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PAPER: Financial Risk Management
Autore: Luigi ferrara
Anno: Febbraio 2007
Introduzione
Ciò che sta contribuendo in questi ultimi anni a diffondere una cultura di Risk
management, è il continuo cambiamento, una “costante” a cui le aziende devono
rispondere con prontezza per rimanere competitive sul mercato. Oggi ancor più di ieri, il
Cda deve essere informato sui rischi e le obbligazioni che gravano in ambito
organizzativo, ed assicurare che esistano adeguate strategie per mitigare l’esposizione a
tali rischi.
Anzi, il Cda deve verificare che l’Alta Direzione e il Management definiscano e
mantengano nel tempo adeguati meccanismi di controllo interno coerenti con la
propensione al rischio prescelta. Il risk management non è una moda, ma un vero
“bisogno” per creare valore attraverso un processo integrato che consenta un adeguato
bilanciamento tra incertezza, azzardo (perdite potenziali) ed opportunità (possibilità di
profitto).
Il processo di Risk management rappresenta oggi una priorità strategica per acquisire
un vantaggio competitivo e creare realmente valore per l’azionista
Definizione di rischio.
Una prima nozione, quella più accademica, definisce il rischio come l’incertezza che
eventi inaspettati possano manifestarsi, producendo effetti negativi o anche positivi per
l’organizzazione. In questo contesto, il processo di risk management focalizza il
controllo sulla distribuzione di tutti i possibili eventi, al fine di ridurre il gap tra
incertezza e risultati. Una seconda definizione di rischio, quella più tradizionale, si basa
sulla correlazione tra probabilità di accadimento di un evento dannoso e rilevanza di
impatto. In questo caso, il rischio è percepito come azzardo, come probabilità che un
evento indesiderato possa manifestarsi impattando negativamente l’organizzazione, ad
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esempio, in termini di perdite economico-finanziarie, di immagine o di continuità
operativa. Il rischio come azzardo, che dovrebbe suscitare interesse al Financial
Controller, presuppone un processo di risk management caratterizzato da tecniche,
procedure di controllo, azioni o comportamenti posti in essere dall’organizzazione , le
quali, in un’ottica di costo/beneficio, consentano di ridurre probabilità di manifestazione
e/o la significatività d’impatto dell’evento dannoso. Ma il rischio non ha solo una
connotazione negativa, non deve essere cioè percepito esclusivamente come opportunità
di perdite per l’organizzazione. Esso rappresenta anche una opportunità per
massimizzare il profitto. Questa percezione del rischio, che trova il suo fondamento
nella correlazione tra rischio e ritorno, presuppone un processo di risk management
volto a garantire un adeguato bilanciamento tra riduzione di perdite potenziali e
ottimizzazione del profitto in presenza di un dato rischio. In altre parole, è necessario
sfruttare ogni opportunità di ottimizzazione dei profitti, evitando di oltrepassare la
soglia prescelta di tolleranza al rischio.
Tipologia di rischi
I rischi possono essere esogeni, legati cioè al contesto esterno, ed endogeni, cioè legati
ai processi di business.
In generale, un’organizzazione è esposta a tre tipi di rischio: strategico, operativo e
finanziario. I rischi strategici sono prevalentemente legati a fattori esogeni
all’organizzazione, e dipendono, ad esempio, dal contesto politico, economico, socio-
culturale , legale e regolamentare in cui l’azienda deve operare. Questa tipologia di
rischi è difficilmente controllabile da parte del management, salvo la decisione
strategica di diversificazione del business o di trasferimento delle attività in altri paesi.
Il management deve essere sempre a conoscenza dei possibili impatti che tali rischi
hanno nelle diverse aree ed attività, e comunque deve essere in grado di implementare
un adeguato processo di ‘compliance’ per assicurare l’attinenza a leggi e
regolamentazioni. Fanno parte dei rischi esogeni anche quelli di natura catastrofale , che
possono compromettere la continuità operativa dell’azienda (business interruption). I
rischi operativi sono invece quelli legati prevalentemente ai processi di business, e
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quindi dipendenti prevalentemente da fattori endogeni all’organizzazione. Sono quei
rischi che il management si assume per creare un vantaggio competitivo e quindi valore
per gli azionisti. Così come i rischi di natura strategica, anche i rischi finanziari sono
legati, in parte, al contesto esterno in cui l’azienda opera. Si tratta di quei rischi
prevalentemente legati alla volatilità dei mercati, che possono generare delle perdite
che si ripercuotono sulla struttura economica dell'impresa. L'obiettivo di questa parte
del testo è quella di focalizzare le azioni e gli strumenti più idonei per una adeguata
gestione dei rischi di natura finanziaria, con particolare riferimento a quelli che
scaturiscono dalla fluttuazione dei cambi e dei tassi di interesse. In tal caso, non si può
prescindere da una illustrazione di quelli che sono i code
La risposta alla gestione dei rischi finanziari: Il Financial Risk Management
Si è assistito negli ultimi anni ad una proliferazione di strumenti finanziari innovativi, i
cosiddetti strumenti derivati, che il management può utilizzare al fine di gestire il
rischio sistematico di un portafoglio di attività finanziarie In questo caso, il management
può operare efficientemente attraverso una diversità di operazioni ai fini di hedging .
Quindi, le tecniche di governo dei rischi finanziari si basano prevalentemente
sull'utilizzo efficace e tempestivo di tali strumenti che consentono di strutturare lo stato
patrimoniale secondo le aspettative e la propensione al rischio. Ora, un adeguata
gestione del rischio finanziario non può non scaturire da un processo di risk
management integrato, che coinvolge tutte le funzioni aziendali, processo in cui la
tesoreria svolge un ruolo determinante. Il l processo operativo e decisionale riguardante
le operazioni di tesoreria all’interno di un’organizzazione influenza un numero elevato
di iniziative del top management. Un’adeguata gestione dei rischi di natura finanziaria
consente un’ottimizzazione del cash flow , crea shareholder value e quindi aumenta il
livello di liquidità disponibile per favorire la crescita aziendale. .
Le variazioni che possono verificarsi in un debito, in un credito o in un qualsiasi
contratto finanziario provoca uno scostamento tra il profitto realizzato (ex-post) e il
profitto di cassa atteso che si era stimato ex-ante.
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L’entità e l’importanza dei rischi varia in base alla categoria dell’operatore:
l’impresa industriale cerca di stabilizzare i saggi di cambio e quello d’interesse per
concentrarsi sui rischi dell’attività propria (strategia di immunizzazione dell’impatto dei
rischi finanziari).
Diversamente, i gestori di portafoglio e i broker finanziari vedono nell’instabilità
dei prezzi dei mercati finanziari il motore del core business della loro attività aziendale.
Infatti l’intermediario finanziario trova ragione d’esistere nel prendere posizione nel
confronto del rischio finanziario.
Il rischio finanziario è una macrocategoria, all’interno della quale sono inclusi i
2 principali rischi annoverati nella riforma della normativa europea “Basilea 2”: il
rischio di credito e il rischio di mercato.
Il rischio di mercato è il rischio legato alle fluttuazioni del valore di mercato di
una determinata posta di bilancio (o fuori bilancio) rappresentata da titoli mobiliari, sia
d’investimento che di posizione.
Il rischio di mercato si manifesta quando viene smobilizzata l’attività finanziaria
o, se si tratta di obbligazioni, quando l’estinzione è anticipata rispetto alla scadenza
contrattuale. Difatti se un titolo obbligazionario viene portato a scadenza dà diritto alla
riscossione del valore nominale che è prestabilito.
La variazione del prezzo corrente rispetto a quello storico d’acquisizione può
essere originata da due ordini di fattori:
1. Dalla situazione generale di mercato: beni omogenei per caratteristiche tendono a
muoversi insieme, in questo caso si parla di rischio generico o sistematico; questo
rischio è intrinseco nella natura stessa di una qualsiasi attività mobiliare, non può
essere eliminato e lo si può definire come il livello minimo di rischio che un bene
quotato su un qualsivoglia mercato deve considerare.
2. Da fattori specifici, riguardanti sia la normativa applicata allo strumento finanziario
(ad esempio: cambiamento nel trattamento fiscale del titolo), sia il soggetto che ha
sottoscritto un impegno (ad esempio peggiora la situazione finanziaria dell’emittente
o la controparte contrattuale). Questo contenuto d’alea è detto rischio specifico,
proprio perché intimamente connesso allo strumento in esame e indipendente dalla
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situazione generale di mercato. Questa parte di rischio, in modo particolare per i
titoli azionari, vedremo che può essere eliminata attraverso la gestione di portafoglio
(asset allocation).
Oltre alla gestione di portafoglio dei titoli mobiliari, ci concentreremo sullo
studio del rischio di tassi d’interesse e della sua gestione facendo richiami ad un’altra
tipologia di rischio che in qualche misura è legata ai tassi: il rischio di cambio.
Negli ultimi anni, osservando i danni che può provocare, è diventato il rischio
oggetto di maggiori studi: è il rischio di credito.
Questo rischio è connesso all’eventualità che il debitore non onori il proprio
impegno a scadenza. Vedremo che anche questa definizione è eccessivamente
semplificativa ed incompleta; è misurabile dalle diverse patologie d’inadempienza con
cui può manifestarsi la mancanza.
Tutti i contratti che comportano trasferimenti di denaro nel futuro ne sono
soggetti in misura diversa.
L’evoluzione degli strumenti finanziari complessi (si pensi agli strumenti
strutturati che andremo in seguito a discutere) ha reso meno facile percepire il reale
contenuto di rischio creditizio.
A causa di questa evoluzione le stime di questo rischio si sono affinate (con
risultati contrastanti) fino a richiedere l’intervento coattivo degli enti di controllo (in
modo particolare per le istituzioni finanziarie).
La modellistica per la valutazione del rischio di credito sta vivendo un momento
importante dopo lo stato d’insolvenza in cui sono precipitate grandi corporate
americane, tra le quali ricordiamo il gigante delle telecomunicazioni WorldCom e quello
che prima del fallimento era il maggior distributore di energia ed acqua del mondo:
Enron.
Come spesso si verifica sui mercati finanziari, attraverso l’effetto
globalizzazione, le vicissitudini che si verificano oltre oceano si manifestano in Europa
con un po’ di ritardo; gli esempi più importanti in Italia sono quelli della Parmalat e
della Cirio.
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Questi esempi hanno reso di fondamentale importanza la valutazione del rischio
di credito della controparte oggetto di contrattazione ed obbligatoria per gli operatori
finanziari che devono adempiere alla direttiva Basilea 2.
Per rendere più organica la trattazione si procederà nel modo seguente:
Anzitutto si entrerà nel merito dell’asset allocation e delle teoria di portafoglio
su cui si basa e in questo modo comprenderemo le pratiche che la teoria
finanziaria ha prodotto per limitare il rischio di mercato, in modo particolare per
i titoli azionari.
Successivamente, la trattazione si concentrerà sul rischio tasso d’interesse e in
questo caso la teoria ci permetterà di ipotizzare l’evoluzione futura dei tassi e le
metodologie di copertura senza l’ausilio degli strumenti derivati.
Di seguito si darà ampio spazio alla discussione degli strumenti derivati
riportando ad esempio casi di utilizzo per l’attività di financial risk management.
Infine, ci si concentrerà sulla trattazione del rischio di credito (credit risk
management) che avrà il suo culmine nella discussione della modellistica per la
sua valutazione cercando di specificare i modelli più rappresentativi e quali
strumenti finanziari (strumenti strutturati) permettono una gestione più evoluta.
Buona lettura a tutti.
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Asset allocation
Selezione del portafoglio di Markowitz
Notoriamente, sul mercato vengono quotati diversi titoli con rendimento e
rischiosità differente; su quale base scegliere e misurare (sia in termini di rendimento
che in termini di rischio) tra i diversi titoli presenti?
Il problema principale è rappresentato dal non conoscere oggi (ex-ante) quale
sarà il valore del titolo all’atto della vendita (ex-post).
Una risposta viene data dalla “Selezione del portafoglio” che un operatore di
financial risk management di un’azienda che ha posizioni aperte in titoli finanziari
(azionari in particolare) deve conoscere.
La “Selezione del portafoglio” è uno dei più classici modelli finanziari: ha
acquistato una vasta notorietà ed è ampiamente utilizzato sia in studi teorici sia nella
pratica.
Il suo ideatore fu H. Markowitz che in un articolo dal titolo: “Portfolio
Selection” sul Journal of Finance nel 1952 enunciò l’idea su cui si basa questa teoria
finanziaria che successivamente esplicitò in un libro intitolato: “Portfolio Selection:
Efficient Diversification of Investments” edito da Wiley a New York nel 1959.
La “Selezione del portafoglio” pone come obiettivo quello di stabilire un criterio
razionale che permetta all’operatore finanziario di ripartire un capitale tra più
investimenti con reddito aleatorio.
Una delle semplificazioni che verranno fatte per rendere più semplice la
trattazione è quella di supporre unitario il capitale da impiegare: valuteremo così le
quote da investire nei vari titoli in termini percentuali.
Supponiamo di avere un paniere di n titoli di mercato in cui investire il nostro
capitale.
Solitamente si considera l’esistenza di un titolo a rendimento certo rappresentato
dall’acquisto di un’obbligazione a scadenza fissa che in realtà può essere rappresentato
da uno zero coupon bond emesso dagli Stati Uniti d’America o da un deposito bancario.
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Indicheremo con mw , con m che può assumere valori da 1 a n, la quota da
investire nel m-esimo titolo: saranno infatti le quote a rappresentare le variabili del
problema.
Quest’ultime dovranno rispettare il vincolo essenziale dato da: 11
=∑=
n
mmw ,
ovvero verrà considerata l’allocazione del 100% del capitale disponibile senza residuo
nè indebitamento, sebbene sia ipotizzabile possedere quote negative sul quantitativo.
Ammettere quote negative per i titoli consente al decisore non solo di comprare
titoli, ma anche di emetterne, venderne o procedere a disinvestimenti di un preesistente
portafoglio al coperto (titoli realmente posseduti dall’operatore) o allo scoperto (titoli
che materialmente l’investitore non possiede).
Indicheremo con Rm la variabile aleatoria (v.a.) rendimento del titolo m, mentre
indichiamo con R il rendimento del portafoglio costituito dalle quote dei vari
titoli: ∑=
=+++=n
mmmnn RwRwRwRwR
12211 ... .
Questa teoria si basa su due indicatori:
� Il primo è un indicatore di rendimento, E(R)1, ed è favorevole all’operatore (più
è alto e meglio è). La formula matematica è la seguente: ∑=
=n
mmm REwRE
1
)()( .
� Il secondo è un misuratore di rischio VAR(R)2 ed è sfavorevole all’operatore (più
è alto e peggio è). La formula matematica è la seguente:
2)]([)( RERERVAR −= .
Si deve osservare che la varianza è intesa come “misura del rischio” del
portafoglio, primo indicatore di rischio che trattiamo in questa parte del libro.
Molti studiosi pongono delle riserve nell’assumere la varianza come “misura del
rischio” di un titolo o di un portafoglio di titoli dato che questo indicatore considera una
1 E(R) si legge valore atteso di R ed indica la stima che viene fatto del rendimento ex-ante. 2 VAR(R) si legge varianza di R ed indica lo scostamento rispetto al valore atteso che ha il rendimento; per evitare compensazione nella formula matematica troviamo l’elevamento al quadrato. Anche questa stima è ex-ante e per questo si parlerà di valore atteso della varianza.
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concezione di rischio simmetrico e per questo è inteso come rischio anche un evento
favorevole per l’operatore: l’aumento del rendimento ex-post rispetto alle stime ex-ante.
Nonostante ciò, si tratta in ogni caso dell’indicatore di rischio più utilizzato da
chi opera in titoli.
Al variare delle quote wn varia sia E(R) che VAR(R), si noti che E(R) è funzione
lineare delle wm mentre il VAR(R) è funzione quadratica. L’importanza di questa
distinzione verrà apprezzata quando utilizzeremo questi due indicatori
contemporaneamente nella selezione dei titoli.
Il modello di Markowitz è statico, forse troppo, dato che non prende in
considerazioni il tempo come variabile rilevante: perciò, per affrontare questa
semplificazione, i rendimenti dei portafogli vengono fissati all’inizio e non vengono
modificati successivamente.
L’obiettivo di un investitore razionale è costruire un portafoglio con rendimento
avente valor atteso “elevato” e rischio (cioè varianza) “basso”.
Possiamo allora affermare che dati due portafogli di cui uno ha simultaneamente
valor atteso del rendimento più basso e varianza più alta dell’altro, il primo è da
scartare; si può affermare che il primo portafoglio è dominato dal secondo. In simboli
se:
)()( 21 RERE ≤ )()( 21 RVARRVAR ≥
con almeno una disuguaglianza forte, R1 è dominato da R2.
Il primo passo nella “Selezione del portafoglio” è individuare tutti quei
portafogli che non sono dominati da alcun altro: i portafogli efficienti.
In breve, tra i tanti portafogli che si possono costruire, quelli efficienti sono gli
unici che devono essere considerati, successivamente la scelta andrà ristretta soltanto ad
essi.
Risulta importante comprendere che la “Selezione del portafoglio” non vuol
dunque indicare il portafoglio da scegliere ma riduce l’insieme dei portafogli che si
possono costruire a quelli economicamente sensati che in economia vengo definiti
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efficienti. La scelta di uno tra i portafogli efficienti è invece questione da lasciare al
decisore sulla base delle preferenze personali.
La prima fase nella “Selezione del portafoglio” permette di far piazza pulita
delle decisioni che sono sicuramente sbagliate e di consentire al decisore di fare una
scelta razionale.
Il meccanismo sopra descritto che consiste nel ritenere preferibile, tra due
situazioni aleatorie, quella in cui contemporaneamente il valore atteso del rendimento
del portafoglio è maggiore e la varianza è minore, è noto come Principio Media-
Varianza.
Esso conduce ad un ordine parziale, non consente di esprimere un giudizio su
tutte le possibili situazioni per le quali a rendimento maggiore non corrisponde rischio
minore e di conseguenza a rischio minore non corrisponde rendimento maggiore; detto
in termine economici sono portafogli per i quali non si può applicare il principio Media-
Varianza.
Prima di affrontare il problema generale, proviamo a risolvere alcuni casi
semplici che consentiranno, senza eccessive dispersioni, di cogliere il meccanismo
logico della “Selezione del portafoglio”.
Prendiamo prima in esame il caso di due soli investimenti o titoli, uno con
rendimento certo e rischio nullo mentre l’altro con rendimento medio più alto ma con
rischio correlato al rendimento.
Successivamente considereremo il caso di due investimenti con rendimenti
aleatori perfettamente correlati linearmente e, infine, il caso di due investimenti aleatori
generici.
Mercato con due investimenti: uno certo e uno aleatorio
Consideriamo due impieghi, di cui uno avente rendimento certo e rischio nullo
mentre l’altro rendimento in media più alto anche se rischioso.
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L’impiego certo è caratterizzato da un rendimento R0, mentre il rendimento di
quello aleatorio è caratterizzato dai valori Rv e 2vσ , ossia valor atteso e varianza del
rendimento.
Come anticipato in precedenza, si dovrà verificare la seguente relazione:
Rv>R0 (ovvero in media c’è convenienza nell’investire nel titolo aleatorio
rispetto ad investire nel titolo certo).
Questo modello può essere adattato a varie fattispecie presenti sul mercato,
infatti possiamo pensare che Rv e R0 siano due tassi d’interesse anziché due rendimenti
di titoli azionari, quindi il problema è come ripartire un capitale tra questi due impieghi:
uno di tasso certo e l’altro di tasso aleatorio.
Consideriamo un generico portafoglio (P) ottenuto investendo w nell’impiego
aleatorio e di conseguenza 1-w in quello certo, escludendo perciò la possibilità di
ricorrere a finanziamenti.
Perciò P ha rendimento di valore atteso e varianza, che indicheremo con R e σ2,
rispettivamente dati da:
vwRRwPER +−== 0)1()( 222 )( vwPVAR σσ ==
con [ ]1;0∈x .
Per risolvere questo sistema in due equazioni possiamo facilmente esprimere il
VAR(P) in valori di primo grado attraverso la radice quadrata di tutti i componenti
dell’equazione; si ottiene di conseguenza: vwσσ = . Eliminando la w nelle due
equazioni, s’ottiene semplicemente:
σσ v
v RRRR 0
0
−+= .
Nel piano (σ;R), i due impieghi sono rappresentati rispettivamente dai punti
(0;R0) e (σv;Rv).
L’equazione fornisce le coppie (σ;R) di ogni portafoglio costruibile componendo
i due impieghi come rappresentato nel grafico:
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L’insieme dei punti che rappresentano i portafogli forma un segmento come
quello blu rappresentato nella figura in alto, sono tutti portafogli efficienti.
Quanto maggiore è w, cioè la quantità destinata all’impiego rischioso, tanto più
ci si sposta lungo il segmento verso il suo estremo più alto.
Ovviamente si verificherà che:
• quando w=0, si sta considerando un portafogli composto esclusivamente
dall’investimento certo, sul grafico questa situazione è rappresentata dal punto
(0;R0);
• se w=1 si sta considerando esclusivamente l’investimento aleatorio, cioè il punto
(σv;Rv);
• se i valori di w sono compresi tra 0 e 1, allora avremo i vari punti interni al
segmento.
La pendenza del segmento è v
v RR
σ0−
e si può interpretare come quel prezzo che
quantifica esattamente le unità di rendimento che questo mercato offre a chi è disposto
ad accollarsi un’unità di rischio marginale in più.
R0
0
Rv
σv
σ
R
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Rifacendoci ai fondamentali di microeconomia, l’operatore scegliere il
portafoglio che combini i due titoli permettendo di massimizzare la sua funzione di
utilità.
Facciamo un piccolo richiamo al significato di funzione di utilità: per funzione
di utilità si intende una funzione matematica che mette in relazione rendimento e rischio
e permetta di rappresentare graficamente tutti i punti (in questo caso i portafogli) che
per l’operatore hanno lo stesso valore.
La dottrina economica ha sfornato tantissime funzioni di utilità ma tutte
classificano gli operatori in tre macrocategorie:
� Operatori avversi al rischio: la loro funzione di utilità è convessa rivolta verso
l’alto; questa è quella più utilizzata e verosimile visto che superato un certo
ammontare di rischio un operatore vuole un rendimento marginale più che
proporzionale per accollarsi un’unità marginale di rischio in più.
� Operatori proporzionali al rischio: per loro il rischio e il rendimento sono
perfettamente proporzionali e graficamente sono rappresentabili da una retta.
� Operatori propensi al rischio: sono operatori che sono disposti ad accollarsi un
rischio più che proporzionale rispetto al rendimento; graficamente la loro
funzione di utilità è rappresentata da una curva concava rivolta verso il basso.
Data una generica funzione di utilità di un operatore avverso al rischio,
raggiunge il portafoglio ottimo quando massimizza la sua soddisfazione.
Graficamente questo concetto risulta molto più comprensibile: questo
portafoglio è rappresentato dal punto di tangenza tra la sua funzione di utilità con livello
più alto e la retta che rappresenta tutti i portafogli efficienti:
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Data la sua funzione di utilità rappresentabile in forma convessa, il mercato
garantisce un portafoglio che gli darà una soddisfazione maggiore di 1 mentre non
permette di ricavare un portafoglio con combinazione rendimento/rischio che gli da una
soddisfazione pari a 3.
Il suo portafoglio ottimo darà quindi un livello di soddisfazione pari a 2 con un
rendimento pari a Rx e rischiosità pari a σx.
Come fare per calcolare le quote da investire nel titolo certo e in quello aleatorio
per ricavare il portafoglio ottimo di questo operatore?
Per ricavarli basterà massimizzare la funzione di utilità sotto i vincoli posti dalle
equazioni che formano tutti i portafogli di questo mercato, graficamente è il puntino
giallo.
E’ importante aver compreso il meccanismo di scelta del portafoglio ottimo di
questo mercato poiché risulterà successivamente estremamente semplice comprendere il
modello più utilizzato dagli operatori di mercato: il Capital Asset Pricing Model
(CAPM).
Mercato con due titoli aleatori
R0
0
Rv
σv
σ
R
Portafoglio ottimo per
questo operatore
Rx
σx
Soddisfazione 1
Soddisfazione 2
Soddisfazione 3
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Consideriamo ora un mercato in cui si possono costruire portafogli di due soli
titoli aleatori (rischiosi), che indicheremo con a e b, con le seguenti caratteristiche:
)()( bbaa RERRER =⟨= )()( 22bbab RVARRVAR =⟨= σσ
Rifacendoci questa volta a concetti di statistica, due titoli aleatori che sono
quotati sullo stesso mercato non sono indipendenti ma hanno un legame che in
matematica viene definita covarianza.
Il motivo di questa complicazione è spiegabile con la formulazione quadrata che
assume il rischio.
Indichiamo la covarianza tra i rendimenti dei due titoli con COV(Ra;Rb) =
ρabσaσb, dove ρab è il coefficiente di correlazione lineare tra Ra e Rb; questo può
assumere valori che stanno in un intervallo tra 11 ≤≤− abρ .
Il valore atteso di un generico portafoglio P con quote w nel primo titolo e 1-w
nel secondo sono:
baba wRRwwRRwERER +−=+−== )1(])1[()(
mentre la varianza risulterà:
baabbaba wwwwwRRwVARRVAR σσρσσσ )1(2)1(])1[()( 22222 −++−=+−==.
Se assumiamo che i rendimenti dei due titoli siano perfettamente correlati
positivamente, questo implica che la covarianza tra Ra e Rb sia uguale al prodotto dei
loro scarti quadratici medi (ρab=1).
Pertanto, il rendimento aleatorio del generico portafoglio P che si ottiene
combinando i due titoli secondo le quote w e 1-w, con 10 ≤≤ w , sarà pari a:
ba wRRwR +−= )1(
mentre la varianza risulterà:
222222 ])1[()1(2)1( bababa wwwwww σσσσσσσ +−=−++−= .
Come fatto in precedenza, data la possibilità della formulazione del rischio,
possiamo esemplificare la seconda equazione facendo la radice quadrata di tutti i suoi
componenti e ottenendo di conseguenza:
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ba ww σσσ +−= )1( .
Eliminando la w nelle precedenti equazioni si trova l’equazione della frontiera
efficiente, vale a dire l’equazione che esprime tutte le combinazioni di rendimento-
rischio dei portafogli efficienti:
ab
aaba RRRR
σσσσ
−−
−+= )( .
La linea dei portafogli efficienti è un segmento, come si vede nella seguente
rappresentazione:
In caso di perfetta correlazione negativa, cioè ρab=-1, la covarianza tra Ra e Rb è
COV(Ra;Rb)=-σaσb. Per il generico portafoglio P si ottiene:
ba wRRwR +−= )1( 22 ])1[( ba ww σσσ −−=
In questo caso si verifica una situazione che ha spirato gran parte della teoria
finanziaria moderna: la varianza del portafoglio, che ricordiamo rappresenta il rischio
del portafoglio, si annulla per )( ba
awσσ
σ+
= , ciò significa che esiste una combinazione
di questi due titoli che è del tutto certo il rendimento futuro.
Ra
0
Rb
σb
σ
R
σa
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Ciò si verifica solo quando vi è perfetta correlazione negativa situazione che, in
sostanza, consente di assicurare perfettamente attraverso uno dei due titoli i rischi
dell’altro.
Come in finanza si può spiegare questa situazione?
Dato un rendimento medio, quando il rendimento di un titolo scende per motivi
non sistematici, variazione dei fattori che influenzano solo quel titolo, l’altro titolo
aumenta della stessa proporzione e la stessa situazione si verifica a parti invertite.
Con questo meccanismo il rendimento medio del portafoglio non muterà mai!
Graficamente, l’insieme dei punti (σ;R) raggiungibili combinando i due titoli è
l’unione dei due segmenti AB e BC.
Di questi due segmenti, solo BC rappresenta tutti i titoli efficienti.
Mercato con due titoli aleatori: generalizzazione
Partendo dai risultati conseguiti nel precedente paragrafo, possiamo dire che il
rendimento medio atteso del portafoglio P risulta:
ba RwwRRER )1()( −+==
mentre la varianza (il rischio) risulta:
baabba wwwwRVAR σσρσσσ )1(2)1()( 22222 −+−+==
Ra
0
Rb
σb
σ
R
σa
B
A
C
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Eliminando anche in questo caso w nelle precedenti equazioni, si ottiene ancora
l’equazione della linea dei portafogli fattibili dove però solo una parte rappresenta la
linea dei portafogli efficienti.
Con qualche calcolo non complesso, si ottiene la seguente formula:
)(
))((2)()( 22222
ba
baababbaab
RR
RRRRRRRR
−−−+−+−
=σσρσσσ
con ba RR ≠ .
I possibili scenari che si posso verificare al variare di ρab sono i seguenti:
1) ρab=1: la linea dei portafogli materialmente fattibili, che sono tutti efficienti, è
un segmento;
2) ρab=-1: la linea dei portafogli materialmente fattibili è fatta come una V coricata
della quale è efficiente il solo tratto superiore.
3) -1<ρab<1: si verificano le situazioni intermedie tra le due estreme in cui la linea
dei portafogli fattibili è una curva di secondo grado rappresentata da un arco di
iperbole.
Vi sono illimitate situazioni che ricadono tra gli estremi ma proviamo a studiare
le due curve in alto rappresentate in cui quella verdone ha un ρab inferiore al ρab
dell’iperbole blu, per questo la combinazione dei titoli presenti nei portafogli che
Ra
0
Rb
σb
σ
R
σa
B
A
C
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formano il verdone può sfruttare l’effetto diversificazione in modo più proficuo rispetto
ai portafogli blu.
Infatti si osserva che i portafogli tra i cui titoli vi è un ρab più basso dominano gli
altri portafogli, per questo la situazione ottima si ha con il livello minimo di ρab (quando
è pari a -1) e il segmento BC domina tutti gli altri.
Graficamente l’effetto diversificazione, che ricordiamo è l’effetto positivo che
l’operatore di financial risk management deve massimizzare quando gestisce un
portafoglio di titoli mobiliari, si manifesta nella rappresentazione grafica quando vi è
un’iperbole con una curva che torna su se stessa come quella rappresentata nel seguente
grafico:
I portafogli efficienti sono solo quelli rappresentati dal tratto blu nel segmento
BC.
In questo caso si dovrebbe fare un po’ di chiarezza (ovvero ciò che non viene
fatto da diversi operatori in portafoglio) in quanto non sempre la combinazione di due
titoli aleatori produce i vantaggi derivanti dall’effetto diversificazione, ma solo quando
il valore ρab è inferiore ad un determinato livello soglia che è facilmente calcolabile in
matematica.
Ra
0
Rb
σb
σ
R
σa
A
C
B
20
Infatti, se una curva torna su stessa vorrà dire che avrà un punto di minimo
assoluto che nella formula generale, attraverso il calcolo della derivata prima e
azzerando la derivata seconda risulta essere pari a b
ao σ
σρ = .
Quindi, dato il coefficiente di correlazione tra due titoli (ρab) sappiamo già in
anticipo se converrà formare un portafoglio che combini questi due titoli (ρab < ρo)
oppure se non conviene poiché non si verifica l’effetto diversificazione (ρab > ρo).
Mercato generale con n titoli aleatori
Nel caso meno semplice e più realistico di un mercato in cui vengono trattati n
titoli aleatori, la situazione concettuale non muta granché rispetto al caso di due soli
titoli, però bisognerà utilizzare matrici e vettori anziché singoli valori. Si può facilmente
ricavare la frontiera efficiente con semplici programmi software di ottimizzazione
vincolata tra i quali il più conosciuto è Microsoft Excel. La rappresentazione standard di
una frontiera efficiente è la seguente:
Capital Asset Pricing Model (C.A.P.M.)
Uno dei modelli più utilizzati nell’asset allocation è il cosiddetto C.A.P.M.
(Capital Asset Pricing Model), che, nato come versione semplificata (Sharpe, 1963)
0 σ
R
21
della “selezione del portafoglio” di Markowitz, è stato poi rivisitato e reinterpretato da
altri (Merton) e, ma più brevemente, l’A.P.T. (Arbitrage Pricing Theory).
Originariamente il C.A.P.M. nacque come semplificazione della “selezione del
portafoglio” di Markowitz poiché permette di evitare il problema della stima delle
covarianze tra i rendimenti dei vari titoli.
Successivamente fu impiegato come modello (di equilibrio) di un mercato
finanziario e in questo senso è attualmente inteso in maniera prevalente.
Il C.A.P.M. si basa su ipotesi “forti” che semplificano notevolmente la realtà e
che possono essere schematizzate come segue:
1) gli investitori di questo mercato hanno attese omogenee: tutti hanno cioè le
stesse attese su valori medi (rendimenti), varianze (rischi) e covarianze dei
rendimenti dei titoli;
2) il mercato dei capitali è perfetto (non vi sono costi di transazione, imposte e tutte
le informazioni sono disponibili a costo nullo) ed efficiente (i prezzi dei titoli
incorporano tutte le informazioni disponibili immediatamente sul mercato);
3) gli investitori hanno lo stesso orizzonte temporale in cui operano e si suppone di
un solo periodo;
4) gli investitori possono impiegare o prendere a prestito qualsiasi quantità di
denaro al tasso R0; tasso di mercato per operazioni prive di rischio.
Capital Market Line
Richiamando l’esempio del mercato con un titolo certo ed uno aleatorio, questa
teoria rileva una frontiera efficiente rappresentabile a forma di semiretta.
Difatti, se vi è un mercato dei capitali nel quale è possibile impiegare o
indebitarsi allo stesso tasso R0, la frontiera efficiente è la semiretta uscente da R0 e
tangente alla curva che rappresenta la frontiera efficiente (secondo il modello di
Markowitz) considerando i soli titoli aleatori.
22
Scriviamo esplicitamente l’equazione di tale semiretta che come evidenziato
graficamente domina tutti gli altri portafogli costruibili con la sola frontiera efficiente;
infatti i portafogli costruibili con i soli titoli rischiosi hanno una combinazione
rendimento-rischio sempre più sfavorevole dei portafogli di combinazione tra
l’investimento certo e quello di mercato.
Il punto in cui si ha tangenza tra la semiretta che parte da R0 e la frontiera
efficiente di Markowitz è detto portafoglio di mercato e ha coordinate (σm;Rm).
La difficoltà nel ricavare questo titolo, meglio dire portafoglio, dipende dalle
attività presenti sul mercato di riferimento.
Difatti si può dimostrare che il portafoglio di mercato e quel portafoglio che
include i titoli con gli stessi pesi che assumono all’interno del mercato stesso (più facile
da descrivere che da realizzare).
Gli operatori, per ovviare a questa complicazione, preferiscono costruire un
portafoglio di mercato formato da altri portafogli che rappresentano le diverse attività
presenti su quel mercato.
In termini matematici, l’equazione della semiretta passante per i 2 punti (0;R0) e
(σm;Rm) è ricavabile nel seguente modo:
0000
−−
=−
−σσ
RRRR
m
m da cui: 00 R
RRR
m
m +−
=σ
σ
0 σ
R
R0
Portafoglio di mercato
σm
Rm
23
che è identica a quella che troviamo su tutti i libri di finanza:
σσ m
m RRRR 0
0
−+=
Questa è l’equazione della frontiera efficiente cercata.
Come visto nell’esempio del mercato semplice in cui vi è un titolo certo e uno
aleatorio la scelta per il singolo operatore cade sul portafoglio di tangenza tra la curva
d’indifferenza (che ripetiamo essere quella a livello più alto) e la frontiera efficiente,
come mostra il grafico seguente:
Il calcolo per ricavarci i pesi del titolo certo e quello del portafoglio di mercato è
lo stesso esplicitato sul mercato semplice con titolo certo e aleatorio (pensate a quale
semplificazione permette l’utilizzo di questo modello!).
Tale semiretta è detta linea del mercato dei capitali (C.M.L.) ed è interpretabile
in maniera molto ovvia: qualunque impiego (efficiente) sul mercato (perfetto e in
equilibrio) è rappresentato da un punto della semiretta e viceversa.
Si può allora investire a tasso di valor medio sempre più elevato con un rischio
(σ) sempre maggiore.
Il valore della pendenza, pari a m
m RR
σ0−
, è interpretato da molti in dottrina
come l’incremento di rendimento richiesto dall’investitore razionale sul mercato per
R0
0 σx
σ
R
Portafoglio ottimo per
questo operatore
Rm
σm
Soddisfazione 2
Soddisfazione 1
Soddisfazione 3
Rx
Portafoglio di mercato
24
accettare un aumento unitario di σ: è un prezzo di scambio tra “rischio” (σ) e
rendimento (R).
Si osservi che questo prezzo m
m RR
σ0−
è costante al variare di R e σ, in netto
contrasto con l’aspettativa di un operatore avverso al rischio (che molti studiosi
ritengono essere la maggioranza degli investitori presenti su un mercato) il quale,
accumulato un certo ammontare di rischio, vorrà un rendimento più che proporzionare
per un’unità di rischio marginale incrementale e non proporzionale.
Torniamo al punto (σm;Rm), unico sopravvissuto della frontiera efficiente
costruita con i soli titoli aleatori e punto che regge la frontiera efficiente C.M.L., questo
punto rappresenta un portafoglio che ricalca esattamente il mercato cioè contiene tutti i
titoli nelle stesse proporzioni secondo le quali i titoli circolano sul mercato (proporzioni
sul valore totale) quando esso sia in equilibrio.
Tale portafoglio è detto portafoglio di mercato, il motivo è piuttosto ovvio: come
abbiamo visto ogni scelta efficiente consiste nel combinare il portafoglio di mercato con
un impiego o un finanziamento (certo) al tasso R0. Se il portafoglio di mercato non
avesse la stessa composizione del mercato, tutti gli operatori razionali e per questo
utilizzano questo modello non richiederebbero i titoli circolanti in maniera
sovrabbondante rispetto alle quote richieste per il portafoglio di mercato e di
conseguenza il loro prezzo scenderebbe fino a riallineare il valore di quel titolo rispetto
al valore totale alla quota indicata dal portafoglio di mercato.
Viceversa, se un titolo circolasse in maniera scarsa rispetto al portafoglio di
mercato, il suo prezzo salirebbe fino al riallineamento; questo è il meccanismo
principale per cui un mercato perfetto automaticamente attraverso l’andamento del
prezzo dei titoli torna all’equilibrio.
Coefficiente β
Consideriamo un generico titolo aleatorio, l’s-esimo, e il suo rendimento (Rs).
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Consideriamo anche il rendimento (aleatorio) del portafoglio di mercato (Rm): si
tratta della media dei rendimenti di tutti i titoli circolanti prendendo come pesi le
proporzioni secondo le quali (a valore) ciascun titolo circola:
∑=
=n
sssm RwR
1
dove n sono i titoli e ws è la proporzione di mercato del generico titolo s-esimo.
Per richiamare la terminologia ricordiamo che: Rm è la variabile aleatoria media,
con pesi ws, delle variabili aleatorie Rs.
Considerando le due variabili aleatorie: (Rs-R0) e (Rm-R0) che rappresentano
quindi l’eccesso di rendimento fornito dal titolo s e dal portafoglio di mercato rispetto al
tasso certo R0 (in termini tecnici, questi differenziali sono detti excess return).
E’ condivisa da molti studiosi che l’aleatorietà di (Rs-R0) sia dovuta in parte a
motivi comuni a tutti i titoli (cioè a motivi imputabili al mercato) e in parte a motivi
specifici del titolo s.
Rs-R0 può allora essere scomposto in due componenti: una parte sistematica
dovuta a motivi di fondo, comuni a tutti i titoli, e una parte non sistematica, specifica
per quel titolo:
smsss uRRRR +−+=− )( 00 βα
La parte sistematica dell’equazione definisce la linea caratteristica del titolo s.
Perciò, se il mercato dei capitali è perfetto e in equilibrio, allora αs=0.
La parte non sistematica è rappresentata dalla variabile aleatoria us che è a media
nulla (in media il rendimento è pari a 0) e non correlata con Rm.
Inoltre, le parti non sistematiche di due generici titoli, us e ur sono anch’esse non
correlate.
In concreto, utilizzando i dati di mercato, si possono riscontrare valori di αs
diversi da 0: essi possono essere interpretati come una misura della imperfezione o del
disequilibrio del mercato.
Parte sistematica Parte non sistematica
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Possiamo dunque scrivere l’equazione della linea caratteristica del titolo s nel
seguente modo:
)( 00 RRRR mss −+= β .
Il valore di βs può essere facilmente classificato nel seguente modo:
1) Se βs=1, si ha Rs-R0=Rm-R0 cioè il rendimento del titolo s ricalca esattamente il
rendimento del mercato: il titolo s è un surrogato del portafoglio di mercato,
comportandosi esattamente come questo.
2) Se βs>1, il rendimento del titolo s è soggetto a variazioni più che proporzionali
rispetto al rendimento del portafoglio di mercato: esalta sia le variazioni positive
sia quelle negative. Si usa dire che il titolo s è aggressivo e dato che
consideriamo un mercato perfetto il rischio di questo titolo è più elevato del
portafoglio di mercato.
3) Se 0<βs<1, il rendimento del titolo s varia nella stessa direzione del rendimento
del portafoglio di mercato, ma in maniera meno che proporzionale: smorza,
comprime sia le variazioni positive sia quelle negative. Si classificano i seguenti
titoli come conservativi o difensivi.
4) Se βs<0, il rendimento del titolo s varia in direzione opposta a quella del
portafoglio di mercato: aumenta quando questo diminuisce e viceversa. Il titolo s
dunque, palesando movimenti antitetici rispetto a quelli del mercato, viene
sfruttato per fini assicurativi contro le variazioni di mercato. Si usa dire che il
titolo s è superdifensivo anche se questi titoli devono essere controllati in base al
valore che assume il β di riferimento poiché perde il significato assicurativo per
assumere quello di speculativo contro l’andamento del mercato quando l’indice
scende a valori inferiori a -1.