Progetto : Incontriamoci
Ic S.Aurigemma di Monteforte Irpino (Av)
Classe III B plesso Don Milani
Anno scolastico 2016/2017
Questa è una storia che giunge da un luogo e da un tempo lontano. Racconta di una
donna forte e coraggiosa, madre e regina di un popolo antico: i Tuareg. Tuareg deriva
dall’arabo Targi che significa “abitante del canale” mentre il nome della regina Tin
Hinan vuol dire “quella che viene da lontano o colei che si sposta”.
I Tuareg infatti sono un popolo nomade che si sposta con le sue tende nei luoghi dove
trova dei canali di acqua.
Una caratteristica del popolo Tuareg è il ruolo della donna. Non a caso la progenitrice
dei Tuareg è una donna! Le donne non si velano, a differenza degli uomini, e hanno
molta più libertà rispetto ad altri popoli musulmani.
La Leggenda di Tin Hinan é una bella favola d’altri tempi, dal sapore antico, che parla
di semplicità d’animo e di una principessa che mette da parte le sue origini nobili per
indossare i panni del viandante e si mette in cammino. Sfogliando le pagine di questo
libro, riproducendone i disegni e leggendo passo dopo passo quello che accadeva alla
principessa, ci siamo sentiti molto vicini a lei. Così ci siamo soffermati sulla bellezza
della natura, sul silenzio della notte, sul vento tra le montagne, sugli animali che
all’improvviso diventavano messaggeri di fatti meravigliosi…
Ma torniamo alla leggenda…
La principessa Tin Hinan viveva felice con il re e la regina nel pacifico regno di
Tafilalet, in Marocco.
Tin Hinan era bella e alta, slanciata come il lungo collo dei cammelli e con gli occhi
grandi e dolci come il frutto del mandorlo.
Tin Hinan aveva imparato dal re suo padre l’arte di governare il paese in pace.
Accadde, però, che un giovane cugino di Tin Hinan, assetato di potere, imprigionò il re
e la regina e si impossessò del regno.
La principessa Tin Hinan riuscì a scappare e, nel silenzio e nel buio della notte, fuggì
insieme alla sua ancella Takamat .
Prepararono tutto quello che poteva servire per il viaggio che si presentava incerto e
minaccioso e partirono.
Portarono con sé due asine, due capre e due cammelle bianche per poter bere il loro
latte.
Sulle asine caricarono un sacco con provviste di miglio e cous cous e due contenitori
pieni di acqua, le ghirbe, usate ancora oggi per trasportare l’acqua.
E cammina cammina la terra secca prendeva il posto delle piante, c’era soltanto sabbia
e deserto. La pelle bruciava, la sete aumentava e il cibo scarseggiava.
Tih Hinan e Takamat si nutrivano quasi esclusivamente di datteri secchi e si
dissetavano con il latte dei loro animali.
Di notte, quando la temperatura del deserto si abbassava, faceva freddo.
Tin Hinan e Takamat avevano imparato ad accendere il fuoco con dei bastoncini di
legno e a dormire vicino agli animali scaldandosi l’un l’altra.
Al minimo rumore si abbracciavano impaurite: se fosse stato un serpente o uno
scorpione?
Tin Hinan allora guardava il cielo per ricevere la forza dallo splendore delle stelle.
Tin Hinan e Takamat viaggiavano ormai da molti giorni, quando una notte si avvicinò una
gazzella. Illuminata dalla luce del fuoco si fermò e incrociò lo sguardo di Tin Hinan.
Era così piccola e bella! I suoi occhi sembravano dirle : “Non ti preoccupare, troverai
una terra, immensa ed accogliente come questo cielo stellato e tu diventerai regina di
un popolo nobile e forte come te che hai affrontato un viaggio lungo e pericoloso”.
A Tin Hinan sembrò di vedere le stelle brillare più forte e si sentì consolata .
La gazzella era il segno della benedizione per il suo futuro.
Erano passati i giorni, Tin Hinan e Takamat non avevano più cibo. Le forze le stavano
abbandonando, anche gli animali erano stanchi.
Il cammello Di Takamat si era imbizzarrito per la stanchezza e lei gli si avvicinò per
calmarlo.
All’improvviso fu incuriosita da un piccolo cumulo di sabbia che si muoveva dinanzi ai
suoi piedi.
Piccoli termiti avevano lì il loro magazzino di semi di orzo.
L’ancella prese i semi e corse subito a portarli a Tin Hinan.
Con quell’orzo non sarebbero morte di fame.
La principessa Tin Hinan e Takamat, rinforzate dal pasto della sera, ripresero il
cammino all’alba.
Quella mattina, però, l’aria aveva qualcosa di diverso, era più fresca e odorava di erba.
Cominciò ad apparire qualche albero di acacia e delle palme.
Davanti alle due donne ecco Abalessa una piccola oasi con poche capanne.
Qui vivevano uomini, donne e bambini insieme a capre e a cammelli, coltivando piccoli
appezzamenti di terra.
Tin Hinan insegnò loro a leggere e a scrivere il Tifinagh, un alfabeto di origine
antichissima. Insegnò anche a lavorare la creta, a tessere e a tingere le stoffe, a
riconoscere le piante utili per curarsi.
Nel tempo la piccola oasi si trasformò in un villaggio pieno di vita.
Tin Hinan divenne presto la regina e dalle sue figlie nacque il popolo Tuareg.
Naturalmente Tin Hinan non si dimenticò di Takamat e concesse a lei e ai suoi
discendenti di vivere da nobili, donandole le terre con i palmeti.
Se vi capita di andare ancora oggi in una tribù Tuareg, alla sera, quando i cammelli si
riposano, gli uomini danzano con le spade. Vi offriranno il loro te. Se ne berranno tre
tazze: la prima, senza zucchero, amara come la vita; la seconda dolce come l’amore; la
terza, soave come la morte.
Questa è la storia di Tin Hinan.
Curiosità
Il velo della donna Tuareg sposata è l’afer ed ha funzioni estetiche di riparo per se e
per un eventuale bambino piccolo.
È grande tre metri per due ed è formato da bande di tessuto nero ricamate con motivi
geometrici, il volto della donna resta sempre scoperto. Il velo delle donne per le feste
è l’alechou in leggerissimo voile di cotone impregnato d’indaco tanto che è lucido. Le
donne si truccano semplicemente strofinandosi i lembi del velo sulle labbra. Tutti i veli
sono gelosamente conservati e molto curati quando si indossano evitando così
frequenti lavaggi che li rovinerebbero.
Il velo è parte fondamentale dell'abbigliamento e, oltre a proteggere dalla polvere e
dal sole, copre la bocca proteggendola dagli spiriti negativi, portatori del malocchio.
Per quest'ultima ragione i Tuareg non tolgono mai il velo e non scoprono la bocca
davanti alle donne o a stranieri, anche mentre bevono o mangiano. Il velo,
indispensabile elemento del costume tradizionale, è donato ai giovani per sancirne
l'ingresso nel mondo degli adulti.
Altre celebrazioni hanno già accompagnato i piccoli dalla nascita. I piccoli targui
nascono in una tenda apposita, destinata ad ospitare la puerpera e il neonato nei
successivi quaranta giorni: la donna è assistita nel parto da un'anziana. Al settimo
giorno il neonato riceve il nome in una cerimonia in cui gli è messo al collo un piccolo
amuleto contenente dei versetti del corano. Al quarto anno di vita i maschi sono
circoncisi.
Fin da piccoli è insegnato loro l'amore, ed il rispetto verso il prossimo, e cominciano ad
imparare le prime regole della pastorizia. Più tardi, solo i maschi saranno introdotti ai
segreti dell'allevamento dei dromedario e al commercio, mentre le femmine
cominceranno a dedicarsi ai lavori domestici. Dall'infanzia all'adolescenza sarà
l'acconciatura ad identificare lo status: i ragazzi conserveranno il ciuffo d'Allah sulla
sommità del capo; le ragazze saranno pettinate con treccine.
Alla pubertà riceveranno il velo: il padre consegnerà al ragazzo il litham, la madre darà
alla ragazza il tikest