sezione III civile; sentenza 20 gennaio 1989, n. 288; Pres. Quaglione, Est. Niro, P.M. Dettori(concl. conf.); Gilostri (Avv. Di Bonito) c. D'Ausilio (Avv. Majello). Conferma Trib. Napoli 5giugno 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2855/2856-2859/2860Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184221 .
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2855 PARTE PRIMA 2856
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 1 ° febbraio
1989, n. 621; Pres. Ruperto, Est. Mollica, P.M. Gazzara
(conci, conf.); Silvestro (Aw. Coccia) c. Consorzio trasporti
pubblici di Napoli (Avv. Benincasa). Conferma Trib. Napoli 6 febbraio 1986.
Redditi (imposte sui) — Irpef — Crediti di lavoro — Rivalutazio
ne monetaria — Assoggettabilità (Cod. proc. civ., art. 429; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, disposizioni comuni in materia di
accertamento delle imposte sui redditi, art. 23; d.p.r. 29 set
tembre 1973 n. 597, istituzione e disciplina dell'imposta sul red
dito delle persone fisiche, art. 46, 48).
Le somme percepite dal lavoratore a titolo di rivalutazione mone
taria ex art. 429 c.p.c. costituiscono una componente della re
tribuzione e, pertanto, sono assoggettabili alla ritenuta fiscale
per l'Irpef. (1)
Svolgimento del processo. — Con sentenza 6 febbraio 1986
il Tribunale di Napoli, in riforma della decisione del pretore della
stessa città, dichiarava assoggettabile a contribuzione fiscale le
somme erogate a Luigi Silvestro dal datore di lavoro Consorzio
trasporti pubblici di Napoli a titolo di svalutazione monetaria
su alcuni crediti di lavoro giudizialmente liquidategli sul rilievo
che l'indennità di svalutazione, attribuita ai sensi dell'art. 429
c.p.c. in relazione all'art. 150 disp. att. stesso codice, costituisce
una componente retributiva del salario la quale attua non una
funzione risarcitoria di un danno, bensì tende a mantenere il po tere di acquisto del salario nominale.
Essa spetta indipendentemente dalla colpa del datore di lavoro
e dall'effettivo danno economico risentito dal lavoratore. Per ef
fetto della stretta connessione dell'indennità anzidetta con il rap
porto di lavoro, il datore di lavoro, quale sostituto d'imposta, ha l'obbligo di operare la trattenuta di acconto dell'Irpef ai sensi
dell'art. 23 d.p.r. 29 aprile 1973 n. 597.
Contro detta sentenza il Silvestro ha proposto ricorso per cas
sazione deducendo un solo mezzo di annullamento al quale resi
ste il consorzio con controricorso.
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo del ricorso il Sil
vestro denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 429
e 150 disp. att. c.p.c., nonché dell'art. 1 d.p.r. 29 settembre 1973
n. 597 e dell'art. 23 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 in relazione
al disposto dell'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. e rileva che il raffronto
fatto dal tribunale del risarcimento per rivalutazione monetaria
con la contingenza è palesemente erroneo, perché mentre la con
tingenza interviene trimestralmente nella misura stabilita dagli in
dici Istat ad adeguare il salario del lavoratore nel corso del nor
male svolgimento del rapporto di lavoro, al contrario l'indenniz
zo di cui trattasi si attiva in una fase anomala e patologica del
rapporto medesimo e costituisce un rimedio esclusivamente pro cessualistico.
(1) Continua nell'ambito della sezione lavoro (cfr., da ultimo, anche sent. 21 luglio 1989, n. 3481, inedita) il contrasto sulla tassabilità delle somme corrisposte al lavoratore a titolo di rivalutazione automatica ex art. 429 c.p.c. del credito per retribuzioni: per la contraria tesi, basata sulla natura risarcitoria dell'indennità di rivalutazione, v. sent. 27 gen naio 1989, n. 498, Foro it., 1989, I, 380, con nota di richiami, cui adde sent. 26 novembre 1987, n. 8757, id.. Rep. 1988, voce Tributi in genere, n. 595; 16 giugno 1987, n. 5344, ibid., n. 598 e 4 febbraio 1988, n. 1194, ibid., voce Redditi (imposte), n. 354, che hanno affermato l'assoggettabi lità a ritenuta fiscale delle somme attribuite al lavoratore a titolo di riva lutazione monetaria ex art. 429, 3° comma, c.p.c., ma con esclusione di quelle attribuite a titolo di interessi legali «i quali, avendo natura com
pensativa e non moratoria, non rientrano neppure nella nozione di reddi to di cui alle lett. e) ed i) dell'art. 41 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597»
(Cass. 8757/87). Ormai, non resta che auspicare un sollecito intervento delle sezioni uni
te che dirima il contrasto. Peraltro, le stesse sezioni unite, in occasione di una pronunzia sulla giurisdizione per le domande di rivalutazione au tomatica degli emolumenti dei pubblici impiegati (su cui è stata ribadita la competenza del giudice amministrativo), hanno già indirettamente ma nifestato la loro posizione sul tema, affermando che «la rivalutazione dei crediti di lavoro, qualora richiesta nei limiti dell'accertata svalutazio
ne, non ha natura risarcitoria e sanzionatoria, ma attiene alla natura ori
ginaria del credito, che fin dal suo sorgere è indicizzato, nei limiti suddet
ti, nel senso che deve conservare quel potere di acquisto che aveva al momento della sua maturazione». (Cass. 13 gennaio 1989, n. 115, id., Mass., 23, conforme alla n. 113, ibid., 22). [G. Aibenzio]
Il Foro Italiano — 1989.
La rivalutazione non afferisce al credito di lavoro, ma al suo
tardivo adempimento e quindi non concreta un bene che entra
nel patrimonio del lavoratore in dipendenza del lavoro svolto.
La sola lettura dell'art. 429 comprova che la svalutazione co
stituisce una sanzione per l'illecito del datore di lavóro che non
ha corrisposto le retribuzioni dovutegli alla scadenza, cagionan
dogli conseguenze che è tenuto a risarcirgli. Il motivo non può essere condiviso. Il ricorrente non apporta
elementi di valutazione nuovi per giustificare un mutamento del
costante prevalente indirizzo di questa corte (cfr. decisioni 8757/87,
Foro it., Rep. 1988, voce Tributi in genere, n. 595; 5344/87, ibid., n. 598; 1194/88, ibid., voce Redditi (imposte), n. 354; contra, 1855/84, id., Rep. 1985, voce Lavoro e previdenza (controver
sie), n. 315), nel senso dell'applicabilità della ritenuta fiscale sulle
somme attribuite al lavoratore a titolo di rivalutazione monetaria.
Contrariamente all'assunto del ricorrente si è ritenuto che, al
pari dell'indennità di contingenza la rivalutazione costituisce una
componente (dinamica) della retribuzione e non adempie ad una
funzione risarcitoria, come potrebbe desumersi dalla lettera del
l'art. 429 («maggior danno»), ma è strettamente connessa al cre
dito originario dal quale scaturisce. Di conseguenza, è soggetta alle norme giuridiche proprie del rapporto di lavoro, comprese
quelle tributarie (art. 46 e 48, 1° comma, d.p.r. 29 settembre
1973 n. 597) che considerano assoggettabile ad Irpef qualsiasi emo
lumento percepito dal lavoratore in dipendenza del lavoro prestato. Il ricorso va, pertanto, respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 20 gen naio 1989, n. 288; Pres. Quaglione, Est. Niro, P.M. Dettori
(conci, conf.); Gilostri (Aw. Di Bonito) c. D'Ausilio (Avv.
Majello). Conferma Trib. Napoli 5 giugno 1984.
Locazione — Legge 392/78 — Immobile adibito ad uso diverso
dall'abitazione — Attività artigianale svolta da pluralità di sog
getti — Recesso dell'unico artigiano conduttore — Successione
nel contratto — Condizioni (L. 27 luglio 1978 n. 392, discipli na delle locazioni di immobili urbani, art. 37).
Ove la destinazione dell'immobile locato all'uso di più artigiani non sia stata prevista nel contratto stipulato con il locatore
da uno solo di essi o comunque successivamente consentita dal
locatore in modo esplicito, l'utilizzazione dell'immobile da par te degli artigiani diversi dal conduttore non dà loro diritto, in
caso di recesso dell'artigiano conduttore, a succedere ne! con
tratto a norma dell'art. 37, 4° comma, l. 392/78. (1)
(1) Tra i giudici di merito, in sintonia con la sentenza sopra riportata, v. Pret. Pescara 21 ottobre 1985, Foro it., Rep. 1986, voce Locazione, n. 600, che ai fini della successione nel contratto prevista dall'art. 37, 3° e 4° comma, 1. 392/78 reputa indispensabile che la co-utilizzazione dell'immobile locato da parte di più artigiani, professionisti o commer cianti sia contestuale alla stipulazione del contratto e richiama, altresì',
l'esigenza che di essa sia consapevole il locatore; nello stesso senso, v., in obiter, Trib. Roma 12 settembre 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 772 (e Arch, locazioni, 1984, 284), che esclude l'applicabilità della nor mativa al «sostituto» del professionista conduttore. Per Trib. Napoli 29 marzo 1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., 773, la successione nel con tratto disciplinata dagli ultimi due commi dell'art. 37 1. 392/78 opera solo a condizione che la co-utilizzazione dell'immobile locato da parte di più professionisti, artigiani o commercianti sia contestuale e non so
pravvenuta all'instaurazione del rapporto locativo. Con riguardo alla normativa previgente, nel senso che la proroga del
contratto prevista dall'art. 22 1. 253/50 in favore del co-utilizzatore non conduttore operava soltanto nel caso che la co-utilizzazione si fosse veri ficata sin dall'inizio del rapporto contrattuale, v. Trib. Milano 27 aprile 1964, id., Rep. 1965, voce cit., n. 76.
In dottrina, in senso conforme alla Cassazione, v. Lazzaro - Preden, Le locazioni per uso non abitativo, Milano, 1988, 514. Nel senso, invece, che ai fini dell'operatività della successione ex art. 37, 3° e 4° comma, 1. 392/78 non è indispensabile che la co-utilizzazione dell'immobile locato
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto, notificato il 30 maggio
1981, Gilostri Emma, esponendo che dal 4 maggio 1971 conduce
un locale terraneo in Napoli, via Fontana 68/b, di proprietà di
D'Ausilio Maria Luisa, esercitandovi l'attività artigianale di ma
glieria e sartoria, unitamente alla sorella Anna, alla quale era
intestata la locazione, e che quest'ultima aveva cessato l'attività
nel dicembre 1980 e ne aveva dato comunicazione alla D'Ausilio, ed affermando che quest'ultima aveva rifiutato i canoni offerti
per i mesi di dicembre 1980 e gennaio 1981, contestando il diritto
di essa attrice ad occupare l'immobile suddetto, conveniva in giu dizio la D'Ausilio avanti al Pretore di Napoli per sentir dichiara
re il proprio diritto alla prosecuzione del rapporto di locazione
ai sensi dell'art. 37 1. 392/78; la Gilostri produceva certificato della federazione artigianale attestante la sua attività di lavora
zione di maglieria fin dal 1964, nonché le cartelle esattoriali rela
tive al pagamento dei contributi alla cassa mutua malattie artigiani. Costituitesi le parti, la D'Ausilio si opponeva alla domanda
dell'attrice, affermando che unica conduttrice era Gilostri Anna, nei confronti della quale il 14 gennaio 1981 aveva ottenuto dal
Pretore di Napoli convalida di sfratto per finita locazione, e ne
gando che Gilostri Emma, mai conosciuta dalla locatrice, avesse
mai occupato il locale de quo. Nel corso del processo l'attrice chiedeva di provare con testi
moni che nel locale di cui è causa l'attività di lavorazione di ma
glieria e sartoria era stata esercitata sin dall'origine della locazio
ne sia da Gilostri Anna, sia dalla sorella Emma e che quest'ulti ma continuava ad esercitare tale attività artigiana anche dopo la cessazione dell'attività da parte della sorella.
La convenuta produceva lettera con la quale Gilostri Anna le
aveva comunicato il 2 aprile 1981 di non aver potuto consegnare il locale perché la sorella si era impossessata delle chiavi e delle
attrezzature della sartoria.
Il Pretore di Napoli con sentenza in data 14 maggio 1982, sen
za ammettere la prova testimoniale chiesta dall'attrice, rigettava la domanda di quest'ultima perché ritenuta estranea al rapporto di locazione.
Proposto appello della Gilostri Emma, il tribunale con senten
za in data 5 giugno 1984, confermava la sentenza del pretore,
affermando che si doveva escludere, sulla base della lettera in
data 2 aprile 1981 della conduttrice Anna che Gilostri Emma ab
bia svolto attività commerciale nell'immobile di cui è causa «con
il consenso della locatrice o della conduttrice».
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione Gilo
stri Emma, deducendo due motivi di annullamento, cui resiste
la D'Ausilio con controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando
violazione degli art. 2722 ss. c.c., in relazione all'art. 360, n.
5, c.p.c., nonché difetto di motivazione, la ricorrente censura l'im
pugnata sentenza per aver dichiarato «inammissibile la prova te
stimoniale perché contrastata dal contenuto della lettera 2 aprile 1981 (inviata) da Gilostri Anna alla D'Ausilio, deducendo che
la decisione suddetta è in contrasto con il disposto degli art. 2722
e 2723 c.c., in quanto in base a tali norme la chiesta prova era
ammissibile e che, comunque, la sentenza è errata sotto il profilo del «travisamento del fatto» perché non è vero che dalla lettera
della sorella risulti il contrario di quanto l'attrice intendeva provare.
Con il secondo motivo, che per connessione logica va esamina
da parte di più professionisti, artigiani o commercianti sia contestuale
all'instaurazione del rapporto locativo, potendone beneficiare anche i sog
getti ammessi dal conduttore alla fruizione dei locali di cui esso si compo ne in corso di rapporto, v. Catralicà, in Equo canone, Padova, 1980,
436, sub art. 37 e Trifone, La locazione, in Trattato diretto da Resci
gno, Torino, 1984, XI, 517.
Per Trib. Napoli 29 marzo 1984, cit., l'operatività della successione
ex art. 37, 3° e 4° comma, 1. 392/78 è subordinata all'ulteriore condizio
ne dell' «omogeneità» dell'uso, ovvero dell'identità dell'attività svolta nel
l'immobile locato dal soggetto subentrante rispetto a quella esercitata dal
conduttore defunto (o deceduto). Sui «gravi motivi», che ai sensi dell'ultimo capoverso dell'art. 37 1.
392/78 legittimano il locatore (per la sola ipotesi di recesso del condutto
re) ad opporsi alla successione degli utilizzatori non conduttori e sugli effetti dell'opposizione sul diritto del locatario all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, v. Trib. Genova 26 febbraio 1981, Foro
it., Rep. 1983, voce cit., n. 948, e, in dottrina, Lazzaro - Preden, op.
cit., 516.
Il Foro Italiano — 1989.
to congiuntamente al primo, la ricorrente, denunciando violazio
ne dell'art. 37 1. 392 del 1978, in relazione all'art. 360, n. 3,
c.p.c., nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione, censura l'impugnata sentenza per mancanza di motivazione, avendo
il giudice del merito omesso di valutare tutti i documenti prodotti
dall'attrice; deduce, altresì', quanto già affermato con il primo motivo, riaffermando che sussiste travisamento del fatto, in quanto con la lettera 2 aprile 1981 la conduttrice non nega che l'attrice
abbia esercitato nel locale de quo attività artigiana, ma si limita
ad asserire che non poteva restituire l'immobile perché occupato dalla sorella.
Le censure sono infondate. Sussiste violazione degli art. 2722
ss. c.c., che pongono limiti all'ammissione della prova testimo
niale, quando il giudice ammetta erroneamente una prova testi
moniale non consentita da tali norme o neghi l'ammissione della
detta prova perché ritenuta erroneamente vietata dalle stesse nórme.
Non ricorre alcuna delle dette ipotesi nel caso di specie, avendo
il giudice del merito negato l'ammissione della prova testimoniale
non perché ritenuta inammissibile ai sensi degli art. 2722 ss. c.c., bensì' perché considerata superflua in relazione alla lettera della
conduttrice, dalla quale emergeva, secondo quanto affermato con
l'impugnata sentenza, che la ricorrente non aveva svolto attività
artigianale nell'immobile de quo con il consenso della locatrice.
Il giudice del merito, nell'esercizio del suo potere discrezionale
di scelta, tra le fonti di prova, di quella ritenuta più idonea a
sorreggere il proprio convincimento, può dare prevalenza all'uno
o all'altro mezzo di prova ed escludere l'ammissione di una pro va testimoniale, ove la ritenga, come nella specie, superata da
altre risultanze istruttorie.
E la mancata ammissione di un mezzo di prova dedotta da
una delle parti sfugge al sindacato di legittimtà se la decisione
del giudice del merito sia sorretta da adeguata motivazione (v. Cass. 1189 del 1982, Foro it., Rep. 1982, voce Prova civile, n.
21). Nella specie il giudice del merito ha dato adeguata, se pur
succinta, motivazione a sostegno della decisione di non ammette
re la prova testimoniale chiesta dall'attrice, affermando che l'in
fondatezza della domanda emergeva già dalla lettera della con
duttrice, dalla quale si doveva necessariamente evincere che Gilo
stri Emma non aveva svolto attività artigianale nell'immobile di
cui è causa «con il consenso della locatrice».
Per quanto riguarda la denuncia di omessa motivazione in or
dine ai documenti esibiti dalla ricorrente, va osservato che l'o
messo esame di documenti, riconducibili al vizio di motivazione
su un punto decisivo della controversia, ricorre quando essi si
rivelino idonei a fornire la prova di un fatto costitutivo, modifi
cativo od estintivo del rapporto in contestazione, in modo da
far ritenere che il giudice del merito, se avesse esaminato detti
documenti, sarebbe pervenuto ad un decisione diversa. E compe te alla Corte di cassazione di verificare se i documenti non esami
nati, siano, sul piano astratto in base a criteri di verosimiglianza, tali da portare ad una pronuncia diversa da quella adottata con
la sentenza impugnata (v. Cass. 3141 del 1984, id., Rep. 1984,
voce Cassazione civile, n. 61). Il 3° e 4° comma dell'art. 378 1. 392 del 1978, che prevedono
la successione di altri soggetti (professionisti, artigiani o commer
cianti) nel contratto di locazione in caso di morte o recesso del
l'unico conduttore, hanno come comune presupposto che l'im
mobile, in conformità alla previsione contrattuale, quindi, con
il consenso del locatore, sia adibito, cioè destinato fin dall'origi
ne, «all'uso di più professionisti, artigiani o commercianti». E
nel caso che la destinazione dell'immobile all'uso di più artigiani
non sia stata prevista nel contratto stipulato con il locatore da
uno solo di tali soggetti, l'eventuale occupazione di fatto dell'im
mobile da parte degli altri artigiani non dà diritto ad essi, in
caso di recesso dell'unico conduttore, a succedere nel contratto
a norma dell'art. 37 1. n. 392 del 1978, ove il locatore, successiva
mente al contratto di locazione, non abbia espressamente consen
tito l'uso dell'immobile da parte di detti artigiani, anteriormente
al recesso del conduttore. Solo in tali ipotesi, infatti, può ritener
si sussistente una destinazione dell'immobile all'uso di più arti
giani, che, in caso di recesso dell'unico conduttore, consente agli
altri artigiani di succedere nel contratto di locazione come con
duttori a norma del citato art. 37.
Su tali premesse, implicitamente tenute presenti dal giudice del
merito, è stato ritenuto con l'impugnata sentenza, anche se non
detto espressamente, che il fatto dell'occupazione dell'immobile
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2859 PARTE PRIMA 2860
da parte della ricorrente sin dall'inizio della locazione a favore
della sorella Anna, anche se risultante dai documenti prodotti o dalla prova testimoniale che si voleva espletare, era privo di
rilevanza perché non avrebbe dato diritto alla ricorrente a succe
dere nel contratto, dal momento che tale occupazione, non previ sta nel contratto di locazione, era avvenuta, come affermato con
l'impugnata sentenza, senza il consenso della locatrice.
In ordine al denunciato vizio di travisamento del fatto, a parte
l'irrilevanza, sopra illustrata, della circostanza dedotta dalla ri
corrente (occupazione dell'immobile sin dall'inizio della locazio
ne), va osservato che è inammissibile il ricorso per cassazione
quando, come nella specie, l'esame del motivo richieda una rico
struzione dei fatti diversa da quella fissata nella sentenza impu
gnata e ciò perché, prospettandosi una ipotesi di travisamento
dei fatti, l'eventuale errore del giudice del merito può essere de
nunciato solo con il mezzo della revocazione (v. Cass. 5235 del
1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 56).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 gennaio
1989, n. 18; Pres. Scanzano, Est. Vignalb, P.M. Simeone
(conci, conf.); Ravaioli (Aw. Marchese, Gulmanelli) c. Fall,
soc. Filippini. Conferma App. Bologna 16 ottobre 1984.
Fallimento — Impresa avicola — Assoggettabilità — Fattispecie
(Cod. civ., art. 2135; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 1).
L'impresa avicola non può essere ritenuta agricola ed è assogget tabile al fallimento quando manchi il collegamento funzionale
fra l'attività esercitata ed il fondo su cui insiste. (1)
(1) La Cassazione, con sintetica ed esaustiva motivazione, nonostante l'infoltimento della legislazione in materia (sia nazionale che comunita
ria), conferma il proprio precedente orientamento, secondo il quale l'im
presa avicola (o zootecnica in generale), è assoggettabile al fallimento
ogni qualvolta non vi sia una connessione con il fondo. La sentenza è
riportata in Fallimento, 1989, 701, con nota di Lo Cascio, Imprenditore agricolo e dichiarazione di fallimento. I precedenti specifici, sono rappre sentati da Cass. 26 marzo 1987, n. 2949, Foro it., Rep. 1987, voce Infor tuni sul lavoro, n. 192; 21 febbraio 1987, n. 1896, ibid., n. 193; 10 di cembre 1986, n. 7359, ibid., voce Agricoltura, n. 78; 6 novembre 1986, n. 6532, id., Rep. 1986, voce Infortuni sul lavoro, n. 198; 28 luglio 1986, n. 4861, ibid., n. 200 (in tema di impresa avicola e di ininfluenza della normativa comunitaria); 9 luglio 1985, n. 4096, id., Rep. 1985, voce cit., n. 162; 7 giugno 1985, n. 3418, ibid., n. 163; 21 febbraio 1985, n. 1571, ibid., voce Agricoltura, n. 77; 11 febbraio 1984, n. 1051, ibid., voce In
fortuni sul lavoro, n. 165; 9 novembre 1983, n. 6662, id., Rep. 1983, voce cit., n. 193; 17 agosto 1983, n. 5376, ibid., n. 198; 9 novembre 1982, n. 5906, ibid., n. 206, (tutte in tema di avicoltura o pollicoltura e le ultime anche con riferimento alle norme comunitarie). Sull'individua zione dei criteri per la qualificazione imprenditoriale dell'attività di alle vamento, Cass. 9 dicembre 1976, n. 4577, id., 1977, I, 369, con nota di Niccolini.
Le argomentazoni utilizzate, di volta in volta, prescindono dalla legis lazione speciale, per sostenere che l'impresa avicola può essere assimilata a quella agricola solo in presenza del collegamento con il fondo, posto che anche le direttive comunitarie non consentono di affermare che esiste una nozione unitaria di impresa agricola (Corte giust. Comunità europee 28 febbraio 1978, causa 85/77, id., 1978, IV, 454).
L'orientamento giurisprudenziale appare ricevere conforto da una par te autorevole della dottrina: Ferrara - Corsi, Gli imprenditori e le socie tà, Milano, 1987, 64; Olivetti, La qualifica agricola delle attività di alle vamento: orientamento della Cassazione, in Impresa, 1987, 2188; Di Ladro, Allevamento di polli in batteria e fallimento in Dir. fallim., 1986, II, 334; Fanue, Il piccolo imprenditore, l'artigiano, l'imprenditore agricolo e le procedure concorsuali, in Fallimento, 1986, 270; Bione L'imprendi tore agricolo, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ., Padova, 1978, 485; Galgano, L'imprenditore, Bologna, 1974, 53; Giannattasio, Natu ra agraria o industriale dell'agricoltura, in Riv. dir. agr., 1972, I, 373.
Recentemente, altri autori (Capizzano, Agricoltura e zootecnia, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, e Romagnoli, Agricol tura, voce del Digesto civ., Torino, 1987, I, 604) hanno rinnovato le
Il Foro Italiano — 1989.
Svolgimento del processo. — Nel 1975, il Tribunale di Forlì
dichiarò il fallimento della società di fatto tra i coniugi Emilio
Filippini e Anna Maria Ravaioli, nonché degli stessi in proprio, quali titolari di un allevamento avicolo.
La Ravaioli si oppose alla dichiarazione di fallimento, ma il Tribunale di Forlì rigettò l'opposizione e cosi anche la Corte d'ap
pello di Bologna, che, con sentenza 28 settembre - 16 ottobre 1984,
per quanto interessa in questa sede, respinse la tesi secondo la
quale l'attività svolta dall'impresa aveva natura agricola, negan do incidenza, a tal fine, alla normativa Cee che cosi qualifica l'avicoltura e rilevando che, nella specie, l'attività concretamente
esercitata era di tipo commerciale, in quanto totalmente avulsa
dallo sfruttamento e dalla coltivazione del fondo.
Contro tale decisione la Ravaioli ha proposto ricorso per cas
sazione sulla base di un solo motivo. La curatela fallimentare
non ha svolto attività difensiva in questa fase di giudizio. Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso, la
Ravaioli lamenta la violazione dell'art. 2135 c.c. e delle norme
Cee relative alla definizione di azienda agraria, rilevando che il
codice, nel qualificare agricola l'attività di allevamento di anima
li, prescinde dalla condizione che essa venga esercitata su un fon
do rustico e in connessione con la sua coltivazione; che le norme
Cee sicuramente inseriscono l'avicoltura tra le attività agricole: che a tale inquadramento si sono adeguate molte altre norme in
terne e che, anche a voler ritenere sussistente un contrasto tra
definizione del codice civile e disposizioni comunitarie, quella dei
regolamenti Cee dovrebbe ritenersi prevalente sulla normativa
interna.
Il ricorso è infondato. La lettera dell'art. 2135 c.c. — il quale definisce imprenditore agricolo chiunque eserciti un'attività diret
ta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento
del bestiame e attività connesse — non è risultata sufficiente a
impedire l'insorgenza di contrasti dottrinari sul concetto di alle
vamento del bestiame e sulla idoneità di questa attività a costitui
re sempre e comunque un'impresa agricola. Si rende, pertanto, necessario un excursus di carattere storico sulla portata di questa norma.
Al riguardo va osservato che, per quanto la legge abbia una
positività autonoma rispetto a quella che se ne può trarre dai
lavori preparatori, tuttavia questi possono fornire elementi utili
a precisare i contorni di una definzione, quando sulla stessa non
si sia formata una interpretazione concorde. Ebbene, la relazione
ministeriale all'art. 2135 (n. 59) appare, al riguardo, estremamen
te chiara ed illuminante: «L'epressione agricoltura» — vi è detto — «è assunta nel codice nel suo senso più ampio di esercizio
dell'attività rivolta allo sfruttamento della terra e delle sue attitu
dini produttive, sia che tale sfruttamento consista nella coltiva
zione del fondo o invece nella silvicoltura e nell'allevamento del
bestiame»: e, soggiunge ancora la relazione. «... Non ha rile
vanza che questa attività si svolga sul fondo proprio od altrui».
critiche all'orientamento giurisprudenziale prevalente, prendendo le mos se dalla tesi di Carrozza, Problemi generali e profili di qualificazione del diritto agrario, Milano, 1975, I, 74 e di Magno, Interpretazione evo lutiva dell'art. 2135 c.c., in Riv. dir. agr., 1972, II, 207, secondo la qua le, il quid proprii dell'impresa agricola, risiederebbe nello svolgimento del c.d. ciclo biologico (tesi questa, proposta in giurisprudenza da Pret. Pisa 20 giugno 1974, Foro it., 1974, I, 3219). Sulla non necessità del
collegamento fra l'attività di allevamento del bestiame e il fondo, anche
Giuffrida, Imprenditore agricolo, voce <le\VEnciclopedia del diritto, Mi lano, 1970, XX, 552. Un panorama articolato delle varie posizioni è ri
portato anche in Iannelli, L'impresa, in Giur. sist. dir. civ. comm., To
rino, 1987, 220. Va segnalato, infine, che la congerie della legislazione non ha indotto
giurisprudenza e dottrina a superare la nozione civilistica del codice del 1942; si è cosi negata ogni idoneità delle disposizioni contenute nelle leggi speciali a rappresentare una valida nozione dell'impresa agricola, anche a fini diversi da quelli per i quali le norme sono state emanate (si pensi alla 1. 3 maggio 1971 n. 419, che attribuisce, esplicitamente, all'attività avicola la natura di impresa agricola).
Sulla inutilità attuale della distinzione, fra impresa agricola e impresa industriale, nella prospettiva della comune assoggettabilità al fallimento, Ragusa Maggiore, Imprenditore agricolo e imprenditore commerciale: il diaframma sta per cadere, in Dir. fallim., 1984, I, 585; sul piano esat tamente opposto, si segnala, invece, Trib. Ascoli Piceno 30 giugno 1987, Dir. fallim., 1988, II, 566, a termini della quale l'impresa agricola non dovrebbe mai essere assoggettata alle procedure concorsuali, quantunque costituita nelle forme delle società commerciali.
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