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Le idee

10Può sorprendere , in una societàche sembra perdere ogni rapportocon i propri valori, l'espandersi inar-restabile dell'ideologia della valuta-zione. Ormai siamo tutti valutati.Non ascoltati, considerati, sostenutinelle nostre fragilità pubbliche eprivate. Ma valutati sì. In terminieconomici di utilità, di performan-ce, in cui occorre misurare il "capi-tale umano" che ciascuno, potenzia-le imprenditore di se stesso, puòvantare. Del resto la trasmigrazionedel concetto di valore dall'ambitoetico a quello economico non potevaportare ad altro. "Quanto vali?" si-gnifica adesso "quanto sei in gradodi produrre?"i Tutto ciò non solo aprescindere da considerazioni so-ciali, contestuali, personali. Ma an-che in base a dati puramente quan-titativi, misurabili e appunto valuta-bili in maniera numerica.

Nonho valorima tivaluto

Se in campo economico tale inda-gine di mercato è comprensibile,trasferita ad altri settori rischia dideterminare effetti controproducen-ti e vere e proprie storture. Per esem-pio valutare in questi termini la si-tuazione di un malato in una strut-tura sanitaria pubblica può portarea conseguenze catastrofiche. Mal'impatto - per usare un vocaboloamato dai valutatori - su altri ambi-ti può risultare del pari devastante.E quanto accade da tempo nelleUniversità, ormai in balia, per i lorofinanziamenti, di agenzie di valuta-zione destinate a misurare il "valo-re" dei singoli docenti e dei Diparti-menti in cui essi operano. Numerodegli studenti, numero delle pubbli-cazioni dei docenti, numero dellecitazioni dei loro lavori, numero dei

neutralità oggettiva. Basta contare.I numeri non tradiscono. La giustiziaaccademica è infine instaurata. Re-stano, però, aperte alcune domande.Chi valuta i valutatori? Essi - si ri-sponde - sono valutati con le mede-sime mediane adoperate per i candi-dati da valutare. Ogni valutatore, asua volta, si avvale di numerosi sot-tovalutatori che egli stesso individuain base alle proprie valutazioni delleloro capacità valutative. Sembra unoscioglilingua. Ma le cose stanno dav-vero così. Un sistema volto all'ogget-tività del giudizio si basa su una seriedi scelte soggettive discendenti di cuisfugge solo il primo anello, che ri-guarda il vertice dell'Agenzia, dinomina governativa. Del resto sututto sorveglia il Miur, il Ministerodell'istruzione, dell'università e del-

Costantemente misurati , soprattutto

singoli e da collettivi, finanziati inbase a tale indice. Da quel momento

brevetti, degli stage attivati, deglisbocchi professionali. Nulla sfuggealla griglia approntata dalle agenziedi valutazione allestite ovunque -prima l'Aeres in Francia poi l'Anvurin Italia. Ciò che esse si riprometto-no è misurare in maniera oggettiva,perché numericamente definita, ilvalore quantitativo prodotto da

i dossier, le schede, i formulari pro-dotti dalle strutture accademiche edai docenti superano di gran lungaquello dei prodotti stessi della ricer-ca. Ciò che conta è che questi entri-no nelle griglie prefissate, dandoluogo a una cifra superiore, pari oinferiore a una serie di "mediane"preventivamente fissate. Chi le su-pera passa - nei ruoli accademicisuperiori, nelle abilitazioni scienti-fiche nazionali, nei Collegi dei Do-centi dei Dottorati. Chi non ha glistessi numeri - di articoli, citazioni,brevetti - resta fuori.

bitrio dei vecchi baroni, gli accordisottobanco, i privilegi che effettiva-

ragione, ha finalmente abolito l'ar-Ciò, si dice, non senza qualche

la ricerca, a sua volta garantitodall'alta responsabilità del Ministroin carica, scelto dai partiti di governoin base a criteri del tutto esterni aquelli applicati a valutandi e valuta-tori e anzi, possibilmente, mai sotto-posto ad esami di pubblico rilievo.

Non basta. La cornice dell'interoquadro si è evoluta nel tempo. Men-tre fino a poco fa si poteva pensareche, per chi fa ricerca scientifica, al-meno nell'ambito delle scienze uma-ne, i "prodotti" più rilevanti fosseroi libri - in gergo accademico, "lemonografie" - a un certo momentosi è stabilito che non è più così. Ciòche conta sono solo gli articoli - an-che di due-tre pagine - pubblicati inriviste collocate preventivamente, inbase a una apposita valutazione,nella cosiddetta fascia A. Soltantochi le dirige o chi è suo buon cono-scente, può pubblicare in esse artico-li che, s'intende, verranno neutral-mente valutati dai valutatori che glistessi direttori hanno scelto. Ma nonbasta. Queste riviste, ai fini dellavalutazione, non sono uguali. Valgo-no solo quelle del settore disciplina-re del valutando, cosicché, se questiha interessi di tipo interdisciplinare- che so, di architettura se insegnastoria dell'arte o di filosofia politica

mente caratterizzavano il sistema

ROBERTO' ' universitario precedente. Oggi tutto

ciò è finito, dissolto dalla nuova

se insegna filosofia morale - va seve-ramente punito con l'esclusionedall'ambito dei salvati e precipitatoin quello dei sommersi.

L'esito, borgesiano, di questo sistma è che la Commedia di Dante nonotterrebbe la valutazione positivaperché non attinente a un settoredisciplinare specifico, visti i suoi ri-ferimenti, appunto "interdisciplina-ri", filosofici, cosmologici, politici,etc. Ancora, Francesco De Sanctissarebbe bocciato in un'abilitazionein Storia della Letteratura Italiana,perché, insieme alla sua grande "Sto-ria" non ha scritto sufficienti artico-li; Einstein non passerebbe perché,rompendo paradigmi e convenzioniscientifiche del tempo, non avrebbepotuto organizzare lo scambio dicitazioni necessarie con i colleghi. Ecosì via. Tutto ciò, naturalmente,questi effetti perversi, non sono igno-rati da chi ha messo in piedi, magarianche in buona fede, il sistema. Masono considerati danni collateralirispetto ai suoi aspetti positivi. Chein effetti ci sono, soprattutto per ipeggiori: coloro che non pubblicanoabbastanza vengono adesso giusta-mente esclusi. A pagare il prezzosono tuttavia i migliori, cioè coloroil cui prestigio internazionale spingea scrivere i propri libri, spesso tra-dotti in diverse lingue, senza preoc-cuparsi delle griglie, delle fasce, dellecitazioni e così via. Ve li immaginate,per restare nel campo della filosofia,Habermas e Derrida che cercano leriviste di fascia A per scrivere dodiciarticoletti? E coloro che fanno ricer-ca scientifica perché dovrebbero ten-tare di innovare il proprio campo,rischiando di non essere citati daicolleghi più tradizionali? Questospiega perché sta nascendo un silen-zioso movimento di protesta, sfidu-cia, stanchezza che porta diversi pro-fessori, soprattutto in area umanisti-ca, a lasciare l'Università. Per dedi-carsi finalmente alla ricerca. Non pernon essere valutati, ma per non finirepreda di un dispositivo inefficiente econtraddittorio. n


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