?
Arlecchino: (curvo sul vasetto del davanzale) Devo provvedere all'innaffiatura del mio
grano dorifero
Brighella: grano? Dorifero? E con che cosa lo annaffi?
Arlecchino: col sudore, caro, col sudore della fronte!
Brighella: povero amico mio! E' davvero ammattito! (esce di corsa)
Atto 3
(la stanza non ha più quell'aria di povertà che prima faceva male. Vi è qualche mobile
nuovo, e le tendine candide fanno allegria)
Arlecchino: eppure, comincio a credere che Brighella abbia ragione. Per questo grano
indorifero io lavoro dalla mattina alla sera. Lustro le scarpe ai forestieri, spazzo le strade,
porto lettere urgenti, scarico le tartane, spolvero le insegne delle botteghe, scaccio le
mosche... tutti i mestieri. E lui? (guardando il vasetto sul davanzale). Il signor grano ha
messo fuori un palmo di piantina, e ancora nemmeno un pomo
Colombina: il dottore ha detto che ci vorranno sei mesi, caro Arlecchino
Arlecchino: e proprio oggi scade il semestre
Colombina: ma davvero?
Arlecchino: verissimo, difatti ecco qui il dottore
Dottore: buongiorno, amici
Arlecchino: dottore, se è venuto per verdere il suo grano dorifero sta fresco! Per ora
niente.
48
Dottore: comincerò col visitare le tue tasche... Ehi! Andiamo molto meglio! Qui ci sono
tre monete d'argento!
Arlecchino: oh, a furia di sudare, ne è passato di denaro nelle mie mani!
Colombina: è un bel gruzzolo, eccolo qui! (va al cassetto, ne trae un rotolo di monete e
lo mostra)
Arlecchino: possibile? Tutto questo denaro è nostro?
Colombina: sicuro. Da quando non vai più all'osteria e lavori, io ho seguito con
impegno i consigli del buon dottore. Cioè ho messo in serbo gran parte dei tuoi
guadagni, mentre non ti ho fatto mancare nulla; e ho anche potuto pagare i debiti e
abbellire un poco questa casa.
Dottore: come vedi, il granum auriferum ha mantenuto la promessa. I suoi pomi sono
nati nelle tue tasche.
Arlecchino: Ho capito! Bellissima cura...
49
Le lettere per la mamma
Pantalone: (solo) Arlecchino! Arlecchinooo!
Arlecchino: (entra) Eccomi, illustrissimo signor padrone
Pantalone: me lo sai dire perchè quando ti si chiama non rispondi subito? Me lo sai dire?
Arlecchino: signornò, illustrissimo padrone, non lo so
Pantalone: non ho mai visto un servitore infingardo come te. Ora ascoltami bene. Mi ascolti?
Arlecchino: Signorsì, illustrissimo signor padrone.
Pantalone: ho fatto un po' di ordine nei cassetti della mia scrivania. Tu adesso prendi quella
cartaccia e la butti nelle immondizie. Hai capito?
Arlecchino: signorsì, ho capito. Devo buttare via tutta quella cartaccia. Ma proprio tutta?
Pantalone: Sì, tutta. E' roba che non serve più: vecchi giornali, vecchi conti del lattaio, vecchie
lettere
Arlecchino: anche le lettere devo buttar via?
Pantalone: certamente, anche le lettere
Arlecchino: signor padrone, queste lettere...
Pantalone: ebbene?
Arlecchino: potrei...
Pantalone: che cosa?
Arlecchino: queste lettere potrei tenermele io?
Pantalone: vuoi tenerle tu? E cosa vuoi farne?
Arlecchino: è una storia un po' lunga. Quando io partii da Bergamo... Lei sa che io sono di
Bergamo?
Pantalone: Lo so, continua
Arlecchino: dunque, quando io partii da Bergamo, la mamma era molto triste. Mi disse:
"Arlecchino mi raccomando, mandami ogni tanto una lettera"...
Pantalone: e tu gliel'hai mandata?
Arlecchino: No
Pantalone: e perchè?
Arlecchino: perchè io non so scrivere e penso che adesso potrei forse mandarle una di queste,
ogni tanto...
50
In piazza
Pulcinella: Dove vai, amico Arlecchino?
Arlecchino: Il mio padrone mi ha detto di comperargli due chili di orecchiandoli ben
tirati
Pulcinella: Quand'è così, eccoti servito! (gli tira più volte le orecchie)
Arlecchino: Ahi! Ahi! Mi hai fatto male!
Pulcinella: (ridendo) Sono questi gli orecchiandoli ben tirati!
Arlecchino: (piagnucolando) Un'altra volta ci faccio andare il padrone a comprarli.
Pulcinella: Bravo. Ora sentiamo Brighella, che intenzione ha. Ehi, Brighella, non saluti
neppure?
Brighella: (capo chino, come se cercasse qualcosa per terra) Mi è accaduta una
grave disgrazia. Ho perduto una moneta d'oro.
Arlecchino: Una moneta d'oro?
Brighella: (avvilito) Proprio così... se mi aiutate a trovarla, vi pago da bere.
Pulcinella: Cerchiamola, cerchiamola. (si mettono tutti a cercare di qua e di là)
Arlecchino: io non la vedo!
Pulcinella: Cercate, amici, cercate, cercate ancora!
Arlecchino: Ma dove hai perduto la moneta?
Brighella: L'ho perduta... l'ho perduta... Ecco, ora mi ricordo, l'ho perduta andando da
Bologna a Milano.
Pulcinella: E la cerchi qui?
Brighella: Sì, per risparmiare la fatica di ritornare sulla strada!
Arlecchino: Sciocco, ci hai fatto perdere inutilmente il nostro tempo
Pulcinella: Facciamo uno scherzo anche a Stenterello... Ehi, Stenterello, vuoi trovare
una moneta d'oro?
Stenterello: (sbadigliando) Grazie amici, non ne ho bisogno.
Brighella: (stupito) Non ne hai bisogno? Ma se sei sempre affamato!
Stenterello: Sono diventato ricco tutto a un tratto.
51
Pulcinella: Davvero? Oh, caro il mio amico Stenterello, come hai fatto?
Stenterello: (dandosi arie) Ho avuto un'eredità.
Arlecchino: Carissimo Stenterello, amico mio, e che cosa hai ereditato?
Stenterello: (con modestia) Ho ereditato una fattoria di cinquecento poderi.
Brighella: Una fattoria? Ah, quanto ti voglio bene, Stenterello mio! E dove si trova
questa fattoria?
Stenterello: Si trova... Si trova... Ecco... mi pare che si trovi... proprio così! Si trova in
mezzo al mare!
Tutti gli altri: (insieme) Furfante! Imbroglione! Bugiardo! Ci hai preso in giro! Morto di
fame!
Stenterello: (sbadigliando) La mia fattoria è come la vostra moneta d'oro. E' nella
fantasia.
(P. Bargellini)
52
Non dire gatto se non è nel sacco
Un angolo di caffè con due tavolini e sedie. Una radio ad un certo momento trasmette musica
e poi comunicati...
Arlecchino: Mettiamoci qua, Brighella
Brighella: E va bene! Mettiamoci qua.
Arlecchino: Vuoi qualcosa?
Brighella: Acqua: costa poco, almeno.
Arlecchino: Non possiamo fare la figura di due avaracci. Cameriere!
Cameriere: Agli ordini, signori
Arlecchino: Serviteci due caffè con un pochino di grappa
Cameriere: Subito, subito. (rivolto all'interno) Due caffè corretti per i signori! (via)
Brighella: Sei sicuro di averlo ancora?
Arlecchino: (tastandosi la tasca interna della giacchetta) Sicurissimo, Brighella, ti devi fidare
Brighella: mi fido, mi fido, Arlecchino, ma non si sa mai. Anche quel tanghero di cameriere ti si è
strisciato di fianco, ciò.
Arlecchino: Ma via, Brighella! Non me ne sono proprio accorto
Brighella: Ma sì, l'ho proprio visto!
Arlecchino: te lo sarai sognato, te l'assicuro
Brighella: Anche stanotte ho sognato, sai? Da tre notti sogno e vedo tutto
Arlecchino: Invece io dormo e non sogno. Che stizza!
Brighella: anche le parole ho sentito, tutto
Arlecchino: Anche le parole? Non me l'avevi detto stamattina
Brighella: me ne sarò dimenticato
Arlecchino: dimmi tutto, tutto quello che ti ricordi
Cameriere: ecco i due caffè corretti
Arlecchino: grazie
Brighella: pagheremo poi
Cameriere: comodi, comodi, signori (via)
53
Brighella (mentre i due parlano, bevono) Una voce nel sogno mi diceva "il possessore del
biglietto numero 1968 serie H vince la somma di 50 milioni
Arlecchino: (levando il biglietto dalla tasca) Il possessore... siamo noi; ecco qui: serie H, numero
1968, Brighella, cinquanta milioni! Siamo signori, signori! Finiti la miseria e gli stenti!
Brighella: appena sarò padrone di tanti soldi, mi prenderò subito moglie
Arlecchino: anch'io prenderò moglie. Colombina diventerà mia sposa
Brighella: Colombina! Cosa dici? Colombina sarà mia moglie!
Arlecchino: va là, va là, sbruffone, che Colombina non ti vuole. Sei troppo brutto e ignorante. Io
invece...
Brighella: (rabbiosamente, in piedi) Arlecchino, mi hai insultato. Se non mi domandi scusa,
rompo la società
Arlecchino: quale società? Se il biglietto l'ho in tasca io! Se credi di far lo spiritoso, incasso tutto
io , e buonanotte!
Brighella: ah, no! Il biglietto è di tutti e due, e fra noi due va diviso
Arlecchino: ma Colombina la prendo per moglie io
Brighella: no, io! (Si azzuffano, accorre il cameriere)
Cameriere: vergogna, signori! Venire alle mani!
Brighella: è lui che mi ha provocato!
Arlecchino: E' un prepotente che vuol avere sempre l'ultima parola!
Cameriere: ora si rimettano a sedere, tranquilli. Possono pagarmi subito i caffè, così non ci
pensiamo più.
Brighella: ma io no che non ci pensavo più, davvero
Arlecchino: pagio il mio, tu paga il tuo
Brighella: Arlechin, non posso. Non ho soldi. Ti rimborserò appena vinto.
Arlecchino: e sia! (paga. Il cameriere va via)
Colombina: Oh, signori, serva!
Arlecchino e Brighella: Colombina!
Colombina: Come mai al caffè a quest'ora?
Arlecchino: siamo in attesa di sentire la trasmissione alla radio
Colombina: C'è qualche notizia interessante?
54
Brighella: Molto, molto interessante, che riguarda anche te, Colombina
Colombina: riguarda me? Anche? Perchè?
Arlecchino: sì, perchè noialtri siamo in procinto di diventare milionari e di sposarci
Colombina: davvero? Auguri! E chi sarebbe la fortunata?
Arlecchino e Brighella: Tu! (la radio trasmette)
Arlecchino: silenzio! Stiamo a sentire! Ora si decide la nostra sorte
voce dell'annunciatrice: siamo lieti di comunicare il numero del biglietto che vince la lotteria di
carnevale. 2968 serie K
Brighella: (si mette a piangere)
Arlecchino: il tuo sogno, simunito! "Anche le parole ho sentito" (gli fa il verso)
Brighella: Ho capito male. Duemila invece di mille, e cappa invece di acca
Colombina: mi dispiace per voi. E ora volete dirmi chi sposerete?
Arlecchino: veramente non ho ancora ben deciso
Brighella: nemmeno io, per dire il vero
Colombina: meglio così, care maschere. Perchè io sono fidanzata col signor Paoletto, il
mercante, e non ci saranno discussioni tra voi. Cameriere, servite tre bicchierini di anice per noi
Cameriere: subito (serve)
Arlecchino: non ho soldi per pagare, Colombina
Brighella: anch'io ho le tasche vuote
Colombina: s'intende che pago io. Alla salute e alla vostra fortuna futura.
Arlecchino: i conti sono diventati contesse. Alla salute.
Brighella: evviva noi! Poveretti!
Arlecchino e Brighella: Non dir mai gatto se non l'hai nel sacco. No dir mai gato si no xe nel
saco!
(B. Paltrinieri)
55
Il furbo Arlecchino e il ghiotto Brighella
Arlecchino: Caro Brighella, senti un po' qua!
Brighella: Eccomi, dimmi, che novità?
Arlecchino: oggi è domenica di Carnevale, ti offro un pranzetto senza l'eguale!
Brighella: Grazie, l'accetto, ma chi cucina?
Arlecchino: dietro ai fornelli c'è Colombina
Brighella: Bene, benissimo, che mangeremo?
Arlecchino: ecco, antipasto di latte e fieno; poi la minestra di pere cotte, arrosto
d'uovo di mezzanotte, peli di gatto con salsa molle, e infine torta d'uva e cipolle
Brighella: Ah, sì? Non posso... grazie lo stesso
Arlecchino: come? Non vieni? Me l'hai promesso! Guarda, m'offendo. Ti picchierò!
Brighella: Calmati, vengo, ma porterò io stesso i viveri per tutti e tre!
Arlecchino: volevo questo, sciocco, da te!
(D. Duranti)
56
Un inguaribile bugiardo
(Lelio si aggira eccitato per la scena con la spada in mano)
Arlecchino: Signor padrone, cosa fate con quella spada in mano?
Lelio: sono stato sfidato a duello da Ottavio
Arlecchino: avete combattuto?
Lelio: Abbiamo combattuto per tre quarti d'ora
Arlecchino:com'è andata?
Lelio: con una stoccata ho passato il nemico da parte a parte
Arlecchino: sarà morto
Lelio: senz'altro
Arlecchino: dov'è il cadavere?
Lelio: l'hanno portato via
Arlecchino: bravo signor padrone, siete un uomo d'onore, non avete fatto una cosa
più grande in tutta la vostra vita.
Ottavio: (entrando improvvisamente in scena) Non sono soddisfatto di voi. Vi attendo
domani alla Giudecca: se siete un uomo d'onore, venite a battervi con me
(Arlecchino fa gesti di ammirazione vedendo il redivivo Ottavio)
Lelio: Attendetemi, vi prometto di venire
Ottavio: Imparerete ad essere meno bugiardo. (esce di scena)
Arlecchino: signor padrone, il morto cammina (ridendo)
Lelio: la collera mi ha accecato. Ho ucciso un altro invece di lui
Arlecchino: mi immagino che l'avrete ucciso con la spada di una spiritosa invenzione!
(strarnuta ed esce)
(C. Goldoni, da "Il bugiardo")
57
Arlecchino e il mal di schiena
Rosaura: Arlecchino!
Arlecchino: oh, oh... uh, uh... chi mi chiama? Chi mi vuole?
Rosaura: Arlecchino, perchè non vieni?
Arlecchino: vorrei, uih! Vorrei! Ma mi duole la schiena, mi sento morire...
Rosaura: (accorrendo) Ma che cos'hai?
Arlecchino: signora mia, uhi! Illustrissima... ieri, ieri sera, quando ho portato quel pacco...
ohi!
Rosaura: (prendendo il pacco) questo pacchetto ti avrebbe rotto la schiena?
Arlecchino: sì illustrissima... sa, io i pacchetti li prendo piano, piano...
Rosaura: lo so, Arlecchino, piano piano...
Arlecchino: sì signora illustrissima. E, nel fare piano pianissimo, crac, la mia schiena!
Rosaura: peccato, perchè volevo che tu mi portassi in carrozza al corteo mascherato
Arlecchino: (spiccando un salto) Al corteo mascherato?
Rosaura: (ridendo) ma non ti sacrificare, Arlecchino, va a letto e riposati. Mi
accompagnerà Brighella. (esce)
Arlecchino: (solo) ah, povero me! Maledetta la mia pigrizia! Mi tocca stare a letto; e c'è
il corteo mascherato! Ohimè! Ohimè!
58
Arlecchino finto morto
Atto I (intoduzione)
Arlecchino: ma ditemi un po', caro signor padrone, cos'avete per la zivibicoccola?
Siete tutto stralunato
Leandro: Caro Arlecchino, tu sai bene che mio padre ci crede tutti e due a Pavia; e nel
tempo che siamo qui abbiamo consumato molto denaro, ed ora non avendone più mi
trovo in grave costernazione
Arlecchino: ma lo so anch'io che siamo al fondo del sacchetto dei bezzi
Leandro: l'ardente amore che nutro per la figlia del signor Marabolano è la ragione per
cui ho trasgredito l'ordine di mio padre, e trovandomi senza denaro è necessario che
tu vada con qualche pretesto da lui e che procuri di ricavare qualche somma
Arlecchino: Questo è l'imbroglio... come devo fare per fargli credere che in due mesi
avete consumato cinquecento lire?
Leandro: trova qualche scusa...
Arlecchino: scusa... scusa... Non son capace di dir bugie... andrò a chiederli in prestito
da qualche servo
Leandro: vai e ingegnati.
Arlecchino: bravo, e se ingegnarmi poi, mi regalassero un sacco di bastonate, come
dovrei fare per restituirle a voi?
Leandro: non dubitare, non ti succederà niente. Procura in qualche modo di avere i
denari, e tutto andrà bene
Arlecchino: oh, poveretto me, sono più imbrogliato d'un sarto quando ha da vestire un
gobbo, che non sa quale sia il quarto davanti e il quarto di dietro!
Atto II
(in casa di Mirabolano)
Tonina: e qual buon vento?
Arlecchino: ti dirò, ho bisogno di consegnare una letterina inzuccherata alla tua
padrona, da parte del mio padrone
Tonina: bene... chiudei quella porta, così parleremo con sicurezza
(parlano a lungo, Tonina racconta dell'operazione sul cadavere dell'impiccato e
conclude)
Tonina: oh, dammi dunque la lettera
59
Arlecchino: subito... ti po... (bussano) Ohè! Cos'è questa roba?
Tonina: misera me, è il padrone!
Arlecchino: il padrone! Adesso sto fresco!
Tonina: come fare adesso?
Mirabolano: Apri, Tonina!
Arlecchino: no, per carità, non aprire
Mirabolano: Ehi, Tonina, apri!
Arlecchino: aspetta, mi metto dietro la porta, e intanto che lui entra, io scappo via
Tonina: no, no, fa così piuttosto: distenditi su questa tavola. Dirò al padrone che sei il
cadavere di quell'impiccato che devono portare
Arlecchino: sei matta! Non voglio fare l'impiccato!
Mirabolano: Apri, Tonina!
Tonina: mettiti, mettiti ben disteso.... Vengo, vengo...
Mirabolano: e che maniera di farmi aspettare tanto tempo
Tonina: scusate, ma non avevo udito battere
Mirabolano: (vedendo Arlecchino) ma Tonina, cos'è questo?
Tonina: è il cadavere che sono venuti a portare
Mirabolano: penso che mentre è ancora caldo di cominciare con le mie osservazioni.
Tonina, vammi a prendere di là i miei bisturoni, e alcuni coltellacci, e portali qui
Tonina: ma signore, non vi è ancora niente di preparato. Voi mi ordinate cose che non
è possibile eseguire. Aspettate fino a domani
Mirabolano: o ci vai tu, o ci vado io stesso
Tonino: come volete, signore
Mirabolano: che brutta faccia... questa figura ha qualcosa di ributtante.
(avvengono varie interruzioni con Mirabolano sempre deciso a squartare il falso
cadavere. Tonina intanto nasconde i ferri e ritarda l'operazione il più che può:
Mirabolano si convince a rimandare)
60
Mirabolano: Oh, quanti impedimenti! Bisogna dunque lasciar per domani questa
operazione. E tu fa portare questo cadavere in cantina
Tonina: sarete servito
Mirabolano: vado dai miei malati
Arlecchino: (salta già dal tavolo) e io, senza fermarmi, scappo via subito,
subito!(arrivano alcuni clienti e Arlecchino deve fare ora il finto medico)
Atto III
Lisidoro: vedo che non posso fare a meno, sposala tu, Leandro
Arlecchino: ah, bravissimo
Mirabolano: signor Lisidoro, avete pensato bene
Leandro: vi sono tenuto al sommo, andiamo dunque a dare sì lieta notizia alla mia cara
Lucinda
Arlecchino: e alla mia Tonina, così con due coppie di sposi faremo un bel quadretto
Mirabolano: non più indugi, dunque, andiamo
Arlecchino: andiamo pure, ma prima c'è da ringraziare per nostro dovere e
convenienza, da ringraziare questa colta e riverita udienza.
61
Meglio tardi
(una camera da letto)
Scena I
Silvestro: chi bussa?
Dottore: sono io, il dottore
Silvestro: entrate
Dottore: m'hanno detto che state male e son venuto a trovarvi
Silvestro: roba da poco, dottore, un po' di tosse
Dottore: vediamo... (gli poggia l'orecchio sul petto) ...sè, tosse e un po' di bronchite. Un
male di stagione
Silvestro: di stagione o no, se non c'era stavo meglio e potevo curare i miei affari
Dottore: oh, quelli possono anche aspettare
Silvestro: lo dite voi! Con l'aria che tira in paese. Questi assassini non si decidono mai a
rendermi i miei soldi. A farseli prestare sono tutti buoni. Ma a renderli, ti voglio!
Dottore: pagheranno, pagheranno, state sicuro. Intanto prendete queste goccioline
prima dei pasti. Faranno miracoli, vedrete. Ora debbo andare.
Silvestro: speriamo bene. Arrivederci, dottore.
Scena II
Silvestro: chi bussa?
Fedele: Sono Fedele, il vostro amico fedele
Silvestro: vieni, vieni
Fedele: ho qui con me i soldi che vi devo. Ma vorrei riavere quella ricevuta che vi
firmai.
Silvestro: non ti fidi? Amico fedele davvero!
Fedele: già... insomma, sapete, da un momento all'altro potreste morire e io non voglio
pagare due volte
Silvestro:cosa, cosa, cosa? Io, morire? Ti piacerebbe, eh... Piacerebbe a tutti voi!
Fedele: ma che dite? Io voglio solo la mia ricevuta
Silvestro: (tira fuori da sotto il materasso una borsetta di pelle e con fare misterioso tira
fuori un fogliettino) Tieni, Fedele amico fedele. Tieni, ma non farti più vedere, fila
62
Scena III
Silvestro: chi bussa?
Michele: sono Michele
Silvestro: non conosco Micheli, io
Michele: come? Sono Michele, il becchino
Silvestro: cosa?
Michele: ho saputo che stai male e allora sono venuto a prendere certe misure...
Silvestro: rendimi i miei soldi piuttosto
Michele: e se poi morite?
Silvestro:via di qua. Cani, cani. (grida, ma la tosse lo interrompe)
Scena IV
Silvestro: il dottore, o il becchino... anche l'amico non si fida più. Ma perchè? Cos'ho
fatto, che mi lasciano qui solo, come un povero lebbroso. Eppure sono nato anch'io in
questo paese. E li conosco tutti meglio di chiunque altro. Se mi volessero un po' di
bene, chi sa quanti sarebbero venuti a tenermi compagnia. Si giocherebbe un po' a
carte... Non si parlerebbe d'affari... Povero Silvestro!
(Mentre sta con la borsetta delle ricevute fra le mani, bussano alla porta)
Scena V
Silvestro: chi bussa?
Don Luigi: Sono don Luigi, il parroco
Silvestro: venite proprio a proposito. Prima il dottore, poi il becchino e ora il prete.
Don Luigi: Perchè dite così, signor Silvestro? Io non sapevo che eravate malato. Son
passato di qui e mi son ricordato che non ci vediamo da un pezzo, noi due, e intanto in
paese la gente mormora sempre di più contro di voi
Silvestro: ma cosa vogliono, infine!
Don Luigi: Vogliono che vi comportiate più da cristiano! Ecco cosa vogliono. E poi,
detto fra noi, cosa volete farne dei vostri soldi? Prima o poi dovrete lasciarli. Se sapeste
quanti poveri vi bacerebbero le mani se... Non avreste più paura del dottore, del
becchino e del prete. Pensateci signor Silvestro, non è ma tardi per cominciare a fare il
bene
63
Silvestro: ma non vedete che nessuno si cura di me. Mi lasciano solo qui, come un cane
arrabbiato
Don Luigi: Volete scommettere che domani avrete la casa piena di gente? Datemi le
vostre
ricevutine...
Silvestro: (con voce commossa) Tenete, tenete, e pigliate anche quei soldi là nel
cassetto del tavolo. Dateli a chi vi pare. Voi sapete più di me e farete meglio. Ma vi
prego, non mi abbandonate più. E ditelo, ditelo ai miei compaesani. Silvestro vuol
bene a tutti, capito? Anche ai debitori che non pagheranno più!
(U. Grimani)
64
Discussione aritmetica
Arlecchino: prima di tutto pensiamo a mangiare, sacco vuoto non sta ritto
Pulcinella: pensiamo a mangiare e a bere, a bere e a mangiare
Colombina: mettetevi a sedere e vi servo subito: quanti siete?
Gianduia: io uno, Arlecchino due, Pulcinella tre, Pantalone quattro, Stenterello cinque,
Meo Patacca sei, e io sette. Siamo sette, sette precisi.
Meo Patacca: e invece siamo cinque: Stenterello, Pantalone, Pulcinella, Arlecchino e
tu. Dico cinque, e se non ci credi ho qui il mio bastone che conta meglio di tutti
Gianduia: e allora se siamo cinque due di noi restano senza mangiare
Stenterello: io sarò uno dei due, perchè non ho quattrini
Pantalone: che importa se non hai quattrini? Non sai che pago sempre io? Ma
Colombina, com'è questa faccenda? Hai portato cinque porzioni e io sono rimasto
senza... eppure mi avevano contato!
Meo Patacca: Vuol dire che a tavola c'è qualcuno che prima non c'era
Gianduia: dicevo bene! Eravamo sette, e pagherei per sapere chi è lo stupido che se
ne è andato
65
I due fannulloni
Narratore: Arlecchino e Pulcinella sono a letto. Fa molto freddo e un colpo di vento a
un tratto spalanca la porta...
Arlecchino: per favore, chiudi la porta
Pulcinella: Già... è un favore che volevo chiederti io
Arlecchino: ma io mi sento male. Devo avere la polmonite
Pulcinella: mi alzerei subito, ma ho un gran mal di testa, quattoridici geloni e
l'appendicite
Narratore: il vento soffia alla porta: uh! Uh! Arlecchino e Pulcinella ficcano il capo sotto
le coperte. Intanto entra il Dottor Balanzone
Balanzone: perbacco! Mai visto gente che dorme con la porta aperta con questo
freddo. Ma i padroni dove sono?
Arlecchino e Pulcinella: siamo qui sotto.
Balanzone: perchè non avete chiuso la porta?
Arlecchino: io ho la polmonite
Pulcinella: e io l'appendicite
Balanzone: bene bene, sono arrivato al momento buono... Prendo i ferri e in quattro e
quattr'otto...
Arlecchino: i ferri? Aiuto!
Pulcinella: i ferri? Aiuto!
Narratore: e i due fannulloni saltano dal letto e scappano a gambe levate...
66
Il bugiardo sbugiardato
Arlecchino: ciao Brighella
Brighella: ciao Arlecchino, che fai da queste parti? E come sei vestito bene!
Arlecchino: la fortuna, caro mio, sono un signore
Brighella: vedo... che ti è capitato?
Arlecchino: viaggio in incognito
Brighella: che nome ti sei preso?
Arlecchino: Conte dei Talleri
Brighella: Uhm... bello. E che fai?
Arlecchino: nulla. Sono ricco.
Brighella: beato te...ora vado, ho fretta.
Arlecchino: sempre a piedi, eh Brighella? Io invece, carrozze e cavalli.
Brighella: come mai sei solo e a piedi?
Arlecchino: ehm... aspetto. Così, per mio piacere e diletto
Brighella: Arlecchino, oh, mi scusi. Signor Conte dei Talleri...si ricordi di me, del povero
Brighella
Arlecchino: non dubitare
Pantalone: (di dentro) Arlecchino! Arlecchino! Ma dove si è cacciato quel servitore
fannullone?
Arlecchino: Santo cielo, il mio padrone...
Brighella: ma come? Non sei qui per piacere?
Arlecchino: povero me. Bisogna che vada subito. Per forza! Addio, Brighella...
Brighella: addio signor bugiardo,conte dei Talleri!
67
Pulcinella e le frittelle
Rosaura: Pulcinella!
Pulcinella: ai suoi ordini, signora
Rosaura: ascoltami bene. Ora verrà Colombina. Mentre io parlerò con lei, tu
sorveglierai le frittelle perchè non brucino
Pulcinella: (facendo un inchino) Ma con piacere, signora. (Suona il campanello)
Rosaura: Ecco la mia cara Colombina! Va' va' Pulcinella! (Questi fa un altro inchino ed
esce. Entra Colombina)
Colombina: Rosaura mia, come sei bella! Che abiti splendidi!
Rosaura: anche tu Colombina sembri una regina
Colombina: non facciamoci troppi complimenti, amica mia. Andiamo piuttosto sul
balcone per vedere le mascherine... (si ode un urlo di Pulcinella che arriva in scena
tenendosi una mano sulla bocca)
Colombina e Rosaura: Che cosa hai fatto, Pulcinella?
Pulcinella: (continua a tenersi una mano sulla bocca e gira intorno, mugulando)
Rosaura: vuoi dire che cosa hai fatto?
Pulcinella: (parlando male) Sorvegliavo le frittelle e mi... mi... mi sono scottato la lingua
Colombina: Come?
Pulcinella: mi sono scottato la lingua.
Rosaura: Ah, briccone! Tu mangiavi le frittelle, altro che storie! Via di qua, prima che ti
bastoni! (Pulcinella scappa gesticolando)
Colombina: Perdonalo, Rosaura
Rosaura: sì, lo perdonerò, tanto si è già punito da solo
68
Dialogo di Arlecchino e Pantalone
Arlecchino: oh, come sono stanco! Non ho proprio voglia di far nulla!
Pantalone: Arlecchino!
Arlecchino: Uh, è già qui! Un'idea! Mi fingerò sordo e così non lavorerò
Pantalone: Arlecchino Arlecchino, va' subito a prendermi la medicina!
Arlecchino: Come? Devo andare in cucina?
Pantalone: Ma che cucina! La medicina ho detto. Corri a prenderla in farmacia!
Arlecchino: quale Lucia? Non ne conosco io di Lucia!
Pantalone: ma cosa dici, Lucia! Sei diventato matto?
Arlecchino: il gatto? Queste è bella!
Pantalone: Mattooo!
Arlecchino: No, mi son venuti gli orecchioni e sono diventato sordo...
Pantalone: che cosa?
Arlecchino: no, non la rosa! Sordo!
Pantalone: sei diventato sordo? Ora prenderò il bastone e ti farò guarire!
Arlecchino: no, no! Aiuto! Vado subito in farmacia!
69
Arlecchino e l'oste
Arlecchino, a cavallo del suo asino, viaggia da qualche ora lungo una strada di
campagna. Ha in tasca soltanto dieci soldi ed è affamato. Trova finalmente un'osteria
e vi entra...
Oste: cosa volete?
Arlecchino: Tre soldi di minestra, tre di pane, tre di salame e tre di vino
(L'oste gli mette in tavola quanto ha ordinato)
Arlecchino: (dopo aver mangiato) se ho più fame di prima, devo pagare lo stesso il
conto?
Oste: ciò che si mangia si paga, poco o tanto che sia
Arlecchino: giusto. Quanto devo pagare?
Oste: dodici soldi in tutto
Arlecchino: Ohibò, qui c'è un imbroglio.
Oste: come sarebbe a dire?
Arlecchino: il conto è presto fatto: tre di minestra, tre di pane e tre di salamino. Nove in
tutto.
Oste: e il vino?
Arlecchino: ah, dico bene. Tre di pane, tre di minestra e tre di vino.
(L'oste comincia a perdere la pazienza e.. continuando a tenere alzate tre dita della
mano destra, ripete sottovoce: "Tre di minestra, tre di pane...". Arlecchino posa sul
tavolo nove soldi e si allontana col ciuco, lasciando l'oste immerso nei suoi calcoli)
Arlecchino: (parlando all'asino) Vecchio mio, allegria! M'è rimasto un soldo per
comprarti un po' di biada!
Oste: (nella bettola, facendosi portavoce con la mano) E il salamino?
Arlecchino: (gridando da lontano) Se lo incontra me lo saluti tanto!
70
A Carnevale ogni scherzo vale
Brighella: (solo, parla fra sè) Non so che cosa darei per potermi pappare una di quelle
scatole di cioccolatini che al solo vederle in vetrina ti fan scendere giù per la gola una
certa acquolina...
Arlecchino: (che giunge in quel momento) Ciao, Brighella. Ho piacere di incontrarti.
Può darsi che tu mi possa aiutare. Senti, ho assoluto bisogno di duecento lire che mi
servono subito. So che tu sai trovare il modo di farle saltare fuori. E non lo farai
gratuitamente, s'intende. Guarda qui: una scatola di cioccolatini che mi è stata
regalata due giorni fa per il mio compleanno. E' tua, se mi dai duecento lire. Eh, che ne
dici?
Brighella: (che fa gli occhi lucidi nel vedere l'oggetto dei suoi sogni)
Perdinci, Arlecchino, che bella scatola! Cioè, no, non è poi tanto bella... e duecento
lire sono duecento lire...
Arlecchino: ehi, ma dico? Non lo sai che una scatola simile la pagheresti duemila lire in
un negozio come si deve? E tu fai il tirchio per duecento... bene... bene... o prendere o
lasciare. Decidi.
Brighella: per avere duecento lire, io le avrei. Me le ha regalate mio zio proprio ieri per
un servizio che gli ho reso. Ma dartele proprio tutte... non potresti accontentarti di 150?
Arlecchino: sei matto? O 200 o non se ne fa niente. Per l'ultima volta: accetti o non
accetti?
Brighella: (che non resiste alla dolce tentazione) E va bene, eccoti le 200 lire.
Arlecchino: ed eccoti la scatola. (consegna la scatola e poi se ne va di gran corsa)
Brighella: (senza metter troppo tempo in mezzo rompe la carta che avvolge la scatola,
rompe la scatola stessa, e ahimè! Che cosa trova? Gusci di castagne, di noci e di
nocciole) Aiuto! Al ladro! Gente, venite! Mi hanno rubato 200 lire! E' stato Arlecchino!
Pigliatelo!
Un ragazzo: (fra il gruppo di alcuni che si sono avvicinati alle sue grida) Ehi, Brighella!
Cosa dici? Come è andata? Come ha fatto Arlecchino a rubarti 200 lire?
Brighella: Non è in verità che me le abbia proprio rubate. Ma io gliele ho date in
cambio di una scatola di cioccolatini. Ed ecco invece che cosa ho trovato! (mostra le
bucce)
Ragazzo: Ah, ah, furbo Arlecchino! Più furbo di te che credi di esserlo tanto. Non sai
che siamo a Carnevale? E che a Carnevale ogni scherzo vale? Smettila di fare quella
faccia e fatti furbo, un'altra volta!
71
Fabrizio e Succianespole (Arlecchino)
Fabrizio:Ehi Succianespole!
Succianespole: Signore...
Fabrizio: E' acceso il fuoco?
Succianespole:gnor no
Fabrizio: come stiamo in cucina?
Succianespole: Bene
Fabrizio: perchè non è ancora acceso il fuoco?
Succianespole: perchè non c'è legna
Fabrizio: non mi star a far lo scimunito, chè oggi ho da dar pranzo a un'eccellenza
Succianespole: ci ho gusto
Fabrizio: Succianespole, che cosa daremo a pranzo a sua eccellenza?
Succianespole: tutto quello che comanda vostra eccellenza
Fabrizio: quante volte mi faresti arrabbiare con questa tua flemmaccia maledetta!
Succianespole: io sono lesto
Fabrizio: lo sai fare il pasticcio di maccheroni?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: un fricandò alla francese?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: una zuppa con l'erbucce?
72
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: con le polpettine?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: e coi fegatelli arrostiti?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: hai denari da spendere?
Succianespole: gnor no
Fabrizio: ti ho pur dato uno zecchino!
Succianespole: quanti giorni or sono?
Fabrizio: lo hai già speso?
Succianespole:gnor sì
Fabrizio: e il tuo salario che ti ho dato, l'hai speso?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: e non hai più un quattrino?
Succianespole: gnor no
Fabrizio: maledetto sia il gnor sì e il gnor no. Si sente altro da te che gnor sì e gnor no?
Succianespole: insegnatemi che cosa ho da dire
Fabrizio: bisogna pensare a trovar denari
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: quante posate ci sono?
Succianespole: sei, mi pare
Fabrizio: sì, erano dodici, se le ho impegnate restano sei. Siamo in quattro,
impegnamone due.
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: vai al Monte e spicciati
73
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: non mi fare aspettare due ore
Succianespole:gnor no
Fabrizio: andremo a spendere quando torni
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: c'è vino?
Succianespole:gnor no
Fabrizio: c'è pane?
Succianespole: gnor no
Fabrizio: gnor sì, che tu sia bastonato
Succianespole: gnor no...
(Carlo Goldoni)
74
Il seccatore
Pantalone sta leggendo un libro. Bussano alla porta d'ingresso e Arlecchino va ad
aprire; poi, con sgambetti e piroette, farà da spola tra il visitatore e il padrone.
Cavaliere di Ripafratta: vorrei parlare col tuo padrone, è in casa?
Arlecchino: non lo so
Cavaliere di Ripafratta: e allora fammi il favore di andare a vedere
Arlecchino: non occorre, adesso glielo domando. (A Pantalone) Padrone, c'è di là un
tale che vorrebbe parlare con lei, che cosa gli dico?
Pantalone: Auff! Non si può stare un momento tranquilli. Digli che non ci sono.
Arlecchino: Sta bene. (al cavaliere)Il mio illustrissimo signor padrone, Pantalone dei
Bisognosi, in casa non c'è.
Cavaliere di Ripafratta: ne sei certo?
Arlecchino: Certissimo. Me l'ha detto lui.
Cavaliere di Ripafratta: ebbene, io sono il Cavaliere di Ripafratta. Digli che devo
assolutamente parlargli. Si tratta di un affare che urge e che non può essere
rimandato.
Arlecchino: glielo dico subito! (A Pantalone) Quel tale dice di essere il Cavaliere di
Ripafritta e che si tratta di un affare che urge
Pantalone: quel tale è un seccatore! Gliel'hai detto che non sono in casa?
Arlecchino: gliel'ho detto, ma vuol parlare lo stesso
Pantalone: digli che non posso riceverlo, che sto poco bene, che sono a letto
ammalato.
Arlecchino: Signorsì. (al cavaliere) Eccellenza, il mio padrone non può riceverla perchè
sta poco bene. E' a letto ammalato.
Cavaliere di Ripafratta: oh, mi dispiace. Ma sono capitato a proposito. Ho studiato
medicina e mi basterebbe tastargli un momentino il polso, per sapere di che malattia è
affetto. Va' a dirglielo.
Arlecchino: Vado. (a Pantalone) Il Cavaliere ha fatto un grande discorso.
Pantalone: insomma, non vuol andarsene?
Arlecchino: no, non vuol andarsene. Ma gli basterebbe tastarle il polso.
75
Pantalone: vorrebbe tastarmi il polso? Digli che ho una malattia contagiosa. Digli che
ho gli orecchioni e se mi viene vicino se li prende anche lui. Vai, corri.
Arlecchino: corro con tutte le mie gambe. (al cavaliere) Il mio padrone ha le orecchie
asinine e se uno lo tocca diventa un asino anche lui
Cavaliere di Ripafratta: niente paura! E' una malattia che ho avuto anch'io da
bambino e chi l'ha avuta una volta non la prende più. Ma digli che, per fortuna, ho
con me una pomata prodigiosa e se mi permette di spalmargliela, guarisce all'istante.
Arlecchino: E' una vera fortuna! (a Pantalone)Dice che ha una marmellata speciale da
mettere sulle orecchie
Pantalone: questa è una vera persecuzione! Io voglio essere lasciato in pace. Digli che
sono moribondo e sto dettando il testamento
Arlecchino: è una buona idea. (al cavaliere) Il mio padrone è occupatissimo a fare il
testamento e deve farlo in fretta perchè sta per morire
Cavaliere di Ripafratta: il questo caso potrei essergli utile come testimone e metter la
firma sul documento. Va' subito a dirglielo
Arlecchino: (a Pantalone) dice che potrebbe far da compare
Pantalone: digli che sono morto
Arlecchino: (al cavaliere) il mio padrone è morto
Cavaliere di Ripafratta: sono veramente addolorato. Vengo a recitare una preghiera
per lui.
(Passa imperterrito davanti all'esterrefatto Arlecchino)
76
Copyright
Fai riferimento a quanto espresso qui:
http://www.lapappadolce.net/copy-right/