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Politica Economica e Finanziaria
Lez 1 del 20/09/2018
Quello che inizieremo oggi è studiare l’andamento dell’economia secondo una prospettiva di lungo
periodo, ciò significa avere un’idea in termini di generazioni (1 generazione = circa 25 anni).
Ci chiederemo quindi domande come “Quali sono le ragioni per cui Italia e Giappone dal 1945 al 2000 sono
le due economie che sono cresciute di più tra i paesi ricchi”.
Le variabili che ci interessano in una prospettiva di questo tipo sono ad esempio variabili come:
- la demografia,
- il capitale umano (ovvero il livello di istruzione della popolazione),
- la tecnologia
Prima di studiare i modelli di crescita dei paesi in orizzonte di generazioni bisogna capire che cosa voglia
dire crescere e quali siano le unità di misura utilizzate per definire la crescita.
Fino ad adesso siamo stati abituati ad utilizzare il PIL come indicatore principale per poter dire se un paese
è cresciuto.
Per essere più accurati però dovrà interessarci maggiormente il PIL per persona, volendo
spiegare il perché con un esempio è vero che la Cina ha un Pil estremamente più elevato
dell’Italia ma non è assolutamente vero che il cinese medio è più ricco dell’italiano medio (La
Cina produce di più perché i cinesi sono di più).
A questo punto volendo paragonare la crescita di due paesi diversi con due valute diverse, ci troviamo di
fronte a due Pil per Capita espressi in due unità di misura differenti
Copiando l’esempio del libro e guardando UK e India nel 2006 ci troviamo nella posizione di non poter
determinare quanto un inglese è più ricco di un indiano causa il fatto che il Pil per capita dell’india è
espresso in rupie mentre quello inglese è espresso in sterline
Il tasso di cambio a priva vista potrebbe sembrare una soluzione, ma in realtà quest’ultimo è la variabile
macroeconomica più volatile di tutte, ciò significa che nel corso di anche un solo giorno esso può variare
anche del 20% - 30%.
La seconda ragione è il fatto che dato che si tiene conto di due paesi diversi ci saranno anche poteri di
acquisto differenti, in quanto seguendo l’esempio in India il costo della vita sarà molto più basso che in
inghilterra.
Il metodo utilizzato dagli economisti per tenere conto anche del costo della vita è il cosiddetto
PPA (Parità del Potere d’Acquisto) esso sostanzialmente può essere spiegato guardando alle quantità di
beni e servizi (il più possibili identici e omogenei tra loro) consumati nei diversi paesi.
Ciò significa che nella PPA ci possono stare tutti quei beni che solitamente hanno lo stesso livello di qualità
e le stesse caratteristiche fisiche sia se le compri in un paese sia se le compri nell’altro (Es. Iphone).
Supponiamo che ci sia un solo bene omogeneo comprato dall’indiano e dall’inglese,
per sapere di quanto l’India è più povera dell’Inghilterra allora basterà confrontare le quantità del bene che
ognuno dei due cittadini andranno comprare.
Supponiamo a questo punto che oltre al primo bene nell’economia ci sia anche un secondo bene e che una
parte del reddito annuo di ognuno dei due cittadini sia messo a risparmio,
Ora per confrontare le ricchezze dovremo fare una media ponderata attribuendo un valore di un certo tipo
al primo bene e un valore di un certo tipo al secondo bene,
Il tutto utilizzando lo stesso prezzo e la
stessa moneta sia a numeratore che a
denominatore
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Ma perché utilizzare lo stesso prezzo (di riferimento da uno dei due paesi) e la stessa moneta sia a
numeratore che denominatore?
Notiamo che prendendo il prezzo dei beni dell’altro paese il valore cambia, ma allora qual è il riferimento
più corretto per la parità del potere di acquisto? La risposta è che non c’è un riferimento più corretto tra i
due e, molto spesso per risolvere questo problema gli statisti fanno una media tra i due valori.
Ciò nonostante questa tecnica ci dà dei valori oggettivamente migliori
rispetto alla mera moltiplicazione con il tasso di cambio, per questo
motivo essa viene utilizzata continuamente.
Facciamo ora un passo indietro, abbiamo visto che per misurare le
differenze di benessere tra i paesi prendiamo il consumo, ovvero la quantità di beni e servizi consumati.
Ma non è detto che i livelli di felicità dipendano direttamente dalla quantità di beni che i consumatori
possono acquistare.
Il primo economista che si interrogò sistematicamente a riguardo fu Easterlin e nel 1974 fece la prima
analisi sistematica tra pil per capita e felicità.
Egli prese un campione rappresentativo di persone per ogni diverso paese e gli chiese una semplice domanda:
“Mi puoi dire da 0 a 10 quanto sei felice?”
I suoi risultati si possono dividere in 3 diverse categorie:
1. Tra Paesi
In questo caso tanto più un paese è ricco, maggiore è il livello di felicità degli abitanti di quel paese.
Ma questa relazione di felicità vale solamente tra paesi poveri e medi, mentre non vale più quando
ci si va a concentrare sui paesi ricchi.
2. All’interno di un paese in anni diversi, addirittura decenni
Quest’analisi l’economista poteva permettersi di farla solamente in paesi ricchi.
Ne ottiene che non c’è correlazione, in altre parole un aumento del Pil per capita non porta a un
aumento della felicità nel caso di un singolo paese su anni diversi, come diceva Tony Blair.
3. All’interno di un paese tra persone diverse in termini di reddito
Ne ottiene che in tutti i paesi interrogati i ricchi sono più felici dei poveri, il ricco sistematicamente
da un valore di felicità più elevato del povero.
Tutti e tre i risultati diedero delle risposte che danno una fotografia paradossale Eastelin Paradox
Riflettendo sui risultati sopracitati possiamo ricavare che, guardando specialmente al punto 2 e al punto 3,
che la felicità non dipende da quanto denaro si ha, ma da quanto denaro si possiede rispetto agli altri.
Non conta quanto si è ricchi in termini assoluti ma in termini relativi.
Tony Blair: Gli inglesi rispetto ai loro nonni
sono tre volte più ricchi, ma mai mi
aspetterei di dire che sono tre volte più felici
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Lez 2 del 21/09/2018
Ieri abbiamo chiuso parlando del Paradosso di Easterlin, questo economista infatti nel 1974 ha cercato di
analizzare in maniera sistematica la relazione esistente tra livello di felicità e Pil pro capita nei vari paesi.
Egli infatti disponeva di dati tali da permettere di fare un’analisi su 3 livelli:
- Un’analisi tra paesi
- Un’analisi all’interno di un paese in diversi anni
- Un’analisi all’interno di un paese ma tra persone diverse
Questi 3 risultati vengono comunemente denominati come Paradosso di Easterdin.
In particolare, come abbiamo detto ieri, alcuni sociologi si sono soffermati sul punto 2 e sul punto 3
concludendo che sembrerebbe che il livello di felicità di un soggetto dipenda da quanto il suo reddito sia
cresciuto rispetto al reddito degli altri individui presenti nel sistema economico.
Questo genere di analisi ha suscitato molte polemiche in quanto in molti hanno iniziato a sostenere che
non conta la crescita del reddito pro capite per migliorare il livello di soddisfazione personale, ma
bisognerebbe tentare di ridurre l’invidia sociale.
Se ci fermassimo ad Easterlin questi sarebbero i risultati, in realtà verso la metà degli anni 2000 altri due
economisti (Wolfers e Stevenson) si interrogano sulla relazione reddito pro capita / felicità.
I risultati che loro ottengono sembrano, solo parzialmente, il paradosso sopracitato.
I due economisti ottengono che la relazione tra reddito pro capita e felicità vale anche per i paesi più ricchi,
quindi più un paese sarà ricco più i suoi abitanti dichiareranno di essere felici.
E’ invece sul terzo livello che Wolfers e Stevenson ottengono che le persone più ricche di un paese dichiarano
di essere più felici di quelli che sono tendenzialmente più poveri, quindi ottengono i risultati di Easterlin.
Dove invece i due non possono dare risultati è al secondo punto in quanto la loro analisi si concentrava
solamente sull’anno 2006, poiché questo è l’unico anno in cui hanno inviato questionari.
Quindi i risultati di Easterlin in parte vengono confermati (1° Livello), d’altra parte non abbiamo dati
aggiuntivi per poter vedere se è sempre vero come aveva scoperto Easterlin se all’interno di un paese al
crescere del reddito non cresce la felicità
Ha aggiunto qualcosa di diverso a questa relazione tra reddito e felicità uno psicologo che ha vinto il premio
nobel per l’economia, D. Kahneman è uno psicologo che ha vinto il premio nobel per i suoi contributi
all’economia comportamentale, egli negli anni successivi alla vincita del nobel si è concentrato sulla
relazione tra reddito e felicità utilizzando un approccio più psicologico.
Sostenne infatti che uno degli errori fatti prima da Easterlin, poi da Wolfers e Stevenson è stato quello di
misurare la felicità solo attraverso un questionario, anzi una domanda.
Lo psicologo nei suoi studi sostiene che la felicità possiamo suddividerla in due componenti:
- Benessere emotivo, ovvero la quantità più o meno grande che possiamo avere di ansia, stress,
dolore, tristezza, solitudine in un determinato momento.
Lo psicologo sostiene che la relazione tra benessere emotivo e reddito pro capita è positiva fino a
una certa soglia di reddito, nei suoi studi infatti ottiene che le persone quando vedono il loro reddito
crescere dimostrano un più alto livello di benessere, però una volta raggiunta una certa soglia di
reddito (75.000 $) la relazione positiva viene meno.
- Gratificazione personale, significa quanto un soggetto si sente appagato della propria vita lavorativa
e familiare. In questo caso la relazione tra reddito e felicità c’è ed è positiva per qualunque livello di
reddito, quindi più un soggetto è ricco e maggiore è il suo livello di gratificazione personale.
Possiamo quindi concludere che nonostante sia vero che non esista una relazione certa e sicura tra
felicità e Pil per capita, i risultati presentati dagli economisti esprimono il fatto che sia proprio nei paesi
più ricchi che le persone dichiarano di vivere meglio
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Ieri abbiamo detto che guardare a lungo periodo significa guardare a generazioni, ora invece andremo a
vedere una prospettiva di lungo periodo improntata sui millenni.
Maddison era un economista danese che cercò di capire come il benessere e addirittura il Pil per capita si
sia evoluto nel corso di millenni, arrivando addirittura ad ottenere dei dati precedenti all’Impero Romano.
Egli ottenne dei dati che attestarono che dalla fine dell’impero romano fino al 1500 in Europa il Pil per
capita è cresciuto dello 0%, ciò significa che in tutti questi secoli ogni volta che un paese in europa vedeva il
proprio reddito crescere contemporaneamente in quegli stessi anni la popolazione aumentava della stessa
percentuale. Questa situazione venne chiamata da T. Malthus come “trappola malthusiana”.
Il ragionamento di Malthus era che gran parte del reddito deriva dall’agricoltura, e quando il raccolto
aumenta di quantità (Aum. Reddito), si verifica subito dopo nel giro di qualche anno una riduzione della
mortalità (Aum. Popolazione).
Capiamo in che cosa sbagliava Malthus osservando che cosa succede negli anni successivi, dal 1500 al 1700
sempre in europa, il Pil per capita inizia a crescere di un valore bassissimo, quasi irrisorio (circa 0,1%).
Dal 1700 al 1820, invece il Pil per capita inizia a crescere un po’ a livello annuale, infine per quanto riguarda
il periodo che va dal 1820 al 1950 soffermandoci in particolare sugli Stati Uniti otteniamo un tasso
dell’1,5%, tutti gli altri paesi europei sono cresciuti molto meno dell’1,5%.
Invece per quanto riguarda il periodo dal 1950 al 2005 i paesi ricchi del mondo sono cresciuti invece del 6%.
Questi numeri ci fanno capire che la crescita economica è un qualcosa che è recente nella storia
dell’umanità, perché nessun livello di crescita è paragonabile a quello che è successo nell’ultimo periodo.
Per farci un’idea di cosa voglia dire crescita annuale, si utilizza la regola del 70 ovvero: 70 / tasso di crescita
Se il mondo cresce del 3,5%, 70/3,5 fa 20, quindi ci vogliono 20 anni per raddoppiare il valore del PIL (2036).
Secondo questa regola quindi possiamo dire che i paesi che sono cresciuti del 6% hanno visto raddoppiare il
loro Pil in soli 11 anni.
Andiamo quindi a vedere cosa sia successo al rapporto al rapporto Pil per capita nel periodo 1950 – 2011.
Osserviamo che negli anni presi di
riferimento sia preso anche in
considerazione il periodo di crisi
economica.
Notiamo dalla tabella che i paesi che hanno avuto il tasso di crescita maggiore sono i paesi più poveri.
La tabella sembra sostenere che esista una convergenza, ossia che i paesi più poveri tenderanno a crescere
sempre di più dei paesi più ricchi e quindi un giorno i paesi più poveri raggiungeranno il livello di Pil dei
paesi più ricchi (convergeranno tutti sullo stesso livello di ricchezza).
Tutto questo è molto interessante ma, osservando meglio la tabella possiamo vedere che c’è un problema
di “cherry picking”, infatti si potrebbe sostenere che siano stati presi solo i paesi che al 1950 erano poveri
mentre nel 2011 sono diventati ricchi.
Bisognerebbe prendere anche in considerazione una platea più ampia di paesi, come ad esempio i Paesi
dell’OECD, cioè tutti i paesi ricchi che ci sono al mondo. Anche in questo caso la convergenza sembrerebbe valere.
Prendendo in considerazione invece il continente africano la convergenza non vale, questo perché a causa di
ragioni storiche istituzionali come ad esempio il colonialismo che ha causato lo sfruttamento del continente.
Statisticamente la risposta che si dà è che la regola della convergenza vale se si tiene conto di paesi
omogenei fra loro.
1950-2011
Y/Popolazione Y/Popolazione
1950 Y/Popolazione
2011
Francia 2,5 6.500 30.000
Giappone 4,1 2.800 31.000
Italia 3,4 4.000 29.000
UK 2,0 9.000 32.000
USA 2,4 12.000 42.000
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Lez 3 del 26/09/2018
Oggi per la prima volta cerchiamo di trovare un’interpretazione ai dati empirici trovati nelle precendenti
lezioni. Abbiamo chiamato il concetto più importante fino ad ora visto è stato quello della “convergenza”,
ossia il fatto che i paesi che nel secondo dopoguerra erano più poveri sono anche quelli che hanno
sviluppato un tasso di crescita raggiungendo il livello di ricchezza dei paesi più ricchi.
Abbiamo visto che questo fenomeno vale solo quando si parla di paesi omogenei (non vale ad esempio per
il continente Africano).
Oggi andremo a vedere il modello di crescita economica per eccellenza, il quale cerca di spiegare le motivazioni
della convergenza. Nel 1960, infatti, Solow costruì un modello che spiegò le motivazioni della convergenza, e
grazie a ciò vinse il premio Nobel anni dopo.
Modello di Solow
Questo modello parte da una funzione di produzione a due fattori - lavoro (N) e
capitale (K) - che creano l’output di lavoro (Y) ossia la produzione.
Questa funzione già di per sé potrebbe sembrare forzata, ancor più se le volessimo far rappresentare la
produzione di un paese.
Quindi (K) andrà a rappresentare tutto il capitale che si trova nell’economia del determinato paese,
Mentre (N) andrà a rappresentare tutti i lavoratori presenti nell’economia
Di conseguenza (Y) rappresenterà il Pil reale quando viene prodotto in un’economia al tempo (t)
Come vedremo più avanti gli economisti in realtà oltre al capitale e al lavoro aggiungono una terza
variabile, ossia la tecnologia, cioè l’insieme di conoscenze immateriali che permettono di aumentare il Pil a
parità di K e di N
Questa funzione di produzione la utilizzeremo quando utilizzeremo il modello con tecnologia.
Una proprietà che viene utilizzata sempre per le funzioni di produzione è
quella dei rendimenti costanti di scala la quale può essere riassunta dal parametro (λ) che può
rappresentare qualsiasi valore, purchè rimanga positiva.
Diciamo infatti che una funzione ha rendimenti costanti di scala se moltiplicando i due input per una stessa
costante, l’output aumenta in maniera esattamente proporzionale.
Questa proprietà a prima vista può sembrare sensata ma non è sempre valida.
Essa è utilizzata per due ragioni:
1- Semplifica molto i calcoli
2- Empiricamente non è del tutto sbagliata
Ci sono altre due proprietà che vogliamo studiare sulla funzione, e queste due proprietà sono dei
- rendimenti decrescenti del capitale: ci dice che, mantenuto costante il numero dei lavoratori, nel
caso di un aumento di capitale il Pil aumenta, ma tale aumento è tanto più piccolo, quanto
maggiore è la quantità di capitale già presente nell’economia.
- rendimenti decrescenti del lavoro: ci dice che, mantenuto costante il valore di capitale, nel caso di
un aumento di lavoratori il Pil aumenta, ma tale aumento è tanto più piccolo, quanto maggiore è il
numero di lavoratori già presente nell’economia.
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Queste due proprietà possono anche essere rappresentate
graficamente, tramite una curva concava
Osserviamo che mano a mano che aumenta il valore di K la
curva che rappresenta il Pil cresce in maniera meno che
proporzionale.
Infatti il gap presente tra 2 e 3 è molto maggiore di quello
presente tra 10 e 11 seppur la differenza tra i due valori sia la
stessa.
La proprietà dei rendimenti costanti di scala mi permette di semplificare di molto i calcoli perché:
Ipotizzando
Quindi l’unica cosa che è stata fatta è stata dividere tutti i fattori della produzione per i lavoratori.
Quindi in questo modo riusciremo ad ottenere il Pil per ogni lavoratore.
Infatti in questa seconda formula l’unica cosa che farà crescere la nostra economia sarà la
quantità di capitale per lavoratore.
D’ora in avanti ci concentreremo sulla funzione che matematicamente ha il medesimo
significato, però economicamente come abbiamo visto è più significativa.
Prima di andare ad affrontare seriamente il modello di Solow cerchiamo di capire come mai i rendimenti
crescenti di capitale sono la chiave per andare a capire i motivi della convergenza.
Nuovamente guardando questa funzione possiamo osservare
quali sono i motivi della convergenza.
Se immaginiamo che le due funzioni rappresentino due paesi
differenti, uno più povero e uno più ricco.
Notiamo che se il paese povero decide di passare dal punto A
al punto B questo vede aumentare la quantità di capitale
necessaria per lavoratore, la proprietà dei rendimenti
decrescenti di capitale mi dice che il Pil per capita aumenterà
proporzionalmente come rappresentato dal segmento CD.
Un altro paese ricco nel momento in cui decide di aumentare
il capitale per lavoratore dello stesso ammontare vede
aumentare il proprio Pil di una quantità inferiore pari al segmento GH.
Questo il modello di Solow ce lo spiega con il metodo dei rendimenti decrescenti di capitale, infatti aumentare il
capitale fa avere un effetto benefico sull’economia ma questo effetto si assottiglia sempre di più.
Possiamo quindi fare altre due osservazioni:
- Ipotizzando che rimanga tutto circoscritto a questo modello ci rendiamo conto che per i paesi
ricchi, le cose più vanno avanti nel tempo, più peggiorano. Infatti per poter far crescere il Pil per
capita sempre in maniera costante allora bisognerà aumentare il capitale per lavoratore in maniera
sempre maggiore. Bisogna accumulare sempre più capitale per avere un livello di crescita sempre
uguale a quello del passato.
- Trade Off: Se l’economia destina tante risorse per i beni di capitale ne destina tante meno per i beni
di consumo.
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La scappatoia alla trappola di questa funzione di produzione è la tecnologia (A), la quale ci permette di
spostare la curva, anche senza aumentare per forza il
capitale passando da E a E’ , di conseguenza aumentando il
Pil per capita senza aumentare per forza il capitale
impiegato.
Un’economia piccola può ottenere quindi livelli di Pil per
capita enormi non perché ha aumentato la quantità di
capitale per lavoratore, ma perché ha fatto un balzo
tecnologico spostando la propria funzione di produzione
verso l’alto.
Un caso pratico è quello della California negli stati uniti che negli ultimi anni ha conosciuto tassi di crescita
del Pil per capita molto maggiori rispetto a quelli degli altri stati degli USA perché li possiamo trovare quella
che oggi viene chiamata Silicon Valley, la quale ospita numerose start-up e società internazionali
specializzate in tecnologia.
Volendo rappresentare il modello di Solow attraverso un
diagramma circolare lo possiamo rappresentare attraverso 4
sezioni:
1- La prima freccia altro non è che la funzione
che ci dice che data una certa quantità di
capitale per capita riesce a ricavarci a quanto
corrisponda il reddito per capita.
2- La seconda freccia ci spiega che una volta conosciuto il reddito per lavoratore, possiamo allora
ricavarci il risparmio e l’investimento, il semestre scorso abbiamo infatti visto che:
Il Pil (Y) può essere considerato come la somma di Consumo (C)
Investimento (I) e Spesa Pubblica (G)
Sottraendo ambo i lati per le Tasse (T) e portando il Consumo dal lato
sinistro otteniamo il Risparmio (S), ossia il reddito disponibile al netto
delle Tasse e dei Consumi.
Ricordiamo che il Risparmio ha due canali di sbocco:
L’investimento o il Finanziamento del deficit dello stato (G-T)
Abbiamo però detto che nel modello di Solow non esiste lo stato quindi:
e di conseguenza:
Per concludere questa relazione si sostiene che le persone risparmiano una quota costante s del
proprio reddito, ossia:
La seconda freccia quindi ci dice che conoscendo il Pil pro capita (che conosciamo per la prima
freccia) troviamo il Risparmio per persona e poiché il risparmio è uguale all’investimento troviamo
anche quello, infatti:
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Lez 4 del 27/09/2018
Abbiamo visto che il modello di Solow e può essere diviso in quattro
frecce. Ci eravamo fermati alla seconda, nella quale avevamo visto la
relazione tra Pil per capita e risparmio ed investimento.
3- Dobbiamo ora andare a capire come l’investimento (I) vada a
modificare la quantità di capitale. Sappiamo che
l’investimento per definizione è l’acquisto di nuovi beni
capitali (impianti, macchinari, ecc), quindi è una variabile flusso.
Quindi dovremo aggiungere una variabile di flusso (I) a una variabile stock che è il Capitale (C).
Oppure
La variabile ( δ ) mi rappresenta il tasso di deprezzamento del capitale, e questo significa assumere
che ogni anno una frazione δ del capitale esistente nell’economia, si perda.
Di conseguenza ( 1- δ ) nell’equazione di sinistra mi rappresenta la quantità di Capitale ancora
utilizzabile al tempo “t+1”.
Mentre sF(Kt,N) andrà a rappresentare l’investimento di capitale effettuato.
Questa equazione viene chiamata “Legge di moto del capitale", si tratta infatti di una legge
dinamica in quanto la variabile Kt compare sia al tempo “t” che al tempo “t+1”.
Quello che possiamo fare è esprimere tutte queste variabili per capita:
Oppure
Ora abbiamo la funzione completa del modello di Solow:
Andiamo a rappresentare la funzione del deprezzamento,
la funzione di produzione per capita
Che se rappresentata come moltiplicata per per s andrà
a rappresentare la funzione dell’investimento/risparmio
Al tempo “t=0” otterremo che:
▪ Il segmento che parte dall’asse delle ascisse e arriva al punto A mi rappresenta il Pil
▪ Il segmento che parte dall’asse delle ascisse e arriva al punto B mi rappresenta il Risparmio
▪ Il segmento che parte dall’asse delle ascisse e arriva al punto C mi rappresenta il Deprezzam.
Quindi di conseguenza il segmento BC rappresenterà di quanto aumenta il capitale tra il
tempo t=0 e il tempo t=1. Questa relazione vale per tutti i punti a seguire.
Anche se graficamente non
è così la distanza presente
tra tra i tempi è uguale alla
distanza presente tra la
funzione di investimento e
risparmio e la funzione di
deprezzamento
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Ci fermeremo quando il livello risparmio per capita diverrà uguale al livello di deprezzamento per capita,
ossia nel punto di incontro tra le due curve. Questo punto viene chiamato “punto di Stato Stazionario” (SS).
Viene chiamato così perché ci dice che dato che il Capitale, poco alla volta rende sempre meno, anche il
risparmio agirà di conseguenza (infatti la curva è concava).
Il Deprezzamento è sempre costante, quindi ad un certo punto le due si incontreranno, in quel punto ci
troveremo in stato stazionario e quindi il Pil per capita non crescerà perché ogni anno si risparmierà
esattamente quanto si è deprezzato, il reddito di conseguenza sarà invariato.
Possiamo quindi definire il Punto di Stato Stazionario come il momento in cui un paese raggiunge la convergenza.
Dal grafico notiamo che si parte da un valore a destra del punto di stato stazionario, questo denota la
situazione di un paese che ha troppo capitale per lavoratore.
In questo caso anziché avere accumulazione di capitale pro
capita avremo distruzione di capitale pro capite.
Di conseguenza eseguendo i medesimi passaggi del
precedente caso ne otterremo che anche in questo caso il
paese convergerà verso il punto di stato stazionario.
L’unica differenza sarà che anziché vedere un paese che
cresce, osserveremo un paese che decresce.
Le obiezioni che possiamo opporre possono essere:
- Il fatto che la popolazione sia calcolata come costante, nelle prossime lezioni vedremo che
ipotizzando una popolazione come variabile il modello non varierà troppo drasticamente
- Il fatto che non ci dica quanto tempo si impieghi per raggiungere lo stato stazionario
- Il fatto che il risparmio sia costante anche tra stati diversi, questo non è assolutamente vero (Gli
americani hanno un tasso di risparmio molto più basso degli italiani)
Basandoci su quest’ultimo punto possiamo creare un ulteriore grafico:
Consideriamo due paesi che abbiano tasso di deprezzamento e funzione di produzione identiche, ma l’unica
differenza è che il paese 1 risparmia una quota di reddito maggiore rispetto al paese 2.
Dovremo quindi inserire due curve del risparmio, quella del
paese 1 avrà una quota di risparmio maggiore mentre il
paese 2 risparmierà una percentuale inferiore.
Possiamo osservare che chi possiede un tasso di risparmio
più alto in stato stazionario si finirà di avere un Pil per
capita maggiore.
Questo perché se si risparmia di più si riesce a contenere
maggiormente l’effetto del deprezzamento.
Se andiamo a guardare di quanto è cresciuto in SS il Pil per
capita del paese 1 e del paese 2, possiamo osservare che i
due paesi differiranno in livello di Pil per capita ma non
differiranno per il Tasso di crescita (per entrambi pari a 0).
Per uscire dallo Stato Stazionario bisognerà convincere la popolazione ad aumentare la loro quota di risparmio
e quindi riuscire a raggiungere un Pil per capita più alto e quindi avere uno stato stazionario più lontano.
E’ però difficile che un governo riesca a convincere i cittadini a risparmiare perché non è detto che un
soggetto sia disposto a sacrificarsi per il benessere dei suoi successori.
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Lez 5 del 28/09/2018
Abbiamo visto che dietro a questo grafico c’è
un’equazione che ci dice come varia un capitale da un
tempo ad un altro e, che questa variazione è soggetta a
due forze:
• Positiva, ossia l’investimento
• Negativa, ossia il deprezzamento
Abbiamo anche capito come si evolve il capitale nel
tempo, ossia in maniera tale che sia che partiamo a valori
a sinistra dello stato stazionario sia che partiamo da valori
alla destra dello stato stazionario, nel lungo periodo tutti
convergeremo presso il livello di Pil dello Stato Stazionario
che successivamente non varierà.
Abbiamo visto inoltre che questo modello si basa su delle ipotesi forti:
- Se vogliamo utilizzare questo grafico per vedere l’evoluzione di diversi paesi, questi devono avere
lo stesso tasso di risparmio (s) e lo stesso tasso di deprezzamento (δ).
Nel caso si voglia uscire dallo Stato Stazionario bisognerà cambiare il tasso di risparmio e, quello che
accadrà sarà una variazione della sola funzione del risparmio, la quale crescerà spostandosi più in alto,
permettendo un abbandono dello Stato Stazionario.
Abbiamo detto che però questa scelta di risparmiare di più ha dei problemi redistributivi in quanto le
persone che scelgono di aumentare il loro risparmio sono soggetti che, ovviamente, dovranno consumare
di meno (quindi saranno più infelici dato che la felicità dipende dal consumo).
Lo faranno solo per motivi altruisti in quanto questo permetterà ai loro posteri di stare meglio.
Ma l’obiezione ora è “siamo sicuri che il nuovo punto di Stato Stazionario è migliore di quello vecchio (più
basso) ?”, per dare un giudizio qualitativo in merito dovremo vedere se il consumo del vecchio Stato
Stazionario è maggiore o minore di quello nuovo.
Sappiamo che il consumo è dato dalla differenza tra reddito (Y) e risparmio (in quanto la
tassazione in questo modello non è contemplata) quindi in questo modello il risparmio sarà dato dal
segmento evidenziato in viola.
Allora alla domanda che ci chiede se abbia senso aumentare il risparmio, risponderemo no in quanto
possiamo osservare dal grafico che un aumento del risparmio per uscire dallo Stato Stazionario condurrà si
ad un aumento del reddito ma anche ad una riduzione dei consumi, sia nella fase di transizione da un punto
di SS all’altro sia nel nuovo punto di Stato Stazionario.
Non in tutti i modelli di Solow ridurre il tasso di risparmio porta a un maggiore beneficio, ciò succede in
questo grafico ma in altri modelli di Solow succede l’opposto.
Supponiamo che un paese risparmi il 100% del suo reddito (s = 1), cioè che la funzione di risparmio
coincida con una funzione di produzione.
In un’economia di questo tipo andremo ad ottenere il pil e il capitale
in stato stazionario più alti di tutti ma, tutto il risparmiato sarà pari al
consumato.
Questo valore vale anche per il caso in cui (s = 0), in questo caso
rimarremo nell’origine per sempre.
Quindi s = 1 e s = 0 sono gli estremi che mi danno i livelli di infelicità
massima, dovremo trovare dunque il livello compreso tra 0 e 1 che ci
restituisca il livello di felicità massima, ossia quello in cui il consumo è più alto.
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Lez 6 del 03/10/2018
L’esercizio dell’ultima lezione richiedeva di determinare il punto in cui il livello di risparmio che permetteva
di ottenere il livello di consumo pro capita è massimo, in questo punto infatti si sarebbe raggiunto anche il
massimo benessere. Questo tasso di risparmio normalmente viene chiamato Tasso da regola aurea
C’è una relazione tra il modello di Solow e i sistemi pensionistici, ma per capirla dobbiamo capire come
sono strutturati i sistemi pensionistici nei paesi più ricchi, generalmente possiamo dividerli in due gruppi:
- Sistemi a Ripartizione, nel quale il governo preleva dei contributi dalle buste paga dei lavoratori e
questi contributi vengono versati ai pensionati, ovviamente questo trasferimento seguirà logiche
precise (chi ha lavorato di più otterrà più pensione).
Questo sistema è regolato dal principio del “patto intergenerazionale”, ossia il lavoratore è
disponibile a pagare i contributi perché un domani varrà lo stesso per lui.
- Sistemi a Capitalizzazione, funziona in modo molto simile ma i contributi pagati dai lavoratori non
vengono automaticamente riversati nelle pensioni di oggi, finiscono infatti in un fondo che viene
utilizzato per fare investimenti nei mercati finanziari.
Le pensioni odierne sono pagate attingendo a tutti i rendimenti nei mercati finanziari che questo
fondo oggi possiede. Quindi il fondo aveva investito in passato in titoli di stato che oggi sono
scaduti generando interessi, questi ultimi verranno utilizzati per pagare le pensioni.
Errore frequente: tu dai soldi a stato il quale li investe in borsa e dopo 30anni questi soldi ti saranno
restituiti con interessi attraverso la pensione.
La differenza tra i due sistemi è:
Il sistema a ripartizione va bene quando la demografia e le condizioni nel mercato del lavoro vanno
bene, se oggi ci sono tanti lavoratori occupati allora i pensionati di oggi sono più tranquilli di avere tanti
contributi e quindi di avere la pensione.
Ma se al contrario ci sono meno lavoratori occupati allora i contributi di conseguenza saranno inferiori e il
sistema a ripartizione andrà male perché ci saranno pochi contributi per molti anziani.
Il sistema a capitalizzazione, ha come fondamento teorico il modello di Solow in quanto
quest’ultimo ci dice che quello che determina la crescita nel lungo periodo è il capitale per lavoratore.
L’idea è che investendo questi fondi nel mercato dei capitali facciamo crescere più facilmente il Pil
dell’economia, di conseguenza anche se in futuro la demografia dovesse essere avversa, il paese sarà più
ricco grazie agli investimenti e di conseguenza il Pil sarà più alto.
Questo modello quindi scommette che la crescita dei mercati permetta una rendita maggiore, fino al
2007/08 questa era la convinzione di gran parte degli economisti, ma con la crisi mondiale per la prima
volta si è assistito a un crollo vertiginoso dei rendimenti del mercato dei capitali.
Per quanto riguarda i sistemi pensionistici prima del 2008 i governi avevano iniziato ad eseguire una
“transizione” dal sistema a ripartizione a quello a capitalizzazione, questo passaggio doveva essere fatto in
maniera molto graduale in quanto i contributi dovrebbero servire sia per pagare le pensioni che per
l’investimento finanziario.
Il modello di Solow ci fa capire come è stata l’evoluzione dei sistemi pensionistici, dal pensiero che il sistema
a capitalizzazione fosse sempre il migliore a quella che è stata la doccia fredda del 2008.
Ad oggi in Italia il sistema è ibrido, ossia principalmente è a ripartizione con una quota a capitalizzazione
nata dall’esistenza di fondi di investimento settoriali a cui i lavoratori di un determinato settore investono
parte dei loro contributi.
Esercizio in Lez 5
12
Abbiamo visto che il limite forte del modello di Solow è che la variazione del tasso di risparmio ci permette
di avere livelli diversi di Pil per Capita in Stato Stazionario ma non potrà mai influenzare quello che sarà il
tasso di crescita del Pil per Capita in Stato Stazionario.
Una volta raggiunto lo Stato Stazionario l’economia non cresce più.
Molti economisti negli anni 70 hanno iniziato a sostenere che non si riesce mai a raggiungere lo Stato
Stazionario, in quanto nessuno dei paesi avanzati ha mai sperimentato livelli di crescita del Pil per Capita
pari a zero.
Quindi forse il modello di Solow manca di qualche elemento, come ad esempio:
- Tecnologia Alla quale già Solow aveva fornito una risposta
- Capitale Umano
Il capitale umano, è l’insieme di competenze/abilità/conoscenze che permettono di migliorare la
produttività dei lavoratori. Viene detto così perché (come il capitale fisico) è guidato da una
legge di moto: ogni anno vengono fatti degli investimenti incrementativi, che migliorano le proprie
competenze ma, allo stesso tempo si è soggetti ad una forza distruttrice.
In ragione di questa simmetria potremo scrivere
Dove Ht va a rappresentarmi il capitale umano, discriminando tra i lavoratori e tenendo conto dei loro
diversi livelli di conoscenza.
Ipotizzando che Nt = 100 (50 = laureati e 50 non laureati), supponendo che un laureato valga come due non
laureati in termini di capitale umano allora Ht = 150 soggetti.
Potremo applicare alla formula sopravista le stesse proprietà viste in precedenza:
- Rendimenti decrescenti del capitale umano: Ciò significa che la crescita
nella produzione c’è sempre ma si riduce sempre di più con l’aumentare
del capitale umano.
- Rendimenti costanti di scala: Dividendo tutto per N otterremo una
funzione che ci restituisce il Pil per capita in base al capitale umano.
Inoltre in questo caso avremo due leggi di moto.
In questo caso per raggiungere lo stato stazionario è necessario che sia la legge di moto del capitale umano
che quella del capitale monetario siano in equilibrio (devo avere quindi K* e H*).
Un’altra osservazione a riguardo è quella formulata dall’economista Robert Gordon il quale ha avanzato la
“teoria della stagnazione secolare”, della quale possiamo trovare due versioni:
- Gordon: Arriveremo o siamo già arrivati a una sorta di stagnazione secolare per cui il pil per capita
crescerà sempre meno fino ad arrivare a zero perché sia il capitale fisico che quello umano per
svariate ragioni, ormai sono arrivati allo stato stazionario.
Questo perché secondo Gordon nel XX secolo il capitale umano è cresciuto di molto, soprattutto
nei paesi più ricchi, il livello di istruzione delle generazioni più recenti è molto maggiore.
Quindi a ud un certo punto ci si troverà ad un livello di stagnazione anche per l’istruzione.
- Summers:
I dati ci dicono che il salto
maggiore lo si ha tra liceo
e università
h: Quota di reddito che
non viene
consumata/risparmiata
ma viene utilizzata per
accrescere il capitale
umano
φ: Tasso annuale al
quale le conoscenze
divengono obsolete