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Periodico d’informazione culturale
a cura della Biblioteca Lercari
Quaderno n. 36 – Novembre 2019
Tema: L’ATTENZIONE
Municipio Genova Bassa Valbisagno
Biblioteca G. L. LERCARI
Via S. Fruttuoso 74 16143 Genova
Email: [email protected]
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INDICE
Giuseppe Guccione Prefazione 5
Clara Crovetto Il coccodrillo 6
Marco Marzagalli Deficit d’attenzione 7
Renato de Luca Attenzione! 11
L’attenzione 12
Giuseppe Guccione Ora 14
Segesta, le realtà ipotetiche 16
In un attimo il tempo era finito 19
Maria Delbene Scrivere – L’attenzione 21
Tracce di noi 22
Vivere – Fast Fast 23
Carlo Frittoli Pausa d’attenzione 24
Pausa 25
Giuseppina Sorbello Lungo la strada 26
Enrica Vacca L’attenzione 27
APPENDICE Stravaganze nello spazio
Clara Crovetto Diario di bordo 30
Marco Marzagalli Wxyz14 è un marziano 31
Carlo Frittoli L’ultima missione 32
Fra moltissimo tempo, un tardo
pomeriggio
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Prefazione (di Giuseppe Guccione)
L’attenzione è il rispetto con cui trattiamo gli altri, ma anche noi
stessi. Penso alle tre scimmiette poste su un tavolo della sala da
pranzo di mia nonna, ne chiedevo il significato.
Il silenzio oggi non viene più rispettato, riceviamo notifiche in ma-
niera continuativa, dall’esterno qualcuno richiama continuamente la
nostra attenzione. Cosa è veramente importante o significativo?
Non sono i nostri sensi a percepire cosa è importante, cosa è bene o
cosa è male, cosa è degno della nostra attenzione.
“Non vedere il male, non sentire il male, non parlare del male”.
La scimmietta sorda,
La scimmietta muta,
La scimmietta che non vede,
Con gli occhi chiusi al male,
Le orecchie che ascoltano solo il bene,
Le labbra mute agli scandali.
Se ne stavano sedute in silenzio.
Il male invece ci viene notificato ad ogni momento delle nostre
giornate, ne parliamo, non distinguiamo, ce ne pasciamo come l’erba
per le pecore, facciamo sempre meno attenzione a ciò che agevola la
nostra crescita spirituale. Di ogni erba un fascio. Generalizziamo e
traiamo giudizi affrettati su cose o persone. Il diavolo non ha più le
corna e rassomiglia al nostro vicino.
Il fascino della violenza viene promulgato da tutti i media, come
un patrimonio positivo da divulgare. Le mele son tutte marce?
I film, i videogiochi sono diventati un dettato di violenza che è
maestro per i nostri giovani, così i telegiornali ed i programmi di
cronaca. Seguendo un delizioso documentario della BBC sulla vita
degli oceani si osserva che la vita della natura è complessa fatta di
affetto ma anche di violenza ma con motivazioni diverse dalla volon-
tà del male offerta alla nostra attenzione come se fosse l’unico punto
di interesse significativo, bisognerebbe fare attenzione a ciò che
abbiamo! Anche se questo è diventato un luogo comune.
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CLARA CROVETTO
Il coccodrillo
L’attenzione arriva, a volte, la notte, quando una carrellata
dell’accaduto del giorno sfila davanti a noi incalzante, spesso
poco benevola, onnicomprensiva di parole, fatti, pensieri.
Riconosciamo cadute di banalità, superficialità, poca benevo-
lenza e anche stupidità.
Così ci ritroviamo goffi, a volte cattivi, spesso poco o niente
riflessivi, e magari irrispettosi.
Di chi? Dell’altro, dei fatti, di noi.
Che fare, un bel piantino riparatore?
Forse meglio un guizzo di ottimismo “Da ora in avanti, pro-
viamo, non più…”
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MARCO MARZAGALLI
Deficit d’attenzione
Il suo lavoro necessitava di un’attenzione assoluta.
Doveva stare attento a ogni minimo particolare. In caso di er-
rore, inizialmente la macchina reagiva con piccoli segnali
d’avvertimento. Si sentivano appena quei tocchi, erano come
dei fremiti. Poi, via via che si procedeva sulla strada sbagliata,
gli effetti si facevano più intensi. Prima dei pizzichi, delle pun-
ture, poi vere e proprie scosse che facevano balzare sulla seg-
giola il povero operatore.
Ne andava del suo stato fisico e mentale.
Si dice, anche se non è mai stato possibile verificare, che al-
cuni fossero stati colti da veri e propri colpi apoplettici. O, co-
me altrimenti si usa dire, c’erano rimasti col sorriso, quella
smorfia sogghignante che fotografa l’enigmatica espressione
del volto nell’attimo culminante di un evento fatale.
Si era nella quinta dinastia delle macchine, quella in cui le
creature artificiali avevano preso il definitivo sopravvento sugli
uomini. Ammesso che ne esistessero ancora (nella forma a noi
nota), contavano più un telecomando o una centralina elettroni-
ca di qualsiasi essere umano.
Le cosiddette macchine erano tutte collegate tra loro. La rete
che le univa aveva una struttura di tipo neuronale. Si erano svi-
luppate infrastrutture fisiologicamente compatibili con gli esse-
ri viventi. Grazie all’uso di particolari componenti artificiali al-
tamente evoluti, le comunicazioni avvenivano a una velocità
approssimata a quella della luce. Le macchine erano governate
da una catena centrale di super elaboratori che processava fan-
tastrilioni di operazioni al nanosecondo.
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In pratica, ogni cosa era affidata a terminali antropomorfi che
svolgevano i loro compiti in maniera perfetta e che, per quanto
apparissero indipendenti e disinvolti, dipendevano in tutto e per
tutto da quell’unico organismo centrale.
Tutto era nato a causa dell’irrefrenabile foga dell’uomo nello
sviluppare tecnologie sempre più performanti per sostituire
l’attività umana con quella di apparecchiature estremamente
complesse.
La colpa era quindi dell’uomo che era diventato indolente,
che non era più abituato alla concentrazione mentale né al lavo-
ro fisico che riteneva pesante e faticoso. Le attività intellettuali
permanevano, seppur ridotte e rese praticamente inutili
dall’esaurimento delle idee: tutto era stato inventato, ogni sto-
ria sviscerata, la fantasia aveva toccato il suo apice ed era pre-
cipitata nella più assoluta inerzia creativa.
Le macchine nel frattempo avevano imparato ad apprendere,
a migliorare, a crescere. Riuscivano a gestirsi da sé. Sembrava
una scoperta fantastica, nessuno avrebbe mai immaginato che
ciò potesse causare la rovina dell’umanità. Fu una sorta di
ignavia, noncuranza, oblio generale ciò che consentì alle mac-
chine di ottenere l’egemonia sul genere umano.
Qualcuno aveva pure pensato che un giorno i robot avrebbero
sostituito in tutto e per tutto gli uomini. Certo, nessuno poteva
credere che le macchine potessero sviluppare una propria intel-
ligenza. Ci si scherzava su, “vorrai mica dire che le macchine
pensino?” Così, ridendo e scherzando, quelle subdole creature
si emanciparono a tal punto da sopravanzare ogni altro essere o
entità che popolava la terra. Tutto ciò avvenne gradualmente
con la compiacenza di una società corrotta e priva di stimoli. Il
progresso delle macchine divenne vertiginoso. Ci fu un mo-
mento in cui l’uomo non riuscì più a restare al passo coi tempi.
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Perse il controllo dell’intero sistema, gli sfuggì la situazione di
mano.
In quell’epoca gli uomini venivano utilizzati per svolgere at-
tività di routine. Affiancavano le macchine in lavori pedissequi.
Era un modo come un altro per tenerli sotto controllo, per sag-
giare le loro capacità, caso mai avessero mostrato un segno di
ripresa, in un inutile tentativo di rivalsa che loro, le macchine,
avrebbero represso all’istante.
Adam Lowry1 era sempre stato uno dei più critici. Benché
soggiogato e ridotto in cattività già dall’infanzia, nell’età della
ragione aveva cercato di mettere in guardia i suoi simili. Forse
ancora avrebbero avuto qualche chance. Avrebbero potuto in-
terrompere la catena di comando delle macchine, organizzare
una strenua resistenza, pensare a qualche rivoluzione. Ma lì
non c’erano più Bastiglie o Palazzi d’Inverno da espugnare. La
loro era una guerra tecnologica e la lotta era assolutamente im-
pari.
Era un bel pezzo che ci pensava. Era qualcosa che aveva a
che fare con i greci al tempo della guerra di Troia. Avrebbe
dovuto iniettare nel sistema dei piccoli errori, dei bug che
avrebbero infettato tutto l’apparato. Avrebbe potuto farlo, al-
meno in teoria, lui che era addetto al filtraggio e reinserimento
di alcune informazioni di controllo destinate all’organismo
centrale. Le sue azioni puntavano dritte al cuore del sistema.
C’era pure l’occasione per diffondere la sua idea. Le macchi-
ne concedevano dei momenti di aggregazione sociale durante i
quali gli uomini assistevano a spettacoli, perlopiù vecchie
proiezioni, che servivano a distrarre le masse e a conceder loro
una pausa di svago. Ogni altra attività era vietata.
Ma in quelle occasioni si potevano stabilire dei contatti, si
poteva cercare di condividere un piano. Il suo progetto era co-
1 Adam come il primo uomo sulla terra, Lowry dal cognome del protagoni-
sta del film Brazil di Terry Gilliam
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munque rischioso. Commettere errori nell’uso di un terminale
comportava la reazione punitiva delle macchine che, come
sappiamo, era piuttosto dolorosa, se non addirittura letale.
Era necessario trovare una sequenza di dati auto-proliferante
che una volta inserita in rete potesse espandersi a vista
d’occhio inondando i mezzi di comunicazione. Occorreva
coinvolgere un buon numero di matematici e informatici, quelli
che avevano potuto studiare su vecchi libri che qualcuno anco-
ra custodiva gelosamente.
Si doveva procedere a piccoli passi, minando il sistema alle
sue basi.
Forse sarebbero occorsi un bel po’ di anni, forse un giorno
qualcuno sarebbe riuscito nell’intento, forse il prepotere delle
macchine sarebbe stato sovvertito. Forse.
Mentre Adam Lowry si abbandonava a questo genere di di-
vagazioni sognando un futuro migliore ma distraendosi dal la-
voro, la macchina al suo fianco reagì con un piccolo scappel-
lotto. Sembrava quasi che quell’inespressivo ammasso ciberne-
tico gli potesse leggere nel pensiero.
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RENATO DE LUCA
Attenzione!
Attenzione! Qui è silenzio che quasi il tuo solo
respiro contamina, è spazio immenso e racchiuso
ad una pace, che il solo sciacquio delicato o
dondolio di natante fiata e alterna il volo di
gazzette in allontano.
La strada bianca divide uliveti e il risalire
tondo dell’invaso di vulcano.
Lontano da ora vivevan gli Etruschi di carezzate
armonie, poi fu Teodorico e Monaldeschi e Farnesi:
ora anche i Papi sulle isole hanno smesso la caccia.
Qui dove ancora l’adipe indovina dagli occhi di
brace racimola erbe e sa le sepolture etrusche,
ha di lei chi ride e chi distaccata reverenziale
attenzione. Qui tutto è magico, lo scolpito antico
gallo cedrone in pietra guarda attonito l’incisa
terzina di Dante, sull’alto spiazzo dell’alta
torre Martana e lo scoglio sulla cui targa dichiara:
"Su quest’isola morì Amalasunta!”, quel che fu del
castello, ma rimane la quercia dei nidi di Gheppio.
Modula echi il marino se il sole ai tramonti cala
ombrato oltre l’Amiata.
Qui fa attenzione un senso saputo e non ancora
scoperto: è il Fanum Voltumnae, ubicato senz’altro
a sommo di uno dei vari dossi, alterni ad immani
estensioni, dove ogni anno riuniva i popoli
etruschi delle città stato.
Scrivo ed un biancore immacolatamente fioccoso a
gomitoli di panna alterna sole e solitudine, non
saprà il domani questo mio spazio ed attimo e
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l’incrinatura della mia esistenza che certo usurpa
la triplice enorme ramificazione del pino domestico,
che m'adombra.
Qui tutto è aperto giardino libero, alberi d’ogni
specie, dai giganteschi pioppi in riva al lago,
alle querce di collina, agli abeti, ai frassini,
ai salici piangenti, alle betulle ed io, sconcerto
minimo, partecipo attento questo mio inconsapevole
esistere.
***
RENATO DE LUCA
L’attenzione
Ho sempre poco rivolto l'attenzione a me stesso, tanta era la
curiosità per l'altro tutto che mi circonda, il come funziona, chi
è, quant'è, cos'è; quasi non vedo e appena dopo, non so cosa
avevo nel piatto, ma cerco, nel pre-pensiero delle azioni, la se-
quenza di ragionamento di quanti nel tempo hanno prodotto
episodi, causando la storia: osservare le diverse diramazioni
nello schema che sostiene le foglie, il mutar di colore di quelle
di magnolia: una ne ho raccolta per qualche passo in mano,
aveva preso tinta del miele di castagno; spiegarmi il perché dei
diversi singoli rumori degli insetti nell'uso delle loro attività;
quando vivo in montagna ho compagnia di tutta la gerarchia
degli uccelli: dalle ondate di passeri sul sambuco, allo sfreccia-
re di rondini, agli alti falchi alla cerca e poi la sera dei grandi
silenzi, di fuori sulla panca ho il ritmato lavorio del picchio, col
suo alternare i colpi d'un improbabile alfabeto Morse; e poi l'u-
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pupa che solo a marzo, s'avvisa e dà nel prato spoglio all'an-
nunciata primavera i colori della sua cresta alzata.
Ma di noi, i volti! Chi fa attenzione ai volti?
All'espressione che figura un tormento nel gioco d'assi che
combina una vita, o chi sta li a riflettersi allo specchio, nello
spettacolo del suo tempo a consumo; il proprio sé innegabile e
che spiandosi indaga l'aspetto delle maschere da proporre, da
che sta costretto del giudizio d'altri: e simulacro d'umano, non
vede Narciso riflesso, ma soltanto il di sé prigione nella gabbia
dorata in sfacelo.
Il mondo però ha altre esistenze, equivalenti, parallele, minu-
scole; lo stato delle formiche, ad esempio, ed altre specie, cioè
quelle che con noi convivono: conosciute, presenti e non degne
di preda, ma come non assurgerle alla nostra attenzione, al no-
stro combinato tutto?
L'attenzione ha riguardo, supera l'osservazione sfuggente;
non è immagine sincera la neve, ma durezza dell'acqua in am-
mucchio, pure scoprendola al microscopio è un'infinitesima
stella, poi del sole è la luce che scioglie e concilia.
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GIUSEPPE GUCCIONE
Ora
Era il 20 di giugno, Orlando aveva chiuso bottega, aveva salu-
tato Ivano, il suo assistente, e aveva deciso di dare una svolta
alla giornata di lavoro. Occorre prestare attenzione anche a se
stessi.
La vita in pugno! Alle 18 aveva deciso di andar a fare un ba-
gno a Nervi. Si diceva – “è bello farlo a quest’ora!”
L’acqua è pulita, dopo il bagno, la doccia. Dopo pensò ad
una pizza romana, nella sua solita pizzeria, alla faccia dei vec-
chi colleghi che non muovevano mai un passo dopo le 18.
Il professore parlava col giovane proprietario del bar sulla
spiaggia: “Come vanno le cose? Intendendo se gli affari hanno
cominciato a fluire in maniera positiva per il bar.”.
Il bar sulla spiaggia lo avevano aperto da poco. Due mesi
prima li aveva ammirati: Che bravi i giovani pieni di volontà!
Figura: Lo scoglio della Madonna
Di fronte alla chiesa lungo la scaletta che porta allo scoglio
della Madonna c’era un bar che un mese prima era solo una
piattaforma diroccata. A poco a poco con lavoro giornaliero
l’hanno ristrutturata rimesso a posto pulita, hanno fornito il bar
di sgabelli di legno fatti da un artista con semplice legno rici-
clato. Sono dei giovani che hanno deciso di portare avanti que-
sta piccola impresa.
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Marcello gli rispondeva: “Se hai un lavoro e te lo fai piacere
non ci sono problemi, il lavoro c’è. Non vorrei dirlo ma le cose
vanno molto bene anche troppo.
Orlando: “Cosa intendi per troppo.”
Marcello: “Sì tanti clienti, tanto lavoro, tante fatture, tanti
pagamenti, tante entrate e alla fine non vedi neanche i soldi che
hai guadagnato, vai anche un po’ oltre quelle che sono le tue
forze, in questo senso dicevo troppo, si dovrebbe vivere mentre
poi alla fine non si ha il tempo neanche per capire cos’è che
stiamo vivendo.”
Orlando: “Era proprio quello che pensavo – effettivamente,
spesso e volentieri, viviamo nel passato o nel futuro e non ci
rendiamo conto dell’«ora», non prestiamo l’attenzione giusta a
quello che viviamo adesso.”
Marcello: “Leggevo un libro di un professore canadese che si
rivolgeva ai suoi alunni dicendo - Vi preoccupate dell’esame
che dovete fare a settembre, vi preoccupate che per una setti-
mana non avrete il tempo di uscire con la vostra ragazza, vi
preoccupate perché vostro padre potrebbe non star bene - so-
stanzialmente non vivete l’ora, quello che è adesso.”
Orlando: “Vivendo le giornate, per passione, spesso ci si la-
scia travolgere dal lavoro, tante piccole gocce non fanno un
temporale però se la nostra vita diventa un contenitore po-
tremmo anche annegarci in quell’acqua che apparentemente
non ci travolge. Oggi posso solo dire che mi pento solo di ciò
di cui in passato mi sono pentito.”
Dette queste parole Orlando salutò, riprese le scalette verso la
passeggiata lasciando un po’ interdetto Marcello che gli gridò
dietro: “Professore si ricordi che noi siamo sempre qua!”
Cosa intendeva dire il professore? Probabilmente che si pen-
tiva solo di quei momenti in cui si era rimproverato per aver
trasgredito al profondo senso del dovere disubbidendo a se
stesso dandosi a splendidi attimi di puro ozio, godendo l’«ora».
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GIUSEPPE GUCCIONE
Segesta, le realtà ipotetiche
Spesso non sappiamo dove siamo e cosa facciamo, la nostra
attenzione si porge al futuro o al passato. Il presente ci sfugge
come se non fosse mai stato vissuto.
Un articolo sulle rovine e sul tempio di Segesta avevano ri-
portato la sua memoria ad una foto che probabilmente, nel ri-
cordo sfumato col tempo, lo ritraeva giovane di 14 o 15 anni
nei pressi di quel tempio.
Era stato veramente lì?
Così diceva la memoria, appena risvegliata, dal ricordo di
quella foto.
Ma cosa ci faceva lui in quella gita, non aveva mai amato le
escursioni e le gite di gruppo ma ricordava adesso con vividez-
za la foto che qualcuno gli aveva scattato e come sfondo alle
sue spalle il bellissimo tempio degli Elimi.
Gli Elimi, popolo di cui si favoleggiava l’origine troiana,
avevano costruito quel tempio dorico.
Ma la meraviglia nasceva dal risveglio della memoria di fatti
che sembravano non facessero parte del suo passato.
Era andato in gita per Anna, una brunetta altezzosa che mori-
va dalla voglia di mettersi con lui.
Gli piaceva ma Anna aveva un carattere difficile era come un
cavallo che deve essere domato.
A quel tempo anche lui era tutt’altro che pacato, impetuoso,
permaloso e, pur fornito di notevole forza interiore, sprecava le
sue forze con eccessiva emotività e spesso senza costrutto.
Anna gli appariva come un cavallo dal luminoso manto nero,
con tanta focosa energia che ella teneva a malapena intrappola-
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ta in un corpo esile ma ben formato. Anche lui, tuttavia, era un
cavallo selvaggio.
Anziché avvicinarsi i due entravano spesso in forte contrap-
posizione, quasi sempre litigavano, rincorrendosi e allontanan-
dosi, appena avvicinati l’uno all’altro, invece di sfogare la loro
energia in un abbraccio, o finanche in un bacio voluttuoso.
Allora non si poteva parlare di sesso, non era permesso, poi
c’erano gli altri ragazzi e gli occhi vigili dell’accompagnatore
che in quella occasione era il loro professore di religione.
Aceste, dice il mito, aveva fondato quella città nel quinto se-
colo avanti Cristo, la lettura di quella fondazione in realtà era
da interpretarsi come una città e un tempio fondato affinché
esistesse un posto dove loro due duemilaquattrocentosessanta
anni dopo potessero incontrarsi in quelle rovine.
Quindici minuti prima che si risvegliasse il ricordo tutto ciò
non era mai successo e adesso per un semplice articolo era di-
venuta realtà che si era concretizzata nei suoi ricordi provocan-
do quasi l’esplosione di una rabbia incontenibile: per un passa-
to lasciato sfuggire dalla sua mente e per un futuro che non era
mai stato colto a causa di una scarsa attenzione verso quel pre-
sente.
Postfazione
Le nostre giornate spesso si svolgono come percorrendo un
binario, prestando attenzione a rimanere sul percorso prestabi-
lito e a non invertire gli scambi – mossi dalla spinta dei nostri
desideri e delle nostre pulsioni – in modo da poter arrivare ad
una destinazione conveniente. Il risultato è spesso un apparente
susseguirsi di fallimenti e di occasioni mancate, anzi, che non
si sono neppure presentate.
In un continuo fluire di pensieri e di azioni, il presente è la
moneta apparentemente meno pregiata, nel senso che viene
scambiato con grande facilità, pensando che il futuro possa es-
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sere più appetibile o fornire compensazione alle eventuali man-
canze del passato.
È in gita con i compagni, è giovane ed Anna prova attrazione
verso di lui, molte sono le opportunità che gli si potrebbero
schiudere dinanzi.
Tuttavia, le condizioni al contorno si fanno presto non favo-
revoli: la presenza del professore di religione, degli altri com-
pagni, i condizionamenti sociali: in realtà, quello che più conta
è che sia lui che Anna sono «non addomesticabili».
Lo spirito libero, che anima entrambi, sembra rendere le loro
strade incompatibili, portandoli in direzioni differenti. Inevita-
bile la rabbia nel cuore del protagonista che, facendo sfuggire il
sogno attuale, sente di aver perso, in un colpo solo, anche il
proprio passato ed il futuro.
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GIUSEPPE GUCCIONE
In un attimo il tempo era finito
Il bambino guardava il suo papà.
Gli sembrava un dio.
Certo il bimbo non possedeva ancora il concetto di Dio ma il
suo papà gli appariva potente e onnisciente.
Eppure era un bravo papà.
Con quel “giocattolo” in mano faceva di tutto, parlava con altri,
interrogava, pagava il conto del ristorante e sembrava padrone
del tempo.
La vita era questa, per lui tutto era possibile.
Non sapeva di essere in quei momenti un diseducatore.
Perché mai un diseducatore?
Cosa fare e dire per mostrare al figlio cosa è il mondo e la vita?
Una carezza, una parola, anche un rimprovero?
Sensibilità, empatia!
Il nostro secolo invece sembra offrire grosse opportunità opera-
tive!
Il rapporto con i figli è un’altra cosa.
Il bambino era cresciuto.
Poi in un attimo il tempo era finito.
La pioggia era caduta abbondantemente aveva pulito tutto.
Anche i pensieri sembravano più lindi. Tra 5 minuti aveva 5
minuti in più e forse maggiore conoscenza.
La conoscenza però non basta, entrare in connessione con le
persone non è un’operazione meccanica, impariamo con
l’affetto e l’attenzione che abbiamo ricevuto.
Fosse stato un meccanico avrebbe capito dove e se c’era un
guasto.
Rilassarsi è difficile!
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Un accordo, una musica che viene dal passato, forse dal 2015,
spacca il petto e apre una danza di pensieri dentro il cuore e nel
respiro. Una compensazione stimolante per affrontare una do-
menica con l’entusiasmo per la vita che ci sembrava ormai
spenta.
Qualità scadente!
Piangere assieme, ridere insieme è una buona idea, una buona
qualità di vita.
A lui questo era mancato!
Non si può pronosticare quanto duri, quando finirà e se avremo
del tempo.
Aveva pensato ma poi aveva dimenticato ciò che aveva pensa-
to.
Completamento di un ciclo.
Non si era accorto che il tempo era finito. Cosa era questa
scempiaggine?
Non era quindi possibile recuperare gli attimi in cui si era perso
qualcosa.
La sua attenzione, sempre coerente con la realtà che lo cir-
condava, aveva fallito.
Era stato invece un momento fondamentale che lo riguardava
personalmente, una fermata di un treno che era sembrato non
avesse fermate invece la stazione era arrivata.
Cosa era quello che il bambino aveva imparato e capito della
vita?
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MARIA DELBENE
Scrivere
Ho trovato una sponda protetta,
la mia barca rallenta e si accosta,
c’è uno spazio, un approdo sicuro.
Tutto splende di un verde trifoglio.
La mia vita rintocca di suoni,
le parole mi riempiono l’anima,
sono tante fiammelle brillanti,
che ora stanno fremendo per nascere.
Anche il canto diventa più amabile.
Questo modo ho trovato per crescere,
questo modo ho cercato per vivere.
L'attenzione
La mia vita in un lampo,
uno sguardo che sfugge,
questa nube veleno
mi rincorre, distrugge.
C’è bisogno di aria,
buon ascolto e attenzione
per dar voce ed un posto
alla nostra emozione.
L’emozione di stare
dove gira l’amore,
dove può, la mia anima,
ritrovare il suo cuore.
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MARIA DELBENE
Tracce di noi
Stai ancora su quella collina.
Ho camminato tanto tra i cipressi
per venire a salutarti.
Nessuno più ricorda di te,
tu che aiutavi le povere anime,
e accoglievi con teneri sorrisi.
Presto hai perso la battaglia della vita,
che a me hai dato
incerta, fragile, solo mia.
Ancora sento la tua protezione
e nulla sarebbe stato uguale senza
il tuo sguardo silente.
Sono arrivata ai tuoi anni vivi
demolita, ricostruita, più solida di prima.
Sicura percorro il mio sentiero in collina,
sulle nostre tracce di vita.
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MARIA DELBENE
Vivere
Siamo solidi bastimenti
con la prua che spacca l'onda,
spesso rivolta alle tempeste.
A volte, insabbiati in basse battigie.
Raramente, in bonaccia,
buttiamo l'ancora e annusiamo l'aria
a piccoli sorsi.
Guardiamo in silenzio i verdi e i turchesi,
le gradazioni della nostra stessa luce.
Fast Fast
È tutto veloce, quasi come la luce,
un panino uno snack,
un saluto bye bye,
uno sguardo via vai.
La vita in un lampo
Fast, fibra, ultra velox.
Veloce e indolore.
Chi l’ha visto?.... lo sai?
La scimmia e la iena, mi stanno tentando.
Sorrido e grugnisco un po' troppo a comando.
E un ritornare, sarebbe bellissimo
al solito mio, sorriso purissimo.
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CARLO FRITTOLI
Pausa d’attenzione
L’attenzione è sospensione.
Astrazione dal tempo, dal moto, dall’incessante, immobile di-
venire.
L’attenzione è attesa.
La forza di fermarsi, restare in quella sottile dimensione della
catarsi improduttiva, così aliena alla nostra convivenza civile.
L’attenzione è ascolto, tatto, sguardo; olfatto, ricordo. Made-
leine proustiana, deja vu limbico, sommesso filo d’incertezza,
inquietudine forse. Figlia del dubbio, smaniosa di sicurezze
che inducono più dubbi ancora.
L’attenzione è innamoramento: per gli altri, noi stessi, gli og-
getti, il sogno, il passato.
Si ama solo se si è liberi, se l’animo è libero e sceglie il suo
fulcro, la stella.
L’attenzione è recupero, riciclo.
Sfuggire al monouso, conservare affetti, emozioni, colori. In-
camminarci sulla strada e ritornare indietro cento passi, per
ripartire insieme.
L’attenzione è la mano che cura, lusinga, dischiude un futuro.
Che dona oltre quanto possiede e coglie oltre quanto si spinge.
L’attenzione è la vita.
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CARLO FRITTOLI
Pausa
Osserva una candela sospesa sul nulla,
ferma il tuo tempo a contemplare il suo,
scandiscine la morte che rifluisce a vita,
la cera che discende e sfuma e cola,
ora lenta e sinuosa, voluttuosa,
ora impazzita, rapidamente attratta dal suo grave;
considera la goccia che si sfalda,
muta e svanisce e poi s'ingloba in massa,
diventa forma, strada al suo destino
e scivola, s'impazza, accelera il suo corso
breve, a perdersi come volo nel vuoto,
oppure inventa, crea, scolpisce
stalattite ingegnosa, acuta, ardita,
anelito d'esistere, tendersi estremo
di un'essenza all'abisso.
Osserva una candela sospesa nel nulla,
ferma il tuo tempo ad autocontemplarsi,
scandisci la tua morte che rifluisce a vita,
la sera che discende e sfuma e cola
in notte, e questa in nuovo giorno,
e la tua goccia che subitanea scorre
come volo nel vuoto
o come forma, strada a mille destini,
a mille vie che incontra,
ad ogni goccia d'altri che
osserva una candela sospesa sul nulla,
ferma il suo tempo a contemplare il tuo.....
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GIUSEPPINA SORBELLO
Lungo la strada
In mezzo alla gente
tra frammenti di voci, sussurri e risate,
osservo curiosa un tratto di vita:
bambini che camminano piano
incantati nei loro sogni,
ragazze che corron veloci
nell’ardore dei loro anni
e furtive scompaion
alla vista di ragazzi rapiti
dal miraggio della bellezza.
Resta l’eco dei loro sghignazzi
catturati dai vecchi
che camminano piano
incatenati ai loro acciacchi.
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ENRICA VACCA
L’attenzione
Scoprire, ogni giorno, dettagli e sfumature che sembravano
nascosti, e impercettibili: è l’attenzione che si pone nelle cose,
e per le cose: le persone, gli affetti, a rendere viva, in ogni
momento, la nostra esistenza.
Essa riempie vuoti e crea nuovi spazi, nei quali muoversi
all’insegna dell’amore e della compassione, nella costante ri-
cerca di quei momenti di felicità a cui tutti anelano.
“Attenzione” è sinonimo di cura: per i dettagli, per la vita, per
gli altri e, prima di tutto, per se stessi.
Occorre fare attenzione a ciò che si desidera, a ciò che si dice,
a come si dice, e alle azioni che ognuno mette in moto per tro-
vare il proprio posto nel mondo.
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APPENDICE
Stravaganze Fantascientifiche
Nate dalla partecipazione al concorso
“La bugia nello spazio”
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CLARA CROVETTO
Diario di bordo
«Me ne vo, me ne vo, come un piccolo gigolò», così cantic-
chiando capitan Bola s’immerge in profondità e comincia a ro-
tolare verso sud, sud ovest.
Il nostro capitano è uno splendido maturo pesce palla, da
qualche anno entrato nel Mediterraneo ma, già annoiato un po-
co dal tran tran delle nostre acque, gli salta il ghiribizzo di ri-
partire, non verso il suo Mar Rosso, ma lì dove l’Africa pare
accarezzi la terra spagnola, e dove si trovano ottimi molluschi e
crostacei.
Lo stretto gli riserva un’inimmaginabile sorpresa:
Un’enorme astronave, lì allo sbocco: gli cala rapida una sca-
letta pensile e lo inghiotte all’interno. «Che meraviglia! Acqua,
scogli, spiaggette, un mare nella nave, fatta a palla, come me»,
si dice il nostro mentre un via vai continuo di pesci, umani, ca-
ni, gatti, tutti anfibi, tutti canterini, lo travolge.
Sta partendo la gigantesca palla bianca per il solito giro turi-
stico nello spazio, ecco il rullio incalzante dei motori; ‘uno
spettacolo unico, fino alla luna e ritorno, un magnifico viaggio,
indimenticabile’ recita la pubblicità sul display, e un impalpa-
bile Don’t worry be happy accompagna l’annuncio.
Un attimo di indecisione, e poi via rapido un messaggio tele-
patico alla mogliettina, rimasta a godersi il golfo alla Punta del
Monte di Portofino.
”Vado sulla luna qualche giorno, sono sull’astronave Atlanti-
de, o forse proprio lui, tutto il continente, il mitico perduto At-
lantide, decollato in cielo per salvarsi?
Chissà, mi farò raccontare. A presto tuo Bola"
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MARCO MARZAGALLI
Wxyz14 è un marziano
Ha due teste e un numero appropriato di appendici più o meno
articolate. Gli organi interni sono in sovrannumero. Ha difatti
due cuori per cui, se se ne ferma uno, c’è l’altro a compensare.
Il sangue è verdastro e conferisce all’epidermide una pittoresca
tonalità vegetale.
Per quanto la sua morfologia rispecchi la fantasia di molti au-
tori di fantascienza, se vi dicessi che ho conosciuto un tipo si-
mile, mi dareste subito del matto.
Wxyz14 è un giovane un po’ irrequieto ma volenteroso di
scoprire nuovi angoli del sistema solare.
La civiltà su Marte è più evoluta di quella terrestre, come pu-
re la scienza e la tecnica. I mezzi di trasporto sono velocissimi.
Sfruttano concetti come la quarta dimensione e le teorie relati-
vistiche più avanzate: viaggiano nell’iperspazio. Per quanto i
marziani non provino interesse per un pianeta retrogrado come
la Terra e mirino invece a oltrepassare i confini del nostro si-
stema solare, Wxyz14 ha una speciale predilezione per il nostro
pianeta e presta molta attenzione alle vicende terrene. Per lui è
come un parco giochi. In un battibaleno, con la sua ipernavicel-
la, ipervolando invisibilmente, arriva nella nostra atmosfera e
dall’alto, con un certo distacco, osserva lo strano comporta-
mento degli esseri umani.
Intercetta le telecomunicazioni che, grazie all’iperglossario,
traduce all’istante con grande soddisfazione. È così che viene a
sapere delle iniziative astronautiche più recenti: la Nasa ha
progetti a dir poco ambiziosi.
Quando infine torna a casa con una doppia fame da lupo (ha
pure due stomaci), a tavola coi familiari esprime le sue impres-
sioni e le notizie appena apprese:
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“Sapete che i terrestri sostengono che entro dieci anni sbar-
cheranno sul nostro pianeta?”
Al che il padre piuttosto smaliziato risponde: “Che bugiardi!
Ma se non sono neppure scesi sulla luna!”
***
CARLO FRITTOLI
L’ultima missione
Ed eccomi qui, ad affrontare un altro viaggio interstellare.
Il decollo è stato incerto, la capsula ha sussultato e scodinzo-
lato per un'infinità di secondi. Poi la solita accelerazione anti-
gravitazionale, che ti spiaccica allo schienale come un hambur-
ger. Ti domandi chi te lo fa fare, soprattutto quando hai una ca-
sa da qualche parte, una famiglia che ti aspetta, e tanta voglia
di tornare.
Una volta era dura. Voli di mesi, anni. Ora, coi nuovi carbu-
ranti e i propulsori ultrarunning, oltre i finestrini della navicella
vedo scorrere via un pianeta dopo l'altro, nitidi e veloci, stazio-
ni di una metropolitana spaziale. Fra poco uscirò dal sistema
solare, sceglierò solo la destinazione sul cruscotto del compu-
ter, tutto qui. Chiunque potrebbe fare l'astronauta, è semplicis-
simo!
E invece no. Superati i 50 anni, non ti ci fanno più salire, su
questa macchina infernale: motivi di sicurezza, dicono. Per
questo è la mia ultima missione.
Un giorno avrò dei nipoti, lo so: i miei figli sono grandi, pre-
sto saranno bravi genitori: io prenderò in braccio i nipotini e
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racconterò loro le mie avventure nello spazio, soprattutto que-
sta. L'ultima ha sempre un sapore più intenso.
Ecco, è giunto il momento di indicare al computer dove con-
durmi. L'ordine di servizio è perentorio, ma quasi vorrei dero-
gare, dimostrare che sono ancora in gamba, posso volare più
lontano di quanto dicono loro.
Resto fermo a riflettere. Poi azzardo l'impossibile: premo il
tasto della meta proibita.
In un attimo i video sugli schermi dei finestrini si spengono.
La cupola si spalanca. La luce del sole, suoni e grida del luna
park irrompono nella capsula, mentre una voce decisa, resa me-
tallica dall'altoparlante, proclama:
« Avanti il prossimo! »
***
CARLO FRITTOLI
Fra moltissimo tempo, un tardo pomeriggio
“Mamma, mamma, Gio' mi ha fatto paura, con quei brutti
alieni!”
“Gio', che ti è saltato in mente? Lo sai che tua sorella è picco-
la e s'impressiona.”
“È solo una stupida.”
“Non voglio che parli così! Ritorno a casa dopo una giornata
di lavoro e tu combini sempre dei guai!”
“Ma ho solo scaricato qualche foto da cosmotron. Vuoi vede-
re?”
La sorellina protesta: “No, mamma: sono bruttissimi, orrendi!
Mi sa che stanotte li sogno e avrò gli incùbi.”
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“Si dice ìncubi.” la corregge Gio'. Ma questo sfoggio di sa-
pienza non rasserena la piccola, che riprende a singhiozzare fra
le accoglienti braccia materne.
“Su, su, basta lacrimoni - la consola la mamma – Su cosmo-
tron girano tante di quelle storie... tutte bugie!”
“Ma quali bugie? - riprende Gio' – Ci sono foto e racconti.”
“Se fosse vero, non credi che avrebbero azionato il traslatore
materico e oggi qualcuno di questi alieni sarebbe qui da noi?”
“Oh no!” grida impaurita la bambina.
“Mamma, sono creature brutali. Secondo gli osservatori sono
violenti, con abitudini tribali. Nessuno li vorrebbe da queste
parti.” chiosa il ragazzino.
“Ovviamente io intendevo in gabbia, ben custoditi. Anche se
sono mostruosi, molti di noi andrebbero a visitarli per curiosi-
tà.”
Mamma un po' si vergogna di quanto le è appena sfuggito.
L'Etica Suprema impone l'accettazione del prossimo: dapprima
le altre razze, poi tutti i tipi di animali, anche i più ripugnanti.
Ma includere pure gli alieni...
E riprende: “Insomma, se fosse vero, altro che foto su cosmo-
tron, li avrebbero aspirati fin qua. E invece no: perciò sono tut-
te bugie!”
La bimba insegue la rassicurazione finale: “Allora, mamma,
non è vero niente di quei mostri spaventosi?”
“Ma certo, tesoro, te l'ho già detto un sacco di volte: i terrestri
non esistono.”
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QUADERNI PRECEDENTI
Quaderno n. 1 – La terra di Liguria (Maggio 2008)
Quaderno n. 2 – Passioni ed incontri
Quaderno n. 3 – Festività, tradizioni e personaggi liguri
Quaderno n. 4 – Una frase che non ho detto o che ho letto
Quaderno n. 5 – I quattro elementi
Quaderno n. 6 – Il sogno
Quaderno n. 7 – Degli affetti
Quaderno n. 8 – Il viaggio
Quaderno n. 9 – Il lavoro
Quaderno n. 10 – Una strada, una piazza, un vicolo
Quaderno n. 11 – Seguire il cuore o la ragione?
Quaderno n. 12 – La bellezza
Quaderno n. 13 – La fratellanza
Quaderno n. 14 – Gli animali
Quaderno n. 15 – Romanticismo
Quaderno n. 16 – Storie in un altro tempo
Quaderno n. 17 – Felicità e tristezza
Quaderno n. 18 – La mia città
Quaderno n. 19 – La pioggia
Quaderno n. 20 – C’era una volta
Quaderno n. 21 – Inverno
Quaderno n. 22 – Musica
Quaderno n. 23 – Il mare
Quaderno n. 24 – Autunno
Quaderno n. 25 – Un’immagine
Quaderno n. 26 – La natura
Quaderno n. 27 – Il cibo
Quaderno n. 28 – Dedicato a…
Quaderno n. 29 – Il silenzio
Quaderno n. 30 – Insieme
Quaderno n. 31 – La follia
Quaderno n. 32 – L’attesa
Quaderno n. 33 – Il caffè
Quaderno n. 34 – La notte
Quaderno n. 35 – La magia della scrittura
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Essendo la nostra un’Associazione Culturale libera e indi-
pendente, ciascun autore si assume la sola e piena responsa-
bilità delle opinioni politiche, religiose e, in generale, delle po-
sizioni etiche e sociali contenute nei propri testi.
***
RINGRAZIAMENTI
Un grazie sincero da parte di tutti gli scrittori di “Alba Lettera-
ria” va allo staff della biblioteca Lercari e al Municipio Bassa
Val Bisagno che hanno sostenuto e finanziato il presente opu-
scolo.
Gruppo culturale
Alba Letteraria
http//:www.albaletteraria.beepworld.it
Per informazioni: Gruppo Culturale Alba Letteraria
c/o Villa Imperiale - Biblioteca L. G. Lercari
L’impaginazione del presente opuscolo è curata da:
Marco Marzagalli - [email protected]
Curatori del sito web:
Paola Maria Carròli
Marco Marzagalli - [email protected]