sentenza 10 gennaio 1991, n. 2 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 16 gennaio 1991, n. 3);Pres. ed est. Conso; Cortellazzi. Ord. Trib. mil. Padova 10 gennaio 1990 (G.U., 1 a s.s., n. 19 del1990)Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 373/374-375/376Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185255 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1989 che «l'insegnamento della religione cattolica sarà imparti
to, dice l'art. 9 (scil. della 1. 25 marzo 1985 n. 121) "nel quadro delle finalità della scuola", vale a dire con modalità compatibili con le altre discipline scolastiche».
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta nei sensi di cui in motivazione la questione di legittimità co stituzionale dell'art. 9, n. 2, 1. 25 marzo 1985 n. 121 (ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato
a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al con
cordato lateranense dell'I 1 febbraio 1929, tra la Repubblica ita
liana e la Santa Sede), e del punto 5, lett. b) n. 2, del relativo
protocollo addizionale, sollevata, in relazione agli art. 2, 3, 19
e 97 Cost., dal Pretore di Firenze con l'ordinanza di cui in
epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 gennaio 1991, n. 2
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 gennaio 1991, n. 3); Pres. ed est. Conso; Cortellazzi. Ord. Trib. mil. Padova 10
gennaio 1990 (G.U., la s.s., n. 19 del 1990).
Furto — Furto militare d'uso — Mancata restituzione della co
sa sottratta — Irrilevanza del caso fortuito o della forza mag
giore — Incostituzionalità (Cost., art. 3; cod. pen. mil. pace, art. 233).
È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 233, 1 ° com
ma, n. 1, c.p. mil. pace, nella parte in cui non estende la
disciplina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a ca
so fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta. (1)
(1) La sentenza adegua il regime del furto d'uso militare a quello previsto dal codice penale e 'ammodernato' dalla corte con la sua deci sione n. 1085 del 13 dicembre 1988 (Foro it., 1989, I, 1378, con nota di Ingroia). Il ragionamento svolto nella motivazione, incentrato sul l'art. 3 Cost., appare ineccepibile; tuttavia la sua estrema sinteticità — che sembrerebbe obbligata dalla troppo patente divaricazione venu tasi a creare tra i trattamenti penalistici di fatti identici — lascia resi duare qualche margine di dubbio.
Si tenga presente che nel caso in esame la refurtiva era stata rinvenu ta (sono parole della corte) «durante una periodica 'rivista al corredo' svoltasi poco tempo dopo la sottrazione». Per aderire agli argomenti della sentenza, quindi, occorrerebbe dimostrare che quella 'rivista' ha rivestito i caratteri del caso fortuito o della forza maggiore.
Una simile dimostrazione sarebbe però altamente problematica. Co minciamo dal fortuito: vuoi che si consideri escludente la colpevolezza (opinione tradizionale: cfr., ad esempio, Antolisei, Manuale di diritto
penale, parte generale, Milano, 1982, 327; Pagliaro, Principi di diritto
penale, parte generale, Milano, 1980, 399), vuoi che si ritenga escluden te il nesso causale (per tutti, Mantovani, Diritto penale, Padova, 1983,
174), un'operazione consueta, ripetitiva e prevedibilissima come la «pe riodica rivista al corredo» non può ritenersi in grado di rendere inattua bile un'intenzione di restituire, e neppure in grado di interrompere il
rapporto eziologico tra tale intenzione e l'effettiva (mancata) restituzio ne: per il semplice motivo che le «riviste» vengono attuate alla presenza di tutti i militari, ciascuno dei quali viene invitato ad aprire il proprio armadietto con la chiave che egli solo detiene. L'effettiva volontà di restituire (che nell'ordinanza di rimessione si sostiene dimostrata) avrebbe
quindi tutto il tempo di esplicitarsi prima ancora che la 'rivista' sia
disposta e attuata. Se ciò non avviene, e se quindi il ritrovamento della
refurtiva è frutto esclusivamente di quella perquisizione atipica (o me
glio, di quell'atipico invito ad esibire), la dimostrazione della volontà
restitutoria presenta aspetti diabolici; e il nesso eziologico tra volontà
di restituire e mancata restituzione non si atteggia diversamente da quello instaurabile nell'ipotesi di una 'vera' perquisizione che abbia consentito
il ritrovamento della refurtiva. Sul versante della forza maggiore deve dirsi che la 'rivista al corredo'
non è un'imposizione alla quale il militare non possa in modo assoluto
sottrarsi (potrebbe opporre un rifiuto; le conseguenze, sul piano disci
plinare e anche penale ex art. 173 c.p. mil. pace — disobbedienza —
sono intuibili; ma esse non scalfiscono l'assunto che non si tratta di
una vis cui resisti non potest). In ogni caso, ancora una volta, è la
prevedibilità dell'operazione, la sua consuetudine proprio in caso di furto,
Il Foro Italiano — 1991.
Fatto. — 1. - Il Tribunale militare di Padova, con ordinanza
del 10 gennaio 1990, emessa nel processo penale a carico di
Cortellazzi Luciano, ha sollevato questione di legittimità del
l'art. 233, 1° comma, n. 1, c.p. mil. pace in relazione all'art.
626, 1° comma, n. 1, c.p., per contrasto con gli art. 3 e 27, 1° comma, Cost.
Premette il giudice a quo di avere accertato che il Cortellazzi,
imputato del delitto di furto militare, era intenzionato a resti
tuire la cosa sottratta, ma che la restituzione si era resa impossi
bile, essendo stata la cosa stessa rinvenuta durante una periodi ca «rivista al corredo» svoltasi poco tempo dopo la sottrazione.
Nonostante ciò, il fatto addebitato non sarebbe riconducibile
nell'ambito dell'art. 233, 1° comma, n. 1, c.p. mil. pace (delit to di furto militare d'uso), mancando nella specie la restituzio
ne della cosa.
Né, con riguardo alla fattispecie prevista dalla norma ora ri
cordata, potrebbero utilmente operare le statuizioni della sen
tenza n. 1085 del 1988 (Foro it., 1989, I, 1378), dal momento
che con tale decisione la corte si è limitata a dichiarare «l'ille
gittimità costituzionale dell'art. 626, 1° comma, n. 1, c.p., nel
la parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata
restituzione dovuta a caso fortuito o forza maggiore della cosa
sottratta».
2. - Quanto alla violazione del principio della responsabilità
penale personale, il giudice a quo puntualizza come, con la sen
tenza n. 1085 del 1988, sia stato «ampiamente chiarito, pronun ciandosi sulla norma penale "parallela" di cui all'art. 626, 1°
comma, n. 1, c.p., di uguale testuale formulazione, che la rego la di rimproverabilità contenuta nell'art. 27, 1° comma, Cost,
impone che, in sede di valutazione della colpevolezza, i singoli elementi che costituiscono la pur unitaria fattispecie penale deb
bono essere singolarmente valutati ai fini del giudizio di rim
provero»: un giudizio che solo se sussistente «in relazione a
ciascuno di essi soddisfa il requisito della personalità della re
sponsabilità penale». In particolare, essendo l'impossessamento della cosa elemento sia della fattisecie di furto militare sia della
fattispecie di furto militare d'uso, è soltanto l'avvenuta restitu
zione a determinare «l'applicazione del più mite trattamento san
zionatorio previsto da tale ultima fattispecie criminosa». Il ri
spetto dell'art. 27, 1° comma, Cost, fa si che, pure con riguar do all'adempimento dell'obbligo di restituire la cosa sottratta
per un uso momentaneo,«acquisisca rilievo l'atteggiamento psi
cologico del soggetto». 3. - Quanto alla dedotta violazione del principio di eguaglian
za, il giudice a quo censura la disparità di trattamento venutasi
a creare, in seguito alla ricordata sentenza n. 1085 del 1988, tra il civile ed il militare che, impossessatisi della cosa mobile
altrui con l'intenzione di usarla momentaneamente e di resti
tuirla subito dopo l'uso, non riescano per caso fortuito o per forza maggiore a realizzare tale intento. La violazione dell'art.
3 Cost, diventerebbe ancor più evidente considerando come il
civile che concorra con un militare nell'impossessamento in luo
go militare di cosa mobile appartenente ad altro militare o al
l'amministrazione militare, pur nell'intento, non realizzatosi per caso fortuito o per forza maggiore, di restituirla, dovrebbe ri
spondere di furto militare e non di furto militare d'uso: vicever
sa, la fattispecie criminosa «parallela» a quest'ultima (art. 626, 1° comma, n. 1, c.p.) gli verrebe addebitata in caso di concorso
con altro soggetto non avente la qualità di militare. (Omissis) Diritto. — 1. - L'ordinanza di rimessione censura l'art. 233,
1° comma, n. 1, c.p. mil. pace, in riferimento agli art. 3 e
27, 1° comma, Cost.
Più in particolare, il giudice a quo lamenta che la mancata
restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della co
sa sottratta comporti l'applicazione dell'art. 230 c.p. mil. pace
(furto militare) e non, invece, dell'art. 233, 1° comma, n. 1,
anche quando l'impossessamento sia avvenuto con l'intenzione
di restituire la cosa subito dopo l'uso. E ciò in forza dell'opera
che porta ad escludere l'impossibilità di restituire prima del ritrovamen
to della refurtiva.
Insomma, una protesta di volontà restitutoria attuata solo dopo che
la 'rivista al corredo' sia stata disposta, è almeno sospetta, perché la
restituzione effettiva si sarebbe potuta operare prima dell'inizio delle
ricerche. [R. Messina]
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PARTE PRIMA
tività, nel caso di specie, del principio qui in re illicita versatur
respondit etiam pro casu, un principio già disatteso da questa corte con la sentenza n. 1085 del 1988, che ha dichiarato l'ille
gittimità costituzionale dell'art. 626 1° comma, n. 1, c.p., nella
parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata
restituzione della cosa sottratta, dovuta a caso fortuito o forza
maggiore. Poiché, però, tale sentenza non è applicabile in via
interpretativa alla fattispecie prevista dall'art. 233, 1° comma, n. 1, c.p. mil. pace l'ordinanza di rimessione solleva questione di legittimità costituzionale relativamente all'impossibilità di esten
dere l'ambito di applicazione di tale articolo anche all'ipotesi di mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggio
re, della cosa sottratta.
2. - La questione è fondata.
Con la più volte ricordata sentenza n. 1085 del 1988, questa corte ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 626, 1° comma, n.
1, c.p., per contrasto con l'art. 27, 1° comma, Cost., nella par te in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata resti
tuzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa
sottratta.
Poiché non si ravvisano valide esigenze, proprie del consorzio
militare, tali da rendere razionalmente giustificabile la cosi so
pravvenuta diversificazione di disciplina del furto militare d'uso
rispetto al furto d'uso comune, lo stesso tipo di pronuncia va
adottato anche nei riguardi dell'art. 233, 1° comma, n. 1, c.p. mil. pace.
La condizione alla quale si ricollega la fattispecie del delitto
di furto d'uso è, infatti, la stessa, sia nell'art. 626, 1° comma, n. 1, c.p. sia nell'art. 233, 1° comma, n. 1, c.p. mil. pace: «se il copevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo
della cosa sottratta, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata
immediatamente restituita». Pertanto, di fronte al mutamento
di quadro normativo conseguente alla sentenza n. 1085 del 1988, l'art. 233, 1° comma, n. 1, c.p. mil. pace — non riconducendo
alla meno grave fattispecie del furto d'uso militare l'ipotesi di
mancata restituzione dovuta a caso fortuito o forza maggiore — viene a trovarsi, come esattamente sostiene l'ordinanza di
rimessione, in contrasto con l'art. 3 Cost. Si impone, pertanto, la declaratoria, d'illegittimità costituzionale dell'art. 233, 1° com
ma, n. 1, c.p. mil. pace, nella parte in cui non estende la disci
plina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a caso for
tuito o forza maggiore, della cosa sottratta.
Resta cosi assorbito ogni altro profilo di legittimità costitu
zionale prospettato dal giudice a quo. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 233, 1° comma, n. 1, c.p. mil. pa
ce, nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla
mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 9 gennaio 1991, n. 1 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 gennaio 1991, n. 3); Pres. Conso, Est. Greco; Ricciardi ed altri, Mazzantini ed
altri (Avv. Pascasio) c. Min. tesoro ed altri; Sensi ed altri
(Aw. Prosperetti), Dusi (Aw. De Iorio, De Petris) c. Min.
affari esteri; Rivarola c. Min. pubblica istruzione; interv. Pres.
cons. min. (Aw. dello Stato Nucaro). Ord. Corte conti 1°
luglio 1989 (G.U., la s.s., n. 48 del 1989), 25 settembre 1989
(G.U, la s.s., n. 9 del 1990) e 21 febbraio 1990 (G.U., la s.s., n. 33 del 1990).
Pensione — Dirigenti statali — Collocamento a riposo anterio
re al 1° gennaio 1979 — Riliquidazione secondo gli aumenti
retributivi successivamente intervenuti — Esclusione — Inco
stituzionalità (Cost., art. 3; d.l. 16 settembre 1987 n. 379, misure urgenti per la concessione di miglioramenti economici
al personale militare e per la riliquidazione delle pensioni di
dirigenti civili e militari dello Stato e del personale ad essi
Il Foro Italiano — 1991.
collegato ed equiparato, art. 3; 1. 14 novembre 1987 n. 468, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 16 settembre
1987 n. 379).
È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 3,1° com
ma, d.l. 16 settembre 1987 n. 379, convertito in l. 14 novem
bre 1987 n. 468, nella parte in cui non dispone, a favore dei
dirigenti dello Stato ed equiparati collocati a riposo anterior
mente al 1° gennaio 1979, la riliquidazione, a cura delle am
ministrazioni competenti, della pensione sulla base degli sti
pendi derivanti dall'applicazione del d.l. 27 settembre 1982
n. 681 (convertito in l. 20 novembre 1982 n. 869), della l.
17 aprile 1984 n. 79, del d.l. 11 gennaio 1985 n. 2 (convertito in l. 8 marzo 1985 n. 72), del d.l. 10 maggio 1986 n. 154 (convertito in l. 11 luglio 1986 n. 341), a decorrere dal 1°
marzo 1990. (1)
Fatto. — 1. - Alcuni alti dirigenti dello Stato, appartenenti a varie amministrazioni, collocati a riposo in data anteriore al
1° gennaio 1979, proponevano ricorso alla Corte dei conti per ottenere il riconoscimento del loro diritto al permanente ade
guamento della pensione alla retribuzione corrisposta ai diri
genti in attività di servizio, con pari qualifiche di anzianità, e,
comunque, un trattamento pari a quello dei loro colleghi collo
cati in pensione in data posteriore al 1 ° gennaio 1979, nonché
la riliquidazione della pensione per effetto di miglioramenti re
tributivi disposti dalla 1. 14 novembre 1987 n. 468.
(1) La corte fa nuovamente giustizia dei tentativi del legislatore di
«risparmiare sulla spesa» allorché si tratta di dare applicazione ai prin cipi di perequazione pensionistica solennemente sanciti dalle sue stesse
leggi; questa volta il «risparmio» si sarebbe realizzato a carico dei diri
genti statali collocati a riposo prima del 1° gennaio 1979, «vittime desi
gnate» come in altre occasioni lo erano state i magistrati collocati a
riposo prima del 1° luglio 1983 (nel giudizio conclusosi con la sent. 5 maggio 1988, n. 501, Foro it., 1989, I, 639, con nota di richiami, cui adde, Corte conti, sez. Ili, 20 marzo 1989, n. 62911, id., 1990, III, 377), ovvero i dipendenti della scuola collocati a riposo fra il 1°
giugno 1977 e il 1° aprile 1979 (nella vertenza decisa con sent. 5 maggio 1988, n. 504, id., 1989, I, 1046). Nella decisione in epigrafe, come nella sent. 501/88, la corte richiama la dichiarazione d'intenti formulata nel l'art. 2, 1° comma, 1. 177/76 circa il collegamento fra le pensioni e l'indice di incremento delle retribuzioni, solo parzialmente attuato con la normativa successivamente emanata, mentre tralascia (dichiarandone «assorbita» la questione) i riferimenti al principio della proporzionalità della retribuzione (e, quindi, della pensione) alla qualità e durata del lavoro prestato, sui quali si era pure soffermata la precedente pronun zia 501/88. Solo un fuggevole accenno (nel paragrafo 3) si rinviene, poi, al «fluire del tempo» che in precedenti pronunce (anche relativa mente recenti, come la sent. 30 dicembre 1987, n. 618, ibid., 297) la stessa corte aveva affermato costituire «di per sé un elemento diversifi catore» idoneo a giustificare differenti trattamenti previdenziali per la medesima categoria di soggetti (argomento, invece, consapevolmente af frontato e superato dalla sent. 504/88 dianzi citata), cosi da lasciare dubbi sui termini reali del superamento di quella opposta posizione e, quindi, della possibilità di allargare alle altre categorie del pubblico im
piego il principio oggi affermato per i dirigenti statali (e, prima, per i magistrati) dell'inadeguatezza di semplici incrementi percentuali delle pensioni ai fini della soddisfazione piena dei precetti costituzionali che, invece, esigerebbero l'aggancio delle pensioni alle retribuzioni correnti (cfr. par. 2-3 della sent. 501/88 e par. 4 della sent. 1/91), proprio men tre il legislatore, avviandosi finalmente verso una disciplina unitaria ed
omogenea della materia per tutti i lavoratori, pubblici e privati, conti nua col censurato sistema degli incrementi percentuali scaglionati per periodi di decorrenza dei trattamenti pensionistici (cfr. d.l. 22 dicembre 1990 n. 403, Le leggi, 1990, I, 2631, ove, peraltro, si provvede a rivalu tare anche tutte le pensioni di cui all'art. 1 1. 177/76, comprese quelle di magistrati e dirigenti statali, senza alcun coordinamento con le indi cazioni contenute nelle pronunzie della Corte costituzionale: per i diri
genti statali, ad esempio, le percentuali riportate nella tabella B allegata al decreto, non solo, non attribuiscono un più alto indice di perequa zione delle pensioni più remote — cfr. par. 7.1 della sent. 1/91 —
ma non valgono, neppure, a colmare il divario fra le pensioni ante 1979 e quelle successive — cfr. par. 2 della sent. 1/91).
Va notato, infine, che la corte, cercando di mediare, per quanto pos sibile, fra le esigenze di bilancio dello Stato e le aspettative di arretrati dei pensionati, come già nella sent. 501/88, fissa la decorrenza degli effetti della rilevata incostituzionalità da una data (1° marzo 1990) di versa sia da quella ex art. 136, 1° comma, Cost, che da quella di entra ta in vigore della 1. 468/87 (il cui art. 3 è stato dichiarato illegittimo), cioè dalla data di entrata in vigore di altra legge (n. 37/90) non oggetto del giudizio di costituzionalità. [G. Albenzio]
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