■ Un’altra sfida per Vitas: prendersi cura dei malati di Alzeimer
Fine vita, Alzheimer e demenza
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UNITA’ DI CURE PALLIATIVE CASALE MONFERRATO — Notiziario di VITAS - Associazione per l’assistenza domiciliare ai malati cronici in fase avanzata e HOSPICE MONS. GERMANO ZACCHEO
MAGGIO 2013
Vitas e Hospice
MONS. G. ZACCHEOMONS. G. ZACCHEOMONS. G. ZACCHEOMONS. G. ZACCHEO
(continua a pagina due)
Ogni secondo giovedì del mese ore 16.30-17.30
Con la musica eseguita dalla dott.ssa Monica Raiteri
in Hospice Mons. Germano Zaccheo Strada Vecchia Pozzo S. Evasio 2/E
15033 Casale Monferrato (AL)
Pausa del the con i volontari
2 Dalla prima: Fine vita,
Alzheimer e demenza
dott. Daniela Degiovanni anno in Italia sono circa 70 mila. Nel nostro Paese si prevedono 213.000 nuovi casi/anno a partire dal 2020, contro i 150.000 rileva-ti nel 2000. I sintomi più frequentemente presenti nell’ultimo anno di vita delle persone anziane, oltre al deterioramento cognitivo, sono l’incontinenza urinaria e fecale, il dolore, la depressione e la perdita dell’appetito, condizioni che si ripropongono, ma per tempi in genere maggiori, anche ai malati con demenza. Nella fase più avanzata della demenza, i malati richie-dono una assi-stenza conti-nua, spesso per periodi molto lunghi, e la cui intensità cresce necessariamen-te con la pro-gressione della malattia. La demenza è, in generale, una malattia lunga e alta-mente invali-dante. La durata media varia, secondo la letteratura, fra i 9.3 anni (range 1.8- >16), i 5 anni (range 1-13) e poco più di 3. Dall’esordio dei sintomi alla morte, la persona affetta da de-menza passa dalla completa auto-sufficienza alla totale dipenden-za, dalla piena capacità di auto-determinazione alla assoluta incompetenza cognitiva. Questo processo avviene in modo graduale, progressivo, e in larga misura imprevedibile, essendo condizionato dal tipo di demenza, dall’età, dalla comorbilità, dagli interventi sanitari e assistenziali e dal network sociale. La maggior parte dell’assistenza a questi malati viene fornita per molti
L a malattia di Alzheimer fu descritta per la prima volta
nel 1906 da Alois Alzheimer, neuropsichiatra tedesco, in una donna di 51 anni che presentava perdita della memoria, cambia-mento del carattere, delirio di gelosia, incapacità a provvedere alle cure domestiche. Fino agli anni '70 si ritenne che la malattia potesse colpire solo le persone al di sotto dei 65 anni: si parlò quindi di "demenza prese-nile". Solo negli ultimi decenni si è accertato che la malattia di Al-zheimer non è esclusiva dell'età presenile, ma anzi è tanto più frequente quanto più aumenta l'età. Nelle persone che hanno superato i 65 anni la frequenza complessiva (prevalenza) è circa del 7%, mentre negli 80enni del 30% circa. È la forma più fre-quente di demenza, intendendo con questo termine quel gruppo di malattie caratterizzate da un progressivo declino della memo-ria e di altre funzioni cognitive, tale da interferire con le attività della vita. Oggi si ritiene che i nuovi casi di demenza nel nostro paese siano circa 150 mila/anno: poiche' la malattia di Alzheimer costituisce almeno il 50% di tutte le forme di demenza, i nuovi malati in un
anni dalla famiglia, e il caregi-ving è per il 73.8% a carico del sesso femminile (figlie, mogli, badanti). Nelle fasi avanzate della malattia il ricovero in istituti di long-term care per anziani (Case di Riposo, RSA) è invece molto frequente, per cui la prevalenza in questi ambienti, in cui l’età media dei pazienti supera gli 80 anni, è molto elevata, sino ad interessare l’80% dei residenti. L’assistenza normalmente fornita a questi malati appare spesso inadeguata,
specie alla fine della loro vita. In partico-lare essi vengono sottoposti ad un nu-mero eccessivo di interventi clinici a fronte di inconsisten-ti benefici (in parti-colare, esami clinici e nutrizione artificia-le tramite sonde ali-mentari, uso di mez-zi di contenzione e somministrazione di farmaci per via endo-venosa); ricevono insufficienti cure rivolte a migliorare
la qualità della vita (scarso con-trollo del dolore, della disidrata-zione e della malnutrizione); insufficiente attenzione ai proble-mi sociali, emozionali e spirituali
3 Oltre: come guardiamo
al futuro
di Claudio Ghidini
5 Tre ore all’Hospice
Zaccheo
di Paolo
6 Il dolore “condiviso”
ti fa sembrare meno...
di Anna
7 Sempre più consapevoli
di Claudia
8 Fiocco rosa in Hospice
di Pierangela
9 Giacomo,
l’uomo burbero
di Daniele
12 Due passi nel mondo
della musicoterapia
di Simona
11 Il Sollievo
di Vincenzo Moretti
10 Fronteggiare
la perdita…
di Maria Clara
Il nostro notiziario è sempre a tua disposizione per poter far cono-scere, con del “chiasso buono”, una struttura che si è rivelata un v a l i d o s t r u m e n t o p e r “accompagnare” le persone nelle fasi avanzate della malattia. Se ti è gradito manda la tua e-mail a
[email protected] www.vitas-onlus.it
o invia il tuo scritto (con calligrafia leggibile) a: Vitas - Piazza S. Stefano 3
15033 Casale Monferrato (AL)
I/IV Gruppi
di Sollievo
in Hospice
Pagina 2 Hospice di Casale - Maggio 2013
■ Continua dalla prima pagina
Fine vita, Alzheimer e demenza
dei loro famigliari. Nella fase più avanzata, inoltre, alcune terapie, in corso da tempo per il trattamento di patologie concomitanti, dovrebbero essere interrotte per ridurre sia il disturbo che esse implicano, sia gli effetti collaterali di molti farmaci. In particolare, nelle strutture lungodegenziali dove questi malati sono ricoverati, il regime farmacologi-co non sembra essere spesso appropriato: ad esempio l’uso degli analgesici appare insuffi-ciente mentre farmaci non più necessari con-tinuano ad essere prescritti. Queste circostanze comportano, soprattutto per chi è istituzionalizzato, un maggior ri-schio di ostinazione terapeutica, ulteriormen-te facilitata dal gravissimo deficit cognitivo, che è caratteristica peculiare della demenza. Alla fine della vita, infatti, si realizzano si-tuazioni dove ogni scelta clinica può essere intesa come abbandono assistenziale da alcu-ni o corretta astensione da accanimento tera-peutico da altri, come doveroso intervento clinico o come inaccettabile overtreatment. L’unico che potrebbe sciogliere il dilemma è il malato stesso, accettando o rifiutando le proposte del medico. Ma questo non è il caso per chi muore di demenza, di fatto incapace di esprimere scelte dato che l’incompetenza cognitiva è intrinseca alla malattia e precede di molti anni la fase terminale. Un intervento volto a migliorare l’assistenza a questi malati non può prescindere, quindi, dall’intervento dei Servizi di Cure Palliative. Le cure palliative hanno di fatto preso la
forma di disciplina medica specialistica, che si realizza in equipe multidisciplinari ben caratterizzate culturalmente, chiaramente distinte dalle specialità mediche (in particolar modo oncologiche) che hanno in precedenza trattato la patologia divenuta terminale, e dalle quali il malato stesso è stato ricevuto in passaggio di cura. Nel caso del malato termi-nale demente, alcuni elementi fanno sì che il modello attuale non sia ancora adeguato. La letteratura internazionale segnala in merito importanti differenze di comportamento non solo da Paese a Paese, ma anche nell’ambito della stessa realtà territoriale. I pochi dati della letteratura suggeriscono che le persone con demenza grave ricoverate in RSA non siano percepite come malati termi-nali, non ricevano cure palliative ottimali e che sia quindi necessario un rilevante inter-vento educativo nei confronti degli operatori che si occupano di loro. La mancanza di una cultura di tipo palliativo nella assistenza a questi malati desta preoc-cupazione. Riteniamo sia giunto il momento per il nostro Servizio di Cure Palliative domiciliari di prenderci cura anche di questa tipologia di malati. Stiamo per intraprendere corsi di formazione inerenti la malattia e il miglior tipo di assi-stenza da offrire ai pazienti e alle loro fami-glie. I volontari VITAS affiancheranno gli opera-tori sanitari in questo nuovo cammino, con-sapevoli del fatto che questa sara’ una delle sfide del futuro della Sanita’ e della evolu-zione del genere umano.
Daniela Degiovanni
(tratto da Federazione AI – Alzheimer Italia)
• diritto del malato ad un rispetto e ad una dignità pari a quella di ogni altro citta-dino; • diritto del malato ad essere informato, nelle fasi precoci della malattia, e dei con-giunti o rappresentanti legali in qualsiasi fase della stessa, per quanto possibile, sulla sua malattia e sulla sua prevedibile evoluzione; • diritto del malato (o del rappresentan-te legale) a partecipare, per quanto possibi-le, alle decisioni riguardanti il tipo di cura e di assistenza presente e futura; • diritto del malato ad accedere ad ogni servizio sanitario e/o assistenziale al pari di ogni altro cittadino: questo diritto impli-ca che attenzioni particolari siano rivolte affinchè i malati con demenza possano realmente accedere a certi servizi da cui la loro mancanza di autonomia tende ad al-lontanarli; • diritto del malato di disporre di servi-zi specializzati, che affrontino specifica-mente i problemi della demenza; • diritto del malato e di chi si prende cura di lui di scegliere fra le diverse opzio-ni di cura/assistenza che si prospettano; • diritto del malato, considerata la sua vulnerabilità, ad una speciale tutela e ga-ranzia contro gli abusi fisici e patrimoniali; diritto del malato, in assenza di rappresen-tanti legali, o nel caso in cui i potenziali rappresentanti legali rifiutassero la tutela, di avere per legge un tutore ufficiale scelto dal tribunale.
CARTA DEI DIRITTI DEL MALATO
AFFETTO DA DEMENZA
“U no stormo di oche sel-
vatiche, in natura, di-
sponendosi in una formazione a
‘V’, guadagna un 71% di efficen-
za di volo rispetto al volo di un
singolo uccello. Quando un'oca
abbandona la formazione, si
rende conto della resistenza
dell'aria e delle difficoltà di vola-
re da sola - così presto ritorna nella forma-
zione, per avvantaggiarsi della forza dello
stormo che ha davanti a sè. Quando l'oca a
capo della formazione è stanca, si sposta in
fondo alla ‘V’ e un'altra prende il suo posto.
Quando volano, le oche starnazzano per
segnalare la loro presenza a quelle davanti a
loro, e per spronarle - e in questo modo,
mantengono la stessa velocità di volo.
Quando un'oca sta male, si ferisce o è stan-
ca, e deve per forza abbandonare la forma-
zione, altre oche la seguono per aiutarla e
proteggerla, rimanendo con lei fino alla
morte, o fino a quando diventa nuovamente
capace di volare.”
Appena rientrata dal corso di Cure Palliative residenziale svoltosi a Varenna dal 13 al 20 Aprile, al quale ho partecipato come psicolo-ga, mi è stato chiesto di scrivere un articolo sul corso stesso. Molti sono stati gli argo-menti affrontati durante la settimana, sia con lezioni frontali sia lavorando sui gruppi attra-verso laboratori esperienziali; ho dunque cercato, per questo articolo, di chiedermi come avrei potuto rispondere alla domanda : “ma… cosa sono le cure palliative?”. Al di là di nozioni cliniche, mediche e psicologiche fondamentali per rispondere a essa, credo sia utile diffondere in particolare la filosofia che sta dietro a questo lavoro e che permette la
formazione e il mantenimento di una equipe di professionisti che si pongono come obiet-tivo il miglioramento della qualità della vita dei malati in fase evolutiva (oncologici e non). Prendendo spunto da alcuni stimoli ricevuti durante il corso, ho ritenuto decisamente utile ed esplicativa la descrizione del com-portamento delle oche selvatiche descritto all’inizio di questo articolo: in poche e sem-plici parole, è possibile far comprendere a tutti qual è il punto di vista dei professionisti che decidono di dedicarsi a questo ambito di
lavoro: l’importanza del lavoro di squadra che permette di raggiungere l’obiettivo comune con meno fatica e più creati-
vità, la “sintonizzazione” con i colleghi, che
Cure palliative: filosofia di un’equipe ■ Barbara Oneglia
Psicologa Vitas
Hospice di Casale - Maggio 2013 Pagina 3
Q uesto periodo di crisi economica e di crisi delle istituzioni economiche e poli-
tiche dura ormai da tempo ed ha costretto tutti ad ulteriori riflessioni di varia natura. Come si dice da molte parti, in tempi di crisi si riscoprono la solidarietà, l'impegno sociale e gli altri valori comuni che lo sviluppo eco-nomico, e sopratutto la spinta individualistica alla ricerca del profitto come espressione personale di questo sviluppo, avevano offu-scato. Da parte dei detrattori di questa spinta ai valori sociali si parla anche di rinascita del populismo e delle generiche rivendicazioni sociali che, si dice, non possono essere otte-nute se non promuovendo un nuovo sviluppo ed una nuova fase di crescita economica. Considerando poi, bene o male, che la crisi perdura e le iniziative che possono promuo-vere una crescita sono pochine, si invoca genericamente anche il concetto di sviluppo sostenibile. Volendo dare un significato pra-tico a questi concetti dal punto di vista di una associazione come VITAS, una Onlus che si finanzia con le offerte dei cittadini e delle istituzioni che vogliono sostenere una inizia-tiva sociale, constatiamo che le cose stanno più o meno così: la crisi sta riducendo le possibilità per tutti,
tra queste anche le disponibilità per offrire un aiuto concreto alle associazioni; in altre paro-le la raccolta di offerte scende, anche se le persone percepiscono ancora più forte l'esi-stenza di bisogni assistenziali che la crisi mette in luce. Sul fronte istituzionale il messaggio di con-cepire i servizi "in modo sostenibile" vuol quasi sempre dire che occorre fare economia dato che le "risorse" non ci sono, accompa-gnando la richiesta con l'esortazione ad offri-re comunque il massimo; in altre parole ci sarebbe il bisogno ma bisogna stare un po-chino calmi per non alzare i costi. L'obiettivo finale suggerito è quindi "rallentate e chiude-te i ranghi" perché il futuro è incerto e non si sa quando e come la crescita genererà ancora tanto "benessere" - per Noi - a permettere maggiori "elemosine" - per voi - in modo da sostenere questo servizio. Fin dalla fondazione VITAS ha guardato al futuro; fin dalla costituzione ci siamo presi in carico il futuro di chi un futuro sembrava non averlo ed era tentato di non andare avanti. Noi pensiamo e vogliamo lavorare insieme a quelli che concepiscono il futuro fatto di progresso tecnologico, di crescita sopratutto sociale (perché di quella materiale oggettiva-mente non possiamo lamentarci) e quindi
certamente di ricerca, e in particolare di nuo-ve cure e maggiori probabilità di guarigioni future, così come di ricerca dei metodi di assistenza e del prendersi cura di quelli di noi che non possono farcela nel lungo periodo e hanno bisogno di vita sostenibile e dignitosa adesso. Purtroppo non possiamo scegliere di fermarci perché il domani viene comunque, anche per quelli che sarebbero tentati di non averlo. Facciamo parte di quella folta platea che riempie le piazze come quella di San Giovan-ni o quella di San Pietro perché, indipenden-temente dal credo politico o religioso sente il bisogno di un cambiamento e di proposte di un cammino verso il futuro. Vogliamo finalizzare la velocità a cui siamo stati abituati a fare e muoverci per andare verso qualcosa e non per ritrovarci smarriti, in un percorso a cui non riusciamo a dare senso. Vogliamo ricevere e fare proposte per muo-verci lungo un percorso che parte dalla vo-glia di vivere per essere e costruire qualcosa di meglio e non partire dal dover costruire qualcosa, qualsiasi cosa, per vivere. A tutte queste persone promettiamo di essere sempre disponibili e chiediamo di continuare a sostenerci.
Oltre: come guardiamo al futuro ■ Claudio Ghidini
PresidenteVitas
to, capaci di una fiducia reciproca che per-metta la migliore suddivisione possibile dei compiti e dei carichi emotivi. Il confronto con altre realtà regionali, durante i lavori di gruppo, si è rivelato fondamentale per comprendere ancor meglio la realtà delle cure palliative sul territorio casale. Come già accennato all’equipe al mio rientro, credo
che Casale possa vantarsi di essere “un’isola felice” rispetto al resto del territorio italiano. Esperienza pluriennale, passione, condivisio-ne degli obiettivi e preparazione clinica, hanno reso (e rendono a tutt’oggi) possibile, l’efficienza di questo gruppo, con evidenti riscontri da parte delle famiglie e dei malati assistiti negli anni.
■ Continua dalla seconda pagina
Cure palliative: filosofia… permette di risolvere anche i conflitti interni senza remore, la condivisione del rispetto reciproco e la fiducia nell’altro utile alla suddivisione dei compiti e dei problemi, l’importanza dell’incoraggiamento reciproco nei momenti di sconforto che si presentano in alcuni momenti di lavoro o di riflessione personale…l’importanza, insomma, di un gruppo di sostegno con un obiettivo preciso e condiviso, volto al benessere del paziente. Le cure palliative si trovano già oggi e si troveranno ancor più in futuro di fronte a bisogni complessi, sia a domicilio che in Hospice, in una popolazione di malati onco-logici e con malattie degenerative in costante e significativo aumento. Si rende oggi neces-sario diffondere una corretta informazione relativa a esse e alla loro filosofia, cercando di evitare il settarismo e allargando il lavoro d’equipe specialistico ad altre equipe (pronto soccorso, cardiologia, neurologia, rianima-zione, dialisi, terapia del dolore, ecc…) in modo da poter creare una vera e propria “cultura” di cure palliative, che permetta a malati e famigliari di essere partecipanti attivi del percorso finale di una malattia, capaci di affrontare al meglio le criticità e le scelte personali avendo il supporto di una rete di professionisti e volontari preparati a fornire un sostegno adeguato in ogni momen-
Monaci buddisti in Hospice
Venerdì 5 aprile sono
venuti a trovarci e a visi-
tare la nostra struttura.
Si è parlato della necessi-
tà dell'ascolto e di avere
una condizione di mente
pura e calma perché solo
così di riesce a recepire
meglio i bisogni dei ma-
lati.
A volte infatti le persone
sono in un momento di
rabbia o di difficoltà e
quando un malato chiede
non si riesce a sentire.
La preghiera che ha
chiuso l’incontro è stata
fatta di supporto al pro-
getto dell'hospice e di
tutte le persone che ci
girano attorno che sia di
buon auspicio e di felicità
Riceviamo:
Volevo segnalarvi un bel libro da leggere.
"Exit"
di Alicia Gimenez Bartlett
(ed. Sellerio)
"C'è una villa immersa nel verde. Ci sono
sei personaggi sopra le righe che sono
alla ricerca di una via di uscita. Ciascuno, per motivi diffe-
renti si inventa una "FINE" ed Exit (il nome della villa) è un
luogo in cui si puo' salutare la "VITA" con la meraviglia e
l'emozione di un sogno estivo.
E' un romanzo irriverente e surreale che affronta un tema
difficile, quello della morte, della dignita' della morte, con
una leggerezza non banale che lascia al lettore motivo di
profonda riflessione".
Pagina 4 Hospice di Casale - Maggio 2013
■ A proposito di un piccolo “incidente”
Il canarino “amato” ha ripreso vivacità
concordato e stabilito da una sinfonia abil-
mente diretta da chi raccorda e mette assie-
me le varie componenti: che si faccia parte
di una orchestra o di una associazione, poco
importa in che cosa siamo impegnati, impor-
tante è comprendere che solo utilizzando noi
stessi come uno strumento, attenti a non
uscire dalla sinfonia generale, produciamo
una magnifica musica dove ognuno è impor-
tante e indispensabile.
Buon proseguimento alla fine del nostro
lavoro sapremo muoverci nell’armonia data
dal rispettare la propria rete condivisa con
gli altri. Doriana
■ Una riflessione di una volontaria
Concertino in Hospice
N el periodo natalizio ascoltando il con-
certo dei ragazzi mi è venuto spontaneo
fare una riflessione che vorrei condividere
con voi tutti.
Vedevo questi ragazzini suonare con impe-
gno, attenti ad entrare in sintonia con ogni
altro piccolo suonare, un secondo di anticipo
o di ritardo e l’armonia ne avrebbe risentito.
Ho pensato che anche noi siamo come suo-
natori in un’orchestra, ognuno di noi fa la
sua parte, utilizzando lo strumento che me-
glio sa usare, che più gli appartiene, ed è
proprio la diversità dei suoni a produrre un
concerto, il fondersi di strumenti a fiato, a
percussione, a corde… noi come loro diven-
tiamo armonia solo nel momento in cui o-
gnuno di noi cerca di capire da mille piccoli
segnali quando è il momento di fermarsi, di
partire, di unirsi agli altri.
Nessuno parte da solo a suo piacere, tutto è
Ciao IrinaCiao IrinaCiao IrinaCiao Irina
I rina, il tuo cuore gentile ha smes-
so di battere in una fredda gior-
nata di febbraio. Non guarderemo
più insieme la neve, candida come la
tua anima, il sole caldo e bello come
il tuo sorriso, le foglie mosse dal
vento vivace, come la tua compagnia,
la luce di un cielo terso, come il ri-
cordo che avrò di te … Credevi in
Dio e nella provvidenza, la tua voce
garbata raccontava di un mondo a
me sconosciuto, nel quale mi hai
permesso di entrare, il tuo! E se è
vero che oltre la vita non si spengono
gli affetti, ci vorremo ancora bene…..
Sorridimi, parlami, ti ascolterò anco-
ra nel silenzio di ogni pensiero dedi-
cato a te! Claudia
Alessandra
Scriverò di te, di quel che conosco e di quello che suppongo tu sia stata, scriverò di te, per quel che hai lasciato e per quello che non lascerai
mai, scriverò del tuo sorriso, impresso indelebilmente nei miei occhi
e nella mia anima, e di quell'esserino che abbracciavi e non abbandonavi mai,
accanto a te, su quella poltroncina…
l'ultima volta che ti ho incontrata e ci siamo strette in un abbraccio. Scriverò di te seppur di te non conosco molto se non le sensazioni percepite dal mio cuore,
del treno che troppo velocemente è svolazzato con i suoi fumi e con la tua essenza inebriante di vita.
Simona 25 febbraio 2013 Casale Monferrato
unghie sono lunghissime lo rivolto e proprio
mentre faccio questo gesto allento un po’ la
presa e lui con un guizzo riesce a riprendersi
la sua libertà ma purtroppo lui non sapeva
che tra lui e la libertà c’era una porta a vetri
andando a sbattere violentemente contro la
testa e stramazzare al suolo. Spaventata l’ho
raccolto, l’ho avvolto nella mia maglietta e
mi sono messa a soffiargli aria nel suo becco
e a massaggiarli il petto. Proprio mentre
facevo questa operazione è arrivata la Dr.
Degiovanni e la Paoletta, panico, non sape-
vo cosa dire, mi sentivo colpevole di ciò che
era avvenuto, non so cosa è successo in se-
guito ma dopo un po’ che lo tenevo stretto
sul mio cuore, lo accarezzavo, gli parlavo,
l’uccellino ha ripreso un po’ di vivacità. Me
lo sono tenuto ancora per una mezz’oretta
appoggiato sul mio cuore e poi come per
incanto ha iniziato a ribellarsi alla mia stret-
ta, l’ho rimesso nella gabbietta insieme ai
suoi amici ed è ancora lì che canta e salta da
una bacchetta all’altra. Giuse
ecco che vola via e riesce a
raggiungere la tanto sospirata
libertà, ma purtroppo invece di
uscire verso l’aperto si è diret-
to giù dalla scala verso la sala
riunioni e si è andato a posare
sulle piante di fiori.
Disperata mi precipito giù
dalle scale, pensando adesso la
dr. Degiovanni mi dà una bella
strigliata, è l’unico maschio!
Mi tolgo la maglietta e con
cautela la lancio sopra
l’uccellino terrorizzato, successo, sono riu-
scita a prenderlo, ma non sapevo ancora
della tragedia a cui andavo incontro. Piano
piano tolgo la maglia e riesco a catturarlo,
nel tenerlo nella mano mi accorgo che le sue
F inalmente è mercoledì, con
molta gioia aspetto questa
giornata, è il giorno che le volon-
tarie Vitas del gruppo Atelier di
cui faccio parte, si ritrovano per
confezionare ed ideare oggetti
vari per abbellire le stanze e
l’entrata dell’Hospice avvalendosi
anche dell’aiuto dei degenti.
Prima di partecipare all’incontro
dedico parte del mio tempo ad
accudire i canarini, che sono par-
te integrante dell’Hospice Mons.
Zaccheo. Quel giorno con me c’era Daniela
(volontaria del fare), di buona lena ci siamo
adoperate per pulire e lavare la gabbietta,
fatto tutto ciò è successo l’imprevisto, il ma-
schietto ha visto uno spiraglio di libertà ed
foto Benny
Hospice di Casale - Maggio 2013 Pagina 5
Poesie
I l giorno venerdì 11/01/2013 mi sono reca-to, per la prima volta, nella cittadina di
Casale Monferrato perché avevo un appunta-mento alle ore 12 con la Dott.ssa Daniela Degiovanni (medico responsabile della ge-stione dell’Hospice Zaccheo) per una prima visita/consulto per alcuni miei problemi di salute. Poiché risiedo in provincia di Mantova, vista la non poca distanza tra le due città, sono partito con largo anticipo per evitare di arri-vare in ritardo all’appuntamento giungendo quindi a destinazione alle ore 10 del mattino. All’ingresso dell’Hospice una gentile signora mi chiede se avevo bisogno; le rispondo che avevo un appuntamento con la dottoressa, che ero in largo anticipo e se potevo accomo-darmi all’interno della struttura per attendere. Mi ha quindi cortesemente fatto accomodare in un piccolo corridoio di attesa nei pressi dello studio della dott.ssa Daniela all’interno dell’Hospice. L’ambiente era molto pulito, colorato, con vari quadri e disegni molto “vivi”…sembrava di essere in un scuola ma-terna per bambini e non in una casa di accoglien-za per malati gravi. Nelle due ore di attesa mi sono limitato ad os-servare senza parlare con nessuno e mi sono subito reso conto del dramma che vivono quotidia-namente la dott.ssa Daniela, la sua equipe, i volontari, i parenti e chiaramente i pazienti. Ero seduto vicino alla sala da pranzo/TV e ho visto un ragazzo sulla quarantina che, in piedi, respirando affannosamente, parlava con un suo coetaneo (immagino amico). Era in tuta da ginnastica e ho capito che era cer-tamente un paziente ospite della struttura. Camminavano per il corridoio parlando del futuro, delle cose che dovevano fare insieme e al termine di ogni frase, il ragazzo malato, aggiungeva sempre la frase “… se ci arrivo.” Mi vennero i brividi anche se non conoscevo nessuna delle due persone. In seguito ho visto arrivare due signore (probabilmente madre e figlia) che si sono sedute di fronte a me in attesa di parlare con la dott.ssa Daniela. Mentre aspettavano han-no salutato le infermiere abbracciandole con le lacrime agli occhi dicendo loro che erano degli angeli e non persone qualsiasi… aveva-no perso una persona cara (penso marito/padre) un mese fa. Verso le 11,30 ho visto un paziente, sempre sulla quarantina, recarsi camminando lenta-
mente nella sala da pranzo e sforzarsi a man-giare Alle 11,45 ho visto arrivare due ragazzi (sorella e fratello) che attendevano di parlare con la dott.ssa Daniela per chiederle aiuto per ricoverare un loro caro (avevano appena ricevuto la “sentenza” da medici di altri re-parti che non si poteva fare nulla per curar-lo). Ho sentito lamentele di qualche paziente provenire dal corridoio; ho visto il prodigarsi delle infermiere, dei volontari nel loro lavoro con la grinta necessaria in situazioni come queste. Ho sentito il cinguettio rilassante degli uccel-lini all’ingresso, una dolce musica dalla sala, ho visto un bel mazzo di tulipani colorati sul tavolo e ho visto il sorriso di tutte le persone che lavorano nell’Hospice. Alle 12 la dott.ssa mi ha invitato a raggiun-gerla nel suo studio e alle 13,15 ci siamo
salutati. Mi sono fer-mato a Casale a mangiare un piatto di pasta e poi sono ripartito (mi aspettavano 3 ore di viaggio in auto senza compagnia). Durante i l viaggio ero
quasi sconvolto; non riuscivo a non pensare a quelle tre ore passate all’Hospice. Pensate: ero sconvolto per avere passato “solo” tre ore, mentre le persone che ho in-contrato nella casa lo fanno tutto il giorno e tutti i giorni …e allora mi sono chiesto: “Come fanno ad essere così sereni, dinamici e attivi nel compiere questo lavoro diffici-le??? Come fanno la sera ad essere “normali” con le loro famiglie e ad addormentarsi dopo aver vissuto una così intensa??? Macinando la strada del ritorno, attraverso le meravigliose colline un po’ nebbiose di que-sta terra, pensavo… e credo di avere trovato la risposta: probabilmente il fatto che riesce a mandarli avanti è il sapere che riescono con le loro cure e soprattutto con il loro modo di fare, che definire amoroso è poco, ad allevia-re le sofferenze ai pazienti e ai loro familiari. Accompagnano questi “malati speciali” nel loro ultimo cammino con cura, dedizione, amicizia e affetto. Ho capito che l’Hospice Zaccheo non è un reparto di un ospedale ma è una grande fami-glia dove purtroppo c’è tanto dolore ma an-che tantissimo amore.
Questa mia lettera vuole quindi essere un attestato di stima a tutto il personale che lavora in questa struttura… senza mai molla-re. Alla dottoressa Daniela Degiovanni, donna così minuta ma con una forza e un coraggio da leonessa, volevo dire di continuare nella sua “missione” con lo stesso spirito e la stes-sa grinta che ho potuto vedere… non c’è prezzo/stipendio che possa ripagare il lavoro che, tutta l’equipe della casa, svolge quoti-dianamente. Il personale dell’Hospice Zaccheo avrà sicu-ramente ricevuto tanti attestati di stima e il mio sarà l’ennesimo: ci tenevo comunque a esprimerlo pubblicamente. La comunità Casalese, nella sfortuna di vive-re quel dramma che conosciamo, ha la fortu-na di avere persone come la Dott.ssa Daniela e la sua Equipe. Vi chiederete: come mai questo signore che è stato solo tre ore a Casale e poi è tornato a casa sua ci tiene a scrivere queste cose risul-tando forse anche un po’ invadente? Le ho scritte perché voglio elogiare il lavoro di queste persone che, spesso in silenzio, affrontano situazioni durissime. Voglio inol-tre spronare (probabilmente non ce n’è alcun bisogno) la gente ad aiutare e sostenere in qualsiasi modo (volontariato, donazioni, pacche sulle spalle etc.) questa struttura e l’Associazione VITAS. L’ultimo motivo, ma forse il più importante, è per ringraziare la Dott.ssa Daniela Degio-vanni e tutta la sua Equipe per avermi dato l’opportunità (involontariamente) di trascor-rere quelle tre ore nell’Hospice. Da subito ero sconvolto… ma da oggi amo molto di più le cose semplici della vita (troppo spesso date per scontate). Grazie Dott.ssa Daniela e buon lavoro a lei e alla sua Equipe… la gente ha bisogno di persone come voi.
Paolo da Mantova
■ Una lettera di Paolo
Tre ore all’Hospice Zaccheo
A Marilù Piccola Marilù, non sei più sola! Io vidi l’altro ieri, dì dei Santi, i fiori sul tuo avell: sì belli e tanti! A far contorno alla ricca aiuola, candidi ciottoletti in gran misura disposti con buon gusto tutt’attorno, facevano l’effetto, la figura che fa in un bianco lino l’orlo a giorno. Attonito rimasi sul momento, so che in Italia tu non hai parenti, ma, nello stesso tempo fui contento perché in questi miseri frangenti colmi di gente cruda e senza faccia, c’è ancora chi sa tendere le braccia!
Roberto Tinelli
Continua questa rubrica con una lettera di Paolo: siamo a tua disposizione per far sentire la tua voce
Pagina 6 Hospice di Casale - Maggio 2013
■ L’amica Anna condivide con noi “un pezzo del suo cammino”
Il dolore “condiviso” ti fa sembrare meno dura la vita
ro che sulla parete alle mie spalle, c’era un grande dipinto che rappresen-tava le rose canine. Ero curiosa di vederle. In quella stanza ho trascorso due mesi. Iniziai a conoscere alcune infermiere e capii subito che il loro modo di comportarsi con i malati erano molto gentile e che non ero solo un numero, ma ero un’amica. Certo non erano tutti uguali: chi amava soffermarsi a chiac-chierare del più e del meno, chi era più silen-zioso, ma sempre con il sorriso, chi parlava sottovoce quasi non volesse disturbare, chi aveva un aspetto burbero, ma poi si rivelava molto simpatica, chi, invece, entrava chiac-chierando e usciva chiacchierando. Anche le OSS (operatrici socio sanitarie) erano molto simpatiche. Ricordo i loro nomi e le loro caratteristiche: Sabrina che mi ba-ciava lasciandomi lo stampo delle labbra ed era la mia pettinatrice ufficiale, Nicoletta molto spiritosa, Santina con la quale scoprii avere un’amica in comune, anche con Fran-ca, avevo, in comune, un’amica e una sua cugina, Simona che amava tanto gli animali. Non ho dimenticato le dottoresse che erano sempre carine con me, attente ad ogni mia esigenza. Paola, la caposala, è un vulcano in eruzione, non si fermava mai. C’erano anche le volontarie che, a turno, si dedicano agli ammalati, preparano la meren-da anche per i parenti, cucinano, si dedicano di pittura, di decoupage, ecc. Mi fece piacere rivedere Giuse che fu una delle mie domici-liari che conobbi e ora, da pensionata, fa la volontaria. Una signora, di nome Paola, orga-nizzò uno spettacolo di illusionismo e per chi non poteva spostarsi, portò gli illusionisti in camera. Fu un momento di piacevole distra-zione in cui sono tornata bambina. Quasi tutti i giorni, passavano la dott.ssa Venier (psicologa), la dott.ssa Kasa e Franca
C iao a tutti, sono Anna, malata di Sclero-si Laterale Amiotrofica (SLA). La ma-
lattia mi è stata diagnosticata nel 2008, quin-di sono circa cinque anni che convivo con l’”inesorabile” (così ho definito la SLA). Poco per volta si è impossessata delle mie capacità: usare le braccia e le mani, cammi-nare, deglutire e, quindi, mangiare, parlare. Posso raccontarvi la mia esperienza utiliz-zando un computer che comando con gli occhi. Circa un anno fa, i primi giorni di febbraio, mi ha tolto anche la facoltà di respi-rare autonomamente. La tracheotomia (per la respirazione meccanica) fu eseguita a Torino dove rimasi più di due settimane. Finalmente il trasferimento all’Hospice di Casale. Il viaggio dalla Rianimazione delle Molinette andò meglio di quanto pensassi, l’unica cosa che mi dava fastidio era la bombola dell’ossigeno che mi pesava sulle gambe. Arrivammo all’ospedale di Casale che cono-scevo molto bene e un’infermiera indicò quale percorso dovevamo fare. Io conoscevo il percorso per arrivare all’Hospice, anche se non lo avevo mai visto. Ecco giunti all’Hospice di cui avevo sempre sentito par-lare molto bene. Passammo in un corridoio alle cui pareti erano appesi parecchi quadri e, nell’entrata principale, riuscii a vedere molte decorazioni e sentii il cinguettio di uccellini. Appena giunti udii una voce che mi salutava, era Silvia, una volontaria che veniva spesso a farmi massaggi a casa. Il mio cure si calmò immediatamente nel sentire una voce cono-sciuta. Arrivò Paola, la caposala e mi tran-quillizzai ancora di più e con il dottore che mi aveva accompagnato da Torino si scam-biarono informazioni su come usare il respi-ratore. Incominciai a guardarmi attorno e vidi che la camera era accogliente e luminosa. Mi disse-
(dott.ssa e infermiera professiona-le a domicilio) a farmi un salutino e ad augurarmi una buona giorna-ta. Purtroppo c’erano giorni in cui ero giù di morale e tutti mi dice-vano che mi sarei abituata, poco alla volta, ad avere un corpo estra-neo in gola e che comprendevano benissimo le mie preoccupazioni.
Fu un periodo, per me, molto difficile e quando pensavo che non avrei potuto neppu-re emettere un suono dalla mia bocca, mi mettevo a piangere a dirotto. Grazie alla presenza, giorno e notte, dei miei famigliari e alle volontarie che, ogni giorno, passavano a “scambiare due parole”, cominciai ad essere più serena. Venivano anche molti amici a trovarmi e a me facevo molto piacere, ma tornava quel senso di imbarazzo che provavo i primi tempi in cui usavo la carrozzina. I giorni passavano e io mi abituavo sempre di più ai corpi estranei che avevo in corpo: il catetere, la rig (il tubicino nello stomaco per potermi nutrire) e la cannula in gola. Un giorno Paola mi informò che, prima di dimet-termi, mi avrebbero messo il port (un tubici-no che mi avrebbe evitato di farmi bucare tutte le volte da mettersi in sala operatoria). Ecco l’ansia, la preoccupazione, la paura si impossessarono della mia mente. Ma con la presenza rassicurante di Paola e Cristina (l’infermiera della rianimazione) anche que-sto momento fu superato. Ora ero pronta per essere dimessa. Ad essere sincera, un po’ mi dispiaceva perché, in due mesi, impari a conoscere le persone con i loro pregi e i loro difetti, ti affezioni e riesci a dare e ricevere confidenza. In poche parole nasce una bella amicizia. Al momento del saluto mi commossi, fino a scoppiare a piangere e non riuscivo a far capire quanto ero grata per la pazienza e l’amicizia ricevuta. L’Hospice è una grande famiglia dove tutti si impegnano per portare sollievo ai malati e ai loro famigliari. E’ molto accogliente anche grazie alle volonta-rie che si dedicano a varie attività per render-lo più colorato e allegro.
■ L’amica Barbara ci svela il suo perchè
La continuità del mio ritornare in Hospice
C iao a tutti, tre anni fa avevo già scritto
perché ero stato in Hospice con il fra-
tello di papà. Oggi scrivo per raccontarvi
un’altra storia.
Lo zio ora non c’è più ed è il destino ad aver
deciso per lui.
Vi spiego perché parlo di destino, nei quattro
mesi di ospitalità in quella che ancora oggi
chiamo una seconda casa ho conosciuto
tante persone che come me hanno accompa-
gnato i propri cari in modo magico grazie a
tutti, infermieri, volontari, dottori, canarini e
con l’elemento più importante, dignità, nel
loro ultimo viaggio.
Io spesso torno in Hospice per prendere una
caffè, spesso
quando vado a
fare un prelie-
vo del sangue a
fare colazione.
Ho visto pro-
prio in questi
giorni il giardi-
niere ravvivare
il giardino e mi
è capitato di
trovare in sa-
lotto pazienti,
scambiare due parole e ricevere un sorriso e
tutto questo ogni volta mi emoziona sempre
di più. Ma poi succede una cosa strana, nella
vita di tutti i giorni mi capita di raccontare
di un caffè preso in Hospice, di un toast
mangiato velocemente in Ho-
spice, ma non vengo capita,
mi chiedono come fai a torna-
re dopo l’esperienza che hai
avuto.
Bene ve lo spiego subito. Chi
di voi non ha a casa la foto di
un vostro caro che non c’è
più. Io per esempio non ho
foto ma ho ricordi ed emozioni
che mi portano lì per un caffè
o anche quando la giornata
prende una brutta piega vado
lì e spesso vorrei telefonare ad
amiche ed amici incontrati in questo fran-
gente in giardino a chiacchierare.
Hospice di Casale - Maggio 2013 Pagina 7
■ Convegno dell’8 ottobre 2012 organizzato da Vitas
“Sempre più consapevoli”
C asale è conti-nuamente sotto-
posta alla straziante analisi di un dolore senza respiro, assolu-to ed indicibile, per lo “strappo” inces-sante di affetti a cui seguono lutti profon-di. Siamo annichiliti, provati ogni giorno dallo stesso orribile stato d’animo che non ci concede tregua e mozza il fiato, non riusciamo ancora ad alzare la testa, vuoti di lacrime e lace-rati nel cuore. Perché ogni persona che se ne va ci coinvolge emotiva-mente, che faccia parte della nostra vita oppure no… Ogni volta pro-viamo ad elaborare una sofferenza senza fine, ma non è facile imbat-tersi in riflessioni su un dolore umano tanto profondo che aiutino a ritrovare speranza. L’8 ottobre del 2012, c’è stato al CANDIANI il convegno “Cure pal-liative a Casale” e chi come me era presente, non può che considerare quanto sia stato interessante l’argomento, sapientemente trattato sotto vari aspetti. Da questa esperienza siamo usciti più consapevoli, anche se sentirne parlare scuote e scatena sempre tanta rabbia per le troppe diagnosi che segnano OGNI GIORNO destini senza domani. Lo sa SILVANA MOSSANO che vorrebbe sentir dire che ce la fare-mo perché non ci travolga l’avvilimento totale, lo sa ROMANA, trop-pe volte testimone di tragedie familiari e lo sa LAURA CURINO che con “MALAPOLVERE” ci ha accompagnato nel “bianco” triste pas-sato, perché quel polverino noi lo abbiamo respirato, giocando, pas-seggiando ignari del futuro che prometteva…
Claudia
di lavoro che io avevo sempre sperato. Ma tu non piangevi per questo ma perché sapevi che per me era una grande delusione e che io ci avevo speso tante energie al fine di ottene-re buoni risultati. Mi hai insegnato tanto, Papà: la sincerità, sempre! Cercare di mettersi comunque dalla parte della ragione, nonostante tutto. Parlare se necessario e farlo per dire sempre cose sensa-te. Ma soprattutto parlare di ciò che si cono-sce. O comunque informarsi per sapere. Ti penso, a volte con malinconia, ma con il cuore in pace. Perché con te non ho conti in sospeso. Il nostro è sempre stato un rapporto perfetto. Io ti adoro, come tutte quelle figlie che amano profondamente il proprio padre, senza riserve. Sono riuscita a dirti tutto, quando eri in vita. O almeno, a dirti le cose importanti: “io ti voglio bene, Papà!” e tu col solo gesto delle mani mi hai fatto intendere “anch’io”; e que-sto, qualche giorno prima di andare via. Chissà cosa farai ora lassù. Già ti vedo sedu-to su una nuvola mentre leggi il tuo giornale ricordati…, che hai lasciato qui gli occhiali,… ma un giorno te le riporterò… Ciao Papà. Con amore 6 Agosto 2012
tua figlia Simona
■ La figlia Simona: “Ricordati, hai lasciato qui gli occhiali
“un giorno te li riporterò…”
Carissimo Hospice, da quando sei nato hai fatto, con molto impegno, tutto ciò che ci si aspettava da te. Hai accompagnato, tenendo per mano molte persone, hai consolato, coccolato, infuso serenità. Ma nel mese di novembre ci hai sorpreso; ti sei prodotto in un avve-nimento che mai avremmo immaginato. Si è creata una situazione particolare, d’altri tempi, quando il morire ed il nascere venivano vissuti come naturali. Tutte le famiglie accompagna-vano i loro cari con attenzione e affetto, sia nel saluto finale, sia nel saluto alla nuova vita. Una stupenda famiglia è stata tua ospite. Nonno Gianni, sofferente, era in trepida attesa, a giorni sareb-be nata una nipotina. Non si può partire senza aver visto questo miracolo, che si rinnova: un passaggio di conse-gne. E’ stato un fermento di notizie, poi… ecco… E’ nata Marta!!! Un bellissimo fiocco rosa viene appuntato alla porta di nonno Gianni. Una foto li ritrae abbracciati mentre riposano serenamente. Un inno alla Vita che continua e un Buon Viaggio dolcissimo! Grazie!
Jose
C aro Papà…, era da tempo che desideravo scriverti
una lettera, solo che avrei talmente cose da dirti che non so da dove cominciare. Mi manchi tanto. Ora è tutto più difficile, da quando non ci sei più. A volte avrei bisogno di quei preziosi consi-gli che mi davi, ogni volta che dovevo af-frontare situazioni che richiedevano decisioni importanti. Prima avevo quei consigli a disposizione…, ed ora, invece, penso a quelli che mi daresti se fossi ancora qui. Immagino quali sarebbero le tue parole, i discorsi. Quelle parole che sono venute piano piano a mancare con l’andamento della ma-lattia che in parte ti aveva tolto la parola. Ma io ho cercato ancora e oltre, di capirti. E mi sono accorta di quanta era l’espressività del tuo viso o di un gesto con le mani. Ricordo che ogni mattina venivo a trovarti in hospice. Entravo in camera e spesso sonnec-chiavi. Ciò che mi manca da morire è proprio quel bacio del mattino, che ti davo mentre dormi-vi. Tu aprivi gli occhi, mi sorridevi e balzavi
giù dal letto. Quegli occhi azzurri, quando accennavano ad un sorriso illuminavano anche una giornata grigia. E dentro quegli occhi c’era un mondo: per chi ti conosceva bene, come me, era facile interpretarne gli stati d’animo e le inquietudini. Ora piango, mentre scrivo perché trent’anni di vita con te, sono stati trenta, ma troppo pochi. Posso dirti che in una prossima vita potrebbe cambiare tutto, ma vorrei avere ancora una volta la possibilità di averti come padre. A me non è bastato, Papà. Ho tanti ricordi, ma ne avrei voluto ancora tanti altri. Di quando mi venivi a prendere all’asilo, in bicicletta e di quando mi mettevi a letto alla sera e dicevi: “Sotto a chi tocca…!. Quello era un rito prima di andare a dormire. Non posso dimenticare tutti quei gesti paterni che in questi anni mi hai dedicato. Il “mi raccomando vai piano” quando uscivo in macchina o “dammi le chiavi che ti par-cheggio la macchina all’ombra”, piccole cose che ora sembrano così grandi. Abbiamo pianto al telefono insieme, quando non si era verificato il rinnovo di un contratto
■ Nel mese di ottobre scorso
Fiocco rosa
foto Benny
Pagina 8 Hospice di Casale - Maggio 2013
E ra il 5 otto-bre 2012, un
fiocco rosa appe-so sulla porta n u m e r o 2 dell'Hospice di Casale, si perchè proprio lì dove tutti pensano che
ci sia solo dolore, noi possiamo testimoniare che li c'è la vita, la serenità, certo anche la tristezza, ma nulla di più bello al mondo rappresenta un fiocco, la nascita di una bim-ba, la nascita della terza nipotina che il suo nonno Gianni aspettava con tanto amore! Era dalla mattina che fremeva per vederla, diceva “Dai Marta fai in fretta che nonno vuole conoscerti”, arrivando poi alle 10.20 della sera per la gioia di tutti noi. Si perchè lui dopo anni di sofferenza e fatica, sapeva che era arrivato nel posto giusto dove finalmente avrebbe potuto riposare, il posto dove aveva tutto il necessario. Come da sem-pre aveva le attenzioni di noi moglie, figli, parenti, amici, in questo reparto unico, lui e noi abbiamo trovato una grande famiglia, abbiamo trovato tanta comprensione e tanta umanità! Da subito lo hanno coccolato, sopratutto le volontarie Vitas, che sono persone stupende, lui era molto goloso e loro lo avevano capito, e quindi lo viziavano dandogli tutto quello che chiedeva, e lui era onorato, si sentiva speciale, si speciale come nella vita purtrop-po non si era mai sentito poiché tutti gli o-spedali che ha frequentato invece lo hanno fatto solo soffrire e sentire inutile. Era stanco, molto stanco, provato dalla ma-
lattia che avanzava, ma aveva una grande forza di ridere e sorridere, un po' data dalle sue gioie “terremoto, dolce, e lei zucchero”. Zucchero, cioè Marta, è arrivata nella nostra vita in un momento molto difficile, ha saputo dare tanta gioia al suo nonno e a tutto il re-parto dell'Ho-spice, ha dato una ventata di vita, quella vita che purtroppo si vede spe-gnersi lì, noi una famiglia c a c i a r o n a , molto affiatata abbiamo fe-steggiato con tanto di pranzo domenicale, in più di 10 per-sone nel salotto e tutti erano sorpresi di quan-to amore lui avesse attorno.Ma avevano capi-to che lui era amore, era vita, era gioia, era la persona che nonostante sapesse che presto sarebbe andato via ha sorriso fino all'ultimo a tutti noi, ha ringraziato tutti noi per quello che gli abbiamo regalato, ma la verità è quel-lo che lui ha regalato a noi!!: l'AMORE!!! Chi ha conosciuto la sua storia, sa che pur-troppo ha combattuto molto con le unghie e con i denti per sconfiggere il suo brutto male, però purtroppo non ce l’ha fatta, e la cosa più dolce che ricordo è il viso di Laura che dice io non lo buco più!! soffre troppo, perchè creargli altro dolore, loro tutti hanno provato fino all'ultimo a fare il possibile, ma alla fine come è giusto che sia hanno lasciato che la
vita compisse il suo cammino, hanno lasciato che senza dolore ma con tanto amore, con noi tutti vicini, potesse finalmente riposare in pace. Non dimenticherò mai una frase della dott.sa Daniela Degiovanni, lei 6 anni fa in oncolo-
gia a uno dei cicli di chemio molto intensi prescritti dall'ospedale di Milano, lei disse: ”Ok, facciamolo, ma sappiate che se io vedo che sta male più di quel-lo che dovrebbe sospen-do, PERCHE’ BISO-GNA GUARDARE LA QUALITA’ DELLA V I T A A L L A QUANTITA’”. Parole forti, che subito mi avevano anche sec-
cata, ma nelle ultime ore della sua vita ho capito cosa voleva dire, e lì io stessa ho chie-sto che smettesse di soffrire. “Eri giovane papà, meritavi una vita lunga e piena di gioia, invece così non è stato, il 25/10/2012 ti sei spento, con un bellissimo sorriso sul tuo volto, con una pace che da serenità, l'unica cosa che mi dà sollievo è che sei andato via nel modo migliore, senza sof-frire e intorno a te c'era tanto amore come quello che tu sapevi dare!!!”. Grazie a tutti coloro che hanno fatto parte della nostra vita, di quei lunghi e dolorosi momenti. Con amore in ricordo di te:
Giovanni Luigi Balestrucci
la figlia Pierangela
S tabilire delle relazioni inter-
personali è importan-te per la formazione di ciascuno di noi e per imparare a vivere con il giusto equili-brio l'indipendenza e l'appartenenza ad un gruppo, trasformando l'IO in "NOI". Il Gruppo è costituito da persone che sono legate da un qualche vincolo di apparte-nenza, da un senso comune, dall'essere con-sapevoli che "Noi" siamo "Noi" (e non "Io") per "chi" con il suo fragile sorriso, con la sua debole mano cerca in "Noi" l'appoggio, il sostegno nell'ultimo tratto di strada di vita rimastogli...
E' importante l'uso del "Noi" non come un insie-me di persone, ma come un tutt'uno, come una comple-tezza di pensieri e di emo-zioni. L a c o n d i v i s i o n e (qualcuno ...sorride in modo strano quando sente questa parola...) è la soli-dita' del Gruppo, abbatte le barriere, rifiuta la com-petizione e pone al centro i valori della SOLIDARIETA', DEL
RISPETTO DEGLI ALTRI E DEL LA-VORARE INSIEME, facendo leva sulle risorse di ognuno per instaurare un clima positivo e sereno, dove le nostre IDEE, le nostre SENSAZIONI, le nostre EMO-ZIONI possano integrarsi armonicamente
Zucchero: un fiocco rosa in Hospice!!
Cammina con me, nonno!
La forza dell’essere “NOI” L’importanza dell’essere gruppo, del senso di appartenenza e della condivisione
all'interno del Gruppo. Ma ....chissà se riusciremo con il tempo ....a consolidarci…
"Cerchiamo di essere molto sinceri nei rapporti
con gli altri, e di avere il coraggio di accettarci come siamo.
Non sorprendetevi o non preoccupatevi dei falli-
menti degli altri, piuttosto guardate e trovate il bene in ciascuno...
perchè ciascuno di noi è creato, a immagine di
Dio" (Madre Teresa di Calcutta) Sandra
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■ Da un ricordo del volontario Daniele
Giacomo… l’uomo burbero!
LO, che una mattina alle 08,10 dopo già aver fatto colazione, dopo averlo bevuto si lecca-va i baffi che non aveva. Un giorno però mi accorgo che a LUI è tor-nata la forza e quindi utilizza le posate, tutta-via bisogna stargli vicino per assisterlo. Durante il periodo in cui gli ho tenuto com-pagnia mi ha riferito di aver dimorato negli Stati Uniti, di conoscere l’inglese e, di aver posseduto una Moto Guzzi ed altro. Viste le difficoltà che aveva nel farsi capire perché la malattia avanzava, in questi mesi a volte con dei semplici disegnini, riuscivo a capire cosa desiderasse. Per esempio il gelato alla mela, il budino alla crema o al cioccola-to. Un giorno gli ho persino portato del pro-sciutto cotto, della mortadella e anche un pezzetto di gorgonzola… Era da vedere, assaporava tutto con grazia e, poi quando lo salutavo perché dovevo andare al lavoro o tornare a casa mi guardava con quegli occhi BUONI e sussurrava GRAZIE GRAZIE!!! Lentamente, l’uomo burbero aveva capito che poteva fidarsi ed io ero contento di poter pensare che una piccola parte in questa trasformazione l'avevo avuta anch'io, insieme agli altri volontari di VITAS che assistono le persone senza richiedere nulla in cambio. Giacomo e' poi stato dimes-so e trasferito in una Casa di Riposo. Questa notte durante il servizio, per un caso fortuito mi sono trovato in un paese e transi-tando davanti ad una struttura con molte luci accese all’interno, ho chiesto: cosa c’è li? Ed il mio collega mi ha risposto: quella è la Casa di Riposo. Ecco allora che il mio cuore si stringe e col pensiero dico:“”CIAO GIACO-MO”.
Sono parte integrante di un progetto, con uno stile e delle regole ben precise; la
loro azione non è individuale ma inserita in una struttura in cui ogni figura ha un
proprio ruolo. Sono persone selezionate e formate per essere in grado di affronta-
re le difficoltà insite nell’assistenza ai malati. Sono in grado di dare a chi soffre
un aiuto concreto per risolvere i problemi pratici e psicologici che devono affron-
tare. Assistono il malato e gli fanno compagnia mentre i familiari sono al lavoro o
impegnati nelle incombenze quotidiane.
In particolare i volontari possono:
- Svolgere una terapia ricreativa (lettura di libri o quotidiani, conversare, ascol-
tare musica)
- Dare aiuto all’igiene personale de malato
- Assistere il malato negli spostamenti e accompagnarlo per la casa o in bagno e,
se gli è possibile, lasciare il letto
- Preparare, se è il caso, qualche semplice pietanza di cui il malato abbia espres-
so il desiderio
- Eseguire commissioni o sbrigare eventuali pratiche
- Continuare a seguire il malato nel caso egli sia ricoverato in ospedale con visite
periodiche
I volontari sono persone che, oltre a dare un aiuto concreto, esprimono solidarie-
tà, offrono anche ai familiari ascolto e sostegno umano cercando, per quanto
possibile, di sollevare la famiglia dalle preoccupazioni quotidiane. Sappiamo quanto sia
difficile da parte dei pazienti e delle famiglie accettare, a volte, la presenza di una persona
estranea, per quanto accreditata e referenziata, a casa propria.
Vorremmo che, attraverso queste poche righe di presentazione del ruolo del volontario
Vitas, valutaste attentamente il valore, l’utilità e la possibilità di accettare in casa vostra
persone fortemente motivate con le quali condividere un “pezzo di cammino” di vita insie-
me.
Per avere ulteriori informazioni contattare la coordinatrice dei volontari Vitas, Sig.ra
Patrizia Carpenedo tel. 348.2896676 o l’Associazione Vitas tel. 0142.452067
I vo
lon
tari V
itas
Mi piace pensare.....Mi piace pensare.....Mi piace pensare.....Mi piace pensare..... (dedicato a te sconosciuto e a me)(dedicato a te sconosciuto e a me)(dedicato a te sconosciuto e a me)(dedicato a te sconosciuto e a me)
Mi piace pensare ogni volta che entro da Te di poter essere o ricevere una mano tesa
verso il nuovo: perché i tuoi occhi sono sempre nuovi,
anche quando rimangono chiusi; di poter essere o ricevere il ramo nudo del
Tuo cuore per una salute avara o al limite della strada; di poter essere o ricevere l’attesa nel silenzio
di una Luce che gioca con un nuovo domani (tuo e mio) tutto da sperimentare!
Rina
M entre scrivo queste poche righe, non vi nascondo che ho gli occhi alluvionati
ma sento il desiderio di donarVi le mie emo-zioni di questo giorno. Qualche mese fa, mentre mi trovavo in Ho-spice... Cammino nel corridoio dove si affac-ciano le 8 porte, contraddistinte da un solo numero, quello della camera e da un fiore stilizzato. La numero 7 è socchiusa. Pare ci sia un uo-mo all’interno e che lo stesso sia un po’ bur-bero. Poi lo vedo uscire in carrozzina, si lamenta ma non si capisce veramente cosa vuole. Il personale presente cerca in tutti i modi di capire… ma niente è proprio “”burbero””. Non sapendo se lo stesso gradisce le visite che noi volontari Vitas quotidianamente effettuiamo agli ospiti utenti, decido di non violare la sua privacy. Tuttavia qualche gior-no dopo mi faccio coraggio e provo ad entra-re ma non supero quella soglia. Eccolo, è rivolto verso la finestra, è una persona alta, viso severo, ha una corporatura media e l’atteggiamento incute un po' di timore. Ve-dendo la sua espressione mi blocco e non entro, desisto e passo a trovare altre persone che occupano le altre camere. Pochi giorni dopo vengo a sapere che è stato trasferito presso la struttura “Padre Pio”… Penso: forse stava meglio e lo hanno dimesso dall’Hospice. Qualche giorno dopo mi viene chiesto se posso andare in Oncologia, perché
lui si trova li per fare la terapia. Vado, entro nella sala dove si accomodano gli utenti, tutti impegnati in qualche modo a leggere o a discutere tra loro... Nascono anche profonde amicizie in quella sala. Ecco, l’uomo burbero è seduto sul letto, è pallido e non si regge in piedi facilmente. Allora arrivo io di corsa e mi presento: Buon giorno signor GIACO-MO. Mi chiamo Daniele, posso esserLe utile?. Mi abbracci pure, ci sono io. Non mi sembra vero. Lui alza lo sguardo e senza una parola con un cenno del capo annuisce. Ha inteso la natura della mia presenza. Comincia una intensa relazione che continua quando lui ritorna in Hospice Quasi sempre, dopo aver fatto visita agli utenti, entro nella camera 2, quella in fondo a destra, quella con la finestra rivolta a SUD-OVEST. Li c’è l’uomo burbero, l’uomo che pare avesse vissuto molto all’estero, l’uomo che nel frattempo ha perso peso e non parla molto di se o di altro, ed io insieme a Doria-na lo aiutiamo a mangiare. Una mattina, gli ho chiesto: ha mai assaggia-to a colazione l’uovo sbattuto con il caffè? Lui mi fa un cenno negativo ed io allora nel raccontargli che mia nonna materna PIERI-NA lo preparava tutte le mattine quando abitava con noi, gli prometto che appena possibile glielo avrei preparato. E così è stato. Lo ha desiderato persino il caro PIERCAR-
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■ Giovedì 14 marzo alle ore 21 presso l’Auditorium S. Chiara
“Fronteggiare la perdita delle persone care” deciso poi di mettere la propria esperienza (si occupava di gruppi ama per altri motivi) al loro servizio. I gruppi di auto-mutuo-aiuto rispondono al bisogno, spesso disatteso dalla nostra società, e talvolta inespresso all’interno della fami-glia in un tentativo di reciproca protezione, di essere accolti e ascoltati nella propria sof-ferenza, di poter parlare della persona morta, perchè non “ricordarla è come farla morire una seconda volta”. La persona in lutto si trova a fronteggiare uno strappo co-gnitivo ed emo-zionale, un cam-bio di ruolo nelle relazioni familiari e nella propria identità sociale ed è soltanto attra-verso la narrazio-ne, restituita da un ascoltatore attento, che è possibile ridefinire questa nuo-va identità. E’ incredibile cosa può fare la narrazione e ancor più l’essere in gruppo. L’esperienza del gruppo ama è un’esperienza tra pari, senza giudizi, tutti ti accettano con la tua sofferenza; ti sono vicini quando rico-minci a sorridere e c’è l’incoraggiamento reciproco; il sentire di essere importanti, utili per qualcuno, sentire che la comunità c’è. E’ stato affrontato il tema del “cordoglio antici-patorio”: sapere che avverrà una perdita, la nostra o quella di un nostro caro, particolar-mente sentito nel casalese e che tocca tante famiglie colpite dal mesotelioma pleurico.
Non è facile parlare, spesso c’è il rifiuto, il far finta che non sia questa la realtà: può essere un tentativo per andare avanti. Ma se non c’e stato un saluto, un congedo, restano poi il senso di colpa, il rimpianto, la nostalgi-a. Ma come si fa a salutare la persona moren-te? Forse lo si fa senza quasi rendersene conto attraverso l’ascolto, lo stare accanto, il “commuoversi”: muoversi insieme. Tante le testimonianze dei partecipanti alla serata, di chi fa o ha fatto parte dei gruppi: narrazione coinvolgenti, emozionanti. Tante
le domande e le osservazioni, tra le tante: come aiutare i bam-bini ad affrontare la morte di un genitore; come fare quando al proprio famigliare viene a man-care la voglia di continuare a vivere dopo la morte del compagno/a di una vita. L’importanza della spiritualità, di recuperare il senso della tra-scendenza quando oggi viviamo
nell’immanenza. E ancora l’utilità della scrit-tura con la sua valenza catartica e terapeutica per mantenere viva la memoria di chi abbia-mo amato. Luigi ha risposto e commentato con l’umanità e la ricchezza di un’esperienza maturata attraverso l’ascolto di tante narra-zioni raccolte in quattordici anni di colloqui e di facilitazione di gruppi di mutuo aiuto per le persone in lutto. Ha concluso la serata, tanto ricca di contenuti profondi ed emozionanti, il Presidente di VITAS Claudio Ghidini che ha sottolineato come molta commozione non deve spaven-tarci perché, come ci ha insegnato Gigi Co-
lusso “commuoversi” vuol dire: muoversi insieme e aiutarci gli uni con gli altri.
Maria Clara Venier (psicologa Vitas)
foto Benny
O rganizzato da Vitas si è tenuto a Casale Monferrato un incontro con relatore
Luigi Colusso. Medico, psicoterapeuta, for-matore, responsabile del progetto per il soste-gno alle persone in lutto “Rimanere insieme” dell’Associazione ADVAR Onlus di Treviso ha iniziato ad occuparsi di gruppi e di mutuo aiuto nel 1980 ed è membro e co-fondatore del coordinamento nazionale dei gruppi di auto mutuo aiuto per l’elaborazione del lutto. E’ autore del libro: “Il colloquio con le per-sone in lutto. Accoglienza ed elaborazione”, Edizioni Erickson, che offre informazioni specifiche per conoscere il fenomeno del lutto e il suo percorso di elaborazione. Pre-senta a tutti coloro che sono a contatto con situazioni di perdita, motivazioni e obiettivi per intervenire attivamente con un approccio basato sul mutuo aiuto (colloqui e gruppi) per rispondere ai bisogni crescenti della co-munità. L’incontro, dedicato in particolare agli ope-ratori della salute, ai volontari, a educatori, insegnanti, genitori, membri dei gruppi di auto mutuo aiuto, ma anche a tutti coloro che desiderano avere elementi di conoscenza per fronteggiare perdite e lutti, ha visto una grande e sentita partecipazione. Difficile sintetizzare in poco spazio la ricchezza dei contenuti, dello scambio e delle emozioni emerse durante la serata. Luigi si è presentato non solo come profes-sionista ma soprattutto come uomo e padre che ha vissuto la perdita improvvisa della figlia quindici anni fa. Dopo l’annichilimento, il dolore, la voglia di non vivere, si è chiesto cosa poteva significa-re quello che gli era accaduto. Ha cominciato a cercare e ha trovato delle persone, come lui dolenti per la morte di un proprio caro e ha
N on è facile parlare di morte. Non è un
argomento simpatico, non è… trendy,
diciamo che è un gran tabù. Eppure tutti, ma
proprio tutti condividiamo questo destino:
belli o brutti, furbi o sciocchi, ricchi o pove-
ri, bianchi o neri… che ci piaccia o no ce ne
andremo.
Ascoltare il prof. Colusso che parla di questo
momento è un vero privilegio, poiché le sue
parole sono pacate, serene, delicate, rassicu-
ranti, intelligenti.
Davanti a un pubblico, non numerosissimo,
ma indiscutibilmente interessato il professo-
re ha intrattenuto l’uditorio parlando di
quanto sia importante CONDIVIDERE,
RACCONTARE, narrare, un’esperienza di
lutto. Attraverso l’apertura del proprio cuo-
re, lasciando sfogo alle emozioni, accoglien-
do con tenerezza la sofferenza, possiamo
alleviare la pena straziante di un distacco.
Com’è vero!
Il cammino del lutto è…. atroce, oltre che
per il distacco e l’abbandono, anche per
Sì!!! Sto facendo una grande, grandissima
promozione dei gruppi di auto mutuo
aiuto. La faccio perché ci credo INTEN-
SAMENTE, la faccio perché sono
un’utente… guarita dal gruppo.
Il professor Colusso, che ho conosciuto in
occasione del corso per facilitatori di
gruppi AMA, è stato colpito da un lutto
spaventoso: la scomparsa di una figlia. Ci ha
detto che, praticamente, ha “trasformato”
tutto il suo dolore in aiuto a chi sta soffrendo
impegnandosi per aiutare. C’è da riflettere.
E da prendere esempio, se si può.
Il dolore si lenisce aiutando chi sta soffren-
do, si lenisce lottando per una buona causa,
si lenisce combattendo per qualcuno, dedi-
candosi ad un ideale. E’ un messaggio di
grande forza, impatto e speranza. E’ quello
che è giunto, spero, a tutti coloro che erano
presenti. Il dolore, se condiviso, fa molta
meno paura. E, con il tempo, si supera, recu-
perando il ricordo puro, fonte di forza.
Silvia
l’indifferenza che accompagna i dolenti. Non
si è compresi, perché c’è la paura, la paura
di immedesimarsi in un contesto di dolore, la
paura di prendere coscienza che il dolore è,
purtroppo, parte integrante dell’esistenza.
Tutti coloro che affrontano, loro malgrado, il
cammino vorrebbero una RICETTA magica
per smettere di soffrire. E’ umano, logico,
comprensibile. Una ricetta non c’è. C’è,
però, un suggerimento… PARLARE, NAR-
RARE… trovarsi fra confratelli del dolore, in
gruppi a CONDIVIDERE. Condividere mo-
menti di disperazione e momenti di rinascita,
condividere sentimenti di angoscia e voglia
di serenità.
foto Benny
Hospice di Casale - Maggio 2013 Pagina 11
■ Vincenzo Moretti - consigliere Vitas
Il Sollievo «P iacer
figlio
d’affanno»: con una dolorosa meditazione
sull'inesorabile infelicità del genere umano, la cui unica gioia consiste nella cessazione del dolore, finisce una delle più note poesie di Giacomo Leopardi, La quiete dopo la
tempesta: «Uscir di pena / è diletto fra noi. / Pene tu [o Natura] spargi a larga mano; il duolo / spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto / che per mostro e miracolo talvolta / nasce d’affanno, è gran guadagno». Gran guadagno, il sollievo. La piacevole sensazio-ne provocata dall’alleviamento di un dolore. L’attenuazione del malessere fisico e psichi-co. La momentanea liberazione dall’ansia. Il sollievo, insomma. Svariate possono essere le forme del sollievo, parola che deriva dal latino sublevare, composto di sub (sotto) e levare: alzare da terra, sostenere, alleviare, aiutare. Sollievo tramite la preghiera, la parola di una persona amica, un filo di spe-ranza… Anche una pianta, anche un animale, posso-no sostenere, alleviare, aiutare. Uno scrittore profondo e sensibile, Alberto Bevilacqua, regista e sceneggiatore, poeta e giornalista, ha scritto nel 1991 I sensi
incantati, un romanzo in cui Miriam, una gio-vane sensitiva, entra nella vita del protagoni-sta in crisi e lo rigenera, risanando i suoi sensi dalla grave depressione che lo ha colpito, dall’«angoscia di essere fuori gioco, precipi-tati in una crisi d’identità che rende difficili i rapporti con gli altri, impossibili l’amore e la pace con se stessi; un immenso vuoto esi-stenziale che viene colmato da un universo di colpa, senza poter estrinsecare tutto il bello che si sa di possedere». Abbandonato dalla moglie, il protagonista vive solo, nella “Casa della grande solitudine”, estraneo al mondo diventato ormai, per lui, «un pianeta remoto». Quale sollievo dal male e dalla solitudine? Leggiamo: «In casi del genere, si comincia a scoprire, intorno, esistenze tra-scurate: la “personalità” delle piante, ad esempio, che crescono nei nostri apparta-menti e terrazze; si afferra che – convivendo con quelle sole compagne – esse ci trasmet-tono un alfabeto primitivo per un dialogo che, fino ad allora, abbiamo ritenuto inesi-stente. Si captano i loro occhi invisibili che ci scrutano, l’amorosa cura che sono pronte a ricambiare. Il ficus benjamina perde le foglie se vede triste un padrone che gli solle-cita affetto (e almeno di questo affetto avevo prova). Salivo nello studio e restavo a fissare la Cerva-fiore: elegante, soprattutto intelli-
gente nel sapere da che parte girar-si. Le sue foglie si tendevano con l’abbandono di una testa desidero-sa di ascoltare la mia voce, e con-tro il tramonto romano avevo la sensazione che si lasciasse acca-rezzare dalla brezza, dalla luce che esplodeva o svaniva». Se passiamo dalle intuizioni liriche di uno scrittore alle evidenze scientifiche delle terapie mediche, aventi lo scopo di rendere soppor-tabile la manifestazione di sintomi disagevoli, non si può non pensare alla “terapia del verde”. Sono sempre più numerosi gli spazi verdi negli ospedali e nelle case di cura. Perché, come provano diversi studi medici, il contatto con la natura aiuta l’organismo a trovare sollievo, a reagire più prontamente, a diminuire le forme di depressione. Il verde infonde coraggio e sti-mola l’ottimismo. Ognu-no di noi può, nel pro-prio piccolo, crearsi un angolo verde personale: in giardino o sul balco-ne. Anche in casa qual-che pianta può rendere l’ambiente più rilassante e sano. Veder crescere una pianta giorno dopo giorno, ci dà sollievo e ci riavvicina ai ritmi e all’armonia della natura. Leggiamo un’altra pagi-na del romanzo di Alber-to Bevilacqua: «Mi ac-corgevo dei volatili di passo che spesso riposano sulla mia terrazza fra le più alte di Roma: di un uccello, in par-ticolare, la cui specie strana non avrei saputo identificare. Si finisce per dare un nome a questi complici provvidenziali. Il volatile lo chiamai Salomone, chissà perché, ed era bello, durante le sue soste, scoprire la sua segreta solitudine come lui scopriva la mia. Si inoltrava nello studio, aggirandosi senza timore, e mi studiava con occhio amico, dopo che avevo cercato inutilmente di battere a macchina qualcosa. Sembrava che mi chie-desse: “Cos’è che non va, stamattina? Vo-gliamo riprovare insieme?” Con soggezione, la donna a ore mi annunciava: “C’è di sopra Salomone.” E io, con improvvisa felicità, lo raggiungevo. Gli davo il buongiorno e pren-devo a parlargli, a confessarmi – certo che qualche calcolo celeste lo avesse mandato per tenermi compagnia – mentre lui si produ-ceva in una seducente scena all’angolo del grande tavolo, spiumandosi del superfluo, e dopo, quando tornava a volare via, non resta-vano che poche piume, che io raccoglievo sentendole calde nelle mani». «Io, con improvvisa felicità, lo raggiunge-
vo…». Una felicità che costituisce un mo-mentaneo sollievo al male oscuro. E, ancora una volta, passiamo dalla letteratura alla medicina: a una delle “terapie integrative” o “terapie dolci”, conosciuta come pet therapy: la zoo terapia, per dirla in italiano, basata
sull'interazione uomo-animale. Essa «integra, raffor-za e coadiuva le tradizionali terapie e può essere impiegata su pazienti affetti da differenti patologie con obiettivi di miglioramento comportamen-tale, fisico, cognitivo, psico-sociale e psicologico-emotivo», com’è scritto nel Manuale Operativo Regionale
regione Veneto. Si tratta dunque di una co-terapia che affianca le cure tradizionali, con lo scopo di facilitare l’approccio sanitario dei vari operatori soprattutto nei casi in cui il paziente non dimostra collaborazione spontanea. La
presenza di un animale permette in molti casi di consolidare un rapporto emotivo con il paziente e, tramite questo rapporto, sia di stabilire un canale di comunicazione paziente-animale-operatore, sia di stimolare la partecipazione attiva del pa-ziente. La pet
therapy, che solo recente-mente ha otte-nuto il giusto riconoscimen-to, trova ampia applicazione in svariati settori socio-assistenziali: case di riposo, ospedali, comunità di recupero, hospice. Prendersi cura di un animale può calmare l'ansia, può trasmettere calore affettivo, e aiutare a supe-rare lo stress e la depressione. Può, insomma, essere fonte di sollievo. Forse, di qualcosa di più: «Io, con improvvisa felicità, lo raggiun-gevo…».
Anche questo bellissimo albero nell’entrata dell’hospice è
simbolo del sollievo che vogliamo donare ai nostri pazienti e
ai loro famigliari
Pagina 12 Hospice di Casale - Maggio 2013
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La partecipazione agli incontri del gruppo Auto Mutuo Aiuto “Un aiuto per chi rimane” è gratuita e aperta continuativamente, ma è necessario iscriversi contattando i seguenti numeri:
339 8168421 M.Clara 347 8133409 Paola G.
333 5071212 Maura
339 4734426 Silvia Gli incontri si tengono presso la sala riunioni dell’Hospice “Zaccheo”, Strada Vecchia
Pozzo S.Evasio 2/E (di fronte sede Croce
Rossa)
L a musicoterapia è una modalità di ap-proccio alla persona, ed anche una disci-
plina scientifica (Rolando Omar Benenzon, autore e docente argentino di musicoterapia) che fa uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia), come strumento di comunicazione non
verbale, per intervenire a livello riabilitativo, educativo o terapeutico, con un utente o un gruppo, in un processo tendente a facilitare la comunicazione, la relazione, l'apprendimen-to, la motricità, l'espressione, l'organizzazio-ne e per poter soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive. Essa mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell'individuo affinché possa realiz-zare l'integrazione intra - e interpersonale e consequenzialmente migliorare la qualità della vita. Aiuta a migliorare la pressione arteriosa, la digestione, il sistema nervoso centrale ed il sistema muscolare. Psicologicamente, per la sua dinamica, arriva direttamente all’inconscio, riuscendo a favorire la regressione e la liberazione dalle tensioni angosciose, aiuta a dominare le emozioni ed a rilasciarle in superficie. Sostiene con forza il processo di catarsi (purificazione) personale dalle pulsioni aggressive e permette di ricostruire il pro-prio mondo emozionale-affettivo, attraverso il rafforzamento della propria autostima quando soprattutto il soggetto riesce a padro-neggiare l’uso di uno strumento ed a condivi-dere i suoi successi con gli altri del gruppo. Regala immediata autoverifica e feed-back, sprona ad inserirsi a livello sociale soprattut-to attraverso la dominanza dello strumento, aiuta la creatività e migliora l’apprendimento delle discipline scientifico-matematiche. Favorisce la concentrazione, l’autodisciplina, la consapevolezza del proprio corpo attraver-so la propria mente, la naturale evoluzione umana ed i rapporti con gli altri esseri viven-ti, e fa anche da ponte fra le varie culture ed età fisiologiche e mentali. I messaggi musicali sono impulsi in entrata
che si dirigono al talamo (sede di emozioni,
sensazioni e sentimenti) e da esso filtrati e convogliati alla corteccia cerebrale inducen-do stimoli che incidono sul sistema nervoso autonomo, suscitando sensazioni sia a livello conscio che inconscio. La pratica musicoterapeutica ha origini anti-chissime, nelle culture cinese, indiana, afri-cana (“Music and Medicine among primitive peoples”, libro di P. Radin ), ma le prime fonti scritte, che ne documentano l’utilizzo per migliorare la fertilità della donna, risal-gono a papiri medici egiziani, scoperti nel 1899, risalenti al 1500 a.C. Essa si avvale dei seguenti principi cardine: 1) il paziente ha ruolo attivo; 2) è fondamentale instaurare il rapporto di fiducia con il paziente ed accettare di buon grado i pareri ed i feed-back che vengono da lui; 3) la tecnica dev’essere adattata e personaliz-zata, volta per volta, paziente per paziente,
per essere effica-ce; 4) paziente e ps i co te rap eu ta m a n t e n g o n o scambi reciproci e propositivi; 5) sono legati tra di loro dal filo conduttore del suono. Il musicotera-
peuta è un tera-peuta che formula la diagnosi, decide la tera-pia e a conclusione del trattamento valuta il raggiungimento degli obiettivi prefissati, colui che ha una laurea in psicologia, medici-na, conservatorio, scienza della formazione e dell’educazione, a cui si aggiunge una speci-fica formazione in musica. Nella relazione non è che l’intermediario tra i due protagoni-sti: la musica che genera emozioni, ed il paziente, che si apre e le sciorina, svuotando-si. La musica dà alla persona malata, disagiata, sofferente, anche a livello mentale, cognitivo psicologico e sociale, la possibilità di espri-mere e percepire le proprie emozioni, di mostrare o comunicare i propri sentimenti o stati d'animo attraverso il linguaggio non-verbale. Il paziente permette al mondo esterno di “entrare” in comunicazione con il suo mondo interno, defedato, nella sfera personale di chi soffre (cerebrolesi, afasici, affetti da ritardo e/o deficienze mentali, da deficienze senso-riali, quali cecità e sordità, ad es.) e non ha verbi, né soggetti, né complementi oggetti da utilizzare o non riesce ad esprimere la pro-pria grammatica relazionale (affetti da auti-smo, da Morbo di Alzheimer, da psicosi e da nevrosi, da perturbazioni motorie e proble-matiche neurologiche) e riesce a diventare il pentagramma espressivo anche di coloro il
cui Io è strutturalmente compromesso o im-brigliato in vissuti degenerati (perturbazioni emozionali e di condotta, processi nevrotici e psicotici, borderline, conseguenze da dipen-denze tossiche in genere). Le sedute musicoterapeutiche hanno destina-tari di ogni età e affetti da patologie di vario genere (psicosomatiche, terminali degenera-tive ed infettive, geriatriche), in contesti ed ambienti che vanno dal gruppo familiare a quello scolastico, dall’hospice alla comunità socio-educativa per minori, dagli istituti alle case di riposo, dalla sala travaglio alla S.O.C. ospedaliera, sia a livello didattico che istitu-zionale. Chiaro dev’essere a tutti che la musicoterapia non è la “cura” ma una co-terapia che per-mette un miglioramento qualitativo della vita a tutti coloro che ad essa si accostano.
Simona
■ Un possibile prossimo Gruppo di Sollievo in Hospice
“Due passi nel mondo della musicoterapia”
Hospice di Casale - Maggio 2013 Pagina I
L ’ a p p u n t a m e n t o con l’incontro di
pittura all’Hospice è un avvenimento che si ripete ogni mese, negli ultimi quattro anni nella mia vita. Lo posso definire im-
prevedibile e quindi irripetibile, e anche irri-nunciabile. Alcuni giorni prima della data fissata, inco-mincio a interrogarmi su quale esperienza di colore proporre e su come proporla, cioè attraverso quale processo artistico-creativo, condurre i partecipanti, preparo schizzi di colore, ricerco storie da leggere o poesie o semplicemente immagino come raccontare l’esercizio che intendo dare. L’incontro si svolge immancabilmente diver-samente da come me lo ero immaginata, per la partecipazione di persone che non avevo previsto di vedere : pazienti che non cono-sco, volontarie, parenti di passaggio… il mio programma sfuma davanti alle difficoltà
in Hospice
H o la fortuna di lavorare un po’
con l’intero gruppo che si occupa di Tera-pie Domiciliari e dell’Hospice di Casa-
le. Non mi ricordo bene, in effetti, da quanto tempo collaboro con loro, mi sembra da sempre, anche se non è così. E ora il giornale di Vitas mi chiede di tracciare un piccolo bilancio, che non so davvero co-me fare, se non per me, per come ho visto il mio lavoro svolgersi con questi colleghi nel corso del tempo. Dico subito che i bilanci, per loro, sono con-tinui. Non tanto nel senso un po’ noioso, anche se necessario, della burocrazia, ma per necessità “evolutiva”. Infatti, poiché lavora-no continuamente esposti al dolore e poiché sono persone e non macchine, hanno la ne-cessità di fare spesso i conti con la loro ca-pacità di sopportarlo e di dargli una risposta adeguata, umana e professionale.
Sappiamo tutti che il dolore contagia e sap-piamo che se stiamo troppo male non riuscia-mo a lavorare bene. Loro hanno trovato una specie di “misura”, di dimensione interiore che gli consente di non allontanarsi dal dolo-re (perché altrimenti diventerebbero troppo cinici per lavorare bene) e, al tempo stesso, di accoglierlo e dargli senso, in modo da farsi contagiare ma non distruggere. Non è facile, la “misura” è sempre imperfetta e in corso di revisione. Così, ogni nostro incontro di lavoro è stato un piccolo punto di bilancio evolutivo sul rapporto tra competenze professionali e di-mensione umana, in quel territorio dell’ultimo periodo della vita che molte per-sone vedono come una zona d’ombra, mesta e senza alcuna attrattiva. Vorrei sottolineare un solo aspetto, tra i tanti, della crescita del gruppo: sono creativi. Lo dico con un certo timore, perché questo termine è stato così abusa-to da renderlo banale, al limite dell’infantile, come se creativi-tà fosse un sino-nimo di disordi-ne e di confusio-ne pasticciata.
tecniche di qualcuno che magari non ha mai preso un pennello in mano e che invece pro-prio questa volta si sente spinto a farlo. Allora il “che cosa” (che incontri di colore proporre, quale tema, che tecnica…), ogni volta perde di significato, e alla fine importa solo il come (come essere totalmente presen-te alle necessità di ciascuno, come partecipa-re con corpo e anima, come non divagare con pensieri e parole, come essere il più possibile vicina a qualcuno che magari non rivedrò più). E ogni volta, me ne vado più vicina a me stessa e colma di gratitudine per questa pos-sibilità che il destino mi ha portato incontro.
Daniela
Volontari
Infermieri Oss
Pazienti, parenti che vogliono parteci-
pare, lettori
Caro dott. Gastaldi,
Lei è il nostro supervisore da quattro anni
ormai. Ogni mese si siede lì, in mezzo a noi,
con semplicità, ci ascolta con interesse, ac-
coglie le storie complicate, le emozioni stra-
ripanti e i dolori trattenuti. Raccoglie cocci,
li mette insieme e prova a spiegarci i com-
portamenti umani più complessi e indecifra-
bili. Non c’è supponenza, non c’è presunzio-
ne, ma tanta tanta professionalità che si
aggiunge sicuramente ad un talento persona-
le.
Il nostro lavoro ci mette di fronte ogni gior-
no non solo al calvario della malattia e della
morte, ma anche alle storie e ai comporta-
menti delle famiglie che non sempre coinci-
dono con il nostro modo di concepire la vita
e le sue difficoltà.
Può succedere di scontrarsi con atteggia-
menti che non comprendiamo. Nel desiderio
di svolgere al meglio il nostro lavoro di ac-
compagnamento osserviamo e ascoltiamo
attentamente i nostri ospiti e poi in equipe
condividiamo le nostre impressioni. Racco-
gliamo tanti piccoli tassellino che uniti insie-
me costruiscono un’immagine più nitida, che
lei, dott. Gastaldi, definisce potentemente nei
tratti. E così il nostro lavorare diventa più
efficace. Ma non solo: la duttilità,
l’adattabilità che ci viene richiesta ogni
giorno oltre a logorarci un po’, scopre anche
“nervi sensibili” che dolorosamente e uma-
namente ci rendono un po’ acciaccati, meno
virtuosi e a nostra volta bisognosi di aiuto.
Chi si prende cura di noi?
La dott. Degiovanni sicuramente, e anche la
nostra Paoletta Ballarino, e ci proviamo tra
di noi ad ascoltarci e a proteggerci.
Ma il dott. Gastaldi… come faremmo senza
di lui? Riesce sempre a stemperare tutto, a
semplificare le situazioni più complesse, a
creare l’ambiente giusto perché ciascuno
possa autonomamente “bonificare” ciò che
lo opprime, stanca, demotiva.
Quante cose imparo… non solo per il lavoro
ma per la mia stessa vita.
Per me è un appuntamento imperdibile.
E sono convinta che anche a lei, dott. Ga-
staldi, piaccia venire da noi.
E’ un arricchimento reciproco, fatto di tanta
stima e profonda gratitudine.
Grazie dott. Gastaldi Grazie dott. Degiovanni a buon rendere
Laura
■ Gruppo di Sollievo: Daniela Vignati - Arteterapia
“Come partecipare”
Infermieri
Medici
Dott. Stefano
Gastaldi
Volontari
Oss Psicologi
Fisioterapisti
La nostra vita è costellata di “nuvole”, sono le preoccupazioni, gli affanni, le paure e i timori che creano ombre nei nostri cuori e ci sentiamo abbandonati. E in ciascuno gruppo di Sollievo (chi con parole, chi con la manualità) vogliamo dare e darci un senso di liberazione da tutto ciò. Ci riusciamo… non lo so… almeno ci provia-mo!!! Occorre avere degli occhi disponibili a guar-darsi intorno e fare in modo che il dolore più profondo di chi veniamo in contatto riposi almeno quell’ora. E far sentire e sentirci alla fine “sollevati” è il nostro traguardo.
Sono creativi nel senso più evoluto e diffici-le, perché hanno accettato la sfida continua di adattarsi alle persone che curano, senza mai però allontanarsi dalla loro competenza professionale. In campo sanitario non è un fatto molto frequente.
■ Parlano i supporters: Stefano Gastaldi - psicoterapeuta - Milano
“Non allontanarsi dal dolore, ma accoglierlo e dargli senso”
Pagina II Hospice di Casale - Maggio 2013
■ Gruppo di Sollievo: Il nostro notiziario “Insieme Vitas e Hospice”
Il piacere di raccontare, di “raccontarsi….” I l nostro notiziario è
alla soglia del suo settimo numero ed anche se con tanta fatica teniamo duro ed andiamo avanti con-vinti della sua necessi-
tà come canale di sfogo. Occorre tirar fuori le emozioni che si prova-no in Hospice o nell’associazione Vitas perché se trasmesse possono essere di sti-
molo per gli altri. E’ un contenitore che racconta, documenta la vita della struttura, delle persone che vi ven-gono a contatto, degli operatori. E’ uno strumento che è utile a far conoscere la struttura e per accompagnare le persone nella fase avanzata della malattia. E’ realizzato due volte l’anno da un gruppo di otto persone (volontari e non) coordinate da Margherita che avendo esperienza di lavo-ro di grafica ha messo a disposizione il suo tempo. Abbiamo sentito la necessità di fare del “chiasso buono” che resti documentato nelle nostre pagine, “un raccontastorie” delle emo-zioni dell’Hospice e di tutta l’Associazione Vitas. Quattro volte l’anno ci si riunisce per decide-re gli argomenti da trattare nelle due edizio-ni. Ma il gruppo è aperto a tutti, volontari, infermieri, oss…, parenti dei pazienti che
I l gruppo si è costi-tuito nella scorsa
primavera, con obbiet-tivi comuni ma diver-sificati: consentire a
chi si trovava ricoverato dei momenti distensivi e capaci di donare la gioia di produrre qualcosa ancora con l’uso delle proprie mani, ma anche di esprimere la propria creatività attraverso la
conoscenza di alcune tecniche come mosaico decoupage o tecniche miste di vario tipo. Realizzare dei lavori che sarebbero non solo stati fini a se stessi ma potessero essere an-che di abbellimento del già curato ambiente dell’Hospice seguendo il ritmo delle stagioni e delle festività e infine organizzare con gli oggetti realizzati un mercatino natalizio a favore dell’Hospice. Il gruppo alla sua nascita era composto dalla
sottoscritta, Marisa, Paola, Giuse, tutte vo-lontarie, ma è sempre stato aperto a tutti gli ospiti e al personale dell’Hospice anche per un singolo incontro al mercoledì pomeriggio. Seppure in modo sporadico, quando le condi-zioni fisiche dei pazienti lo permettevano, hanno partecipato alcuni ricoverati in Hospi-ce, esprimendo la propria creatività attraver-so il colore. Come non ricordare la nostra Paola che con entusiasmo ha raccolto e rea-lizzato con la nipote un album della propria vita, e la creazione di un mosaico che voleva parlasse della sua cucina, o, Giacomo che con le mani un po’ tremanti ha realizzato un suo quadro. Poi si è aggiunta, fino a qualche settimana fa, Paola che nonostante dei pro-blemi di movimento non ha mai saltato un incontro ed ora sapendo che con dispiacere non riesce a venire da noi, faremo in modo di organizzarci per andare noi a casa sua. Da tempo frequenta anche il gruppo come vo-lontaria “del fare” Daniela e ultimamente anche Dosolina .
■ Gruppo di Sollievo: Atelier di Creatività
Un primo bilancio A C telier di reatività
Cetti
Margherita
Dott. Daniela
Mariuccia
Rina
Vincenzo Silvia Jose Monica
Infermieri, oss, vo-lontari, pazienti, parenti che vogliono partecipare, lettori
Aperto a tutti
Doriana
Giuse Marisa Paola
Infermieri, oss, volontari, pazienti, parenti che voglio-no partecipare, lettori
condividono l’ultimo cammino con noi. “Tutti possono raccontare”.
Dal tam tam alla voce scritta
I l nostro giornalino, che è cresciuto nel
tempo (anche) in numero di pagine, non è
un laboratorio di scrittura creativa (che per
altro sarebbe una meravigliosa esperienza).
Chi lo legge non vi troverà nè fantasia, nè
invenzione, nè immaginazione ma semmai la
rivelazione di esperienze concrete. Proust
diceva a tal proposito: “ il vero viaggio di
scoperta non è cercare nuove terre, ma avere
nuovi occhi”.
Raccontare la vita di una associazione come
Vitas “dal di dentro” però, ovviamente, non
può essere una semplice cronistoria di eventi
dolorosi o mondani.
Gli spunti infatti sono i più vari, nascono
dall’osservazione di un particolare, dal pro-
fondo dell’anima, da un incontro intenso
anche se breve...
I mezzi per esprimere gli incontri con i pa-
zienti – che sono spesso incontri personali
nel senso più profondo del termine - sono
molti: dalla poesia alle riflessioni dei profes-
sionisti che collaborano con noi, dalle emo-
zioni che i volontari vivono in servizio. C’è
spazio però per analisi culturali legate in
genere ai temi di cui si occupa l’associazione
stessa.
Un altro aspetto fondamentale del nostro
giornalino è quello grafico: le immagini e le
parole vengono intrecciate sapientementee
da chi si dedica all’impaginazione; c’è poi il
contributo di coloro che raccolgono e sele-
zionano i temi e i materiali su cui lavorare,
contribuendo a impostare le linee dell’uscita
seguente (il giornalino esce due volte
all’anno).
Leggere questa pubblicazione aiuta a scopri-
re che dietro a parole che ormai tutti cono-
scono come cure palliative oppure Hospice
ci sono anche un meraviglioso giardino con i
suoi colori e i suoi suoni, la musica di piccoli
concerti, le voci dei bambini che fan visita e
festa, il tintinnio delle tazze per un tè insie-
me, i colori dell’arteterapia (certo molto più
che un corso di pittura) e… il silenzio.
Sì, anche il silenzio è un momento importan-
te, forse il più importante, da condividere
con rispetto assoluto e con attenzione pro-
fonda.
Il nostro giornalino racconta che anche un
“tramonto” può diventare l’inizio di qualco-
sa.... Ecco perché ho accettato di far parte di
questo piccolo ma convinto gruppo di lavoro.
Rina
Ma la cosa che ci da più soddisfazione è che si sono inserite due persone Luciana e Nico-letta che in modo diverso sono state invitate dalle psicologhe dell’Hospice a frequentare il nostro laboratorio ed ora ne fanno parte, scoprendo il piacere di fare, creare e condivi-derlo in un gruppo . Il mercatino di Natale è stato grazie alla partecipazione di volontari e conoscenti che hanno donato dei loro lavori di cucito bigiot-teria ecc, un successo ed il ricavato lo abbia-mo destinato alle necessità dell’Hospice fra cui l’acquisto recente di tendine a lamelle per schermare dal sole tutte le camere dell’Hospice. Oltre a raccogliere fondi è stata un’occasione fra le Tante di farci conoscere, di approcciare persone all’interno della Coop che non conoscevano l’Hospice e diffondere la cultura della solidarietà. Un bilancio positivo ma questo non significa certo non impegnarci per interagire mag-giormente con i pazienti e i loro familiari, magari lavorando separatamente nelle came-re dove ci fosse un desiderio da parte del malato ed anche per creare un integrazione maggiore fra i volontari operanti e il perso-nale, attraverso momenti condivisi.
Doriana
in Hospice
Hospice di Casale - Maggio 2013 Pagina III
■ Gruppo di Sollievo: Pet therapy
La co-terapia di DeeDee e Gilda
L a pet-therapy è una co-terapia dolce, (come la musicoterapia, l'artetera-
pia...), che affianca le terapie tradizionali supportandole. Dal mese di marzo del 2011 è stato avviato un progetto di pet therapy presso l'hospice Zaccheo che vede protagonisti i cani dell'as-sociazione Un Cane per Sorridere Onlus. Questi interventi di carattere "sperimentale" hanno permesso, attraverso la compilazione di apposite schede e della relativa elaborazio-ne di dati statistici, di valutare l'effettivo gradimento degli ospiti della struttura nei riguardi della visita e dell'interazione propo-sta con gli animali domestici, nello speci-fico due cani. Gli interventi con i cani, guidati dai propri coadiutori, sottolineano, l'attenzione e l'inte-resse nel riguardo degli interventi assistiti con gli animali in supporto alle cure palliati-ve, da sempre espresso dal personale medico e sanitario della struttura, attraverso la volon-tà di arricchire l'ambiente dell'hospice con la permanenza di un acquario, nel soggiorno, e la presenza allietante e vivace di alcuni sim-patici canarini, che offrono il primo benvenu-to nel piccolo soggiorno dell'ingresso. I dati raccolti hanno permesso di osservare scientificamente che la visita dei cani e l'inte-razione con gli stessi è particolarmente gradi-ta non soltanto dagli ospiti della struttura ma anche dai loro familiari e caregivers. In seguito al gradimento rilevato da questo primo progetto sperimentale, gli incontri con i cani e gli operatori di pet-therapy dell'asso-ciazione Un Cane per Sorridere sono prose-guiti diventando un appuntamento settimana-le costante all'interno del l'hospice. Gli obiettivi degli interventi assistiti dal cane, sono il mantenimento e l'eventuale migliora-mento della qualità della vita dei pazienti, delle persone a loro care e anche di tutte le figure professionali e volontarie che operano in hospice. Gli interventi proposti, come modalità, rientrano nell'ambito delle "Attività Assistite dall'Ani-male", prevedendo interazioni di tipo spontaneo e non programma-to nei tempi e nelle attività che caratterizzano l'approccio con i cani. Gli ospiti della struttura sono liberi di scegliere se ricevere o meno la visita del cane; ai coa-diutori dei cani (operatori di pet-therapy) spetta sia il compito di guidare il proprio cane al fine di ottimizzare l'interazione, di me-diare nella comunicazione tra cane ed essere umano ed il delica-to compito di comprendere quan-do l'utente non è più in grado di
sostenere la visita, quale conversazione intro-durre, quali attività proporre con il cane, quando restare in silenzio ed osservare in disparte, quando giunge il momento di acco-miatarsi. La grande differenza nella qualità di un inter-vento assistito dal cane è dato dall'affiata-mento tra il cane ed il proprio coadiutore e dal carattere e dalla preparazione del cane stesso. La scelta del cane e la sua preparazio-ne sono molto accurate nell'ambito della pet-therapy perchè il ruolo del cane "sociale", se di primo acchito potrebbe sembrare semplice
ed alla portata di qualsiasi cane, in realtà è molto delicato ed al di là della preparazione tecnica spe-cifica è necessario che il cane sociale presenti ca-ratteristiche ben precise
quali: ottima sensibilità d'ascolto, eleva-ta affidabilità, un notevole equilibrio psico-logico e comportamentale, notevole capacità di adattabilità ad ambienti differenti, un gran-de desiderio di compiacere e di collaborare con gli esseri umani, soprattutto con persone estranee dal proprio nucleo familiare. La fiducia, una solida ed intensa relazione affet-tiva ed empatia con il proprio coadiutore sono anch'essi alla base di un risultato otti-male. Il ruolo del "cane sociale" è una "professione canina" per la quale non tutti i cani sono portati, alla base della quale occorre fonda-mentalmente la presenza del carattere giusto. DeeDee (labrador retriever) e Gilda (golden retriever) da due anni settimanalmente, ac-compagnate da Grazia e da Roberto, fanno visita alla struttura rendendosi disponibili ad offrire compagnia, coccole, buon umore, e a stimolare il sorriso a tutti coloro che si rive-lano disponibili ad accoglierle. I luoghi d'incontro sono il giardino, il sog-giorno, i corridoi e le camere stesse degli
ospiti della struttura. Anche se il loro o-biettivo principale è offrire la loro compa-gnia ed affetto ai pazienti, spesso si intrattengono con i loro parenti con una predilezione partico-lare per i più piccoli e Gilda, non dimenti-ca mai di correre a salutare tutti i presen-ti: medici, infermieri, Il caro Padre Massi-mo e tutte le straordi-narie volontarie di Vitas. Noi esseri umani siamo parte integran-te della natura e per il
BijouxBijouxBijouxBijoux
S o n o
trascor-
si ormai
due anni
dalla morte
della mamma e dal suo soggiorno in Hospice
ma, ancora, mi trovo spesso a ripensare a
quegli ultimi giorni terribili e, allo stesso
tempo, pacati perché ricchi di competenza e
di una partecipazione umana capaci di supe-
rare e neutralizzare angoscia dubbi.
So che non sto dicendo niente di nuovo che
non sia stato già detto dai tanti parenti che
hanno sentito lo stesso bisogno di rendere a
parole il grande conforto ricevuto da
quell’ambiente. Tutti accomunati dallo stesso
sentimento di gratitudine per medici, infer-
mieri e volontari che si sono presi cura dei
nostri cari.
Ma, forse, non tutti hanno conosciuto Bijoux.
Bijoux è arrivata una sera in Hospice, bella
e vivacissima ha subito attirato l’attenzione
su e giù nel corridoio finchè, a tutta velocità,
ha imboccato la camera della mamma che,
stupita, guardava questa “cosa” balzare sul
suo letto. A questo punto Bijoux si è bloccata
e ha fissato la mamma poi, accucciandosi
sulle lenzuola, ha leccato le sue mani inermi
ricevendo in cambio un sorriso divertito, il
primo “vero” sorriso dopo tanto tempo.
Bijoux non è un medico, non è un infermiere
e nemmeno un volontario, è una splendida
cagnolina che con la sua tenera simpatia è
riuscita, più di una cura, ad ottenere un
grande risultato.
Quell’ultimo sorriso strappato alla mamma
le ha fatto guadagnare un posto nel mio
cuore, insieme ai ricordi positivi di quei
giorni.
Patrizia
in Hospice
nostro benessere ed equilibrio abbiamo biso-gno di un costante rapporto con essa e con gli animali. La vista di un bel giardino, ricco di piante e fiori, alcuni minuscoli pesciolini colorati che nuotano all'interno del loro mondo, il canto allegro e la compagnia dei canarini, il contat-to fisico e sociale con un cane, per antono-masia definito da sempre "il miglior amico dell'uomo" rappresentano la vita, ci permet-tono di rallegrarci e ci offrono attimi di sere-nità e tal volta anche di buon umore. A breve avrà inizio un nuovo progetto di Attività Assistita dal cane che consoliderà la collaborazione tra le associazioni Vitas On-lus ed Un Cane per Sorridere Onlus denomi-nato "progetto San Rocco". Responsabile medico e scientifico del progetto è la dotto-ressa Degiovanni, e l'equipe operativa sarà composta dai cani e dagli operatori di pet-therapy e all'educatrice cinofila di Un Cane per Sorridere Onlus (Deedee, Gilda, Maria Grazia Daquarti, Roberto Crepaldi e Alice Visconti) e dalla psicologa, dott.ssa Barbara Oneglia.
Maria Grazia
Roberto e Gilda
Pagina IV Hospice di Casale - Maggio 2013
■ Gruppo di Sollievo: Gastronomia
La terapia del “buon cibo” motivo di ritrovo, un qualcosa che ci lega e ci accomuna”. Naturalmente oltre alle più numerose e sva-riate prelibatezze, è la voglia di aiutare e la gioia dello stare insieme. Maria, Giancarla, Marina, Giuseppina oltre alla passione per il cibo hanno qualcos’altro: un sorriso contagioso che non si spegne mai.
Beatrice - liceo classico
nipote Giancarla
“…La miglior medicina è nel piatto…”
Questo aforisma lo cita sempre la volontaria
Luigina, nonché amica, collega e mia
“maestra”. Io ho imparato a ripeterlo agli
ammalati quando hanno qualche reticenza al
vassoio del pranzo e della cena vedendo il
menù sempre dietetico!
Ed ecco che in Hospice è nata l’idea di pro-
porre ai nostri pazienti qualche variante al
solito pasto.
Per coloro che la malattia lascia la possibili-
tà di muoversi e di aver voglia di gustare
qualche manicaretto è nato il gruppo
“cucina” formato dalle volontarie Maria,
Giancarla, Marina e Giuseppina.
Nella cucina dell’Hospice vengono cucinati
piatti tipici suggeriti dai pazienti.
Apparecchiamo in soggiorno, ci riuniamo
anche con i loro parenti per pranzare insie-
me.
Ed è un momento di autentica serenità condi-
visa, che allontana per un po’ il pensiero
della malattia. Noi volontarie, con il perso-
nale, con la nostra disponibilità e attenzione
facciamo sentire loro il calore della “casa”.
Il recente evento “gastronomico” creato da
Maria è stata la spaghettata al ragù per il
sig. Francesco e il giorno dopo polenta e
merluzzo per tutti! E’ stato un successo!
Marina
A iutare i malati servendosi di ciò
che da sempre è appar-tenente alla cultura di ogni regione e di ogni
epoca: è questo lo sco-po e il motto delle volon-tarie Vitas del gruppo della gastronomia, for-matosi in Hospice quasi un anno fa. “Il paziente - spiegano le volontarie - attraverso i
sapori può ritrovare un’atmosfera quotidiana e di casa, ed è proprio questo che maggior-mente ci gratifica”. Ciò che contribuisce ulteriormente a fare sentire il malato a casa è il fatto che anche i parenti possono servirsi della cucina per preparare dei piatti un po’ alternativi a quelli che offre l’ospedale. Pizza, pastasciutte, torte, salatini e persino alimenti tipici della cucina piemontese non manca mai in Hospice grazie soprattutto alla figura di Maria, che non perde mai l’occasione di “sbizzarrirsi” con la sua creati-vità arrivando addirittura a preparare una polenta con il merluzzo. “Noi intendiamo il cibo - loro affermano - non solo come un qualcosa finalizzato esclu-sivamente all’alimentazione, ma anche un
Ricetta di Rachele
Trota salmonata
con patate Ingredienti: 1 trota salmonata grande (1 Kg. circa), olio extravergine, olive nere dolci snocciolate, prezzemolo, qualche foglia di salvia, pepe e sale, limone, 2 spicchi di a-glio, patate 1 kg. circa. Preparazione: Mettere la trota, con dentro una fettina di limone, nella teglia da forno. Affettare le patate e coprire la trota. Ag-giungere abbondante olio extravergine, le olive, foglie di salvia, prezzemolo, limone a piacere negli angoli del tegame, 2 spicchi d’aglio, salare e pepare a piacere. Mettere un foglio di carta di alluminio per coprire la teglia da togliere verso fine cottura per verificare che l’acqua sia asciugata. Infornare e cuocere a 180° per 40 minuti circa fino a che l’acqua è asciugata. Verifi-care la cottura delle patate. Il piatto è pronto!
Io, mio padre e una xenta
Maria
Marina
Giancarla
Giuse
Infermieri, oss, volontari, pazienti, parenti che voglio-no partecipare, lettori.
in Hospice
M io padre era una frana in cucina, non
sapeva prepararsi una banale pasta-
sciutta in bianco, un uovo al tegamino e,
ahimè, neanche un… caffè.
Era, però, uno straordinario… panettiere.
Possedeva l’arte di “far pane”. Di arte,
credetemi, trattasi. C’è da dire che era
“figlio d’arte”, avendo genitori panettieri.
Era capace di modellare l’impasto come uno
scultore; dalle sue mani uscivano rosette,
grissie, libretti, forme perfette. Ma papà si
era rivelato un ottimo studente e, timidamen-
te, lasciò il “natio borgo selvaggio” per
andare a Torino a studiare.
Papà, classe 1926, divenne un buon medico.
Si ammalò nel 1995, di uno di quei mali che
non lasciano scampo. Era consapevole e,
proprio per questo, chiese di trascorrere
quel che gli restava in casa, con noi.
La mia mamma era, già, purtroppo , partita
per il Paradiso, Luciano, mio marito, ed io
accogliemmo papà a casa, per accompa-
gnarlo. Era quasi carnevale, papà non stava
bene. Faticava a respirare e si stancava per
un nonnulla.
Un pomeriggio mi chiese di fargli la
“xenta”. La Xenta è una sorta di focaccia
alle noci tipica delle nostre colline. Ammetto
e confesso di non essere una buona pasticce-
ra, forse perché non mi piacciono i dolci,
tuttavia decisi di accontentare papà e comin-
ciai a setacciare la farina…
Impastai, almeno cercai di farlo al meglio,
dopo aver aggiunto i gherigli sbriciolati;
papà mi guardò tra lo sconsolato e
l’incredulo scuotendo il capo. Per me era
difficile. Mio padre era sempre stato nei miei
confronti austero, un po’ tanto lontano, bur-
bero, severo. Ma… miracolosamente, quel
pomeriggio si compì un prodigio. Mi disse
che voleva impastare. Io gli cedetti il posto.
Smise di ansimare, sembrò recuperare il
fiato che gli mancava e cominciò a parlare
come mai aveva fatto…
Cominciò a raccontare, mi raccontò di quan-
do aveva conosciuto la mia mamma:
“bellissima, una straordinaria bellezza bru-
na, intelligente e simpaticissima”, di quando
ero nata io: “in un pomeriggio piovoso,
durante un temporale sconvolgente”, parla-
va, parlava, parlava… Tra le sue mani ormai
ossute e azzannate dalla malattia la pasta,
per magia, si modellava, i suoi occhi celesti,
da tempo spenti e privi di vivacità, si erano
accesi, FACEVA, probabilmente tornava a
un passato che gli piaceva, e, parlando MI
parlava. CI parlavamo.
Stava capitando davvero qualcosa di grande,
di speciale: attraverso quella xenta da pre-
parare papà ed io ci stavamo… conoscen-
do… davvero. E lui FACEVA. Mi raccontò di
quanto si fosse sentito… geloso quando,
abbastanza giovane, mi sposai, di quanto si
fosse commosso quando diventò nonno. Non
era più nè austero, né distaccato. Era IL
MIO PAPA’. Durante quel pomeriggio….
conobbi… mio padre. Sfornammo la xenta:
era perfetta, un capolavoro ben modellata,
raffinata, delicata… Papà ne rimase fiero.
Tre giorni dopo morì, serenamente.
Era rimasto in dispensa un pezzo di xenta.
Glielo misi accanto per l’ultimo viaggio.
Papà se ne era andato dopo avermi mostrato
il suo vero carattere… mi aveva detto tutto,
mi aveva lasciato il suo cuore di uomo buo-
no, forse un po’ scontroso e burbero. Com-
plice una xenta da fare papà ha fatto arriva-
re al mio cuore il messaggio di chi era vera-
mente: un uomo straordinario.
Ciao, papà!!! Ti voglio bene!!! Silvia
Il the di ogni secondo giovedì del mese è prepara-to dal nostro gruppo di Gastronomia e da alcune signore che “si sentono parte” dell’Hospice