sezione I civile; sentenza 12 luglio 1991, n. 7780; Pres. Vela, Est. Maltese, P.M. Simeone (concl.conf.); Soc. Nuovo pastificio piemontese (Avv. Parisi) c. Associazione italiana per il WorldWildlife Fund (Avv. Petretti). Conferma App. Torino 2 dicembre 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 3345/3346-3349/3350Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185771 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
proposta dal Guasta era, perciò, il Pretore di Chivasso, questa
competenza è però venuta meno a seguito della 1. 1° febbraio
1989 n. 30, che ha trasformato la Pretura di Chivasso in sezio
ne distaccata della Pretura (circondariale) di Torino (art. 2 e
tabella B allegata alla stessa legge). Come risulta dalla discipli na dettata dal r.d. 30 dicembre 1923 n. 2785 (v. in particolare
gli art. 8-9), ancora vigente per effetto del richiamo contenuto
nell'art. 41, cpv., r.d. 30 gennaio 1941 n. 12 (ordinamento giu
diziario), i rapporti tra sede principale della pretura e sezione
distaccata non attengono alla competenza, dato che la sezione
distaccata è un'articolazione territoriale dell'unico ufficio della
pretura circondariale. Tale conclusione non subisce modifiche
per il fatto che il successivo d.l. 15 maggio 1989 n. 173 (nel testo risultante dalla legge di conversione 11 luglio 1989 n. 251) abbia attribuito una rilevanza esterna al territorio della sezione
distaccata, non lasciando in un ambito organizzativo meramen
te interno la distribuzione degli affari tra sede principale della
pretura e sezione distaccata. La nuova normativa, da un lato,
si pone sulla linea della disciplina già contenuta nell'art. 9 del
citato r.d. n 2785 del 1923; dall'altro, non può essere interpre tata nel senso di avere sostanzialmente configurato rapporti di
competenza (al di là delle intenzioni e delle stesse parole usate
dal legislatore), perché la violazione dei criteri sulla distribuzio
ne degli affari tra sede principale e sezione distaccata di pretura
è equiparata alla violazione dei criteri indicati nella tabella di
composizione degli uffici (art. 1, 2° comma, del citato decreto
legge), tema — quest'ultimo — del tutto estraneo alla compe tenza territoriale. Né, infine, potrebbe legittimamente configu
rarsi una questione di competenza che si ponga soltanto rispet to alle sezioni distaccate «presso le quali è costituito l'ufficio
di cancelleria» (art. 1, 1° comma, del citato decreto legge) e
non anche rispetto alle sezioni prive di tale ufficio, se si consi
dera che l'esistenza o meno dell'ufficio di cancelleria è frutto
di determinazioni amministrative, che si pongono al di fuori
della riserva di legge imposta dall'art. 25, 1° comma, Cost.
La sopravvenuta competenza del Pretore di Torino (che ha
pronunziato la sentenza impugnata per violazione delle norme
sulla competenza) rende priva di rilievo giuridico la sua origina ria incompetenza, che, pertanto, non è più idonea ad inficiare
la sua pronunzia. Deve qui farsi applicazione dell'orientamento
giurisprudenziale (v., da ultimo, Cass. 21 febbraio 1990, n. 1292,
id., 1990, I, 850) che attribuisce rilevanza al mutamento della
norma disciplinatrice della competenza, verificatosi nel corso
del giudizio (ius superveniens), orientamento condiviso anche
in dottrina quando tale mutamento è idoneo a rendere compe
tente un giudice che tale non era originariamente, e cioè a «con
validare» la competenza nel corso del giudizio (la competenza
sopravvenuta è stata da questa corte affermata anche in ipotesi
di mutamenti sopravvenuti dello stato di fatto, in deroga al
l'art. 5 c.p.c.: v., tra le altre, Cass. 29 luglio 1983, n. 5224,
id., Rep. 1983, voce Possesso, n. 55; 11 febbraio 1980, n. 964,
id., Rep. 1980, voce Competenza civile, n. 12). La rilevanza dello ius superveniens anche in un momento suc
cessivo all'emanazione della sentenza impugnata trova il suo fon
damento nel principio di economia processuale. Tale principio
sarebbe assurdamente violato da una pronunzia che, nel cassare
una sentenza perché emanata da un giudice incompetente, do
vrebbe poi rimettere la causa allo stesso giudice, divenuto me
dio tempore competente. È indubbio invero che l'accoglimento
del ricorso comporterebbe la possibilità che il giudizio prosegua
davanti al Pretore di Torino (dichiarato competente), a norma
dell'art. 50 c.p.c., e cioè davanti a quell'organo giudiziario che
si è già pronunziato sul merito dell'opposizione. Il difensore dell'ente ricorrente ha, nel corso della discussione
orale, invocato il principio tempus regit actum per sostenere
che la competenza va individuata sulle base dell'ordinamento
processuale esistente al momento della decisione inpugnata. Ma
il principio invocato, che esprime esigenze di «conservazione»
degli atti processuali compiuti e si riconduce quindi al fonda
mentale principio di economia processuale, non può essere ap
plicato in modo da comportare una chiara violazione di dette
esigenze e di tale principio. In conclusione, il ricorso va respinto, previa correzione della
motivazione della sentenza impugnata nei sensi dianzi precisati.
Il Foro Italiano — 1991.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 luglio
1991, n. 7780; Pres. Vela, Est. Maltese, P.M. Simeone (conci,
conf.); Soc. Nuovo pastificio piemontese (Avv. Parisi) c. As
sociazione italiana per il World Wildlife Fund (Avv. Peiret
ti). Conferma App. Torino 2 dicembre 1985.
Marchio — Emblema di associazione — Uso abusivo come mar
chio d'impresa — Confondibilità — Tutela — Ammissibilità
(R.d. 21 giugno 1942 n. 929, testo delle disposizioni legislati ve in materia di brevetti per marchi d'impresa, art. 14).
Va confermata la sentenza d'appello la quale, avendo accertato
che nella specie ricorreva il presupposto della confondibilità, necessario all'applicazione dell'art. 14 r.d. 21 giugno 1942 n.
929, nella parte in cui fa divieto di appropriarsi dell'emblema
di enti o associazioni, abbia accolto le domande dell'associa
zione italiana per il World Wildlife Fund volte ad ottenere
l'inibitoria, il risarcimento del danno e la pubblicazione della
sentenza contro l'imprenditore commerciale che abbia usato
l'emblema di detta associazione come marchio per contrasse
gnare i propri prodotti. (1)
(1) Siamo all'epilogo della vicenda giudiziaria relativa all'emblema
del WWF, la celebre associazione ambientalista internazionale, raffigu rante un panda. Con la sentenza in epigrafe, la Cassazione ha confer
mato la tutelabilità dell'emblema suddetto, già affermata da entrambi
i collegi di merito (v. App. Torino 2 dicembre 1985, Foro it., 1986,
I, 2280, con osservazioni di Carofiolio, annotata anche in Resp. civ.,
1986, 669, da E. Bertolli, Tutela dell'emblema di associazioni e diritti
della personalità, che aveva avallato — tranne che nella parte in cui
disponeva la distruzione degli emblemi 'incriminati' — Trib. Torino
22 ottobre 1984, Foro it., Rep. 1986, voce Marchio, nn. 37, 127, per esteso in Giur. dir. ind., 1984, 681).
L'nteresse per la fattispecie in rassegna è suscitato dall'incrocio tra
«esigenze di tutela dell'identità personale attraverso la protezione del
l'emblema ed esigenze di tutela di entità patrimoniali atipiche, come,
appunto, l'uso commerciale dello stesso emblema». Per i giudici di me
rito e di legittimità tali esigenze confluiscono e trovano protezione nel
l'art. 14 r.d. 929/42, c.d. legge sui marchi.
Mette conto rilevare che, proprio dalla finalità ancipite di detta nor
ma, derivano alcuni problemi circa l'individuazione dei Requisiti neces
sari per la sua applicazione. Sul punto la Suprema corte, pur rigettando la censura del ricorrente, ha affermato che la praticabilità del citato
articolo è subordinata alla confondibilità (dell'emblema?), con ciò di
scostandosi dalla Corte d'appello di Torino e saldandosi, invece, a quello che sembra, ormai, l'orientamento prevalente in giurispudenza (cfr., da ultimo, ma non con riferimento specifico all'uso illegittimo dell'em
blema di un'associazione senza fini di lucro, Cass. 12 gennaio 1984, n. 241, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 58; 5 marzo 1975, n. 814,
id., 1975, I, 2762, rinvenibile anche in Giust. civ., 1975, I, 1540, con
nota di Crugnola e in Dir. autore, 1975, 165, con nota di Arienzo;
per la giurisprudenza di merito, cfr. Pret. Roma 8 aprile 1988, Foro
it., Rep. 1989, voce cit., n. 57; Trib. Milano 20 settembre 1982, id.,
Rep. 1985, voce cit., n. 80, che, in linea con Cass. n. 814 del 1975
cit., ritiene essere un presupposto della norma anche l'esistenza, o al
meno la possibilità, di un pregiudizio per il titolare della ditta nell'uso
della stessa da parte di altri come marchio d'impresa; cfr. anche Trib.
Roma 14 maggio 1980, id., Rep. 1983, voce cit., n. 69; in senso contra
rio sono le pronunce più risalenti, cfr., per tutte, Cass. 2 ottobre 1954, n. 3210, id., Rep. 1954, voce cit., n. 72, a cui si richiamava App. Tori
no 2 dicembre 1985 cit., e App. Roma 28 gennaio 1972, id., Rep. 1973, voce cit., n. 61, secondo la quale il diritto al marchio importa la facoltà
di valersene in modo esclusivo e di inibirne l'uso a terzi indipendente mente dalla confondibilità dei prodotti rilevante solo sotto il profilo della concorrenza sleale; sulle opposte ragioni ermeneutiche sottese ai
due orientamenti, cfr. Crugnola, op. cit.). Nelle massime della giurisprudenza richiamata — tutte riguardanti
controversie in tema di segni distintivi d'impresa — si fa riferimento
al requisito della «confondibilità dei prodotti». Occorre precisare che
con tale brachilogica espressione si vuole intendere uno degli indici cui
attenersi per valutare la confondibilità dei segni distintivi, principio ge nerale al quale sarebbe ispirato, sempre secondo la schiera di pronunce
capeggiate da Cass. n. 814 del 1975 cit., anche l'art. 14 1. m. A tale
proposito, quest'ultima sentenza ebbe a precisare che «il criterio della
confondibilità dev'essere considerato valido ed operante anche nel con
trasto tra ditta e marchio e [...] la possibilità di confusione è ravvisabile
ed assume giuridica rilevanza, anche in funzione di fattori diversi da
quelli relativi alla similarità dei prodotti e dell'attività d'imprese, e può
quindi consistere, in definitiva, anche nella generica possibilità di riferi
re erroneamente una data attività ad una impresa piuttosto che ad un'al
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3347 PARTE PRIMA 3348
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 15 febbraio 1980 l'Associazione italiana per il World Windli
fe Fund convenne davanti al Tribunale di Torino la s.a.s. Pasti
ficio piemontese, esponendo di essere stata autorizzata, con l'e
rezione ad ente morale (d.p. 7 ottobre 1977 n. 896), a utilizzare
la figura del panda coperta da registrazione di marchio intesta
to al World Windlife Fund.
Il Pastificio piemontese, nonostante varie diffide, aveva con
trassegnato il proprio prodotto, consistente in paste alimentari,
con la figura di un panda che tiene fra le zampe anteriori un
piatto fumante. Doveva essere, pertanto, condannato al risarci
mento del danno, con assoluto divieto di continuare ad usare
del marchio.
Nel costituirsi in giudizio, la società convenuta eccepì che l'at
trice era priva della qualità di imprenditore commerciale e, nel
merito, che si era verificata la decadenza del marchio per man
tra, con il conseguente pericolo di confusione in ordine alla provenien za di determinati prodotti».
È forse superfluo aggiungere che, nell'attuale fattispecie il riferimen
to all'indice della confondibilità dei prodotti è fuori luogo. Si è, infatti, messo in evidenza che «l'art. 14, seppure topograficamente collocato
in un testo normativo intitolato ai brevetti per marchi d'impresa, lad
dove vieta l'appropriazione dell'emblema caratteristico, della denomi
nazione o del titolo di enti o associazioni, individua il proprio oggetto di tutela in un diverso territorio concettuale; quello, cioè, dei diritti
della personalità ed in particolare dei diritti all'immagine ed alla identi
tà personale» (cosi Carofiglio, op. cit., 2280, il quale riporta l'autore
vole opinione di Ascarelli — espressa in Teoria della concorrenza e
di beni immateriali. Istituzioni di diritto industriale, III ed., Milano, 1960 — secondo il quale nella norma in esame si ravvisa la tutela di
un segno distintivo estraneo all'attività d'impresa, caratteristico dei sog
getti collettivi e sostanzialmente analogo allo stemma delle persone
fisiche). È vero che, — secondo quanto risulta dalla lettura della sentenza
di appello e di quella su riportata — l'Associazione italiana del WWF
concedeva in uso a titolo oneroso il proprio marchio ad una pluralità di produttori e commercianti al fine di acquisire fondi necessari per i suoi scopi; ma è anche vero che si tratta, come evidenziato in apertu ra, di una fattispecie particolare in cui è in esponente la concomitanza
di interessi morali ed economici. La circostanza della concessione in
uso a titolo oneroso dell'emblema non sembra sufficiente a far diventa
re d'impresa l'attività svolta dal WWF (in questo senso si erano espressi i giudici di primo grado con la cit. Trib. Torino 22 ottobre 1984). È
per questi motivi che il riferimento al requisito della confondibilità dei
prodotti sarebbe, in questo caso, un fuor d'opera. Più in generale, la
valenza bifronte dell'art. 14 fa si che sia necessario distinguere, ad esem
pio, fattispecie riguardanti l'uso dell'emblema appartenente ad un'asso
ciazione da quelle concernenti l'uso di una ditta, legittimamente spet tante ad un'impresa, da parte di una seconda impresa. Solo in quest'ul timo caso si può far uso del parametro della confondibilità dei prodotti (d'altra parte, in diverso ambito normativo, è proprio l'art. 2598, n.
1, sugli atti di concorrenza sleale, elettivamente demandato a disciplina re l'attività d'impresa, che prende direttamente in considerazione l'uso
illegittimo dei segni distintivi idoneo a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente). Nel primo, vi è piuttosto una possi bile confusione di soggetti, o delle attività riconducibili a tali soggetti, che contrasta con la tutela dell'identità personale e dell'immagine (sulla tutela del nome dell'associazione non riconosciuta, v. Pret. Roma, ord.
23 marzo 1978, Foro it., 1978, I, 2353, con nota di richiami; Pret.
Roma, ord. 18 dicembre 1984, id., 1985, I, 3041, cfr. altresì Cass. 5
febbraio 1988, n. 1264, id., 1988, I, 1554, con nota di richiami, ripro dotta anche in Riv. dir. comm., 1989, I, 28, con nota di Chiomenti, I segni distintivi di attività non imprenditoriali: la denominazione o
titolo di una manifestazione di artisti; v., in margine ai rapporti tra
nome di persona e marchio, R. Franceschelli, Rapporti tra nomi di
persona e marchi, in Riv. dir. ind., 1988, 180; Crugnola, Uso come marchio del nome o del ritratto di una persona, id., 1983, I, 195.
D'altra parte, la ratio della norma mentovata si spiegherebbe forse
meglio se si ritenesse che l'emblema sia dotato di funzione oltre che distintiva anche pubblicitaria, come è per il marchio (v. art. 1, 2° com
ma, r.d. 929/42). Come è già stato messo in evidenza i profili della
fattispecie in rassegna rientrano nella difficile materia del right of pu blicity (cfr., sul punto, i richiami di Carofiglio, op. cit., 2281, cui
adde, da ultimo, Troiano, Diritto all'immagine e sfruttamento della
celebrità altrui, nota ad App. Milano 16 maggio 1989, Trib. Monza 26 marzo 1990 e Pret. Milano, ord. 19 dicembre 1989, Foro it., 1991,
I, 2862; Ponzanelli, La povertà dei (sosia) e la ricchezza delle (celebri tà): il «right of publicity» nell'esperienza italiana, in Dir. informazione e informatica, 1988, 126; nonché la nota di Moccia ad App. Roma
8 settembre 1986, in Foro it., 1987, I, 920). [R. Caso]
Il Foro Italiano — 1991.
cato uso triennale; nel corso del giudizio ne chiese in via ricon
venzionale la dichiarazione di nullità.
Il tribunale accolse la domanda dell'attrice con riferimento
esclusivo all'art. 14 r.d. 21 giugno 1942 n. 929, posto a tutela
dell'emblema caratteristico di enti e associazioni, per cui, indi
pendentemente dall'eventuale nullità del marchio, non era co
munque consentito alla convenuta servirsi del disegno del pan
da, costituente l'emblema del WWF legittimamente utilizzato
dall'Associazione Italiana del WWF
Con sentenza 2 dicembre 1985 la Corte d'appello di Torino
confermò la decisione nei punti concernenti la condanna al ri
sarcimento del danno, l'inibitoria e la pubblicazione della sen
tenza. A sostegno della pronuncia osservò che a norma dell'art.
14 del citato decreto n. 929 è vietato appropriarsi dell'emblema
di un'associazione non riconosciuta e non avente una finalità
economica, per cui, non essendo la tutela limitata ai marchi
d'impresa, nella specie non si poneva neppure una questione
di decadenza o di nullità del marchio e doveva trovare protezio
ne il diritto — in sé considerato — all'emblema.
Le lievi differenze riscontrate fra questo e il disegno del pan
da utilizzato dal Pastificio piemontese non pregiudicavano, se
condo la corte, il fondamento dell'azione risarcitoria, sia per
ché, in diritto, il divieto di usurpare l'emblema non era subor
dinato al presupposto della confondibilità, sia perché, in fatto,
tale presupposto esisteva, data la preminenza della figura del
panda nel disegno come nell'emblema.
In relazione al quantum la corte liquidò in via equitativa il
danno derivante dal fatto che l'Associazione italiana WWF con
cedeva a titolo oneroso l'uso dell'emblema a produttori e com
mercianti per l'acquisizione dei fondi necessari al conseguimen
to dei propri fini istituzionali.
Contro tale decisione la s.n.c. Nuovo pastificio piemontese ha proposto ricorso per cassazione, adducendo due motivi di
censura. Resiste l'Associazione italiana per il WWF con contro
ricorso, illustrato con successiva memoria.
Motivi della decisione. — Col primo mezzo la società ricor
rente denuncia la violazione dell'art. 14 r.d. 21 giugno 1942
n. 929, nonché il vizio di insufficiente motivazione della senten
za impugnata. Sostiene che la corte d'appello avrebbe enunciato un erroneo
principio di tutela assoluta dell'emblema in relazione all'art. 14
r.d. n. 929 del 1942, indipendentemente dalla condizione della
«confondibilità», mentre questa, invece, sarebbe inerente alla
regola della concorrenza — attuale o potenziale — che «domi
na tutta la materia di segni distintivi, non esclusi i marchi».
La censura è infondata: non già nella premessa, che trova
conforto nella giurisprudenza di questa corte (sent. 5 marzo 1975,
n. 814, Foro it., 1975, I, 2762), ma nella concludenza dell'argo mentazione a fronte della motivazione della sentenza, che è du
plice. Il giudice del gravame, infatti, non si è limitato ad enun
ciare il principio di cui sopra — che questo collegio non condi
vide — ma ha pure affermato e accertato che nella specie ricorreva comunque il presupposto della confondibilità, data la
preminenza della figura del panda sia nell'emblema dell'asso
ciazione attrice sia nel disegno abusivamente utilizzato dalla so
cietà convenuta con varianti di scarso rilievo per il pubblico dei consumatori.
Questa autonoma motivazione in fatto è, di per sé, sufficien
te a giustificare e a sorreggere il dispositivo. La sentenza impugnata, pertanto, si sottrae alle censure della
ricorrente.
Col secondo mezzo il Pastificio piemontese sostiene che l'a
strattezza del criterio enunciato dalla corte d'appello nel negare la necessità dell'anzidetta condizione di confondibilità per la re
pressione dell'uso non autorizzato dell'emblema avrebbe con
dotto lo stesso giudice ad omettere ogni indagine nel merito,
che sarebbe stata invece necessaria, quanto meno per la deter
minazione del danno, non riconoscibile in re ipsa e non liqida bile in via equitativa.
La censura è infondata. Esiste nella sentenza un'adeguata mo
tivazione non solo sull'effettiva condizione di confondibilità,
dovuta, come si è detto, alla preminenza in entrambi i disegni della figura del panda, ma anche sulla situazione che giustifica una liquidazione in via equitativa del danno derivante dal fatto
sopra accennato che l'associazione italiana WWF concedeva
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
in uso a titolo oneroso l'emblema ad una pluralità di produttori e commercianti.
In questa situazione confluiscono — com'è stato giustamente osservato — esigenze di tutela dell'identità personale attraverso
la protezione dell'emblema ed esigenze di tutela di entità patri
moniali atipiche, come, appunto, l'uso commerciale dello stesso
emblema.
Correttamente, quindi, il giudice d'appello ha riconosciuto
l'esistenza in re ipsa di un danno economico derivato all'asso
ciazione attrice dal comportamento abusivo della società conve
nuta; e ne ha determinato in via equitativa l'ammontare. Ne
consegue che anche sotto questo aspetto il ricorso deve essere
rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 9 luglio
1991, n. 7587; Pres. Novelli, Est. L. Niro, P.M. Martone
(conci, diff.); Di Liberto e altri (Avv. Tagliareni) c. Inps
(Avv. Nardi, Colarieti). Cassa App. Palermo 18 settembre
1985.
Assicurazione (contratto di) — Surrogazione dell'ente gestore di assicurazioni sociali nei confronti dell'assicuratore del ter
zo responsabile — Credito dell'assistito danneggiato al risar
cimento dei danni alla persona «non altrimenti risarciti» —
Soddisfacimento prioritario (Cod. civ., art. 1916; 1. 24 di
cembre 1969 n. 990, assicurazione obbligatoria della respon
sabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore
e dei natanti, art. 28). Cassazione civile — Declaratoria di illegittimità costituzionale
di norma successiva alla proposizione del ricorso — Rilevan
za — Limiti.
Il giudice, prima di prendere in esame la domanda di surroga
dell'ente previdenziale contro l'assicuratore del terzo respon
sabile, deve accertare e liquidare a favore dell'assistito dan
neggiato, con preferenza rispetto all'ente previdenziale stesso,
tutte le somme dovute dall'assicuratore al danneggiato a tito
lo di risarcimento dei danni alla persona non altrimenti ri
sarciti. (1) La declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma si
pone, rispetto ai rapporti in corso, come ius superveniens,
per cui deve essere applicata nel giudizio di cassazione anche
d'ufficio, ove sia intervenuta successivamente alla proposizio ne del ricorso e il punto sia ancora suscettibile di sindacato
da parte del giudice di legittimità, in quanto investito del
gravame. (2)
(1-2) La pronuncia in epigrafe rappresenta, a quanto consta, la prima
applicazione da parte del giudice di legittimità della sentenza Corte cost.
6 giugno 1989, n. 319, Foro it., 1989, I, 2695, con osservazioni di De
Marzo; v. anche le note di Scalfì, Conseguenze della dichiarazione
di incostituzionalità dell'art. 28, 2°, 3°, 4° comma, I. 24 dicembre 1969
n. 990, in Resp. civ., 1989, 920, e Poletti, Tempi difficili per l'azione
di «surroga» degli enti previdenziali, in Nuove leggi civ., 1990, 947). La premessa è rappresentata dalla regola dell'immediata applicabili
tà, anche d'ufficio, nei giudizi in corso davanti alla Corte di cassazione,
delle pronunce di incostituzionalità di una norma, purché il punto sia
ancora suscettibile di sindacato da parte del giudice di legittimità, in
quanto investito del gravame (con riguardo allo ius superveniens, v.
da ultimo, Cass. 25 giugno 1990, n. 6414, Foro it., Rep. 1990, voce
Registro, n. 321 e 17 maggio 1990, n. 4293, id., 1990, I, 2852). Ne discende l'accoglimento del ricorso proposto dall'assistito dan
neggiato. Non si è posto, nel caso di specie, il problema del rapporto fra l'azio
ne di surrogazione dell'ente previdenziale e le pretese risarcitone per danni alla persona avanzate nei confronti dell'assicuratore della r.c. da
parte di altri individui coinvolti nel medesimo sinistro; l'azione propo sta da coloro che accompagnavano nell'autovettura l'assistito danneg
II Foro Italiano — 1991 — Parte I-62.
Ritenuto in fatto. — 1. - Con atto 14 novembre 1974 Di
Liberto Girolamo, Di Bella Giuseppe e Di Maio Gioacchino
convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Palermo Rota
Maria Grazia e Scaletta Vincenzo, nonché la loro compagnia
assicuratrice Ausonia per sentirli condannare al risarcimento dei
danni subiti a seguito di incidente stradale avvenuto il 29 giu
gno 1973 in località «Caculla» di Monreale. Esponevano gli at
tori che l'auto Fiat «500» sulla quale viaggiavano si era scon
trata con l'auto «Fulvia» dei convenuti, i quali, provenendo da opposto senso di marcia, avevano invaso l'opposta corsia,
sbandando in curva per eccessiva velocità.
2. - Costituitesi le parti, interveniva in giudizio l'Inam onde
ottenere in via surrogatoria ai sensi dell'art. 1916 c.c. il rimbor
so della somma di lire 558.179, oltre gli interessi, erogata per
l'assistenza del proprio assicurato Di Liberto Girolamo; succes
sivamente interveniva l'Inps, succedendo al disciolto Inam ai
sensi della 1. 29 febbraio 1980 n. 33.
3. - Con sentenza 26 novembre 1982 il Tribunale di Palermo
cosi decideva: dichiarava che l'incidente si era verificato per
colpa concorrente dei due conducenti, colpa in concreto quella
del Di Liberto nella misura del 60% e colpa presunta a carico
dello Scaletta nella misura del 40%; determinato il danno del
Di Liberto in lire 15.040.000, di cui il 40% ammontava a lire
6.000.000, attribuiva quest'ultima somma all'Inps a parziale sod
disfacimento del credito di detto istituto, rivalutato d'ufficio
a lire 6.210.000; respingeva le domande del Di Bella e del Di
Maio perché non provati i danni da loro lamentati.
4. - Con sentenza in data 18 settembre 1985 la Corte d'appel
lo di Palermo rigettava l'appello del Di Liberto, del Di Bella
e del Di Maio, nonché l'appello incidentale della Rota, dello
Scaletta e della compagnia Ausonia, confermando integralmen
te la sentenza del tribunale.
5. - Avverso la sentenza Di Liberto, Di Bella e Di Maio pro
ponevano ricorso per cassazione, cui resiste con controricorso
l'Inps; la Rota, lo Scaletta e la compagnia Ausonia non hanno
presentato controricorso.
Considerato in diritto. — (Omissis). Con il primo motivo i
ricorrenti, denunciando violazione dell'art. 1916 c.c., censura
no l'impugnata sentenza, deducendo che:
a) l'Inam ha erogato le prestazioni al Di Liberto in quanto
assistito per legge, per cui non sussiste il diritto di surrogazione
nel diritto dell'assicurato verso i terzi responsabili;
b) l'Inam, ed ora l'Inps, ha in ogni caso diritto di surrogarsi
esclusivamente in proporzione al grado di colpa del proprio as
sicurato e, perciò, nel caso di specie nella misura del 40% del
proprio credito di lire 1.558.179. La censura è parzialmente fondata e va accolta nei limiti se
guenti. Sul punto a) va affermato che il diritto di surrogazione del
l'assicurazione nei confronti del terzo responsabile trova appli
cazione, contrariamente a quanto assumono i ricorrenti, anche
in favore degli istituti di assicurazione sociale, obbligati per leg
ge a prestare assistenza ai propri assicurati (v. in tal senso Cass.
n. 2455 del 1977, Foro it., Rep. 1977, voce Assicurazione (con
tratto), n. 180). Sul punto b) la censura è del pari infondata in quanto, come
ha costantemente affermato questa corte, nel caso di concorso
di colpa dell'assicurato danneggiato, il diritto dell'ente assicura
giato era stata rigettata dai giudici di merito per difetto di prova e
il Supremo collegio ha confermato quella decisione. Si vedano, comun
que le osservazioni sul punto di Scalfì, op. cit., 924, il quale rileva
che l'assicuratore sociale succede nei diritti dell'assicurato, quali sono
già delimitati, al momento della successione, dal concorso con gli altri
danneggiati, ai sensi dell'art. 27 1. n. 990 sulla ripartizione fra più dan
neggiati del massimale insufficiente.
Rimane da sottolineare che, in un passo della motivazione, la terza
sezione fonda l'azione di surroga dell'ente previdenziale sull'art. 1916
c.c., cosi mostrando di disattendere la ricostruzione operata dalla sen
tenza 20 novembre 1987, n. 8544, Foro it., 1988, I, 423 e avallata da
Corte cost. 319/89, cit., sui rapporti fra azione di surroga ex art. 1916
diretta nei confronti del terzo responsabile e azione ex art. 28 1. 990,
che vede come legittimati passivi l'assicuratore della r.c. o l'impresa
designata a norma dell'art. 20 della legge. In dottrina, cfr. Pontonio, Della surrogazione legale, con particolare
riferimento all'art. 28 l. 24 dicembre 1969 n. 990, in Resp. civ., 1974, 64.
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