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Questa sera si recita lo scandaloDi Danilo Ruocco
Luchino Visconti fu un uomo e un
artista scandaloso. Forse, oggi, non è
semplice percepire la scandalosità di
certe scelte umane e artistiche compiute
da Visconti nel corso della sua vita; è
certo, però, che Visconti diede scandalo
e, il più delle volte, ciò avvenne in modo
consapevole.
Diversi furono i motivi per i quali la società civile di allora poté
urlare allo scandalo riferendosi alle scelte di Visconti, ma prima di
accennare ad alcuni di essi, non pare inutile definire la parola
scandalo. Per dirla con lo Zingarelli, lo scandalo è il «Grave
turbamento della coscienza, della sensibilità, della moralità […] altrui
suscitato da atto, discorso, comportamento, avvenimento, contrario
alle leggi della morale, del pudore, della decenza […]»1. Dunque
Luchino Visconti andò contro le leggi della morale, del pudore e della
decenza e lo fece con cognizione di causa in una società – quella
italiana che va dagli anni del Fascismo a tutta la prima metà degli
anni Settanta – che definire arretrata è perlomeno eufemistico.
Questa sera si recita lo scandalo di Danilo Ruocco
1 NICOLA ZINGARELLI, Lo Zingarelli 2005. Vocabolario della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 2004, s.v. Scandalo.
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Per dare un’idea del clima che si viveva in Italia nel Novecento,
si potrebbe dar conto di tutte le volte che la scure della censura si
abbatté sui nostri artisti e sulle loro opere. Ma, forse, tale elenco
darebbe un’immagine un po’ falsata e rischierebbe, per assurdo, di
porre sullo stesso livello artisti di qualità e meriti assai differenti tra
loro. Forse, al posto di tale carrellata, è più appropriato all’argomento
che si sta affrontando riproporre qui le parole di un’anonima ragazza
che nel 1953 risposte a un’inchiesta de «L’Europeo» dal
“provocatorio” e “dirompente” titolo A quale età si può essere
fidanzati?; inchiesta cui risposero 2837 italiani e di cui diede conto
Camilla Cederna:
«Sono una quindicenne, molto formata per la mia età: vesto già abbastanza da grande, senza trucco, solo cipria, un po’ di rimmel, capelli lunghi sulle spalle, tutti lisci, già il tacco, la vita di centimetri sessantuno, una buona andatura molto mossa, piaccio quasi sempre ai ragazzi. Ne ho già avuti quattro, tutti innamorati, con due mi sono fidanzata. […] La mia prima considerazione è questa: i tempi sono cambiati. Chi è quella ragazza di quindici anni che oggi non ha il suo bravo flirt? Quella che aspetta fino a diciotto vuol dire che è proprio brutta o ha cattivo odore. Se può andare al cinema col suo ragazzo? Deve, non può; se no con chi ci va? Sì che lui può invitarla a una gita: caso mai è lei che non accetta. Infatti, benché i genitori, poveracci, non sappiano granché della loro figlia, è difficile o almeno faticoso combinare una bugia che valga per tutta la giornata. Se ci comportiamo bene? Ci comportiamo in una maniera che può evitarci delle delusioni in avvenire».2
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2 CAMILLA CEDERNA, A quale età si può essere fidanzati?, in «L’Europeo», nn. 49-52, 1953, ora leggibile in AAVV, Cinquant’anni di Eros e tabù. Desideri, inibizioni, miti, trasgressioni e feticci: gli italiani e il sesso, «L’Europeo», n. 4, ottobre 2002, p. 58, da cui si cita.
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Non tragga in inganno la chiusa sibillina: non è da credere che la
quindicenne di cui si sono riportate le considerazioni fosse sfrontata al
punto da alludere a un rapporto sessuale completo consumato prima
del matrimonio. I “filarini” descritti dalle giovani citate dalla Cederna,
infatti, erano storielle d’amore nelle quali il ragazzo di turno ardiva
stringere a sé la fidanzata, baciarla e darle qualche carezza. D’altro
canto, le domande cui la giovane risponde descrivono senza ombra di
dubbio un’Italia in preda alla sessuofobia, nella quale l’etichetta
impediva alle ragazze di andare al cinema con il loro ragazzo, in
quanto, in un luogo buio, ci si sarebbe potuti approfittare di loro. La
stessa Italia nella quale una ragazza scriveva alla Cederna che
«Quando mamma seppe che a Forte dei Marmi a quattordici anni
avevo avuto il mio primo bacio, prese la cintura dei pantaloni del
babbo…»3. Il sesso, dunque, in Italia, era moralmente ineccepibile
solo se eterosessuale, consumato all’interno dell’istituto matrimoniale
e per puro scopo riproduttivo.
Luchino Visconti era omosessuale e già questo lo poneva in una
situazione scandalosa e di distanza abissale dalla morale allora
vigente e dal tipo di sessualità che essa imponeva. Ovviamente,
Visconti avrebbe potuto scegliere di vivere la propria omosessualità in
modo strettamente privato, magari fingendo in pubblico una più
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3 Ibidem, p. 63.
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socialmente conveniente eterosessualità. Ciò non fece. Anzi le sue
storie d’amore, a volte tormentate, divennero di dominio pubblico
anche in ragione del fatto che, spesso, esse erano scandite da
memorabili scenate pubbliche.
Inoltre, anche come artista, Visconti decise di trattare il tema
dell’omosessualità più e più volte, rendendolo in qualche modo
trasversale nella sua produzione artistica, fino al punto che esso è
presente nella maggior parte dei film da lui girati, da Ossessione in
poi.
Va ulteriormente aggiunto come, negli anni della sua formazione,
l’omosessualità per Luchino Visconti fu, assieme alla possibilità di
viaggiare e di leggere libri proibiti dal Fascismo, veicolo di una
conoscenza alternativa del mondo. Scrive, infatti, Gianni Rondolino:
[…] la possibilità di vedere opere proibite dal regime fascista, <e> di leggere libri interdetti dalla censura di regime, sono le tappe di una formazione anche politica, di una apertura sulla società, e sulla sua complessità umana, che Visconti sperimenta di giorno in giorno. In tale contesto, anche l’omosessualità può essere veicolo alla conoscenza di un mondo diverso, fuori dall’ipocrisia e dalla chiusura morale e culturale della società italiana del tempo. Un’apertura che unisce libertà personale e discorso politico […]4
E di non minore importanza furono le amicizie durature che egli
riuscì a stringere durante gli anni della giovinezza. Si ricordano, a tale
proposito, quelle con artisti di valore internazionale, alcuni dei quali è
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4 GIANNI RONDOLINO, Profilo di Luchino Visconti, in VERONICA PRAVADELLI A CURA DI, Il cinema di Luchino Visconti, s.l., Biblioteca di Bianco & Nero – Quaderni, n. 2, s.d. <ma 2000>, p. 21.
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probabile che influissero su di lui in modo profondo, magari
alleggerendo il senso di disagio esistenziale che Visconti sentì negli
anni della giovinezza e che tornò prepotente (alimentato da una
molteplicità di fattori) negli anni della vecchiaia. Tra il numero degli
amici figurano Marlene Dietrich, Jean Cocteau e Coco Chanel: tre
persone che, a loro modo, vissero la sessualità in modo libero da
vincoli precostituiti.
Rondolino sottolineava come la «libertà personale» di Visconti si
fondesse con un preciso «discorso politico». Va ora specificato che
Luchino Visconti non può essere considerato un militante gay così
come oggi s i intende. Infatt i , la sua rappresentazione
dell’omosessualità è simile a quella che egli diede della sessualità in
genere e, dunque, a volte lontana dai valori e dai diritti civili che oggi
un militante gay è “orgoglioso” di rivendicare. Infatti, Visconti, nelle
sue opere, rappresentò la sessualità (e, dunque, anche
l’omosessualità) con tinte a volte assai negative. A tale proposito Lino
Micciché ricorda come nei film di Visconti compaia «[…] un sesso
passionale, irregolare, talora proibito (incestuoso, a pagamento,
omosessuale […] vizioso […] <e> mai vissuto come norma»5. Non
pare fuori luogo, quindi, ricordare, ora, in rapida carrellata,
L’ambiguo Spagnolo di Ossessione, la schiera di debosciati delle SA in La caduta degli dei, il principe debole (e alla fine forse
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5 LINO MICCICHÉ, Luchino Visconti. Un profilo critico, Venezia, Marsilio, 2002, p. 80. Corsivo nel testo.
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perfino frigido) di Ludwig, lo squallido Morini che costringe Simone a fargli da amante in Rocco e i suoi fratelli, vecchi cadenti ritirati dalla vita come l’Aschenbach di Morte a Venezia e il professore di Gruppo di famiglia in un interno, marchette arresesi ai rovesci del destino come il Kurt dello stesso film: non è proprio la rappresentanza che ci si aspetterebbe da un omosessuale dichiarato, […]. Insomma <conclude Mauro Giori> quello di Visconti non è un cinema militante.6
Ad ogni buon conto, al di là di come Visconti rappresentò la
sessualità nelle sue opere, va riconosciuta al regista una grande e
coraggiosa azione di rottura nei confronti dell’attardata società
italiana, già solo per il fatto di aver introdotto il tema omosessuale
nelle sceneggiature da lui realizzate o aver portato in scena copioni
nei quali tali temi erano trattati. Opera di rottura che il regista
perseguì con tenacia e raggiunse spesso tramite lo scandalo, usato
come mezzo per scuotere le coscienze. Gianni Rondolino afferma che
Visconti volle
[…] portare alla luce, attraverso testi polemici e problematici, le tensioni, i drammi, i conflitti d’una società in crisi, incerta fra tradizione e rinnovamento, fra passato e futuro, fra conservazione e progresso. […] <E, poco più oltre, aggiunge che il suo è un tipo di> spettacolo che vuole sconvolgere lo spettatore sul piano emotivo e razionale al tempo stesso, e attraverso questo sconvolgimento trasmettere una visione critica del reale.7
Come dire che lo scandalo cercato da Visconti non era creato ad
arte solo a fini pubblicitari, ma anche per altri scopi, di valore ben
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6 MAURO GIORI, Luchino Visconti, in www.culturagay.it, 23 marzo 2005. L’url esatto del saggio è www.culturagay.it/cg/biografia.php?id=152.
7 GIANNI RONDOLINO, Luchino Visconti, Torino, Utet, 2003, pp. 170-171.
7
maggiore. Visconti, attraverso lo scandalo, dava una sorta di scossa
elettrica alle pigre coscienze degli spettatori, inducendoli a fruire dello
spettacolo con un’attenzione critica diversa da quella comunemente
prestata a teatro (o al cinema). E, a proposito del doppio compito
affidato allo scandalo, non si scordi che Visconti, benché agisse in un
tipo di teatro a conduzione privata e, quindi, organizzato
economicamente su strutture diverse dal teatro pubblico, perseguiva
la creazione di un teatro d’arte in grado di avere anche un’azione
sociale di rinnovamento. In altre parole, Visconti aveva sì l’obbligo di
riempire le sale e “fare cassetta” (pena lo scioglimento della
compagnia), ma – come esponente di rilievo della sinistra
intellettuale – aveva anche l’obiettivo di far riflettere, oltre che
divertire, gli spettatori che si recavano a vedere le opere da lui
firmate.
[…] quando il tema del dramma poteva apparire provocatorio, scandaloso (per la società italiana del tempo), <per Visconti> proprio su quest’aspetto bisognava puntare, non già per fare dello scandalismo a buon mercato, ma per costringere gli spettatori a confrontarsi con realtà e situazioni che sollevavano problemi di coscienza, e più in generale questioni culturali, anche ideologiche e politiche.8
Dunque lo scandalo aveva sì il compito forte di attirare
l’attenzione del pubblico distratto nei confronti delle sale nelle quali la
compagnia di Visconti era di scena, ma aveva anche la funzione di
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8 GIANNI RONDOLINO, Profilo di Luchino Visconti, op. cit., p. 25.
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tener viva l’attenzione critica di quel medesimo pubblico. Lo scandalo,
dunque, usato come grimaldello e pungolo.
Le reazioni che lo scandalo creato da Visconti producevano erano
forti e, in qualche modo, epocali (nel senso stretto del termine,
ovvero, legate al tempo in cui si produssero). A ricordarle, negli anni
Settanta, è lo stesso regista, cui si cede la parola:
Il teatro deve essere una continua conversazione tra palcoscenico e platea. Oggi la conversazione non c’è. C’è un monologo: […] Allora il pubblico reagiva. Ci sono «prime» in cui io ricordo di avere detto agli attori, dalle quinte: «State fermi, state zitti, non vi muovete, lasciate che si scatenino, che si menino, che tutto finisca, poi replicheremo». Questo è successo cento volte perché quello che avveniva sul palcoscenico si ripercuoteva sulla platea creando due correnti: una favorevole e una contraria. Ho visto la gente picchiarsi, urlare.9
Lo scandalo, quindi, non solo produceva una sorta di corrente
elettrica che varcava il confine segnato dal boccascena, ma era in
grado anche di creare schieramenti differenti in platea, ovvero di far
assumere agli spettatori posizioni precise, nette, nei confronti di ciò
che si stava rappresentando sul palcoscenico.
Tra gli spettacoli diretti dal Maestro che – a distanza di quindici
anni l’uno dall’altro – fecero scandalo e che sollevarono il pubblico
dividendolo a metà, ve ne sono due cui si porrà ora l’attenzione,
descrivendone la ricezione presso critica e pubblico: l’Adamo di
Marcel Achard e L’Arialda di Giovanni Testori. In entrambi i testi un
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9 LUCHINO VISCONTI, Il mio teatro, a cura di Caterina d’Amico de Carvalho e Renzo Renzi, vol. I (1936-1953), Bologna, Cappelli, 1979, p. 51.
9
ruolo determinante è lasciato a personaggi omosessuali. In entrambi,
tali personaggi sono descritti con modalità lontane da quelle
stigmatizzanti allora consuete.
Adamo di Marcel Achard fu rappresentato al Gymnase di Parigi
per la prima volta il 16 novembre del 1938. In Italia, tradotto da
Antonio Pietrangeli, fu messo in scena per la regia di Luchino Visconti
(anche scenografo) al Teatro Quirino di Roma il 30 ottobre del 1945.
La distribuzione era la seguente: Laura Adani (La sconosciuta,
ovvero Caterina), Vittorio Gassman (Ugo Saxel), Ernesto Calindri
(Lancelot), Tino Carraro (Gian Francesco) e Nino Capuana
(Carlos). Lo spettacolo ebbe buona accoglienza e fu replicato fino
all’11 novembre compreso. Ripreso all’Olimpia di Milano il 14
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dicembre, esso fu sequestrato il 16 dello stesso mese. Anche a
Venezia la compagnia dovette fare i conti con la censura che, su
richiesta del Patriarca della città lagunare, sospese lo spettacolo il
giorno dopo la prima rappresentazione, ovvero il 15 gennaio 1946. Il
testo fu stampato in Italia solo nel 1947 in una traduzione diversa da
quella portata sulle scene da Visconti10.
Ci si potrebbe chiedere il perché di tanto accanimento contro il
testo dell’Accademico di Francia Marcel Achard. Una risposta può
venire citando parte di una recensione di Cesare Giulio Viola apparsa
il 31 ottobre 1945 sulle pagine de «Il Momento» e che si riporta
soprattutto come testimonianza di un’epoca, di un clima (Viola non
era certo una voce fuori dal coro…):
Se è vero che Gustavo Modena, dalle ribalte dei nostri teatri difese la causa del nostro Risorgimento, noi chiediamo ai nostri attori d’oggi, ai nostri impresari, ai nostri registi, in nome di quale bandiera, da qualche tempo offrono al pubblico di Roma, tanta vituperevole mercanzia teatrale, che quando non sa di falsa letteratura, sa di cloaca. […] qui <intende in Italia e non in Francia> ci si rivolge al grande pubblico: qui si parla ad una nazione sconfitta che vuole parole rigeneratrici, qui si avvelena l’Italia11.
Dunque il testo di Achard era deprecabile, dallo scarso valore
letterario e degno di sequestro in quanto avvelenava l’Italia, si crede
di capire diseducandola, perché poneva al centro della vicenda una
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10 Il testo fu tradotto da Carlo Lari e pubblicato da «Il Dramma» nel n. 23 del 1947.
11 L’articolo di VIOLA è ora leggibile in LUCHINO VISCONTI, Il mio teatro, op. cit., p. 62, da cui si cita.
11
s t o r i a d ’ a m o r e o m o s e s s u a l e , o v v e r o « l ’ a n o m a l i a
dell’invertimento» (sic), per usare la definizione tutt’altro che
eufemistica datane da Massimo Bontempelli dalle colonne di
«L’Epoca» del 31 ottobre 194512. Paradossalmente, verrebbe voglia di
commentare, la giovane Italia democratica rinata dopo il Ventennio
fascista e la tragedia immane della Seconda Guerra Mondiale,
assumeva e faceva suoi quei dictat in campo sessuale propri di quel
Regime fascista che aveva combattuto, non credendo possibile e
ammissibile che si esponesse «a un pubblico di teatro argomenti di
tal genere, cui sino a pochi anni […] <prima> nessuno avrebbe
pensato di accennare in presenza d’una signora»13.
Luchino Visconti, attaccato da più parti per aver portato alla
ribalta l’Adamo, affermò:
L’omosessualità esiste, non dobbiamo tapparci gli occhi e fingere di non accorgersene (sic): […] l’argomento che una volta era abolito dalle conversazioni dilaga sui giornali, e alcuni di essi gli dedicano paginoni, prime pagine, titoli su otto colonne, illustrazioni, eccetera. […] <E, poco più oltre, aggiunge> La commedia […] per la formazione Adani si prestava benissimo in quanto a me stava a cuore che la figura del Mo Saxel fosse fatta da un giovane piuttosto che da un attore più maturo. D’altra parte è innegabile che la commedia sia abile, ben costruita, e tutta teatrale.14
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12 Cfr. ibidem.
13 SILVIO D’AMICO dalle pagine de «Il Tempo» il 31 ottobre 1945, leggibile in ibidem, p. 60.
14 La dichiarazione di Visconti era stata raccolta da «Il Dramma» e pubblicata sul numero 1-15 dicembre 1945 della rivista. È ora leggibile in ibidem, p. 59.
12
Nella dichiarazione di Visconti vi sono due concetti che saltano
agli occhi: il fatto che il regista fosse costretto dai benpensanti a
ricordare loro l’esistenza dell’omosessualità e l’affermazione che
l’Adamo fosse una commedia ben costruita; dichiarazione che suona
come una risposta a quanti – tra i quali si nomina solo Massimo
Bontempelli15 – sostenevano il contrario.
Ci si potrebbe, ora, chiedere cosa vi fosse nel testo di così
scandaloso che il pubblico e parte della critica ebbero reazioni tanto
forti di rigetto. Innanzitutto, non pare inutile porre l’attenzione al
titolo della pièce: esso può suonare provocatorio. Infatti, nel testo
nessun personaggio è eponimo e, quindi, è legittimo ipotizzare che
l’Adamo del titolo indichi, genericamente, l’Uomo, con conseguente
implicito avvertimento che ciò che succede in scena può accadere a
chiunque.
Inoltre, per l’Italia, la trama della commedia di Achard suonava a
tratti rivoluzionaria. Infatti il testo racconta di un uomo (che mai
compare sulla scena) il cui amore è conteso sia da una donna
(Caterina), sia da un altro uomo, il Maestro Saxel. E tale uomo, che
nel testo si chiama Massimo, attratto da entrambi i sessi, al termine
della commedia, incapace di decidere a chi dei suoi due amanti
concedere se stesso totalmente; ma, soprattutto, colpito dalla dura
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15 «Si scandalizzavano <gli spettatori> in nome della morale mentre dovevano scandalizzarsi in nome dell’arte». (MASSIMO BONTEMPELLI in«L’Epoca» del 31 ottobre 1945, ora leggibile in ibidem, p. 62.).
13
reazione di Caterina, si uccide. Come dire che Adamo, tentato in pari
misura da Eva e da Satana, alla fine, dopo aver ceduto a entrambi, si
suicida perché Eva non lo ha accettato per come è.
E se già suona abbastanza anomalo il fatto che al termine di uno
spettacolo muoia “il corrotto”, “la vittima”, il povero Adamo, e non “il
corruttore”, “il satanasso”; ancora più inconsueto e straniante era il
fatto che a soffrire per il suicidio di Massimo fosse il Maestro Saxel e
non tanto Caterina: la donna, infatti, pare già pronta a intraprendere
una nuova relazione con il giovane che l’ha momentaneamente curata
dopo lo shock per essere stata lasciata da Massimo dopo tre anni di
relazione.
Nell’Adamo di Achard, quindi, il sentimento d’amore autentico e
profondo è quello provato dal Maestro Saxel nei confronti di Massimo
e non quello di Caterina, già pronta, quasi subito dopo aver appreso
del suicidio di Massimo, a svoltare pagina. Un fatto davvero
inconsueto per l’epoca quello di descrivere un amore omosessuale
lontano dal vizio e dalla fugacità dell’incontro occasionale, ma, anzi,
tanto profondo e vero da causare acuta sofferenza. Questo è forse
l’elemento che più diede fastidio ai puritani: ovvero il fatto che
l’omosessualità non fosse ferocemente stigmatizzata. Prova ne sia
quanto scrisse Viola:
Adamo è una opera fiacca: in cui manca il coraggio, da parte dell’autore, d’una esplicita presa di posizione a favore o contro il
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vizio che si descrive nei tre atti. Gioca sul titillamento che può derivare dallo spettacolo di un uomo e d’una donna che si disputano un efebo invertito e pervertito. Se tanta sozzeria vi alletta <conclude Viola>, andate al Quirino, e applaudite.16
Inutile sottolineare come Viola utilizzi espressioni forti come
«vizio», «efebo invertito e pervertito» e «sozzeria» che non sono
appropriate – per quanto detto finora – al testo di Achard; parole che,
invece, rendono perfettamente conto del clima di asfittico
puritanesimo in cui si viveva (e in certo qual modo ancora si vive) in
Italia.
Ovviamente, vi fu anche qualche critico che, più che al contenuto
della pièce, puntò la propria attenzione all’opera del regista. Tra
costoro si nomina solo Paolo Grassi, nelle vesti di critico
dell’«Avanti!», che dichiarò che Achard aveva avuto
[…] un collaboratore prezioso in Luchino Visconti, che ha messo in scena il lavoro con quell’amorosa cura del particolare ormai tipica nelle sue regie: tutto il dramma è stato posto in rilievo con ineccepibile buon gusto e costante preciso senso di un’ottima “resa” scenica.17
Se per una commedia come l’Adamo che non può essere
considerata un’opera di critica aperta nei confronti della società, i
nostri recensori ebbero reazioni tutto sommato scomposte, per
L’Arialda di Testori che, invece, ha intenti di lotta sociale, si arrivò
ben oltre: ad attaccare Luchino Visconti sul piano personale.
Questa sera si recita lo scandalo di Danilo Ruocco
16 CESARE GIULIO VIOLA, in «Il Momento», 31 ottobre 1945, leggibile in ibidem, pp. 62-63.
17 PAOLO GRASSI, in «Avanti!», 15 dicembre 1945, leggibile in ibidem, p. 63.
15
La stesura del testo da parte di Testori avvenne sotto la
supervisione attenta di Visconti: l’intento, probabilmente, era quello –
proseguendo la collaborazione nata per Rocco e i suoi fratelli – di
ottenere una drammaturgia-spettacolo che unisse in sé i temi di
Testori e quelli di Visconti, in una sorta di inedita “ditta” creativa.
Era insomma un lavoro a quattro mani, in perfetta comunanza di intenti, che ancor più doveva sottolineare certe assonanze fra il mondo dello scrittore e quello del regista, certe affinità fra personaggi dell’uno e quelli dell’altro.18
Il copione che risultò da tale collaborazione fu tanto duro e
aspro, intessuto di tale erotismo, da suscitare le ire della censura già
in fase di prova dello spettacolo: i censori, capitanati dal Procuratore
capo della Repubblica di Milano Carmelo Spagnuolo (già censore del
Ponte della Ghisolfa di Testori e di Rocco e i suoi fratelli di Visconti),
chiesero e ottennero forti tagli e cambiamenti del copione. Ma,
nonostante gli interventi sul copione, il Ministero dello Spettacolo
intervenne nella questione per tentare, comunque, di impedire che si
andasse in scena. Visconti e una delegazione di attori si recarono al
Quirinale per chiedere di essere ricevuti dal Presidente della
Repubblica Giovanni Gronchi. Fallito il tentativo, si convocò la stampa
al Teatro Eliseo per dare pubblica lettura del copione. Insomma, si
perseguirono tutte le strade per far sì che il sipario si alzasse
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18 GIANNI RONDOLINO, Luchino Visconti, op. cit., p. 413.
16
sull’Arialda19. Ciò avvenne la sera del 22 dicembre del 1960 in un
gremito Teatro Eliseo di Roma20. Vale la pena citare da un articolo
apparso sulla «Gazzetta del Popolo» del 25 dicembre del 1960 che
bene rende il clima di attesa per quella “prima”:
Preceduta da questo alone di zolfo <ovvero i veti della censura>, L’Arialda non poteva non suscitare un interesse addirittura spasmodico.
Poiché i biglietti posti in vendita andarono subito esauriti, ci fu quindi per quarantott’ore uno scambio angoscioso e drammatico di telefonate fra le signore della buona società romana e quanti direttamente hanno rapporti con il mondo dello spettacolo. […] l’agognato biglietto […], nel pomeriggio precedente la prima, veniva ostentato dai fortunati possessori come fosse una schedina vincente. All’Eliseo si è ritrovata così, all’alzarsi del sipario, una larga rappresentanza di persone-bene e soprattutto ammanigliate.21
Tra i volti noti presenti in sala, vennero ricordati dalla stampa gli
attori Alberto Sordi, Anna Magnani, Lucia Bosè («giunta apposta
dalla Spagna»22), Rossella Falk, Nora Ricci e Franca Valeri; gli
scrittori Pier Paolo Pasolini, Alberto Arbasino e Peppino Patroni
Griffi; la sceneggiatrice Susi Cecchi D’Amico; l’elegantissima
sovrintendente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna Palma
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19 Per una ricostruzione degli avvenimenti legati alla realizzazione scenica dell’Arialda cfr. ALESSANDRO TINTERRI, Un teatro contro: il caso del “L’Arialda”, in «Drammaturgia», n. 7, 2000 (numero monografico dedicato a Visconti) e FULVIO PANZERI, Vita di Testori, Milano, Longanesi & C., 2003, pp. 91-97.
20 L’Arialda di Giovanni Testori, scene e regia di Luchino Visconti. Musiche di Nino Rota. Con Elvira Betrone, Rina Morelli, Marino Masé, Paolo Stoppa, Umberto Orsini, Giuseppe Belfiore, Pupella Maggio, Lucilla Morlacchi, Valeria Moriconi, Piero Leri, Lucia Romanoni, Nino Fuscagni, Pina Sinagra, Luretta Torchio, Riccardo Olivieri. Teatro Eliseo di Roma, 22 dicembre 1960.
21 LI. CA., Divisa pro e contro Luchino la gente-bene dell’«Arialda», in «Gazzetta del Popolo», 25 dicembre 1960. Corsivo nel testo.
22 Ibidem.
17
Bucarelli e la bellissima principessa Domietta Hercolani Del
Drago.
Da notare il fatto che, come informarono i cronisti, il sipario si
alzò con ben quaranta minuti di ritardo, la commedia durò tre ore e
dieci minuti e, al calar del sipario, si sentirono applausi e i fischi per
dieci minuti23. Si disse che la contestazione romana era nata, più che
per gli aspetti legati alla sessualità dei personaggi, per quelli legati
alla descrizione sociale e ambientale nella quale la vicenda è
immersa:
Ciò che ha maggiormente irritato il pubblico romano sono state le battute, sparse dal Testori a piene mani nel suo lavoro, dileggianti i «terroni» e i «maiali del centro». Definizioni in cui, chissà perché, gli spettatori quiriti credevano di riconoscersi.24
La lotta di classe è uno dei motori del fare letteratura di Testori
che addita nella disuguale distribuzione del reddito la causa dei mali
di cui soffrono i suoi personaggi.
Vale la pena, ora, raccontare a grandi linee la trama dell’Arialda
e mostrare come, per Testori, anche gli aspetti sessuali erano
strettamente legati a quelli sociali. La pièce, infatti, racconta la storia
tragica di un gruppo di popolani della periferia milanese che
rincorrono il mito del denaro, tentando di sbarcare il lunario. L’unico
momento di svago e serenità che sembra possano permettersi è
Questa sera si recita lo scandalo di Danilo Ruocco
23 Cfr. R. O., L’«Arialda», una squallida vetrina di uomini e donne da dimenticare, in «Gazzetta di Parma», 24 dicembre 1960.
24 Li. Ca., Divisa pro e contro Luchino la gente-bene dell’«Arialda», op. cit.
18
quello serale dell'amoreggiamento. Ma, per alcune delle popolane,
anche tale momento di serenità potrebbe rappresentare la salvezza
dalla miseria e, dunque, esso va messo a profitto. In particolare, il
sesso potrebbe servire a far cambiare vita sia alla vedova Gaetana
(«la terrona», interpretata da Pupella Maggio), e sia alla zitella
visionaria Arialda (impersonata da Rina Morelli), entrambe
“innamorate” del “ricco” ortolano Amilcare (Paolo Stoppa).
Entrambe tentano di farsi sposare da lui, facendosi la guerra tra loro,
fino alla estreme, tragiche, conseguenze: «la terrona», indebitata fino
a l c o l l o , p e r sa o rma i l a
speranza di potersi riscattare
sposando l’ortolano, si suicida.
Ad ogni buon conto il sesso non
è un mezzo di riscatto dalla
povertà solo per le donne: Eros
( impersona to da Mar ino
Masé), il bel fratello di Arialda,
si vende ai ricchi uomini del
centro. Fa i soldi e non si
vergogna né di essere un
o m o s e s s u a l e , n é u n
marchettaro. Un atteggiamento
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inusitato e anche un po’ spavaldo nell'Italia del 1960, anno in cui la
pièce vide la luce.
La tesi sociale al centro dell’Arialda non piacque a parte del
pubblico e neppure a molti dei critici, uno dei quali scrisse:
Se ho ben capito, i ricchi del «centro» si sono approfittati di quel fiore di Eros, […] Lo hanno impunemente calpestato. E Testori vorrebbe darci una ragione sociale di questo vizio che alberga nell’animo del giovane, ma non perviene che a una parrocchiale requisitoria contro «gli sfruttatori». Marx arrossirebbe dalla vergogna, fosse ancora vivo: dal vampirismo economico, i suoi nipotini italiani, son passati a quello sessuale!25
Dunque si rigettò la tesi secondo la quale la scelta della
prostituzione da parte di Eros fosse dettata da necessità contingenti,
a favore, implicitamente, di quella che voleva che il «vizio» fosse
innato e la prostituzione maschile legata inscindibilmente e in modo
“naturale” all’omosessualità.
Si è detto che la prima romana fu contrastata: se molti spettatori
fischiarono, molti altri applaudirono. E se certi critici sguazzarono nel
riportare le proteste di parte del pubblico, altri addirittura
intervennero con fare censore nei confronti di quegli spettatori che,
invece, avevano applaudito. Sergio Ascanio, ad esempio, arriva a
scrivere che gli applausi erano dovuti
[…] a complesso di inferiorità da parte di un pubblico verso una casta della quale è pronto sempre a giustificare e ad esaltare tutto quello che fa, in buona fede e no, all’insegna dello «spettacolo della cultura».
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25 GAIO FRATINI, Marx ne arrossirebbe, in «Corriere Mercantile», 24 dicembre 1960.
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Così le esagerazioni vengono considerate come audacie da avanguardia, le gratuità come approfondimenti, e le situazioni scabrose come un utile bando alle forme dell’ipocrisia.26
Si è, inutile negarlo, sul piano della lotta politica: il centro-destra
al potere allora in Italia che difende, scagliandosi contro la sinistra
riformatrice, le proprie chiuse posizioni in campo morale e sociale.
Una difesa che portò – come detto – all’attacco di Visconti come
individuo e non solo come artista. Ci fu, infatti, chi arrivò all’insulto,
al cattivo gusto: oltre a dileggiare Visconti per la sua omosessualità,
si giunse fino al punto da dargli del coprofilo27, superando di molto
ogni limite consentito dalla buona educazione e dalle regole della
convivenza civile.
E ci si potrebbe chiedere cosa irritò certi recensori al punto da far
loro perdere le staffe in modo tanto sguaiato. Forse la tesi secondo la
quale Eros giunge alla prostituzione per mancanza di denaro non era
l’unico aspetto del personaggio che diede fastidio. Forse ciò che colpì
era il fatto che anche un personaggio come Eros, prostituto per
necessità, sperasse in un amore vero e duraturo. Un amore che lo
elevasse come persona. E tale amore, Eros trova nel giovanissimo
Lino che ama d'un amore puro e, a tratti, paterno. Un amore che la
sorella Arialda approva e giustifica, arrivando ad equiparare l’amore
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26 SERGIO ASCANIO, «L’Arialda» in palcoscenico ha dato ragione ai censori, in «Il Gazzettino», 23 dicembre 1960.
27 Cfr. ALBERTO PERRINI, I cocci di Luchino, in «Lo Specchio», 1 gennaio 1961.
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omosessuale a quello eterosessuale28. Una equivalenza che dovette
suonare come una sfida aperta nei confronti della moralità di un’Italia
nella quale – ad esempio – l’adulterio da parte della moglie era
punibile, mentre non lo era quello del marito29. Un amore, quello di
Eros, tanto forte che, quando il suo amato muore in un incidente
stradale, la vera tragedia dell’Arialda si compie. Lo scrisse bene
Roberto De Monticelli:
[…] della catastrofe più importante <ossia il suicidio della «terrona» Gaetana> quasi non ci si accorge e la tragedia dell’Arialda passa in secondo piano di fronte a quella dell’Eros, al suo pianto di efebo triste che nell’amico morto vede l’immagine di ciò che egli avrebbe voluto essere e non è stato, un giovane diverso, normale, puro, credente nei valori giusti della vita. Pagina molto bella e assolutamente morale, […]30
Pagina morale, scrisse De Monticelli, riconoscendo a Eros e a
Lino qualità per solito negate, invece, agli omosessuali. Tale positività
dei due personaggi, probabilmente, venne vissuta in modo negativo
dai censori, i quali, arrivato lo spettacolo a Milano il 23 febbraio del
1961, lo sequestrarono il giorno dopo con un’ordinanza a firma del
già nominato dottor Carmelo Spagnuolo. Una settimana dopo, fu
posto sotto sequestro anche il libro di Testori edito da Feltrinelli,
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28 «Del resto, posso dargli torto? Ma che se le prenda, le sue libertà! E che l'ascolti fin che può, il cancro dell'amore, come ai tuoi tempi, tu, hai ascoltato il tuo!» dice Arialda rivolta alla madre nella Scena III del Secondo Tempo.
29 Nel 1961, con la sentenza n. 64, la Corte Costituzionale ribadì la legittimità della norma, sostenendo la maggiore gravità dell’infedeltà coniugale della moglie rispetto a quella del marito.
30 ROBERTO DE MONTICELLI, Tragedia plebea alle porte di Milano, in «Epoca», n. 536, 8 gennaio 1961.
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volume che, a differenza del copione di scena, non era privo delle
battute più forti. L’ordinanza di sequestro dello spettacolo, che
provocò lo scioglimento della compagnia, parlava di un lavoro che
[...] si qualifica, soltanto, per il suo sfondo ossessivo e immorale (sfondo nel quale l'oscenità si sviluppa con linguaggio inusitato, da autentica suburra), con una successione di situazioni ambientali e personali torbide ed erotiche nel corso delle quali nessun genere e nessun valore si salva [...]31.
Spagnuolo, dunque, era lontanissimo dalle posizioni di De
Monticelli (e di Testori e Visconti in primis).
Piace chiudere questo intervento dedicato allo scandalo quale
mezzo usato da Luchino Visconti sia a fini pubblicitari, sia,
soprattutto, come strumento per risvegliare le assonnate coscienze
degli italiani, con quanto ebbe a scrivere Costanzo Costantini a pochi
mesi dalla morte del Maestro:
Ribelle alla sua classe, ribelle ad ogni sorta di conformismo, ribelle a tutto ciò che fosse piatto e banale, non esitava ad ostentare le sue predilezioni, le sue tendenze e le sue scelte, a provocare, a dare scandalo. […] E non solo come artista bensì anche come uomo, rivendicando a se stesso il diritto ad essere «diverso», a vivere «diversamente», secondo le esigenze della propria natura o secondo le proprie scelte esistenziali, ci ha trasmesso e lasciato in eredità un messaggio di liberazione.32
© Danilo Ruocco, Bergamo, 2008.www.daniloruocco.it
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31 L’ordinanza si legge in ALESSANDRO TINTERRI, Un teatro contro: il caso del “L’Arialda”, op. cit., p. 98, da cui si cita.
32 COSTANZO COSTANTINI, L’ultimo Visconti, Milano, SugarCo, s.d. <ma 1976>, pp. 97-98.