Intimate Computing modello ed esempi di una strategia vincente per il mobile marketing
Gianluca Diegoli
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Gianluca Diegoli si occupa dal 1997 di internet per il business e
di eCommerce, con una sensibilità specifica in social business e
una conoscenza profonda della Rete, anche a livello di tecnolo-
gie abilitanti.
È formatore e consulente in strategia dei canali digitali per
aziende e organizzazioni e dal 2012 è professore a contratto
presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM per
il corso di marketing digitale e e-commerce.
Il suo ultimo libro è Social Commerce, pubblicato da Apogeo nel
2013. È inoltre autore e coautore di numerose pubblicazioni
tra cui “Vendere Online” per Il Sole 24 Ore e “Manuale di Social
Media Marketing” per Hoepli, “Viaggi in Rete” per Angeli e “Co-
municazione Liberata”, ed. Brioschi. Tra le pubblicazioni digitali
troviamo “91 discutibili tesi per un marketing diverso”, scaricato
in più di 30.000 copie, e in seguito distribuito in forma cartacea.
L’Autore
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kÈ inoltre fondatore di minimarketing.it, sviluppato attorno
all’idea di un marketing diverso pensato per le persone, dalle
persone, con le persone, attraverso nuove forme di connessione
e condivisione in rete. Il suo blog [mini]marketing è uno dei più
influenti in Italia e viene citato in diversi libri di marketing.
Ha tenuto lezioni al Master in Social Media di IULM, al Master
Social Media di IFOA, al Master in Web Marketing dell’Universi-
tà di Genova, al Master in Ecommerce e Digital Marketing de Il
Sole 24 Ore, al Master in Comunicazione dell’Università di Siena,
al Master in Comunicazione dell’Università di San Marino, al
Masterlab in Digital Economics & Entrepreneurship di Digital
Accademia, al Master in Retail Marketing de Il Sole 24 Ore, al
Master di Ninja Marketing e al Master 24 de Il Sole 24 Ore e ha
scritto per Wired, Apogeo, Codice e partecipato a trasmissioni di
SkyTG24, Radio 24, Class-CNBC, Radio Rai e altre. è stato inoltre
relatore al Festival del Giornalismo, a varie Social Media Week, a
BTO e altri eventi.
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kSommario
Introduzione .............................................................................. 5
Cosa intendiamo per Intimate Computing ............................... 8
La zona di relazione ................................................................ 15
Progettare funzionalità come creazione di valore ................ 22
Modelli di business.................................................................. 27
Conclusioni .............................................................................. 32
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1 Introduzione
Questo documento si propone di rispondere alle domande che i
nostri riferimenti in azienda ci rivolgono quotidianamente:
In un periodo caratterizzato dal continuo cambiamento, da
nuove tecnologie, nuovi device, nuove piattaforme che le azien-
de annunciano con cadenza giornaliera, crediamo che serva,
per chi deve prendere decisioni sugli investimenti in azienda,
non tanto rincorrere affannosamente la tecnologia ma chiarir-
si le idee sul senso, il valore e il ritorno della propria presenza
sul mobile (anche se tutto è ormai mobile, in realtà: iPhone è
la macchina fotografica più usata al mondo, Android il primo
sistema operativo, la maggior parte del tempo speso online è da
smartphone e tablet, dati Audiweb 2014, e potremmo continua-
re) attraverso un modello concettuale, un framework (niente
di astratto e astruso, sia chiaro). Uno schema mentale, ancora
prima che tecnologico, che semplifichi una realtà complessa
Qual è il modello ideale di business di una nuova app?
Come mi posiziono nella vita reale del mio target?
Quali sono i parametri per determinare gli effettivi risultati di business apportati e quantificare il ritorno del mio investimento?
Come posso capire quali funzionalità inserire e quali invece scartare?
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ke variegata come quella mobile: l’Internet utilizzata in modo
personale, continuativo, “touch” sposta ancora di più, rispetto
all’internet “fissa” il focus dalla tecnologia realizzativa al valo-
re reale generato per chi la deve utilizzare (il mitico “utente”).
I brand vincenti saranno quelli che capiranno prima degli altri
che il valore si crea attraverso un vero rapporto con la persona:
utilizzando questa modalità continuativa di interazione senza
però “spremere dati” né “bombardando di messaggi”, ma do-
nando utilità prima di chiedere attenzione.
L’attenzione, in un ambiente frenetico fatto di notifiche push,
in uno spazio teoricamente illimitato ma praticamente ristretto
come quello delle app che l’utente può installare in posizione
prominente (o che comunque possono rimanere nella top of
mind dell’utente — per usare un termine caro ai marketer —
quando servono davvero) è la moneta più preziosa da spendere
per i nostri piani marketing, e non possiamo pensare di spre-
carla con funzionalità inutili, o difficili da utilizzare, o semplice-
mente non in linea con i suoi obiettivi, le sue modalità preferite
e gli effettivi momenti d’uso, in cui ci potrebbe dedicare la sua
completa — di nuovo — attenzione.
L’obiettivo è anche quello di spazzare via inutili illusioni. Un’app
non è un biglietto della lotteria: una buona parte delle app — è
giusto dirlo — non raggiunge i risultati attesi, siano questi di
monetizzazione diretta (attraverso la vendita dell’app stessa) o
indiretta (con obiettivi esterni alla app, per esempio la vendita
di prodotti, o la raccolta di dati utili, o la maggiore fidelizzazione
del cliente), a causa di una mancata analisi del target, dei suoi
bisogni o di falle nella realizzazione, che porta a una app magari
utile, ma poco gratificante nell’uso, che può a quel punto essere
comodamente sostituita da un’altra più facile, anche se magari
con funzionalità minori.
Purtroppo notiamo ancora oggi investimenti rilevanti perdu-
ti completamente a causa di qualche mancanza nell’impianto
strategico complessivo, oppure brand dedicare un investimento
troppo basso in relazione ai risultati attesi in base a una errata
convizione che basti “fare una app e metterla negli store” per
vedere gli utenti scaricarla e soprattutto utilizzarla. Ancora
più spesso, non si ha un obiettivo chiaro di a cosa serva avere
un’app, e si crea — a questo punto con il minore investimento
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kpossibile, già di per sé garanzia di fallimento — un aggregato
di funzioni prese da app simili o di competitor, senza trovare
una propria unicità rispetto al pubblico di riferimento, e anche
quando la app viene utilizzata, non se ne sa misurare il ritorno.
La app come costo, anziché come investimento, non ha senso in
una strategia di marketing digitale.
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2 Cosa intendiamo per Intimate Computing
Intimate Computing è la nostra definizione della modalità di
relazione tra persone e brand, creata dagli smartphone e — in
misura leggermente inferiore — dai tablet. Vogliamo usare
questa definizione per contrapporlo al Personal Computing, che
in effetti, rispetto ai mainframe aziendali (un po’ assomiglianti
a quelli della serie Spazio 1999), aveva condotto per primo le
persone verso un rapporto meno distaccato con la tecnologia.
Ci sono tre elementi di base che definiscono il rapporto nascente
dall’Intimate Computing: l’essere personale, essere continuativo,
essere touch.
L’uso della tecnologia è finalmente davvero intimo (in quanto il
device non è condiviso, esattamente come un portafoglio o un
mazzo di chiavi) fino a trasformarsi in una estensione del cor-
po stesso, un arto plasmabile tramite app su misura della mia
necessità (diversa da quella di un altro), e che amplifica le possi-
bilità, la conoscenza e semplifica gli obiettivi della vita reale, nel
momento stesso in cui si svolge.
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ng Raramente il device è più lontano di pochi centimetri dalle
nostre dita, e non è raro vedere gente armeggiare con due borse
della spesa nella stessa mano, pur di avere libera la seconda per
chattare su Whatsapp o controllare l’email. Ancora, sondaggi
riportano come le persone trovino meno fastidioso scordare a
casa il portafogli, anziché lo smartphone.
Secondo un’indagine del 2013 di AlFemminile.com, il 43% delle
donne italiane non può separarsi per più di un’ora dal proprio
smartphone. In alcune aree di paesi in via di sviluppo, la con-
nessione via smartphone viene considerata prioritaria rispetto
a servizi come l’acqua corrente o altro, oppure — come avviene
in molti paesi africani — il conto corrente viene sostituito dal
credito telefonico.
Secondo dati forniti da Google per il 2013, l’utente medio di
smartphone controlla il proprio device più di 150 volte al giorno.
Questo rapporto è appunto continuativo, in quanto le perso-
ne rimangono connesse per gran parte della loro giornata, ma
soprattutto sanno di poter essere connesse in qualsiasi momento
nasca un bisogno di qualsiasi tipo che possa essere soddisfatto
attraverso la connessione alla rete.
La fisicità è rafforzata dalla tecnologia touch, che supera la
barriera della tastiera per creare un linguaggio franco basato
sull’interazione naturale e diretta delle mani, degli occhi, del
corpo stesso. A seconda del momento di vita e dell’utente, l’e-
stensione del suo corpo può quindi essere uno smartphone, un
tablet o entrambi. Per riuscire a focalizzarsi sulle modalità di
relazione anziché sulla tecnologia è necessario mantenere come
punto di vista primario l’utente, la sua vita, le sue abitudini. Se
riusciamo a capire l’utente capiremo come essergli utili, e se gli
saremo utili l’utente sarà in grado di fornirci vantaggi tangibili
dal punto di vista del nostro business.
È necessario mantenere come punto di vista primario l’utente,
la sua vita, le sue abitudini.
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ng Nessuno chiede più informazioni stradali dal finestrino, in quan-
to le mappe sono disponibili per tutti, e ormai sono storia — o
quasi — i navigatori GPS, molti leggono libri direttamente dallo
smartphone, quasi estinti sono i lettori MP3, in quanto la musica
è dentro il telefono o ancora più spesso in streaming, le previsio-
ni del tempo sono in tempo reale, idem il traffico: lo strumento
smartphone è talmente versatile da poter soddisfare le esigenze
di una vasta gamma di persone. E questo apre infinite possibilità
per le aziende di intercettarle ed esaudirle, inserendole possibil-
mente in nuovi modelli di business virtuosi.
La continuità (o la possibilità di esserlo): il rapporto uomo-de-
vice è continuo, con persone connesse per gran parte della loro
giornata, ma che — soprattutto — sanno di poter avere la rispo-
sta a disposizione in qualsiasi momento nasca un bisogno poten-
zialmente soddisfatto.
La terza caratteristica — fisicità del rapporto — è plasmata dalla
tecnologia touch, che supera la barriera della tastiera per creare
un linguaggio naturale e globale basato sull’interazione naturale
e diretta delle mani, degli occhi, del corpo stesso. Un ottimo post
di Marco Massarotto indaga e fornisce fonti sulla intimità appor-
tata dai device (fonte: http://marcomassarotto.com).
Per riuscire a focalizzarsi sulle modalità di relazione anziché
sulla tecnologia è necessario come primo passo focalizzare
l’utente, la sua vita, le sue abitudini. Se riusciremo a capire chi
è, di cosa ha bisogno, dove e in quale momento, capiremo anche
come essergli utili, ed entrare in quella che chiameremo (e defi-
niremo meglio più avanti) Zona di Relazione, in cui l’utente sarà,
attraverso l’uso dell’app, in grado di fornirci vantaggi tangibili
dal punto di vista del nostro business, in un circolo virtuoso che
avvantaggia tutti.
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ng L’investimento è spesso quindi di medio-lungo periodo, anche
quando comincia a dare risultati da subito. Si tratta di investire,
da parte dell’azienda, nella creazione di Owned Media, un “cana-
le” privato e prioritario con cui relazionarsi con i propri clienti o
prospect.
Un canale che è ben più potente, quanto a personalizzazione e
“intimità” rispetto alla sfera privata (attenzione, anche a possi-
bile intrusività) di altri mezzi già “diretti” come l’email marke-
ting o il direct marketing, a cui mancano spesso sia la capacità
di feedback continuativo che di rilevanza rispetto al momento
di vita dell’utente, nonché quanto a possibilità di ottenere dati
“live”, non mediati da rilevazioni come sondaggi e interviste, ma
ottenuti direttamente dai comportamenti degli utenti attraverso
questo “arto artificiale”.
Il canale è owned, di proprietà, si diceva: non intermediato,
se non dall’app store, in cui il brand non deve più acquistare
visibilità da terzi come TV, giornali e radio o altri siti, se non in
parte come vedremo per lanciare la app stessa, ma guadagnare
in ogni momento una relazione diretta con i propri stakehol-
der, con la possibilità di servirli con un livello di precisione
spazio-temporale e di rilevanza potenzialmente mai raggiunto
prima dalla comunicazione di massa, e nemmeno dall’internet
su PC.
Un nuovo follower su Twitter, un nuovo fan su Facebook, un
SMS inviato non fornisce in potenza all’azienda lo stesso numero
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ng di informazioni sulle preferenze rispetto a un catalogo, compor-
tamenti di acquisto, i suoi spostamenti geografici (o la posizione
da cui la usa) che un’app mobile, se ben tarata sugli obiettivi
aziendali può fornire. Queste informazioni – non ci si deve stan-
care di ripetere il messaggio – devono essere ricambiate però da
un’utilità concreta, rilevante e contestuale al momento di vita
che l’utente si aspetta attraverso questo “patto”. Non c’è dato
senza utilità. Le persone sono disposte a scambiare informazioni
su di sé se questo va a vantaggio della propria vita e queste in-
formazioni vengono utilizzate in modalità corretta rispetto alla
loro privacy e per offrire servizi che si adattano meglio alle loro
esigenze.
Le aziende devono quindi (ancora una volta) abbandonare il
concetto di marketing monodirezionale, per sfruttare a pieno
le potenzialità di un contatto spontaneo, permesso e voluto dal
cliente/utente stesso che le porta con sé durante i suoi momenti
di vita. Le aziende che comprendono quanto abbia valore questo
rapporto intimo con i loro potenziali clienti sono quelle meglio
posizionate per la sfida nell’arena commerciale digitalizzata del
futuro.
Nel momento in cui le persone percepiscono il rapporto come
solo una nuova forma di interruzione pubblicitaria o come mera
raccolta di dati senza un “compenso” in termini di miglioramen-
to della propria vita, saranno portate a chiuderlo immediata-
mente. Se apro la app e ci trovo notizie irrilevanti, o offerte non
ritagliate sui miei desideri, o messaggi fastidiosi e ripetuti in cui
dentro “non c’è niente per me” (come si dice negli USA), o se nel
momento del bisogno la app non mi è utile, non la userò più o la
cancellerò: bastano pochi secondi, ancora meno che disiscriversi
da una newsletter.
Abbiamo solo una opportunità di fare una ottima prima impres-
sione, in aggiunta. Una app che viene cancellata, o in maniera
minore ma non trascurabile una notifica che viene spenta,
rappresenta un possibile cliente perso, molto spesso per sempre,
anche se ovviamente esistono modi di recuperarlo, con costi
ovviamenti rilevanti e che — se il rapporto di fiducia è incrinato
— dal risultato non assicurato.
Il bilanciamento ottimale tra valore apportato e la sua propen-
sione a effettuare azioni utili per i nostri obiettivi (abbonamenti,
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ng acquisti, informazioni, interazioni) è — si è capito — il guado su
cui affondano molti progetti.
Come vedremo, il massimo valore apportato non è sempre dato
dall’inserimento di tutte le feature tecnologiche possibili o più
cool (chi non ricorda di aver visto app in cui a ogni uso ci chie-
diamo “perché l’hanno inserita questa cosa? Ho già un’altra app
che lo fa meglio”): deve essere invece incentrato su di una reale
necessità, su di un problema sentito, su di un desiderio effetti-
vo del nostro utente. La tecnologia segue, e capendo cosa serve
davvero si può anche risparmiare, al contrario, eliminando
funzionalità inutili, che magari appesantiscono l’app o la rendo-
no lenta da utilizzare e da scaricare, o che fanno scaricare inu-
tilmente la batteria (per esempio, non sempre servono le mappe
all’interno di una app, quando gli utenti hanno già una app che
fa quello benissimo).
Intimate Computing è quindi qualcosa di parzialmente diverso
da quello che viene spesso definito “Mobile Computing”: in mol-
te situazioni l’uso in mobilità di una app è sicuramente apparte-
nente alla sfera che andremo a delineare, ma in altre situazioni
l’Intimate Computing opera anche all’interno delle nostre case, o
dei nostri uffici o comunque in contesti non strettamente in “mo-
bilità”: pensiamo al tablet, usato per la maggior parte dei casi sul
divano, a letto, in cucina, a teatro, al cinema.
Il tema quindi non è la mobilità del dispositivo, ma l’intimità del
rapporto che intratteniamo con questo. Non è un caso che que-
sti dispositivi non abbiano normalmente possibilità di accesso
multiplo per più persone: quando è usato da più persone, queste
sono comunque intime tra loro, stabilendo quindi un contatto
con il brand, quando accade, a livello di gruppi fortemente coesi
come famiglie o legami affettivi.
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E-mail checking
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Listening to music
Shopping: purchasing
Playing games
Reading news
Shopping: browsing
Surfing the web
Social networking
Watching TV/videos
Lightweight creation
Recipe search, cooking
Looking up information
Local search
Reading a book
Bed
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La tabella sintetizza la frequenza di utilizzo tramite tablet delle appli-cazioni principali tenendo conto del luogo di fruizione. Si tratta di un riadattamento dei risultati della ricerca Google Understanding Tablet Use: A Multi-Method Exploration.
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3 La zona di relazione
Immaginiamo tre insiemi da riempire, come se fosse un gioco o
un compito a casa:
il primo, chiamiamolo User’s Life, richiede di
descrivere il ciclo quotidiano di vita dell’audien-
ce, di analizzarne lo stile e i momenti chiave della
giornata. Per esempio, quanto si sposta e quali
sono i luoghi di uso quotidiano dello smartphone o
del tablet, dove abita, quali app usa già e per quali attività fon-
damentali, le relazioni personali online e offline che intrattiene
attraverso il device, se sono one-to-one e private come Whatsapp
o se comunica anche in modo aperto e pubblico su Twitter o In-
stagram o Facebook (che è in realtà un ibrido dei due). In sintesi,
un identikit. Uno schema utile per analizzare le abitudini degli
utenti è quello di HBR.org, mentre un’analisi dell’utente per
fasce demografiche è presente in Google Think. Per completare
questo insieme possiamo attingere da diverse fonti, a seconda
delle informazioni possedute e delle possibilità di budget:
• informazioni da ricerche e studi su tipologie di utenti simili
• dati derivanti da nostri database
• osservazione di utenti nei luoghi in cui pensiamo possa
essere utile la nostra app
• test, interviste e sondaggi su gruppi di utenti selezionati
• dati di uso di applicazioni simili
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one Il secondo, Technology, ci richiede di esplicitare le
funzionalità che possono essere inserite nell’ap-
plicazione, in gran parte non esistenti o non real-
mente sfruttabili nel Personal Computing: si pensi
a GPS, fotocamera, registratore, bussola, sensori di
spostamento e stati corporei, fino a NFC e iBeacon che possono
ampliare enormemente la rilevanza e l’utilità dell’app rispetto al
luogo o al momento di uso dell’applicazione. Queste possibilità,
a livello di brainstorming, possono essere esplorate attraverso
l’associazione di più funzioni prototipiche, che vedremo meglio
più avanti nel paragrafo “Progettare funzionalità come creazio-
ne di valore”
Il terzo, Your Business, è destinato a esplicitare
i “momenti della verità” chiave, e rapportarli ai
nostri obiettivi di business. Un’app può intervenire
in ognuno dei tre “momenti della verità” (fonte:
ZMOT, Google, 2010), prima dell’acquisto, aiutando il cliente
nella raccolta di informazioni, davanti allo scaffale o in store, e
dopo l’acquisto.
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one In ognuno di questi momenti (non necessariamente in tutti)
possiamo essere utili al cliente e riuscire a farci scegliere im-
mediatamente o ancora raccogliere dati e adesioni o aperture
al “permission marketing” che ci può essere utile in seguito per
vendere.
A Woody Allen viene attribuita spesso la frase “L’ottanta per cento
del successo è esserci”. Questo è particolarmente vero nel digitale.
Non puoi essere un partner utile come brand e migliorare la vita
dei consumatori se non sei presente nel momento in cui questi ne
hanno più bisogno. E sempre più spesso questi momenti succedo-
no sugli smartphone. (fonte: http://www.thinkwithgoogle.com)
Consideriamo un esempio pratico di applicazione. Se il nostro
obiettivo è la vendita di gadget tecnologici il primo momento
della verità è sicuramente l’ingresso del cliente nello store, in
cui potremo dargli una visione differente da quella “a scaffa-
le” e adattarla alle sue specifiche esigenze - in questo saremo
estremamente facilitati da iBeacons (consideratelo il GPS “per
interni”). Il secondo momento della verità è quello dell’utilizzo
del prodotto acquistato, e quindi la nostra app potrebbe essere
un aiuto (istruzioni? video tutorial?) esattamente come e quan-
do serve (e per esempio potremmo approfittare per registrare
la garanzia e raccogliere ulteriori dati preziosi per il rapporto).
Oppure addirittura potremmo intervenire nel momento zero,
quando il cliente ancora non ha deciso: aiutandolo e proponen-
do recensioni lasciate da altri clienti sui prodotti (social proof) o
tramite la proposizione di novità e offerte con contenuti specifici
per la sua situazione, arrivando ad impiegare notifiche push per
le comunicazioni più rilevanti e personalizzate. Le possibilità
sono letteralmente infinite, per questo la strategia è così impor-
tante.
E i nostri obiettivi di business quali sono? Stiliamo dei numeri
(altrimenti non sono veri obiettivi) e diamo un valore, per esem-
pio, al traffico generato aggiuntivamente in-store dalla nostra
app, assegnamo un valore in termini di future vendite (o di
diminuzione di costi di vendita) alla raccolta di dati per il marke-
ting (che potenzialmente è la base di qualsiasi attività redditizia,
attraverso la segmentazione dei clienti), valorizziamo il passapa-
rola positivo e il risparmio di ore uomo generato da un puntuale
customer care via mobile, o semplicemente valutiamo quanto
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one vale il venduto da app: le recenti innovazioni in termini di pa-
gamento via carta virtuale (Apple Pay) renderanno infatti molto
più semplice e sicuro il pagamento da mobile rispetto all’inseri-
mento manuale da PC della carta. Un semplice modello di elabo-
razione degli obiettivi è consultabile presso howtogomo.com.
Capire l’intersezione tra questi insiemi è un’esercizio utilissimo
di strategia di marketing mobile: ci dice visivamente e immedia-
tamente in quale area si genera valore per l’utente, ma contrap-
ponendola sia agli obiettivi che alle risorse tecnologiche. L’appli-
cazione considerata di valore dall’utente avrà un tasso di utilizzo
elevato relativamente ai possibili momenti di uso (diventare la
app preferita per quel bisogno, quella funzione, quel momento),
e quindi godere potenzialmente di un ritorno dell’investimento
migliore: è un circolo virtuoso quello che dobbiamo innescare.
L’utilizzo continuativo o ripetuto e intensamente partecipato
provoca una relazione forte, volontaria e percepita come arric-
chente. È il caso dell’app Uber, un servizio di taxi che ha rivolu-
zionato il trasporto urbano tradizionale attraverso la app stessa,
che crea valore in pochissimi secondi.
Un passaggio importante nella strategia mobile è la quantifica-
ZDR
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one zione dell’investimento necessario al lancio. Spesso si trascura
il fatto che non è sufficiente creare una app per farla scaricare
e tantomeno utilizzare. Sì, esistono casi “virali” in cui una app è
talmente “geniale” e innovativa da diventare diffusa solo attra-
verso il passaparola, ma sono casi isolati e minoritari, e spesso
inoltre ciò che viene spacciato per virale è in realtà una ben cali-
brata politica di introduzione tramite pubbliche relazioni rivolte
a particolari personalità in grado di trascinare delle audience
ben specifiche.
Il primo passo è la quantificazione del numero di persone per
cui possiamo dirci soddisfatti dei risultati raggiunti. Ciò dipende
dal numero di clienti esistenti e da quelli potenzialmente otteni-
bili, e varia naturalmente da azienda ad azienda: per la grande
distribuzione una app usata da poche migliaia di persone non
può considerarsi un successo, in quanto non potrà avere un im-
patto rilevante sulle variabili di business (marginalità, scontrini,
numero di clienti, ecc.), per un ente del turismo locale di una
piccola città potrebbe invece essere un numero che abbatte di
molto il “costo per turista” in comunicazione.
È quindi necessario capire quale quota (reach) della propria
audience di interesse è necessario raggiungere in prima istanza
con l’installazione della app (il 10%? il 20%?). Naturalmente non
tutte le installazioni diventeranno utilizzi continuativi (solo il
30% circa dei download diventa uso continuativo).
Tuttavia creare l’app partendo dal nostro schema e individuare
la Zona Di Relazione aiuta a massimizzare la conversione dall’in-
stallazione all’utilizzo (data da numero di utenti in ZDR / nume-
ro di installazioni) e portarlo sopra la media generale: questo
significa investire al meglio il budget di promozione della app.
Si parla quindi di Costo per Download, e di Costo per User Attivo
(dove la definizione di attivo dipende dai nostri obiettivi).
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Indicatori del livello di raggiungimento della ZDR
Utente Proattivo
Utente Reattivo
posiziona la app nella springboard
in posizione prominente
utilizza la app per n min/volte al gg/sett/mese
utilizza la app per una percentuale elevata della propria quota quoti-diana di IC
risponde positivamente alle notifi-che push o altre forme di interazio-ne proposte dalla app stessa.
Gli utenti che vivono l’app all’interno della Zona Di Relazione
saranno quindi sempre un sottoinsieme del totale, ma d’altra
parte ne costituiranno la parte con scontrino medio più elevato,
maggiore fedeltà, tasso di risposta alle notifiche push, ecc., e che
ci fornirà più informazioni e qualitativamente migliori, coinvol-
gerà a sua volta più utenti nella propria rete sociale, e avrà un
tasso di conversione all’obiettivo più elevato della media.
Awareness
Download
Ritorno
ZdR
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one Quindi diffidiamo di chi proclama a priori che “il mobile marke-
ting è il futuro” “Chiunque deve avere una app per essere trova-
to/per fare business/eccetera” e altre frasi roboanti prive però di
contesto. Non è il device mobile a fornire risultati superiori di
business, ma la relazione che il brand può stabilire con l’utente
attraverso il device: per esempio il tasso di click e di conversioni
all’obiettivo dei banner generici su piattaforma mobile (tipico
strumento di “interruzione” nell’esperienza dell’utente) è pres-
soché nullo, se si escludono i clic accidentali, come sostenuto da
uno studio di GoldSpot Media riportato da BusinessInsider.com.
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4 Progettare funzionalità come creazione di valore
Nel progettare le funzioni, le interazioni e le connessioni della
app dobbiamo evitare due zone a rischio del diagramma che ab-
biamo preso come schema di base. La prima è la wanna be zone.
Funzionalità, utili sì al nostro cliente/utente, ma che possono es-
sere più efficacemente fornite da altri, o per le quali non siamo
comunque reputati come i migliori fornitori possibili, a meno
che queste non trovino una giustifi- cazione nell’utilità apportata
dal nostro business (Es. “hotel che fornisce il meteo” potrebbe
essere inserito qua, mentre “hotel che fornisce un alert push per
cancellare la prenotazione in caso di previsioni non ottimali”).
Wanna Be Zone
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Un altro errore da evitare è di concepire l’app come sommatoria
delle potenzialità a livello aziendale e tecnologiche, ma senza
considerare davvero l’utilità per l’utente (Es. aeroporto che
fornisce l’elenco dei bagagli smarriti in app, ma senza modo di
riconoscere facilmente il proprio). Oppure l’elenco dei comu-
nicati stampa dell’azienda sulla app (giuriamo che esiste anche
questo caso) o ancora promozioni ma non dirette o attivabili dal
cliente, ecc. ecc.
Queste funzionalità sono a pieno diritto nella Dead Zone, la zona
morta delle feature di cui le app sono piene, ma che nessuno ha
mai usato, tranne coloro che le hanno volute inserire a tutti i
costi, “perché non ci costa niente”. Anche se a livello economico
l’inserimento sembra gratuito, questa zona morta costa molto
invece: disperde l’attenzione dell’utente, abbassa la sua soddi-
sfazione (e quindi la fedeltà di uso), introduce la complicazione
inutile che spreca il tempo che l’utente ci dedica, e che lo disto-
glie dai suoi (e dai nostri) veri obiettivi.
Dead Zone
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lore Le zone morte sono individuabili facilmente attraverso un siste-
ma di analytics e statistiche che i bravi sviluppatori ricordano al
cliente – o il bravo marketer ricorda allo sviluppatore.
Qualunque sia l’obiettivo che ci prefiggiamo di ottenere, possia-
mo combinare assieme tipi di interazioni diverse per ottenere
invece la massima creazione possibile di valore per l’utente.
Ogni interazione consente di accumulare informazioni relative
all’utente ed ottenere tramite tecniche statistiche (clustering,
ecc.) segmentazioni precise della audience.
Per esempio: nel caso in cui tramite app fornisco informazioni
contestuali e rilevanti alla posizione geografica dell’utente, ne
trarrò in cambio l’informazione sulla sua posizione GPS esatta
e immediata al momento dell’interazione. Un’informazione che
può essere riusata sia all’interno dell’applicazione, per successi-
ve offerte ancora più rilevanti e mirate, sia per incrociare i dati
in modo aggregato con informazioni provenienti da altre appli-
Acquisti e Valutazioni
Community
Pagamenti
Dati
Decisioni di preacquisto
Dipartimenti aziendali
Spostamenti
Voce/Suoni
Altri media
Vista
Spazi
Interazioni
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lore cazioni aziendali, ad esempio per studiare meglio le esigenze
dell’audience e per personalizzare la comunicazione. Per esem-
pio, se scopro che i miei consumatori abitano o viaggiano al mas-
simo nei due chilometri di raggio dal negozio, posso eliminare la
distribuzione del volantino oltre quella zona, oppure aumentare
le promozioni per i clienti più lontani, che hanno bisogno di un
maggiore incoraggiamento per visitarci.
Quali sono le tessere del domino con cui proporre combinazioni
virtuose al cliente?
• Dati GPS: dove si trova l’utente? Come posso aiutarlo con
questo dato? Mi interessa capire dove mi usa? Per esempio,
le app che segnalano il traffico, o directory di negozi usano
efficacemente la funzione “ cerca vicino a me”
• Dati NFC/iBeacon: in quale parte del negozio si trova il mio
utente? Come posso aiutarlo e raggiungere i miei obiettivi?
• Pagamenti: posso integrare la app con sistemi di Digital
Wallet che rendano più fluido il percorso e magari possano
tracciare dati utili? Con il pagamento via touch, integrato con
le carte di credito, sarà possibile comprare sfruttando acqui-
sti di impulso.
• Social media, relazioni: posso mettere in relazione l’uso del
mio utente con altri che usano la mia stessa app e in alterna-
tiva (o in aggiunta) sfruttare per questo le sue reti esistenti
(Facebook, Twitter, Instagram, ecc.) e rendere la sua espe-
rienza più soddisfacente e il nostro obiettivo più raggiungibi-
le – anche attraverso il passaparola? È la tipica esperienza di
app di fitness e di running.
• Posso integrare la app con dati aziendali e incrociarli con
azioni dell’utente in modo da fornirgli utilità? Un franchising
immobiliare consentiva di fotografare edifici e di stimare
attraverso la app gli appartamenti esistenti in quella zona: in
questo modo al tempo stesso raccoglieva dati sulle zone più
ricercate dagli utenti in modo da concentrare l’attività dei
propri agenti.
• La fotocamera e l’audio possono essere utilizzate per mi-
gliorare i sensi dell’utente stesso: oltre al caso precedente
dell’immobiliare, come non ricordare Shazam, che ricono-
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lore sceva le canzoni dal microfono? La app Vivino ha messo a
disposizione il proprio database di etichette: agli utenti basta
fotografare la bottiglia di vino per conoscerne dati, rating e
prezzo.
• Sensori di movimento, già utilizzati da app come MyFit-
nessPal e Runtastic per misurare passi e calorie
• Collegamenti via Bluetooth con device esterni indossabili:
ancora, braccialetti per misurare dati corporei o livello di
attività fisica, ecc.
Ulteriori infinite possibilità nasceranno dal tracciamento con-
tinuo dell’app, con possibilità di essere risvegliata solo in mo-
menti e luoghi opportuni, in modo automatico. Ancora, ulteriori
sviluppi potranno derivare dalle notifiche interattive, in cui
all’utente può essere proposto un acquisto o un’azione specifica
direttamente dalla notifica, magari scatenata dalla sua posizio-
ne, dalla sua storia di uso, e da un evento di tipo commerciale.
Come in ogni grande opportunità, questo grado di infiltrazione
nella vita dell’utente pone il rischio di essere immediatamente
disattivati appena subentra l’impressione di essere “inultimente
spiati o disturbati”. In una parola, quando si ritorna a fare inter-
ruzione come in uno spot televisivo.
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5 Modelli di business
Free or pay?
Fino qui abbiamo analizzato in prevalenza un modello che si
applica più alle app aziendali, che sono normalmente gratis. In
realtà esistono tre possibilità principali relative al modello di bu-
siness: è necessario capire, a partire dai propri obiettivi, in quale
“campionato decidere di giocare”.
Il primo modello è quello dell’app free, scaricabile gratuitamen-
te. Il suo vantaggio è la diffusione più rapida delle installazioni.
Se la app è un mezzo per l’azienda per ottenere risultati che
sono basati su obiettivi “extra-app” (es. vendite, visite in store,
ecc.”) questo è il modello sicuramente preferibile. Alcuni svan-
taggi sono inevitabili: la difficile monetizzazione con advertising
mobile, la percezione di scarso valore da cui discende uno scarso
interesse alla continuazione dell’utilizzo post installazione.
Nel caso di app a pagamento invece l’utente valuta lungamente
se acquistare o meno l’app, con soglie psicologiche del prezzo
dell’app da valutare attentamente, ma poi tende a mantenerne
l’uso. Questo comporta naturalmente una diffusione di vari ordi-
ni di grandezza inferiori, anche se si accompagna a una monetiz-
zazione più a breve termine dell’investimento.
È possibile progettare app miste, in cui la versione base è free, e
con alcune funzionalità a pagamento, tramite upgrade alla app
full, oppure con l’acquisto in app stessa.
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s Valorizzazione dei costi
La creazione dell’app è solo una parte dei costi, come anticipato.
Per accompagnare l’utente verso la ZDR, è necessario sostenere
costi per awareness (l’utente deve essere portato a conoscenza
dell’esistenza dell’app), di coinvolgimento (creazione di valore
e di contenuto) e di mantenimento della relazione (attraverso i
costi di segmentazione e contatto continuativo).
Il Costo per Installazione (CpI) è quindi il costo pubblicitario
o comunque di visibilità necessario per raggiungere la quota
desiderata di installazioni. In caso di brand con sito o property
molto esposte il costo di installazione è un costo-opportunità,
ma comunque da tenere in considerazione, in quanto la call to
action all’installazione dell’app sostituisce la visibilità di altre
azioni aziendali, sul sito o in advertising.
Il Costo per installazione può essere approssimato come CPM
(costo per mille impression) / CTR (% click through) x tasso di
conversione (% di installazioni sulle visite) all’interno della piat-
taforma di download.
Per esempio, se uso per la promozione un banner su altre app,
con CPM di 0,50, CTR di 0,01%, conversione 10%, ogni downlo-
ad costerà circa 50 euro. Può sembrare tanto: tuttavia è sempre
necessario considerare come parametro per valutare l’investi-
mento lo User Lifetime Value: cioè il costo è di acquisizione di
un cliente, non di un download. Dobbiamo calcolare quanto vale
per noi un utente continuativo.
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s Il costo per contenuto e coinvolgimento è il costo da sostenere
per creare utilità in modo che l’utente continui a utilizzarla con
tassi elevati e rimanga nella zona di relazione.
Il costo per relazione/segmentazione è il costo da sostenere
per stimolare l’utente attraverso interazioni rilevanti e utili, per
esempio attraverso notifiche push quando l’utente è in una zona
vicino a un nostro negozio e ha espresso interesse per un deter-
minato prodotto sotto un certo prezzo.
Ricapitolando quindi, se il nostro obiettivo è di avere 1.000
utenti in ZDR necessari per ottenere almeno 10.000 interazioni-
obiettivo mese - e posto che crediamo di ottenere un tasso di
utenti attivi almeno del 25%, dovremo prevedere di destinare
budget per coprire costi di installazione per almeno 4.000 utenti.
Il calcolo dei ritorni
Per calcolare il ritorno di una app è necessario quantificare, a
livello aziendale, qual è l’interazione “in app” che consideriamo
“obiettivo” e quantificarlo in termini monetari se raggiunto. In
caso di vendita online, l’obiettivo è già “monetizzato”, e calco-
labile direttamente. In altri tipi di interazione, dobbiamo calco-
larne o assegnarne un valore, in modo più realistico possibile,
attraverso la comparazione di altri costi di visibilità o ricavi ap-
portati. Per comodità, consideriamo il modello di business free,
in cui l’utente non paga per l’uso della app.
Valorizzazione diretta
Per valorizzazione diretta intendiamo il transato totale di un’ap-
plicazione sia che questa sia il frontend mobile di uno store
online di prodotti fisici sia una app che consente l’acquisto di
contenuti digitali.
Naturalmente il transato da parte dell’utente può essere com-
parato al transato standard web, in modo da notarne differenze
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s in termini di fedeltà e di fatturato generato.
In caso di app con obiettivo l’incremento della vendita offline in
store fisici, andrà misurato la differenza di transato tra persone
che utilizzano la app, e il cliente standard.
In caso di presenza di coupon, volantini e offerte, può essere cal-
colata la frequenza di redemption rispetto all’utente medio e il
suo valore totale, oltre naturalmente al risparmio di altre forme
più onerose e invasive di advertising.
Valorizzazione indiretta
Quando, nel caso di azienda di distribuzione commerciale, solo
il dato delle visite al punto vendita è disponibile, il valore dell’u-
tente (inteso come effettivo utilizzante l’app, nella Zona di Re-
lazione) può essere calcolato come numero aggiuntivo di visite/
frequenza media da parte degli user della app, moltiplicato per
scontrino medio. L’incremento del tasso di visita al punto vendi-
ta da parte dell’utente va quindi valorizzato consideran- do l’au-
mento del valore del ciclo di vita del cliente apportato dall’app
stessa.
In altri casi, può essere calcolato il valore dell’uso dello store
locator, calcolato in percentuale media tra chi lo consulta e chi
effettivamente poi visita il punto vendita.
In altri casi la valorizzazione deve essere effettuata confron- tan-
do il costo della stessa interazione ottenibile con altri canali. Per
esempio, un utente di app che facilita il supporto clienti va valu-
tato sul risparmio ottenuto nella gestione chiamate telefoniche,
quindi valorizzando il costo chiamata del call center tradizionale
moltiplicato per il numero di richieste non effettuate dagli utenti
dell’app stessa.
Se si ha come obiettivo il miglioramento della soddisfazione del
cliente, il valore va quantificato misurando la differenza del
tasso di soddisfazione degli utenti dell’app rispetto allo stan-
dard, con quantificazione proporzionale dello spread in termi-
ni di fatturato generato. Per esempio, un utente soddisfatto al
80% genera il 20% di fatturato in più rispetto all’utente soddi-
sfatto al 70%.
In caso di obiettivo di miglioramento dello Share of Wallet: si
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s deve quantificare lo spostamento di acquisto verso i nostri pro-
dotti osservata sugli utenti dell’app (per esempio, compro di più
in quanto ottiene informazioni più dettagliate, o al momento del-
la scelta di acquisto) rispetto ai competitor o in generale quanto
acquista in più da noi rispetto al cliente “normale”.
Se il nostro obiettivo è anche l’ottenimento di informazioni il
valore generato va calcolato tramite il costo comparato delle seg-
mentazioni e profilazioni effettuate con tecniche tradizionali e
sondaggi di mercato, considerando comunque che il valore delle
informazioni derivante dai comportamenti è di molto superiore
alle informazioni reperite tramite sondaggi e focus group.
In ogni caso, un valore, pari almeno alla impression acquistata
tramite advertising, va attribuito a ogni uso dell’app: se una pa-
gina di un periodico ci costa 10.000 euro per una tiratura stimata
di 100.000 copie, con una probabile visualizzazione del 20%,
ogni impression ci costa 50 cent. Lo stesso valore potrà essere
accreditato alla app, nonostante sia chiaramente una sottostima,
in quanto il grado di spontaneità, rilevanza e coinvolgimento è
nettamente superiore.
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6 Conclusioni
Il mobile è la norma
Nel 2015 il mobile è la norma, è l’anno in cui l’impiego di tablet
e smartphone ha sorpassato l’utilizzo di postazioni fisse. E il mo-
bile ha il vantaggio di essere molto più intimo, sempre in tasca
al nostro cliente, pronto a essere presente nel posto giusto al
momento giusto – questo solo se saremo in grado di creare app
di valore.
Il cliente continua a comprare nel contesto a lui più familiare,
ma sempre di più decide l’acquisto quando ne ha il tempo, la ne-
cessità immediata, la vicinanza o la voglia: tra la sala di aspetto
del pediatra, una fermata dell’autobus e una coda alla cassa.
E se il nostro brand non sarà presente al momento della decisio-
ne, non lo sarà nemmeno al momento dell’acquisto.
CommonSense
CommonSense aiuta le aziende a costruire e mantenere la pro-
pria presenza in un mondo dove l’attenzione del cliente è distri-
buita fra più dispositivi.
Lavoriamo con un processo in quattro fasi: strategia, progetta-
zione, sviluppo e monitoraggio dei risultati. Lo facciamo rispet-
tando tempi e costi fornendo ai nostri clienti soluzioni chiavi in
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