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gusto e buongusto nell’euroregione
RistoRanti da scopRiRe
i vini consigliati
nuove tecnologie nella cucina di casa
sapoRi e Ricette d'autunno
Good pRice
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tutte le irresistibili forme del cioccolato
gusto e buongusto nell’euroregione >
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Era il 14 ottobre 2009. Usciva il primo numero di q.b.quantobasta FVG, gusto e buongusto nell’euroregione. In copertina c’erano le immagini di Good. Per due anni abbiamo raccontato, con le nostre pagine allegate ai due principali quoti-diani regionali, di ristoranti, prodotti, vini, appuntamenti golosi. Nel frattempo è
arrivato il magazine on line, www.qbfvg.it, diventato ormai un quotidiano cliccatissimo e seguitissimo per la sua puntualità nell’informare e commentare liberamente e senza pregiu-dizi le molte forme del mondo dell’enogastronomia.
Ora accanto al web abbiamo deciso di scegliere un nuovo formato e nuove modalità di comunicazione con i lettori. Ci è sembrato che l’occasione di Good - due anni dopo - fosse il momento giusto! Un numero speciale di un magazine che crescerà con la collaborazione dei lettori, grazie ai loro commenti e ai loro suggerimenti. In una sinergia costante con il mondo della rete. Un luogo di aggregazione cartaceo e virtuale dove ospitare le opinioni di tutti, dai singoli cittadini dubbiosi sulle loro scelte cibesche o esperti gourmet che offro-no i loro consigli, agli esponenti di associazioni che lavorano per il territorio, nel mondo dell’agricoltura e dell’enogastronomia.
In quel primo numero di due anni fa il titolo del mio primo editoriale era “Polenta e kebab: i nuovi intrecci della nostra alimentazione”. Un titolo sempre di grande attualità, consi-derando le recenti polemiche su divieti (limitazioni) all’apertura di kebab e sushi restaurant. I commenti in proposito sulle nostre pagine facebook sono stati accesi, numerosi e tutto sommato saggi: dipende ancora una volta dalle nostre scelte individuali quello che vogliamo e/o possiamo mangiare. Alla base c’è sempre e prima di tutto l’esigenza di una seria edu-cazione alimentare. E di un atteggiamento di tolleranza anche culturale. Un argomento quello della contaminazione culinaria che non si declina trasversalmente solo fra est e ovest, ma anche fra cucina alta e bassa. Il mac Marchesi, il panino di uno dei maestri della cucina italiana distribuito al mac Donald è stato un altro degli argomenti che ha ottenuto più commenti sulla nostra pagina Facebook. Ricorda un po’ l’operazione vincente sul piano dell’immagine per la multinazionale quando ebbe come testimonial per i panini all’Asiago l’allora ministro Zaia (e noi su q.b. intervistammo l’assessore Violino con un titolo un po’ provocatorio “A quando il mc Frico?” A chi interessa, tutti i numeri arretrati del q.b. con tutti gli articoli sono disponibili in pdf sul sito www.qbfvg.it).
Nuove formule per il q.b. quantobasta FVG dunque. Per suggerire idee, innovazioni, collabo-razioni. In un’ottica di fiducia e ottimismo che è alla base della nostra linea editoriale. In questo numero troverete le storie emblematiche di alcuni giovani, da chi apre un ristoran-te di pesce in mezzo alle prosciutterie a chi decide di importare spezie, anticipando i trend o di valorizzare l’azienda di famiglia facendo rinascere addirittura una risaia. Ma accanto al nuovo c’è sempre la forza della tradizione consolidata. Da conoscere a fondo e valorizzare.
Fabiana Romanutti
tipografia Aggiungete voi
205 X 265 al vivo
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L’AMORE ALL’IMPROVVISOCucina per single e non solo
IL SOLE NEL PIATTOPasta e pesce di un giovane chef
IL VINO PER ALLEGRIACantina Skok dal cuore del Collio
LA FABBRICA DI CIOCCOLATOLa scommessa vincente di Zotter
SALUBRITà& SICUREZZALe cape a chilometri zero
ATTENTI A QUEI FUNGHIAcquisto, conservazione e cottura consapevoli
SOMMARIO
è tornato il pan di sorc P. 6
Risotto sì, ma con riso friulano P. 7
Rombi d’ascesa P. 10
Il riso della vita P. 11
Una dispensa a cielo aperto P. 12
Sievoli soto sal P. 14
I sì e i no della vongola coltivata P. 15
Scrigni di meraviglie: i molluschi bivalvi P. 16
Un ristorante di pesce nel cuore dei prosciuttifici P. 18
Muffin alla zucca P. 20
E’ tempo di boreto (alla gradese è meglio) P. 22
Cucina rivierasca semplice e genuina P. 23
Il ghiaccio e il vino P. 24
Lieviti autoprodotti by Feresin P. 25
Skok e i vini che fanno allegria P. 26
L’Onav: assaggiare per conoscere P. 28
Wine blogger P. 30
Il vino della memoria P. 31
Il calendario 2012 P. 32
Cuoche a domicilio P. 34
Il signore delle spezie P. 36
Mattonella di sale dello chef P. 37
Tutto è racchiuso in una tazza di cioccolato P. 38
Cucina artistica e creativa. Un amore all’improvviso P. 39
Attenti a quei funghi P. 40
Come conservare i funghi P. 41
Raccogliere erbe per la cena P. 43
Lezioni golose con la scuola Mestoli e padelle P. 44
Vasocottura P. 46
Igiene e sicurezza in cucina P. 47
Abbattitore domestico P. 48
Autunno in Istria P. 50
Ricette funghi e castagne all’istriana P. 51
San Martino: appuntamenti P. 53
Caffè al sapor di Carinzia P. 54
Il Laboratorio di Josef Zotter P. 55
Bollicine del secolo scorso P. 56
Pasticceria filosofica P. 57
Espressionismo P. 58
Letture da assaporare P. 60
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è tornato il Pan di sorcImparate a prepararlo e regalatelo per Natale
Un pane dolce e speziato, ricco di contaminazioni d'oltralpe che le famiglie del gemone-
se preparavano per le feste ma che si consumava e regalava in particolare in occasione del Natale. Ogni famiglia di questa zona lo cucinava, con una propria ricetta che però prevedeva sempre di base una miscela di farina di mais (il sorc appunto), segale, fru-mento, fichi secchi. Qualcuno aggiun-geva anche uvetta e semi di finocchio. La cottura avveniva sempre nei forni comuni dei paesi o presso i forni delle famiglie più abbienti. Spesso una par-te del pane rimaneva al proprietario del forno, in vendita o come compen-so; gli altri pani erano consumati nella festa oppure dati in dono ai bambini per Natale.Poteva essere dolce o salato, e lo si ac-compagnava anche ai ai salumi. Essic-cato, veniva inzuppato nel latte. Il pan di sorc è una pagnotta rotonda alta pochi centimetri e con la crosta molto scura e fragranteche fa da contrasto con la mollica gialla e dal caratteristico aroma di po-lenta. I cereali erano coltivati in loco: segale, frumento tenero e tanto mais, di varie tipologie e di vari colori: tutti accomunati da una caratteristica: svi-lupparsi e maturare in 50 giorni e per
questo detti cinquantini. In questo modo riuscivano a svolgere il ciclo vi-tale completo anche in una zona poco calda e piovosa come il gemonese. L'Università di Udine ha avviato per questo nuovo Presidio di Slow Food un lavoro di selezione e caratteriz-zazione di questi mais, partendo dal materiale genetico reperito in loco. L'Ecomuseo delle Acque del Gemone-se ha avviato da alcuni anni un pro-getto di recupero della filiera del pan di sorc, riproponendone il consumo e la vendita. Considerandolo non solo un prodotto alimentare tradizionale, dal-le elevate caratteristiche qualitative e di tipicità, ma un vero e proprio «bene culturale» da proteggere e riqualifi-care sul mercato per contribuire alla valorizzazione della cultura locale. Con un progetto ambizioso, che punta a pratiche di sviluppo rurale incentra-te sulla sostenibilità ambientale, con l'organizzazione di una rete di "con-servatori" che si impegnino a preser-vare parte del germoplasma presente a livello locale e l'ottimizzazione delle pratiche agricole attraverso la rotazio-ne e la successione delle colture. Una filiera agroalimentare di raccordo tra produttori, trasformatori e consuma-tori volta anche alla riqualificazione del paesaggio.
Depositario della ricetta originaleDomenico Calligaro, fornaio per cinquant’anni a Buja
I SALUMI DI CARNIA S.R.L.unipersonaleVia Guart di Luincis ,34 - 33025 Ovaro UD
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RISO DEL PARADISO
risotto? sì, ma con riso friulano!Un semilavorato ideale per la mantecatura che è già entrato nel Guinness dei primati
Dite riso e, se siete diversa-mente giovani, pensate su-bito alle mondine, a Vercelli
e Novara; se siete cinefili vi ricordate di Silvana Mangano in Riso amaro (i più giovani magari alla parola riso ag-giungono l’aggettivo cantonese, che mangiano nei ristoranti etnici). Dite riso e con molta difficoltà vi ver-rebbe in mente il Friuli come produt-tore. E invece. C’è un Vialone nano che sta facendo rivivere antichi fasti alle risaie che fino agli anni ’50 si trovavano nella zona delle Risorgi-ve. Oggi a Pocenia, località Paradiso, accanto a Villa Caratti, è attiva una
risaia e si produce il riso. è già sta-ta fatta la prima raccolta e il riso è in vendita! Paradossalmente l’abbiamo scoperto sul finire dell’estate quando a Sappada si è celebrato il Guinness dei primati per il risotto più grande del mondo. Ebbene, il riso di questo risotto veniva dal Friuli, dall’azienda di Domenico Fraccaroli. Domenico - già il nome parla di cose solide e di antichi valori in un mondo di Kevin e Samanthe - ha trentadue anni, si è laureato a Udine in Tecnologie Agra-rie e da sei anni vive e lavora a Para-diso. Certo, viene da una famiglia che nel Veronese produce vini e oli, ma la scelta di dedicarsi al riso e di far crescere l’azienda è tutta sua (Dome-nico Fraccaroli, il nonno ovviamente, diede inizio alla coltivazione di viti in Friuli nel 1958). “Il riso, il cereale con meno grassi, ci spiega Domenico negli accoglienti locali della frasca annessa all’azienda agricola, può essere suddi-viso in quattro varietà fondamenta-li: comuni, semifini, fini e superfini. Il Vialone Nano che produciamo in azienda è un semifino, con chicchi di media lunghezza dalla forma ton-deggiante. Un’altra classificazione importante distingue i risi come clas-sici, semi lavorati e integrali non sulla
Fabiana Romanutti
base della loro varietà, ma in funzione della loro lavorazione. Quello classico è sottoposto a numerosi processi di lavorazione per eliminarne tutti gli strati esterni, mentre nell’integrale si estrae il chicco dal suo rivestimen-to più esterno, mantenendo intatti gli altri strati. Questa differenza ha delle conseguenze significative nei valori nutrizionali e di sali minerali e anche nei tempi di cottura. Il motivo della grande diffusione di riso con la lavorazione classica sta nel fatto che con l’asportazione di più strati il chic-co assume un colore molto più bianco e più accattivante per le vendite…
Il riso Domenico Fraccaroli è un se-milavorato che permette di avere un contenuto più alto in vitamine e sali minerali rispetto ai risi a lavorazione classica. Il tempo di cottura è legger-mente superiore rispetto ai risi comu-ni (13-15 minuti). Una varietà ideale per risotti mantecati”. La mia filosofia aziendale, ci spiega ancora il giovane titolare, è di far ve-nire le persone in azienda a conoscere il prodotto. Per questo tre giorni alla settimana, il mercoledì, giovedì e ve-nerdi facciamo degli incontri in cui serviamo gratuitamente del risotto a chi viene a degustare i nostri vini.
Il costo del calice è 0,60 euri, ed è possibile comprare il vino sfu-so di nostra produzione, il mede-simo che mettiamo in bottiglia per 1 euro al litro” (sì avete let-to bene, 1 euro al litro!). In più, aggiungiamo, si trovano notevoli vini dei Colli Euganei dell’azien-da di famiglia a prezzi davvero competitivi: abbiamo visto sullo scaffale un Amarone a 18,50 euri.
INFO
Domenico FraccaroliVia S. Ermacora - Paradiso di Pocenia Tel. 0432 777455La frasca è aperta tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 10 alle 12.30 e dalle 16 alle 21.
LA RICETTA
RISOTTO allo ZENZERO
X 4 persone:
320 g riso "Domenico Frac-
caroli", 1 cipolla piccola, 2
cucchiai d'olio extravergine,
70 g di zenzero grattugiato,
200 g di stracchino, brodo ve-
getale, 4 rametti di magiorana
Affettare molto fine la cipolla
e farla soffriggere dolcemente
in una casseruola con l'olio, se
necessario aggiungere un po’
di brodo bollente mescolando,
portare avanti la cottura aggiun-
gendo poco brodo alla volta. Nel
frattempo grattugiare lo zenzero,
aggiungerlo al riso verso metà
cottura e continuare versando
poco brodo e mescolando sem-
pre. Fermare la cottura al dente
e con il risotto abbastanza soste-
nuto. A fuoco spento aggiungere
lo stracchino e mescolare con
cura per amalgamare il tutto.
Impiattare guarnendo ogni piatto
con un rametto di maggiorana e
servire.
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BERREttI BIANChI
il riso della vitaUn cereale che sposa le stagioni, la religiosità e il tempo della vita
rombi d’ascesa
GERmano Pontoni
maRta omERo
In questo momento di congiuntu-ra, economica e non solo, che io definisco ricerca di umanesimo
del terzo millennio si inizia a notare che torna l’esigenza dello stare assie-me, confrontarsi e comunicare, alla ricerca di una parola amica e perché no, di scambiarsi un sorriso… Fino all’altro ieri davamo del matto quan-do una persona cantava durante il lavoro o le faccende domestiche. Un modo di fare andato a scomparire intorno agli anni ‘50 e ‘60 dello scor-so secolo, come il riso, di cui anche nella nostra regione facevamo largo uso. Ricordo con nostalgia il perio-do in cui con gli allievi delle Scuole Alberghiere Regionali abbiamo pub-blicato con la firma Associazione Cuochi della Provincia di Udine Un volumetto titolato un “SORRISO PER L’ESTATE” per raccogliere fondi a fa-vore della “Via di Natale” di Aviano. Nel titolo ci sono più riferimenti. Un Sorriso per le persone ammalate, un Sor-riso nelle ricette proposte come ricchezza e come qualità del riso usa-to. Insomma lode al riso e al vivere in amicizia.Non sempre il riso in “bianco” è indice di povertà o dietetico: se il condimen-to era un cucchiaino di burro di latte-ria turnaria e un cucchiaino di Lat-teria grattugiato ecco che diventava
mangiare da Signori. Il riso sposa le stagioni e la religiosità: in Quaresima con ortaggi invernali e pesci o fega-tini di pollo, in primavera-estate con carni bianche, colori dell’orto e pesci di mare o di acqua dolce, abilmente sfilettati e trasformati in gustose da-dolate, in autunno con i colori delle zucche o abbinati a carni sapide, e selvaggina di laguna, maiale, verza in brodo per le maialate d’inizio d’anno. Ma il riso accompagna anche le sta-gioni della vita: dalla prima infanzia con le cremine di riso, nella scuo-la primaria con risi che, con i nomi più fantasiosi vengono proposti da cuoche mamme che, sapientemente con gusti e colori, attirano dapprima l’attenzione e poi stuzzicano il gusto e l’appetito. Risi con spezie, al curry, per giovani che amano la cucina etni-ca e via, via fino all’età degli incontri amorosi, cene al lume di candela con risotti impreziositi da bollicine. C’era in Friuli l’usanza per i viandanti e ospiti che durante la notte di Natale bussavano alla porta, di offrire riso e latte preparato con cura, lo stesso riso e latte che le persone in età avan-zata gradiscono in tutti i pasti della giornata. Il riso è tutto, e come dice la pediatra Teresa De Monte nel suo ul-timo libro, il riso è amore per il nostro organismo e per la salute del mondo.
“Il riso è amore per il nostro organismo e per la salute del mondo”
Concluso il centenario del Futurismo, resta valida questa ricetta di risotto, che vi proponiamo in pa-gina, una delle tante create all’epoca. è nota infatti
l’avversione di Filippo Tommaso Marinetti e della cucina futurista nei confronti della pastasciutta “alimento ami-daceo” e "assurda religione gastronomica italiana" che dà "fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica". Sì invece al riso, florida coltivazione bandiera di italianità. Con ine-diti abbinamenti lontani dal "quotidianismo mediocrista". Da sottolineare che già allora, accanto alle rivoluzioni nel campo della pittura, dell'architettura, della letteratura, in primo piano c’era la cucina. Provocatoria, innovativa, in-consueta. Era il 28 dicembre 1930 quando il quotidiano to-rinese “La Gazzetta del Popolo” pubblicò a piena pagina il manifesto della cucina Futurista di Marinetti. In un’epoca in cui non solo ci si accontentava di poco, ma in cui l’indu-stria alimentare, a parte pochissime marche, era a livello artigianale. Alcuni dei suggerimenti di Marinetti per ricette che ap-parivano rivoluzionarie, ma in realtà erano spesso tratte da indicazioni rinascimentali, sono diventati poi prassi co-mune, dall’integrazione dei cibi con additivi e conservanti all’adozione in cucina di strumenti tecnologici per tritare, polverizzare ed emulsionare. Il cuoco precursore della cu-cina futurista, si legge su Taccuini storici, fu il francese Jules Maincave, che nel 1914, annoiato dai «metodi tradi-zionali delle mescolanze... monotoni sino alla stupidità», si ripropose di «avvicinare elementi separati da prevenzioni senza serio fondamento: filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, aringa e gelatina di fragola. I principi del futurismo a tavola, accanto a nuovi mix e sperimentazioni con bocconi simultanei che contenessero dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi, consideravano l'abolizione dell'uso della forchetta e del coltello "per i complessi plastici che possono dare un piace-re tattile prelabiale"; suggerivano l'uso dell'arte dei profumi per favorire la degustazione e molto altro ancora.
LA RICETTA
Riso alla Marinetti
Mondate e tritate finemente
una cipolla, quindi
fatela appassire in
una casseruola con
tre cucchiaiate d’olio
d’oliva. Aggiungete del
riso e a fiamma vivace tostatelo
per alcuni minuti ed infine sfumatelo con
del vino bianco.
Proseguite la cottura del riso aggiungendo
di tanto in tanto del brodo bollente. Nel
frattempo, per il condimento, riducete a
filettini sottili la buccia di mezza arancia
che sbollenterete in un pentolino con
acqua e aceto.
Mettete poi a riscaldare del sugo di arro-
sto, allungato con del marsala, del rum e il
succo di mezza arancia. Lasciate sobbol-
lire il sughetto e togliete dal fuoco il riso
al dente.
Servite disponendo nei piatti di portata il
riso cosparso del condimento con sopra i
filetti d’arancia adagiati a cascata.
I futuristi si impegnarono a italianizzare alcuni termini di
origine straniera: il cocktail divenne la "poli-bibita" (che si poteva ordinare al "quisibeve" e non al
bar), il sandwich prese il nome di "traidue", il dessert di "peralzarsi" e il picnic di "pranzoalsole". Il successo maggiore di
pubblico e stampa i futuristi lo ebbero con gli “aerobanchetti”: me-morabile quello organizzato a Bologna nel ’31. Niente tovaglia, sosti-tuita da foglie di alluminio e piatti di metallo. Tavola a forma di aereo, con al centro delle due appendici raffiguranti le ali, una motocicletta come motore. Dopo la portata “aeroporto piccante” (insalata rus-
sa), venne servito “rombi d’ascesa” (risotto con arancia, di cui vi forniamo ricetta). Come carburante lambrusco, travasato in
latte da benzina.
aERobanchEtti
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Scadono in questi giorni i termini di partecipazione ai bandi per l’assegnazione di 40 lotti disponibili nei due nuovi orti urbani in corso di realizzazione
in via Zugliano a Sant’Osvaldo e in via Pellis a Paparotti nel comune di Udine. La durata della concessione passa da uno a tre anni. “Un arco temporale più ampio che per-metterà di raggiungere meglio gli obiettivi di aggregazione sociale e di sensibilizzazione sui temi della salvaguardia e della riqualificazione del territo-rio comunale”. La notizia sta a nostro parere pro-prio nella rinascita degli orti ur-bani in una funzione di socializza-zione e di necessità di risparmio, di hobby e desiderio di consumare prodotti visti crescere sotto i pro-pri occhi. L’orto torna di moda e non solo come mera espressione verbale di richiamo bucolico (non si sono mai visti tanti prodotti che si rifanno all’orto verde come in questi anni). Sugli orti urbani in rapporto alla vite e alle vecchie viti ha scritto un interessante pezzo Roberto Cipresso, l’enologo che con Bisol, nell’isola di Mazzorbo sta facendo rinascere la Dorona un vitigno storico autoctono (ne abbiamo scrit-
ORtI URBANI
una dispensa a cielo apertoto nel numero di q.b. del 10 maggio 2011). “A un primo sguardo gli orti appaiono come una dispensa a cielo aper-to, angoli di campagna - in qualche caso rigorosamente disciplinati, in altri magari lasciati a se stessi ed un po’ decadenti - ricavati in aree più o meno nascoste di paesi e città, a ridosso di case, muri e cortili. Il loro valore, comunque notevole anche considerando sol-tanto il loro ruolo storico, sociale ed estetico, risulterà no-
tevolmente amplificato qualora si osservino un po’ più attentamen-te, e si valuti l’immensa ricchezza che offrono quali centri di raccol-ta e di conservazione di materiale genetico e biodiversità. è proprio negli orti infatti che riusciamo ancora a trovare l’antica varietà locale di pomodoro da condire dalla polpa consistente, succosa, e dal sapore antico, che ricorda la
nostra infanzia, e che al supermercato da tempo non è più reperibile, per leggi e regole che spesso sfuggono alla no-stra comprensione. Ed è ancora negli orti che troviamo la susina dalla forma strana e dal colore poco invitante, che sappiamo essere di gran lunga più dolce e ricca di sapore della prugna lucida a disposizione del consumatore”.
silvaneer o ZinfanDel?RobERto ciPREsso
Agli inizi del 1800, un nobile della
Vienna asburgica, per sdebitarsi di un
servizio reso, fece dono di una grande
quantità di viti della varietà precoce Cr-
ljenak – originariamente coltivata in Dal-
mazia, ma anche in serra nella capitale
dell’impero asburgico per la produzione
di uva da tavola – ad alcuni frati fran-
cescani in partenza per le Americhe con
la missione di evangelizzazione della
California; e fu così che queste barba-
telle giunsero nell’orto della chiesetta
della comunità rurale di Nuestra Senora
la Reina de Los Angeles, e fu ad esse at-
tribuito il nome sbagliato di Silvaneer, la
varietà più diffusa tra i vitigni austriaci,
che poi divenne Zinfandel.
Anche la storia di questo vitigno,
orgoglio e bandiera della viticoltura
americana, vede quindi il suo punto di
partenza proprio negli orti e nella col-
tivazione destinata a semplici e piccole
comunità. Sono vicinissimo al progetto
promosso da Città del Vino in merito
all’esplorazione del materiale genetico
presente negli orti di Siena, al punto che
circa 10 anni fa, proprio allo scopo di
verificare con prove di vinificazione e
micro vinificazione i risultati di indagini
anche di questo tipo, ho dato vita alla
mia cantina del Winecircus, una sorta
di laboratorio nel quale poter condurre
liberamente le attività di ricerca e le
sperimentazioni che più mi appassio-
nano.
Sono infine fermamente convinto
che il vero messaggio di novità e di
freschezza che stiamo cercando sia da
perseguire non nel mero recupero di ciò
che ci viene imposto dalla tradizione,
bensì esplorando, tra le cose antiche, gli
elementi più validi, veri e preziosi.
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Con la parola Cefalo spesso si indica la generica famiglia dei Mugilidi che però è rappresentata nel Golfo di Trieste da 5 specie diverse
siEvoli sotto salLa storia e la cucina dei pesci conservati
Giuliano oREl, auRElio ZEntilin
Parliamo di Cefali o Sievoli (nel dialetto istro-veneto) o Cieul (in friulano) che sono
tra le specie ittiche le più diffuse ed apprezzate in tutto il mondo.L'apprezzamento deriva dall'eccel-lente qualità delle carni, dalla ab-bondante disponibilità e dalla rela-tiva facilità di cattura realizzata, a volte, con metodi molto ingegnosi e coinvolgenti come la Trata in Istria o la Canara nelle Lagune Venete.Con la parola Cefalo spesso si suole indicare la generica famiglia dei Mu-gilidi che però è rappresentata nel Golfo di Trieste da 5 specie diverse. In generale tutti i cefali mostrano una forma affusolata e ben propor-zionata, molto idrodinamica e quindi adatta al nuoto.Tradizionalmente i pescatori di Gra-do e di Marano Lagunare, ma non solo, usavano preparare i Sievoli soto sal. Quando la pesca estiva era abbondante, i pescatori pulivano i
cefali, solo sventrandoli e squaman-doli se di piccole dimensioni, oppure aprendoli “a cotoletta” (Spacai) se di dimensioni maggiori e li metteva-no in vasi di coccio disponendoli, ben serrati, a strati, con sale grosso alter-nato tra uno strato e l’altro. Quando il recipiente era pieno veniva coperto con un coperchio sopra il quale si po-neva un peso e lo si teneva a matura-re per due-tre mesi durante i quali, nei primi tempi di maturazione, i ce-fali, per effetto osmotico, cedevano il loro liquido che veniva allontanato e rabboccato con nuova soluzione sa-lina (Salamoia), costruita scioglien-do in acqua tiepida circa 300 grammi di sale ogni litro d’acqua. A maturazione, alla bisogna, i Sie-voli venivano tolti dal sale e dopo averli lasciati una notte in un catino con acqua dolce venivano preparati in Saor o semplicemente conditi con olio e aceto. Potevano anche essere lessati assie-
me a cipolla, sedano, carota e qual-che foglia di alloro e successivamen-te conditi con olio e aceto. Ma la vera ghiottoneria erano i Sievoli sotto sal che, dopo essere rimasti per una notte in ammollo in acqua dolce, ve-nivano impanati con farina bianca e fritti.Il Sievolo frito acquista la consi-stenza e il colore di un biscotto salato e tostato che ne faceva la gioia dei più piccoli affamati bimbi dei tempi andati e oggi è prefetto come piacevole aperi-tivo nei pochi ristoranti che attual-mente stanno riscoprendo questo antico modo di conservare, piuttosto che di preparare, i Sievoli.I Sievoli sotto sal sono uno dei 144 preziosi prodotti agroalimentari del Friuli Venezia Giulia individuati dall’ERSA, agenzia regionale per lo sviluppo rurale ed inseriti nel Nuovo Cibario del Friuli Venezia Giulia. At-lante dei Prodotti della Tradizione.
1. SI. In negozio acquistate le vongole sempre in con-fezioni integre e con la loro etichetta.
2. NO. In negozio non acquistate le vongole se sono aperte e non si chiudono.
3. SI. A casa conservate le vongole in frigorifero, mettendole nella loro confezione, in una terri-na e coprendole con un coperchio
4. NO. A casa non metterle a spurgare in acqua, sono già state depurate.
5. SI. A casa, se ben conservate, le vongole posso-no essere consumate entro 2,3 tre giorni. At-tenzione: per i Molluschi, nell’etichetta non è riportata una data di scadenza ma la data di confezionamento. Fra il tempo impiegato dal momento dell’acquisto alla preparazione non dovrebbero trascorrere più di 4-5 giorni.
6. NO. A casa non è necessario fare una provvista di vongole perché si trovano fresche tutti i giorni presso i vostri punti di acquisto.
DODECALOGO
i sì e i no sulla vongola “coltivata” friulana
7. SI. A casa, prima della cottura, le vongole vanno semplicemente risciacquate sotto l’acqua cor-rente, eliminando quelle rotte.
8. SI. A casa le vongole vanno consumate previa cottura.
9. NO. A casa, dopo la cottura non aprire le vongole che restano chiuse ma eliminarle dalla padella.
10. SI. A casa se ne rimangono dopo il consu-mo, pulitele, raccogliete il frutto e assie-me al liquido di cottura conservatele nel congelatore… ma non troppo a lungo. Potranno servire per preparare uno spaghetti alle vongole.
11. SI. Preferite le vongole e i molluschi del Friuli Ve-nezia Giulia perché sono vostri vicini di casa, sono del vostro territorio e a km 0.
12. SI. Fidatevi delle vongole perché sono controllate e sono un prodotto certificato.
Le VONGOLE ALLEVATE o COLTIVATE (ed in generale tutti i molluschi di allevamento) SONO “UGUALI” A QUELLE PESCATE PERCHè SI NUTRONO DI QUELLO CHE MADRE NATURA OFFRE e cioè di fitplancton, le microscopiche alghe unicellulari presenti nelle acque marine e lagunari.
Ecco alcune semplici “regole” per poter gustare con tranquillità e consapevolezza questi squisiti “scrigni del mare”:
l’unicità e la freschezza delle vongole del FRiuli veneZia
giulia della filiera pma Fvg sono da abbinare con un
Friulano ma anche con una malvasia istriana.
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sCrigni Di MeraviglieI molluschi bivalvi tra orgoglio e pregiudizio: la salubrità delle capetonde
auRElio ZEntilin
Anche in Friuli Venezia Giu-lia le “càpe”(in veneto) o “lis càpis” (in friulano) ov-
vero i molluschi bivalvi e il loro uso in cucina era considerato, in tempi non molto lontani, riservato ai poveri poiché erano molto abbondanti nelle numerosissime specie, non richiede-vano l’uso di grandi fuochi ed erano disponibili anche in inverno, quando il resto del pesce soggiorna nelle ac-que più profonde e calde del Golfo di Trieste.Nel contempo, il consumo di alcu-ne specie era però percepito come molto rischioso in quanto, se i pro-dotti non erano “freschi” e vivi, o se venivano raccolti in certe aree e in condizioni sfavorevoli, potevano provocare problemi di salute di varia gravità. Questo dualismo tra illimi-tata disponibilità di risorse a basso costo e la loro potenziale pericolosità è caratteristico di tutte le comunità costiere di tutti i mari del pianeta.La cattiva “nomea” di cui godono i
molluschi bivalvi e in particolare il Mitilo o Cozza (Mytilius gallopro-vincialis) e alcune specie lagunari di cui il Cuore o Capatonda (Cera-stoderma glaucum) è l’esempio più eclatante, è da ricercare in un insieme di caratteristiche peculiari della specie ed all’impreciso stato delle conoscenze e dell’igiene che fino a qualche anno addietro regnava anche dalle nostre parti. Lo sversamento diretto di acque spesso contami-nate da batteri fecali nei corpi idri-ci (laghi, fiumi, lagune e mare), la presenza dei banchi di molluschi in vicinanza degli scarichi, la loro facile accessibilità di raccolta e la scarsa conoscenza delle dinamiche di pre-venzione sanitarià permetteva scam-
bi e contaminazioni molto frequenti e veloci fra organismi patogeni, l’ali-mento molluschi e le popolazioni ri-vierasche.Anche leggendo la storia della fortez-za di Marano Lagunare (Ud) si evin-ce che periodicamente la popolazio-ne veniva decimata da epidemie di morbus Cholera, di bacillo virgola e di tifo, all’interno di un’area dove inoltre regnava endemica la malaria. Tradizione vuole che all’epidemia del 1635 siano scampate solo 17 anime di sesso maschile le quali, una volta ri-stabilitesi, si diressero con le batele a remi alla volta di Grado per rapire altrettante màmole (fanciulle) da portare a Marano per ricostruire la comunità falcidiata.
L’ultima epidemia, causa-ta da tifo, è stata regi-
strata a Marano nel 1955 dove 180 per-sone furono ricove-rate in Ospedale a Palmanova e, fortu-
natamente, si è risol-ta senza alcuna perdita.
Una targa votiva di ringraziamento, ubicata nel santuario della Beata Vergine della Salute, ricorda anco-ra oggi questo fatto. Ancora oggi, nell’immaginario collettivo della po-polazione di Marano, le Capetonde sono sinonimo di tifo.
la canzone di molly malone:
capetonde e Peoci
Questo tipo di problematiche sono però comuni in tutte le popolazioni che ne fanno uso. Una curiosa analogia con le storie friulane la si può trovare in
una famosissima ballata irlandese The song of Molly Ma-lone (la canzone di Molly Malone) conosciuta anche come Cockles and Mussels (Capetonde e Peoci). Questo canto funebre narra di una pescivendola del XVIII sec. (quasi certamente una figura storica) che morì durante una epi-demia di colera che periodicamente devastava anche Du-blino. La ballata di Molly Malone dice più o meno così:
Nella serena città di Dublino dove le ragazze sono così carine un tempo viveva una fanciulla chiamata la dolce Molly Malone e spingendo il suo carretto con le ruote attraverso i vicoli larghi e stretti gridava “cappetonde e peoci vivi, vivi OH!”
Molly Malone morì per febbre, nessuno poté salvarla e quella fu la fine della dolce Molly Malone.
Ora è il suo fantasma che spinge il suo carret-to attraverso i vicoli larghi e stretti gridando “capetonde e peoci vivi, vivi OH!”
Traduzione di L. Scala
la sicurezza per i consumatori
Ovviamente oggi la situazione è totalmente evoluta e tutti i molluschi coltivati o pescati in mare e in laguna, Capetonde e Peoci compresi, per precise
norme igienico sanitarie emesse dai Regolamenti Comuni-tari e recepite dal Ministero della Salute, prima di essere messi in commercio per il consumo, devono essere control-lati sin dall’inizio della filiera produttiva, depurati (laddove necessario) in centri di depurazione (CDM) autorizzati ed ancora ricontrollati, confezionati ed etichettati in centri di spedizione (CSM) anch’essi riconosciuti e codificati con un numero CE. L’etichetta che deve essere apposta ad ogni confezione non deve essere asportabile e deve contenere tutte le informazioni che possano permettere al consuma-tore di sapere quale specie sta acquistando, da quale zona proviene, come è stata prodotta, quando è stata confezio-
nata e da quale centro di spedizione l’alimento è par-tito. L’etichetta è quindi la carta di identità che ac-
compagna l’alimento e permette l’individuazione delle diverse fasi di lavorazione (tracciabilità). Onde evitare poi i possibili rischi di incorrere in spiacevoli conseguenze di tipo gastro-intestina-le, i molluschi vanno consumati cotti.
Cape in scotadeoFar aprire le vongole su un tegame basso con coperchio a
fuoco moderato, senza aggiungere acqua, con aglio tagliato
a pezzi, olio extra-vergine di oliva e un pizzico di pepe nero.
Alla completa apertura delle vongole aggiungere una mancia-
ta di prezzemolo e servire.
e oRa QualcHe Ricettina Facile Facile
Spaghetti con le CapeFar aprire i bivalvi su un tegame basso con coperchio, senza
aggiungere acqua, a fuoco moderato con aglio tagliato a pez-
zi, olio extra-vergine di oliva ed un pizzico di pepe nero o un
po’ di peperoncino. A parte, cuocere gli spaghetti al dente e
dopo averli scolati farli saltare nel tegame con i molluschi.
Prima di servire, aggiungere una manciata di prezzemolo ed
un po’ di pane grattugiato. Suggerimento: Il sugo può essere
fatto con tutti i molluschi bivalvi e si possono aggiungere
anche pomodori per una spaghettata “in rosso”.
Zuppa di patate di terra e patate di mareLessare 6 patate, pelarle e passarle al mixer assieme a brodo di
pesce o brodo vegetale fino a ottenere una purea semiliquida.
In una padella larga mettere dell’aglio tritato, olio extra vergi-
ne di oliva, poco prezzemolo, aggiungere 1 kg di vongole, una
spruzzata di vino bianco e farle aprire a fuoco vivace per 4-5
minuti coprendo la padella con un coperchio. Sgusciare e tenere
al caldo i frutti avendo l’accortezza di conservare 3 o 4 vongole
con le valve per guarnire ogni piatto. Recuperare il liquido di
cottura delle vongole filtrandolo ed amalgamarlo con la purea.
Incorporare alla minestra le vongole sgusciate ed aggiustare di
sale e pepe. Il piatto, da mangiare ovviamente con il cucchiaio,
può essere completato con crostini di pane abbrustolito.
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AI SAPORI
un RistoRantE di PEscE nEl cuoRE dEi PRosciuttiFici
I giovani che ci piace conoscere: hanno meno di 75 anni in tre!
Fabiana Romanutti
Giulia Plos, la titolare, che si occupa del bar e del servizio in sala. Stefano Comello, chef
(triestino di origine, ma ormai natu-ralizzato friulano), Nicola De Cecco, addetto ai vini (e a tutto quello che serve) e compagno di vita di Giulia. In tre non raggiungono i 75 anni. Sono i tre giovani che hanno creato il risto-rantino Ai Sapori, protagonisti a buon diritto della rubrica “I giovani che ci piace conoscere”. Il posto ce l’ha segnalato un giovane amico di Facebook, Angelo Bortoluz-zi, che si diletta di infusi e sogna di fare il distillatore. Il Bar Ristorantino ai Sapori si trova a Villanova, frazione di San Daniele del Friuli. Lo vedete subito sulla strada. è un locale tutto nuovo ma realizzato con quell’elegan-za informale che vi dà subito un gran-de senso di accoglienza e ospitalità. Un ambiente curato e accogliente, dall’arredamento chiaro luminoso, dove la cortesia è di casa. Il risto-rantino Ai Sapori, (ristorantino sup-poniamo si riferisca alle dimensioni ridotte, massimo 25-30 posti all’in-terno, non certo alla qualità) è strut-turato “alla vecchia maniera” come le trattorie di una volta che si aprono
sul bar (aperto dalle 9. 30 alle 15, vi si servono gustose polpette, fette di frico, ma anche crostacei in forma di lecca lecca. E ottimi vini al calice). La sfida è stata quella di differenziar-si dagli altri locali della zona, spiega Giulia, una laurea alle spalle e tanta voglia di mettersi alla prova anche se gli orari, si sa, sono abbastanza fatico-si, ed ecco allora la scelta di proporre un menù soprattutto a base di pesce (a disposizione comunque anche al-ternative per gi amanti della carne), in combinazioni nuove e gustose. An-che un semplice polpetto su letto di patate al Friulano con porcini crudi in olio alle erbe, diventa un piatto da gourmet.Ottimo anche il branzino con olio, sali e scorza di limone, che abbiamo gu-stato accompagnato da un Toblar di Specogna. In menu erano assai tenta-tori un San Pietro con fiori di zucca, mostarda, aromi di vaniglia e cannel-la, il tonno all’arancio, il cartoccio con calamaretti e formaggi. Insomma c’è di che scegliere e an-che all’ora di pranzo, quando ci sia-mo andati, c’erano i tavoli quasi tutti occupati. Supponiamo quindi che la sera sia un locale che sta diventando
di tendenza. Apprezzato anche per i prezzi contenuti. “La materia pri-ma è sempre di altissima qualità e il pesce è sempre abbinato a prodotti di stagione”, ci racconta il giovanis-simo chef, triestino, che ha fatto le sue prime esperienze da Skabar, poi
in vari ristoranti importanti con ca-tering di alta gamma. “Ho sempre desiderato cucinare e in particolare il pesce”, ci racconta Stefano Comel-lo, che da Trieste veniva ogni giorno a Udine a studiare allo Stringher. A sentirlo, vi sembra strano che abbia
tutta quell’esperienza alle spalle, ma, ci dice “ho cominciato a lavorare a 14 anni!” Sua l’idea di un piatto davvero scenografico: il sole, con pasta di Gra-gnano farcita con spuma di branzino e scampi, con salsa ai calamaretti e verdure di stagione.
Ristorantino ai SaporiVia Giacomo Bernè, 33 San Daniele del Friuli
Telefono: 0432 95 30 25Giorno Chiusura: domenica
Coperti: 25-30 posti (esterni 20)Prezzo medio: 25, 30 euri
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ingredienti:
350 g di farina, 200 g di
zucca, 60 g di zucchero
bianco e 60 g di zucchero
di canna, 3 uova, 150 g di
burro, 1 bustina di lievito
per dolci, 100 ml di latte, 1
cucchiaio di cannella, 3 cuc-
chiaini da caffè di zenzero
in polvere, un po' di noce
moscata
preparazione:
Far asciugare la polpa della
zucca in un padella antia-
derente per circa 20 minuti.
Schiacciare la polpa renden-
do il composto cremoso. Far
sciogliere il burro e lasciarlo
raffreddare. Unire lo zuc-
chero e lavorare fino a che
risulti ben spumoso. Aggiun-
gere le uova e incorporare
nell'ordine: farina, lievito
e la polpa di zucca. Infine
unire il latte e le spezie,
mescolando delicatamente.
Versare il composto nelle
formine o in stampino di
alluminio e cuocere in forno
per circa 25 minuti a 180°
C. Infine a dolce ultimato e
raffreddato scavarlo in cima
con un coltello e farcirlo con
la mostarda.
LA RICEttA
Muffin alla zucca con la sua mostarda su crema Chantilly calda
MOSTARDA:ingredienti: 1 kg di polpa di
zucca, 350 g di zucchero, 1/2
cucchiaino di cannella, succo
e buccia di 1 limone, 1 pizzico
di noce moscata
preparazione: Tagliate la pol-
pa a pezzetti, mettetela in un
contenitore e coprite tutto con
lo zucchero,: Lasciate macera-
re, coperta da coperchio, per
circa 12 ore. Finito il tempo
di macerazione mettete il
tutto in una padella sul fuoco
e aggiungete sia il succo che
la buccia del limone, poi le
spezie. Fate cuocere a fuoco
dolce per circa un’ora. Alla fine
della cottura aggiungete un
bicchierino di rum jamaicano e
un po’ di amaretti sbriciolati.
muffin: per saperne di più
Un muffin è un dolce simile
a un plum cake, di forma
rotonda con la cima a calotta
semisferica senza glassa di
rivestimento. Si possono
preparare con ripieno di
mirtilli, cioccolato, cetrioli,
lampone, cannella, zucca,
noce, limone, banana, aran-
cia, pesca, fragola, mandorle
e carote. In genere i muffin
si tengono in un palmo della
mano e si consumano in
un sol boccone. La parola
muffin viene citata per la
prima volta in Inghilterra nel
1703 con la scrittura "moo-
fin". Qualcuno la fa derivare
dal francese mouflet, che
significa soffice, inteso come
il pane, altri dal tedesco
muffen che significa piccole
torte. Le prime versioni di
muffin erano meno nobili. Il
fornaio di famiglia inizial-
mente cucinava i muffin per
la servitù con i rimasugli del
pane del giorno prima e con
i rimasugli di lavorazione di
biscotti, mescolando il tutto
con delle patate schiacciate.
Il tutto veniva fritto facendo
divenire il composto così
ottenuto leggero e croccan-
te. Quando questo dolcetto
venne scoperto dai signori
inglesi dell'epoca diventò
l’accompagnamento preferito
per l'ora del tè.
La ricetta del muffin è di Stefano Comello, che nella foto piccola esibisce il suo Sole di Gragnano ripieno di polpa di branzino
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IL RIStORANtE SCELtO E CONSIGLIAtO DA COMMANDERIE DES CORDONS BLEUS,
DELEGAZIONE DI tRIEStE
è tempo di boreto: alla gradese è meglio!
anna Fast
caRlo moRandini
La Delegazione di Trieste della Commanderie des Cordons Bleus si è ritrovata a Grado in una sera di inizio ottobre appena rinfrescata dal borino alla
scoperta dei veri sapori del generoso mare della laguna.La folla estiva di turisti di questa calda e lunga estate del 2011 era ormai solo un ricordo; tra le calli dell’Isola d’Oro, rischiarate da sapiente illuminazione, si respiravano ma-gia e suggestione. Ma la poesia del luogo, confessiamolo, passava ben presto in secondo piano in quasi tutti i Commandeurs, per il de-siderio di testare insieme il menù per noi predisposto dai fratelli Tarlao. La stagione più propizia per la pesca è all’inizio e la Ta-vernetta all’Androna, piccolo e storico ristorante nel cuo-re della città vecchia, è un punto di riferimento di note-vole appeal. Il ristorante è stato per lunghi anni punto di riferimento per i i gourmet, gli spaghetti all’Androna hanno deliziato i palati più esigenti. L’attuale gestione non ha tradito le aspettative e grazie al rigoroso utilizzo del prodotto del territorio è uno dei ristoranti di punta dell’Isola. Da ben tre generazioni la famiglia Tarlao si oc-
cupata di ristorazione. Nel gennaio del 2001 ha rilevato il ristorante, con Attias ai fornelli e Allan in sala. Attenti alla freschezza e alla rigorosa scelta dei prodotti del terri-torio (ce lo hanno sottolineato molte volte nel corso della serata e del resto il nostro palato se ne è subito reso con-to) hanno rivisitato le ricette del passato, mantenendo i sapori della tradizione. Si inizia la serata con una fritturina di pesce e piccole verdure. Seguono delle splendide cicale di mare (meglio conosciute dalle nostre parti come canoce) accompagna-te da una gremulade di verdurine. Gradevolissime le sfo-gliatine di polenta, prima di passare al piatto forte della serata: un boreto gradese di pesce nobile, accompagnato da polenta e generosamente cosparso di pepe, come vuo-le la tradizioneAl momento del dessert papà Tarlao si esibisce con in-credibile destrezza nel servizio del Santonego, amaro ri-scoperto dai Gradesi, ospitato in bottiglia dal collo estre-mamente lungo e sottile. Il ristorante merita una visita o una riscoperta!Parola di Cordons Bleus!
LA RICETTA DI ATTIAS TARLAO
BORETO DI PESCE MISTO ALLA GRADESE CON POLENTA BIANCA
ingredienti per 4 persone: 1.8 Kg di pesci misti (1
orata, 1 branzino, 600-700 g di rombo, 2 sogliole),
4 spicchi d’aglio privati della pellicina, sale grosso,
pepe nero, un bicchiere di aceto bianco, olio di semi
(8 cucchiai da tavola), ½ bicchiere di acqua bollente.
preparazione:
Eviscerare e squamare il pesce, tagliarlo a tranci.
In una casseruola far imbiondire gli spicchi d’aglio
interi nell’olio di semi.
Toglierli quando saranno di colore tendente al nero
e l’olio sarà fumante. Mettere nella pentola bollen-
te i tranci di pesci, farli rosolare da entrambi i lati.
Salare, pepare abbondantemente e bagnare con
l’aceto bianco; far evaporare e coprire il pesce con
l’acqua bollente. Coprire la pentola con il coperchio e
cuocere per 8 minuti circa finché il sugo si addensa.
Servire con polenta bianca.
Cucina semplice e genuina; vasta proposta di vini
Lola in cucina, il marito Gianni in sala
Da venticinque anni, chi raggiunge Li-gnano Pineta nelle ore serali, in qual-siasi stagione, sa di poter contare su un
punto di ristoro genuino, curato, ove degustare vini di pregio del vigneto Friuli Venezia Giu-lia, e non solo. D’altro canto, il nome prescelto da Gianni e Lola, rivieraschi DOC, originari di Ronchis e di Rivignano, per il locale che oramai gestiscono da venticinque anni, rappresenta la sintesi estrema dell’offerta: ‘La buca dei Papi’ in via Tana del gambero 4, richiama la tranquillità del posto. Le dimensioni raccolte, certo suffi-cienti anche per piccoli convivi tra amici (30
posti all’interno, 20 all’esterno), danno al posto un tocco di intimità. Lo conosce-vo fin dall’apertura. Quando, a poca di-stanza vi si trovavano le discoteche e i locali della notte, che fre-quentavo negli anni
’80 e ’90. è da Gianni e Lola, nelle lunghe se-rate dell’estate, che ho imparato a conoscere i Sauternes, la Malvasia delle Lipari, lo Cham-pagne di alta caratura. Ma non spaventatevi: per pasteggiare ‘alla Buca’, come lo chiamano gli affezionati clienti, vanno benissimo i vini della casa, Tenuta Villanova. Il locale apre alle 19,30, per chiudere alle 3 del mattino. Il menù è semplice. Quattro antipasti, quattro primi, quattro secondi, quattro dolci. Genuini e dal sapore autentico. Carni selezionate. Dalla tar-tara alla tagliata. Anche il ragù di carne per la pasta, rigorosamente fatta in casa è di filetto. Nei fine settimana c’è anche il pesce; solo quel-lo pescato. E ora arriva la stagione del tartufo… Chiuso il lunedì. Tel. 0431 42 22 79.
Buon rapporto qualità-prezzo, elemento "plus"
di una valida ristorazione
rivierasca
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il ghiaccio&il vinoSeduzioni ice style per conquistare il consumatore
Fabiana Romanutti
Pinot grigio: un bianco che gioca a fare il rosso, particolarmente amato dal consumatore americano
Nel numero del 21 luglio di q.b. il vino protagonista era Jasik, di Borgo San Daniele a Cor-
mons, un vino che si caratterizza per la ghiacciatura del grappolo intero, tramite abbattitore, attendendo poi il rialzo naturale della temperatura e 7-8°. Un vino che è stato il nostro amico di bicchiere per una lunga calda esta-te. Poi, nel numero del 15 settembre, il raffreddamento delle uve tramite azoto liquido, tecnica dell’azienda vinicola Cantarutti, ci ha fatto risco-
prire vini fantastici e ricchi di aromi, che mantengono tutte le note varieta-li e minerali, come quelli dalla linea Scacco al Re. Una tecnica complessa e costosa quella del raffreddamento delle uve con temperatura controlla-ta di qualche grado sopra lo zero, in un macchinario imponente che pote-te vedere nella terrazza accanto alla cantina a San Giovanni al Natisone. Ora il vino dell’autunno: uno straor-dinario Friulano di Davide Feresin: e anche in questo caso il freddo e il congelamento hanno il loro ruolo. La
Magnum Edi (il nome del vino è una dedica al padre) era assai richiesta ai tavoli della cena dei wine blogger ospiti qualche settimana fa a Borgo Conventi. Dove peraltro i produttori della Doc Isonzo hanno presentato il meglio dei loro vini d’annata: un autentica scoperta. Davide Feresin, che ama sottolineare come anche quest’anno abbia fatto una vendem-mia quasi tardiva, cominciata intonro al 27 settembre è arrivata al 5, 6 ot-tobre per il Tocai, in modo che fosse-ro maturi sia i frutti sia i vinaccioli. Pochissima la solforosa utilizzata, in un’ottica che tende ai vini naturali e bio, anche se Feresin non ama che si usi quest’espressione. Il suo rapporto con il ghiaccio? Riguarda i lieviti: al primo travaso, racconta, raccogliamo lo strato di lievito, una sorta di crema, e lo mettiamo in freezer in appositi contenitori. Servirà per l’inoculo alle fermentazioni future.
liEviti autoPRodotticongelati per i successivi inoculi
Davide Feresin, giovane vignaiolo di 35 anni, vive a Cor-mons, frazione San Quirino. Grazie alla collaborazione con Michele Bean, enologo emergente, Feresin sta per-
seguendo un progetto rivoluzionario: creare un Pinot Grigio che vada bene sia come vino bianco che rosso, da assaporare a tutto pasto, anche con la carne. Grazie alla qualità della vendemmia 2011, ottima per chi, come lui , ha saputo aspettare evitando di raccogliere anticipatamen-te, Feresin metterà a punto un Pinot Grigio del tutto inusuale, dal colore fortemente ramato, quasi rosso, ed un notevole corpo.“Dobbiamo rispettare quello che la natura ci dà, spiegano Davi-de e Michele. – Qui il Pinot Grigio è un vino intenso, carico, e non possiamo né vogliamo stravolgerlo per rincorrere le tenden-ze del mercato. Abbiamo così deciso di creare un vino “trasversale”, un bianco che si comporta da rosso e può abbinarsi perfettamente al pesce come ai piatti robusti della tradizione regionale”. Uve perfettamente mature, abbiamo detto, macerazione con le bucce di 5-6 giorni e fermentazione si svolgerà con lieviti rigorosamente natura-li. “Non usiamo lieviti di sintesi e selezio-niamo noi stessi ogni anno i ceppi miglio-ri, spiegano. A fine vinificazione vediamo quelli che si sono comportati meglio nello sviluppo dell’alcol, analizzando le singole vasche. Prendiamo quindi la feccia delle migliori, la congeliamo e l’anno dopo la scongelia-mo per preparare l’innesco della fermen-tazione. Applichiamo questa tecnica a tutti i no-stri vini dal 2006 con ottimi risultati“. Si tratta di un metodo assolutamente inno-vativo per il Friuli Venezia Giulia e, pro-babilmente, a livello nazionale, che per-mette di ascoltare la natura fino in fondo e farla esprimere con la massima tipicità. I vini che ne risultano vanno in direzio-ne opposta alla standardizzazione. Lo sa bene Davide che, andando contro tutto e tutti, ha recuperato la propria selezione massale di Tocai Giassico, ereditato dal nonno, per produrre un Friulano unico e un rosso, il Nero di Botte, che sta facendo parlare di sé per il gran carattere.
Nero di botte, il nome gioca su un
doppio senso. Guardate l’etichetta, un
po’ scherzosa e quasi goliardica: due
caricature del vignaiolo e dell’enologo.
Nero di botte, perché è un vino rosso,
un Refosco dal peduncolo rosso ma il
dibattito “botte grande barrique” ha
fatto quasi arrivare alle mani Davide
e Michele, quasi a farsi ludicamente
neri di botte.
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PROVAtI PER VOI
skok: i vini che fanno allEGRia
Fabiana Romanutti
Grazie all’Onav di Gorizia e alla sua infaticabile responsabile Claudia Culot, abbiamo sco-
perto una piccola azienda dal grande cuore. Umano e vinicolo. Gruppo af-fiatato, molta attenzione alle spiega-zioni e una protagonista inimitabile: Orietta Skok. Capace di raccontare il suo vino e l’attività in azienda come una bella storia di vita quotidiana, in un rapporto scherzosamente conflit-tuale con il fratello. Il nostro titolo, i vini che fanno (e danno) allegria è dovuto non solo alla bella esperienza vissuta nella saletta di degustazione, ma anche al colore delle etichette. Inconsuete per altro, di un vistoso e solare color arancione.“Il colore dei nostri tramonti” han-no detto, “il colore dell’allegria che vince il grigio”. Un’allegria talmente contagiosa che anche noi abbiamo scelto l’arancio per la copertina di questo primo numero di q.b. maga-zine.L’Azienda Vinicola Skok nacque nel 1968 quando i fratelli Giuseppe e
Armando rilevarono la proprietà. Da subito concentrarono l’atten-zione verso la coltivazione di Pinot Grigio e Sauvignon. E proprio con questi vini si continuano a ottene-re i risultati più notevoli, con premi del GamberoRosso e la nomina a Vino Slow da parte di SlowFood e l’ingresso nel 2011 nel gruppo dei SuperWhites, l’eccellenza dei bianchi del Collio. Ora alla guida dell’azienda nel comune di San Floriano del col-lio, località Giasbana, sono i fratelli Orietta ed Edi, che dedica una cura
maniacale ai vigneti ed è oltretutto indaffaratissimo per la realizzazio-ne della nuova cantina. Tutti i vini imbottigliati dall’azienda Skok (e ac-quistabili direttamente in azienda) sono DOC Collio. “Seguendo la tradizione del Collio, si legge sul loro sito, la produzione dei bianchi è più nutrita: Pinot Grigio, Chardonnay, Sauvignon, Zabura Friulano e l’uvaggio Bianco Pe/Ar. Siamo molto fieri di questi vini che ricevono riconoscimenti di anno in anno. Per i rossi ci siamo concentrati sul Merlot, prodotto da uve di un ra-rissimo clone Ferrari F2 in una vigna di 40 anni. Imbottigliamo il Merlot Classico e il Merlot Riserva VillaJa-sbinae, sapientemente maturato in botti di rovere. Un vino che profuma di ciliegia e confettura, strutturato, ma senza chiusura tannica.Per quanto ne possiamo dire per averli assaggiati, ottimo il Pinot gri-gio ramato, lasciato a macerare 4 ore sulle bucce, con vendemmia in cas-setta, pressatura soffice. “Sui lieviti
selezionati non riesco a vincere con Edi, racconta Orietta, ma in vigna sono più libera e sono io che decido quante gemme lasciare…” Notevole lo Zabura, un Friulano, 8 file di cru da un vecchio mappale, 5500 piante per ettaro. Talmente perfetto e antico nel suo sapore di mandorla, da essere defi-nito da alcuni critici enologici, “trop-po tipico”! Ebbe sì, così va il mondo. Un vino profumato e corposo con 24 di estratto secco, quasi come un rosso. Vino coerente con correspon-sione naso-bocca e retrogusto, il Sauvignon che già faceva pregustare nei primi freddi d’autunno un buon risotto con gli apsaragi come abbi-namento ideale. Poi c’è il Pe Ar (gli anglofoni leggono Piir, pera, ma il nome è più semplicemente formato dalle iniziali di Pepi e Armando… Un uvaggio con 60% di Chardonnay, 30% di Pinot grigio e 10% di Sauvi-gnon. Caratterizzato da surmatura-zione di circa due settimane sulla pianta. E affinato in barrique. Foto di pagina: Sabrina Gargiulo
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claudia culot
L'associazione Onav è uno dei più antichi sodalizi del set-tore enoico del nostro paese:
nasce ad Asti nel 1951 con lo scopo di formare assaggiatori affidabili e preparati. Con la presidenza del prof. Giorgio Calabrese negli ultimi due anni si sono aggiunte altre finalità come quella della diffusione della filosofia del bere consapevole e del-la promozione della cultura del vino attraverso la valorizzazione delle ti-picità ed eccellenze territoriali.Per raggiungere questi scopi organiz-ziamo corsi per aspiranti assaggiato-ri in cui diamo ai soci la possibilità di acquisire e specifiche conoscenze tecniche, che assieme alle doti natu-rali di ciascuno e al continuo adde-stramento permette di dare un giu-dizio il più obiettivo possibile su un vino. La formazione è continua con serate mensili di approfondimento su temi enoici e di degustazioni te-matiche.Per quanto riguarda il mio percorso all'interno di Onav, sono diventata Delegata "solo" poco più di un anno fa, dopo un'esperienza di quattro anni come segretario di sezione. Ho virgolettato il solo perché un anno può sembrare un lasso di tempo bre-ve, ma in realtà le esperienze vissute dalla nostra sezione in quest'anno lo dilatano moltissimo. Oltre agli impegni istituzionali dei corsi e delle riunioni mensili sem-
l’onav: assaggiare per capire
pre molto seguite dai soci, abbiamo collaborato con enti amministrativi locali, associazioni di settore e di promozione territoriale (Ferragosto in Castello, Gusti di Frontiera, Uvag-gi nel Mondo, degustazioni ai Musei Provinciali, Likof di San Floriano, Gran Premio Noè,Gorizia si presenta a San Candido, Calici di Stelle).Tutto questo grazie all'appoggio che il Consiglio Provinciale mi ha sem-pre dato in ogni iniziativa e al clima che si è instaurato tra i nostri soci, sempre pronti a collaborare oltre che sempre curiosi e desiderosi di am-pliare le proprie conoscenze in cam-po enoico.Il che ci ha permesso di crescere e consolidarci come gruppo.Prossimo obiettivo è di potenziare la già buona collaborazione con le altre Delegazioni Provinciali delle nostre regione, Trieste è seguita ot-timamente da Tito Cuccaro, Udine lavora bene con Simona Migliore e
poi abbiamo la matricola Pordeno-ne con Marco Furlan. Tutti insieme continueremo a dare ai nostri soci la possibilità di confrontarsi e appro-fondire la formazione. Un altro obiettivo che impegnerà Onav Gorizia nei prossimi anni, ma che cre-do vedrà coinvolte anche le altre De-legazioni, è quello importantissimo dell'educazione dei giovani alla cultu-ra del vino, come possibile deterrente agli "eccessi del sabato sera":abbiamo in programma delle agevolazioni per frequentare i nostri corsi (Onav Ju-nior 18-25) e organizzeremo momenti didattici presso gli Istituti Superiori per le classi V o in ambito di mani-festazioni. In chiusura una nota più leggera, senza nulla togliere ai signori Delegati e soci, volevo sottolineare la vivace presenza femminile Onav vi-sta nella nostra regione: non solo due Delegate Provinciali ma tantissime assaggiatrici dimostrano quanto sia forte nell'universo femminile regio-nale la passione per il mondo del vino, situazione non comune nell'ambito delle altre organizzazioni del settore enoico. La presenza femminile nell'associa-zione, con le assaggiatrici che eccel-lono in precisione, sensibilità olfattiva e gustativa,è il vero valore aggiunto Onav e l'occasione per ribadire l'im-portanza della filosofia del bere con-sapevole. Bere poco ma di qualità come facciamo noi donne.
Novità del 2012 è la possibilità che ci viene data dalla sede nazionale di avviare il corso di 2° livello. Agevolazioni per frequentare i corsi Onav junior.
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quanto basta fvg
30 gusto e buongusto nell’euroregione >
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WinE bloGGERIl vino si racconta on line
Degustazione di refoschi della riviera friulana
Blogger e comunicatori del vino da tutto il mondo per cono-scere la realtà vitivinicola e il
food regionale: tre Consorzi di tutela delle zone Doc della regione: Collio e Carso, Colli Orientali del Friuli e Ramandolo, Friuli Isonzo, in colla-borazione con ERSA hanno ospitato tra il 17 e il 19 ottobre un gruppo di una trentina di blogger provenienti dall’European Wine Blogger Confe-rence, per la prima volta organizza-ta in Italia. Noi li abbiamo incontrati alla cena organizzata a Borgo Con-venti dai produttori del Consorzio Friuli Isonzo che avevano messo in assaggio un nutrito gruppo di eccel-lenze, soprattutto etichette di anna-ta (il Piere Sauvignon ’96 di Vie di Romans ci ha fatto perdere la testa) a dimostrazione della validità e longe-
vità di un prodotto non solo di pronta beva. C’erano Elisabetta Tosi e Gian-piero Natali, wine blogger nazionali, che, con il direttore del Consorzio Doc Friuli Isonzo Pierpaolo Penco sono stati tra i promotori della ve-nuta in regione dei bloggers. Cosa vi ha colpito di più abbiamo chiesto: le cantine del Carso scavate nella roc-cia è stata quasi unanime la rispo-sta. “Amazing!” (cioè meraviglioso, straordinario, sorprendente) è stato il commento di tutti e in particolare del notissimo Ryan Opaz (blogger di Catavino). Fra i vini si sono stupiti davanti al Pinot Grigio Ramato, così tipico e originale che forse è difficile da vendere nel grande mercato, han-no detto, ma che sempre più conqui-sterà le nicchie degli appassionati. F.R.
è stata una Donna Del vino FVG, Tiziana Canzutti a guidare le degustazioni di
una interessante serata voltasi ne-gli accoglienti spazi (il Cantinone con il caminetto acceso ha sempre la sua suggestione) dell’azienda Foffani a Clauiano. Protagonisti i Refoschi. Dopo gli interventi di Giovanni Foffani, inventore del Merlot bianco, di Elena Clarin del Consorzio Friuli Aquileia e di Valentina e di Elisabetta dell’azienda Cà Bolani. I vini in degustazione Bortolusso della doc Friuli Annia, Zaglia della doc Friuli Latisana, Valpanera, Cà Bolani, Mulino delle Tolle, Foffani queste ultime della doc Friuli Aquileia. L’idea è nata con lo scopo dare l’opportunità
a tanti amici appassionati di co-noscere meglio il Refosco della
Riviera Friulana, che, grazie al sapiente lavoro dei produttori, è la dimostrazione che ottimi vini si possono ottenere an-che in territori non di collina. Vini colore rubino, tendenti al porpora i più giovani, con in-tensi sentori di piccoli frutti di bosco, leggermente speziati, con una buona acidità e giu-stamente tannici. Le annate andavano dal più giovane del 2010 a una riserva del 2007 fino a un ottimo 2005. Abbia-
mo dato un taglio giocoso alla serata, ci racconta Tiziana, e dopo aver par-lato del territorio e del vitigno Refo-sco in generale, ai partecipanti è stato chiesto di compilare una scheda, cer-cando di individuare le varie annate e le aziende produttrici dei campioni che sono stati serviti “alla cieca”. Con sor-presa di tutti, la maggior parte delle risposte erano esatte, rivelando quin-di consumatori attenti e con buona capacità di giudizio. In progetto altre serate, anche con vini di altre regioni, grazie alla collaborazione di produttri-ci dell’associazione Donne del Vino. Ve ne parleremo.
il vino della memoria
Riscoprire per caso in cantina una bottiglia di vent’anni prima.
Un mondo di emozioni
tiZiana baita
Stappare una bottiglia è sempre un'emozione. Se poi quel vino era stato imbottigliato da tuo
padre venti anni prima e dimenticato nell'ultimo scaffale in cantina, quel gesto ti fa battere forte il cuore.Capiterà anche a voi, una volta all’an-no, di armarvi di buona volontà e af-frontare il caos della cantina. Poi magari di lavoro ne fai poco per-ché ti perdi fra gli oggetti del tuo vis-suto. Sfiori quelle cose messe da par-te perché logore o non più di moda, ma che ora diventano importanti e ti riempiono di nostalgia. Giorni fa in una pulizia più accurata, in fondo, dove solitamente non ci vai mai, vi era una bottiglia di vino rosso dimentica-to. Quella sera a cena vi era un moti-vo per fare festa. Mentre il verme del cavatappi forava il sughero ritornavo con il pensiero al tempo in cui quel vino, maturato al punto giusto, era stato imbottigliato.Eravamo piccole, mia sorella e io, e fortunate a vivere negli anni in cui la quotidianità era scandita dagli eventi
che ogni stagione portava con sè. Era la natura che regolava il ciclo della no-stra vita, in quel tempo non mangiava-mo i pomodori o le fragole d'inverno, ma solo le mele che accuratamente venivano conservate nei granai. Era il tempo in cui il Venerdì Santo si im-bottigliava il verduzzo e nella luna vecchia di agosto il rosso importante. In cantina le damigiane erano già al-lineate, ognuna piena di vino buono. Mio padre andava all'Enologica (con la stessa emozione con cui una donna entra in gioielleria) a cercare i tappi, quelli buoni, belli, grossi, di sughero naturale. A me toccava il compito di preparare le etichette. Allora non vi era il computer, tutto si scriveva a mano: 30 di merlot, 20 di cabernet, 50 di verduzzo, poi quel nomi lunghi, pinot grigio o difficili come il malbech e attenzione a non dimenticarsi l'an-nata. Alla fine ti faceva talmente male la mano da avere la scusa giusta per non fare i compiti. Quando tutto era pronto, le bottiglie lavate e allineate, tutta la famiglia si riuniva in cantina. Agli occhi di noi bimbe quel gesto veloce della tappatrice che stringeva e infilava quel pezzo di sughero nel collo della bottiglia, aveva qualcosa di magico. Una dopo l'altra le bottiglie venivano riposte negli scaffali vuo-ti già pensando che sarebbero state testimoni di attimi della nostra vita futura, per festeggiare un evento, far festa ad un amico o semplicemente per farci compagnia in un momento di stanchezza. Ora quel pezzetto di storia vissuta era nel mio calice, forse un po’ ossidato, con qualche parametro organolettico sballato, ma per me era perfetto. Il suo profumo, il suo sapore mi coinvol-gevano e il suo calore mi arrivava sino in fondo al cuore.
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il futuro è in bianCo?the Wine Advocate: accusa o difesa per
i vini bianchi di eccellenza?
L’11 e il 12 novembre il Consor-zio Tutela Vini Collio e Carso organizza il primo summit in-
ternazionale dedicato all’enologia in bianco. Obiettivo? Conoscere meglio le opportunità e i rischi del mercato internazionale chiamando a interve-nire chi sta dall’altra parte. I riflet-tori saranno puntati in particolare sugli Stati Uniti, primo mercato di export per il vino italiano. Momento centrale l’appuntamento di sabato 12 novembre alle 15.00 per delineare gli “Scenari internazionali: opportunità e minacce per i vini bianchi di eccel-lenza”. Moderatrice Lucilla Incorvati, coordinatrice del Rapporto Vino del Sole24Ore. A parlare sarà anzitutto la critica, grazie a “The Wine Ad-vocate”, oracolo del mondo del vino voluto da Robert Parker, certamen-te uno dei critici più temuti a livel-lo internazionale. A rappresentarlo sarà Antonio Galloni, responsabile delle degustazioni dei vini italiani. Da Oltreoceano arriveranno anche esperti di comunicazione come Paul Wagner di Balzac Consulting, che of-frirà suggerimenti operativi su come trasmettere l’unicità dell’enologia italiana (nel patrimonio turistico un importante alleato). A chiudere l’incontro l’analisi delle tendenze dei vini bianchi nei mercati internazio-nali di Filip Cayman per Wine Intel-ligence, società di indagini di merca-to specializzata nel mondo del vino. Per informazioni: tel. 0481 630303, www.consorziocolliocarso.it
cuochE a domicilio
Per insegnare proporre e difendere le ricette della tradizione
è nata quest’anno l’associazione nazionale delle cuo-che a domicilio. L’idea è stata di Maria Elena Cur-zio, napoletana che vive a Catania da tanti anni, che
ha deciso di riunire in un'associazione onlus, tutte quelle donne che per passione raccolgono, difendono e diffondo-no con le loro pietanze le ricette tipiche del territorio, pro-ponendole alla famiglia, agli amici,ma anche e soprattutto a chiunque voglia conoscerle per imparare a preparare, e così anche salvare, le ricette tradizionali in tutta Italia. Per conservare le tecniche antiche, per tramandare anche ai giovani e ai bambini il gusto del cibo genuino. Corsi e lezio-ni in stretto rapporto con i produttori locali di ogni regione in una sinergia che mira a far conoscere i propri prodot-ti locali avvicinandosi al consumatore proprio attraverso le ricette dell’associazione. Il tutto in collaborazione con l'associazione di volontariato “Mettiamoci in gioco”, che si occupa di ragazzi disabili, cui vengono proposti corsi di cu-cina per essere più autonomi. Ecco i riferimenti per chi è interessata a far parte dell’associazione che ancora non è presente in regione: Maria Elena Curzio, tel. 3404121035. www.associazionenazionalecuocheadomicilio
La Baita dei Sapori
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LOCALE ACCOGLIENTELUOGO MERAVIGLIOSO
SULLE PISTE DA SCI
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Lui è Gianluca Mingotti, lau-reato in Scienze e Tecnologie Alimentari e ha 33 anni. E' il
creatore di Petit Lorien, un marchio di qualità e un brand che racchiude cura e dettaglio per le materie prime, ben conosciuto dai sempre più nume-rosi estimatori delle migliori qualità di sali, pepi, spezie, zuccheri.“L'idea, ci spiega, nasce da un’atten-ta analisi dell’evoluzione della cucina italiana e mondiale, dalla presenza di consumatori sempre più attenti anche alle caratteristiche culturali di un prodotto. Da qui l’idea di aprire un cen-tro di importazione, la-vorazione e rivendita di sali alimentari, spezie e caffè provenienti dalle più esotiche locali-tà presenti nei cinque continenti; quei prodotti, che per la loro essenzialità e semplicità, da sempre vengono uti-lizzati nelle cucine di tutto il mondo.Ci sono molte ricette tradizionali, in-gredienti rari e aromi che aspettano di essere riscoperti. Sono continua-
il siGnoRE delle sPEZiE
I petali arancio del macis, i semi bruni della fava tonka,
le capsule verdi del cardamomo
maRta omERo
mente alla ricer-ca di prodotti freschi da sele-zionare, garanten-do una filiera corta: questo vuol dire massima qualità delle mate-rie prime e prezzo competitivo. Con grande cura per il packaging.Analizzando il settore alimenta-re specializzato, dopo alcuni anni di esperienza come commerciale di grandi marchi nel settore della ga-stronomia di qualità, mi sono accor-to che a parte i grandi marchi della GDO, sul campo delle spezie e affini
c'era ancora spazio per un ragaz-zo giovane con idee imprendi-
toriali. In più sono stato sempre attratto dai gusti, dagli odori e dalla buona cucina.
Attualmente sono molto apprezzati i sali colorati e appariscenti, dal rosa al nero, vanno molto le spezie più conosciute come cannella o vaniglia bourbon; ma stanno prendendo pie-de le miscele di spezie più esotiche.
Preciso che tutte le miscele vengono create in italia, perché importa-
re dei macinati dal terzo mondo vuol dire
ritrovarsi solo gli scarti di lavorazio-ne, per non parlare della possibilità di trovarsi macinati spaghi e altro. Per ogni mia referenza ho redatto una scheda descrittiva relativa al prodot-to e al suo uso in cucina. Mi piacciono molto i pepi meno conosciuti, come il pepe lungo del Bengala, il pepe di Java, tutti prodotti che per le loro pe-culiarità aromatiche e curiose forme, attraggono i consumatori più esigenti. Per non parlare poi del caffè... ". Ma di questo argomento e delle spezie in dettaglio parleremo nel prossimo nu-mero.
Mattonella Dello CHef
In puro sale “dolce” di Cervia per cotture a caldo o preparazioni a freddo
coRso di PERFEZionamEnto suGli aRomi autEntici
Meno sale e più salute, è lo slogan della campagna di prevenzione alle malattie
cardiovascolari del comune di Pa-gnacco. Gli italiani a tavola assumono circa 10 grammi di sale al giorno (contro i 5 g massimi indicati dai dietologi). Certo il rischio c’è, ma non vorrete toglierci
il piacere di rendere sapide la nostre pietanze, proprio ora che abbiamo scoperto il blu di Persia, il nero di Cipro, il rosa dell’Himalaya. Senza di-menticare la mattonella dello chef in puro sale "dolce" di Cervia ideale per la cottura a caldo o per preparazioni a freddo delle pietanze. Permette di cuocere le pietanze senza l'aggiunta
di grassi risultando ideale per una cu-cina dietetica. La pietanza cotta sulla mattonella assume dalla stessa la giu-sta quantità di sale di cui ha bisogno, salandosi autonomamente. I tempi di cottura rispetto all'antica tecnica "sotto sale" o "in crosta di sale" sono notevolmente ridotti, soluzione fon-damentale per chi ha poco tempo a disposizione.
Come usarla per cucinare Può essere riscaldata al fine di cuci-narvi sopra le pietanze. Per una cottura completa delle pie-tanze (carne-pesce-verdure) portare il forno ventilato a 250°. Dopo 10 mi-nuti inserire la mattonella nel forno e lasciarla riscaldare per 20-30 minuti permettendogli di raggiungere una temperatura di 200-220° C. A questo punto sarà possibile rimuo-vere la mattonella dal forno e con cautela adagiarvi sopra la pietanza, rimettendo eventualmente poi il tut-to in forno ancora per alcuni minuti in base allo spessore del cibo. Si serve in tavola direttamente sulla mattonella. Per una mezza cottura o un intiepidi-mento delle pietanze (es. Tartare di carne o pesce, uova) portare il forno ventilato a 250°. Dopo 10 inserire la mattonella nel forno e lasciarla riscal-dare per 10-15 minuti permettendogli di raggiungere una temperatura di 120°-130°. A questo punto rimuove-re la mattonella dal forno, adagiarvi sopra la pietanza servendola imme-diatamente a tavola. In questo modo il commensale potrà gustare diret-tamente la tartare o "cucinarla" ulte-riormente sopra la mattonella di sale a proprio gradimento.Note: Si consiglia l'utilizzo di piat-ti che possano sopportare alte tem-perature (ceramica, pietra, legno). Per salvaguardare il piatto è con-sigliabile utilizzare un centrino in lino da porre tra la mattonella e il piatto.
Rivolto a tutti gli operatori della produzione, preparazione, somministrazione e
distribuzione degli alimenti e bevande e a coloro che per professione o per passio-
ne si occupano di assaggio e prodotti ad alto valore sensoriale, il corso, promosso
dall’Associazione Culturale Assaggiatori Pordenonesi, ha per obiettivo il poten-
ziamento delle capacità di percezione nel campo delle erbe aromatiche. Un corso
interattivo, della durata di otto ore, in programma il 13 dicembre, che accanto alle
nozioni base sulla composizione e identificazione dell’aroma naturale, punta anche
alla descrizione analogico affettiva dell’aroma autentico. Le esercitazioni si effettue-
ranno partendo da materie prime come tinture e distillati. Valutazioni con descrittori
oggettivi, edonici e analogico-affettivi.
Quota di partecipazione € 300 iva inclusa // termine iscrizioni 05.12.2011
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Mi piacerebbe riuscire a in-segnarvi come potete re-galarvi un momento di gio-
ia rilassante, di calore rassicurante. Tutto per voi. Provando quelle stesse emozioni di quando passate una se-rata con una persona cara. Tutto è racchiuso in una tazza di cioccolata. Scegliete una tazza che vi evochi dei ricordi, anche quella del caffelatte di quando eravate piccoli. Per mesco-lare non usate il cucchiaino, troppo freddo al tatto, ma usate un baston-cino di cannella. Vi sentirete subito meglio e in pace con voi stessi. Questa tazza di ciocco-lata: io la chiamo Filtro d’amore e le dosi che vi racconto sono per quat-tro persone. Servono 200 g di latte, 100 g di panna al 35%, 2 g di pepe-roncino in polvere, 30 g di cioccolato al 70%, 30 g di zucchero semolato, 50
antonElla vaRotto
g di cacao in polvere. Cuocete insie-me latte e panna portando a bollore; aggiungete il peperoncino. Versate sul cioccolato spezzettato (non scio-glietelo a bagnomaria!). Mescolate fra loro a freddo zucchero e cacao e aggiungete al composto. Versate nel-le tazze e decorate con cioccolato in scaglie. Ed eccovi anche le indicazioni della Cioccolata per scaldare il cuore. Servono 500 g di latte intero, 30 g di zucchero, 120 g di cioccolato al latte, 20 g di cioccolato amaro in polvere, 1 cucchiaino di maizena se vi piace un risultato più denso; pochissima grappa della vostra preferita per dare al tutto un profumo delle nostre tradizioni locali. Qualcosa di più alcolico? Eccovi lo Schioppettino di Prepotto al cioccolato. Vi rivelo subito il segre-
to della perfetta riuscita. Scaldate a fuoco basso 300 g di vino con 20 g di miele. Aggiungete 200 g di cioccola-to al 60% a pezzi e mescolate bene. Togliete dal fuoco e versate tiepido nelle tazze. Decorate con una foglia di vite fritta croccante.
Gnocco ripieno di cioccolato spolverato con cannella e ca-cao. Risotto al Terrano con
scaglie di cioccolato di Modica. Guan-cialetto di manzetta cotto nel vino e accompagnato da salsa di cioccolato. Sono stati questi i primi piatti che ci hanno fatto conoscere la maitre cho-colatier Antonella Varotto. Poi abbiamo assaggiato il cioccolato con il pesce e in ogni piatto. Perché cioccolato, ci dice, non vuol dire solo cioccolatini. La sua storia professio-nale è davvero interessante: come quegli amori mai sopiti che si rivelano all’improvviso e non sopportano più le antiche costrizioni, Antonella ha la-sciato un lavoro sicuro nel settore ar-tistico e ha deciso di esprimere la sua creatività dedicandosi al cioccolato. Ma accanto alla fantasia e all’abilità ci vogliono tante tante conoscenze. E
cucina artistica e creativaL’ingrediente segreto? Il cioccolato in tutte le sue forme
una professionalità che si acquisisce solo nei corsi professionali dei grandi maestri. E nell’ambito di questi corsi il suo ta-lento naturale si è espresso immedia-tamente. Ma inutile dilungarsi, Anto-nella Varotto è già ben nota ai nostri lettori e al vasto pubblico dei chocola-te addicted della regione e non solo, per le sue particolarissime creazioni. Sempre esaurite le sue lezioni di cu-cina artistica e creativa (info: 333 50 09 482) dove a non professionisti in-segna ricette che hanno come deno-minatore comune il cioccolato: pesci, carne, tortelli. Da qualche anno Varotto svolge so-prattutto attività di consulenza per ristoranti e aziende anche fuori regio-ne e ha già brevettato una decina di progetti di cioccolatini e praline del tutto originali.
Con Claudio Lauritano, affermato chef del Gaudemus di Sistiana, An-tonella Varotto (cui abbiamo deciato l'immagine di copertina) ha av-viato un progetto ricco di seduzione. Che partirà da lunedì 14 novem-
bre in ore serali (info: 3472241926)ed è rivolto ai single. “A quelli che single lo sono e non voglio più esserlo, e a quelli che ora sono in coppia e single non vogliono diventare”. Lezioni di cucina del tutto particolari e imperdibili con ingredienti speciali e spesso afrodisiaci. Ma non è solo l’ingrediente che conta, ci dice Antonella, è il contesto. Tutti i lunedì sera, una quindicina di persone al massimo potrà imparare come cucinare piatti semplici (nel giro di quattro ore si cucina e si mangia insieme quello che si è preparato). Il tutto accompagnato dai mitici vini di Borgo San Daniele.
un amore all’improvviso
Pomodoro caramellato e ravioli al cioccolato
tutto è raCCHiuso in una taZZa
Le parole per dirlo: basta un po' di cibo degli dei
Qualcosa di più alcolico? Eccovilo Schioppettino di Prepotto alcioccolato. Vi rivelo subito il segreto....
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attEnti a QuEi FunGhi!
Ennio FuRlan
Nel numero di q.b. dell’ottobre 2009 la mia rubrica comin-ciava con una notizia di cro-
naca “mangia chiodini e resta intossi-cata”. A distanza di due anni, qualche giorno fa, sempre sul Messaggero Veneto, si leggeva: “Funghi, intossi-cati in aumento. In ospedale curate 100 persone”. Ma allora ve le andate a cercare! Troppo numerosi sul no-stro territorio i casi di avvelenamento per incauto consumo. Quest’anno il rischio è maggiore, vista la scarsità di funghi, siano essi porcini, finferli, o mazze di tamburo. Spesso il rischio nasce nel proprio giardino o vicino a casa, dove i non esperti pensano di
trovare sempre le medesime specie di funghi che magari hanno raccolto qualche anno prima. Vi invito a non comprare devono mai funghi dai ven-ditori abusivi, bisogna sempre farli controllare dagli addetti dell’Ufficio micologico presso le ASSL. Di funghi infatti si può morire. Molte volte però i malori dipendono anche da errata conservazione ed errate preparazione e cottura. Prima di tutto bisogna ac-certarsi che siano in buona salute, di bella presenza, sodi, interi, con un bel colorito, non grigiastri e rattrappiti. Diffidare se sono in condizioni preca-rie, a pezzetti o con odori marcescen-ti: nella mistura può celarsi qualche
Come conservare i funghi: essiccati
Stabilito che non dovete fidarvi né
di voi stessi, né di conoscenti che ve
li regalano, né di venditori improv-
visati, cominciamo a imparare come
conservarli. Per l’essiccazione i funghi
non vanno lavati, ma solo ben puli-
ti. Tagliateli a fette di 3-4 millimetri
e disponeteli su telai a rete, mai di
plastica, su cartone o tavole o giornali.
Metteteli al sole moderato in un posto
ventilato, girandoli di tanto in tanto.
Se il tempo non è favorevole dovete
servirvi dell’essiccatoio, poi riponeteli
in un sacchetto di tela come quelli del
riso. Se non sono ben chiusi i funghi
infatti verranno attaccati da insetti che
deporranno le loro uova. Nei mesi di
maggio e giugno queste si schiuderan-
no con i risultati di deterioramento che
vi lascio immaginare.
I funghi si possono congelare, ma non da crudi e oltretutto serve persona con apposito patentino
Per congelarli vi consiglio di metterli nel congelatore dopo una sbollentata di pochi minuti, poi lasciateli raffreddare. Potete anche cuocerli prima di congelarli.
fungo non commestibile. Vanno ripo-sti in contenitori rigidi e aerati, lavati accuratamente e cotti a lungo. Perché ovviamente i funghi raccolti NON si mangiano crudi! I funghi vanno con-sumati prima possibile, considerando il loro veloce deterioramento: più sono vecchi peggiore sarà il gusto finale. A mio modesto parere (dopo più di 40 anni che faccio il cuoco) posso dirvi che lavare i funghi prima di essiccar-li è un grosso errore. Io consiglio di farli a pezzi ne lla maniera desiderata, quindi di lavarli velocemente perché non è il caso che si inzuppino d’acqua e solo dopo passare alla cottura o alle varie conservazioni.
Non fidatevi neanche di voi stessi
Non fidatevi degli amici raccoglitori
Non fidatevi dei venditori abusivi I funghi possono essere mortali!
Come conservare i funghi: sott’olio
Per conservare i funghi sott’olio, meglio sce-
gliere funghi di piccola taglia e il più freschi
possibile. Come prima cosa bisogna tagliarli a
pezzi, quindi lavarli velocemente, poi farli bolli-
re in una soluzione di 1 lt d’acqua, 1 lt di aceto
e 1 lt di vino bianco con il sale e a piacere
aromi vari (evitare i chiodi di garofano e l’aglio
che coprono l’eventuale aroma dei funghi).
La bollitura deve durare almeno 20 minuti, il
doppio del tempo per quelli a commestibilità
condizionata.
La dose dei liquidi va ovviamente aumentata
secondo la quantità dei funghi da cucinare. Una
volta bolliti, si scolano e si dispongono su un
canovaccio ad asciugare per una notte. Sarebbe
opportuno avvolgerli in un altro panno asciutto
premendo leggermente, di modo che esca il più
possibile la parte acquosa in loro contenuta. In-
fine si versa l’olio nei vasetti sterilizzati, quindi
i funghi a strati. Bisognerà mettere uno spes-
sorino per mantenerli sott’olio. Vanno chiusi e
conservati in un posto fresco con temperatura
non superiore ai 10°C. (con le alte tempera-
ture si può ripresentare il problema Botulino).
Personalmente adotto un altro sistema per
conservare i funghi sott’olio: dopo averli lessati
li scolo, poi li verso in una padella con dell’olio
e porto a ulteriore cottura fino a che non si
vedrà più il vapore: questo significa che l’acqua
in eccesso se n’è andata. A questo punto passo
all’invasamento chiudendo subito a caldo. La
ulteriore cottura nell’olio non rovina i funghi:
rimangono sempre integri.
nb: Mai dimenticarsi che per conservare i
funghi sott’olio è indispensabile l’acetificazione
antibotulinica che non deve superare il valore
di Ph 4,5. Di botulino (Clostridium botulinum) si
può anche morire: questo batterio è anaerobi-
co, vive cioè in assenza di ossigeno,
in special modo nei prodotti da conservare ed
è letale per l’essere umano. Il botulino molto
raramente dà qualche segno (odore, colore,
sapore) perciò se all’apertura di un vasetto fuo-
riesce dell’odore sgradevole e trasborda l’olio
difficilmente è “lui”, ma la causa è dovuta ad
altri fattori. Comunque sarà il caso di buttare
il tutto.
< gusto e buongusto nell’euroregione
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La frase del titolo era ricorrente in campagna, una volta. Il gesto era tipico una raggomi-
tolata al grembiule a formare una sac-ca, per poi uscire dal cortile-orto ed entrare nei campi adiacenti l’abitazio-ne. Ed è cosi che si raccoglieva la cena, fatta di diverse erbe. Naturalmente non avendo una conoscenza botanica precisa e un nome piantina per pian-tina, si generalizzava chiamandole Li-drichessis, Radicele o Talis. In queste righe vi parlerò delle Crepis, Sonchus, Hipochoeris, Cycorium. Fra poco sarà giunto il tempo della raccolta, così po-tete prepararvi in tempo e studiarle un po’. Resta inteso che le Radicchiel-le migliori sono quelle raccolte subito dopo le prime brinate, infatti le pian-tine si ammorbidiscono e sono delizio-se. Questo vale nel periodo invernale anche per il tarassaco, che perde una parte del gusto amaro. Poi l’arrivo del gelo le brucerà e si dovrà aspettare la primavera per continuare la raccolta. Per tutte le erbe, a parte il tarassaco, il periodo di raccolto sarà breve, visto che con il primo caldo le piantine van-no “in menata”, cioè verso la florescen-za e diventano pelose e coriacee. Mai raccoglierle in estate perché abbonda-no di un lattice pericoloso altamente caustico specialmente per i bambini. Di queste erbe un tempo si faceva uso comune, come semplice verdura bolli-ta o saltate con olio o burro; si usavano nelle zuppe, nelle frittate, nei ripieni dei Cjalzons, dei tortelli, dei cannello-ni. Io voglio farvele mangiare in modo diverso, senza stravolgerle, ma con un gusto nuovo.
Dove vai mamma? vado a raccogliere la cena!
Ennio FuRlan
Curate e lavate e le foglie vanno tagliate due cm. prima del cuore della piantina(ovviamente non gettate la parte fogliare ma utilizza-
tela come verdura da cuocere). La prima versione consiste nel fare un taglio all’inizio della radice: vi resterà qualcosa che sembrerà un riccio. La seconda versione prevede di pulire la radice raschiandola leggermente, poi tagliandola a metà nel senso della lunghezza e togliendo la parte legnicola centrale: per fare ciò basterà attorcigliare con le mani per poi aiutarsi con un coltellino. Nella terza versione (doppio uso) dopo aver pulito la radice, si fa un taglio all’inizio della radice stessa e si crea il riccio, la si taglia per lungo togliendo la parte legni-cola e infine la si taglia a julienne. Questi prodotti si possono cuocere in acqua salata bollente o nel vino (rosso o bianco,
magari Verduzzo). Non van-no cotte troppo altrimenti si spappolano, ma nemmeno troppo poco: decidete secon-do il vostro gusto. Per con-servarle in vasetti bisogna eseguire un sistema di ace-
tificazione antibotulinico corretto, detto delle tre parti; cioè una parte di aceto una di vino e una di acqua con l’aggiunta di sale grosso calcolando il dosaggio secondo le quantità di erbe. Nella soluzione, bollente, vanno messe le erbe fino a cottura, si consiglia che rimangano un po’ croccanti. Stenderle su un canovaccio ad asciugare per una notte, meglio se coperte con una garza per evitare i moscerini che sono ghiotti di aceto. In-fine mettere nei vasetti precedentemente sterilizzati, stratifi-cando con olio e qualche pizzico di sale. Mettere lo spessorino e conservare al fresco e al buio.
Ennio Furlan, chef del Collegio Cocorum ed esperto d’erbe ha
scritto e pubblicato un prezioso manualetto dal titolo “Erbe, funghi
e marmellate”, dove vi rivela i suoi segreti.
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Come usare i cuori basali
Raccontare il ciboRaccontare il vino
Maurizio Soldà, un attore che racconta storie di cibo, di vino, di passato e presente.Narrazioni ironiche e allegre che penetrano nelle tradizioni di un tempo come nello spettacolo “Ostrighe e granzi i mesi con la erre” sulle tradizioni della cucina istriana. Dialoghi con i ragazzi in “Panem in fabula” dove gli spettatori-attori fanno il pane mente ascoltano (e vedono) storie di farina. Affabulazioni sul vino, racconti enoici per animare serate di degustazione come in “Calici d’arte”, evento appena concluso al museo Revoltella.
Educazione alimentare: con il teatro didattico!
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lezioni golose: dai primi piatti alla pasticceria è boom di scuole di cucina
Mestoli e padelle, con gli elettrodomestici all’avanguardia di Mìele
Micol Pisa è l’affermata mae-stra della scuola di Cucina Mestoli e Padelle, che svol-
ge le sue lezioni nello spazio Miele della Sincerotto a Buttrio. Una sede prestigiosa, dove le attrezzature sono all’avanguardia ma alla porta-ta dei non professionisti. “Le parole d’ordine nella mia scuola, ci raccon-ta, sono rigore, tecnica e qualità del-le ricette. Unite ad altri piccoli grandi segreti: la passione e l’ umiltà di riconosce-re i propri limiti. Ed è per questo che frequento abitualmente corsi da professionisti del settore (in Castali-menti, ma non solo: ormai a Milano da Simone Medagliani sono di casa). C’è un gran parlare di cucina un po’ ovunque e oggi più che mai è impor-tante la consapevolezza del mangia-re, della qualità del cibo, delle ma-terie prime, dei prodotti stagionali: ecco tutto questo in sintesi è Mestoli e Padelle”. “Durante le lezioni, continua Micol, non realizziamo ricette fini a se stes-se, ma cerchiamo di affrontare l’argo-mento in un ‘tuttotondo’ di idee, sug-gerimenti. Tenendo ben presente che a casa non si cucina come gli chef, ma si possono ben rubare le loro idee e i loro accorgimenti!” La scuola di cucina Mestoli e Padelle ([email protected]) è nata da un hobby
praticato con passione, frequentan-do corsi su corsi e dalla scoperta di avere una naturale propensione per l’insegnamento. Mestoli e Padelle, accanto a tutti i corsi base e alle lezioni secondo stagione, dedica ampio spazio alla pasticceria, dai dolci al cucchiaio ai biscotti da the, dalle torte da forno ai semifreddi. “Sono particolarmente fortunata ad aver trovato una sede così ben at-trezzata, aggiunge Pisa, con Giorgio Sincerotto il feeling è stato imme-diato. Ci siamo incontrati anni fa in Fiera alla Mostra della Casa Moderna nell’ambito di uno show cooking e l’idea di collaborare ha portato frutti davvero interessanti per entrambi. “Infatti, ci spiega Sincerotto, per noi ospitare la scuola di cucina, non solo è un’interessante forma di co-mar-keting, ma rappresenta un’utilissima occasione di testare i prodotti di un brand di alta gamma come Miele. Le nostre cucine infatti sono in que-sto modo sperimentate in tutti i loro possibili utilizzi e il nostro servizio al cliente è maggiormente mirato. Anche per chi sceglie mobili ed elet-trodomestici per una cucina di pochi metri quadrati”. Noi a qualche lezione di Mestoli e Padelle ci siamo stati ed eravamo da Sincerotto anche per la presentazio-
Fabiana Romanutti
ni dei corsi: c’era la fila per entrare, come a teatro! Una nota per non sba-gliarvi, venendo da Udine, sulla sta-tale, il Sincerotto presso cui dovete fermarvi per raggiungere la scuola è il secondo che trovate sulla destra.
INFO
MESTOLI & PADELLE Scuola di cucinaVia Nazionale, 7 - 33042 Buttrio (UD) tel. +39 0432 67 46 33
prenotazioni 347 30 92 448 micol [email protected] www.mestoliepadelle.it
MAESTRA
IO E DAVIDE
imPERdibilE lEZionE sui macaRons
E i dolci dEcoRati
“Guardate la foto di Davide Malizia e osservate come ammira la sua creazione: ecco perché l’ho fortemente voluto nella mia scuola, siamo entrambi innamorati… del nostro lavoro!
Ci siamo conosciuti a luglio, durante un corso di pasticceria nella scuo-la Castalimenti, una delle più qualificate in Italia, alle lezioni di Iginio Massari, più noto a livello mondiale come “Il Pasticcere”. Con Davide siamo entrati subito in sintonia e ci siamo accordati per una sua “incur-sione” nella mia scuola. Da me, solo il meglio per i miei allievi! “ Così ci racconta Micol Pisa. E Davide Malizia è certamente il meglio: vincitore di numerose medaglie d’oro conquistate in competizioni internazionali nel settore artistico, è consulente e docente del nuovo settore emergente della pasticceria, la sucrerie, decorazione con zucchero. Il 6 dicembre nello spazio Miele presso Sincerotto a Buttrio, la scuola di cucina Mestoli e Padelle propone una lezione imperdi-bile: Macarons e i dolci decorati per le feste di Natale. Con Davide Malizia come docente. F.R.
Macaron, che passione!
Provenienza francese ma nome di origine italiana
(avete presente i maccheroni?) Uno dei pasticcini più modaioli del momento in Italia (in Francia è ormai un classico) è il macaron, un dolce morbido come una me-ringa ottenuto da una miscela di
albume d'uovo, fa-rina di mandorle e zucchero gra-nulato. Superfi-
cie liscia, crosti-cina croccante, due
pezzi a cupola che racchiudono seduzione per le papille. Macaron è per gli appassionati sinonimo di Ladurée , dal nome dalla pastic-ceria che li ha creati a Parigi nel 1930. Dallo scorso anno gli origi-nali si trovano anche a Milano, in via Spadari (di fronte a Peck, ico-na della gastronomia italiana) fra stucchi e medaglioni con l’angelo pasticcere simbolo della maison. Sono declinati in vari sapori se-condo stagione, compresi basili-co e liquirizia, rosa e violetta… Fare macaron richiede una gran-de quantità di studio, precisione, tecnica. Nella foto un macaron all’olio di oliva e vaniglia.
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Tutte le idee sono novità e le novità creano nuove idee. La cucina è da sempre la
mia passione, in quello che creo c’è tutto me stesso, compresi pregi e di-fetti. Quando non lavoro penso ai piatti, quando lavoro li perfeziono.“Sono attratto dalla tecnologia in cu-cina e ricerco nuovi metodi di cottura. Un piatto non è solo un’idea, dopo l’idea viene il calcolo, la ricerca della tempe-ratura, della quantità e della misura ottimale, delle cromie e degli equili-bri”. Così scrive Cristian Mometti, chef trevigiano, nella prefazione del suo vo-lume Vasocottura , Club Magnar ben editore. Trentadue ricette descritte passo passo e splendidamente fotogra-fate da Ezio Prandini. Mometti l’abbia-mo conosciuto alla Subida di Cormons, nel corso di “Tavole divine”, un evento culinario a quattro mani con lo chef Alessandro Gavagna, e l’accompagna-mento dei vini Borgoluce di Coneglia-no Valdobbiadene (con un Prosecco DOCG di assoluta eccellenza). Accan-to alla “provocazione” di portare vini della Marca Trevigiana nel cuore del Collio, i vasetti di vetro contenenti le creazioni tipiche della Subida (girini, ovvero pasta butada in primis)hanno fatto da protagonisti, in una sinfonia di profumi, consistenze e sapori. La vaso-cottura è una tecnica della cucina mo-derna che si rifa al passato, all’antica tradizione balcanica di cucinare il cibo
lentamente nel proprio sugo in pento-loni di ghisa chiusi e poi coperti con la brace, per fare in modo che le pietan-ze rimanessero succose conservando il loro autentico sapore,. Vasocottura, sottovuoto, basse temperature consen-tono a Mometti di creare veri capolavo-ri culinari. La sua Variazione sul pollet-to gli ha fatto vincere nel 2009 il titolo di Cuoco dell’anno. Senza dimenticare l’mpio uso di materie prime locali vene-te, dal broccolo di Creazzo all’agnello dell’Alpago. Anche in questa tecnica, suggestiva è il caso di dirlo, anche per l’impatto estetico dei vasetti che arri-vano a tavola la qualità della materia prima è fondamentale. Cucinare “nel” vaso enfatizza i pregi ma anche i difetti degli ingredienti… I vasetti usati sono del tipo Weck adatti alla cottura e alla conservazione. Perché una volta posti all’interno dei vasi, i prodotti non su-biranno altri trasferimenti da un con-tenitore all’altro, perché nello stesso vaso saranno cotti, abbattuti, stoccati, rigenerati, presentati e degustati.
vasocottuRaTecnica moderna che riprende antiche
tradizioni balcaniche
Fabiana Romanutti
LA RICETTA
L’uovo incastonato
ingredienti: 4 uova bio, 1 picco-
lo tartufo nero di Norcia, 2 pa-
tate di media grandezza, 1 por-
ro, 180 g di golosetta di Nonno
Nanni, 50 g di olio extravergine
di oliva, sale q.b., pepe nero q.b.,
20 g di germogli di porro.
Tagliare
una patata
a fette
sottili e
l’altra a
cubetti; cucinarle al dente a fuoco
dolce con pochissimo olio. Con
gli scarti delle patate e del porro
pulito e tagliato a pezzettini fare
una crema leggermente densa.
Mettere nei vai un goccio d’olio, il
tartufo a lamelle e l’uovo. Aggiun-
gere le patate a fette, regolare di
gusto. Appoggiarvi sopra i cubetti
di patata, la crema di porro e
infine la golosetta a pezzi. Chiu-
dere i vasetti e cuocere in forno
a vapore a una temperatura
controllata di 65°C per 55 minuti.
Servire l’uovo in abbinamento a
germogli di porro che prontamen-
te saranno posti nel vaso dopo
l’apertura.
igiene e siCureZZaLa cucina è più pericolosa del ristorante?
Da una chiacchierata con Martina Tartara, docente di Tecnologie alimentari alla
Scuola Alberghiera, abbiamo appre-so che ciò di cui tante volte sentiamo parlare, è proprio vero. L’igiene nelle nostre cucine lascia a desiderare, an-che se siamo convinti di averle pulite a fondo. In pratica, ci dice Martina, sotto il pulito spesso ci sono… i batte-ri. La pulizia della cucina, dei taglieri, dei contenitori dei cibi cotti e crudi, delle pentole (rispettando i metodi di cottura più idonei) è elemento prio-ritario. Non vanno trascurate alcu-ne regole base per la sicurezza nella conservazione dei cibi, come quella di mantenere sempre i prodotti refrige-
rati e quelli surgelati alla temperatu-ra indicata sull’etichetta, riponendo il cibo in frigo o nel congelatore subito dopo l’acquisto. Quindi è bene leggere con attenzione le istruzioni per l’uso e sulle modalità di conservazione ri-portate sulle etichette. Da leggere con attenzione anche il cartello con gli ingredienti esposto negli esercizi pubblici. Si possono evitare fastidio-si problemi di allergie o intolleranze alimentari. In caso di dubbi, ci si può rivolgere alle ASL o alle Associazioni dei Consumatori. Ma vogliamo comin-ciare con un consiglio banale? Tipo lavarsi le mani prima di trafficare in cucina, fermare i capelli con una cuf-fia o un fermaglio, cambiare frequen-temente gli strofinacci per asciugare le stoviglie o le mani (o utilizzare quelli usa e getta, svuotando spesso la pattumiera), arieggiare spesso la stanza (la cappa aspirante può non sempre bastare).
La conservazione sotto vuoto la consociamo praticamente tutti, ora è il momento di pas-
sare alla cottura sotto vuoto. Per non perdere i i preziosi nutrienti e l’umi-dità naturale del cibo. La tecnica di cottura sottovuoto è adatta per pesce e carne, che vengono assemblati a crudo con eventuali salse, condimen-ti o spezie, in un resistente sacchet-to di plastica per alimenti e svuotato dell’aria interna. La cottura avviene a temperature non troppo elevate (tra i 70° e i 100°C) in umido, in un forno a vapore, a bagnomaria oppure nel mi-croonde. Non essendoci contatto tra l’alimento e il mezzo di cottura, gli in-gredienti si mescolano perfettamente tra di loro, gli aromi si conservano e la pietanza risulta molto tenera. Al momento di servirlo, il piatto viene tolto dalla sua confezione e nuova-mente riscaldato o gratinato in un forno tradizionale o nel microonde.
la cottuRa sottovuoto
è una tecnica da tempo utilizzata dai ristoranti (e ora ci sono vari service che distribuiscono ai posti di ristoro sacchetti di cibo sottovuoto pronto per gli ultimi tocchi). La macchina sottovuoto utilizzata nella ristorazione è quella a campana, molto efficace e precisa, ma piuttosto costosa: ha l’aspetto di una scatola dal coperchio trasparente sollevabile, a chiusura ermetica. Ma oggi ci sono macchine confezionatrici per uso do-mestico molto più semplici, sempre dotate di una barra termosaldante, dal costo non eccessivo e di qualità accettabile. Fra i risultati un’accen-tuazione dei sapori e degli aromi delle vivande, che rimangono più naturali; la possibilità di cuocere a basse tem-
perature, che mantengono più tenero l’alimento; una dispersione minore di vitamine e sali minerali, in assenza di aria e liquidi; la possibilità di cuoce-re contemporaneamente nella stessa pentola più alimenti, ovviamente cia-scuno nei sacchetti sigillati; un calo inferiore di peso del prodotto, grazie alla mancata evaporazione dell’acqua dell’alimento.
< gusto e buongusto nell’euroregione
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L’OFFICINA DEGLI AttREZZI
abbattitore rapido di temperatura domestico
Se siete appassionati di ga-stronomia e volete a casa vo-stra una cucina professionale
come quella di un ristorante, mettete nella lista per Babbo Natale, l’abbat-titore rapido di temperatura.Dopo Freddy proposto sul merca-to dalla Irinox nel 2006, molte altre aziende si sono lanciate in questo promettente mercato, studiando di-mensioni, consumi, design, pannelli di controllo e salvaguardando sem-pre le prestazioni di assoluta profes-sionalità.La Kitchen Aid, sì proprio quella del-la vostra impastatrice di riferimento, ha assemblato le tre macchine che oggi si utilizzano in ambito professio-nale per sviluppare il sistema cook &
chill (cuoci e raffredda). Ecco quin-di a disposizione in un'unica colonna forno a vapore, macchina del sotto-vuoto a campana e abbattitore rapi-do di temperatura. Prima si mette sotto vuoto il prodotto, poi si decide se abbatterlo subito o dopo la cottu-ra. Garantendo una filiera di igiene e conservazione ottimale. Ciò con-sente di avere una scorta di prodotto pronto all’uso preservandone le qua-lità organolettiche e i sapori. In sin-tesi: risparmio di tempo (i tempi di preparazione diminuiscono in modo considerevole) e di soldi (consente di fare approvvigionamenti conside-revoli quando si trova una materia prima di proprio gusto) all’insegna della qualità.
Carne morbidissima e gusto autentico? Il segreto (forse) sta nelle basse temperature e nell'abbatitore
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AUtUNNO IN IStRIA
funghi e castagne, tra ricordi e presente
Entrava, in punta di piedi, nascosto tra le pieghe degli strofinacci che ingombravano
il cesto, confuso tra i rametti secchi di Santonego e qualche spiga di la-vanda fiorita dopo le piogge d’ottobre. Il profumo si espandeva dispettoso, rivelando l’arrivo della sua stagione, quella dei funghi che nell’Istria bassa e rossa si rivela attraverso la prestan-za dei porcini ma soprattutto nella succosa delizia dei funghi di “San Martin”. Cappello importante ma so-prattutto quel profumo inconfondibi-le anche dopo la cottura.Il fuoco acceso nel cammino ispirava una preparazione veloce. Puliti, lavati ed asciugati, i più grossi, cuocevano in pochi minuti alla brace, per finire nel grande piatto con olio d’oliva, sale e pepe. Un fetta di pane e la cena era pronta. Con i funghi di piccole dimen-sioni si preparava una frittata, o veni-vano destinati al risotto o alla pasta del giorno dopo. Reminescenze, che ritornano, oltre che nelle case anche nella ristorazione dell’Istria odierna.
i FungHi di san maRtin
In questa stagione si possono acqui-stare al mercato. Per chi non ha il caminetto, si fanno saltare in padella con dell’olio d’oliva. Il cappello va la-sciato intero e girato e rigirato finché si asciuga il liquido di cottura. Ottimi al forno con le patate.Il nome varia con la geografia: Cardi-
nale (Campania), Cimballo, Marem-mano, Ordinale / Ordinale da prato / Ordinario / Ordinello e così via.Ma non varia solo il nome. Il sapore dipende dal tipo di terreno in cui vie-ne colto. Da Rovigno a Gimino, alcu-ne decine di chilometri di distanza, il fungo si rivela un vero e proprio “mutante”. Dolce verso il mare e la terra rossa, più aspro nell’entroterra. Dispettoso, ma anche un fungo che merita grande attenzione, come affer-mava il micologo Giacomo Bresadola, a proposito dellaClitocybe geotropa: “... è uno dei funghi più squisiti e, pel forte aroma che possiede, si può cuocere anche alla maniera dei tartufi, servendosene come di questi per condimento...”.In Istria, in questa stagione si può assaporare soprattutto negli agritu-rismi dove la cucina casereccia ripro-pone piatti di estrema semplicità ma all’insegna dell’autentico gusto ritro-vato.
i maRRoni di lauRana
In fondo al cesto, le sere d’autunno nelle case istriane, entrava un pizzi-co d’allegria con le castagne, da far aprire in padella, ben coperta, dopo aver praticato un taglio orizzontale per farle cuocere a dovere. Oppure bollite nell’acqua salata e insapori-ta con foglie di lauro. Il regno delle castagne, tra l’Istria e il Quarnero, è nella zona di Laurana, sulle falde del
Rosanna GiuRicin tuRcinovich
Monte Maggiore. La Marunada è un invito alla degustazione di piatti dol-ci e salati preparati con le castagne migliori, raccolte sulle pendici del Monte che sovrasta la costa e ne de-termina quel clima mite che anche la lungimiranza austro-ungarica aveva definito “salubre e curativo”.
L’Impero aveva fatto di più: ogni albero di castagne doveva avere un padrone che lo seguisse e lo curasse, non ce ne doveva essere uno, per decreto, che fosse abbandonatoE la gente aveva colto il richiamo, facendo a gara per il raccolto più im-portante e la durata del frutto che veniva ricoverato, ancora nel riccio, sotto una montagna di foglie e ter-riccio per essere mangiato sino a pri-mavera inoltrata. Tutte queste note ritornano nei giorni della Marunada, o Festa delle castagne a Laurana e dintorni soprattutto nella prepara-zione dei dolci in cui fantasia ed abbi-namenti non hanno fine. Torte e pa-sticcini con cioccolato e liquori, torte e budini, la castagna regna sovrana. E arrostita e innaffiata con vino no-vello e grappa serve ad affrontare i primi rigori dell’inverno. Momenti da non perdere! E da gustare nei risto-ranti di Laurana e Abbazia.
ricette “tipicamente istriane”suggerite da Rosanna Giuricin
Minestra di funghi e castagne
ingredienti
250 g di porcini, 100 g di castagne (anche surgelate),
1 cipolla, 40 g di burro, 3 cucchiai di olio extravergi-
ne d'oliva, 20 g di farina bianca, 1 l di brodo vege-
tale, 1 cucchiaio di foglioline di timo, 100 g di pasta
fresca all'uovo già stesa, 2 cucchiai di prezzemolo
tritato, sale e pepe
preparazione
Sbucciate la cipolla, tritatela fine e fatela soffrigge-
re in una casseruola con il burro e l'olio per circa 5
minuti. Pulite i funghi, tagliateli a tocchetti e aggiun-
geteli al soffritto di cipolla; spolverizzateli con la
farina, mescolate per qualche minuto e
versate a filo il brodo bollente.
Unite le castagne e il timo e cuoce-
te a fiamma bassa per 20 minuti.
Nel frattempo tagliate le sfoglie di
pasta in piccoli rettangoli irrego-
lari. Cuocete poi la pasta in acqua
bollente leggermente salata, scolatela
e unitela alla zuppa di funghi. Completate
con il prezzemolo tritato, regolate di sale,
pepate e servite.
Tagliolini ai sapori di bosco
Cuocete le castagne nell'apposita padella con i buchi,
poi sbucciate e spezzettate grossolanamente le casta-
gne cotte. Versate il sugo di noci (si trova già confe-
zionato) in un pentolino, scioglietevi poca panna e,
mescolando delicatamente, aggiungete le caldarroste,
degli amaretti (se vi piacciono ) e dei gherigli di noci
tritati non troppo finemente.
Regolate il sale e il pepe, profumate il composto con
l'alloro e il rosmarino e cuocete i tagliolini in acqua
bollente salata. Una volta scolati metterli nel tegame
ove avete preparato il sugo di condimento mescolan-
do velocemente e, se vi pare il caso, aggiungete una
noce di burro fresco di ottima qualità. Servire caldi
con una manciata di parmigiano.
Ravioli di castagne
Preparate la pasta setacciando farina di castagne e
farina bianca, aggiungete 5 uova, una per ogni 100 g
di farina e impastate fino a ottenere un impasto liscio
ed elastico.
Lasciate da parte la pasta e intanto preparate il ripie-
no dei ravioli. Fate bollire le castagne in una pentola
con sale fino a quando non risulteranno morbide.
Una volta cotte sbucciatele e togliete la pellicina e
passatele con lo schiacciapatate o con una forchetta.
Unitevi della ricotta, formaggio grana, pecorino e
un uovo, sale e pepe a piacere e impastate fino
a ottenere un composto ben amalgamato.
Preparate i ravioli stendendo la pasta in
una sfoglia sottile, distribuite sopra a
mucchietti regolari il ripieno e ri-
piegate a modo di portafoglio;
premendo attorno ai muc-
chietti chiudete i ravioli che
andranno poi ritagliati. Fate
bollire una pentola d'acqua,
intanto preparate il condimento:
in una pentola mettete una noce di
burro, poca panna, timo e fate soffrigge-
re per pochi minuti. Quando l'acqua bolle salatela e
versatevi i ravioli che a cottura ultimata andranno
conditi con il sughetto preparato in precedenza.
Tagliatelle di castagne al sugo di funghi
Impastare bene 150 g di farina di castagne, 150 g di
farina bianca per sfoglia, 3 uova, un pizzico di sale, 1
cucchiaino d’olio d’oliva.
Tirare la sfoglia e preparare le tagliatelle che andran-
no condite con sugo di funghi porcini o con sugo di
salsiccia e funghi o con ricotta.
Il 5 e il 6 novembre a Verteneglio
presentazione di ogni specie di fungo
istriano. Laboratori didattici e conferenze.
Incontri e gare delle numerose società micologiche dell’Istria e della Croazia Degustazione di specialità a base di
funghi nei menu di ristoranti, trattorie e agriturismi.
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Funghi e patate al fornoingredienti
Funghi porcini g 500, patate g 500, 2 spicchi d'aglio,
prezzemolo, vino bianco, olio d'oliva, sale e pepe
preparazione
In una padella fate rosolare, in 8 cucchiai d'olio, un
trito di aglio e prezzemolo. Prima che l'aglio prenda
colore unite i gambi dei funghi, puliti e tritati grossola-
namente. Salate, pepate e fate cuocere piano per una
decina di minuti. Pulite e tagliate a fette le cappelle dei
funghi. Sbucciate le patate e tagliatele a fette alte circa
1/” cm. Ungete leggermente una teglia, coprite il fondo
con uno strato di patate, coprite il
tutto con i funghi rosolati, fate un
altro strato di patate e terminate
con i funghi a fettine. Salate, pepate,
cospargete con altro prezzemolo (o
nepitella). Bagnate con mezzo bic-
chiere di vino, irrorate con 8 cucchiai
d'olio e cuocete in forno caldo per
circa 40 minuti.
Frittata di funghiingredienti
6 uova, funghi a volontà, 40 g di burro, sale, pepe
preparazione
Pulite i funghi, affettateli sottilmente e metteteli in
una padella antiaderente con il burro fuso, lasciate
insaporire per qualche minuto a fuocodolce. Sguscia-
te le uova in una terrina, conditele con sale e pepe,
battetele a lungo, versatele lentamente nella padella,
con i funghi. Cuocete la frittata dalle due parti, sco-
latela lasciatela riposare 2 minuti e servitela. Potete
aggiungere qualche fettina di tartufo.
Castagne, funghi e lenticchieingredienti
150 g lenticchie, 15 g di porcini secchi, 1 cipolla pic-
cola, 100 g di farina di castagne, 75g di farina bianca,
1 uovo, 50 ml di grappa, 20 g burro, 4 o 5 foglie di
salvia, sale, olio d’oliva
preparazione
Ammollate i funghi secchi in acqua tiepida, tritarli
grossolanamente e conservare l'acqua. Tritate fine-
mente la cipolla, metterla in un tegame (se possibile di
coccio) e fate fondere con un poco di acqua. Quando
l'acqua sarà evaporata aggiungete un po' di olio. Non
appena la cipolla inizia a soffriggere aggiungete le
lenticchie ben lavate e lasciate insaporire 5 minuti.
Aggiungete i funghi, la loro acqua filtrata attraverso
un telo e altra acqua. A metà cottura regolate di sale.
Lasciate cuocere fino a quando le lenticchie sono
morbide ma non disfatte. Nel frattempo setacciate le
due farine, unite l'uovo, la grappa, un pizzico di sale e
l'acqua necessaria per ottenere una pastella morbida
ma non liquida. La consistenza deve essere simile alla
pasta per fare i bignè. Mettete la pasta in un sac a po-
che senza beccuccio finale o con un beccuccio molto
grande. Spremete la pasta tagliandola
in tronchetti di circa 2cm di lunghez-
za facendoli cadere in una pentola di
acqua salata in ebollizione. Lasciate
cuocere gli gnocchi fino a quando
non verranno a galla e l'acqua inizie-
rà a bollire nuovamente. Scolate gli
gnocchi e passateli velocemente in
una padella con burro fuso e salvia.
In ogni piatto disponete una porzione
di zuppa di lenticchie e guarnite con
gli gnocchi.
Cavolini di bruxelles con castagne e pancetta
Fate due tagli a croce sulla buccia delle castagne e fa-
tele bollire in una grande pentola per venti minuti. Nel
frattempo, mondate i cavolini di Bruxelles praticando
un'incisione alla base di ognuno. Gettateli nell’acqua
bollente salata e fateli cuocere: devono risultare cotti
ma non sfatti. Togliete le castagne con la schiumarola
e pelatele, togliendo anche la pellicina interna. Fate
scaldare il forno a 170 gradi (termostato 5).
Tagliate la pancetta a dadini. Fate fondere 25 g di bur-
ro in una padella e rosolate la pancetta finché è dorata
e croccante. Aggiungete le castagne sbucciate e lascia-
te per due minuti nel burro a fuoco dolce. Togliete dal
fuoco. Ungete una pirofila con 10 g di burro. Scolate
i cavolini e mettetene metà nella pirofila, coprite con
pancetta e castagne, poi con il resto dei cavolini. Sala-
te leggermente, pepate e cospargete di noce moscata.
Versatevi sopra il brodo, il pangrattato e infine il resto
del burro a fiocchetti. Infornate e fate cuocere per
quindici minuti. Spegnete allora il forno, accendete il
grill e fate dorare per qualche minuto. Servite subito.
RICEttE tIPICAMENtE IStRIANE
san Martino: ogni mosto si fa vino!
I primi giorni di novembre sono il momento ideale per i primi assaggi di botte e per il vino novello, che viene stappato in atmosfere allegre e conviviali ac-
compagnato da castagne arrostite e piatti a base d’oca! Mentre, per dirla con il poeta, “Gira su’ ceppi accesi lo spiedo scoppiettando”… Anche il Movimento Turismo del Vino FVG celebra San Martino. E naturlamente lo fa in cantina! Nel fine settimana del 12 e 13 novembre 48 aziende vitivinicole di tutta la regio-ne, da Pinzano al Tagliamento a San Dorligo della Valle, da San Floriano del Collio a Palazzolo dello Stella sono aperte per gli enoturisti con una degustazione speciale (per esempio una verticale di diverse annate o una com-parativa tra diverse tipologie), con abbinamenti tra vini e prodotti tipici, una cena o un pranzo con il vignaiolo. Qual’è la diffe-renza tra Cantine Aperte e San Mar-tino in Cantina? Quest’ultimo, si legge sul sito de-dicato, è un evento più raccolto, quasi più intimo, in cui si esalta la relazione tra enoturista e vi-gnaiolo, che possono dialogare attorno a un tavolo con la calma e la rilassatezza di una domenica di fine autunno, davanti a un calice di buon vino. All’insegna della tra-smissione di una lieta operosità, con i racconti dei lavori in vigna e in cantina, con le ansie e le aspettative di una buona annata! In programma anche le cene del sabato e i pranzi della domenica sempre in compagnia del vignaio-lo. Info: www.mtvfriulivg.it
q.b. IN BREVE
Ristorante con cantina o cantina con ristorante?
A Vipacco sulla Strada dei vini (Vinarska Cesta 5)
l’amico Furio Baldassi ci ha consigliato un interes-
sante indirizzo, quello del Vipaki Hram. Un locale
dove si fa ampio uso del legno con tocchi da Okto-
berfest e la cucina è quella della tradizione, con
poche interessanti innovazioni. Selvaggina, pesce
di acqua dolce e di mare, molte verdure. Si va dal
carpaccio di tonno con tartufi ai fusi (di origine
istriana) con radicchio e salsiccia alla scarpena in
pergamena abbinata a gnocchi gratinati gamberi e
verdura. Interessane e saporito il manzo arrostito
con sugo di vino servito con polenta. Come dolci si
suggeriscono il rotolo con miele e ricotta (sicura-
mente a km zero) e gli stuklji di noci e dragoncello.
Chiuso domenica e lunedì. Apertura continuata,
come d’uso in Slovenia, dalle 12 alle 22.
san martino, patrono del vino e dei vignaioli
Anche in Slovenia, paese ancora fortemente
agricolo, si celebra San Martino, patrono del vino
e dei vignaioli. Numerose le feste del vino nelle
zone della Slovenia orientale a maggiore vocazione
vitivinicola (Podravje, Pomurje, Prlekija, Prekmurje
e Slovenske Gorice), nei piccoli centri, ma anche a
Ptuj e Maribor, dove esiste la vite attiva più antica
del mondo, con almeno 400 anni di età. Degusta-
zioni dei vini novelli, concorsi di vini stagionati
accompagnati dall’oca arrosto sono in programma
dal 4 al 13 novembre.
nel segno della salsiccia
Fino al 6 novembre i ristoratori del Carso orga-
nizzano la decima edizione di Sapori del Carso.
Quindici “gostilne”, dalla Val Rosandra a San Michele
del Carso propongono specialità e menù tipici all’in-
segna delle specialità di maiale. Con pane di farina
macinata a pietra naturale arricchita dai ciccioli.
Informazioni su menù, esercizi, produttori, serate,
mostre e escursioni su: www.triesteturismo.net.
< gusto e buongusto nell’euroregione
quanto basta fvg
54 gusto e buongusto nell’euroregione >
quanto basta fvg
55
caffè al sapore di carinziaSan Giusto a Kötschach Mautehn
In questo numero di q.b. quanto basta FVG vi presento il più buon caffè dopo la dogana (ex doga-
na), con il sapore della Carinzia!Negli ultimi anni in Austria è cambia-ta la cultura del caffè.La gente ha cominciato a decidere precisamente dove berlo.Qualcuno va in cafeteria solo per leggere I giornali e non gli interessa molto se il caffè é più o meno buo-no. Altri invece ci vanno proprio per bere il buon caffè. Anche a casa sta cambiando la cultura del caffè, fino a qualche anno fa si beveva solo caffè-filtro e adesso si usano diversi tipi di macchine per bere anche a casa qual-cosa di ottimo. Alcuni si fanno condizionare dal mar-keting senza chiedersi che cosa ci sia dentro le confezioni, le qualità dei semi, gli eventuali aromi aggiunti. Poi ci sono altri che scelgono le ditte giu-ste, quelle che vogliono solo il meglio per gli amanti del caffè. Fra i più bravi secondo me ci sono Helmut Thurner e suo figlio Chri-stian, che vivono come me dopo la do-gana, a Kötschach-Mauthen.Qualche anno fa hanno cominciato con una torrefazione con una pre-cisa filosofia che si basa sulla scelta dei semi per la propria selezione. Per il caffè filtro hanno lavorato insieme
hERWiG ERtl
con San Giusto a Trieste. Adesso han-no deciso di fare tutto da soli: com-prano la migliore qualità dei semi a Trieste, e li lavorano in Carinzia. Vendono anche apposite macchinette per produrlo, perché solo se la mac-china funziona perfettamente viene fuori il giusto caffe. Helmut e Chri-
stian fanno anche lezioni per baristi in tutta l’Austria per diffondere la cultura del prodotto. Venite ad assag-giare il migliore caffè in Austria da
Helmut e Christian Thurner (www.sangiust.at), poi fate un passaggio anche da me ([email protected]): scoprirete molti prodotti speciali anche della vostra regione che maga-ri non conoscete… Perché noi qui a Kötschach-Mauthen siamo alla ricer-ca dell’eccellenza!
il laboratorio Di Josef Zotter
Willie Wonka per un giorno
Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato è un film del 1971, diretto dal regista
Mel Stuart e ispirato a un romanzo di Roald Dahl; nuovamente portato sullo schermo nel 2005 da Tim Bur-ton con Johnny Depp come protago-nista. La trama è nota: il proprietario di una fabbrica di dolci bandisce un concorso, i cinque bambini che trove-ranno il biglietto d'oro nelle barrette di cioccolato da lui prodotte potran-no entrare nella sua favolosa fabbrica per scoprirne i segreti. Bene, per entrare in mondo magico e ludico, sentendovi subito il vinci-tore di un biglietto sapor cacao che vi fa entrare in luoghi misteriosi e carichi seduzione basta andare da Josef Zotter a Riegersburg, in Stiria. Non è lontano e, come si usa dire, la visita merita il viaggio. Ne sono con-vinti tutti quelli che già dalle 10 del mattino fanno la fila per entrare. La fabbrica è organizzata alla perfezio-
ne anche nella sua parte descrittiva, in una sorta di vero laboratorio inte-rattivo. Vi si racconta tutta la storia del cacao con le fasi di raccolta. Zotter segue il Fair Trade, termine che potremmo tradurre come com-mercio equosolidale, si seguono sen-za compromessi i criteri della pro-duzione biologica e i principi della filosofia “bean to bar”: nella fabbrica si produce direttamente a partire dalle fave di cacao, scelte personal-mente nelle piantagioni. Quando attraversate il corridoio dove scendono da apposite macchi-
nette tutti i tipi di cioccolatini, e sono a vostra completa disposizione, per poi passare nella sala dove ruota-no davanti a voi tutti i tipi di ciocco-lato, e ce ne sono davvero tantissimi in gusti spesso impensabili, e potete farvi tutti gli assaggi in tazza, beh, la felicità è davvero a portata di mano.
C’era una volta, negli anni '90, un mastro pasticciere che aveva a noia i consueti prodotti di cioccolato. Allo-ra decise di ritirarsi nel suo laborato-rio a Graz per fare nuovi esperimen-ti...Potrebbe cominciare così questa storia. Josef Zotter si lanciò in esperimenti con cioccolato fatto a mano in com-binazioni di gusti finora mai provati. Oltre al marzapane e semi di zucca, ecco il gusto canapa e caffè. Presto nacque una fabbrica dedicata al cioc-colato che è ormai diventata un im-pero del gusto. La veste grafica delle confezioni è piacevolissima e ludica anch’essa. Provate a immaginare una cioccolata, purchè fatta a mano, che vi piacerebbe assaggiare? Da zotter è probabile che la troverete. Le fa anche su misura e personaliz-zate, come quella al formaggio che ci ha fatto conoscere l’amico Herwig… Bergl 56, Riegesburg,
tel +43 3152 5544, www.zotter.at
Ph: F. Neumuller
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56 gusto e buongusto nell’euroregione >
quanto basta fvg
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A tAVOLA CON LA StORIA
bollicine del secolo scorsoPrima la bustina con la scritta in blu,
poi quella con la scritta in rosso…
silvano bERtossi
Quanta magia in quell'acqua di rubinetto. Un'acqua che di-ventava effervescente, grade-
vole, leggermente acidula. Sulle tavole delle famiglie l'acqua frizzante non mancava mai, mezzogiorno e sera. Ad-dirittura, per non sprecare nulla, la si conservava per rimetterla in tavola la volta successiva. Potremmo dire, usando una piccola esagerazione, che alcune generazioni sono cresciute proprio con quest'ac-qua resa frizzante dalle polverine. Anche la preparazione era una spe-cie di rito. Si doveva versare prima la bustina con le scritte blu, poi quella con le scritte in rosso. La prima pol-vere entrava nel collo della bottiglia con facilità, la seconda, quella che provocava la reazione immediata per cui era necessario stare pronti con il tappo, spesse volte restava per metà sul bordo: provocando, fra l'anello di gomma del tappo e il vetro, tutta una serie di bollicine che scoppiettavano allegramente. Bisognava chiudere ra-pidamente la bottiglia e agitarla per sciogliere completamente la polvere che si depositava sul fondo. All'inter-no si scatenava una reazione chimica che generava l'effervescenza. Poi nel tempo, la bustina divenne unica. Ma ugualmente bisognava agire con la stessa velocità. Alcuni, per diminuire l'effetto effervescente, versavano la bustina in una brocca d'acqua. Veniva così giocato l'effetto champagne.
Le bustine uniche contengono anche oggi bicarbonato di sodio (E500), aci-do malico (E296) e acido tartarico (E334). Questa miscela è stabile in mancanza di acqua, ma diventa subito effervescente a contatto con il liquido liberando l'anidride carbonica ne-cessaria per la formazione delle “bollicine”. L'inventore delle polverine frizzanti fu il cavalier Arturo Gazzoni, impren-ditore bolognese, che nel 1907 fondò una in-dustria farmaceutico-alimentare producendo l'Idrolitina (ma anche la Pasticca del Re Sole e il Resoldor: entrambi ebbe-ro un enorme successo popolare). Per reclamizzare il prodotto, cioè quel-le magiche polverine, si affidò a un poeta bolognese di nome Zangarini autore delle rime che pubblichiamo.
“Diceva un oste al vino: tu mi diventi vecchio ti voglio maritare all'acqua del mio secchio.
Rispose il vino all'oste: fai le pubblicazioni sposo l'Idrolitina del cavalier Gazzoni”L'azienda di Gazzoni ha chiuso la sua attività nel 1990 con un fatturato di 85 miliardi. Oggi l'Idrolitina fa capo alla Prontofood dell'imprenditore Lucia-no Pensante della Prontofood, un self made man bresciano che confeziona il prodotto nel Genovese. Le bustine di Idrolitina, Salitina, Cristallina e Friz-zina – per citare quelle più note – ci sono ancora sugli scaffali dei super-
mercati, però l'abitudine all'ac-quisto è molto diminuita, per-
ché di bibite frizzanti ora c'è una ricca varietà e c’è solo l'imbarazzo del-le scelta. Del resto gli alimenti hanno una loro periodicità. Vengono so-
stituiti, passano di moda, cambiano i gusti dei consumatori, na-scono nuovi sapori. L'Idrolitina era un rito per i bambini degli anni '60, una ragione per farsi trovare puntuali a tavola all'ora stabilita. Quell'acqua del rubinetto trasformata ci faceva sentire parte di un mondo pieno di promesse.
la ciambella di Parmenide
e altre golosità
“Con la sua forma ben rotonda, la zuccherosa ciambella parme-nidea è un dolce adatto a pochi.
Soltanto gli intenditori, infatti, ri-escono a rispettare la regola di mangiarne una e solo una. La ricetta della ciambella è segretissi-ma. Sono rimasti solo pochi frammenti di quella originale. Tut-tavia, gli uomini saggi sapranno facilmente rico-struirla percorrendo la giu-sta via che porta ai mercati più esclusivi. I comuni mortali hanno solo opinione di come si fa la ciambella ma non una vera e propria scienza”. Ecco una delle ricette “sapienziali” che ci ha conquistato nel blog che su-bito vi facciamo conoscere: Pa-sticceria filoso-fica. Come non apprezzare per esempio i biscot-ti al cioccolato di Hegel? “La fluidi-tà del cioccolato si realizza nella solidità della pasta frolla, in un goloso superamento della morta frolla e dell'informe cioccolato. La sintesi perfetta tra compatta scio-glievolezza e morbida croccantezza. Senza contare che le forme dei biscotti (cuori, stelline, lune) ben rappresenta-
no l'unità organica nel reciproco diffe-rire degli elementi che li compongono, e che solo nella sintesi del biscotto
acquistano autentico senso”. E la macedonia di Empedocle?
“Dalla semplicità di pochi elementi alla eterogenea mescolanza di tanti, go-losi pezzettoni di frut-ta”. Last but not least il cioccolato kantiano.
“Puro come un'idea della ragione, questo
cioccolato fa pensare molto al primo morso. Esteticamente
compromettente, schematizza analo-gicamente il sapore corposo del cacao con le rappresentazioni razionali del-la volontà di desiderare. Dopo un solo
assaggio, si speri-menterà la legge assoluta di non distaccarsene”. Un metodo easy per capire i con-cetti basic della la filosofia e nel contempo adde-strarsi ai fornelli. Se da filosofi si
resta disoccupati, almeno ci si prepara un’alternativa di lavoro.Su Facebook il gruppo Pasticceria fi-losofica, post-laurea in filosofia consi-glia: «Ti sei laureato in filosofia? Vuoi fare ricerca? Vuoi insegnare? Macché, apri una pasticceria».
maRta omERo
L'APERITIVO DIVENTA FILOSOFICO
A Vicenza dal 24 al 26 novembre
Torna a Vicenza dal 24 al 26novembre l'appuntamen-
to con ViviDOC, happy hour filosofico a base di prodotti locali promosso dal Consorzio Tutela Vini Colli Berici e Vicen-za. La terza edizione della ras-segna coincide quest'anno con il VII Convegno Nazionale della Società Italiana Counseling Fi-losofico. “L'aperitivo – spiega Andrea Monico, coordinatore del Consorzio – è uno dei rari momenti in cui ci possiamo fer-mare e riflettere su quanto ci circonda. Noi vogliamo porre l'attenzione su ciò che mangia-mo e beviamo in questi momen-ti: per una sera proporremo di abbandonare cocktail e snack confezionati, sostituendoli con qualcosa di probabilmente più sano e certamente più ricco di significato, come i vini del nostro territorio e i prodotti DOP”. Saranno infatti Sopressa Vi-centina DOP, Formaggio Asiago DOP e Prosciutto Berico-Eu-ganeo DOP ad accompagnare Tai Rosso, Garganego e gli altri vini Colli Berici DOC e Vicenza DOC. Tra i vari appuntamen-ti segnaliamo “E se fosse la filosofia...a parlare di amore, matrimonio, tradimento?” dove l'amore sarà rappresentato dal Tai Rosso Spumante, il matri-monio dal Tai Rosso Tradizio-nale e il tradimento dal Tai Rosso Riserva, e il simposio “Il Senso della Vite. Pratiche filosofiche e Bacco: i valori immateriali del vino”.
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esPressionisMoDedicato a Marcella
Era la seconda volta che veniva nel suo studio. Era giovane, una bambina, o meglio un’ado-
lescente.L’adolescenza è ... “come un ponte” aveva pensato. Il purgatorio che decide l’avvenire della gioventù e della cre-scita. Forse lei non aveva conosciuto questa fase o per lo meno non l’aveva vissuta.-Buongiorno signo’ aveva bisbigliato.-Buongiorno, aveva detto lui. “Siediti …-Marcella, mi chiamo Marcella, aveva bisbigliato di nuovo la bambina.-Si ...Marcella siediti. Ecco mettiti ad-dosso questo corpetto..nello spogliato-io.Lei si allontanò per tornare indietro in un istante. Nel suo movimento leggero senza rumore del suo corpo fanciulle-sco fece notare a lui solo il profumo di arancia… Sì di arancia e di qualcos’al-tro, forse di zucchero, di miele. Il profu-mo lo svegliò in un attimo per portarlo non nella realtà ma in un altro paese. Realtà e paese. Due concetti che ulti-mamente gli sfuggivano. Non riusciva a metterli insieme. Marcella si avvicinò a lui e lo guardò con i suoi occhi profondi neri come la notte. Lui alzò lo sguardo e con la mano indicò alla fanciulla la poltrona dove sedersi.-Prendi una posizione comoda, Marcel-la, come meglio ti senti.La fanciulla si sdraiò. Era rigida e il suo sguardo girava nella stanza. Era
intimidita un po’. -Marcella, puoi stare come vuoi e pensare ciò che tu deside-ri, non essere spaventata!La ragazza fissò i suoi occhi. Il pittore notò il nero dei suoi occhi. Assomiglia-vano alla notte. Ha visto che la bambi-na non era a suo agio. Per lei era ancora uno sconosciuto. Forse il suo modo di fare la spaventava. Forse era troppo se-rio per lei. Allora lasciò per un attimo la sua matita e si avvicinò alla bambina. Ma di che cosa le poteva parlare? Era una bambina, e probabilmente non an-dava neanche a scuola. I suoi colleghi gliela avevano consigliata per la parti-colarità del suo viso. “Sofferenza. Ecco cos’ha il suo viso. Ma lei nemmeno si rende conto” pensò.Il profumo di …scorza d’arancia lo ri-portò di nuovo ai suoi pensieri. “Che profumo allegro” pensò. “La sua vita non ha niente dell’arancia, ma il suo profumo…”-Profumo di scorza d’arancia” disse d’un tratto sorridendo alla bambina.Marcella aprì gli occhi spaventata e si mosse sulla poltrona.-Oh niente, tranquilla, volevo dire che sento un profumo di scorza d’arancia che viene dalle tue …- -la bambina strinse le dita delle sue mani - sì, dalle tue mani forse, continuò il pittore.-Che bel profumo… hai sbucciato del-le arance? Chiese allegro non tanto per la curiosità quanto per rompere il ghiaccio. Ma quel profumo l’aveva mes-so davvero di buon umore e si sentiva
tingiamo le scorze zuccherate. Solo un pezzettino di loro, un angolino. Lo la-sciamo diventare solido in modo che si attacchi alla buccia zuccherata. E una volta pronte io me le prendo e me le mangio con le mani.Lo zucchero, pensò il pittore. Renden-dosi conto solo in quell’ attimo che l’intesa era perfetta: la bambina aveva preso la posizione del feto, accucciata, i suoi pensieri sopra la poltrona. Con un piede piegato vicino alla pancia, sopra la poltrona e uno che toccava il suolo. Con i suoi calzini color viola a strisce nere e le ciabatte color arancione, gli occhi che guardavano un punto della stanza, lei era persa nei suoi profumi e ricordi.Marcella alzò lo sguardo e vide il pit-tore a fissarla preso dal movimento del corpo creato dal suo racconto. D’un tratto si intimidì mettendo la mano sulla bocca come per dire “ecco ho finito, è tutto qui il profumo.”La piccola aveva raccontato al pitto-re tutti i colori necessari per la sua tela e tutti i colori della sua infanzia. D’un tratto il pittore cominciò a di-pingere. Il ros-so, l’arancione, il verde del suo vestito a strisce nere e… il nero degli suoi occhi e forse anche della sua adolescenza.I colori sembra-vano finti, creati nella mente in un attimo stac-cati dalla realtà, come la sua ricetta staccata dalla realtà in cui la ragazza viveva la sua vita. E lo zucchero, lo zucchero, che si addensa per rimanere zucchero, non il miele… Era ancora una bambina.
in vena di chiacchierare. La ragazza stava silenziosa guardandolo negli occhi.“Spero che non sia tanto pazzo”, pensò. E si mosse di nuovo sulla pol-trona.-Le tue mani, Marcella, hanno il pro-fumo della scorza d’arancia, ripeté il pittore.-Sì, fece la fanciulla, arancia. Mia ma-dre e mia sorella si sono messe a fare le scorze di arancia oggi a casa”, disse, e abbassò i suoi occhi.-A fare le scorze d’arancia?” chiese sor-ridendo il pittore prendendo nelle sue mani la matita.-Sì, disse la bambina. Per fare le scor-ze…è un lavoro lungo signò, continuò la ragazza.Si prendono delle arance con la buccia spessa. Si sbucciano tagliandole a stri-sce lungo gli spicchi come i meridiani, si leva via la parte bianca di loro e poi le bucce si fanno bollire per ben tre volte. Ben tre volte -ripeté la bambina-cam-biando per ben tre volte l’acqua.Il pittore notò la ripetizione delle paro-le del suo racconto tipico della sua età e gli sembrava che insieme con l’acqua la bambina cercasse di buttare via l’ama-rezza…delle arance.-E poi dopo la terza volta le scola sotto l’acqua fredda.”“Poi la mamma mette sul fuoco un te-game colmo d’acqua e zucchero il dop-pio delle bucce e fa bollire piano piano insieme le bucce e l’acqua zuccherata per ancora 10 minuti fin che l’acqua zuccherata non si addensa senza però prendere colore. Deve solo addensarsi intorno alle arance.Poi mia madre le mette sopra una tova-glia su un marmo e le lascia asciugare per ben 7 ore. Una volta asciutte mia mamma mette ancora dello zucchero sopra che si attacca sopra le bucce. E poi, continuò allegra muovendo le mani, mia sorella in un tegamino scio-glie a bagnomaria della cioccolata fon-dente, comprata dal negozio dei Muller in fondo la strada, e io e mia madre
Ernst Ludwig Kirchner: Marcella,1910.
olio su tela, cm 101x 76. firmato a destra
El. Kirchner. Berlino, Byrche-Museum .
“La ragazza rappresentata in questo
dipinto è una delle famose modelle-bam-
bine degli artisti della “Burche”; anche il
vestito nero a righe è un elemento ricor-
rente. Questa scena molto probabilmente
è da ricollegare ad uno dei soggiorni degli
artisti della “Burche” ai laghi di Moritz-
burg. Gli artisti apprezzavano soprattutto
la disinvoltura e la naturalezza con la quale si muovevano le
modelle,caratteristiche che ben si coniugavano con il principio
d’immediatezza che costituiva il loro motto. …” Mario Gol-
din, curatore della mostra “Espressionismo” a Villa Manin 22
Ottobre 2010.
liRika nakEllaRi
il dolcE Più caRo al mondo
Se per caso vi recate al Lindeth Howe Country House Hotel di Windemere in Cumbria atten-
zione a quello che or-dinate sul menu. Que-sta delizia di dolce che vedete nell’imma-gine costa ben 22mila sterline, più di 25mila euro ed è stata crea-ta dal capochef Marc Guibert in occasione della National Choco-late Week. Si tratta di un tortino di cioccolato con sfoglia d’oro e diamante sulla sommità. De-
dicato ovviamente ai palati più fini e ai portafogli più gonfi del mondo. Un mix di foglie d’oro, cioccolato e
champagne, il tutto impreziosito con un diamante. “Il dolce è spettacolare, ha un sapore incredibile e per questo ha un prez-zo così alto”. Fonte: http://sweet-temptations.alterv i-sta.org/eventi/, un blog di un giovane
friulano che seguiamo con molta at-tenzione!
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Bianco e neroFormazione à la carte
Nella nostra civiltà occidentale abbiamo perso le “vie di mezzo”: le cose sono bianche o nere; si è d’accordo oppure no. L’interessan-te delle filosofie orientali è invece il cercare le “zone d’ombra”, cioè tutti quegli spazi intermedi che permettono un confronto meno diretto e, a volte, più realistico. Il senso della relatività che ne de-riva si imprime anche nella vita. Mentre noi occidentali costruiamo tutto perché duri in eterno, per gli orientali tutto è transitorio e cam-bia con le stagioni.Parlando della nostre spiritualità, siamo convinti che quello che sia-mo diventati negli anni sia suffi-ciente per aiutarci a essere felici, senza considerare l’importanza del coltivarla e svilupparla la felicità. Per questo badiamo poco alle for-me e ai contenuti pensando che la “sostanza” ci sia “sempre e comun-que”. L’orientale, al contrario, è at-tento a ogni singolo gesto, a ogni dettaglio. Ecco perché, a volte, le nostre tavole imbandite in fretta e furia servono solo per riempire gli stomaci, ma ben poco l’anima.
paolo g. biancHi
www.formazione-zero.blogspot.com
Abbiamo avuto la fortuna di scoprire un volume recentis-simo, edito dalla Biblioteca
Internazionale La Vigna, che costitu-isce una vera novità nella grande mas-sa di volumi intorno al baccalà. L’auto-re è Otello Fabris, specialista di Storia della Gastronomia del Medioevo e del Rinascimento. In campo enogastrono-mico Fabris vanta una trentennale at-tività per il recupero della tradizione enologica e di alcuni formaggi carat-teristici della pedemonta-na vicentina-trevigiana. Ed è presidente di molte altre associazioni che non citiamo per mancanza di spazio. Menzioniamo solo l’ideazione della rassegna di cultura enogastrono-mica Merlin Cocai (e di certo al lettore il nome di Teofilo Folengo farà veni-re in mente interessanti reminiscen-ze “maccheroniche”) e il fatto che fa parte di ben due Confraternite, quella del baccalà alla vicentina e quella del baccalà mantecato alla veneziana. “La pubblicazione, scrive nella presen-tazione Marco Bagnara, come è ben documentato anche dalla ricchissima bibliografia riportata in appendice,
libri Da leggere CoMe un roManZo
I misteri del ragno: documenti e ipotesi sulla storia del Baccalà
spazia infatti dal Veneto e dall’Italia a tutti i paesi interessati alla pesca e alla commercializzazione del pesce baltico. Fra le novità la verità storica sul Querini, la cui relazione pubblicata a Venezia dal Ramusio nel 1559, ebbe tanto successo da essere ripubbli-cata persino a fumetti. “Ma non fu il Querini, precisa Fabris il primo a par-lare di stoccafisso e neppure ne fu il primo importatore. Prima di lui, già
a partire dal XII secolo, il pesce secco era cono-sciuto nel Medterraneo senza dimenticare che lo stoccafisso era giunto a Venezia per via fluviale prima che per mare. Sono oltre 300 pagine, frutto di 5 anni di ricerche. Secoli di storia d’Europa narrati con linguaggio lieve ma
preciso, seducente e con continui ri-ferimenti, ricette, citazioni, arricchito da illustrazioni, incisioni. Un affresco si secoli di storia e della nostra cultura enogastronomica con unico filo con-duttore e punto di vista: quello dello stoccafisso? O dobbiamo chiamarlo baccalà? Una lettura avvincente e il-luminante. Si consiglia!
Il RISTORANTE DELL’AMORE RITROVATO
Questo è il libro vinci-tore del Premio Ban-carella cucina 2011. Autrice Ito Ogawa, edizioni Neri Pozza. Ringo, una ragazza che lavora nelle cucine di un ristorante turco di Tokyo, rientra una sera a casa con l'intenzione
di preparare una cena succulenta per il suo fidanzato col quale convive da un po'. Con suo sommo sgomento, però, scopre che l'ap-partamento è completamente vuoto. Nien-te televisore, lavatrice, frigorifero, mobili, tende, niente di niente. Spariti persino gli utensili in cucina, il mortaio di epoca Meiji ereditato dalla nonna materna, la casseruo-la Le Creuset acquistata con la paga del suo primo impiego, il coltello italiano ricevuto in occasione del suo ventesimo complean-no. E, soprattutto, sparito il fidanzato in-diano, maître nel ristorante accanto al suo, un ragazzo con la pelle profumata di spezie.Lo choc di Ringo è tale che resta impietrita al centro della casa desolatamente vuota, la voce che non le esce più dalla bocca. Deci-de allora di ritornare al villaggio natio, dove non mette più piede da quando, quindicen-ne, è scappata di casa in un giorno di pri-mavera. E per tornare pienamente alla vita decide di aprire un ristorante per non più di una coppia al giorno, con un menu ad hoc, ri-tagliato sulla fisionomia e i possibili desideri dei clienti. La magia (il perché lo scoprirete leggendo) del Lumachino, questo il nome del ristorante, si diffonde in tutto il circondario. Perché tutti vogliono sedersi alla tavola del ristorante dell'amore ritrovato.
LEttURE DA ASSAPORARE
LA SCRITTRICE CUCINAVA QUI
Un libro imperdibile per chi ama le storie. Stefania Aphel Barzini racconta per i tipi di Gribaudo la vita di dieci gran-di scrittrici dalla parte dei fornelli. Virginia Woolf, Simone De Beauvoir, Elsa Morante, Karen Blixen, Agatha Christie, Grazia Deledda, Harriet Beecher Stowe, Gertrude Stein, Pamela L. Travers, Colette tra ambienti e oggetti quotidia-ni, ingredienti, ricordi alcune delle ricette che più ama-vano. La cucina, la vera cucina, diceva Colette, è fatta da chi assaggia, assapora, sogna un istante, aggiunge un filo d'olio, un pizzico di sale, una foglia di timo, da chi pesa senza bilancia, misura il tempo senza orologio, sorveglia l'arrosto solo con gli occhi dell'anima e mescola le uova, il burro e la farina secondo ispirazione, come una strega benigna. Attraverso il cibo infatti passa la vita.
POLLO ALLE PRUGNE
Pollo alle prugne è un film. Ma prima è stato una graphic novel. è la storia di un piatto che diventa simbolo di una vita. Il film presentato al festival di Venezia racconta una vita a cui fu negata la feli-cità. Non c’è niente che possa cambiare la situazione, neanche l’offerta di un as-saggio di quel Pollo alle Prugne (da qui il titolo) che aveva sempre amato mangia-re… (Per i lettori golosi: la ricetta preve-
de fra gli ingredienti pollo, prugne, cannella e peperoni). La frase emblematica è: “il giorno in cui lascerai nel piatto quella sublime e squisita pietanza vorrà dire che hai perso il senso della vita”. "Poiché nessuno riusciva più a procu-rargli il piacere di suonare, Nasser Alì Khan decise di mo-rire, si distese nel letto e otto giorni dopo, il 22 novembre 1958, venne sepolto di fianco a sua madre..." Questa è la storia che Marjane Satrapi racconta mostrandoci sin dal principio come e quando finirà la vita del protagonista. "Pollo alle prugne" non è solo un affresco sull’Iran. E' so-prattutto, la storia di un uomo innamorato che vive grazie alla forza della memoria. Come il ricordo di quel pollo alle prugne che mangiava da bimbo e il cui sapore, quando ci pensa, riesce ancora a dargli piacere.
< gusto e buongusto nell’euroregione
quanto basta fvg
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Direttore responsabileFabiana Romanutti
hanno collaborato a questo numeroTiziana Baita, Silvano Bertossi, Paolo G. Bianchi, Roberto Cipresso, Claudia Culot, Herwig Ertl,
Anna Fast, Ennio Furlan, Rosanna Giuricin Turcinovich, Carlo Morandini, Lirika Nakellari, Marta Omero, Germano Pontoni, Giuliano Orel, Antonella Varotto, Aurelio Zentilin
Foto di copertina: Massimo Petrossi
Impaginazione: Eurograf, Tarvisio (UD)
Stampa: Tipografia La Tipografica snc, Basaldella (UD)
Autorizzazione n. 1202 del 18 settembre 2008 del Tribunale di Trieste
Assoc. Culturale Studio Giallo, via San Michele 26 Trieste
q.b. è on line sul sito www.qbfvg.it / Per scrivere alla redazione: [email protected]
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