Dipartimento di Scienze Mediche di Base, Neuroscienze e Organi di SensoUniversità di Bari "A. Moro"
Dipartimento interdisciplinare di Medicina,Università di Bari “A. Moro”
Dipartimento di Scienze e tecnologie Biologiche ed Ambientali (DISTEBA), laboratorio di Biochimica e Biologia MolecolareUniversità del Salento – Lecce
Istituto di Fisiologia Clinica, CNR – Lecce
Progetto Strategico POR CIP_PS101
CORSO DI FORMAZIONE “VALUTAZIONE NUTRIZIONALE E SALUTISTICA DI PRODOTTI AGROALIMENTARI”
Relazione finale
Formanda:Mariangela Pellegrino
23 novembre 2012
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INDICE
1. Analisi chimica dei costituenti minori degli oli extravergine di oliva pag.3
2. Valutazione chimica e biologico molecolare del valore antiossidante dei costituenti minori e
dell’impatto sulla bioenergetica cellulare pag.16
3. Valutazione clinica del potere salutistico degli oli extravergine di oliva pag.30
4. Valutazione organolettica sensoriale: pregi e difetti dell’olio extravergine di oliva pag.41
5. Procedure per la produzione dell’olio extravergine di oliva pag.55
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Analisi chimica dei costituenti minori degli oli extra-vergine di oliva
L’olio extra-vergine di oliva, una delle principali fonti di grassi della Dieta Mediterranea, ha una
composizione chimica peculiare ed una qualità nutrizionale superiore rispetto agli oli ottenuti dai
semi. E’costituito per il 95-98% dai trigliceridi insieme ad una piccola quota di digliceridi e
monogliceridi, che rappresentano la frazione saponificabile (solubile), e per circa il 2% da composti
minori che rappresentano la frazione insaponificabile (insolubile). Questi ultimi sono diversi
qualitativamente e quantitativamente e conferiscono ai diversi oli caratteristiche organolettiche,
nutrizionali, dietetiche e merceologiche diverse.
Gli acidi grassi presenti nei trigliceridi dell’olio extra-vergine di oliva sono in prevalenza
monoinsaturi ma sono presenti, anche se in minori concentrazioni, saturi e polinsaturi.
Gli acidi grassi più rappresentativi sono i saturi palmitico (C16:0) e stearico (C18:0), i monoinsaturi
palmitoleico (C16:1) ed oleico (C18:1) ed i polinsaturi linoleico (C18:2) e linolenico (C18:3). Questi ultimi
sono acidi grassi essenziali, rispettivamente precursori degli acidi grassi ω -6 ed ω -3, e devono
essere introdotti con l’alimentazione in quanto l’organismo umano non è in grado di sintetizzarli.
I composti minori dell’olio extra-vergine di oliva (più di 230 sostanze chimiche diverse) hanno un
ruolo importante sia da un punto di vista nutrizionale-salutistico che organolettico. Sono:
fosfolipidi, cere, sfingolipidi, idrocarburi, tocoferoli, alcoli alifatici superiori, steroli, metilsteroli,
alcoli diterpenici e triterpenici, vitamine, pigmenti e ubichinoni.
1. Fosfolipidi : Fosfatidilcolina, fosfatidiletanolammina. Derivati dell’acido glicerofosforico,
presenti in quantità variabili ma mai elevate.
2. Cere : Miscele complesse di esteri di acidi grassi a lunga catena con alcoli superiori.
Costituiscono il rivestimento protettivo della drupa
3. Sfingolipidi : Ammidi di acidi grassi con basi a lunga catena
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4. Idrocarburi : Costituiscono oltre il 50% della frazione in saponificabile. Tra gli idrocarburi
saturi il nonacosano è il predominante, tra gli insaturi il componente più abbondante è lo
squalene (precursore biosintetico di tutti gli steroli).
5. Tocoferoli : α-, β - e γ -tocoferolo. Sono responsabili della stabilità ossidativa dell’olio.
6. Alcoli alifatici superiori : Docosanolo, tetracosanolo, esacosanolo. Si trovano prevalentemente
esterificati con acidi grassi e formano le cere che ricoprono il frutto.
7. Steroli : β -sitosterolo si oppone all’assorbimento intestinale del colesterolo.
Campesterolo, stigmasterolo, ∆ 5-avenasterolo.
8. Metilsteroli : Obtusifoliolo, gramisterolo, citrostadienolo, isocitrostadienolo.
Presenti in quantità molto basse (circa 150 ppm).
9. Alcoli terpenici : Alcoli diterpenici, triterpenici, dialcoli triterpenici.
Il cicloartenolo (alcool triterpenico) favorisce l’eliminazione del colesterolo in seguito
all’aumento della secrezione degli acidi biliari.
Eritrodiolo ed uvaolo (dialcoli triterpenici) provengono dalla buccia.
10. Vitamine : Liposolubili (A, D, PP, H).
11. Pigmenti : Carotenoidi (β -carotene, luteina) responsabili delle tonalità gialle dell’olio.
Clorofille (clorofilla, feofitine) responsabili delle tonalità verdi.
12. Ubichinoni : Coenzima Q10 presente in quantità variabili da 0 a 40 ppm.
Chimicamente costituiti da un nucleo 2,3-dimetossi-5-metilbenzochinone con una catena
laterale (in posizione 6) formata da 6 a 10 unità isopreniche.
Nella frazione insaponificabile dell’olio extra-vergine di oliva sono presenti antiossidanti naturali
rappresentati da caroteni, tocoferoli e sostanze fenoliche idrofiliche responsabili delle proprietà
salutistiche dell’olio extra-vergine di oliva.
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Mediamente la quantità di sostanze fenoliche presenti nell’olio extra-vergine di oliva oscilla tra 60 e
400 mg/Kg.
I composti fenolici dell’olio extra-vergine di oliva si originano durante il processo di estrazione
meccanica dell’olio (principalmente durante la frangitura e la gramolatura) a partire da glucosidi
complessi presenti nelle olive (oleuropeina e dimetiloleuropeina) grazie all’azione di enzimi
idrolitici, le β -glucosidasi. Questi composti glucosidici sono anche i responsabili del sapore
amaro delle olive.
La composizione in sostanze fenoliche dell’olio vergine ed extra-vergine di oliva dipende da
molteplici fattori, tra i quali il cultivar, il metodo di coltivazione, il grado di maturazione della
drupa, la tecnica di estrazione, la modalità di conservazione dell’olio.
I composti fenolici e polifenolici dell’olio extra-vergine di oliva, detti anche biofenoli, sono stati
individuati più di 100 anni fa dal chimico italiano Canzonieri (1906)(1) e da allora le ricerche sono
aumentate portando alla conoscenza delle principali strutture chimiche (2)(3). Attualmente i
biofenoli dell’olio extra-vergine di oliva vengono distinti in cinque classi principali:
1. Acidi fenolici e derivati : acido vanillico, acido caffeico, acido siringico, acido p-cumarico,
acido o-cumarico, acido gallico, acido benzoico, acido p-idrossibenzoico, acido ferulico, acido
cinnamico.
2. Alcoli fenolici : Idrossitirosolo (3,4-DHPEA), Tirosolo (p-HPEA), 3,4-diidrossifeniletanolo
glucoside
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3. Secoiridoidi : Oleuropeina aglicone, Oleuropeina, Ligstroside aglicone, Ligstroside
4. Lignani : Acetossipinoresinolo, Pinoresinolo, Idrossipinoresinolo
5. Flavonoidi : Apigenina, Luteolina
Sperimentalmente è stato dimostrato che l’idrossitirosolo e le molecole che nella loro struttura
presentano gruppi ossidrilici in posizione 3 e 4 dell’anello benzenico hanno una capacità
antiossidante superiore. Inoltre, l’HT aumenta la stabilità ossidativa degli oli in fase di
conservazione e manifesta una serie di proprietà salutistiche di grande interesse.
Per poter estrarre le sostanze fenoliche dall’olio di oliva vengono utilizzate sostanzialmente due
tecniche: l’estrazione liquido-liquido (LLE), in cui sono impiegate differenti miscele di solventi, e
l’estrazione su fase solida (SPE), con varie fasi stazionarie e miscele eluenti.
Tutte le tecniche LLE riportate in letteratura prevedono l’utilizzo di una miscela di metanolo e
acqua; l’unica differenza tra questi metodi, riguarda la quantità di acqua presente nella miscela che
va dallo 0% al 40%. In alcuni casi prima di procedere con l’estrazione LLE viene aggiunto all’olio
di oliva un solvente lipofilico che può essere l’esano (nella maggior parte dei casi) o l’etere di
petrolio o il cloroformio; tale aggiunta viene effettuata al fine di migliorare la capacità di recupero
delle sostanze fenoliche.
Attualmente la maggior parte dei protocolli di LLE prevedono che l’aliquota di olio di oliva venga
disciolta in esano e poi venga aggiunta la soluzione metanolo/acqua. La miscela ottenuta viene
agitata su vortex per un minuto ed in seguito centrifugata a 3000 g per 5 minuti. Dopo la
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Idrossitirosolo
(3,4 diidrossifeniletanolo)
Tirosolo
(p-idrossifeniletanolo)
Idrossitirosolo
(3,4 diidrossifeniletanolo)
Tirosolo
(p-idrossifeniletanolo)
centrifugazione viene recuperata la fase idroalcolica nella quale sono presenti le sostanze fenoliche
(l’estrazione viene ripetuta per 2 volte).
La frazione fenolica estratta viene concentrata sotto vuoto a 35 oC mediante evaporatore rotante (es.
ROTAVAPOR); questa apparecchiatura viene utilizzata comunemente per allontanare i solventi da
un composto di interesse tramite evaporazione a bassa pressione.
L’estratto fenolico, dopo essere stato risospeso in una soluzione metanolo/acqua, viene filtrato (con
filtro da 0,45 µm) e conservato a -20 oC.
L’estrazione delle sostanze fenoliche dalla matrice oleosa condotta su fase solida viene effettuata
utilizzando come fase adsorbente delle cartucce C18 (Octadecil-silano) e come solvente di eluizione
il metanolo o l’acetonitrile.
Dal confronto tra i due metodi utilizzati per estrarre i composti fenolici dall’olio extra-vergine di
oliva sono emersi risultati contrastanti. Alcuni autori (Servili et al., 1999) (4) hanno dimostrato che
l’estrazione in fase liquida condotta con metanolo/acqua è molto più efficiente nel recupero dei
derivati dei secoiridoidi, mentre lo è molto meno per i fenoli semplici dell’olio extra-vergine di
oliva. L’estrazione in fase solida presenta un comportamento opposto alla LLE. Tuttavia è stato
osservato che sostituendo il solvente di estrazione, sia in fase liquida che solida, con aceto nitrile, i
risultati cambiano nel senso che tra i due metodi non c’è alcuna differenza in termini di recupero
delle sostanze fenoliche presenti nella matrice oleosa.
Dell’estratto fenolico ottenuto si può quindi determinare la concentrazione mediante metodo
spettrofotometrico utilizzando il reattivo di Folin-Ciocalteau. Questo metodo si basa
sull’ossidazione chimica dei composti fenolici da parte di una miscela ossidante costituita da acido
fosfotungstico (H3PW12O40) e fosfomolibdico (H3PMo12O40) che, riducendosi, formano una miscela
di ossidi (W8O23 e Mo12O40) colorata di azzurro che presenta un massimo assorbimento a 750 nm.
Prima della lettura allo spettrofotometro si costruisce una curva di calibrazione in funzione
dell’assorbanza a 750 nm di diverse soluzioni a concentrazioni crescenti di acido gallico.
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La concentrazione dell’estratto fenolico dell’olio extra-vergine di oliva viene calcolato mediante
interpolazione sulla retta di calibrazione.
Per separare e valutare le frazioni contenute nell’estratto fenolico vengono utilizzate diverse
metodiche. La tecnica più usata è la High Performance Liquid Chromatography (HPLC) (Fig.1).
Fig. 1 Schema generale di un apparecchio HPLC.
L’analisi HPLC consente la separazione dei singoli composti fenolici sulla base del diverso peso
molecolare e della differente polarità. I risultati quantitativi che si ottengono con questa tecnica non
sono direttamente confrontabili con quelli ottenuti mediante il metodo colorimetrico, che fornisce
invece informazioni relative alla componente fenolica totale.
Questa tecnica cromatografica permette di separare i composti presenti in un campione sfruttando
l’equilibrio di affinità tra una fase stazionaria, posta all’interno della colonna cromatografica, e una
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fase mobile che fluisce attraverso di essa. Le sostanze più affini alla fase stazionaria impiegano un
tempo maggiore per percorrere la colonna cromatografica (tempo di ritenzione) rispetto a quelle con
bassa affinità per la fase stazionaria, che eluiscono prima.
Nell’HPLC il campione da analizzare, caricato all’inizio della colonna cromatografica, viene spinto
da una pompa attraverso la fase stazionaria utilizzando una fase mobile e applicando pressioni
dell’ordine delle centinaia di atmosfere. Con una microsiringa il campione viene iniettato attraverso
un foro d’iniezione direttamente nella colonna o in uno strato di materiale inerte immediatamente
precedente la colonna.
Un altro metodo per introduzione del campione (il più usato in HPLC) è quello che utilizza un
iniettore a spirale costituito da un occhiello metallico inserito lungo il capillare che alimenta la
colonna. In esso viene introdotto il campione, quindi, tramite una valvola, l’eluente viene incanalato
nell’occhiello e cosi il campione si trova ad essere spinto nella colonna dall’eluente stesso, senza
che il flusso di solvente si interrompa. La caratteristica principale del sistema di iniezione tramite
loop è l’alta riproducibilità dei volumi iniettati (Fig. 2).
Fig. 2 Sistema di iniezione con loop
Le colonne per HPLC sono di solito costruite in acciaio, ma esistono anche quelle in vetro
borosilicato che vengono impiegate soprattutto quando si lavora a pressioni non troppo elevate. Alle
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due estremità delle colonne sono presenti dei setti perforati di acciaio inossidabile, o di teflon, che
servono a trattenere il materiale in essa contenuto. I setti devono essere omogenei per consentire un
flusso uniforme di solvente.
La lunghezza delle colonne è di solito compresa tra 10 e 30 cm, ma è possibile disporre di colonne
più lunghe per particolari esigenze. Il diametro interno delle colonne è compreso tra 4 e 10 mm;
quello delle particelle del riempimento varia tra 3,5 e 10 µm. Esistono anche modelli di colonne, di
recente progettazione, più corte e sottili che permettono di ridurre il tempo di analisi ed il consumo
di solvente.
Le colonne HPLC hanno una maggiore risoluzione dovuta all’impiego di fasi stazionarie suddivise
molto finemente allo scopo di aumentare la superficie di contatto tra fase mobile e fase stazionaria
ed avere un migliore impaccamento.
Per ottenere un’elevata efficienza nella separazione è necessario che le dimensioni delle particelle
del riempimento siano molto ridotte, per questo motivo è indispensabile applicare un’elevata
pressione se si vuole mantenere una ragionevole velocità di flusso dell’eluente e quindi un tempo di
analisi adeguato.
Le fasi stazionarie utilizzate per la separazione dei composti fenolici contenuti nell’olio extra-
vergine di oliva lavorano in fase inversa (RP-HPLC) ovvero sono meno polari della fase mobile.
Le fasi stazionarie inverse sono in genere formate da silice su cui sono legati dei gruppi non polari;
tra questi quelli più spesso legati alla superficie del supporto sono i gruppi organici: -CH 3, -C8H17,
-C18H37. Di questi il gruppo a 18 atomi di carbonio (gruppo ottadecil) è il più frequente. I nomi
comunemente usati per questo tipo di fase stazionaria sono ODS e C18.
Con questo tipo di fase stazionaria non polare di solito l’eluizione viene condotta con fase mobile
polare, che è quasi sempre costituita da una miscela di un solvente polare e di uno non polare, in
modo da poterne variare la forza mediante la composizione (eluizione in gradiente di polarità). In
questo caso le sostanze polari presenti nel campione verranno eluite per prime dalla fase mobile.
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Gli eluiti così ottenuti vengono sottoposti a valutazione qualitativa e quantitativa facendoli passare
attraverso un rivelatore.
I rivelatori più ampiamente usati per l’HPLC si basano sulla misura dell’assorbimento della luce
UV o visibile da parte del campione.
La variazione dell’assorbimento, registrata su carta oppure immagazzinata in un file di un computer,
dà luogo ad un grafico formato da una serie di picchi che prende il nome di cromatogramma.
L’analisi dei picchi cromatografici ci permette di individuare la presenza di uno specifico
componente (analisi qualitativa) e di quantificare le sostanze presenti nella miscela (analisi
quantitativa). L’analisi quantitativa può essere effettuata in base al fatto che il segnale prodotto dal
rivelatore è, ad ogni istante, proporzionale al flusso delle molecole eluite (cioè massa nell’unità di
tempo, s = dm/dt); si deduce che la quantità totale di sostanza eluita sarà data dall’integrale m =
∫ s dt cioè dall’area della curva sottesa al picco cromatografico.
Il sistema di rivelazione più usato per l’identificazione delle sostanze fenoliche è quello ad
“assorbimento a serie di diodi”. Nel rivelatore a serie di diodi (DAD) la luce UV proveniente da una
lampada a deuterio passa attraverso una cella a flusso e poiche viene scissa nelle sue componenti
attraverso un monocromatore a gradini. L’intensità della luce trasmessa ad ogni lunghezza d’onda
viene misurata simultaneamente attraverso un sistema di alcune centinaia di fotodiodi. Un computer
può processare, registrare e mostrare gli spettri di assorbimento in continuo durante l’analisi; inoltre
si possono registrare i cromatogrammi a ciascuna λ.
Il rivelatore a serie di diodi risulta essere molto versatile (è possibile selezionare λ che vanno da 190
a 800 nm), molto sensibile (si può scegliere la λ ottimale per un analita) e piuttosto selettivo
(quando si hanno sovrapposizioni di picchi si può variare la λ in modo tale da minimizzare
l’assorbimento degli interferenti).
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Un altro tipo di rivelatore utilizzato per l’identificazione delle sostanze fenoliche presenti nell’olio
extra-vergine di oliva è lo “spettrometro di massa” applicato all’HPLC (HPLC-MS). Questo misura
il rapporto massa/carica (m/z) degli ioni che vengono prodotti dal campione.
Per ottenere uno spettro di massa le molecole, portate in fase gassosa, vengono ionizzate in una
sorgente di ionizzazione.
Una delle sorgenti più comuni è quella ad “impatto elettronico” (EI) (Fig. 3) nella quale le molecole
vengono bombardate con un fascio di elettroni ad alta energia. Anche se nella sorgente ionica
vengono prodotti contemporaneamente sia ioni positivi che negativi, viene scelta solo una polarità e
lo spettro consisterà o di soli ioni positivi o di soli ioni negativi. Le molecole non ionizzate e i
frammenti neutri vengono allontanati dal sistema di pompaggio dello strumento.
Fig. 3 Ionizzazione ad impatto elettronico.
Gli spettri di massa di ioni positivi sono quelli più comunemente misurati con la tecnica EI, dato
che il numero di ioni negativi generati è decisamente minore rispetto a quello degli ioni positivi.
Questi ultimi vengono guidati nell’analizzatore mantenendo la sorgente ionica ad un potenziale
positivo rispetto a quello dell’analizzatore e focalizzando il fascio ionico mediante opportuni
potenziali applicati ad un sistema di lenti situate tra la sorgente e l’analizzatore. Il ruolo
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dell’elettrodo repulsore, al quale viene applicato un potenziale positivo, è quello di provocare
l’espulsione degli ioni dalla sorgente ionica. Gli ioni negativi e gli elettroni vengono attratti
sull’elettrodo collettore degli elettroni, carico positivamente.
Un’altra tecnica di ionizzazione largamente usata in HPLC è l’ “Elettrospray Ionization” (ESI) (Fig.
4) nella quale le frazioni in uscita dall’HPLC passano attraverso un capillare a pressione
atmosferica mantenuto ad alto voltaggio. L’alto voltaggio disperde il flusso del liquido e lo
trasforma in tante piccole goccioline altamente caricate e del diametro di alcuni µm. L’evaporazione
del solvente causa un’ulteriore riduzione del diametro delle gocce e quindi un aumento della densità
di carica. L’aumento delle cariche sulla superficie delle gocce induce una forza repulsiva che
culmina con una esplosione coulombiana, che riduce ulteriormente il diametro delle gocce.
Questo processo continua fino a che le gocce non sono abbastanza piccole da permettere allo ione
dell’analita di passare nella fase gassosa. Per facilitare la formazione delle gocce in uscita dal
capillare può essere aggiunto un flusso nebulizzato di azoto. In alcuni casi, per facilitare il processo
di evaporazione del solvente, all’ingresso del capillare viene applicato un flusso di azoto anidro.
Fig. 4 Elettrospray ionization
Il campione, ionizzato mediante esplosione coulombiana, viene posto nelle condizioni ottimali per
essere analizzato.
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L’analizzatore di massa separa gli ioni sulla base dei loro valori m/z. I più comuni analizzatori sono
il “filtro di massa a quadrupolo” e la “trappola ionica”, dove avviene l’immagazzinamento degli
ioni nello spazio compreso tra l’elettrodo anulare e l’elettrodo di chiusura terminale.
Il campo elettrico oscillante espelle sequenzialmente gli ioni con valori m/z crescenti.
L’accoppiamento HPLC-MS è stato tentato già molti anni fa (fine anni ’60) ma soltanto dalla metà
degli anni ’70 sono apparse le prime pubblicazioni scientifiche.
Le difficoltà di tutti i metodi HPLC-MS derivano dal fatto che in HPLC si utilizzano solventi molto
diversi, in funzione del tipo di analisi (es. acqua, solventi organici, tamponi); inoltre i flussi di
solvente in HPLC sono molto più elevati rispetto a quelli richiesti per lo spettrometro di massa. Per
accoppiare le due tecniche sono necessarie opportune interfacce che oltre a ridurre i flussi devono
consentire anche la vaporizzazione degli analiti mediante riscaldamento.
Anche se l’HPLC-MS permette di ottenere ottimi risultati viene poco utilizzata per compiere analisi
di tipo routinario sui composti fenolici presenti nell’olio extra-vergine di oliva, questo perché si
tratta di apparecchi molto costosi e di difficile gestione.
Per tale motivo si preferisce impiegare l’HPLC accoppiata al rivelatore UV dal momento che questo
sistema ha una facile gestione e consente di ottenere buoni risultati a bassi costi.
BIBLIOGRAFIA
1. F. Canzonieri. Gazz. Chim. Ital. 1906, 36, 372.
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2. C. Cantarelli. Sui polifenoli presenti nella drupa e nell’olio di oliva. Riv. Ital. Sost. Grasse.
1961, 38: 69-72.
3. G.F. Montedoro, C. Cantarelli. Indagine sulle sostanze fenoliche presenti nell’olio di oliva.
Riv. Ital. Sost. Grasse. 1969, 46, 115-124.
4. Servili M., Baldioli M., Mariotti F. Montedoro G.F. Phenolic composition of olive fruit and
virgin olive oil: distribution in the costitutive parts of fruit and evolution during oil mechanical
extraction process. Acta Horticulturae 474 (1999) 609-619.
Valutazione biochimica e biologico molecolare del valore antiossidante dei
costituenti minori e dell’impatto sulla bioenergetica cellulare
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La Dieta Mediterranea è associata ad una più bassa incidenza di tumori (prostata, polmone, laringe,
ovaio, seno, colon), malattie cardiovascolari, malattie neurodegenerative, invecchiamento precoce,
tutte condizioni associate a stress ossidativo (1-6) e quindi a produzione di ROS, specie reattive
dell’ossigeno.
Le fonti di ROS nell’organismo sono diverse: la catena respiratoria, la fagocitosi, la sintesi di
prostaglandine, il sistema citocromo P450. In tutti questi processi una piccola quota di ossigeno
sfugge alla normale utilizzazione portando alla formazione di composti instabili e altamente reattivi
(ROS).
A livello cellulare circa il 5% del metabolismo dell’ossigeno si realizza attraverso reazioni di
riduzione in cui si assiste al trasferimento di un solo elettrone e alla formazione a cascata di diverse
forme radicaliche endogene (ROO●, ●O2-, ●OH) ed esogene (NO●, ●ONO-2), che principalmente
si situano intorno alla struttura mitocondriale ma possono distribuirsi anche in vari distretti cellulari
(7) (8).
L’organismo umano ha sviluppato sofisticati meccanismi allo scopo di mantenere l’omeostasi
redox, aumentando l’eliminazione dei radicali o bloccandone la produzione. Essi comprendono
difese antiossidanti endogene (enzimatiche e non) e difese esogene, per lo più rappresentate da
antiossidanti assunti con la dieta (9-11) tra i quali i polifenoli naturali sono stati studiati per la loro
capacità di modulare diverse attività cellulari.
I polifenoli agiscono principalmente donando radicali idrogeni a radicali perossidi (ROO•) che si
formano nelle fasi iniziali di ossidazione lipidica. Si forma così un radicale stabile (A•) attraverso la
reazione: ROO• + AH →ROOH + A• . In questo consiste l’attività antiossidante delle sostanze
fenoliche presenti nell’olio vergine ed extravergine di oliva.
Numerosi studi sono stati condotti sulle proprietà antiossidanti di tali sostanze, ed è emerso che la
concentrazione totale dei composti fenolici, espressa come polifenoli totali, è strettamente correlata
con lo shelf-life dell’olio stesso.
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Le cellule rispondono allo stress ossidativo attivando la trascrizione di geni implicati nella risposta
antiossidante la cui espressione è regolata dal fattore trascrizionale Nrf2 (nuclear related factors 2).
Nrf2 in condizioni basali è sequestrato nel citoplasma da Keap1 (Kelch-like ECH-
associated protein 1), una proteina del citoscheletro che possiede alcuni residui di cisteina con
funzione di “sensore” (12). Lo stress ossidativo, modificando tali cisteine, induce il distacco di
Nrf2 che può così migrare nel nucleo (13) e legarsi agli elementi di risposta antiossidante o
antioxidant responsive elements (ARE), sequenze geniche localizzate nel sito del promotore di
alcuni geni indotti da stress ossidativo e chimico.
Nrf2 svolge un ruolo critico nella regolazione dell’espressione dei geni che codificano per la
famiglia delle GST (enzimi di fase 2), per l’NAD(P)H chinone ossidoreduttasi (14), per altri enzimi
della fase 2 (l’UDP glucoronil-trasferasi 1A6 e l’aldeide reduttasi) e per proteine antiossidanti quali
l’emeossigenasi 1 (HO-1), la superossido dismutasi, la catalasi, la glutatione perossidasi e la
tioredossina (14).
Il meccanismo con cui l'olio d'oliva aumenta l'attività degli enzimi antiossidanti sembra essere
legato ad un aumento dell'attività di Nrf2. Topi knock-out per Nrf2 esposti a irradiazione toracica
simile a quella di pazienti con cancro, vivono circa 35 in meno rispetto ai topi con una normale
espressione genica di Nrf2 (15). Un recente studio su modelli animali ha osservato una correlazione
tra il consumo a lungo termine di olio d'oliva (4,5 mesi), aumento dei livelli di Nrf2 e di prodotti
genici ad esso associati, GST, γ-GCS, NQO1 (16).
In pazienti ad elevato rischio di malattie cardiovascolari il consumo di olio d'oliva è associato a più
alti livelli plasmatici di antiossidanti, riduzione della proteina C reattiva (hs-CRP) e peso corporeo,
fattori di rischio per tali malattie (17).
Tra i differenti composti fenolici presenti nell’olio di oliva, l’idrossitirosolo (HT) è quello
maggiormente studiato poiché possiede proprietà antiaterogeniche.
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Studi in vivo, in modelli animali di aterosclerosi indotta, hanno mostrato un miglioramento del
profilo lipidico ematico dopo somministrazione di HT e una riduzione nello sviluppo di lesioni
aterosclerotiche (18). L’HT inibisce l’espressione superficiale di molecole di adesione pro-
aterogeniche come ICAM-1, VCAM-1 ed E-selectina in cellule endoteliali umane isolate da
cordone ombelicale (19). In cellule endoteliali vascolari l’HT stimola la proliferazione cellulare,
promuove la riparazione delle ferite, protegge le cellule dal danno indotto da ossidanti attraverso i
pathways ERK1/2 e PI3K/Akt, che portano all’attivazione di Nrf2 e induzione di HO-1
(emeossigenasi-1) (20). In cellule monocitiche THP-1 il trattamento con HT riduce
significativamente la produzione di NO e la formazione di ROS indotta da LPS, determinando un
aumento dei livelli di GSH in cellula (21).
Assunto con la dieta, l’HT viene assorbito e in parte metabolizzato a livello epatico e intestinale in
glucuronide coniugato e in alcol omovanillico (HVA).
L’HT e i suoi metaboliti si distribuiscono, attraverso il circolo sanguigno, nei vari organi,
concentrandosi preferenzialmente a livello renale prima di essere escreti. L’HT e il suo metabolita
HVA sono in grado di proteggere le cellule renali (LLC-PK1) dal danno ossidativo indotto dal H 2O2
inibendo la perossidazione lipidica, attraverso una modulazione dei segnali cellulari implicati nella
risposta allo stress ossidativo. Il pretrattamento con HT protegge i lipidi di membrana dall’azione
ossidante del H2O2. L’HVA mostra un’azione meno efficace (ma comunque significativa) dell’HT
nel conservare l’integrità della membrana.
Tra le varie proteine coinvolte nella risposta allo stress ossidativo sono particolarmente importanti
le MAPK (come ERK e JNK) e la proteina chinasi B/Akt (Akt/PKB), i cui pathways regolano la
sopravvivenza o la morte cellulare. Il H2O2 è capace di attivare o disattivare queste proteine,
interferendo con le vie di segnalazione che queste controllano. I due fenoli (maggiormente HT
rispetto ad HVA) proteggono la cellula dalla morte e inibiscono i cambiamenti di fosforilazione
delle proteine ERK1/2, JNK e Akt/PKB indotti dal H2O2.
18
È molto probabile, quindi, che l’effetto protettivo degli antiossidanti naturali, così come dell’HT e
dell’HVA, in sistemi biologici più complessi e in vivo, sia il risultato di diversi meccanismi
d’azione che contrastano in modo diretto o indiretto l’azione dell’agente ossidante. L’HT ha
mostrato un’elevata azione protettiva; l’HVA, benché meno attivo, ha mostrato comunque
un’attività antiossidante significativa a concentrazioni biologicamente rilevanti. Questo dato riveste
una particolare importanza biologica. Infatti l’HT in vivo, anche se in parte metabolizzato in HVA,
dovrebbe conservare la sua attività.
Wartela et al. (22) dimostrano una differente attività antiossidante di idrossitirosolo e tirosolo (TY)
in cellule di mammella. L’HT è uno scavenger più efficiente di radicali liberi rispetto al TY, ma
entrambi non riescono a influenzare la proliferazione cellulare, le fasi del ciclo cellulare e l’apoptosi
in cellule epiteliali mammarie umane (MCF10A) o in cellule tumorali di mammella (MDA-MB-231
e MCF7). L’HT riduce i livelli di ROS in cellule MCF10A ma non in cellule MCF7 e MDA-MB-23,
mentre concentrazioni molto elevate di TY sono necessarie per diminuire il livello di ROS in cellule
MCF10A.
L’HT, inoltre, previene i danni ossidativi del DNA in tutte le linee cellulari di seno, pertanto, per la
sua attività antiossidante e la sua protezione contro il danno ossidativo al DNA in cellule
mammarie, potrebbe contribuire ad una minore incidenza di cancro al seno nelle popolazioni che
consumano olio di oliva vergine (22).
L’HT, a lungo considerato soltanto un potente antiossidante, in realtà è in grado di agire come
nutriente a target mitocondriale fornendo un nuovo meccanismo dell'efficacia della Dieta
Mediterranea nel ridurre il rischio di diverse malattie tra cui malattie cardiovascolari, cancro,
diabete e obesità.
E’ noto che la malattia cardiovascolare è la complicanza più comune e più grave del diabete e
dell’obesità e, poiché la respirazione mitocondriale svolge un ruolo fondamentale nel metabolismo
del glucosio, una disfunzione mitocondriale è associata a diabete e obesità (23-25).
19
Hao et al. hanno dimostrato, in adipociti murini 3T3-L1, che il trattamento con HT porta ad un
miglioramento della funzione mitocondriale poiché ne stimola la biogenesi (26). L’HT promuove
l’espressione della proteina PPARGC1α, regolatore chiave della biogenesi mitocondriale e dei suoi
bersagli a valle, Nrf1, Nrf2 e il fattore di trascrizione mitocondriale Tfam.
Inoltre, l’HT incrementa il mtDNA e promuove l’espressione di proteine del complesso
mitocondriale I, II, III, IV e V; up-regola l'espressione di proteine e di geni legati all’ossidazione
degli acidi grassi (PPARα, PPARγ, CPT1), l’adipogenesi e la funzione mitocondriale, e riduce il
contenuto in acidi grassi liberi (FFA).
L’HT promuove la biogenesi mitocondriale: up-regola AMPK ed eNOS, stimola l'espressione di
PPARGC1α e di Tfam, rispettivamente coattivatore e fattore di trascrizione chiave coinvolti nella
biogenesi mitocondriale. Inoltre l’HT aumenta i livelli di proteina mitocondriale dei complessi I, II,
III e V, up-regola l’espressione del gene UCP2, bersaglio di PPARGC1α, coinvolto nella funzione
mitocondriale (27).
Oltre alla classica azione antiossidante sono state descritte anche azioni pro-ossidanti dei polifenoli,
che possono, quindi, avere effetti opposti sui processi fisiologici cellulari di base. Se da un lato,
come antiossidanti, possono migliorare la sopravvivenza cellulare, dall’altro, come pro-ossidanti,
possono indurre apoptosi, necrosi o arresto della proliferazione (28).
E' generalmente accettato che i composti fenolici dell'olio di oliva possono esercitare la loro attività
di prevenzione del cancro, agendo sia come composti anti-iniziazione che come composti anti-
promozione/progressione (29). Uno dei possibili meccanismi anti-promozione/progressione è
rappresentato dalla capacità dei fenoli dell'olio di oliva di interferire con la proliferazione e
l'apoptosi delle cellule tumorali.
L'idrossitirosolo ortodifenolo (3,4-diidrossifeniletanolo (3,4-DHPEA)), è abbondantemente presente
nell’olio di oliva come composto sia libero che legato alla forma dialdeidica dell'acido elenolico
legata al 3,4-DHPEA (3,4-DHPEA-EDA), e come isomero dell’oleuropeina aglicone (3,4-DHPEA-
20
EA) (30). Il 3,4-DHPEA inibisce la proliferazione ed induce l’apoptosi in diverse linee cellulari
tumorali (29) (31-35).
Tuttavia, i risultati ottenuti su cellule tumorali derivate da differenti organi sono in disaccordo.
In cellule di leucemia promielocitica (HL60) il trattamento con 100 µM di 3,4-DHPEA inibisce la
crescita e induce una massiccia apoptosi (34) (36), altera la progressione del ciclo cellulare,
inibendo la transizione in fase G1-S, e modifica l'espressione di proteine regolatrici del ciclo
cellulare riducendo l’espressione della chinasi ciclina-dipendente 6 (CDK6) e aumentando
l’espressione di inibitori delle CDK (p21WAF1/Cip1 e p27 Kip1) (35).
Un comportamento diverso è stato riportato per cellule di cancro al seno della linea MCF-7 e
SKBR3, che risultano resistenti al trattamento con 100 µM di 3,4 -DHPEA (37) e richiedono alta
concentrazione di fenolo (MCF-7, 324 µM) per osservare un effetto sull'apoptosi e sulla
proliferazione (38). Altri autori riportano che cellule MCF-7 sono resistenti all’azione pro-
apoptotica di 3,4-DHPEA (400 µM), effetto legato all'assenza di caspasi-3 in queste cellule (39).
In netto contrasto, con i dati sopra riportati, è lo studio di Goulas et al. in cui è stato dimostrato che
le cellule MCF-7 sono molto sensibili all’attività antiproliferativa di 3,4-DHPEA, dove il
trattamento con 12,5 µM riduce del 50% la crescita cellulare (40). Inoltre, è stato recentemente
dimostrato che 3,4-DHPEA è in grado di inibire la proliferazione indotta dall’estradiolo in cellule
tumorali di seno MCF-7 interferendo con l’attivazione di ERK 1/2 (41).
Contrastanti risultati sono stati ottenuti anche su cellule di cancro del colon HT-29, che risultano
resistenti all’effetto antiproliferativo di 3,4-DHPEA fino a concentrazione pari a 400 µM (42); in
altri studi è stato però riportato che queste cellule sono sensibili all’effetto pro-apoptotico a
concentrazioni tra 200-400 µM (31) (39).
Nella linea cellulare di tumore del colon Caco2, il trattamento con 3,4-DHPEA (50-100 µM)
provoca una riduzione della crescita cellulare sia per l'accumulo di cellule nella fase G2 del ciclo
che per l'inibizione della fosforilazione di ERK1/2 (32).
21
Infine, è stato riportato che cellule di melanoma umano M14 rispondono al trattamento con 3,4-
DHPEA solo a concentrazioni superiori a 600-800 µM (33).
Recentemente è stato dimostrato che le proprietà anti-proliferative e pro-apoptotiche dell’HT, su
cellule HL60, sono mediate da un’attività pro-ossidante che consiste nella generazione di perossido
di idrogeno nel mezzo di coltura cellulare (43).
Il rilascio di H2O2 è stato descritto anche per altri composti fenolici di origine vegetale, sia quando
testati come miscele complesse, come quelli derivati dai semi di uva (44), mele (45), tè e vino (46),
sia quando usati come composti purificati, come l’acido gallico, la quercetina (47), l'ascorbato (48),
e l’epigallocatechina gallato (49).
È possibile che gli effetti esercitati da 3,4-DHPEA sulle diverse linee cellulari siano dovuti alla sua
capacità di rilasciare H2O2 nel mezzo di coltura. Perciò le diverse risposte possono dipendere dalla
capacità delle cellule di eliminare H2O2 attraverso specifici enzimi, quali catalasi e glutatione
perossidasi.
Vi è una diretta correlazione tra l’aumento del consumo di ossigeno durante l’esercizio e la
produzione di radicali dell’ossigeno. Basse e fisiologiche concentrazioni di ROS sono richieste per
la normale produzione di energia nel muscolo scheletrico, ma alti livelli di ROS (come ad esempio
in seguito ad un esercizio eccessivo) promuovono disfunzioni nel processo di contrazione, con
conseguente debolezza muscolare e fatica (50). Questo accumulo provoca uno stress ossidativo, con
una conseguente attivazione del processo di autofagia, nel muscolo e induzione della fissione
mitocondriale. Quindi il mitocondrio ha un ruolo fondamentale nella regolazione dell’autofagia nel
muscolo scheletrico e nei processi che portano ad atrofia muscolare (51).
Nei ratti, l’atrofia del muscolo (indotta dall’autofagia) e la fissione mitocondriale vengono bloccate
dalla supplementazione con HT; nei ratti sottoposti a esercizio eccessivo l’HT induce la fusione
mitocondriale, aumenta l’attività funzionale del complesso I e II apportando effetti benefici sulle
performance fisiche ed effetti rilevanti su varie patologie correlate a disfunzioni mitocondriali (52).
22
E’ ampiamente descritto in letteratura, inoltre, che l’iperglicemia porta ad una over-produzione di
radicali liberi e ad una glicazione non-enzimatica delle proteine, che hanno un effetto deleterio su
differenti organi. Oleuropeina e idrossitirosolo, hanno effetti ipoglicemici, ipolipidemici e
antiossidanti in ratti diabetici, in cui si osserva una diminuzione delle attività antiossidanti (in
particolare della SOD e CAT) e un innalzamento dei livelli di TBARS. La somministrazione di
composti fenolici in tali ratti ripristina, in modo dose-dipendente, i sistemi antiossidanti e porta ad
un abbassamento significativo dei livelli di TBARS.
Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’alimentazione può costituire un importante fattore di
protezione ambientale nei confronti delle malattie cardiovascolari e neoplastiche. Rivestono una
particolare importanza i prodotti vegetali, frutta, verdura, olio di cui è ricca la Dieta Mediterranea.
Studi scientifici degli ultimi anni hanno chiarito che i polifenoli presenti nell’olio extravergine di
oliva, in primis l’idrossitirosolo, sono in grado di combattere i radicali liberi attraverso due
meccanismi principali: riescono a stabilizzare direttamente le molecole radicaliche attraverso la
sottrazione di un elettrone; in secondo luogo, attivano meccanismi intracellulari che promuovono
l’innalzamento dei livelli degli antiossidanti fisiologicamente presenti nelle cellule.
Un aspetto nuovo della ricerca, che sta emergendo dalle pubblicazioni degli ultimi anni, è che i
polifenoli agiscono anche nella prevenzione del danno mitocondriale, apportando notevoli
miglioramenti in termini di vitalità dei mitocondri, resistenza a sostanze tossiche ed eventi lesivi.
Da questi dati si evince come i prodotti ricchi di polifenoli, come l’olio, oltre che contrastare
l’azione dannosa dei radicali liberi possono anche riportare energia nel nostro organismo, favorendo
la risoluzione di situazioni di stanchezza intensa dovuta alla compromissione dell’equilibrio
ossidativo e alla diminuzione dell’efficienza dei meccanismi di creazione dell’energia.
23
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29
Valutazione clinica del potere salutistico dell’olio extra-vergine di oliva
Una strategia che sta acquisendo particolare importanza nel nostro tempo, in cui le malattie
cardiovascolari stanno affliggendo tutto il mondo nonostante l’uso di nuovi e potenti farmaci (1), è
l’approccio preventivo dietetico che va sotto il nome di “Dieta Mediterranea”.
Questa è basata su osservazioni prodotte sin dal 1950 che dimostrano una bassa incidenza di
malattia coronarica in popolazioni residenti del Mediterraneo come Grecia e Sud Italia, che hanno
aderito ad uno stile dietetico tipico mediterraneo.
Queste popolazioni seguivano una dieta ricca in olio extravergine di oliva (il maggiore grasso
dietetico) insieme a un moderato consumo di vino rosso. Sia l’olio d’oliva che il vino rosso sono
ricchi in antiossidanti polifenolici. Gli acidi grassi insaturi e i polifenoli dell’olio d’oliva sembrano
contribuire alla prevenzione dell’aterosclerosi, attraverso una riduzione dei fattori di rischio
cardiovascolari.
La Dieta Mediterranea è caratterizzata da un consumo elevato di olio extravergine di oliva come
principale fonte di grasso, cereali, verdure e cibi di origine vegetale, frutta fresca (ricca in
antiossidanti naturali), pesce (ricco in acidi grassi poli-insaturi omega3), un moderato consumo di
vino rosso e un consumo ridotto di carne, prodotti caseari, uova e dolci (2).
Fino agli anni 60, le persone che abitavano in certe regioni del Mare Mediterraneo avevano livelli di
malattia cronica tra i più bassi del mondo, e allo stesso tempo presentavano le aspettative di vita più
alte (3). Questo ha promosso un interesse nello stile dietetico mediterraneo.
Una spiegazione non sta certamente nel livello di istruzione, lo stato finanziario o la sanità, poichè
tutti gli indicatori socio-economici in questi paesi sono spesso più bassi dei paesi industrializzati,
dove al contrario l’incidenza delle malattie coronariche è più alta (4).
Ancel Keys condusse osservazioni preliminari per iniziare uno studio cooperativo riguardo
all’epidemiologia della malattia cardiovascolare (CHD), chiamato ‘Seven Countries Study’, in cui
30
studiò 12770 uomini di età compresa tra i 40 e i 59 anni, di Finlandia, Grecia, Italia, Giappone,
Olanda, Stati Uniti e Jugoslavia (5).
Sono state misurate ampie differenze tra i tassi di prevalenza di CHD tra le coorti standardizzate per
età in seguito a evidenze elettrocardiografiche di infarti miocardici precedenti, che erano più
frequenti in USA e Finlandia rispetto a Yugoslavia, Grecia, Italia e Giappone. Tra 12529 uomini non
affetti da CHD all’inizio dell’esame, in 5 anni di esperimenti, i tassi di incidenza di malattia
cardiovascolare standardizzati per età differivano largamente tra le coorti studiate; l’estremo più
alto era rappresentato dalla Finlandia e quello più basso da Giappone e Grecia. L’esame dei fattori
di rischio più importanti conosciuti in quel tempo hanno dimostrato che il fumo, una vita sedentaria,
e il peso corporeo non spiegavano le differenze tra le coorti nell’incidenza di malattia
cardiovascolare. Queste differenze erano strettamente correlate ai valori di colesterolo sierico e alle
calorie dietetiche fornite dai grassi saturi (2).
Sorprendentemente è stata trovata una correlazione inversa tra i tassi di incidenza di CHD e la
percentuale media delle calorie derivate dagli acidi grassi monoinsaturi, come indice del consumo
dell’olio di oliva, indicando così per la prima volta il ruolo cardioprotettivo dell’olio di oliva.
In un recente studio prospettico su una coorte Greca di 22043 adulti, l’European Prospective
Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC) study, è stato mostrato che, dopo 44 mesi di follow-
up, una maggiore aderenza alla dieta mediterranea era inversamente correlata con la mortalità totale
e in particolare con la mortalità da CHD, indipendentemente da sesso, fumo, livello di istruzione,
indice di massa corporea, e attività fisica. La relazione diventava più forte con l’età, riflettendo
quindi una maggiore e cumulativa esposizione ai fattori della dieta (6).
Prove di alimentazione hanno confermato studi osservazionali, osservando un effetto benefico della
dieta mediterranea, e in particolare dell’olio extravergine di oliva, nella prevenzione primaria e
secondaria di CHD.
31
Lo studio PREvencion con DIeta MEDiterranea (PREDIMED) (7) è un esperimento di prevenzione
primaria lanciato nel 2003 7, in corso, multicentrico, randomizzato e controllato, in cui 7500
pazienti asintomatici con un elevato rischio cardiovascolare sono stati assegnati in modo casuale a
tre gruppi di intervento: due gruppi hanno seguito una dieta mediterranea supplementata con olio
vergine di oliva (1 L/settimana) o con un mix di noccioline (30 g/giorno), e un gruppo ha ricevuto
indicazioni a ridurre tutti i tipi di grasso in accordo con le linee guida dell’ American Heart
Association (dieta a basso contenuto di grassi) (8).
Sono stati osservati dei cambiamenti benefici nei fattori di rischio cardiovascolare principali (lipidi
plasmatici, glucosio, pressione arteriosa) e nelle concentrazioni plasmatiche di biomarker
infiammatori (interleuchina[IL]-6, VCAM-1 e ICAM-1) in entrambi i gruppi di intervento di tipo
mediterraneo a tre mesi (7) e confermati a 1 anno (9).
Inoltre è stato osservato dopo tre mesi, in entrambi i gruppi che seguivano la Dieta Mediterranea,
una down regolazione dei biomarker dell’attivazione immunitaria cellulare correlati all’aterogenesi,
così come l’espressione delle molecole di adesione e del ligando pro-infiammatorio CD40 su LcT e
monociti (10), suggerendo così che la Dieta Mediterranea potrebbe influenzare in modo
significativo il processo dell’adesione stabile dei monociti circolanti e dei LcT alle cellule
endoteliali durante l’infiammazione, un evento precoce cruciale correlato allo sviluppo
dell’aterosclerosi.
Entrambe le diete Mediterranee sono state efficaci nell’indurre la regressione dell’aterosclerosi nella
carotide, come valutato dalla misurazione dello spessore dell’intima-media (IMT), dopo 1 anno di
intervento su soggetti con valori elevati di IMT (11).
Quindi, poichè la Dieta Mediterranea è associata ad un’incidenza ridotta della CHD, c’è stato un
grande interesse nella valutazione dei composti bioattivi trovati negli alimenti capaci di ridurre il
rischio di malattia cronica. Tra i composti bioattivi alimentari, i fitochimici mediterranei hanno
attirato un notevole interesse scientifico. Questi sono composti derivati dal metabolismo secondario
32
di piante e vegetali (12), probabilmente sintetizzati per preservare l’integrità della pianta dalle
continue minacce degli stress ambientali. Inoltre, questi composti contribuiscono alla resistenza a
microrganismi e insetti, alla pigmentazione e alle caratteristiche organolettiche come sapore e
aroma.
Da un punto di vista chimico, sono composti fenolici con una struttura aromatica e uno o più gruppi
idrossilici. I fenoli con due o più gruppi idrossilici (polifenoli) presentano una capacità antiossidante
elevata in vitro, mentre i fenoli con un gruppo idrossilico hanno una capacità ridotta o assente (13).
Esistono più di 8000 strutture fenoliche, che variano da molecole semplici fino a composti
altamente polimerizzati, i tannini. Sono state definite più di 10 classi di composti polifenolici sulla
base della struttura chimica (14).
Sebbene i composti fenolici sono presenti teoricamente in tutte le piante, il loro livello nella dieta
dipende dal tipo e dalla quantità di cibi vegetali consumati. In particolare, le olive e l’olio di oliva,
sono particolarmente ricchi di composti fenolici con proprietà antiossidanti e attività biologica in
piante, animali e nell’uomo (15). L’olio di oliva, in particolare l’olio derivante dalla prima
spremitura, meglio conosciuto come olio extra-vergine, ha un alto contenuto di polifenoli con un
potente potere antiossidante (15).
Essi costituiscono una miscela complessa di composti tra cui l’idrossitirosolo, il tirosolo, l’acido 4-
idrossifenilacetico, l’acido protocatecuico, l’acido siringico, l’acido vanillico, l’acido caffeico e
l’acido p-cumarico. La concentrazione della frazione fenolica nell’olio di oliva varia in base alle
cultivar, al clima, e al grado di maturazione del frutto, con concentrazioni sopra gli 800 mg/kg
osservate nell’olio extravergine di oliva (16).
Delle varie componenti fenoliche dell’olio di oliva, l’idrossitirosolo sembra essere il più importante
(17).
Esso è presente in forma libera e anche come costituente di molecole complesse come
l’oleuropeina. L’idrossitirosolo e il suo derivato oleuropeina hanno forti proprietà antiossidanti
33
legate alla loro struttura ortodifenolica, come mostrato in sistemi senza cellule (18) (19) e in modelli
animali (20).
Lo studio umano più completo sui fenoli dell’olio d’oliva e sulla prevenzione cardiovascolare è lo
Studio dell’Effetto dell’Olio d’Oliva sul Danno Ossidativo nelle Popolazioni Europee
(EUROLIVE), un multicentrico, randomizzato, incrociato, intervento di sperimentazione clinica che
mira a valutare, in 200 volontari sani, l’effetto del regolare consumo di tre differenti olii (25
mL/giorno), ossia con contenuto di polifenoli basso (2.7 mg/kg di olio di oliva), medio (164 mg/kg)
e alto (366 mg/kg), sui lipidi plasmatici e sui marker circolanti di stress ossidativo, come fattori di
rischio cardiovascolare.
I risultati mostrano che i fenoli dell’olio di oliva sono significativamente associati a più basse
concentrazioni di marker di stress ossidativo circolanti e a un miglioramento del profilo lipidico
(aumento dei livelli di HDL, riduzione del rapporto colesterolo totale/HDL e riduzione dei livelli di
trigliceridi) (21).
Altre recenti linee di evidenza nell’uomo indicano che l’olio di oliva e le sue componenti isolate,
come i polifenoli, migliorano la pressione sanguigna (22), la disfunzione endoteliale valutata come
dilatazione flusso mediata (23), e il profilo emostatico (24).
E’ stato ipotizzato che gli effetti benefici dell’olio di oliva potrebbero essere dovuti alla
modulazione di geni implicati nella proliferazione, nelle vie antiossidanti e infiammatorie.
Recentemente, Camargo et al. (25) hanno analizzato se la frazione fenolica dell’olio d’oliva esercita
un effetto a livello trascrizionale in vivo, mediante l’utilizzo di tecniche di analisi dell’espressione
genica. A questo scopo, è stata eseguita un’analisi microarray dell’espressione genica postprandiale,
dopo assunzione di olio di oliva vergine ad alto (398 mg/Kg di olio di oliva) e basso (70 mg/Kg di
olio di oliva) contenuto di fenoli, su cellule mononucleate di sangue periferico di 20 pazienti con
sindrome metabolica.
34
L’assunzione di olio d’oliva ad alto contenuto di polifenoli ha modificato l’espressione di molti geni
correlati con l’obesità, la dislipidemia e il diabete mellito di tipo 2. Alcuni geni tra questi, sono
implicati nei processi infiammatori tra cui il fattore di trascrizione nucleare NFκB, il complesso
proteico attivatore AP-1, le citochine, le proteine chinasi attivate dai mitogeni (MAPKs) o le vie
acido arachidonico/eicosanoidi.
Il consumo di olio di oliva ad alto contenuto di polifenoli, vale a dire olio extravergine, ha represso
l’espressione di molti geni pro-infiammatori e pro-aterosclerotici, promuovendo così un profilo
meno infiammatorio in cellule mononucleate di sangue periferico (25). Questi risultati concordano
con studi precedenti che mostrano che una dieta Mediterranea ricca in olio vergine di oliva riduce la
risposta infiammatoria di cellule mononucleate di sangue periferico, rispetto a diete arricchite con
burro e noci o diete Occidentali (26).
In un altro studio di nutrigenomica 90 volontari sani sono stati divisi in tre gruppi: il primo ha
seguito la dieta Mediterranea tradizionale arricchita con olio di oliva vergine, il secondo la dieta
Mediterranea tradizionale con olio di oliva lavato contenente un minore contenuto di polifenoli (55
e 328 mg/kg rispettivamente), e un terzo gruppo controllo che ha seguito la dieta abituale (27).
I risultati hanno mostrato che, l’olio di oliva più ricco in polifenoli riduce l’espressione di geni
aterosclerosi-correlati implicati nel processo infiammatorio, nello stress ossidativo e nel danno al
DNA in cellule mononucleate di sangue periferico.
Studi epidemiologici, studi di intervento e risultati biochimici e metabolici, forniscono prove
convincenti dell’esistenza di benefici cardiovascolari dell’olio di oliva, soprattutto quando si
verificano effetti sinergici tra i nutrienti.
L’olio di oliva, nel suo complesso, può essere considerato un alimento funzionale, con effetti
protettivi nei confronti dei fattori di rischio cardiovascolare, come stress ossidativo, LDL
colesterolo, ipertensione, diabete.
35
Inoltre, i polifenoli dell’olio d’oliva modulano direttamente la risposta della parete vascolare agli
insulti pro-aterogeni inibendo l’espressione di geni implicati nell’attivazione endoteliale e
monocitica.
Queste componenti agirebbero direttamente sulla superficie vascolare riducendo l’espressione di
molecole di adesione e la successiva interazione con i monociti, e contribuirebbe anche alla stabilità
della placca attraverso una riduzione del rilascio di metalloproteinasi.
Questi risultati mostrano come i nutrienti, e in particolare l’olio extravergine di oliva, possono
influenzare l’espressione genica (28).
Il consumo di cibi ricchi di fenoli, come frutta e verdura, sono importanti strategie per la
prevenzione della malattia cardiovascolare, in aggiunta all’uso di strategie farmacologiche.
36
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.
Valutazione organolettica sensoriale:40
pregi e difetti dell’olio extravergine di oliva
L'analisi sensoriale valuta le caratteristiche di un prodotto alimentare grazie ai nostri organi di
senso. Essa sfrutta la capacità degli organi sensoriali di reagire a stimoli di origine chimica,
chimico-fisica e fisica. I quattro gusti fondamentali sono l'amaro, il dolce, il salato e l'acido, la
combinazione di questi gusti base ci danno le infinite sfaccettature gustative.
La punta della lingua ricca di papille fungiformi è maggiormente stimolata dalle sostanze "dolci";
ai suoi lati prevalgono le papille filiformi che percepiscono in maniera preponderante le
sensazioni di "salato"; dietro queste, le papille foliate prediligono l’aspro", mentre la base della
lingua ricca di papille circumvallate reagisce maggiormente in presenza di sostanze "amare".
L’olfatto svolge una funzione importantissima nell’individuazione dei difetti, e viene utilizzato
non per via diretta, tramite l’inalazione dei profumi dell’olio, ma soprattutto per via retronasale
durante l’assaggio.
Il gradimento edonistico di un olio extra vergine di oliva dipende dalle sue caratteristiche
sensoriali. La preferenza sensoriale di un olio è legata a caratteristiche o attributi ritenuti positivi
di aspetto, di aroma, di sapore e di “flavor” (inteso come la sensazione che coinvolge gusto e
olfatto).
Nella valutazione organolettica degli oli di oliva il senso del gusto viene utilizzato solo per
l'accertamento della nota amara, attivando le papille gustative presenti nel fondo della lingua. Le
zone sensibili al salato e al dolce non vengono stimolate perché nell'olio non sono presenti sali e
zuccheri. La sensazione di dolce che viene indicata dagli assaggiatori in realtà è dovuta
all'assenza assoluta di amaro. Anche la zona sensibile all'acido non viene attivata perché gli acidi
liberi contenuti nell'olio hanno un peso molecolare troppo elevato.
La qualità degli oli dipende dalla varietà delle olive, dal grado di maturazione delle olive, dal
terreno, dalle tecniche agronomiche, dall’ irrorazione e dai metodi di raccolta. Dipende anche dai
41
modi e dai tempi di conservazione delle olive prima della lavorazione, dai sistemi di estrazione,
dalla modalità di stoccaggio delle olive e dalla conservazione degli oli.
La qualità riconosciuta agli oli extravergini è la risultante di due diversi ordini di indagine: da una
parte, le analisi chimico-fisiche, intese ad accertare la reale composizione in termini percentuali
della materia grassa ed il suo grado di acidità; dall'altra, l'esame organolettico, che giudica l'olio
dal punto di vista delle sue caratteristiche visive, olfattive, e di gusto e ne valuta pregi e difetti.
Le principali caratteristiche organolettiche dell'olio riguardano il colore (che si riconosce con la
vista), l'olfatto e il gusto-olfatto. Se l’olio deriva da olive immature avrà sfumature sul verde, da
olive mature sfumature sull’oro, da olive molto mature sfumature oro pallido. Queste
caratteristiche dipendono dai composti naturalmente presenti nel frutto e dai composti che si
formano per attivazione di processi di alterazione dell'olio.
Responsabili del colore sono le clorofille ed i caroteni. Le prime conferiscono il colore verde,
mentre i caroteni fanno assumere una colorazione giallo-arancio; i responsabili dell’olfatto sono i
volatili, cioè alcoli alifatici, alcoli triterpenici e diterpenici ed esteri. I responsabili del gusto sono
tutti gli acidi grassi ed i polifenoli.
Nell'Allegato XII "Valutazione organolettica dell'olio di oliva vergine" del regolamento C.E.E. n,
2568/91 si stabilisce che un olio deve essere sottoposto all'assaggio per determinarne, mediante
punteggio detto "punteggio organolettico", la categoria merceologica di appartenenza. Questa
valutazione viene fatta da un gruppo di assaggiatori selezionati, istruiti ed allenati, seguendo una
specifica metodologia analitica standardizzata (Panel Test, Fig 1).
42
Fig.1 Panel Test
Panel test è un termine inglese che significa “gruppo di persone che si riuniscono per esprimere
un giudizio”. L'indagine statistica sulle soglie personali di percezione ha permesso di accertare
che gruppi di 10 persone, scelte a caso in una popolazione, presentano una soglia media di gruppo
che è ripetitiva, cioè analoga a quella di un altro gruppo di altre 10 persone della stessa
popolazione; ossia gruppi di 10 individui, presentano una soglia media di gruppo che può essere
ritenuta rappresentativa della soglia dell'intera popolazione e, pertanto, tale gruppo può essere
utilizzato come uno strumento di misura che dia risultati validi per tutta la popolazione.
L'analisi sensoriale o organolettica dell'olio d'oliva ha un'importanza rilevante nel giudizio della
qualità finale del prodotto. Infatti, un olio che non sia accettabile da un punto di vista
organolettico, può essere declassato.
Le analisi sono svolte presso i laboratori della Camera di commercio e di altri Enti, oppure, se il
produttore d'olio commercia ingenti quantità, in commissioni interne all'azienda stessa. Le
commissioni sono formate da un capo panel e da un minimo di otto ad un massimo di dodici
assaggiatori per minimizzare l'errore; l'assaggio è svolto in cabine separate affinchè gli
assaggiatori non si influenzino tra loro.
Il Panel Test si svolge in modo che gli assaggiatori esprimano il loro giudizio sulle caratteristiche
sensoriali dell’olio indipendentemente l’uno dall’altro. Il capo panel deve possedere una solida
formazione ed essere un esperto nei vari tipi di olio; è inoltre responsabile della sua
43
organizzazione, del funzionamento, della preparazione, della codificazione e della presentazione
dei campioni agli assaggiatori, nonché del compendio dei dati e del loro trattamento statistico. Il
capo panel seleziona gli assaggiatori e provvede al loro addestramento e al controllo del loro
operato, in modo da garantire il mantenimento di un adeguato livello attitudinale. Gli
assaggiatori, per le prove organolettiche dell'olio di oliva, devono essere prescelti e addestrati in
funzione della loro abilità a distinguere tra campioni simili, in conformità con la guida del
consiglio oleicolo internazionale per la selezione, l'addestramento ed il controllo degli
assaggiatori qualificati di olio di oliva vergine. Gli assaggiatori di un Panel devono seguire un
corso di idoneità fisiologica all’assaggio guidato da un Capo Panel con un preciso e
standardizzato esame. Gli assaggiatori idonei devono seguire un corso di 20 sedute di assaggio al
termine delle quali è possibile iscriversi negli appositi Albi Regionali. Al termine dell'assaggio il
capo panel si occuperà di effettuare una media tra i voti dati dai vari assaggiatori in un foglio di
profilo , scartando quelli che siano eccessivamente incongruenti con gli altri (Fig 2).
Fig. 2 foglio di profilo attuale fornito agli assaggiatori nel valutare le caratteristiche
organolettiche dell’olio.
Ogni assaggiatore facente parte del panel deve odorare, poi assaggiare l'olio sottoposto ad esame,
44
contenuto nel bicchiere di assaggio, per analizzarne le percezioni olfattive e gustative; deve poi
appuntare nel foglio di profilo a sua disposizione l'intensità alla quale percepisce ciascuno degli
attributi negativi e positivi (Fig. 2). Le intensità di percezione sia dei difetti positivi che negativi
vengono misurate con un righello ed espresse in centimetri (da 0 a 10 cm) (Fig. 2). Il giudizio
finale è dato dalla mediana dei risultati e viene rappresentato graficamente come ad esempio nel
caso riportato nella figura (Fig. 3).
Fig. 3 Rappresentazione grafica dei risultati riportati nel foglio di profilo
Colui che analizza non deve essere a conoscenza né della provenienza né del produttore, per
evitare favoreggiamenti, non deve avere mal di testa, raffreddore, non deve fumare né bere caffè,
non deve né mangiare né masticare caramelle, poiché questi potrebbero variare il giudizio
gustativo del campione.
Nel caso in cui fossero percepiti attributi negativi non enumerati, questi devono essere indicati
alla voce "altri" impiegando il o i termini che li descrivono con la maggior precisione possibile.
Fondamentale nell’analisi sensoriale è l’addestramento dell’assaggiatore a riconoscere i pregi ed i
difetti di un olio.
Le caratteristiche costruttive della cabina di assaggio sono dettagliatamente spiegate nel
documento COI/T.20/Doc. n°6/Rev.1 del 18 giugno 1987 cui rimanda l’allegato XII del
45
Regolamento CE 2568/91. Si specifica, inoltre, che l’ambiente dovrà essere gradevole, isolato da
fonti di rumore o di inquinamento odoroso, mantenuto a temperatura (20-22°C) ed umidità (60-
70% ) ideali.
Ogni degustatore dispone di un tavolo di colore bianco, di una sedia, di una sputacchiera con
materiale assorbente di fondo, e di una scheda dove riporterà le sue impressioni. I bicchieri
devono essere di vetro scuro in modo da impedire la valutazione visiva del colore. Il colore più o
meno giallo e/o verde dell’olio, infatti, non è collegato direttamente alla sua qualità e perciò
potrebbe distrarre l’assaggiatore nell’analisi.
Il diametro del bicchiere è maggiore alla base e si restringe nella parte superiore per favorire la
concentrazione degli aromi verso il naso.
Al momento della presentazione in cabina, il bicchiere deve contenere 15 ml di olio ed essere
coperto da un vetro di orologio che eviti la dispersione dei composti volatili, dal momento che
il campione di olio viene scaldato alla temperatura di 28° C per favorire la volatilizzazione dei
composti aromatici.
L’insieme delle diverse percezioni sensoriali consente di formulare il giudizio finale che dovrà
tenere conto anche dell’ armonia complessiva delle sensazioni provate.
Alla fine del test di valutazione, ciascun assaggiatore compila la relativa scheda, esprime un
giudizio sulla presenza e sull’intensità dei pregi (fruttato, amaro, piccante) e degli eventuali difetti
(rancido, muffa, riscaldo, avvinato, metallico, ecc, vedi sotto riportati).
Qualche anno fa l’analisi organolettica si effettuava mediante tabella di valutazione in cui a
ciascuna voce si doveva attribuire un punteggio (Fig. 4). Alla fine dell’analisi il Capo Panel
faceva la media aritmetica, stabilendo il punteggio ottenuto.
46
Fig. 4 Tabella precedente di valutazione della qualità degli oli.
Questa scheda, denominata scheda numerica o strutturata, è oggi utilizzata solo per i concorsi
degli oli e per le certificazioni DOP. Il Reg. 796/2002 ha invece introdotto nella valutazione
organolettica degli oli di oliva lo strumento statistico della mediana (Fig. 2).
La classificazione dell'olio avviene confrontando il valore della mediana dei difetti e della
mediana del fruttato con gli intervalli di riferimento. Poiché i limiti di questi intervalli sono stati
stabiliti tenendo conto dell'errore del metodo, sono considerati assoluti. Quindi la scheda per la
classificazione degli oli vergine è cambiata, in quanto attualmente si utilizza un’altra scheda
chiamata Foglio di profilo (istituita appunto con il Regolamento 796/2002) in cui non compaiono
più i punteggi, ma ciascun descrittore di pregi o dei difetti è affiancato a un segmento lungo 10
cm non graduato in cui l’assaggiatore mette una crocetta in corrispondenza dell’intensità
percepita (Fig. 2).
Essa presenta 6 diciture per i difetti, oltre ad una voce con la dicitura “Altri” in cui è possibile
inserire uno dei difetti non elencati nella scheda ma codificati dal regolamento.
Per quanto riguarda i pregi è molto più semplice in quanto compaiono solo tre diciture: fruttato,
amaro,piccante.
In genere le operazioni effettuate durante l’assaggio di un olio sono le seguenti:
47
1. Versare l'olio in un apposito bicchierino di vetro scuro (il regolamento stabilisce una quantità
pari a circa 15 ml). Il campione va mantenuto a 28°C in modo da percepire al meglio le
caratteristiche organolettiche. Il bicchiere durante il riscaldamento e prima dell’assaggio va
mantenuto coperto con l’apposito coperchietto (in vetro o altro materiale neutro).
2. Annusare il campione cercando di captare tutte le sensazioni gradevoli o sgradevoli;
3. Assumere l'olio aspirando dell'aria con una suzione prima lenta e delicata, poi più vigorosa, in
modo da vaporizzarlo nel cavo orale, portandolo a diretto contatto con le papille gustative;
4. Fare riposare un poco la bocca, muovendo lentamente la lingua contro il palato;
5. Riaspirare con la lingua contro il palato e labbra semi-aperte;
6. Espellere l'olio.
L'assaggio tecnico deve essere effettuato seguendo alcune norme generali di comportamento:
a) Non fumare almeno 30 minuti prima dell'assaggio
b) Non usare alcun profumo, sapone o cosmetico il cui odore persista al momento della prova
c) Non ingerire alcun altro alimento, almeno un'ora prima dell'assaggio
d) Accertarsi che le condizioni psico-fisiche dell’assaggiatore siano positive, tali da non
compromettere l'analisi.
Normalmente le ore ottimali per le prove sono considerate quelle del mattino e comunque quelle
precedenti i pasti. Se gli assaggi sono molteplici, devono essere distanziati da un intervallo di
almeno 15 minuti. Per pulire la bocca è raccomandato l’uso di un pezzettino di mela: una volta
masticato dovrà essere sputato. Si deve poi procedere ad un risciacquo con acqua pura a
temperatura ambiente.
La valutazione prevede un esame olfattivo secondo il quale l’assaggiatore prende il bicchiere
coperto, lo inclina e lo rigira per bagnare il più possibile la superficie interna del bicchiere;
dopodiché odora il campione con inspirazioni lente e intense cercando di captare tutte le
sensazioni gradevoli o sgradevoli per un tempo che non deve eccedere i 30 secondi. Un esame
48
gustativo: il regolamento indirizza l’assaggiatore a considerare il cosiddetto ‘flavor’, cioè la
sensazione congiunta olfattiva – gustativa - tattile.
L’assaggiatore assume l'olio (circa 3 ml) aspirando dell'aria con una suzione prima lenta e
delicata, poi più vigorosa, in modo da vaporizzarlo in tutto il cavo orale, portandolo a diretto
contatto con le papille gustative e percependo per via retronasale anche le componenti volatili
aromatiche.
Nell’ordine concentra l’attenzione sugli stimoli amaro e piccante (l’amaro potrebbe essere
occultato dal piccante), tenendo conto anche delle sensazioni tattili (fluidità e pastosità), di
prurigine o bruciore o astringenza. Al termine espelle il campione.
Il colore dell’olio non è determinante nel giudizio organolettico. Tuttavia è un parametro
importante nella tipicità degli oli (ad esempio è codificato in certi disciplinari D.O.P.) e può
variare dal giallo paglierino al verdognolo e al verde intenso.
Colorazioni più grigiastre, rossicce, rosse, brunastre indicano invece scarsa consistenza e
denotano difetti dovuti ad ossidazione o alterazione chimica da raggi infrarossi o ultravioletti.
Un colore verde intenso indica che l’olio è ricco in clorofilla e può venire da olive acerbe, da
macinazione eccessiva delle bucce o da centrifugazione spinta.
La fluidità può essere assunta come indice di tipicità dell’olio. E’ legata alla densità del prodotto,
che dipende principalmente dalla composizione più o meno ricca in acidi grassi saturi, o viceversa
in acidi grassi poliinsaturi.
La limpidezza deriva da un’ottima decantazione o da filtraggio. Una leggera velatura opalescente
è caratteristica degli oli nuovi non filtrati, o può essere dovuta anche a temperature troppo basse
(già a partire dai 16°C iniziano a formarsi in sospensione dei cristalli di stearina).
Il fruttato è l’insieme delle sensazioni olfattive caratteristiche dell'olio ottenuto da frutti sani e
freschi, verdi o maturi, percepite per via diretta e/o retronasale. L'attributo fruttato si definisce
verde quando le sensazioni olfattive ricordano quelle dei frutti verdi, caratteristiche dell'olio
49
ottenuto da frutti verdi. L'attributo fruttato si definisce maturo quando le sensazioni olfattive
ricordano quelle dei frutti maturi, caratteristiche dell'olio ottenuto da frutti verdi e da frutti maturi.
Si definisce fruttato un olio che ha sapore e aromi simili a quelli dell'oliva matura; sebbene
appena prodotti tutti gli oli appaiano fruttati, in molti casi questa caratteristica è destinata a
scomparire dopo pochi mesi. Autenticamente fruttato è invece quello che mantiene questo aroma
inalterato nel tempo. Il fruttato può essere tenue, di media intensità o intenso.
L’amaro è il sapore elementare caratteristico dell'olio ottenuto da olive verdi o invaiate. L’
intensità di questo attributo dipende molto dal grado di maturazione delle olive. Oli estratti da
olive verdi saranno ricchi di fenoli e quindi molto amari, oli estratti da olive mature saranno
poveri di fenoli.
Il piccante è la sensazione pungente caratteristica di oli prodotti all'inizio della campagna,
principalmente da olive ancora verdi, che può essere percepita in tutta la cavità boccale, in
particolare in gola. Il carciofo è un sapore che ricorda quello del carciofo crudo assai gradevole e
fresco. Si dice verde un olio giovane, fresco, fruttato, leggermente erbaceo. Tutti questi sono
attributi positivi di un olio.
In diversi passaggi del ciclo produttivo dell’olio si può incorrere in eventi che determinano un
peggioramento della qualità con l’insorgere di alterazioni che si riscontrano all’assaggio come
sensazioni sgradevoli o difetti.
Difetti che si generano nell’olio durante la produzione delle olive sono il secco, il gelato, il verme.
Il difetto e' inevitabile nelle annate siccitose in quanto si viene ad avere la predominanza del
nocciolo sulla polpa. Il difetto di “secco” è avvertibile al gusto con la sensazione di legno e di
“astringenza” e deriva da olive siccitose. Il difetto di “gelato” si verifica quando si portano a
molire le olive che hanno subito una gelatura.
Gli oli con difetto di “gelato” il più delle volte presentano anche il “secco” poiché, in effetti,
avviene anche una disidratazione della drupa. E’ evidente che per evitare questo difetto bisogna
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raccogliere le olive prima di gelate o nevicate.
Il difetto di “verme” si genera quando le olive molite sono fortemente attaccate dalla mosca
olearia. Difetti che si generano durante la lavorazione delle olive sono il riscaldo, l’avvinato,
la muffa e il metallico.
Il difetto di “riscaldo” si può generare a seguito di uno stoccaggio errato/prolungato delle olive;
una pratica diffusa che può generare questo difetto è quello di portare le olive nei frantoi in sacchi
di plastica. Le olive come tutti i frutti, continuano il loro metabolismo anche dopo la raccolta,
quindi, stoccarle in recipienti che non consentono la traspirazione (sacchi di plastica o grossi
mucchi) fa sì che si verifichi un riscaldamento della massa che porta al difetto suddetto. Questo
difetto, avvertibile sia con l’olfatto sia al gusto, si può evitare mediante l’uso di cassette forate.
Il difetto di “avvinato” è l’evoluzione naturale del “riscaldo”, poiché, nelle condizioni di elevata
umidità e in assenza di ossigeno, gli zuccheri presenti nelle olive fermentano, dando origine
all’acido acetico (aceto) che, diluendosi nell’olio, conferisce ad esso il caratteristico odore/sapore
di aceto.
La muffa è il difetto dovuto all’errato e prolungato stoccaggio delle olive. Si verifica in presenza
di elevata temperatura e umidità che comporta, nel giro di 4-5 giorni, l’inizio dello sviluppo delle
muffe che conferiscono all’olio il caratteristico odore/sapore di “chiuso” .
Il “metallico” , invece, lo possiamo considerare un difetto minore, in quanto lo si riscontra con
più difficoltà. Questo difetto è dovuto all’uso di nuovi macchinari poco puliti e sgrassati. Oppure
si può generare a seguito di un prolungato stoccaggio dell’olio in contenitori di latta in banda
stagnata, come quelli che si usano generalmente per il trasporto dell’olio.
Vi sono poi difetti che si generano nell’olio durante la conservazione: la morchia e il rancido.
Il difetto di morchia si genera a seguito di prolungato stoccaggio dell’olio sui fanghi di deposito,
costituiti da residui di polpa e acqua di vegetazione. Per evitare questo difetto bisogna avere la
buona abitudine di travasare l’olio.
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Il difetto di rancido, invece, dall’odore/sapore inconfondibile, è quello che deriva dall’ossidazione
dei grassi e ci indica indirettamente l’età di un olio.
Questo difetto infatti si genera quando si esaurisce l’effetto protettivo degli antiossidanti,
naturalmente presenti nell’olio (polifenoli, tocoferoli, etc..).
I difetti citati sono solo quelli che si riscontrano con più facilità . Ve ne sono altri che si verificano
solo di rado, come il difetto di “ terra”, “ foglia” , “ fiscolo” , etc., ad ogni modo sempre da evitare
se vogliamo che il nostro olio sia classificato extravergine.
Gli olii, ai sensi del Reg. CE 1513/01 in vigore dal 1 Novembre 2003, sono classificati in:
a) olio extra vergine di oliva: la mediana dei difetti è pari a 0 e la mediana del fruttato è superiore
a 0; è olio di oliva vergine la cui acidità libera, espressa in acido oleico, è uguale o inferiore allo
0,8%;
b) olio di oliva vergine: la mediana dei difetti è superiore a 0 e inferiore o pari a 2,5 e la mediana
del fruttato è superiore a 0; olio di oliva vergine la cui acidità libera, espressa in acido oleico, non
supera il 2 %;
c) olio di oliva vergine corrente: olio di oliva vergine il cui punteggio organolettico è uguale o
superiore a 3.5, la cui acidità libera espressa in acido oleico è al massimo di 3,3%;
d) olio di oliva lampante: la mediana dei difetti è superiore a 3,5 ; oppure la mediana dei difetti è
inferiore o pari a 3,5 e la mediana del fruttato è pari a 0; olio di oliva vergine la cui acidità
espressa in acido oleico è superiore a 2% (solo per raffineria).
Non sono oli di oliva vergini:
a) olio di oliva raffinato: olio di oliva ottenuto dalla raffinazione di oli di oliva vergini, la cui
acidità libera espressa in acido oleico non può eccedere 0,3%;
b) olio di oliva composto da oli di oliva raffinati e oli di oliva vergini: olio di oliva ottenuto da un
taglio di olio di oliva raffinato e oli d'oliva vergini diversi dall'olio lampante, la cui acidità libera
espressa in acido oleico non può eccedere 1%;
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c) olio di sansa di oliva greggio: olio ottenuto dalla sansa delle olive mediante estrazione con
solventi o processi fisici;
d) olio di sansa di oliva raffinato: olio ottenuto dalla raffinazione di olio di sansa di oliva greggio,
con un tenore di acidità libera, espressa in acido oleico, non superiore a 0,3%;
e) olio di sansa di oliva: olio ottenuto da un taglio di olio di sansa d'oliva raffinato e di oli di oliva
vergini diversi dall'olio lampante, con un tenore di acidità libera, espressa in acido oleico, non
superiore a 1%.
Se l'olio di oliva preso in esame rispetta i parametri chimico-fisici, i relativi limiti analitici, e
rispetta anche il punteggio della valutazione organolettica previsti dal Regolamento CEE n.
2568/91, ovvero mediana del fruttato >0 e mediana del difetto = 0, può essere etichettato come
extravergine di oliva. Altrimenti verrà declassato in olio vergine o addirittura in olio di oliva
lampante.
Un olio di buona qualità è caratterizzato quindi dall’aroma di “fruttato di oliva”, un odore fresco e
gradevole che ricorda l’oliva, l’erba appena falciata ed eventuali note di foglia di pomodoro, di
carciofo, di altri vegetali, di frutti quale la mela verde o i frutti di bosco. Assaggiandolo, poi, dà
una leggera sensazione gustativa amara e/o piccante.
Queste sensazioni sono dovute alla presenza di composti fenolici naturali, antiossidanti che
proteggono l’olio durante la conservazione. Tali antiossidanti svolgono una importantissima
azione anche in “vivo”, proteggendo le nostre cellule dall’invecchiamento e dallo “stress
ossidativo” (bloccano i radicali liberi). L’amaro-piccante (“olio che pizzica in gola”), quando non
eccessivo, è quindi un importante pregio dell’olio.
Un olio di cattiva qualità presenta, invece, odori sgradevoli (“difetti”). Uno dei più comuni difetti
dell’olio è quello di “rancido” dovuto alla ossidazione per effetto dell’aria. L’olio rancido presenta
un sentore che ricorda la noce, il grasso di prosciutto ingiallito, fino ad un odore di vernice ed è
molto frequente negli oli vecchi e mal conservati.
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Tra i difetti di origine fermentativa, frequenti sono quelli di “avvinato - inacetito” (odore che
ricorda il vino o l’aceto) “di muffa” (odore che ricorda la muffa che si è sviluppata sulle olive
marce) o di “riscaldo” e “morchia” (odore che ricorda la salamoia ed i formaggi). Altri difetti
sono quelli di “terra” (odore che ricorda la terra bagnata), di “cotto”, di “acqua di vegetazione” e
di “metallico”.Tutti questi odori possono essere memorizzati facilmente con la guida di un
assaggiatore esperto. Al gusto, un olio vecchio o difettato evidenzia spesso un gusto piatto. La
mancanza assoluta dell’amaro e del piccante, collegata al difetto di rancido, è un chiaro indice del
fatto che l’olio ha ormai subito un processo degradativo irreversibile ed ha perso le sue proprietà e
la sua qualità.
Procedure per la produzione dell’olio extravergine di oliva
L’Italia possiede un importante patrimonio olivicolo poiché la sua posizione geografica ha
favorito lo sviluppo di molte varietà di olivi, ognuna delle quali ha trovato l’ambiente ideale per
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fruttificare (1) e nessun altro paese possiede tante varietà autoctone di olivi (circa 538) (2).
L’Italia detiene il primato di oli che hanno ricevuto il prestigioso riconoscimento da parte
dell’Unione Europea, in quanto ben 36 prodotti si possono fregiare del marchio DOP.
La qualità dell’olio, che si ricava dalla lavorazione delle olive in frantoio, dipende dalla qualità e
dallo stato di maturazione delle olive, ma anche da altri fattori connessi con le operazioni di
raccolta e di post-raccolta. Quando si parla di qualità dell’olio ci si riferisce alle caratteristiche
chimiche, chimico-fisiche e organolettiche che il prodotto possiede e che si stabilizzano nei valori
stabiliti dalla normativa nazionale, comunitaria e internazionale.
Per quanto riguarda l’olio vergine d’oliva, vige, per i paesi dell’Unione Europea, il Regolamento
(CE) n.1513/2001 del Consiglio del 23 Luglio 2001 (3) che stabilisce: “Gli oli d’oliva vergini: gli
oli ottenuti dal frutto dell’olio soltanto mediante processi meccanici o altri processi fisici, in
condizioni che non causano alterazioni dell’olio e che non hanno subito alcun trattamento diverso
dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione, esclusi gli oli ottenuti
mediante solvente o con coaudiuvanti ad azione chimica o biochimica o con processi di
riesterificazione a qualsiasi miscela con oli di altra natura”.
Le olive maturano solitamente in ottobre, se di varietà precoce, o in dicembre e gennaio, se più
tardive. Il momento ottimale per la raccolta varia in base al tipo di olivo, oltre che alle condizioni
climatiche stagionali e alla tecnica colturale utilizzata. Si parla di maturazione fisiologica, che
coincide con la pigmentazione nera o nera-violacea dell’epidermide.
Durante la maturazione dell'oliva si ha un graduale aumento della percentuale di olio ed una
progressiva diminuzione di acqua. È quindi importante che la raccolta avvenga direttamente
dall’albero, al giusto punto di maturazione e con i metodi più idonei; inoltre è importante
trasportare le olive in giornata all’oleificio affinché siano poste rapidamente in lavorazione. In
realtà non esiste un’indicazione assoluta dello stato ottimale di maturazione; esse si raccolgono
quando si ha una percentuale alta di frutti invaiati e minima di frutti verdi, senza aspettare che le
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olive cadano naturalmente poiché, in quel caso, fornirebbero oli con elevata acidità e con un
profilo sensoriale difettato. Quindi l’indice di invaiatura aiuta nella stima del migliore momento
di raccolta. È necessario rispettare l’integrità del frutto, il distacco dalla pianta può determinare
traumi e lesioni incidendo negativamente sulle caratteristiche organolettiche dell’olio.
La raccolta può quindi avvenire manualmente o meccanicamente; il metodo migliore è scelto in
base all’ambiente in cui si opera, alle caratteristiche dell’oliveto e del suolo oltre che del cultivar.
Le olive cadono spontaneamente sulle reti stese sul terreno staccandosi dall'albero quando sono
eccessivamente mature, ciò determina un decadimento delle qualità organolettiche e
nutrizionali dell'olio. Esso è formato da trigliceridi che, oltre un certo livello di maturazione
della polpa, vengono degradati dagli enzimi cellulari; si assiste così al distacco degli acidi
grassi dal glicerolo e ad un conseguente aumento dell'acidità libera. Quanto minore è
l’acidità tanto migliore sarà l’olio. Quindi, la raccolta dopo caduta spontanea è un metodo
economico ma non sempre consigliabile. I metodi più utilizzati per la raccolta delle olive
sono la pettinatura e la scrollatura.
Nella pettinatura, i rami degli alberi vengono pettinati con dei grossi rastrelli che staccano le
drupe, qualche foglia senza incidere sulla struttura arborea. Vengono posti dei teli sotto gli olivi
per facilitare la raccolta delle olive cadute.
La scrollatura viene fatta con dei bracci meccanici che avvolgono il fusto e i grossi rami dell'olivo
percuotendoli in modo blando e favorendo la caduta spontanea delle drupe. Questa tecnica non
incide troppo sulla struttura dell'albero, che subisce comunque uno stress importante.
L’abbacchiatura è un metodo che veniva molto utilizzato in passato e che consiste nel percuotere i
rami degli alberi con delle grosse pertiche lesionando però i ramoscelli più giovani, a cui sarà
affidata la fruttificazione nell'anno successivo. Perciò viene danneggiata la produttività
dell'uliveto e le olive più mature possono rompersi nell'impatto con la pertica o con il terreno.
Un metodo di raccolta ottimo è la brucatura a mano perché, raccogliendo le olive a mano, si
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possono scegliere le migliori e preservarne l'integrità. Si tratta di una tecnica impraticabile
nelle grosse produzioni a causa degli insostenibili costi di manodopera; è invece molto
diffusa a livello casalingo e consente di ottenere prodotti di qualità superiore.
Dopo la raccolta non tutte le olive vengono trasportate immediatamente al frantoio per essere
subito trasformate, per cui è necessario stoccarle nei bins. Spesso il trasporto viene
realizzato in modo non idoneo utilizzando sacchi di plastica o di iuta, che sono da
sconsigliare per il rischio di schiacciamento delle olive.
Nel caso di trasporto di quantitativi elevati di olive, il mezzo di trasporto più idoneo è
rappresentato da grossi trattori con rimorchio dotato di cassone ribaltabile; quando la distanza da
percorrere è notevole, è opportuno utilizzare autocarri dal fondo coperto con tela impermeabile e
con cassone ribaltabile al fine di agevolare le operazioni di scarico.
Una volta giunte al frantoio, le olive vengono messe in magazzini asciutti e ben areati, in una
zona ombreggiata, al riparo da gelate e cattivi odori, disponendo preferibilmente i frutti su
pavimento lavabile, all’aperto o al coperto (4). Tutto ciò è bene che si realizzi entro le 48 ore dalla
raccolta, al fine di ottenere un prodotto qualitativamente ottimale.
L’accumulo delle olive nell’olivaio, in attesa di essere lavorate, rappresenta un alto rischio per il
deterioramento delle olive a causa dello schiacciamento che porta all’innesco di fenomeni di
fermentazione della sostanza organica con formazione di prodotti volatili correlati a difetti
organolettici (5). A tal proposito, molti studi scientifici hanno evidenziato alterazioni delle olive a
causa di un lungo periodo di stoccaggio (6) (7).
In oleificio si procede, quindi, con l’eliminazione delle foglie e il lavaggio delle olive;
preparazione della pasta di olive mediante frangitura o molitura della drupe; gramolazione della
pasta di olive precedentemente ottenuta; separazione dell’olio, o del mosto oleoso, dalle altre fasi
dell’impasto; separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione.
La raccolta delle olive provoca la caduta delle foglie, la cui presenza è importante per ridurre il
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peso delle drupe ed evitare il rischio dello schiacciamento. Gli olivicoltori, in passato, operavano
in campagna la cernita manuale delle olive eliminando la maggior parte delle foglie (8). In
seguito, con l’utilizzo del sistema di centrifugazione a 3 fasi, si ritenne necessaria l’introduzione
della macchina in grado di eliminare le foglie e l’eventuale altro materiale vegetale presente. Le
due operazioni, defogliazione e lavaggio, in genere vanno effettuate per motivi di ordine igienico-
sanitario, per ragioni tecnico meccaniche e soprattutto per motivi legati alla qualità dell’olio.
Si eliminano, quindi, le foglie, la terra e tutto ciò che può danneggiare le caratteristiche
organolettiche dell’olio e dell’impianto stesso. Generalmente, la defogliazione e il lavaggio delle
olive vengono effettuati da una sola macchina che esegue le due operazioni in sequenza e che ha
dimensioni variabili in relazione all’attività dell’oleificio. Mediante un forte aspiratore, la
macchina elimina le foglie e tutto il materiale vegetale libero servendosi di una griglia che,
vibrando, muove le olive e consente poi il lavaggio delle olive stesse, che vengono sommerse
dall’acqua contenuta nel sottostante cassone e mosse da apposita pompa di circolazione. A questo
punto le olive sono pronte per la successiva operazione di frangitura.
Le predette operazioni pur previste e auspicate, non sempre vengono effettuate. Infatti in alcuni
oleifici, dove si lavorano olive di buona qualità, raccolte dall’albero e senza eccessiva quantità di
materiale estraneo, le operazioni di preparazione della pasta di olive prevedono la sola rimozione
delle foglie bypassando il lavaggio delle olive. Tale soluzione semplifica le operazioni e riduce i
costi.
Dopo aver pulito le olive viene eseguita la molitura o frangitura: in questa fase la polpa e i
noccioli delle olive vengono lacerati a fondo attraverso le molazze (macine di granito) o i moderni
frangitori a martelli o a dischi rotanti. Si ottiene così una pasta di olive, formata da polpa e
nocciolo entrambi frantumati, che è più uniforme nel sistema moderno. Questo sistema però,
lacerando troppo velocemente la polpa delle olive, fa aumentare la temperatura e altera le
sensazioni organolettiche, quali l’amaro e il piccante. Nel caso di utilizzo delle ruote di granito, lo
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svantaggio sta nella bassa capacità lavorativa.
La frangitura ha lo scopo di ledere le cellule della polpa, favorendo la fuoriuscita di olio dai
vacuoli e la frantumazione del nocciolo. Quest'ultimo aspetto è molto importante perché, essendo
il nocciolo dotato di un guscio legnoso, quando va incontro a rottura produce schegge che
favoriscono, a loro volta, la lesione delle strutture cellulari della polpa ed una maggiore estrazione
di olio.
Dalla molitura si ottiene una "pasta di olive", che può essere definita un'emulsione di olio in
acqua perché l'olio fuoriuscito dai vacuoli si disperde sottoforma di goccioline in questa massa
pastosa. La pasta di olive viene poi estratta dalla molazza e portata alla gramola, dove si effettua
una gramolatura, cioè un suo rimescolamento. La gramolazione della pasta di olive è
un’operazione necessaria per incrementare la resa di estrazione dell’olio. Condizioni ottimali di
gramolazione sono tempi compresi tra 30 e 60 minuti, e una temperatura di 27-30 °C.
Aumentando la temperatura di gramolazione molto al di sopra dei valori ottimali, si otterrà un
olio con caratteristiche di qualità inferiori poiché aumentano i perossidi e si perdono i composti
volatili.
Agitando questa pasta si facilita l'ulteriore lacerazione delle cellule ottenendo una maggiore
fuoriuscita di olio dai vacuoli. Altro aspetto molto importante legato alla gramolatura è che, grazie
ai continui rimescolamenti, le goccioline di olio disperse nella massa collidono tra loro unendosi
in gocce via via sempre più grosse. Tramite gramolatura si passa, quindi, da un'emulsione di olio
in acqua ad un emulsione di acqua in olio: la massa assume una composizione oleosa e l'acqua di
vegetazione rimane dispersa sottoforma di piccolissime goccioline.
L'aumento della temperatura e dei tempi di gramolatura migliora la resa in olio ed la sua aroma
ma influisce negativamente sulla qualità e conservabilità del prodotto, in quanto il calore
diminuisce il contenuto in polifenoli e il tempo di gramolatura prolungato favorisce l'aumento
dell'acidità libera. A questo punto si procede alla fase dell’estrazione vera e propria, che porta alla
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separazione delle tre componenti della pasta: sansa, acqua di vegetazione e olio.
La separazione delle fasi liquide (olio e acqua di vegetazione) e di quella solida (sansa), che
costituiscono la pasta di olive, si realizza mediante (9): pressione (metodo classico discontinuo);
centrifugazione (metodo moderno discontinuo); percolamento mediante filtrazione selettiva
(metodo moderno, continuo). Il più tradizionale dei sistemi è l’estrazione per pressione meccanica
che utilizza i fiscoli, costituiti da fibre metalliche (in genere di acciaio) o naturali. La pasta di
olive viene spalmata sui fiscoli, i quali vengono impilati nel carrello intervallati da dischi pieni di
metallo. Si procede con la pressatura: i dischi metallici servono per uniformare la pressione e
rendere più efficace l'azione di spremitura. Dalla pressatura della pasta di olive fuoriesce la
componente liquida oleosa (mosto oleoso, ovvero olio e acqua di vegetazione).
Il mosto viene poi portato nelle centrifughe per ottenere una completa separazione delle due fasi,
allontanando l'acqua di vegetazione dall'olio. L'olio così ottenuto dovrà subire una filtrazione
finale per eliminare residui di polpa e tutte le sostanze che possono intorbidarlo. Al termine del
processo si ottiene un olio vergine. L’olio vergine di oliva è tale solo se la sua estrazione dal frutto
si effettua impiegando macchine, con l’esclusione di altri mezzi in particolare quelli chimici.
Questa caratteristica richiamata costantemente nella normativa che ne definisce la categoria
merceologica (Regolamento (CE) n.1513/2001 del 23 luglio 2001) è forse, la più importante tra
quelle richieste per differenziare gli oli vergini di oliva da quelli ottenuti da altre oleaginose,
soprattutto dagli oli di semi, in genere estratti con solventi chimici e sottoposti alle successive
operazioni industriali di raffinazione.
Gli oli vergini vengono quindi classificati in base all’acidità libera. Se questa risulta superiore
rispetto ai parametri di legge si rende necessario un processo di correzione o rettifica. Dopo la
pressatura, la parte solida che resta aderente ai fiscoli è la sansa, il residuo della pasta di olive.
Questa contiene ancora una piccola percentuale di olio, non più estraibile mediante pressione ma
attraverso estrazione con solventi chimici. L’olio così ottenuto non può più essere chiamato
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vergine, necessita di rettifica e viene prodotto in stabilimenti separati dagli oleifici.
Il sistema estrattivo per centrifugazione (decanter) sfrutta il diverso peso specifico dei singoli
componenti. I processi iniziali (pulitura, frangitura e gramolatura) sono gli stessi visti per il
metodo a pressione. Dopo la gramolatura la pasta di olive viene miscelata con un 30% di acqua
(viene diluita, resa più liquida) ed entra in un estrattore centrifugo, che può essere a tre vie (dal
quale escono la sansa, l'olio e l'acqua di vegetazione) o a due vie (dal quale escono solamente
l'olio e l'acqua di vegetazione).
Il decanter, è costituito da una vite senza fine che, ruotando, porta avanti la pasta di olive; per cui,
da un lato escono le sanse schiacciate mentre il liquido va sul fondo separandosi in acqua (che
esce dal basso) e olio (che esce dall'alto, perché più leggero).
La separazione, però, non è netta ed entrambi vengono immediatamente sottoposti a
centrifugazione per recuperare, da un lato, la piccola percentuale di olio presente nell'acqua, e
dall’altro per allontanare la piccola quota di acqua di vegetazione presente nell'olio.
Gli oli vengono poi uniti e l'acqua recuperata per essere nuovamente mescolata alla pasta di oliva.
Si tratta di un impianto veloce, che lavora molto bene ma che, dovendo mescolare la pasta di olive
con un 30% di acqua, causa la parziale perdita della frazione polifenolica dell'olio.
La necessità di limitare il volume delle acque di vegetazione ha portato alla messa a punto del
cosiddetto decanter a due fasi, grazie al quale si ottengono solamente due prodotti, l'olio da un
lato e la sansa dall'altro. Quest'ultima risulta tuttavia difficilmente gestibile con le normali pale
meccaniche in quanto particolarmente ricca di acqua (60%).
Perciò oggi si sta diffondendo il processo di filtrazione selettiva, metodo veloce e continuo,che
permette di conservare la componente fenolica.
Anche in questo caso le fasi iniziali di pulitura, molitura e gramolatura sono le stesse viste per i
metodi precedenti. Alla gramolatura segue un'estrazione dell'olio mediante percolazione.
La pasta di oliva viene messa su sistemi filtranti costituiti da una griglia di acciaio o nichel, sulla
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quale poggiano tante lamelle di metallo mobili che penetrano nella pasta. Dal momento che tali
lamelle sono costituite da metallo, l'olio di oliva aderisce ad esse molto meglio dell'acqua; quando
si retraggono lasciano poi sgocciolare l'olio trattenuto. Questa tecnica sfrutta la diversa tensione
interfacciale esistente tra metallo ed olio e tra metallo ed acqua.
Su queste piastre scorre un pettine raschiatore in gomma, che spinge la pasta di oliva sul sistema
filtrante.
Le goccioline di olio rimangono adese alle lamelle di metallo e scivolano giù mentre l'acqua non
si attacca e resta nella pasta di olive. Il risultato finale di questa tecnica filtrante è un'emulsione di
piccolissime goccioline di acqua di vegetazione in olio, detta mosto, che viene sottoposta a
centrifugazione per ottenere la definitiva separazione dell'olio dall'acqua. Anche la sansa viene
sottoposta al medesimo processo, che permette di ottenere da un lato un corpo di fondo esaurito e
dall'altro un mosto, che per successiva centrifugazione verrà ancora una volta separato in olio ed
acqua di vegetazione.
Pressione e percolamento possono comportare aumento dei parametri di acidità, del numero di
perossidi, e insorgenza di difetti sensoriali, perché si basano su sistemi di estrazione
(rispettivamente fiscoli e lamelle) che non consentono una facile pulizia.
Il prolungato contatto dell’olio con l’acqua di vegetazione potrebbe conferirgli il difetto di acqua
di vegetazione, per cui è necessario che la separazione avvenga nel minor tempo possibile. Per
ottenere una buona conservazione dell’olio extra vergine di oliva è assolutamente necessario
allontanare i fondami (morchie) che si separano per decantazione nel corso della conservazione.
La permanenza dell’olio a contatto con le morchie, può essere causa di un possibile aumento di
acidità oltre che dell’insorgenza di difetti. Infatti, i fondami sono costituiti da acqua, mucillagine,
zuccheri e proteine, frammenti di polpa, microrganismi ed enzimi che sono in grado di innescare
fermentazioni indesiderate. L’allontanamento dei fondami può essere ottenuto mediante ripetuti
travasi anche se il rischio è di esporre l’olio ad un eccessivo contatto con l’aria. La stabilità
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dell’olio e la sua conservabilità sono molto influenzate dalle tecnologie di trasformazione e dalle
condizioni di conservazione, che possono determinare uno scadimento qualitativo. Per evitare
questo è necessario seguire delle norme idonee di conservazione: ridurre al minimo il volume di
aria a contatto con l’olio, proteggere l’olio dall’esposizione alla luce, minimizzare il contatto
dell’olio con le morchie. È preferibile conservare l’olio in silos di acciaio inossidabile poiché
questi sono inerti, facilmente lavabili ed ermetici.
È consigliabile disporre di più recipienti di diverse dimensioni da tenere sempre completamente
pieni. L’olio va conservato a temperature comprese tra i 10 e i 18 °C evitando sia il riscaldamento
che il congelamento.
Dopo l’estrazione l’olio extra vergine si presenta più o meno torbido a causa della presenza di
impurità naturali, quali frammenti di polpa e acqua che possono trovarsi in sospensione o
emulsionati nella fase oleosa. Nel tempo, tali componenti si depositano sul fondo dei serbatoi di
stoccaggio sottoforma di morchie e il contatto dell’olio con esse può causare un aumento
significativo dell’acidità e di difetti organolettici quali avvinato, inacetito e putrido.
Per assicurare una buona conservazione dell’olio extra vergine di oliva è quindi necessario
allontanare il materiale in sospensione. La scelta del momento in cui si effettua la filtrazione è
variabile, in taluni casi viene eseguita sull’olio appena prodotto, più spesso avviene, dopo aver
compiuto eventuali miscelazioni subito prima del confezionamento.
BIBLIOGRAFIA
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lavorazione delle olive in frantoio. Rese di estrazione e qualità dell’olio. Tecniche Nuove,
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Tecniche Nuove,2010
9. Di Giovacchino L. Cap.7-8-9 –Tecnologie di lavorazione delle olive in frantoio. Rese di
estrazione e qualità dell’olio. Tecniche Nuove, 2010
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