Sezione IV; ordinanza 13 novembre 1979, n. 995; Pres. Mezzanotte, Rel. Lignani; RegioneToscana e altro (Avv. Narese) c. Soc. Bellavista (Avv. Sparnacci)Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1980),pp. 291/292-295/296Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171176 .
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PARTE TERZA
La Sezione, ecc. — Con il primo motivo l'appellante contesta
il potere dell'organo regionale di controllo di interferire sulla
esecutività dei contratti comunali e provinciali, sostenendo che
l'art. 296 t. u. 3 marzo 1934 n. 383 è incompatibile col sopravve nuto regime dei controlli regionali di cui all'art. 130 Cost, e alla
legge 10 febbraio 1953 n. 62; e quindi prospetta, in via principale,
l'ipotesi di una implicita abrogazione della norma, e, in via su
bordinata, quella di una eccezionale sopravvivenza del potere in testa all'organo statale da quella disposizione originariamente
designato per esercitarlo.
La questione cosi proposta ha già costituito oggetto di molte
plici e non concordanti pronunce sia del giudice ordinario e sia
di quello amministrativo di primo grado. Su di essa è, altresì, intervenuto anche il giudice dei conflitti, che per altro si è pro nunciato soltanto sulla prima delle due ipotesi alternative pro
spettate in questa sede dall'appellante (Cass., Sez. un., 22 feb
braio 1978, n. 869, Foro it., 1978, I, 852).
La sezione innanzitutto ritiene che molte delle perplessità ma nifestatesi nella materia derivino da una non sempre netta di stinzione fra le due ipotesi contemplate nell'art. 296. Ai sensi del primo comma di quest'ultimo i contratti comunali e provin ciali che eccedano i limiti entro i quali è consentito procedere a
licitazioni privata senza autorizzazione, non impegnano l'ente se non sia intervenuto il « visto » (del prefetto), « il quale deve accertarsi se siano state osservate le forme prescritte ». Ai sensi, invece, del secondo comma, (il prefetto) può negare la esecuti vità dei contratti « quantunque riconosciuti regolari » per gravi motivi di interesse dell'ente ovvero per altri gravi motivi di inte resse generale.
Innegabilmente sembra sia senz'altro da escludere in questa ultima parte dell'art. 296 la previsione di una ipotesi di controllo, dal momento che il provvedimento negativo può intervenire an che su contratti « riconosciuti regolari », ed altresì' per la tutela
di interessi non necessariamente appartenenti all'ente. Sicché si fanno evidenti i dubbi sulla sopravvivenza di questa particolare norma o, quanto meno, sulla sua legittimità costituzionale, e, in
ogni caso, sull'appropriabilità da parte dell'ente regionale, e ancor
più del suo organo di controllo, di un siffatto eccezionale potere. Del tutto diversa, innanzi tutto proprio perché priva di quel
tratto di eccezionalità, è invece la previsione del primo comma, nell'ambito della quale non sembra, infatti, impossibile riscontrare le tracce di una funzione di controllo successivo, ancorché ano malo. Né appaiono decisive le argomentazioni svolte dalla difesa
dell'appellante in senso contrario, e secondo cui a tale qualifica zione soprattutto si opporrebbero la discrezionalità del potere di visto e il carattere meramente « esecutivo » del contratto. Invero di discrezionalità del potere di visto è a parlarsi soltanto nell'am bito della ipotesi contemplata nel terzo comma, non anche in
quella ora in esame, nella quale, inoltre, è configurato un sinda cato di mera legittimità, e non esteso anche al merito, per di più limitato ai soli profili attinenti alla regolarità del procedimento di formazione della volontà contrattuale dell'ente. Né è propria mente esatto dire che il controllo verrebbe ad esplicarsi su un atto meramente esecutivo, perché suo oggetto, sempre nella ipo tesi qui considerata, è essenzialmente il procedimento amministra tivo che per l'appunto conclude alla stipula del contratto.
In relazione alla fattispecie normativa da ultimo considerata, e che è propriamente quella che trova applicazione nella contro
versia in esame, si vanno però profilando contrasti anche nell'am
bito della stessa giurisprudenza di questo consiglio. Infatti, seb bene chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un diniego di
visto adottato ai sensi del 3° comma dell'art. 296, questa sezione, con decisione 6 giugno 1978, n. 533 (id., Rep. 1978, voce Con tratti della p.a., nn. 41, 42), si è implicitamente espressa sia sulla
sopravvivenza di detto articolo nel suo complesso, sia sulla inter
venuta appropriazione da parte dell'organo regionale di controllo
dei poteri di visto in esso contemplati. Per contro la sezione V, con decisione 20 gennaio 1978, n. 73 (ibid., voce Comune, nn. 117, 160) pronunciandosi in materia diversa, ma affine, ossia in una
fattispecie applicativa dell'art. 286 dello stesso t. u. 3 marzo 1934 n. 383, che subordina ad approvazione (del prefetto) l'inoltro de
gli inviti a partecipare alle gare di aggiudicazione dei contratti co
vità dei comitati regionali di controllo, nulla prevedono sul punto specifico.
In dottrina, oltre la sopra citata nota di Marpillero, v. an
che, in generale, Paladin, Manuale di diritto regionale, 1979, 203; Gizzi, Manuale di diritto regionale, 1976, 475; e, più in particolare, De Gaetano, Il controllo sui contratti degli enti locali, in Nuova
rass., 1978, 1205; F. G. Scoca, Controlli sui contratti delle regioni e degli enti locali, in Atti del XX Convegno di studi di scienza del
l'amministrazione, 1977, 104; Castiglione, Il visto di esecutività nel sistema costituzionale, in Cons. Stato, 1976, II, 459.
munali, ha affermato, svolgendo per altro argomentazioni d'ordi
ne più generale, che siffatta forma di controllo anomalo né è ri
masta nella sfera di competenza statale, e nemmeno è inquadra bile nel nuovo sistema dei controlli regionali.
Siffatto potenziale contrasto di giurisprudenza, e però anche la
particolare rilevanza della questione di massima proposta con il
motivo di appello in esame, che altresì coinvolge anche problemi
dj giurisdizione, impongono la rimessione degli atti all'adunanza
plenaria. Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO; Sezione IV; ordinanza 13 novembre
1979, n. 995; Pres. Mezzanotte, Rei. Lignani; Regione To
scana e altro (Avv. Narese) c. Soc. Bellavista (Avv. Sparnacci).
Regione — Deliberazione — Sottoposizione tardiva al controllo
statale — Retroattività dell'approvazione — Rimessione della
questione all'adunanza plenaria. Giustizia amministrativa — Appello — Mera riproposizione dei
motivi dedotti in primo grado — Ammissibilità — Rimessio
ne della questione all'adunanza plenaria (Legge 6 dicembre
1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art. 35).
È opportuno rimettere all'adunanza plenaria la questione della
retroattività o meno del controllo positivo di una deliberazione
regionale, quando essa sia stata inviata solo tardivamente alla
compatente commissione statale (nella specie, perché, trattan
dosi di provvedimento del presidente della giunta, la regione lo riteneva non sottoponibile al controllo statale). (1)
E opportuno rimettere all'adunanza plenaria la questione del
l'ammissibilità o meno dell'appello, quando vengano meramen
te riproposti i motivi di impugnazione del provvedimento de
dotti nel ricorso di primo grado senza una confutazione degli
argomenti con i quali il tribunale amministrativo regionale li
aveva respinti. (2)
(1) La questione è già stata rimessa all'adunanza plenaria da Sez.
IV, ord. 13 febbraio 1979, n. 86, Foro it., 1979, III, 505, eon nota
di richiami, in relazione ad una fattispecie nella quale la regio ne non aveva inviato tempestivamente alla competente commis
sione statale di controllo la propria deliberazione, perché riteneva
phe per i suoi caratteri essa sfuggisse a questo controllo (delibe razione con la quale il consiglio della Regione Emilia-Romagna adotta gli indirizzi politici e amministrativi ai quali la giunta e il suo
presidente si devono attenere nell'esercizio dei poteri di loro compe tenza in materia di edilizia residenziale pubblica: in proposito, cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 30 maggio 1978, n. 494, id., 1979, III, 158, con nota di richiami).
Sulla questione presupposta dall'ordinanza che ora si riporta, la
tesi secondo la quale anche gli atti del presidente della giunta regio nale sono sottoposti al controllo statale è stata affermata dalla Corte
costituzionale con sentenze 1° giugno 1979, nn. 38 e 39, id., 1979, I, 1951, con ampi richiami della giurisprudenza amministrativa già orientatasi in tal senso (ai quali adde Cons. Stato, Sez. IV, 6 aprile 1979, n. 257, Cons. Stato, 1979, I, 500), e con rilievi critici di G. Volpe, perché l'affermazione della Corte costituzionale sarebbe stata formu lata in termini troppo generali, non tenendo conto della distinzione, rilevata da tale giurisprudenza amministrativa, tra atti del presidente della giunta aventi un proprio contenuto decisionale, e perciò soggetti a controllo statale, e atti del presidente della giunta meramente ese cutivi di precedenti deliberazioni di giunta (eventualmente di consi
glio), a loro volta sottoposte a controllo, che per questo loro carat tere a tale controllo dovrebbero sfuggire.
Per altri riferimenti, Cons. Stato, Sez. IV, 13 novembre 1979, n.
1009, ibid., 1604, che interpreta l'art. 49 legge 10 febbraio 1953 n.
62, costituzione e funzionamento degli organi regionali, secondo il
quale le deliberazioni regionali dichiarate immediatamente esegui bili col voto favorevole della maggioranza pssoluta dei membri asse
gnati al collegio giudicante, «... si intendono decadute » se inviate al la commissione statale di controllo oltre il termine di tre giorni dalla loro adozione, nel senso che esse acquistano efficacia solo dopo il
ventesimo giorno dal loro invio a tale commissione, in conformità al
regime normale.
(2) Nel senso della inammissibilità dell'appello col quale vengano riproposte le censure originariamente rivolte al provvedimento impu gnato, senza precisare i motivi di critica alla sentenza appellata, Cons.
Stato, Sez. IV, 1° aprile 1980, n. 326, Settimana giur., 1980, I, 138; Sez. VI 10 aprile 1979, n. 265, Cons. Stato, 1979, I, 571; Sez. IV 16 maggio 1978, n. 1280, Foro it., Rep. 1978, voce Giustizia am
ministrativa, n. 899; 20 dicembre 1977, n. 1280, ibid., n. 892. Sem
pre secondo l'orientamento per il quale l'oggetto del giudizio di ap
pello sarebbe la sentenza appellata, cfr. anche Sez. IV 30 agosto 1977, n. 762, id., Rep. 1977, voce cit., n. 1156; per altri riferimenti, sotto
diverso profilo, v. Sez. V 28 gennaio 1977, n. 45, ibid., n. 1160.
Per l'opposto orientamento, secondo il quale il giudizio di appello
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
La Sezione, ecc. — Il primo motivo dell'appello principale si
riferisce alla asserita improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto la società ricorrente in primo gra do avrebbe medio tempore prestato acquiescenza agli atti impu
gnati concordando l'indennità di esproprio. La sezione osserva che tale situazione non sembra. di per sé
sufficiente a rendere improcedibile il ricorso di primo grado,
quanto meno perché tra gli atti impugnati vi è un decreto di oc
cupazione d'urgenza, che non risulta dagli atti essere stato emesso
in corso di giudizio e che è stato riconosciuto illegittimo dal T.A.R.
Ora, questa sezione ha già affermato (27 settembre 1977, n. 777, Foro it., Rep. 1977, voce Espropriazione per p. i., n. 681), che
l'amichevole definizione della procedura d'esproprio non esclude
di per sé che sopravviva interesse alla controversia circa la legit timità dell'occupazione d'urgenza, per le pretese risarcitone che
ne possono derivare.
Prendendo dunque in esame il resto dell'appello, si osserva
quanto segue. Il T.A.R. ha ritenuto illegittimo il decreto di occupazione di
urgenza perché emanato quando ancora non era perfezionata la
relativa variante allo strumento urbanistico; più precisamente,
quando il decreto di approvazione era ancora inefficace perché non ancora sottoposto al controllo della competente commissione
governativa. Le amministrazioni appellanti dimostrano che il con
trollo è intervenuto dopo la pubblicazione della sentenza, e invo
cano il noto principio della efficacia retroattiva del controllo.
Questa sezione ricorda, in proposito, la propria giurisprudenza (es. dee. 6 dicembre 1977, n. 1129, id., 1978, III, 516), secondo
la quale anche gli atti di organi monocratici delle regioni, quan do non siano meramente applicativi di altri provvedimenti, sono
soggetti a controllo. La sentenza in esame è conforme a questo orientamento, e del resto su questo punto non è stato fatto ap
pello; anzi la regione si è adeguata, provocando, dopo la pro nuncia della sentenza, l'atto di controllo che il T.A.R. aveva ri
tenuto necessario.
Resta ancora da vedere quali siano gli effetti della tardiva sot
toposizione al controllo.
Questa sezione si è già occupata della questione (dee. 30 mag
gio 1978, n. 494, id., Rep. 1978, voce Regione, nn. 190, 237, 299), in relazione ad una mozione del consiglio regionale dell'Emilia
Romagna deliberata il 12 luglio 1972 ma inviata alla commissione
di controllo solo il 10 ottobre 1975 (e cioè circa tre anni e tre
mesi dopo). In quella occasione la sezione cosi decise: « Con
l'esaurimento della predetta fase (di controllo) l'efficacia della
delibera retroagisce al momento della sua adozione, sanando cosi
i vizi degli atti già adottati rispetto ai quali si poneva come
atto presupposto ».
La sezione si pone ora il problema se mantenere quest'ultimo indirizzo giurisprudenziale, ovvero mutarlo. Ed invero, la retro
attività degli effetti dell'atto di controllo è certamente ragione vole ed opportuna quando il procedimento abbia avuto uno svol
gimento normale e l'autorità emanante abbia provocato tempesti vamente il controllo; può invece non sembrare ugualmente ragio nevole e opportuna quando l'autorità emanante abbia trascurato
(sia pure ingannandosi in buona fede circa la natura dell'atto)
sarebbe un giudizio rinnovato sulla legittimità del provvedimento im
pugnato, nel senso che le censure eventualmente rivolte alla sentenza
appellata sono solo strumentali e indirette, al fine della riproposizione dei motivi di ricorso contro il provvedimento, Sez. VI 19 ottobre
1979, n. 711, e Sez. IV 27 settembre 1979, n. 738, Cons. Stato, 1979, I, 1427 e 1220; nel senso che non è necessaria l'indicazione dei vizi d'ai quali sarebbe affetta la sentenza appellata, perché è suffi ciente la richiesta di riesame delle questioni sollevate in primo grado, Cons, giust. amm. sic. 4 maggio 1979, n. 82, ibid., 820; nel senso che è sufficiente la riproduzione in appello delle' censure prospettate in
primo grado, Sez. V 25 gennaio 1980, n. 63, id., 1980, I, 58; nel
senso che il giudice di appello non deve darsi carico delle censure
rivolte alla sentenza appellata, perché deve portare il proprio esame
diretto sulle questioni proposte in primo grado, e riproposte in se
condo grado, Sez. V 4 novembre 1977, n. 960, Foro it., Rep. 1978, voce cit., n. 890; Cons, giust. amm. sic. 27 giugno 1978, n. 156,
ibid., n. 891; 19 aprile 1977, n. 74, id., Rep. 1977, voce cit., n. 1162;
Sez. V 15 febbraio 1977, n. 156, ibid., n. 1161; cfr. anche Sez. V
29 aprile 1977, n. 394, ibid., n. 1159, nonché 22 aprile 1976, n. 669
(id., 1977, III, 26, con nota di richiami) nel senso che il giudice di appello deve valutare la legittimità del provvedimento impugnato sotto i profili dei motivi proposti e disattesi in primo grado, anche
se essi in secondo grado siano stati riproposti solo indirettamente,
ossia solo attraverso la critica della sentenza appellata che li ha di
chiarati infondati. Per altri riferimenti, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 febbraio 1979,
n. 70, id., 1980, III, 11, con nota di richiami, che ha affermato
l'inammissibilità per difetto di interesse dell'appello che non censuri
tutti i motivi sulla base dei quali la sentenza appellata ha annullato
il provvedimento impugnato in primo grado.
di provocare il controllo, ed abbia nondimeno messo in esecu zione il proprio provvedimento, ovvero abbia emanato (o fatto emanare da altri enti) una serie di provvedimenti conseguenziali. Ammettendo infatti la possibilità di sottoporre al controllo gli atti, senza limiti di tempo, e di renderli in tal guisa sempre esecu tivi ex tunc, si finirebbe col legittimare il comportamento di una
ipotetica amministrazione che trascuri sistematicamente di inviare
gli atti al controllo, provvedendovi solo a posteriori quando l'inos servanza sia stata rilevata da un ricorrente e riconosciuta dal giu dice; con evidenti distorsioni delle funzioni amministrative.
Si potrebbe dunque prospettare una interpretazione della legge nel senso che le amministrazioni sono tenute ad inviare gli atti al controllo entro un termine (da individuare ermeneuticamente o con riferimento alla emanazione degli atti conseguenziali o an che per analogia col termine imposto all'organo di controllo per la propria decisione) con la conseguenza che in caso d'invito
tempestivo l'acquisto della esecutività sarebbe pienamente retro
attivo, e, in caso contrario, l'esecutività non potrebbe risalire che al momento del superamento del controllo, o, quanto meno, a
quello dell'invio alla commissione.
Si potrebbe anche prospettare una soluzione intermedia, nel
senso di riconoscere bensì effetto retroattivo al controllo (con de
correnza dal momento della deliberazione dell'atto controllato), ma facendo salvi, nell'ipotesi di invio tardivo, i diritti acquisiti nel frattempo: ad esempio, il diritto al risarcimento del danno
derivante da una occupazione d'urgenza fondata su un atto pre
supposto (dichiarazione d'indifferibilità) inefficace, per mancato
controllo, al momento dell'occupazione. Le questioni cosi poste possono dar luogo a contrasti giurispru
denziali e pertanto ricorre l'ipotesi che giustifica il deferimento
della controversia all'adunanza plenaria, ai sensi dell'art. 45, 2°
comma, t. u. n. 1054/24, nel testo determinato con legge 21 di
cembre 1950 n. 1018.
11 rinvio all'adunanza plenaria appare necessario anche per
quanto riguarda la questione dell'ammissibilità dell'appello inci
dentale della soc. Bellavista, secondo quanto eccepito dalle am
ministrazioni appellanti principali. La questione riguarda la validità dell'atto di appello sotto il
profilo della esistenza dei motivi d'impugnazione. Si dà, in punto di fatto, che i motivi di appello della soc. Bellavista consistano
nella trascrizione letterale di tutti i motivi proposti in primo
grado, tranne ovviamente il solo che è stato accolto; riproponen do codesti motivi, la società Bellavista non si è data minimamente
carico di confutare o comunque in qualche modo criticare le com
piute argomentazioni con cui il tribunale li aveva respinti.
Ora, questa sezione ha già affermato che nel giudizio d'appello l'atto impugnato non è il provvedimento amministrativo, ma la
sentenza di primo grado, cosicché il principio della specificità dei motivi impone all'appellante una precisa indicazione delle
censure, concernenti in primis la sentenza (dee. 16 maggio 1978,
n. 464, id., Rep. 1978, voce Giustizia amministrativa, n. 899). Al
tra volta questa sezione ha dichiarato inammissibile un motivo di
appello consistente nella mera riproposizione di un motivo del
ricorso di primo grado, essendosi l'appellante limitato a definire
« non appagante » la motivazione della sentenza appellata sul
punto, senza svolgere alcun riscontro o confronto con la motiva
zione del rigetto, e perciò senza specificare le ragioni per cui
quella motivazione si dovesse ritenere insufficiente (dee. 30 ago sto 1977, n. 762, id., Rep. 1977, voce cit., n. 1156).
Sembra invece che la sezione V sia di diverso avviso; essa ha
ripetutamente affermato (v. da ultimo dee. 15 febbraio 1977, n.
128 e 29 aprile 1977, n. 394, ibid., nn. 1161, 1159) che ai fini
dell'ammissibilità dell'appello non è necessario individuare spe
cifici vizi di ragionamento della sentenza impugnata, essendo suf
ficienti il fatto della soccombenza e l'allegazione della ingiustizia
della soluzione accolta dal primo giudice. In realtà, le contrastanti soluzioni giurisprudenziali bene ri
specchiano la effettiva dubbiezza della questione.
La soluzione più rigorosa (quella della inammissibilità di ap
pelli siffatti) risponde opportunamente all'esigenza che non si
propongano impugnazioni meramente pretestuose e defatigatorie,
e, costringendo le parti ad esporre argomentatamente le proprie
critiche alla sentenza, li costringe prima di tutto ad interrogarsi
circa la sostenibilità delle proprie tesi, a tutto vantaggio della se
rietà del giudizio amministrativo.
La soluzione contraria, d'altro cantò, sembra trovare un certo
fondamento nell'art. 35 legge n. 1034 del 1971, il quale sembra
configurare due diversi tipi di appello, l'uno cassatorio, che tende
all'annullamento con rinvio, l'altro devolutivo, che tende ad una
nuova decisione « sulla controversia », nella prima ipotesi oggetto
del giudizio sarebbe la sentenza, nel secondo lo stesso provvedi
mento impugnato in primo grado. Non si può, inoltre, negare che
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PARTE TERZA
in molti casi la controversia s'incentra su una questione di diritto
compiutamente esposta e correttamente impostata nel motivo di
primo grado, sicché l'appellante, invocando il giudizio del giu dice di seconda istanza, non può far altro che prospettargli la
questione negli stessi termini. In tale ipotesi, seguire la tesi del
l'inammissibilità significherebbe, in pratica, costringere l'appel lante a fare la perifrasi del primo ricorso, a rischio di perdere in
chiarezza e concisione, e costringere il giudice di secondo grado a dichiarare inammissibili appelli che peraltro offrono elementi
sufficienti per l'esame del merito, e per l'accoglimento. A sostegno della tesi meno rigorosa, inoltre, si può dire che
l'esigenza di porre ostacolo alle impugnazioni pretestuose e defa
tigatorie è comunque fatta salva, perché l'appellante negligente, non fornendo al giudice d'appello valide ragioni per una riforma
della sentenza, si espone al rigetto dell'appello. In questa situazione di dubbio, è necessario, come si è detto,
provocare la pronuncia chiarificatrice dell'adunanza plenaria. Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO; Sezione VI; decisione 26 ottobre 1979, n. 719; Pres. Anelli, Est. Maffezzoni; Gasperi Campani (Avv.
Lessona) c. Università degli studi di Firenze, Min. pubblica istruzione (Avv. dello Stato Marzano). Annulla T.A.R. Toscana
11 novembre 1976, n. 519.
Istruzione pubblica — Università — Attribuzione di retribuzio
ne di direttore di istituto — Diniego — Istituto costituito con
deliberazione del consiglio di facoltà — Illegittimità — Mancan
za di previsione statutaria — Irrilevanza (R. d. 31 agosto 1933
n. 1592, t. u. delle leggi sull'istruzione superiore, art. 18, 49,
53, 84; legge 26 gennaio 1962 n. 16, provvidenze a favore del
personale insegnante delle università e degli istituti di istru
zione superiore, e del personale scientifico degli osservatori
astronomici e dell'osservatorio vesuviano, art. 2; legge 18 feb
braio 1963 n. 377, modifiche alla legge 26 gennaio 1962 n. 16,
art. 1).
£ illegittimo il diniego di attribuzione ad un professore universi
tario del parametro retributivo previsto per i direttori di isti
tuto, anche se questo risulti istituito solo con deliberazione del
consiglio di facoltà, e manchi la corrispondente norma statu
taria (in motivazione, è affermato anche che comunque tale pa rametro retributivo spetta al professore universitario al quale sia stata affidata la direzione di un istituto con deliberazione
del consiglio di facoltà non annullata, anche se in ipotesi ille
gittima). (1)
La Sezione, ecc. — 1 - Deve essere preliminarmente rilevato che l'eccezione di avvenuto passaggio in giudicato della sentenza
appellata, proposta nella memoria dd. 12 marzo 1979 dall'avvoca
tura dello Stato, non è fondata, in quanto l'atto d'appello risulta
tempestivamente e ritualmente notificato in data 27 e 28 gennaio 1977, rispettivamente all'Università degli studi di Firenze, in
persona del rettore e al ministero della pubblica istruzione, in
persona del ministro, entro il prescritto termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza impugnata, avvenuta in data 29 no vembre 1976.
Si deve pertanto procedere all'esame dei motivi dell'appello. II - Con il primo motivo dell'appello, sostanzialmente identico
all'unico motivo del ricorso di primo grado, l'appellante deduce, da un lato, che l'istituto di costruzioni forestali, presso la facoltà di agraria dell'Università di Firenze, al quale egli era stato pre posto, era stato legittimamente costituito, anche in assenza di una sua espressa menzione nello statuto dell'università e, dall'altro
lato, che tale istituto, anche a prescindere dalla legittimità della sua costituzione, era stato effettivamente costituito, aveva effet tivamente operato sotto la sua direzione e responsabilità e ciò co stituiva condizione necessaria e sufficiente per rendere legittima l'attribuzione a suo favore del parametro 443, ai sensi dell'art. 2
(1) La sentenza ora annullata, T.AjR. Toscana 11 novembre 1976, n. 519, è riportata in Foro it., 1978, III, 331, con nota di richiami.
La questione centrale riguarda la possibilità di istituire un istituto universitario solo con deliberazione del consiglio di facoltà, invece che con il ben più complesso procedimento di modificazione dello statuto dell'università. Al riguardo, Corte conti, Sez. contr., 20 gen naio 1977, n. 738, id., Rep. 1977, voce Istruzione pubblica, n. 78, ha dichiarato la illegittimità della costituzione di un nuovo istituto scientifico, in contrasto con le norme dello statuto dell'ateneo, sulla base di una semplice deliberazione del consiglio di amministrazione dell'ateneo stesso.
legge n. 16 del 1962, nel testo sostituito dall'art. 1 legge n. 377
del 1963.
Il motivo è fondato.
È pacifico in causa che l'istituto di costruzioni forestali presso la facoltà di agraria dell'Università di Firenze, per quanto non
previsto direttamente nello statuto, era stato effettivamente co
stituito, quanto meno dal 9 settembre 1971, reso beneficiario di
appositi contributi di funzionamento, dotato di proprie attrez
zature e di una propria sede e che alla direzione di esso era stato
proposto, per incarico, il prof. Italo Gasperi Campani con deli
bera dd. 21 dicembre 1973 del consiglio di facoltà, espressamente richiamata dal successivo decreto rettorale 18 giugno 1974 n. 1370.
Risulta altresì' pacifico in causa che il predetto istituto, quanto meno dalla data in cui vi fu preposto il Gaspari Campani, è stato
effettivamente operante: lo si evince dalle delibere del consiglio di facoltà dd. 7 marzo 1974 (che assegna all'istituto un fondo di
dotazione ordinaria di lire 2.450.000 per l'a.a. 1973-74), dd. 27
maggio 1974 (che rileva la necessità dell'istituto di disporre i nuo
vi locali per il proprio funzionamento e prospetta le iniziative
opportune per soddisfarla), dd. 5 novembre 1974 (che prevede
l'assegnazione all'istituto di personale tecnico e ausiliario) e dalle note rettoriali dd. 22 novembre 1974 n. 11003 e 1° agosto 1975 n.
6961, che autorizzano l'istituto all'acquisto di nuova attrezza
tura; lo si evince altresì' dalla nota rettorale dd. 22 ottobre 1975
n. 13844, diretta all'avvocatura dello Stato, nella parte in cui ri
leva l'inesistenza di interesse dell'università alla reiezione della
domanda proposta in questo giudizio dall'appellante, nella sua
qualità di direttore dell'istituto.
Da tale situazione deriva: innanzitutto, che la delibera 21 di cembre 1973 del consiglio della facoltà di agraria, la quale ha
conferito all'appellante l'incarico della direzione dell'istituto di costruzioni forestali, anche a prescindere dalla sua controversa
legittimità, ha prodotto ogni possibile effetto e non è mai stata
revocata o annullata o comunque resa inefficace da parte degli organi competenti; in secondo luogo, che la delibera stessa, per tutto il periodo di tempo in cui la sua efficacia perdura, costituisce
presupposto necessario e sufficiente per legittimare l'attribuzione
all'appellante del parametro 443, ai sensi dell'art. 2 legge n. 16 del 1962, nel testo sostituito dall'art. 1 legge n. 377 del
1963; in terzo luogo, che per tutto il predetto periodo di
tempo, l'appellante deve considerarsi titolare del diritto sogget tivo all'attribuzione del parametro precitato e alla corrispondente retribuzione e, correlativamente, l'amministrazione deve conside rarsi vincolata al soddisfacimento di tale diritto.
La sentenza appellata, nell'escludere il diritto del ricorrente,
quale direttore d'istituto universitario, al parametro 443, per ef fetto della ritenuta illegittimità della delibera del consiglio di facoltà concernente il conferimento dell'incarico di direzione, non ha considerato, da un lato, che tale supposta illegittimità, fino a
quando non seguita da annullamento, disposto dagli organi com
petenti, non era e non è idonea a pregiudicare l'efficacia della
delibera e, dall'altro lato, che l'art. 2 legge n. 16 del 1962, nel testo sostituito dall'art. 1 legge n. 377 del 1963 collegava e col
lega l'attribuzione del parametro 443 alla semplice esistenza della
qualifica di direttore d'istituto universitario e pertanto alla sola efficacia del provvedimento di conferimento del relativo incarico.
Si deve poi aggiungere che la tesi della sentenza appellata, se condo cui la costituzione di istituti universitari è inammissibile, senza un'espressa previsione dello statuto universitario, non può, allo stato attuale della legislazione universitaria, essere condivisa.
Si osserva, al riguardo, che l'art. 18 t. u. n. 1592 del 1933 de manda allo statuto universitario l'individuazione delle materie
d'insegnamento, le quali, a loro volta, debbono distinguersi in
fondamentali, nel senso di componenti obbligatorie del programma d'insegnamento, e complementari, nel senso di componenti entro certi limiti, facoltative dello stesso programma, e che gli art. 49, 53 e 84 dello stesso t. u. prevedono gli istituti universitari come strutture amministrative, didattiche e scientifiche puramente sus sidiarie dell'attività d'insegnamento. In tale situazione l'iniziati va della costituzione degli istituti universitari non può dipendere unicamente dalla previsione di una data materia d'insegnamento in uno statuto universitario, ma deve dipendere altresì' da una
doppia scelta che, dovendo rapportarsi a esigenze didattiche mu
tevoli, e comunque insuscettibili di essere soddisfatte mediante mutamenti dello statuto universitario, che richiedono tempi lun
ghi e svolgimento di procedure di sproporzionata complessità, deve essere necessariamente affidata agli organi accademici pre posti alla normale gestione dell'università (consiglio di facoltà, senato accademico, consiglio d'amministrazione, rettore): trattasi
della scelta della materia d'insegnamento, al cui servizio deve es
sere destinato l'istituto (monocattedra o policattedra) e della scel ta delle materie d'insegnamento che, non costituendo componenti
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