Università degli Studi di Bari
DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE DI BASE
NUOVO COMPLESSO DELLE SCIENZE BIOMEDICHE
CORSO DI FORMAZIONE SU “VALUTAZIONE NUTRIZIONALE E SALUTISTICA DI PRODOTTI
AGROALIMENTARI”
PROGETTO STRATEGICO CIP_PS101
Relazione finale Responsabile Scientifico: Chiar.mo Prof. Sergio Papa
Formanda: dott.ssa Raffaella Trentadue
INDICE
1. ANALISI CHIMICA DEI COSTITUENTI MINORI DEGLI OLI EXTRAVERGINE DI OLIVA pag 1
1.1 Composizione chimica dell’olio extra‐vergine di oliva pag 1
1.2 La componente antiossidante dell’olio extra‐vergine di oliva: i composti a struttura fenolica pag 3
1.3 Estrazione e separazione delle sostanze fenoliche dalla matrice oleosa e valutazione del contenuto
fenolico totale pag 6
1.4 Analisi spettrofotometrica della componente fenolica dell’olio di oliva pag 7
1.5 Separazione e valutazione delle frazioni contenute nell’estratto fenolico dell’olio extravergine di
oliva pag 9
2. VALUTAZIONE BIOCHIMICA E BIOLOGICO MOLECOLARE DEL VALORE ANTIOSSIDANTE DEI
COSTITUENTI MINORI E DELL’IMPATTO SULLA BIOENERGETICA CELLULARE pag 19
3. VALUTAZIONE CLINICA DEL POTERE SALUTISTICO DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA pag 37
3.1 L'olio extravergine di oliva e le patologie cardiovascolari pag 44
3.2 L'azione salutistica dei biofenoli dell'olio da olive pag 45
4. VALUTAZIONE ORGANOLETTICA SENSORIALE: PREGI E DIFETTI DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI
OLIVA pag 51
4.1 Esame olfattivo pag 62
4.2 Esame gustativo pag 62
4.3 Colore degli oli pag 63
4.4 Fluidità degli oli pag 63
4.5 Aspetto degli oli pag 63
4.6 Attributi positivi di un olio pag 64
4.7 Attributi negativi di un olio pag 65
4.8 I difetti dell’olio pag 72
4.9 Cattiva qualità delle olive pag 72
5. PROCEDURE PER LA PRODUZIONE DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA pag 74
5.1 Raccolta delle olive pag 77
5.2 Trasporto al frantoio e stoccaggio delle olive pag 79
5.3 Molitura e frangitura pag 82
5.4 Gramolazione della pasta delle olive pag 84
5.5 Estrazione dell’olio pag 85
5.6 Stoccaggio dell’olio prodotto pag 91
1
1. ANALISI CHIMICA DEI COSTITUENTI MINORI DEGLI OLI EXTRAVERGINE DI OLIVA
1.1 Composizione chimica dell’olio extra‐vergine di oliva
L’olio extravergine di oliva è una delle principali fonti di grassi nella cosiddetta dieta mediterranea ed
ha una composizione chimica del tutto peculiare ed una qualità nutrizionale notevolmente superiore
rispetto agli altri oli ottenuti da semi. Si ottiene unicamente per estrazione meccanica e può essere
consumato direttamente senza alcun ulteriore trattamento fisico‐chimico di raffinazione e
rettificazione.
Come la maggior parte dei grassi vegetali, l’olio extravergine di oliva è costituito per il 98‐99% da una
miscela di gliceridi (esteri del glicerolo con acidi grassi) detta anche frazione saponificabile e, per il
rimanente 1‐2%, da un insieme di costituenti secondari che rappresentano la frazione di natura non
gliceridica cioè insaponificabile. Mentre i componenti della prima frazione sono pressocchè uguali in
tutti gli oli di oliva, quelli della seconda, subiscono variazioni qualititative e quantitative tali da
comportare una netta differenziazione (organolettica, nutrizionale, dietetica e merceologica).
I costituenti principali della frazione saponificabile sono i trigliceridi, solitamente in percentuale
superiore al 95%; in origine si trovano quasi esclusivamente nella polpa delle olive, sono fonte di
energia per l’organismo umano, infatti apportano acidi grassi essenziali cioè non riproducibili
dall’organismo, favoriscono l’assorbimento di vitamine liposolubili, hanno un’azione protettiva (quelli
insaturi) per l’azione verso i radicali liberi e il colesterolo nell’organismo; in piccola percentuale sono
presenti anche digliceridi, monogliceridi ed acidi grassi liberi.
Gli acidi grassi presenti nei gliceridi dell’olio extravergine di oliva sono in prevalenza monoinsaturi
(con un solo doppio legame lungo la catena alifatica) e, in minori concentrazioni, saturi (senza doppi
legami) e polinsaturi (con 2 o 3 doppi legami).
Gli acidi grassi più rappresentativi sono i saturi palmitico (C16:0) e stearico (C18:0); i monoinsaturi
palmitoleico (C16:1) ed oleico (C18:1) ed i polinsaturi linoleico (C18:2) e linolenico (C18:3). Questi ultimi
sono acidi grassi essenziali (AGE), rispettivamente precursori degli acidi grassi ω‐6 ed ω‐3, che devono
essere introdotti con l’alimentazione in quanto l’organismo umano non è in grado di sintetizzarli.
I composti minori dell’olio extravergine di oliva pur essendo presenti in modeste quantità
costituiscono un numeroso gruppo di sostanze chimiche (più di 230) che svolgono un ruolo
2
importante sia dal punto di vista nutrizionale‐salutistico che organolettico; essi rappresentano anche
un prezioso riferimento analitico per il controllo di genuinità del prodotto.
I costituenti secondari dell’olio extravergine di oliva appartengono a diverse classi e possono essere
distinti in composti saponificabili (fosfolipidi, cere e sfingolipidi) ed insaponificabili (idrocarburi,
tocoferoli, alcoli alifatici superiori, steroli, metilsteroli, alcoli diterpenici e triterpenici, vitamine,
pigmenti ed ubichinoni) (Tabella 1).
Tabella 1. Costituenti minori presenti nell’olio extra‐vergine di oliva.
a) Composti saponificabili
Fosfolipidi Fosfatidilcolina, fosfatidiletanolammina.
Chimicamente sono dei derivati dell’acido glicerofosforico, presenti in quantità variabili ma
mai elevate.
Cere Miscele complesse di esteri di acidi grassi a lunga catena con alcoli superiori. Costituiscono il
rivestimento protettivo della drupa.
Sfingolipidi Ammidi di acidi grassi con basi a lunga catena.
b) Composti insaponificabili
Idrocarburi Costituiscono oltre il 50% della frazione insaponificabile nell’olio extra‐vergine di oliva.
Tra gli idrocarburi saturi il nonacosano è il predominante, tra gli insaturi il componente più
presente è lo squalene (precursore biosintetico di tutti gli steroli).
Tocoferoli α‐, β‐ e γ‐tocoferolo. Sono responsabili della stabilità ossidativa dell’olio.
Alcoli alifatici superiori Docosanolo, tetracosanolo, esacosanolo.
Si trovano prevalentemente esterificati con acidi grassi e formano le cere che ricoprono il
frutto.
Steroli β‐sitosterolo si oppone all’assorbimento intestinale del colesterolo.
Campesterolo, stigmasterolo, ∆ 5‐avenasterolo.
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Metilsteroli Obtusifoliolo, gramisterolo, citrostadienolo, isocitrostadienolo.
Presenti in quantità molto basse (circa 150 ppm).
Alcoli terpenici Alcoli diterpenici, triterpenici, dialcoli triterpenici.
Il cicloartenolo (alcool triterpenico) favorisce l’eliminazione del colesterolo in seguito
all’aumento della secrezione degli acidi biliari.
Eritrodiolo ed uvaolo (dialcoli triterpenici) provengono dalla buccia.
Vitamine Liposolubili (A, D, PP, H).
Pigmenti Carotenoidi (β‐carotene, luteina) responsabili delle tonalità gialle dell’olio.
Clorofille (clorofilla, feofitine) responsabili delle tonalità verdi.
Ubichinoni Coenzima Q10 presente in quantità variabili da 0 a 40 ppm.
Chimicamente costituiti da un nucleo 2,3‐dimetossi‐5‐metilbenzochinone con una catena
laterale (in posizione 6) formata da 6 a 10 unità isopreniche.
1.2 La componente antiossidante dell’olio extra‐vergine di oliva: i composti a struttura fenolica
Nella frazione insaponificabile dell’olio extravergine di oliva si ritrovano i cosiddetti antiossidanti
naturali rappresentati da caroteni, tocoferoli e sostanze fenoliche idrofiliche. Questi antiossidanti
sono le molecole maggiormente correlate con le proprietà salutistiche dell’olio extravergine di oliva,
però bisogna sottolineare che mentre i tocoferoli ed i carotenoidi si possono ritrovare anche in altri
grassi vegetali o animali, le sostanze fenoliche idrofiliche sono presenti esclusivamente nell’olio
vergine ed extravergine di oliva. Queste sostanze chimiche appartengono a diverse classi come alcoli
alifatici e terpenici, steroli, cere, idrocarburi, carotenoidi, pigmenti, vitamine, composti volatili e
sostanze fenoliche. I carotenoidi e le clorofille caratterizzano il colore dell’olio, le clorofilla
conferiscono all’olio il colore verde, mentre i carotenoidi sono responsabili del colore giallo.
Mediamente la quantità di sostanze fenoliche presenti nell’olio extravergine di oliva oscilla tra 60 e
400 mg/Kg. Questi composti sono quelli maggiormente correlati con le proprietà salutistiche dell’olio.
I composti fenolici dell’olio extravergine di oliva si originano durante il processo di estrazione
meccanica dell’olio (principalmente durante la frangitura e la gramolatura) a partire da alcuni
composti presenti nel frutto dell’oliva in seguito all’azione di enzimi idrolitici (β‐glucosidasi) a partire
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da glucosidi complessi presenti nel frutto dell’oliva tra i quali emergono l’oleuropeina e la
dimetiloleuropeina; questi composti glucosidici sono anche i responsabili del sapore amaro delle
olive.
La composizione qualitativa e quantitativa delle sostanze fenoliche dell’olio vergine ed extravergine di
oliva dipende da molteplici fattori quali cultivar, metodo di coltivazione, grado di maturazione della
drupa, tecnologia di estrazione utilizzata, nonché modalità di conservazione dell’olio.
I composti fenolici e polifenolici dell’olio extra‐vergine di oliva, detti anche biofenoli, sono stati
individuati più di 100 anni fa da un chimico italiano, Canzonieri (1906)(1); da allora, e soprattutto negli
ultimi 50 anni, le ricerche in questo campo sono aumentate ed hanno portato alla conoscenza delle
principali strutture chimiche dei composti che costituiscono tale frazione (2,3). Attualmente i biofenoli
dell’olio extravergine di oliva vengono distinti in cinque classi principali (Tabella 2).
Tra i composti a struttura più semplice si considerano i fenil‐alcoli (i cui rappresentanti peculiari sono
l’idrossitirosolo ed il tirosolo) ed i fenil‐acidi che derivano dall’acido benzoico e cinnamico; tra le
molecole a struttura più complessa vi sono i flavonoidi (luteolina ed apigenina), i secoiridoidi (in
particolare gli agliconi dell’oleuropeina e del ligstroside con le relative forme dialdeidiche) ed i lignani
(pinoresinolo e acetossipinoresinolo).
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Tabella 2. Composti fenolici dell’olio extra‐vergine di oliva.
Acidi fenolici
e derivati
Acido vanillico
Acido siringico
Acido p‐cumarico
Acido o‐cumarico
Acido gallico
Acido caffeico
Acido p‐idrossibenzoico
Acido ferulico
Acido cinnamico
Acido benzoico
Alcoli fenolici Idrossitirosolo (3,4‐DHPEA)
Tirosolo (p‐HPEA)
3,4‐diidrossifeniletanolo glucoside
Secoiridoidi Forma dialdeidica del decarbossimetil oleuropeina aglicone (3,4‐DHPEA‐EDA)
Forma dialdeidica dell’oleuropeina aglicone
Forma dialdeidica del decarbossimetil ligstroside aglicone (p‐HPEA‐EDA)
Forma dialdeidica del ligstroside aglicone
Oleuropeina aglicone (3,4‐DHPEA‐EA)
Ligstroside aglicone (p‐HPEA‐EA)
Ligstroside
Oleuropeina
Lignani (+)‐1‐Acetossipinoresinolo
(+)‐Pinoresinolo
(+)‐Idrossipinoresinolo
Flavonoidi Apigenina
Luteolina
Non tutte le molecole fenoliche presenti nell’olio extravergine di oliva detengono lo stesso potere
antiossidante; sperimentalmente è stato dimostrato che il 3,4‐diidrossifeniletanolo (idrossitirosolo) o
molecole che nella loro struttura presentano gruppi ossidrilici in posizione 3 e 4 dell’anello benzenico
hanno una capacità antiossidante superiore.
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L’idrossitirosolo è il componente fenolico più importante ed esclusivo degli oli vergini ed extravergini
di oliva che, oltre ad aumentare la stabilità ossidativa degli oli in fase di conservazione, manifesta una
serie di proprietà salutistiche di grande interesse.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. F. Canzonieri. Gazz. Chim. Ital. 1906, 36, 372.
2. C. Cantarelli. Sui polifenoli presenti nella drupa e nell’olio di oliva. Riv. Ital. Sost. Grasse. 1961,
38: 69‐72.
3. G.F. Montedoro, C. Cantarelli. Indagine sulle sostanze fenoliche presenti nell’olio di oliva. Riv.
Ital. Sost. Grasse. 1969, 46, 115‐124.
1.3 Estrazione e separazione delle sostanze fenoliche dalla matrice oleosa e valutazione del contenuto
fenolico totale
Per estrarre le sostanze fenoliche dall’olio di oliva vengono utilizzate sostanzialmente due tecniche:
estrazione liquido‐liquido (LLE) con l’impiego di differenti miscele di solventi ed estrazione su fase
solida (SPE) con varie fasi stazionarie e miscele eluenti.
Tutte le tecniche LLE riportate in letteratura prevedono l’utilizzo di una miscela di metanolo ed acqua;
l’unica differenza tra questi metodi, riguarda la quantità di acqua presente nella miscela che va dallo
Idrossitirosolo(3,4 diidrossifeniletanolo)
Idrossitirosolo(3,4 diidrossifeniletanolo)
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0% al 40%. In alcuni casi prima di procedere con l’estrazione LLE viene aggiunto all’olio di oliva un
solvente lipofilico che può essere l’esano (nella maggior parte dei casi) o l’etere di petrolio o il
cloroformio; tale aggiunta viene effettuata al fine di migliorare la capacità di recupero delle sostanze
fenoliche.
Attualmente la maggior parte dei protocolli di LLE prevedono che l’aliquota di olio di oliva venga
disciolta in esano e poi venga aggiunta la soluzione metanolo/acqua. La miscela ottenuta viene agitata
su vortex per un minuto ed in seguito centrifugata a 3000 g per 5 minuti. Dopo la centrifugazione
viene recuperata la fase idroalcolica nella quale sono presenti le sostanze fenoliche (l’estrazione viene
ripetuta per 2 volte).
La frazione fenolica estratta viene concentrata sotto vuoto a 35 oC mediante evaporatore rotante (es.
ROTAVAPOR); questa apparecchiatura viene utilizzata comunemente per allontanare i solventi da una
soluzione di un composto di interesse tramite evaporazione a bassa pressione.
L’estratto fenolico, dopo essere stato risospeso in una soluzione metanolo/acqua, viene filtrato (con
filtro da 0,45 µm) e conservato a ‐20 oC.
L’estrazione delle sostanze fenoliche dalla matrice oleosa condotta su fase solida viene effettuata
utilizzando come fase adsorbente delle cartucce C18 (Octadecil‐silano) e come solvente di eluizione il
metanolo o l’acetonitrile.
Dal confronto tra i due metodi utilizzati per estrarre i composti fenolici dall’olio extra‐vergine di oliva
sono emersi risultati contrastanti. Infatti alcuni autori (Servili et al., 1999) (1) hanno dimostrato che
l’estrazione in fase liquida condotta con metanolo/acqua è molto più efficiente nel recupero dei
derivati dei secoiridoidi, mentre lo è molto meno per i fenoli semplici dell’olio extra‐vergine di oliva.
L’estrazione in fase solida presenta un comportamento opposto alla LLE. Tuttavia è stato osservato
che sostituendo il solvente di estrazione sia in fase liquida che solida con acetonitrile i risultati
cambiano nel senso che tra i due metodi non c’è alcuna differenza in termini di recupero delle
sostanze fenoliche presenti nella matrice oleosa.
1.4 Analisi spettrofotometrica della componente fenolica dell’olio di oliva
La concentrazione fenolica totale presente nell’olio extravergine di oliva può essere determinata
spettrofotometricamente con il metodo colorimetrico che prevede l’utilizzo del reattivo di Folin‐
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Ciocalteau sull’estratto fenolico ottenuto dall’olio di oliva. Questo metodo si basa sull’ossidazione
chimica dei composti fenolici da parte di una miscela ossidante costituita da acido fosfotungstico
(H3PW12O40) e fosfomolibdico (H3PMo12O40) che, riducendosi, forma una miscela di ossidi (W8O23 e
Mo12O40) colorata di azzurro che presenta un massimo assorbimento a 750 nm.
Prima della lettura allo spettrofotometro si costruisce una curva di calibrazione in funzione
dell’assorbanza a 750 nm di diverse soluzioni a concentrazioni crescenti di acido gallico.
Il valore di concentrazione dell’estratto fenolico dell’olio extravergine di oliva viene calcolato
mediante interpolazione dalla retta di calibrazione (Fig 1). Questo tipo di analisi è espresso mediante
dei coefficienti "K" che rappresentano l'assorbimento da parte dell'olio all'esposizione di luce
ultravioletta in particolari condizioni. Il coefficiente di estinzione molare alla lunghezza d'onda,
rispettivamente di 230 nm e di 270 nm, indica lo stato ossidativo dell'olio, poiché si possono formare
dieni e trieni coniugati durante l'ossidazione del prodotto. Tale metodica di analisi è in grado quindi
di stabilire la presenza di tagli ad oli extravergini, ed in primis stabilisce se si tratta di un olio di oliva
extravergine oppure di un qualsiasi altro olio di oliva. L'esame UV viene condotto sull'olio disciolto in
opportuno solvente (cicloesano o isoottano) nell'intervallo compreso tra 220 e 280 nm. Le lunghezze
d'onda più significative sono 232, 262, 268 e 274 nm. I valori di assorbimento vengono espressi come
assorbanza specifica o coefficiente di estinzione molare, intendendo con questa espressione
l'assorbanza ad una certa lunghezza d'onda di una soluzione all'1 % dell'olio in esame nel solvente
prescelto, osservata in una cella dello spessore di 1 cm.
Per quanto riguarda il solvente, il Metodo Ufficiale indica l'isoottano, mentre in passato era usato
generalmente il cicloesano.
Fig 1 : Analisi spettrofotometrica dell’olio extravergine di oliva
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Nell’analisi UV dell’olio si usa esprimere l'assorbanza specifica con la lettera K. Ad esempio K268 indica
l'assorbanza specifica dell'olio in esame alla lunghezza d'onda di 268 nm.
K268 = A (1 cm/1%(268 nm)) = A268/ C *b
dove A268 è il valore dell'assorbanza a 268 nm della soluzione dell'olio in esame, C la concentrazione
della soluzione espressa in g/100 ml e b lo spessore in cm della cella di quarzo nella quale viene
esaminata la soluzione dell'olio in esame.
1.5 Separazione e valutazione delle frazioni contenute nell’estratto fenolico dell’olio extravergine
di oliva
High Performance Liquid Chromatography (HPLC)
In letteratura sono riportati diversi metodi per la determinazione delle sostanze fenoliche presenti
nell’olio extravergine di oliva; le principali differenze tra i metodi proposti sono riconducibili a
differenti procedure per la separazione dei composti fenolici dalla matrice oleosa ed a diversi sistemi
di rivelazione per la valutazione qualitativa/quantitativa.
L’analisi della componete fenolica dell’olio extravergine di oliva viene effettuata essenzialmente
attraverso tecniche cromatografiche, di queste la più usata è la High Performance Liquid
Chromatography (HPLC) (Fig. 2) La cromatografia è un metodo chimico‐fisico di separazione che
sfrutta la tendenza delle varie sostanze a distribuirsi, secondo determinati rapporti tra due fasi
distinte e separate di cui una è mantenuta fissa e l’altra è mobile.
L’analisi HPLC consente la separazione dei singoli composti fenolici sulla base del diverso peso
molecolare e della differente polarità. I risultati quantitativi che si ottengono con questa tecnica non
sono direttamente confrontabili con quelli ottenuti mediante il metodo colorimetrico che fornisce
invece informazioni relative alla componente fenolica totale.
Il metodo strumentale dell’HPLC è il frutto dell’evoluzione tecnologica che la cromatografia su
colonna in fase liquida ha subito in tempi recenti e che ha trasformato la semplice colonna di vetro
contenente la fase fissa in apparecchi elettronici complessi.
In questa tecnica cromatografica i composti presenti in un solvente vengono separati sfruttando
l’equilibrio di affinità tra una fase stazionaria posta all’interno della colonna cromatografica ed una
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fase mobile che fluisce attraverso essa. La fase stazionaria è impaccata in una colonna chiusa con
materiali con granulometria molto fine (5‐10mm), in tal modo viene aumentata la superficie di
contatto tra fase mobile e fase stazionaria e l’impaccamento diventa più omogeneo. Utilizzando
queste colonne è necessario che la fase mobile venga fatta fluire ad alta pressione perché, attraverso
colonne con impaccamento a granulometria così fine, il flusso dell’eluente diventa molto lento. Con
l’impiego di pompe particolari, capaci di applicare pressioni di 50‐150 atm, si possono ottenere flussi
di alcuni ml/min, sufficienti ad ottenere l’eluizione in tempi brevi. Le fasi stazionarie utilizzate per la
separazione dei composti fenolici lavorano in fase inversa cioè sono meno polari delle fasi mobili. Le
sostanze più affini alla fase stazionaria rispetto alla fase mobile impiegano un tempo maggiore per
percorrere la colonna cromatografica (tempo di ritenzione) rispetto a quelle con bassa affinità per la
fase stazionaria ed alta per la fase mobile.
Fig 2: Schema generale di un apparecchio HPLC.
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Nell’HPLC il campione da analizzare viene caricato all’inizio della colonna cromatografica e viene
spinto attraverso la fase stazionaria dalla fase mobile applicando pressioni dell’ordine delle centinaia
di atmosfere mediante una pompa.
In un metodo di caricamento del campione si utilizza una microsiringa in grado di sostenere pressioni
elevate. Il campione viene iniettato attraverso un foro d’iniezione direttamente nella colonna o in uno
strato di materiale inerte immediatamente precedente la colonna. Questa operazione può essere
compiuta mentre il sistema è sotto alta pressione oppure si spegne la pompa prima dell’iniezione e
quando la pressione è scesa al valore di quella atmosferica si inietta il campione e si riaccende la
pompa. Quest’ultimo metodo viene chiamato iniezione a flusso interrotto.
Un altro metodo per introduzione del campione (il più usato in HPLC) è quello che utilizza un iniettore
a spirale costituito da un occhiello metallico inserito lungo il capillare che alimenta la colonna. In esso
viene introdotto il campione quindi, tramite una valvola, l’eluente viene incanalato nell’occhiello e
cosi il campione si trova ad essere spinto nella colonna dall’eluente stesso, senza che il flusso di
solvente si interrompa. La caratteristica principale del sistema di iniezione tramite loop è l’alta
riproducibilità dei volumi iniettati (Fig. 3)
Fig. 3: Sistema di iniezione con loop
La fase stazionaria e mobile in HPLC
Le colonne per HPLC sono di solito costruite in acciaio, ma esistono anche quelle in vetro borosilicato
che vengono impiegate soprattutto quando si lavora a pressioni non troppo elevate. Alle due
estremità delle colonne sono presenti dei setti perforati di acciaio inossidabile, o di teflon, che
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servono a trattenere il materiale in essa contenuto. I setti devono essere omogenei per consentire un
flusso uniforme di solvente.
La lunghezza delle colonne è di solito compresa tra 10 e 30 cm, ma è possibile disporre di colonne più
lunghe per particolari esigenze. Il diametro interno delle colonne è compreso tra 4 e 10 mm; quello
delle particelle del riempimento varia tra 3,5 e 10 µm. Esistono anche modelli di colonne, di recente
progettazione, più corte e sottili che permettono tempi di ridurre il tempo di analisi ed il consumo di
solvente.
Le colonne HPLC hanno una maggiore risoluzione dovuta all’impiego di fasi stazionarie suddivise
molto finemente allo scopo di aumentare la superficie di contatto tra fase mobile e fase stazionaria ed
avere un migliore impaccamento.
Per ottenere un’elevata efficienza nella separazione è necessario che le dimensioni delle particelle del
riempimento siano molto ridotte, per questo motivo è indispensabile applicare un’elevata pressione
se si vuole mantenere una ragionevole velocità di flusso dell’eluente e quindi un tempo di analisi
adeguato.
Le fasi stazionarie utilizzate per la separazione dei composti fenolici contenuti nell’olio extra‐vergine
di oliva lavorano in fase inversa (RP‐HPLC) ovvero sono meno polari della fase mobile.
Le fasi stazionarie inverse sono in genere formate da silice su cui sono legati dei gruppi non polari; tra
questi quelli più spesso legati alla superficie del supporto sono i gruppi organici: ‐CH3, ‐C8H17, ‐C18H37.
Di questi il gruppo a 18 atomi di carbonio (gruppo ottadecil) è il più frequente. I nomi comunemente
usati per questo tipo di fase stazionaria sono ODS e C18.
Con questo tipo di fase stazionaria non polare di solito l’eluizione viene condotta con fase mobile
polare, che è quasi sempre costituita da una miscela di un solvente polare e di uno non polare, in
modo da poterne variare la forza mediante la composizione (eluizione in gradiente di polarità). In
questo caso le sostanze polari presenti nel campione verranno eluite per prime dalla fase mobile.
I sistemi di rivelazione
La valutazione qualitativa e quantitativa delle separazioni cromatografiche si può ricavare
sottoponendo gli eluiti ad ulteriori misurazioni che possono essere eseguite in continuo. Queste si
possono ottenere facendo passare l’eluito attraverso un rivelatore strumentale che registra la
variazione di una determinata proprietà dell’eluito mentre questo lo attraversa.
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I rivelatori più ampiamente usati per l’HPLC si basano sulla misura dell’assorbimento della luce UV o
visibile da parte del campione da analizzare.
La variazione di una proprietà nel tempo può essere registrata su carta oppure immagazzinata in un
file di un computer; il grafico che si ottiene è formato da una serie di picchi e prende il nome di
cromatogramma.
L’analisi dei picchi cromatografici ci permette di individuare la presenza di uno specifico componente
(analisi qualitativa) e di quantificare le sostanze presenti nella miscela (analisi quantitativa). L’analisi
quantitativa può essere effettuata in base al fatto che il segnale prodotto dal rivelatore è, ad ogni
istante, proporzionale al flusso delle molecole eluite (cioè massa nell’unità di tempo, s = dm/dt); si
deduce che la quantità totale di sostanza eluita sarà data dall’integrale m = ∫s dt cioè dall’area della
curva sottesa al picco cromatografico.
Le tecniche HPLC adottate nella separazione e valutazione dei composti fenolici presenti nell’estratto
fenolico dell’olio extra‐vergine di oliva differiscono tra loro per il metodo di rivelazione applicato.
Il sistema di rivelazione più usato per l’identificazione delle sostanze fenoliche è quello ad
assorbimento a serie di diodi. Nel rivelatore a serie di diodi (DAD) la luce UV proveniente da una
lampada a deuterio passa attraverso una cella a flusso prima che venga scissa nelle sue componenti
attraverso un monocromatore a gradini. L’intensità della luce trasmessa ad ogni lunghezza d’onda
viene misurata simultaneamente attraverso un sistema di alcune centinaia di fotodiodi. Un computer
può processare, registrare e mostrare gli spettri di assorbimento in continuo durante l’analisi; inoltre
si possono registrare i cromatogrammi a ciascuna λ.
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Il rivelatore a serie di diodi risulta essere molto versatile (è possibile selezionare λ che vanno da 190 a
800 nm), molto sensibile (si può scegliere la λ ottimale per un analita) e piuttosto selettivo (quando si
hanno sovrapposizioni di picchi si può variare la λ in modo tale da minimizzare l’assorbimento degli
interferenti).
Alcuni autori (Mannino et al. 1993) (2) hanno utilizzato un rivelatore elettrochimico (EC) per l’analisi
delle sostanze fenoliche (Fig.4). Questo rivelatore permette l’analisi di composti elettroattivi che
possono essere ossidati o ridotti. I fenoli fanno parte di quei composti che possono essere ossidati
elettrochimicamente. Un potenziale costante viene mantenuto tra l’elettrodo di lavoro e quello di
riferimento; la corrente prodotta dalla reazione di ossidazione o riduzione dell’analita viene misurata
tra l’elettrodo di lavoro ed il controelettrodo ed è proporzionale alla concentrazione di analita
presente nel campione.
La comparazione tra il detector UV a serie di diodi e quello EC ha mostrato che quest’ultimo è molto
sensibile ed è capace di rivelare quantità minime di sostanze fenoliche (Tsimidou et al., 1996 e Brenes
et al, 2000) (3, 4).
Fig. 4: Rivelatore elettrochimico
Negli ultimi anni alcuni ricercatori (Cartoni et al, 2000) (5) hanno proposto l’utilizzo di un detector
fluorimetrico per la valutazione delle sostanze fenoliche (Fig. 5).
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Il principio di funzionamento del detector a fluorescenza è il seguente: la luce UV proveniente da una
lampada (filtrata alla opportuna λ) o da un laser passa attraverso la cella a flusso; quando un
campione fluorescente passa attraverso la cella, assorbe la radiazione, viene eccitato e quindi
emetterà la radiazione di fluorescenza ad una maggiore λ. L’intensità della luce emessa viene
misurata attraverso un fotomoltiplicatore posto a 90o rispetto al fascio incidente.
L’utilizzo del rivelatore a fluorescenza si è dimostrato molto efficace per la valutazione dei composti
fenolici rispetto agli altri tipi di detectors (in particolare per i lignani) (Brenes et al. 2000) (4).
Fig. 5: Schema rappresentativo di un detector fluorimetrico.
Un altro tipo di rivelatore utilizzato per l’identificazione delle sostanze fenoliche presenti nell’olio
extra‐vergine di oliva è lo spettrometro di massa applicato all’HPLC (HPLC‐MS). Lo spettrometro di
massa misura il rapporto massa/carica (m/z) degli ioni che vengono prodotti dal campione.
Per ottenere uno spettro di massa le molecole, portate in fase gassosa, vengono ionizzate in una
sorgente di ionizzazione. Una delle sorgenti più comuni è quella ad impatto elettronico (EI) (Fig. 5)
nella quale le molecole vengono bombardate con un fascio di elettroni ad alta energia. Quando gli
elettroni ad alta energia interagiscono con una molecola, non solo si ha la sua ionizzazione, ma alcuni
legami si rompono e si formano cosi anche dei frammenti che sono comunque molto utili per
l’identificazione delle specie molecolari che entrano nello spettrometro di massa. Anche se nella
sorgente ionica vengono prodotti contemporaneamente sia ioni positivi che negativi, viene scelta solo
16
una polarità e lo spettro consisterà o di soli ioni positivi o di soli ioni negativi. Le molecole non
ionizzate ed i frammenti neutri vengono allontanati dal sistema di pompaggio dello strumento. Gli
spettri di massa di ioni positivi sono quelli più comunemente misurati con la tecnica EI, dato che il
numero di ioni negativi generati è decisamente minore rispetto a quello degli ioni positivi. Questi
ultimi vengono guidati nell’analizzatore mantenendo la sorgente ionica ad un potenziale positivo
rispetto a quello dell’analizzatore e focalizzando il fascio ionico mediante opportuni potenziali
applicati ad un sistema di lenti situate tra la sorgente e l’analizzatore. Il ruolo dell’elettrodo repulsore,
al quale viene applicato un potenziale positivo, è quello di provocare l’espulsione degli ioni dalla
sorgente ionica. Gli ioni negativi e gli elettroni vengono attratti sull’elettrodo collettore degli elettroni
carico positivamente.
Fig. 5 Ionizzazione ad impatto elettronico.
Un’altra tecnica di ionizzazione largamente usata in HPLC (più soft rispetto all’impatto elettronico) è
l’Elettrospray Ionization (ESI) (Fig. 6) nella quale le frazioni in uscita dall’HPLC passano attraverso un
capillare a pressione atmosferica mantenuto ad alto voltaggio. L’alto voltaggio disperde il flusso del
liquido e lo trasforma in tante piccole goccioline altamente caricate e del diametro di alcuni µm.
L’evaporazione del solvente causa un’ulteriore riduzione del diametro delle gocce e quindi un
aumento della densità di carica. L’aumento delle cariche sulla superficie delle gocce induce una forza
repulsiva che culmina con una esplosione coulombiana, che riduce ulteriormente il diametro delle
gocce.
17
Questo processo continua fino a che le gocce non sono abbastanza piccole da permettere allo ione
dell’analita il passaggio alla fase gassosa. Per facilitare la formazione delle gocce in uscita dal capillare
può essere aggiunto un flusso nebulizzato di azoto. In alcuni casi, per facilitare il processo di
evaporazione del solvente, all’ingresso del capillare viene applicato un flusso di azoto anidro.
Fig. 6: Elettrospray ionization
Il campione, ionizzato mediante esplosione coulombiana, viene posto nelle condizioni ottimali per
essere analizzato.
L’analizzatore di massa separa gli ioni sulla base dei loro valori m/z. I più comuni analizzatori sono il
filtro di massa a quadrupolo e la trappola ionica, dove avviene l’immagazzinamento degli ioni nello
spazio compreso tra l’elettrodo anulare e l’elettrodo di chiusura terminale.
Il campo elettrico oscillante espelle sequenzialmente gli ioni con valori m/z crescenti.
L’accoppiamento HPLC‐MS è stato tentato già molti anni fa (fine anni ’60) ma soltanto dalla metà
degli anni ’70 sono apparse le prime pubblicazioni scientifiche.
Le difficoltà di tutti i metodi HPLC‐MS derivano dal fatto che in HPLC si utilizzano solventi molto
diversi, in funzione del tipo di analisi (es. acqua, solventi organici, tamponi); inoltre i flussi di solvente
in HPLC sono molto più elevati rispetto a quelli richiesti per lo spettrometro di massa. Per accoppiare
18
le due tecniche sono necessarie opportune interfacce che oltre a ridurre i flussi devono consentire
anche la vaporizzazione degli analiti mediante riscaldamento.
Anche se l’HPLC‐MS permette di ottenere ottimi risultati viene poco utilizzata per compiere analisi di
tipo routinario sui composti fenolici presenti nell’olio extra‐vergine di oliva, questo perché si tratta di
apparecchi molto costosi e di difficile gestione.
Per tale motivo si preferisce impiegare l’HPLC accoppiata al rivelatore UV visto che questo sistema ha
una facile gestione e consente di ottenere buoni risultati a bassi costi.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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olive oil: distribution in the costitutive parts of fruit and evolution during oil mechanical
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virgin olive oil by RP‐HPLC. Grasas y Aceites 47 (1996) 151‐157
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vegetable oils. Ital. J. Food Sci. 2000, 12, 163‐173.
19
2. VALUTAZIONE BIOCHIMICA E BIOLOGICO MOLECOLARE DEL VALORE ANTIOSSIDANTE DEI
COSTITUENTI MINORI E DELL’IMPATTO SULLA BIOENERGETICA CELLULARE
I fenoli (tirosolo e idrossitirosolo) sono un gruppo diversificato di composti contenenti un anello
aromatico con uno più sostituenti ossidrilici. Il gruppo funzionale caratteristico dei composti fenolici è
un ossidrile (–OH) legato direttamente a un carbonio di un anello benzenico (Fig 1).Tale struttura
influenza le proprietà di questi composti poiché il gruppo ossidrilico attiva le reazioni di sostituzione
elettrofila nell’anello aromatico in quanto vi è la presenza di elettroni “mobili” o “disponibili”.
Le molecole con attività caratteristiche della struttura o‐diidrossi, sono caratterizzate da un elevata
attività antiossidante dovuta alla formazione di legami idrogeno intramolecolari durante la reazione
con i radicali liberi. La capacità di donatore idrogeno e l’inibizione dell’ossidazione cresce con
l’aumentare dei gruppi idrossido nei fenoli, conferendo alla presenza di un singolo gruppo idrossido
una limitata attività antiossidante, e tra i diversi composti è stata individuata una maggiore attività
antiossidante per quelli dotati di due ossidrili in posizione orto, in virtù di una maggiore capacità di
delocalizzazione della forma radicalica. Molte sostanze presenti in natura nei vegetali hanno la
capacità di reagire con i radicali liberi. Alcune di esse interrompono le reazioni a catena che portano
alla formazione di ulteriori radicali, impedendo così la propagazione del danno cellulare; altre
svolgono una funzione di scavenger dei ROS, ossidandosi a loro volta e richiedendo di essere
rigenerate per riacquistare la loro funzione.
Fig 1: composti chimici del tirosolo e idrossitirosolo
20
A questi composti fenolici, sono stati attribuiti effetti rilevanti nella prevenzione primaria e secondaria
di alcuni importanti patologie cardiovascolari, oncologiche, invecchiamento precoce, degenerative del
sistema nervoso, e più recentemente anche nella spermatogenesi, tutte patologie legate alla presenza
eccessiva di “radicali liberi” e proossidanti non radicalici ed ai loro effetti degenerativi. La dieta
mediterranea è associata ad una più bassa incidenza di diverse tipologie tumorali (prostata, polmone,
laringe, ovaio, seno, colon) ma non solo, anche di malattie cardiovascolari e neurodegenerative,
invecchiamento precoce, tutte condizioni associate a stress ossidativo (Visioli et al 1998; Owen et al
2000; Hodge et al 2004; Fortes et al 2003; Bosetti et al 2002 a, b; Trichopoulou et al 1995; Stoneham
et al 2000).
Tra i differenti composti fenolici presenti nell’olio di oliva l’idrossitirosolo è quello maggiormente
studiato ed è stato dimostrato possedere proprietà antiaterogeniche.
L’aumento del consumo di polifenoli, si associa una riduzione del rischio di malattie cardiovascolari,
di tumori, di disordini neurodegenerativi, dell’aterosclerosi, suggerendo che gli effetti benefici siano
da attribuirsi, soprattutto, alla capacità dei polifenoli di combattere lo stress ossidativo che
caratterizza e accomuna queste patologie. Il loro potere antiossidante dipende dal numero di anelli
fenolici, dal numero e posizione di gruppi idrossilici e di doppi legami presenti nella molecola ed è
determinato in particolare dalla presenza di un anello‐B diidrossilato (gruppo catecolico), di
un’insaturazione in posizione 2,3 associata ad una funzione 4‐carbonilica nell’anello ‐C e di gruppi
funzionali capaci di chelare i metalli di transizione. Le proprietà antiossidanti sono state considerate
per molto tempo la principale funzione dei polifenoli, ma, alla luce di nuovi dati sperimentali, questo
sembra essere un modo troppo semplice e riduttivo di considerare la loro attività. Nei sistemi biologici
complessi, i polifenoli possono avere una serie di effetti non ascrivibili alla sola attività antiossidante.
Questa argomentazione è sostenuta per lo meno da due osservazioni. Innanzitutto essi vengono
metabolizzati in vivo originando spesso sostanze che perdono il potenziale antiossidante originale.
Inoltre le loro concentrazioni e quelle dei loro metaboliti, nel plasma o nei tessuti, sono molto basse
rispetto a quelle di altri antiossidanti, come l’acido ascorbico e l’α‐tocoferolo, rendendo improbabile
che i polifenoli possano competere con essi. Viceversa tali concentrazioni potrebbero consentire loro
di avere attività farmacologiche e di modulare varie funzioni cellulari. È stato infatti dimostrato che i
polifenoli sono in grado di modulare l’espressione e/o l’attività di enzimi come telomerasi,
ciclossigenasi, lipossigenasi, xantina ossidasi, metalloproteinasi, enzima di conversione
21
dell’angiotensina, protein chinasi, di interagire con le vie di trasduzione del segnale, con i recettori
cellulari, con le vie apoptotiche caspasi‐dipendenti, con la regolazione del ciclo cellulare e con
l’induzione di enzimi detossificanti. Essi inoltre sono in grado di aumentare la produzione di
vasodilatatori, come l’ossido nitrico, influenzare la funzione delle piastrine e competere con il
glucosio nel trasporto attraverso la membrana. Effetti dei polifenoli sulle attività enzimatiche
correlate al glutatione, in particolare sulla glutatione perossidasi, sono stati dimostrati anche in studi
in vivo, sia in modelli animali che nell’uomo.
Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) sono responsabili delle reazioni da stress ossidativo coinvolte in
tutte le forme patologiche prima elencate. Le principali fonti delle specie reattive dell’ossigeno
nell’organismo sono tutte le reazioni conseguenti alla catena respiratoria, alla fagocitosi, alla sintesi
delle prostaglandine, al sistema del citocromo P450; in tutte queste reazioni una piccola parte
dell’ossigeno sfugge alla normale utilizzazione portando così alla formazione di composti instabili ed
altamente reattivi. È noto che a livello cellulare circa il 5% del metabolismo dell’ossigeno si svolge
attraverso reazioni di riduzione implicanti il trasferimento di un solo elettrone e la formazione a
cascata di diverse forme radicaliche endogene (ROO●, ●O2‐,
●OH) ed esogene (NO
●, ●ONO‐
2), che
principalmente si situano intorno alla struttura mitocondriale ma possono distribuirsi anche in vari
distretti cellulari (Davies 1993; Nohl et al 2005) in relazione alla loro polarità (neutra nel caso di
radicale ossidrilico, polare come anione superossido). Queste sostanze reagiscono con molecole
organiche creando così uno stato di “proossidazione” all’interno della cellula e soprattutto nei suoi
diversi compartimenti vitali: tra questi composti la struttura più reattiva è il radicale ossidrilico la cui
semivita è stata valutata in circa 10‐9sec. La conseguenza di tale fenomeno è che tali composti
funzionali divengono essi stessi dei radicali. Come già ricordato i substrati maggiormente interessati,
con effetti e conseguenze patologiche, sono proteine e lipidi ma anche amminoacidi, acidi nucleici e
nucleotidi. I prodotti di ossidazione delle sostanze lipidiche (idroperossidi ed aldeidi) interagiscono
con il DNA ed alcuni carboidrati. I danni provocati toccano diversi aspetti della funzionalità primaria e
secondaria cellulare (mutagenesi ed incremento del turnover, decremento delle attività enzimatiche,
danni alle membrane, alterazione delle LDL e delle lipoproteine in generale, alterazione dei recettori‐
trasmettitori ed infine riduzione della viscosità dei fluidi). Per far fronte ad un eccesso di produzione
di radicali liberi, l’organismo umano ha sviluppato sofisticati meccanismi allo scopo di mantenere
22
l’omeostasi redox, aumentando l’eliminazione dei radicali o bloccandone la produzione. Essi
comprendono difese antiossidanti endogene, enzimatiche e non, alle quali si affiancano difese
esogene, per lo più rappresentate da antiossidanti assunti con la dieta (Benzie 1999; Yao et al 2004;
Porrini et al 2005). Tra questi ultimi, i polifenoli naturali sono stati largamente oggetto di studio, non
solo per le loro forti capacità antiossidanti ma anche, recentemente, per altre proprietà che
conferiscono loro la capacità di modulare diverse attività cellulari.
Il diverso potenziale antiossidante delle numerose molecole (poli)fenoliche dipende in parte dalla
stessa struttura molecolare, dalla loro interazione con altre strutture antiossidanti (effetto sinergico),
dalla partizione tra la fase acquosa e quella lipidica in sistemi complessi come il cibo, ma, più
direttamente, dalla presenza di gruppi metossilici (●OCH
3), di due o più ossidrili in posizione vicinale
(incremento della stabilità dei radicali ossidrilici per formazione di legami idrogeno intramolecolari).
I polifenoli agiscono principalmente donando radicali idrogeni a radicali perossidi (ROO•) formatisi
durante lo step iniziale di ossidazione lipidica e successivamente formando un radicale stabile (A•)
attraverso la reazione:
ROO• + AH →ROOH + A• (Fig 2)
Le cellule rispondono allo stress ossidativo attivando la trascrizione di geni coinvolti nella risposta
antiossidante. L’espressione della maggior parte di questi geni è regolata dal fattore trascrizionale
Nrf2 (nuclear related factors 2). Nrf2 in condizioni basali è sequestrato nel citoplasma da Keap1
(Kelch‐like ECH‐associated protein 1), una proteina del citoscheletro che possiede alcuni residui di
cisteina con funzione di “sensori” (Itoh et al 1999). Lo stress ossidativo, modificando tali cisteine,
induce il distacco di Nrf2 che può così migrare nel nucleo (Dinkova‐Kostova et al 2002) e legarsi agli
elementi di risposta antiossidante o antioxidant responsive elements (ARE), sequenze geniche
localizzate nel sito del promotore di alcuni geni indotti da stress ossidativo e chimico. Nrf2 svolge un
ruolo critico nella regolazione dell’espressione dei geni che codificano per la famiglia delle GST (enzimi
di fase 2), per l’NAD(P)H chinone ossidoreduttasi (Kobayashi and Yamamoto 2005), per altri enzimi
della fase 2 (l’UDP glucoronil‐trasferasi 1A6 e l’aldeide reduttasi) e per proteine antiossidanti quali
l’emeossigenasi 1 (HO‐1), la superossido dismutasi, la catalasi, la glutatione perossidasi, la
tioredossina (Kobayashi and Yamamoto 2005). Inoltre Nrf2 controlla sia l’induzione che il livello basale
23
dell’espressione di geni che codificano enzimi coinvolti nella biosintesi del glutatione (GSH), in
particolare del gene della γ‐glutamil cisterna sintasi (γ‐GCS) e del gene x‐CT che codifica per una
subunità del trasportatore proteico dimerico cistina/glutammato (Moll et al 2005).
In pazienti ad elevato rischio di malattie cardiovascolari il consumo di olio d'oliva è associato a più alti
livelli plasmatici di antiossidanti, riduzione della proteina C reattiva (hs‐CRP) e peso corporeo, fattori
di rischio per tali malattie (Razquin et al 2009). Il meccanismo con cui l'olio d'oliva aumenta l'attività
degli enzimi antiossidanti sembra essere mediata da un aumento dell'attività di Nrf2 (Travis and
Rachakonda 2011). Topi knock‐out per Nrf2 esposti a irradiazione toracica simile a quella di pazienti
con cancro, vivono 35 o più giorni in meno rispetto ai topi con una normale espressione genica di
Nrf2. Un recente studio su modelli animali ha osservato una correlazione tra il consumo a lungo
termine di olio d'oliva (4,5 mesi), aumento dei livelli di Nrf2 e dei prodotti genici ad esso associati GST,
γ‐GCS, NQO1 (Bayram et al 2012).
Quindi la qualità dell’olio extravergine di oliva è strettamente legata all’attività antiossidante svolta
dalle sostanze fenoliche idrofiliche in esso contenute. La produzione incontrollata dei radicali liberi
dell’ossigeno può provocare gravi danni all’organismo umano il quale, però si difende, in parte con gli
antiossidanti di natura congenita e assunti con l’alimentazione. Si comprende da ciò quanto
importante sia migliorare il patrimonio antiossidante, ma non potendo noi influire sulla componente
costituzionale, dovremmo cercare di incrementarne l’assunzione alimentare in modo da mantenere in
costante equilibrio la bilancia ossidativa. Per questa ragione negli ultimi anni i cibi ricchi di composti
antiossidanti, frutta, verdura e olio di oliva, hanno ricevuto particolare attenzione, in particolare un
ruolo molto importante è stato attribuito all’olio extravergine di oliva. L’olio extravergine di oliva è un
tipico componente della dieta mediterranea e ad esso sono state attribuite diverse proprietà
antitumorali. Gli studi condotti da Martin Moero et al., 1994; Trichopoulou et al., 1995 e La Vecchia et
al., 1995 dimostrano che l’aggiunta di olio di oliva nella dieta riduce il rischio di tumori al seno, il
risultato è stato poi confermato da studi condotti da altri autori Lipworth et al., 1997 e Kushi e
Giovannucci nel 2002. L’olio di oliva è risultato essere coinvolto anche nella prevenzione di altri tipi di
tumori che si originano negli organi più disparati come pancreas (Soler et al.,1998), cavità orale e
esofago (Bosetti et al., 2003), colon retto (Stoneham et al., 2000), prostata (Tzonou et al., 1999;
Hodge et al., 2004) e polmoni (Fortes et al., 2003). Studi condotti su modelli animali hanno dimostrato
che la somministrazione dell’olio di oliva è in grado anche di contrastare i danni provocati dalle
24
radiazioni UV a carico dell’epidermide (Ichihashi et al., 2003), e risulta essere un fattore di
prevenzione per il cancro del colon nei ratti (Bartoli et al., 2000). L’effetto protettivo svolto dall’olio
nei confronti di queste gravi malattie viene attribuito alle sostanze fenoliche, in particolare
all’idrossitirosolo piuttosto che a agli acidi grassi insaturi in esso contenuto. L’azione protettiva svolta
dalle sostanze fenoliche contenute nell’olio sono molteplici. I composti fenolici sono responsabili della
riduzione della perossidazione dei fosfolipidi liposomiali (Aschbach et al., 1994), limitano la
perossidazione delle LDL (Grignaffini et al., 1994; Visioli et al., 1995), limitano l’aggregazione
piastrinica che conduce alla formazione delle placche aterosclerotiche, fenomeno che viene attivato
dalla liberazione del trombossano derivato dell’acido arachidonico per azione della ciclossigenasi, in
particolare il 3,4‐DHPEA inibisce l’enzima ciclossigenasi (azione aspirina simile), limitando così
l’aggregazione delle piastrine (Manna et al., 1999; Petroni et al., 1995). Inoltre i composti fenolici
impediscono l’ossidazione delle basi azotate del DNA causata dalla perossido nitrico (Dejana et al.,
1999), la produzione dei radicali liberi nella matrice fecale (Owen et al., 2000), coinvolti nei tumori
dell’intestino, inibiscono i processi infiammatori in modelli animali (Martinez‐Dominquez et al., 2001).
Recentemente studi in vitro hanno aperto, interessanti prospettive sul ruolo svolto dal 3,4‐DHPEA nei
confronti dell’inibizione della proliferazione cellulare incontrollata, infatti bloccano il ciclo cellulare in
fase G0/G1 inducendo l’apoptosi nelle cellule (HL 60) tumorali (Fabiani et al., 2002).
In questo senso numerosi studi sono stati condotti sulle proprietà antiossidanti delle sostanze
fenoliche presenti nel VOO, da questi studi è emerso che la concentrazione totale dei composti
fenolici, espressa come polifenoli totali, è strettamente correlata anche con lo shelf‐life dell’olio
stesso. Studi in vivo hanno indicato che la somministrazione di HT migliora il profilo lipidico nel
sangue di antiossidanti e riduce lo sviluppo delle lesioni aterosclerotiche in un modello animale di
aterosclerosi indotta (Granados‐Principal et al 2010). L’idrossitirosolo è anche molto efficace nel
proteggere l'aorta dallo stress ossidativo mediato dalla NO (Rietjens et al 2007); inibisce l’espressione
sulla superficie cellulare di molecole di adesione pro‐aterogeniche come le ICAM‐1, VCAM‐1 e E‐
selectina in cellule endoteliali umane da cordone ombelicale (Dell’Agli et al 2006). In cellule
endoteliali vascolari l’HT stimola efficientemente la proliferazione cellulare, promuove la riparazione
delle ferite, protegge le cellule dal danno indotto da ossidanti attraverso i pathways ERK1/2 e
PI3K/Akt che portano all’attivazione di Nrf2 ed induzione di HO‐1 (Zrelli et al 2011). In cellule THP‐1 il
25
trattamento con idrossitirosolo riduce drasticamente la produzione di NO e la formazione di ROS
indotta da LPS inducendo un aumento dei livelli di GSH in cellula (Zhang et al 2009).
Assunto con la dieta, l’idrossitirosolo viene assorbito e in parte metabolizzato a livello epatico e
intestinale, in glucuronide coniugato e in HVA, alcol omovanillico; insieme ai suoi metaboliti si
distribuisce nei vari organi, concentrandosi preferenzialmente a livello renale prima di essere escreto.
In cellule renali (LLC‐PK1) l’idrossitirosolo e il suo metabolita HVA sono in grado di proteggere tali
cellule dal danno ossidativo indotto dal H2O2 inibendo la perossidazione lipidica e modulando i segnali
cellulari implicati nella risposta allo stress ossidativo. Il pretrattamento con idrossitirosolo protegge i
lipidi di membrana dall’azione ossidante del H2O2, viene preservata la concentrazione di colesterolo,
degli acidi grassi insaturi e dell’α‐tocoferolo e si produce una quantità significativamente minore di
prodotti di ossidazione. L’HVA mostra un’azione meno efficace dell’idrossitirosolo nel conservare
l’integrità della membrana, ma comunque significativa. Tra le varie proteine coinvolte nella risposta
allo stress ossidativo sono particolarmente importanti le MAPK (come ERK e JNK) e la proteina chinasi
B/Akt (Akt/PKB), i cui pathways regolano la sopravvivenza o la morte cellulare; l’H2O2 è capace di
attivare o disattivare queste proteine, interferendo con le vie di segnalazione che queste controllano.
I due fenoli proteggono la cellula dalla morte indotta dai radicali liberi e inibiscono il cambiamento di
fosforilazione indotto dal H2O2, per le proteine ERK1/2, JNK e Akt/PKB; anche in questo caso
l’idrossitirosolo ha un’attività maggiore dell’HVA. È molto probabile quindi che l’effetto protettivo
degli antiossidanti naturali, così come quello dell’idrossitirosolo e dell’HVA, in sistemi biologici più
complessi e in vivo, sia il risultato di diversi meccanismi d’azione che contrastano in modo diretto o
indiretto l’azione dell’agente ossidante. L’idrossitirosolo ha mostrato un’elevata azione protettiva,
l’HVA, benché meno attivo, ha mostrato comunque un’attività antiossidante significativa a
concentrazioni biologicamente rilevanti.
Wartela et al dimostrano una differente attività antiossidante di HT e TY in cellule di mammella. L’ HT
è un più efficiente scavenger di radicali liberi rispetto al tirosolo, ma entrambi non riescono a
influenzare la proliferazione cellulare, fasi del ciclo cellulare e apoptosi in cellule epiteliali mammarie
umane (MCF10A) o cellule tumorali di mammella (MDA‐MB‐231 e MCF7). L’HT riduce i livelli di ROS in
cellule MCF10A ma non in cellule MCF7 e MDA‐MB‐231 mentre concentrazioni molto elevate di
tirosolo sono necessarie per diminuire il livello di ROS in cellule MCF10A. L’HT, inoltre, previene i
danni ossidativi del DNA in tutte le linee cellulari di mammella. Pertanto l’idrossitirosolo potrebbe
26
contribuire ad una minore incidenza di cancro al seno nelle popolazioni che consumano olio di oliva
vergine per la sua attività antiossidante e la sua protezione contro danno ossidativo al DNA in cellule
mammarie (Wartela et al 2011).
Fig 2: Ruolo dei polifenoli nei processi di perossidazione lipidica
L’HT, a lungo considerato soltanto un potente antiossidante, in realtà è in grado di agire come
nutriente a target mitocondriale fornendo un nuovo meccanismo di efficacia della dieta mediterranea
nel ridurre il rischio di diverse malattie tra cui malattie cardiovascolari, cancro, diabete e obesità. E’
noto che la malattia cardiovascolare è la complicanza più comune e più grave del diabete e
dell’obesità. Poiché la respirazione mitocondriale svolge un ruolo fondamentale nel metabolismo del
glucosio, una disfunzione mitocondriale è associata al diabete e obesità (Bendini et al 2007; Fito et al
2007; Wahle et al 2004). È stato osservato che l'espressione di fattori di regolazione per la biogenesi
mitocondriale sono ridotti nel tessuto adiposo dei soggetti diabetici ed obesi (Hammarstedt et al
2003; Semple et al 2004). Hao et al hanno dimostrato, in adipociti della linea 3T3‐L1, che il
trattamento con HT porta ad un miglioramento della funzione mitocondriale stimolando la biogenesi
mitocondriale. L’HT promuove l’espressione della proteina PPARGC1α, regolatore chiave della
biogenesi mitocondriale e dei suoi bersagli a valle, Nrf1 Nrf2 e il fattore di trascrizione mitocondriale
27
(Tfam). Inoltre, l’HT incrementa il mtDNA; promuove l’espressione di proteine del complesso
mitocondriale I, II, III, IV e V, e numero e massa mitocondriale. L’HT up‐regola l'espressione di
proteine e di geni legati all’ossidazione degli acidi grassi nello specifico Pparα, Cpt1 e Pparγ,
adipogenesi e funzione mitocondriale, comprese le attività dei complessi mitocondriali I, II, III, IV e V,
consumo di ossigeno, e riduce il contenuto in acidi grassi liberi (FFA). HT attiva la fosforilazione della
proteina chinasi AMP dipendente (AMPK) e acetil‐CoA carbossilasi (ACC) (Hao et al 2010).
La Dieta mediterranea, con un elevato apporto di idrossitirosolo, può stimolare la funzione (aumento
dell’ossidazione di acidi grassi) e la biogenesi mitocondriale e, quindi, ridurre il rischio di obesità e
diabete, con un ridotto rischio di malattie cardiovascolari.
Sembra che la biogenesi mitocondriale e il sistema antiossidante di Fase II siano strettamente
connessi ed accoppiati perché PPARGC1α è stato dimostrato sopprimere i ROS e la
neurodegenerazione (St‐Pierre et al 2006). Pertanto, è possibile che HT, un potente antiossidante e
attivatore degli enzimi di Fase II, possa aumentare la biogenesi mitocondriale e migliorare la funzione
mitocondriale sopprimendo i ROS e stimolando il sistema di Fase II per rafforzare le difese
antiossidanti della cellula, oltre al suo effetto diretto sull’assemblaggio mitocondriale.
In cellule di epitelio pigmentato retinico umano (ARPE‐19) l’HT protegge dal danno ossidativo e
disfunzione mitocondriale indotta dall’acroleina (Liu et al 2007). Due sono le vie attivate dall’HY per
proteggere tali cellule dal danno ossidativo: 1) i sistemi antiossidanti endogeni, inclusi enzimi
detossificanti di fase II, antiossidanti mitocondriali e catalasi, 2) la biogenesi mitocondriale. L’HT
significativamente aumenta la traslocazione nucleare di Nrf2 promuovendo l’espressione e l’attività
degli enzimi di Fase II GCL, NQO1 e HO‐1 con conseguente miglioramento del sistema di difesa
antiossidante. Quindi conferisce un’ulteriore protezione antiossidante oltre alle sue attività diretta di
scavenger di radicali liberi. L’HT promuove la biogenesi mitocondriale: up‐regola AMPK e eNOS,
stimola l'espressione di PPARGC1α, il fattore chiave per la biogenesi mitocondriale, e l’espressione
proteica di Tfam, un fattore di trascrizione chiave coinvolto nella biogenesi mitocondriale e del gene
bersaglio PPARGC1α. Inoltre l’HT aumenta i livelli di proteina mitocondriale dei complessi I, II, III e V.
L’HT up‐regola l’espressione del gene UCP2, anch’esso gene bersaglio di PPARGC1α coinvolto nella
funzione mitocondriale (Zhu et al 2010). Oltre alla classica azione antiossidante sono state descritte
anche azioni proossidanti dei polifenoli, che possono, quindi, avere effetti opposti sui processi
28
fisiologici cellulari di base. Infatti, se da un lato, come antiossidanti, possono migliorare la
sopravvivenza cellulare, dall’altro, come proossidanti, possono indurre apoptosi, necrosi o arresto
della proliferazione cellulare (Lambert et al 2005).
E' generalmente accettato che i composti fenolici dell'olio di oliva possano esercitare la loro attività di
prevenzione del cancro, agendo sia come composti anti‐iniziazione che anti‐promozione/progressione
(Hashim et al 2005). Uno dei possibili meccanismi anti‐promozione/progressione è rappresentato
dalla capacità di fenoli dell'olio di oliva di interferire con la proliferazione e l'apoptosi delle cellule
tumorali.
L'idrossitirosolo ortodifenolo (3,4‐diidrossifeniletanolo (3,4‐DHPEA)), è abbondantemente presente
nell’olio di oliva sia come composto libero che legato alla forma dialdeidica dell'acido elenolico legata
al 3,4‐DHPEA (3,4‐DHPEA‐EDA), e come isomero dell’oleuropeina aglicone (3,4‐DHPEA‐EA) (Servili and
Montedoro 2002).
Il 3,4‐DHPEA inibisce la proliferazione ed induce apoptosi in diverse linee cellulari tumorali (Bernini et
al 2011; Corona et al 2009; D’Angelo et al 2008; Fabiani et al 2002, Fabiani et al 2008; Hashim et al
2005). Tuttavia, i risultati ottenuti su cellule tumorali derivate da differenti organi sono in disaccordo.
In cellule di leucemia promielocitica (HL60) il trattamento con 100 µM di 3,4‐DHPEA inibisce la
crescita ed induce una massiccia apoptosi (Della Ragione et al 2000; Fabiani et al 2002).
In cellule HL‐60, il 3,4‐DHPEA altera la progressione del ciclo cellulare, inibendo la transizione di fase
G1‐S e modifica l'espressione di proteine regolatrici del ciclo cellulare, riducendo l’espressione della
chinasi ciclina‐dipendente 6 (CDK6) e aumentando l’espressione di inibitori delle CDK p21WAF1/Cip1 e
p27 Kip1 (Fabiani et al 2008). Al contrario, un comportamento diverso è stato riportato per cellule di
cancro al seno della linea MCF‐7 e SKBR3 che risultano resistenti al trattamento con 100 µM di 3,4 ‐
DHPEA (Menendez et al 2007) e richiedono alta concentrazione di fenolo (MCF‐7, 324 µM) per
osservare un effetto sull'apoptosi e proliferazione (Han et al 2009).
Altri autori riportano che cellule MCF‐7 sono resistenti all’azione pro‐apoptotica di 3,4‐DHPEA (400
µM), effetto legato all'assenza di caspasi‐3 in queste cellule (Guichard et al 2006). In netto contrasto
con i dati sopra riportati, è lo studio di Goulas et al in cui è stato dimostrato che le cellule MCF‐7 sono
molto sensibili all’attività antiproliferativa di 3,4‐DHPEA, dove il trattamento con 12,5 µM riduce del
50% la crescita cellulare (Goulas et al 2009).
29
Inoltre, è stato recentemente dimostrato che 3,4‐DHPEA è in grado di inibire la proliferazione indotta
dall’estradiolo in cellule tumorali di seno MCF‐7 interferendo con l’attivazione di ERK 1/2 (Sirianni et
al 2010).
Risultati contrastanti sono stati ottenuti anche su cellule di cancro del colon HT‐29 che risultano
resistenti all’effetto antiproliferativo di 3,4‐DHPEA fino a concentrazione pari a 400 µM (Obied et al
2009), ma in altri studi è stato riportato essere sensibili all’effetto pro‐apoptotico a concentrazioni tra
200‐400 µM (Bernini et al 2011, Guichard et al 2006).
Inoltre, nella linea cellulare di tumore del colon Caco2, il trattamento con 3,4‐DHPEA (50‐100 µM)
provoca una riduzione della crescita cellulare sia per l'accumulo di cellule nella fase G2 del ciclo e
l'inibizione della fosforilazione di ERK1/2 (Corona et al 2009).
Infine, è stato riportato che cellule di melanoma umano M14 rispondono al trattamento con 3,4‐
DHPEA solo a concentrazioni superiori a 600‐800 µM (D’Angelo et al 2005).
In questo contesto, occorre notare che le dosi utilizzate in vitro per evidenziare gli effetti
antiproliferativi e proapoptotici dell’idrossitirosolo sono ben superiori a quelli ottenuti nel plasma di
individui che normalmente consumano olio d'oliva (Miro‐Casas et al 2003; Vissers et al 2004).
Recentemente è stato dimostrato che le proprietà anti‐proliferative e pro‐apoptotiche di questo
fenolo su cellule HL60 sono mediate da un’attività pro‐ossidante che consiste nella generazione di
perossido di idrogeno (H2O2) nel mezzo di coltura cellulare (Fabiani et al 2009). Il rilascio di H2O2 è
stato descritto anche per altri composti fenolici di origine vegetale sia quando testati come miscele
complesse, quali come quelli derivati da semi di uva (Cambon‐Roques et al 2002), mele (Lapidot et al
2002), tè e vino (Chai et al 2003), e se usati come composti purificati come l’acido gallico, quercetina
(Lee et al 2005), l'ascorbato (Wee et al 2003), e l’epigallocatechina gallato (Long et al 2007). È
possibile che gli effetti esercitati da 3,4‐DHPEA sulle diverse linee cellulari possano essere mediati
dalla sua capacità di rilasciare H2O2 nel mezzo di coltura, e quindi le diverse risposte osservate può
dipendere dalla capacità delle cellule di eliminare H2O2 e quindi dagli specifici enzimi quali catalasi e
glutatione perossidasi,
E’ ampiamente descritto in letteratura che l’iperglicemia porta ad una over‐produzione di radicali
liberi e ad una glicazione non enzimatica delle proteine, che hanno un effetto deleterio su differenti
organi. Oleuropeina e idrossitirosolo, hanno effetti ipoglicemici, ipolipidemici e antiossidanti in ratti
30
diabetici. In tali ratti si osserva una diminuzione delle attività antiossidanti, in particolare nella SOD e
CAT e un innalzamento dei livelli di TBARS. La somministrazione di composti fenolici nei ratti diabetici
ripristina, in modo dose‐dipendente, i sistemi antiossidanti e porta ad un abbassamento significativo
dei livelli di TBARS; in accordo con altri lavori che hanno dimostrato che il trattamento con polifenoli
esercita un aumento dell’espressione di SOD e CAT a livello trascrizionale (Jemay et al 2009).
Recentemente è stato dimostrato che l’autofagia sembra essere coinvolta nella progressione
dell’atrofia muscolare, anche se il ruolo dell’autofagia nel muscolo scheletrico durante un esercizio
molto intenso rimane ancora non chiaro. Alcuni studi mostrano che l’inibizione dell’autofagia induce
atrofia muscolare e miopatia, d’altra parte l’eccessiva attivazione dell’autofagia aggrava la
degradazione del muscolo, che deriva dalla degenerazione di porzioni del citoplasma, di proteine e
organelli (Masiero et al 2009; 2010). Inoltre, è ormai ben accettato che il regolare esercizio aumenta il
contenuto mitocondriale nel muscolo scheletrico mediante l’attivazione del fattore di PGC1α, con un
aumento della capacità di tolleranza allo sforzo con una maggiore efficienza nel metabolismo
energetico aerobio (Hood et al 2009). Ancora, c’è una diretta correlazione tra l’aumento del consumo
di ossigeno durante l’esercizio e la produzione di radicali dell’ossigeno. Basse e fisiologiche
concentrazioni di ROS sono richieste per la normale produzione di energia nel muscolo scheletrico,
ma alti livelli di ROS (come ad esempio in seguito ad un esercizio eccessivo) promuovono disfunzioni
nel processo di contrazione, con conseguente debolezza muscolare e fatica (Power et al 2009).
Questo accumulo provoca uno stress ossidativo con una conseguente attivazione del processo di
autofagia nel muscolo, induzione nella fissione mitocondriale; risultato è che il mitocondrio ha un
ruolo fondamentale nella regolazione dell’autofagia nel muscolo scheletrico e nei processi che
portano ad atrofia muscolare (Romanello et al 2010).
L’esercizio eccessivo (EXE) attiva l’autofagia che contribuisce a processi di atrofia del muscolo. La
capacità di tolleranza allo sforzo eccessivo è significativamente aumentata in ratti con una dieta
supplementata con HT, ma questo sembra non essere vero per ratti sedentari. L’atrofia del muscolo
indotta dall’autofagia e la fissione mitocondriale vengono anch’esse bloccate dalla supplementazione
con HT; inoltre, nei ratti sottoposti a EXE, l’HT induce la fusione mitocondriale aumenta l’attività
funzionale del complesso I e II, diminuendo gli effetti dannosi dell’EXE. Pertanto l’HT può avere effetti
31
benefici sulle performance fisiche e potrebbe avere, quindi, effetti rilevanti su varie patologie
correlate a disfunzioni mitocondriali (Feng et al 2011).
Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’ alimentazione può costituire un importante fattore di
protezione ambientale nei confronti delle malattie cardiovascolari e neoplastiche. In particolare,
risulta importante la ricchezza nella dieta di prodotti vegetali, e quindi l’assunzione di quantità
rilevanti di frutta, verdura, olio come è, ad esempio, tipico della Dieta Mediterranea.
Studi scientifici degli ultimi dieci anni hanno chiarito che i polifenoli presenti nell’olio extravergine di
oliva, in primis l’idrossitirosolo, sono in grado di contrastare i radicali liberi attraverso due meccanismi
principali: in primo luogo riescono a stabilizzare direttamente le molecole radicaliche attraverso la
sottrazione di un elettrone; in secondo luogo attivano meccanismi intracellulari che promuovono
l’innalzamento dei livelli degli antiossidanti già fisiologicamente presenti nelle cellule. Un aspetto
nuovo della ricerca che sta emergendo dalle pubblicazioni degli ultimi anni è che i polifenoli agiscano
anche nella prevenzione del danno mitocondriale, apportando notevoli miglioramenti in termini di
vitalità dei mitocondri, resistenza a sostanze tossiche ed eventi lesivi. Da questi dati si evince come i
prodotti a base di polifenoli delle olive, oltre che contrastare l’azione dannosa dei radicali liberi,
possano anche riportare energia nel nostro organismo, favorendo la risoluzione di situazioni di
stanchezza intensa dovuta alla compromissione dell’equilibrio ossidativo e alla diminuzione
dell’efficienza dei meccanismi di creazione dell’energia.
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37
3. VALUTAZIONE CLINICA DEL POTERE SALUTISTICO DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA
Una strategia che sta acquisendo particolare importanza nel nostro tempo, in cui le malattie
cardiovascolari stanno affliggendo tutto il mondo nonostante l’uso di nuovi e potenti farmaci 1, è
l’approccio preventivo dietetico che va sotto il nome di “Dieta Mediterranea”.
Questa è basata su osservazioni prodotte sin dal 1950 che dimostrano una bassa incidenza di malattia
coronarica in popolazioni residenti del Mediterraneo come Grecia e Sud Italia, che hanno aderito ad
uno stile dietetico tipico mediterraneo.
Queste popolazioni seguivano una dieta ricca in olio extravergine di oliva (il maggiore grasso
dietetico) insieme a un moderato consumo di vino rosso. Sia l’olio d’oliva che il vino rosso sono ricchi
in antiossidanti polifenolici. Gli acidi grassi insaturi e i polifenoli dell’olio d’oliva sembrano contribuire
alla prevenzione dell’aterosclerosi, attraverso una riduzione dei fattori di rischio cardiovascolari.
La Dieta Mediterranea è caratterizzata da un consumo elevato di olio extravergine di oliva come
principale fonte di grasso, cereali, verdure e cibi di origine vegetale, frutta fresca (ricca in antiossidanti
naturali), pesce (ricco in acidi grassi poli‐insaturi omega3), un moderato consumo di vino rosso e un
consumo ridotto di carne, prodotti caseari, uova e dolci 2 (Fig 1). La dieta mediterranea è associata ad
una bassa incidenza aterosclerosi, malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro.
Fig 1: I principali componenti che caratterizzano la dieta mediterranea
38
Fino agli anni ‘60, le persone che abitavano in certe regioni del Mare Mediterraneo avevano livelli di
malattia cronica tra i più bassi del mondo, e allo stesso tempo presentavano le aspettative di vita più
alte 3. Questo ha promosso un interesse nell’attuare uno stile dietetico mediterraneo.
Ciò non si spiega certamente con il livello di istruzione, lo stato finanziario o la sanità, poichè tutti gli
indicatori socio‐economici in questi paesi sono spesso più bassi dei paesi industrializzati, dove al
contrario l’incidenza delle malattie coronariche è più alta 4.
Ancel Keys condusse osservazioni preliminari per iniziare uno studio cooperativo riguardo
all’epidemiologia della malattia cardiovascolare (CHD), chiamato ‘Seven Countries Study’, in cui
analizzò 12770 uomini di età compresa tra i 40 e i 59 anni, di Finlandia, Grecia, Italia, Giappone,
Olanda, Stati Uniti e Jugoslavia 5.
Sono state misurate ampie differenze tra i tassi di prevalenza di CHD tra le coorti standardizzate per
età in seguito a evidenze elettrocardiografiche di infarti miocardici precedenti, che erano più
frequenti in USA e Finlandia rispetto a Yugoslavia, Grecia, Italia e Giappone. Tra 12529 uomini non
affetti da CHD all’inizio dell’esame, in 5 anni di esperimenti, i tassi di incidenza di malattia
cardiovascolare standardizzati per età differivano largamente tra le coorti studiate; l’estremo più alto
era rappresentato dalla Finlandia e quello più basso da Giappone e Grecia. L’esame dei fattori di
rischio più importanti conosciuti in quel tempo hanno dimostrato che il fumo, una vita sedentaria e il
peso corporeo non spiegavano le differenze tra le coorti nell’incidenza di malattia cardiovascolare.
Queste differenze erano strettamente correlate ai valori di colesterolo sierico e alle calorie dietetiche
fornite dai grassi saturi 2.
Sorprendentemente è stata trovata però una correlazione inversa tra i tassi di incidenza di CHD e la
percentuale media delle calorie derivate dagli acidi grassi monoinsaturi, come indice del consumo
dell’olio di oliva, indicando così per la prima volta il ruolo cardioprotettivo dell’olio di oliva.
In un recente studio prospettico su una coorte Greca di 22043 adulti, l’European Prospective
Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC) study, è stato mostrato che, dopo 44 mesi di follow‐up,
una maggiore aderenza alla dieta mediterranea era inversamente correlata con la mortalità totale e in
particolare con la mortalità da CHD, indipendentemente da sesso, fumo, livello di istruzione, indice di
massa corporea e attività fisica. La relazione diventava più forte con l’età, riflettendo quindi una
maggiore e cumulativa esposizione ai fattori della dieta 6.
39
Prove di alimentazione hanno confermato i precedenti studi osservando un effetto benefico della
dieta mediterranea e in particolare dell’olio extravergine di oliva, nella prevenzione primaria e
secondaria di CHD.
Lo studio PREvencion con DIeta MEDiterranea (PREDIMED) 7 è un esperimento di prevenzione
primaria lanciato nel 2003, ancora in corso, multicentrico, randomizzato e controllato, in cui 7500
pazienti asintomatici con un elevato rischio cardiovascolare sono stati assegnati in modo casuale a tre
gruppi di intervento: due gruppi hanno seguito una dieta mediterranea supplementata con olio
vergine di oliva (1 L/settimana) o con un mix di noccioline (30 g/giorno), e un gruppo ha ricevuto
indicazioni a ridurre tutti i tipi di grasso in accordo con le linee guida dell’ American Heart Association
(dieta a basso contenuto di grassi) 8.
Sono stati osservati dei cambiamenti benefici nei fattori di rischio cardiovascolare principali (lipidi
plasmatici, glucosio, pressione arteriosa) e nelle concentrazioni plasmatiche di biomarker
infiammatori (interleuchina[IL]‐6, VCAM‐1 e ICAM‐1) in entrambi i gruppi di intervento di tipo
mediterraneo a tre mesi 7 e confermati a 1 anno 9.
Inoltre è stato osservato dopo tre mesi, in entrambi i gruppi che seguivano la Dieta Mediterranea, una
down‐regolazione dei biomarker dell’attivazione immunitaria cellulare correlati all’aterogenesi, così
come l’espressione delle molecole di adesione e del ligando pro‐infiammatorio CD40 su LcT e
monociti 10, suggerendo così che la Dieta Mediterranea potrebbe influenzare in modo significativo il
processo dell’adesione stabile dei monociti circolanti e dei LcT alle cellule endoteliali durante
l’infiammazione, un evento precoce cruciale correlato allo sviluppo dell’aterosclerosi.
Entrambe le diete Mediterranee sono state efficaci nell’indurre la regressione dell’aterosclerosi nella
carotide, come valutato dalla misurazione dello spessore dell’intima‐media (IMT), dopo 1 anno di
intervento in soggetti con valori elevati di IMT 11.
Quindi, poichè la Dieta Mediterranea è associata ad un’incidenza ridotta della CHD, c’è stato un
grande interesse nella valutazione dei composti bioattivi trovati negli alimenti capaci di ridurre il
rischio di malattia cronica. Tra i composti bioattivi alimentari, i fitochimici mediterranei hanno attirato
un notevole interesse scientifico. Questi sono composti derivati dal metabolismo secondario di piante
e vegetali 12, probabilmente sintetizzati per preservare l’integrità della pianta dalle continue minacce
degli stress ambientali. Inoltre, questi composti contribuiscono alla resistenza a microrganismi e
insetti, alla pigmentazione e alle caratteristiche organolettiche come sapore e aroma.
40
Da un punto di vista chimico, sono composti fenolici con una struttura aromatica e uno o più gruppi
idrossilici. I fenoli con due o più gruppi idrossilici (polifenoli) presentano una capacità antiossidante
elevata in vitro e hanno un ruolo indispensabile nel preservare i danni cellulari e la nostra salute (Fig
2) mentre i fenoli con un gruppo idrossilico hanno una capacità ridotta o assente 13.
Esistono più di 8000 strutture fenoliche, che variano da molecole semplici fino a composti altamente
polimerizzati, i tannini. Sono state definite più di 10 classi di composti polifenolici sulla base della
struttura chimica 14.
Sebbene i composti fenolici sono presenti teoricamente in tutte le piante, il loro livello nella dieta
dipende dal tipo e dalla quantità di cibi vegetali consumati. In particolare, le olive e l’olio di oliva, sono
particolarmente ricchi di composti fenolici con proprietà antiossidanti e attività biologica in piante,
animali e nell’uomo 15. L’olio di oliva, in particolare l’olio derivante dalla prima spremitura, meglio
conosciuto come olio extravergine, ha un alto contenuto di polifenoli con un potente potere
antiossidante 15.
Fig 2: Poteri antiossidanti dei composti fenolici
Essi costituiscono una miscela complessa di composti tra cui l’idrossitirosolo, il tirosolo, l’acido 4‐
idrossifenilacetico, l’acido protocatecuico, l’acido siringico, l’acido vanillico, l’acido caffeico e l’acido p‐
41
cumarico. La concentrazione della frazione fenolica nell’olio di oliva varia in base alle cultivar, al clima,
e al grado di maturazione del frutto, con concentrazioni sopra gli 800 mg/kg osservate nell’olio
extravergine di oliva 16.
Delle varie componenti fenoliche dell’olio di oliva, l’idrossitirosolo sembra essere il più importante 17.
Esso è presente in forma libera e anche come costituente di molecole complesse come l’oleuropeina.
L’idrossitirosolo e il suo derivato oleuropeina hanno forti proprietà antiossidanti legate alla loro
struttura ortodifenolica, come mostrato in sistemi senza cellule 18 19 e in modelli animali 20.
Lo studio umano più completo sui fenoli dell’olio d’oliva e sulla prevenzione cardiovascolare è lo
Studio dell’Effetto dell’Olio d’Oliva sul Danno Ossidativo nelle Popolazioni Europee (EUROLIVE), un
multicentrico, randomizzato, incrociato, intervento di sperimentazione clinica che mira a valutare, in
200 volontari sani, l’effetto del regolare consumo di tre differenti olii (25 mL/giorno), ossia con
contenuto di polifenoli basso (2.7 mg/kg di olio di oliva), medio (164 mg/kg) e alto (366 mg/kg), sui
lipidi plasmatici e sui marker circolanti di stress ossidativo, come fattori di rischio cardiovascolare.
I risultati mostrano che i fenoli dell’olio di oliva sono significativamente associati a più basse
concentrazioni di marker di stress ossidativo circolanti e a un miglioramento del profilo lipidico
(aumento dei livelli di HDL, riduzione del rapporto colesterolo totale/HDL e riduzione dei livelli di
trigliceridi) 21.
Altre recenti linee di evidenza nell’uomo indicano che l’olio di oliva e le sue componenti isolate, come
i polifenoli, migliorano la pressione sanguigna 22, la disfunzione endoteliale valutata come dilatazione
flusso mediata 23, e il profilo emostatico 24.
E’ stato ipotizzato che gli effetti benefici dell’olio di oliva potrebbero essere dovuti alla modulazione di
geni implicati nella proliferazione, nelle vie antiossidanti e infiammatorie.
Recentemente, Camargo et al. 25 hanno analizzato se la frazione fenolica dell’olio d’oliva potesse
esercitare un effetto a livello trascrizionale in vivo, mediante l’utilizzo di tecniche di analisi
dell’espressione genica. A questo scopo, è stata eseguita un’analisi microarray dell’espressione genica
postprandiale, dopo assunzione di olio di oliva vergine ad alto (398 mg/Kg di olio di oliva) e basso (70
mg/Kg di olio di oliva) contenuto di fenoli, su cellule mononucleate di sangue periferico di 20 pazienti
con sindrome metabolica.
L’assunzione di olio d’oliva ad alto contenuto di polifenoli ha modificato l’espressione di molti geni
correlati con l’obesità, la dislipidemia e il diabete mellito di tipo 2. Alcuni geni tra questi, sono
42
implicati nei processi infiammatori tra cui il fattore di trascrizione nucleare NFκB, il complesso
proteico attivatore AP‐1, le citochine, le proteine chinasi attivate dai mitogeni (MAPKs) o le vie acido
arachidonico/eicosanoidi.
Il consumo di olio di oliva ad alto contenuto di polifenoli, vale a dire olio extravergine, ha represso
l’espressione di molti geni pro‐infiammatori e pro‐aterosclerotici, promuovendo così un profilo meno
infiammatorio in cellule mononucleate di sangue periferico 25. Questi risultati concordano con studi
precedenti che mostrano che una dieta Mediterranea ricca in olio vergine di oliva riduce la risposta
infiammatoria di cellule mononucleate di sangue periferico, rispetto a diete arricchite con burro e
noci o diete Occidentali 26.
In un altro studio di nutrigenomica 90 volontari sani sono stati divisi in tre gruppi: il primo ha seguito
la dieta Mediterranea tradizionale arricchita con olio di oliva vergine, il secondo la dieta Mediterranea
tradizionale con olio di oliva lavato contenente un minore contenuto di polifenoli (55 e 328 mg/kg
rispettivamente), e un terzo gruppo controllo che ha seguito la dieta abituale 27.
I risultati hanno mostrato che, l’olio di oliva più ricco in polifenoli riduce l’espressione di geni
aterosclerosi‐correlati implicati nel processo infiammatorio, nello stress ossidativo e nel danno al DNA
in cellule mononucleate di sangue periferico.
Studi epidemiologici, studi di intervento e risultati biochimici e metabolici, forniscono prove
convincenti dell’esistenza di benefici cardiovascolari dell’olio di oliva, soprattutto quando si verificano
effetti sinergici tra i nutrienti.
L’olio di oliva, nel suo complesso, può essere considerato un alimento funzionale, con effetti protettivi
nei confronti dei fattori di rischio cardiovascolare, come stress ossidativo, colesterolo LDL,
ipertensione, diabete.
Inoltre, i polifenoli dell’olio d’oliva modulano direttamente la risposta della parete vascolare agli
insulti pro‐aterogeni inibendo l’espressione di geni implicati nell’attivazione endoteliale e monocitica.
Queste componenti agirebbero direttamente sulla superficie vascolare riducendo l’espressione di
molecole di adesione e la successiva interazione con i monociti e contribuirebbe anche alla stabilità
della placca attraverso una riduzione del rilascio di metalloproteinasi.
Questi risultati mostrano come i nutrienti e in particolare l’olio extravergine di oliva, possono
influenzare l’espressione genica 28.
43
Il consumo di cibi ricchi di fenoli, come frutta e verdura, sono importanti strategie per la prevenzione
della malattia cardiovascolare, in aggiunta all’uso di strategie farmacologiche. Negli anni '50 il Prof.
Keys, con il suo famoso "Studio dei sette paesi", dimostrò come in alcune popolazioni del bacino del
Mediterraneo il tasso di mortalità per malattie cardiache rappresentava solo il 10% di quello
statunitense.
Merito di ciò uno stile di vita sano e soprattutto un'alimentazione equilibrata, ricca in cereali, frutta,
verdure e con pochi grassi di origine animale. Ricerche successive hanno portato alla conferma di
questi risultati ed alla riscoperta della dieta Mediterranea.
Questa dieta, pur nella diversità delle culture dei vari paesi del Mediterraneo, ha elementi comuni
come cereali, riso, frutta fresca e secca, verdure, latticini, pesce ed olio extravergine d'oliva che
rappresentano la base in tutti i diversi tipi di alimentazione.
Studi medici hanno dimostrato che l'apporto calorico giornaliero di un individuo adulto deve essere
costituito da:
Carboidrati 50 ‐ 55% Grassi 30% di
cui:
20% monoinsaturi
5% saturi
5% polinsaturi
Proteine 15%
La funzione dei grassi è soprattutto energetica con un apporto di 9 Kcal/g. Tuttavia essi costituiscono
anche una importante fonte di vitamine (A, E, D. K).
La composizione in acidi grassi dell'olio extravergine di oliva soddisfa i fabbisogni in acidi grassi polin‐
saturi della serie omega 3 e 6, essenziali per le attività biologiche del nostro organismo. I mammiferi e
con essi l'uomo, sono in grado di sintetizzare gli acidi grassi ad eccezione di quelli con doppi legami in
posizione 3 e 6. Per tale motivo questi acidi grassi, definiti omega (Q) 3 e omega(Q) 6, vengono definiti
"essenziali" e devono essere assunti con gli alimenti.
44
Nell'olio di oliva gli omega sono rappresentati dall'acido linoleico e dall'acido Linolenico. Per un loro
utilizzo ottimale nell'organismo, devono essere assunti in un rapporto di 6:1 ‐ 10:1, rapporto che si
riscontra nel grasso del latte materno e nell'olio extravergine di oliva.
Nella dieta Mediterranea l'apporto dei grassi è fornito quasi esclusivamente dall'olio extravergine di
oliva, utilizzato quotidianamente sia per cucinare che per condire. L'olio extravergine di oliva è il gras‐
so più digeribile in quanto ricco di profumi ed aromi che facilitano la secrezione gastrica, ma soprat‐
tutto perché stimola la secrezione biliare che ne facilita l'utilizzo.
Un consumo quotidiano di almeno 25‐30 grammi di olio extravergine di oliva, entro un regime
alimentare equilibrato, apporta benefici alla salute senza rischi di aumento di peso.
All'interno della dieta Mediterranea, l'olio extra vergine di oliva ha dimostrato una superiorità
alimentare rispetto a tutti gli altri grassi, vegetali ed animali.
Come detto tale superiorità è legata alla elevata percentuale in acido oleico, alla modesta presenza di
acidi grassi saturi, al giusto rapporto fra Đ3 e Đ6 ed alla notevole presenza di antiossidanti naturali.
3.1 L'olio extravergine di oliva e le patologie cardiovascolari
Il colesterolo è una sostanza grassa che si trova in tutti gli organismi animali. Grassi e colesterolo per
venire trasportati attraverso il flusso sanguigno, si uniscono alle proteine formando le lipoproteine. I
polifenoli in esso contenuti favoriscono una maggior produzione di nitrossido, potente vasodilatatore,
e prevengono dall’ossidazione delle lipoproteine LDL. Le LDL ossidate, infatti, rappresentano le
principali responsabili della formazione della placca aterosclerotica con conseguente restringimento
delle arterie e insorgenza di malattie cardiache.
Le lipoproteine circolanti nel sangue sono di due tipi:
LDL, lipoproteine a bassa densità dette "colesterolo cattivo";
HDL, lipoproteine ad alta densità, dette "colesterolo buono".
I rischi di patologie cardiovascolari sono legati ad un alto livello di trigliceridi e LDL.
45
Le LDL per potersi sedimentare sulle pareti dei vasi e causare l'arteriosclerosi, devono aver subito un
processo di ossidazione. Una volta ossidato il colesterolo può provocare lesioni ai vasi e alterarne il
funzionamento rendendoli meno elastici e ostruendone il lume. Pertanto qualsiasi fattore che
ostacola la loro ossidazione ritarda l'insorgenza delle patologie vascolari. L'olio di oliva riduce i fattori
di rischio influenzando qualità e quantità del colesterolo cattivo (LDL).
• Le diete con olio di oliva portano ad un calo delle LDL, senza causare la diminuzione delle HDL, che
hanno funzione di pulizia delle arterie. Anche gli acidi grassi polinsaturi (presenti soprattutto negli
oli di semi), riducono il colesterolo LDL, ma provocano anche un abbassamento del colesterolo
buono;
• Gli acidi grassi monoinsaturi, di cui l'olio extravergine di oliva è ricco (72 ‐ 78%) sono resistenti
all'ossidazione; legandosi alle LDL al posto dei polinsaturi, le rende più stabili, per cui non
sedimentano sulle pareti dei vasi;
• Gli antiossidanti dell'olio nell'organismo hanno l'importante funzione di preservare e
proteggere gli acidi grassi insaturi delle LDL dall'ossidazione.
3.2 L'azione salutistica dei biofenoli dell'olio extravergine di oliva
In numerose pubblicazioni scientifiche sono stati riportati gli effetti dei composti fenolici dell'olio di
oliva sulla salute umana, in particolare è stato enfatizzato il rapporto tra il consumo di olio vergine di
oliva e la riduzione della genesi di forme tumorali nell'uomo. I composti più studiati sono risultati
l'idrossitirosolo e l'oleuropeina; mentre al primo è stata attribuito il potere di inibire l'ossidazione
delle LDL in vitro, nonché di ridurre il rischio di malattie coronariche, aterosclerotiche e più in
generale i processi ossidativi; al secondo ed i suoi derivati è stata riconosciuta da alcuni scienziati una
capacità antì‐tumorale con azione in diverse fasi del processo cancerogeno.
Oltre all'azione preventiva su varie patologie ora citate, del tutto recentemente è stata evidenziata
un’ attività farmacologica di un derivato dell'oleuropeina l’aglicone, l'oleocantale, responsabile della
sensazione piccante al gusto, simile a quella determinata dall'assunzione di soluzioni di un farmaco
46
antinfiammatorio quale l'ibuprofene. Partendo da questa constatazione, alcuni ricercatori hanno
messo in evidenza che, oltre a determinare questa sensazione, l'oleocantale e l'ibuprofene svolgono
la meddesima azione inibente e dose dipendente, sulle ciclossigenasi 1 e 2 (COX‐1, COX2 ) cioè una
potente azione analgesica –antinfiammatoria.
Altre importanti azioni benefiche dell'olio extravergine dì oliva:
• Apparato digerente. Migliora la sua funzionalità, avendo positivi effetti sulla
gastrite. Migliora la funzionalità pancreatica.
• Sistema endocrino. E' stato dimostrato che la dieta Mediterranea, ricca di tale alimento,
ha un'importante azione preventiva nel controllo del diabete.
• Apparato scheletrico. Favorisce l'assorbimento del calcio e la mineralizzazione. Questo è
uno dei motivi per cui viene consigliato nell'alimentazione dell'infanzia.
• Svolge un’azione benefica nello sviluppo del sistema nervoso: la sua composizione lipidica e
simile a quella del latte materno, rendendolo un alimento essenziale nella dieta del bambino. In eta
adulta, invece, ci preserva dalle malattie legate al rallentamento e al deterioramento delle funzioni
cerebrali, come Parkinson e Alzheimer. Ciò grazie soprattutto all’azione antiossidante dell’acido
oleico, dei polifenoli e del tocoferolo (vitamina E). Tali malattie vengono determinate da un eccesso di
radicali liberi che, legandosi con componenti essenziali della cellula nervosa, ne alterano la struttura e
ne favoriscono la degenerazione. Un recente studio condotto dall’Universita di Chicago ha scoperto
come l’oleocantale, sostanza responsabile del sapore pungente dell’alimento, interferisca con l’azione
di proteine neurotossiche coinvolte nel morbo di Alzheimer.
• Tumori. Ha un effetto protettivo nei confronti di alcuni tumori (mammella, prostata, colon,
endometrio), grazie alla elevata presenza di acidi grassi resistenti all'ossidazione e per la
presenza di composti ad attività antiossidante come i polifenoli. E’ stato dimostrato che l’olio di
olive induce l’attivazione dell’apoptosi nelle cellule cancerose. Questi effetti benefici sono
dovuti alla presenza nell’olio di oleuropeina e idrossitirosolo.
• Invecchiamento. Previene l'invecchiamento cellulare grazie alla sua azione protettiva nei
confronti delle membrane cellulari. Inoltre è stata dimostrata La sua influenza positiva sulla
percezione cognitiva (invecchiamento cerebrale) nelle persone anziane.
47
• E il più digeribile e il più sano tra i grassi ed ha un effetto benefico su tutto il sistema
gastrointestinale, proteggendone le mucose. L’acido oleico, infatti, riduce la produzione di acido
cloridrico e quindi previene gastriti e ulcere. Accelera, inoltre, il transito nel tratto intestinale,
favorendone la regolarita. Favorisce l’attivazione del flusso biliare e lo svuotamento della
cistifellea,ostacolando l’insorgenza di calcolosi biliare.
• Rappresenta un elemento cardine della dieta del paziente affetto da diabete mellito, in quanto
riduce i livelli di zuccheri nel sangue e la resistenza all’insulina tipica di questa condizione.
• Ha un effetto benefico sul nostro apparato osteoarticolare: l’olio extra vergine d’oliva facilita
l’assorbimento della vitamina D e combatte l’osteoporosi; inoltre, grazie alla potente azione
antinfiammatoria ed antiossidante svolta dall’oleocantale, l’olio d’oliva e un efficace alleato
terapeutico nell’artrosi.
• Protegge da diverse patologie infiammatorie cutanee, quali la psoriasi, l’acne, la dermatite
atopica ed altri tipi di eczema. La ricerca scientifica ha dimostrato inoltre come lo squalene in
particolare presente nell’olio d’oliva possieda proprietà antiossidanti nei confronti delle radiazioni
solari, diminuendo la produzione di radicali liberi a livello della pelle foto esposta.
• L’olio extra vergine di oliva, infine, è particolarmente indicato nella gravidanza, grazie al suo
rapporto ottimale tra acidi grassi polinsaturi, saturi e monoinsaturi (acido linoleico, linolenico e oleico)
e alla capacità di assicurare un buon rapporto di vitamine liposolubili (A, D, E, K), di stimolare la
mineralizzazione delle ossa e di prevenire rischi emorragici del nascituro. Proteggendo la mucosa
gastrica, evita le esofagiti da reflusso, particolarmente frequenti nell’ultimo trimestre. Può, inoltre,
contribuire a prevenire alterazioni metaboliche abbastanza frequenti quali il diabete gestazionale e la
stipsi.
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51
4. VALUTAZIONE ORGANOLETTICA SENSORIALE: PREGI E DIFETTI DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI
OLIVA
L'analisi sensoriale valuta le caratteristiche di un prodotto alimentare che interagiscono con i
nostri organi di senso e, per ognuna di queste, individua particolari che la identificano e la
quantificano. Essa sfrutta la capacità degli organi sensoriali di reagire a stimoli di origine chimica,
chimico‐fisica e fisica. I quattro gusti fondamentali sono l'amaro, il dolce, il salato e l'acido, la
combinazione di questi gusti base ci danno le infinite sfaccettature gustative. I quattro recettori
gustativi fondamentali non sono uniformemente distribuiti sulla lingua, per tale motivo alcune
regioni linguali sono più sensibili di altre nei confronti di una particolare sensazione. La punta
della lingua ricca di papille fungiformi è maggiormente stimolata dalle sostanze "dolci"; ai suoi
lati prevalgono le papille filiformi che percepiscono in maniera preponderante le sensazioni di
"salato"; dietro queste, le papille foliate prediligono l’aspro", mentre la base della lingua ricca di
papille circumvallate reagisce maggiormente in presenza di sostanze "amare". L’olfatto svolge
una funzione importantissima nell’individuazione dei difetti, e viene utilizzato non per via diretta,
tramite l’inalazione dei profumi dell’olio, ma soprattutto per via retronasale durante l’assaggio. Il
gradimento edonistico di un olio extra vergine di oliva dipende dalle sue caratteristiche
sensoriali. La preferenza sensoriale di un olio è legata a caratteristiche o attributi ritenuti positivi
di aspetto, di aroma, di sapore e di “flavor” (inteso come la sensazione che coinvolge gusto e
olfatto).
Gli oli si dividono essenzialmente in due grandi categorie determinate principalmente dal tipo di
cultivar, dal grado di maturazione delle olive e dall'area geografica di coltivazione e riconoscibile
attraverso l’analisi sensoriale. I sensi maggiormente coinvolti nella percezione delle
caratteristiche organolettiche degli alimenti sono il gusto, l'olfatto e la vista, mentre l'udito ed il
tatto giocano spesso un'importanza secondaria.
Nella valutazione organolettica degli oli di oliva il senso del gusto viene utilizzato solo per
l'accertamento della nota amara, attivando le papille gustative presenti nel fondo della lingua. Le
zone sensibili al salato e al dolce non vengono stimolate perché nell'olio non sono presenti sali e
zuccheri. La sensazione di dolce che viene indicata dagli assaggiatori in realtà è dovuta all'assenza
assoluta di amaro. Anche la zona sensibile all'acido non viene attivata perché gli acidi liberi
52
contenuti nell'olio hanno un peso molecolare troppo elevato. Si può dire quindi che nella
valutazione organolettica degli oli di oliva viene utilizzato in modo predominante il senso
dell'olfatto.
Ad oggi non abbiamo ancora uno strumento che, basandosi su parametri chimico‐fisici, sia in
grado di valutare ogni singolo componente che partecipi a formare le infinite tonalità aromatiche
di un olio extravergine; e' fondamentale allora affidarsi all'analisi sensoriale. Le caratteristiche
organolettiche ci permettono, infatti, di distinguere prodotti che le determinazioni analitiche
possono decretare identici.
La qualità dell'olio viene valutata secondo diversi parametri. I fattori che influenzano la qualità
degli oli riguardano il produttore e dipendono dalla varietà delle olive per il 15%, grado di
maturazione delle olive per il 30% cioè dal clima, dal terreno, dalle tecniche agronomiche, dalla
irrorazione e dai metodi di raccolta per il 10%. Inoltre dipende dai modi e dai tempi di
conservazione delle olive prima della lavorazione per il 20%, dai sistemi di estrazione sempre per
il 20%, dalla modalità di stoccaggio delle olive e dalla conservazione degli oli per il 5%. Tra i
principali troviamo l'analisi dei caratteri organolettici, come la stabilità all'ossidazione, l'assenza
di contaminanti (fitofarmaci, fitoormoni, antiparassitari, solventi idrocarburici e cloro derivati) e
le caratteristiche nutrizionali espresse in termini di acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi,
presenza di fitosteroli, vitamine ed antiossidanti naturali. La qualità riconosciuta agli oli
extravergini è infatti la risultante di due diversi ordini di indagine: da una parte, le analisi chimico‐
fisiche, intese ad accertare la reale composizione in termini percentuali della materia grassa ed il
suo grado di acidità; dall'altra, l'esame organolettico, che giudica l'olio dal punto di vista delle sue
caratteristiche visive, olfattive, e di gusto e ne valuta pregi e difetti.
Le principali caratteristiche organolettiche dell'olio riguardano:
• Il colore (che si riconosce con la vista)
• L'olfatto;
• Il gusto‐olfatto.
Con la vista l’olio può essere di diversi colori, in funzione dal tipo di oliva da cui è prodotto. Se
deriva da olive immature avrà sfumature sul verde, da olive mature sfumature sull’oro, da olive
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molto mature sfumature oro pallido (Fig 1).
Queste caratteristiche dipendono:
• Dai composti naturalmente presenti nel frutto (positivi);
• Dai composti che si formano per attivazione di processi di alterazione dell'olio.
Responsabili del colore sono le clorofille ed i caroteni. Le prime conferiscono il colore verde,
mentre i caroteni fanno assumere una colorazione giallo‐arancio; i responsabili dell’olfatto sono i
volatili, cioè alcoli alifatici, alcoli triterpenici e diterpenici ed esteri. I responsabili del gusto sono
tutti gli acidi grassi ed i polifenoli.
L'analisi sensoriale permette di distinguere prodotti valutati identici dalle determinazioni
analitiche, dal momento che attualmente non esiste uno strumento che valuti, secondo
parametri fisico‐chimici, i singoli componenti delle infinite tonalità aromatiche di un olio.
Nell'Allegato XII "Valutazione organolettica dell'olio di oliva vergine" del regolamento C.E.E. n,
2568/91 si stabilisce che un olio deve essere sottoposto all'assaggio per determinarne, mediante
punteggio detto "punteggio orqanolettico", la categoria merceologica di appartenenza. Questa
valutazione viene fatta da un gruppo di assaggiatori selezionati, istruiti ed allenati, seguendo una
specifica metodologia analitica standardizzata (Panel Test) (Fig 1).
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Fig 1: Panel Test
Panel test è un termine inglese che significa “gruppo di persone che si riuniscono per esprimere
un giudizio”. L'indagine statistica sulle soglie personali di percezione ha permesso di accertare
che gruppi di 10 persone, scelte a caso in una popolazione, presentano una soglia media di
gruppo che è ripetitiva, cioè analoga a quella di un altro gruppo di altre 10 persone della stessa
popolazione; ossia gruppi di 10 individui, presentano una soglia media di gruppo che può essere
ritenuta rappresentativa della soglia dell'intera popolazione e, pertanto, tale gruppo può essere
utilizzato come uno strumento di misura che dia risultati validi per tutta la popolazione.
L'analisi sensoriale o organolettica sull'olio d'oliva ha un'importanza rilevante nel giudizio della
qualità finale del prodotto per verificare se un olio che ha qualità chimiche opportune per essere
considerato extravergine le ha anche da un punto di vista organolettico, dato che un olio che non
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sia organoletticamente accettabile può essere declassato. L’olio d’oliva può presentare profumo
e sapore molto variabili in relazione al tipo di prodotto, correlato alla provenienza, varietà dei
frutti, metodo di estrazione, grado di maturazione e stato di integrità delle olive, maggiore o
minore freschezza, che differisce tra l’olio appena prodotto e quello che ha superato il periodo
ideale di consumo.
Inoltre influiscono sul gusto complessivo dell’olio anche le percezioni tattili di consistenza e
fluidità, la percezione termica, le sensazioni brucianti o astringenti derivanti dalla presenza di
alcune sostanze come alcoli, o particolari idrocarburi.
Le analisi sono svolte presso i laboratori della Camera di commercio e di altri Enti, oppure, se il
produttore d'olio commercia ingenti quantità, in commissioni interne all'azienda stessa. Le
commissioni sono formate da un capo panel e da un minimo di otto ad un massimo di dodici
assaggiatori per minimizzare l'errore, l'assaggio è svolto in cabine separate per non far
influenzare tra loro gli assaggiatori. Il Panel test si svolge in modo che gli assaggiatori esprimano
il loro giudizio sulle caratteristiche sensoriali dell’olio indipendentemente l’uno dall’altro. La
differenza di valutazione fatta da individui differenti, in merito all’intensità di percezione per la
stessa sostanza‐stimolo, costituiva un impedimento all'utilizzo di una sola persona nelle
valutazioni delle caratteristiche organolettiche degli alimenti in quanto il tipo di giudizio fornito
non poteva essere ritenuto obiettivo e quindi non ripetibile: da qui la necessità di affidare
l'analisi a un gruppo (panel) di persone guidate (capo panel) e preparate appositamente per
effettuare una analisi sensoriale la più attendibile e ripetibile possibile. Il capo del panel deve
possedere una solida formazione ed essere un esperto nei vari tipi di olio; è inoltre responsabile
della sua organizzazione, del funzionamento, della preparazione, della codificazione e della
presentazione dei campioni agli assaggiatori, nonché del compendio dei dati e del loro
trattamento statistico. Il capo panel seleziona gli assaggiatori e provvede al loro addestramento e
al controllo del loro operato, in modo da garantire il mantenimento di un adeguato livello
attitudinale. Gli assaggiatori, per le prove organolettiche dell'olio di oliva, devono essere prescelti
e addestrati in funzione della loro abilità a distinguere tra campioni simili, in conformità con la
guida del consiglio oleicolo internazionale per la selezione, l'addestramento ed il controllo degli
assaggiatori qualificati di olio di oliva vergine.
Potenzialmente qualsiasi persona in grado di percepire sensazioni olfattive e gustative può essere
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assaggiatore di olio, la normativa però fissa i requisiti che devono avere gli assaggiatori per fare
parte di un Panel. Gli assaggiatori di un Panel devono seguire un corso di idoneità fisiologica
all’assaggio guidato da un Capo Panel con un preciso e standardizzato esame, in seguito gli
assaggiatori idonei devono seguire un corso di 20 sedute di assaggio al termine delle quali è
possibile iscriversi negli appositi Albi Regionali.
Al termine dell'assaggio il capo panel si occuperà di effettuare una media tra i voti dati dai vari
assaggiatori in un foglio di profilo , scartando quelli che siano eccessivamente incongruenti con
gli altri (Fig 2).
Fig 2: foglio di profilo attuale fornito agli assaggiatori nel valutare le caratteristiche
organolettiche dell’olio.
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Ogni assaggiatore facente parte del panel deve odorare, poi assaggiare l'olio sottoposto ad
esame, contenuto nel bicchiere di assaggio, per analizzarne le percezioni olfattive, gustative,
tattili e cinestesiche; deve poi appuntare nel foglio di profilo a sua disposizione l'intensità alla
quale percepisce ciascuno degli attributi negativi e positivi (Fig 2); le intensità di percezione sia
dei difetti positivi che negativi vengono misurate con un righello ed espresse in centimetri (da 0 a
10 cm)(Fig 2). Il giudizio finale è dato dalla mediana dei risultati e viene rappresentato
graficamente come ad esempio nel caso riportato nella figura (Fig 3).
Fig 3: Rappresentazione grafica dei risultati riportati nel foglio di profilo.
La prima cosa che al degustatore viene d'istinto fare, è vedere il colore, sentirne l'odore ed il
sapore. Naturalmente il campione deve tenere l'anonimato, cioè colui che analizza non deve
essere a conoscenza né della provenienza né del produttore, per evitare favoreggiamenti o
antipatie varie.
Al momento della degustazione, colui che analizza non deve presentare mal di testa, raffreddori,
non deve fumare né bere caffè, non deve né mangiare né masticare caramelle, poiché questi
potrebbero variare il giudizio gustativo del campione effetto di studio.
Questi sono requisiti personali del degustatore, ma non è solo questo che bisogna fare per
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valutare correttamente un olio.
Fig 4: Cabine di degustazione dell’olio e assaggiatore
Nel caso in cui fossero percepiti attributi negativi non enumerati, questi devono essere indicati
alla voce "altri" impiegando il o i termini che li descrivono con la maggior precisione possibile.
Fondamentale nell’analisi sensoriale è l’addestramento dell’assaggiatore a riconoscere i pregi ed i
difetti di un olio.
Le caratteristiche costruttive della cabina di assaggio sono dettagliatamente spiegate nel
documento COI/T.20/Doc. n°6/Rev.1 del 18 giugno 1987 cui rimanda l’allegato XII del
Regolamento CE 2568/91. Si specifica, inoltre, che l’ambiente dovrà essere gradevole, isolato da
fonti di rumore o di inquinamento odoroso, mantenuto a temperatura (20‐22°C) ed umidità (60‐
70% ) ideali (Fig 4). L'ambiente è un altro fattore importante da considerare.
Non necessitano saloni o cantine enormi, come possiamo immaginare quando si parla di
degustazione, ma locali di massimo 6/8 mq, bene illuminati (con luce naturale s'intende), non
devono presentarsi odori e rumori e deve persistere una temperatura di 20/22 °C con l'80% di
umidità.
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Ogni degustatore dispone di un tavolo di colore bianco candido, di una sedia, di una sputacchiera
con materiale assorbente di fondo, e di una scheda dove, alla fine, riporterà le sue impressioni in
merito.
I bicchieri devono essere rigorosamente di vetro scuro ed opportunamente sagomati.
Ciascuna postazione individuale dovrà essere attrezzata con gli accessori necessari come il
bicchiere per l’assaggio, il foglio di profilo, matita o penna a sfera, piattino con fettine di mela,
bicchiere d’acqua a temperatura ambiente, bicchiere per l’espulsione del campione al termine
della valutazione, sistema di riscaldamento a temperatura controllata del campione (Fig 4).
Secondo quanto prescritto dal documento COI/T.20/Doc. n°5/Rev. 1 del 18 giugno 1987, il
bicchiere deve essere fabbricato in vetro resistente di colore scuro tale da impedire la
valutazione visiva del colore. Il colore più o meno giallo e/o verde dell’olio, infatti, non è
collegato direttamente con la sua qualità e, inducendo errate aspettative nell’assaggiatore,
potrebbe distrarlo dall’analisi. Generalmente il bicchiere per l’assaggio dell’olio è in vetro blu, ma
può essere anche in vetro color ambra.
Le caratteristiche costruttive sono tali da assicurare una buona stabilità e favorire la percezione
delle sensazioni olfattive. Il diametro del bicchiere, infatti, è maggiore alla base e si restringe
nella parte superiore per favorire la concentrazione degli aromi verso il naso. Al momento della
presentazione in cabina, il bicchiere deve contenere 15 ml di olio ed essere coperto da un vetro
di orologio che eviti la dispersione dei composti volatili.
Il campione di olio, che rappresenta la “partita” di olio da commercializzare, viene scaldato
alla temperatura di 28° C, per favorire la volatilizzazione dei composti aromatici, in bicchieri dalla
base larga e dall’imboccatura stretta con un copri bicchiere a vetro di orologio che evita la
dispersione delle sostanze che si sono liberate con il calore. Nella fase gustativa vengono
stimolati i recettori nervosi che permettono la descrizione degli attributi positivi e negativi di un
olio di oliva. La valutazione visiva non è molto rilevante, infatti i bicchieri usati per il PANEL TEST
sono colorati (blu o ambra), essa si può effettuare dopo l’analisi olfattiva e gustativa. Questa
valuterà la limpidezza, che varia in funzione della età e della filtrazione (se effettuata o meno)
dell’olio, la densità collegata all’ origine territoriale dell’ olio e il colore che varia a seconda del
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tipo di olive, dell’ epoca di raccolta, delle tecniche di estrazione e dell’ età dell’ olio.
L’insieme delle diverse percezioni sensoriali consente di formulare così il giudizio finale che
dovrà tenere conto anche dell’ armonia complessiva delle sensazioni provate.
Alla fine del test di valutazione, ciascun assaggiatore compila la relativa scheda, esprime un
giudizio sulla presenza e sull’intensità dei pregi (fruttato, amaro, piccante) e degli eventuali difetti
(rancido, muffa, riscaldo, avvinato, metallico, ecc, vedi sotto riportati).
Qualche anno fa l’analisi organolettica prevedeva una tabella di valutazione in cui per ciascun
descrittore si doveva attribuire un punteggio; alla fine dell’analisi il Capo Panel faceva la media
aritmetica, stabilendo il punteggio ottenuto. L’analisi organolettica veniva invece effettuata con
un’apposita scheda (Fig 5).
Fig 5: Tabella precedente di valutazione della qualità degli oli.
Questa scheda, denominata anche scheda numerica o strutturata, è oggi utilizzata solo per i
concorsi degli oli e per le certificazioni DOP. Il Reg. 796/2002 ha invece introdotto nella
valutazione organolettica degli oli di oliva lo strumento statistico della mediana (Fig 2).
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La mediana rappresenta il valore centrale di una serie ordinata di numeri dispari: ad esempio
nella serie di cinque valori ordinati 1 ‐ 2 ‐ 4 ‐ 4 ‐ 5 la mediana è rappresentata da 4, cioè il valore
posto al 3° posto; la media di tali valori sarebbe invece diversa, cioè 3,1 che è pari a 16 diviso 5.
La classificazione dell'olio avviene confrontando il valore della mediana dei difetti e della
mediana del fruttato con gli intervalli di riferimento. Poiché i limiti di questi intervalli sono stati
stabiliti tenendo conto dell'errore del metodo, sono considerati assoluti. Quindi la scheda per la
classificazione degli oli vergine è cambiata, in quanto attualmente si utilizza un’altra scheda
chiamata Foglio di profilo (istituita appunto con il Regolamento 796/2002) in cui non compaiono
più i punteggi, ma ciascun descrittore di pregi o dei difetti è affiancato a un segmento lungo 10
cm non graduato in cui l’assaggiatore mette una crocetta in corrispondenza dell’intensità
percepita (Fig 2).
Essa presenta 6 diciture per i difetti, oltre ad una voce con la dicitura “Altri” in cui è possibile
inserire uno dei difetti non elencati nella scheda ma codificati dal regolamento.
Per quanto riguarda i pregi è molto più semplice rispetto alla vecchia, in quanto compaiono solo
tre diciture:
‐Fruttato (sensazione olfattiva)
‐Amaro (sensazione gustativa)
‐Piccante (sensazione gustativa‐tattile)
Nella valutazione di un olio ci si basa solo sulle sensazioni olfattive e gustative. L’aspetto visivo
non solo non ha importanza, ma è richiesto che l’assaggiatore non sia in grado di percepire il
colore dell’olio, al fine di impedire qualsiasi pregiudizio: il colore non è legato alla qualità ma
principalmente al sistema di produzione o alla varietà delle olive lavorate.
In genere le operazioni effettuate durante l’assaggio di un olio sono le seguenti:
1. Versare l'olio in un apposito bicchierino di vetro scuro (il regolamento stabilisce una quantità
pari a circa 15 ml). Una quantità eccessiva è inutile, in quanto anziché migliorare l'assaggio lo
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peggiora. Il campione va mantenuto a 28°C di temperatura, in modo da percepire al meglio le
caratteristiche organolettiche. Il bicchiere durante il riscaldamento e prima dell’assaggio va
mantenuto coperto con l’apposito coperchietto (in vetro o altro materiale neutro).
2. Annusare il campione cercando di captare tutte le sensazioni gradevoli o sgradevoli;
3. Assumere l'olio aspirando dell'aria con una suzione prima lenta e delicata, poi più vigorosa, in
modo da vaporizzarlo nel cavo orale, portandolo a diretto contatto con le papille gustative;
4. Fare riposare un poco la bocca, muovendo lentamente la lingua contro il palato;
5. Riaspirare con la lingua contro il palato e labbra semi‐aperte;
6. Espellere l'olio.
L'assaggio tecnico deve essere effettuato seguendo alcune norme generali di comportamento:
a) Non fumare almeno 30 minuti prima dell'assaggio
b) Non usare alcun profumo, sapone o cosmetico il cui odore persista al momento della prova
c) Non ingerire alcun altro alimento, almeno un'ora prima dell'assaggio
d) Accertarsi che le condizioni psico‐fisiche dell’assaggiatore siano positive, tali da non
compromettere l'analisi
Normalmente le ore ottimali per le prove sono considerate quelle del mattino e comunque
quelle precedenti i pasti. Se gli assaggi sono molteplici, devono essere distanziati da un intervallo
di almeno 15 minuti. Per pulire la bocca è raccomandato l’uso di un pezzettino di mela: una volta
masticato dovrà essere sputato e si deve poi procedere ad un risciacquo con acqua pura a
temperatura ambiente.
4.1 Esame olfattivo
L’assaggiatore prende il bicchiere coperto, lo inclina e lo rigira per bagnare il più possibile la
superficie interna del bicchiere; dopodiché lo scoperchia e odora il campione con inspirazioni
lente e intense, cercando di captare tutte le sensazioni gradevoli o sgradevoli per un tempo che
non deve eccedere i 30 secondi.
4.2 Esame gustativo
Il regolamento indirizza l’assaggiatore a considerare il cosiddetto ‘flavor’, cioè la sensazione
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congiunta olfattiva‐gustativa‐tattile.
L’assaggiatore assume l'olio (circa 3 ml) aspirando dell'aria con una suzione prima lenta e
delicata, poi più vigorosa, in modo da vaporizzarlo in tutto il cavo orale, portandolo a diretto
contatto con le papille gustative e percependo per via retronasale anche le componenti volatili
aromatiche.
Nell’ordine concentra l’attenzione sugli stimoli amaro e piccante (l’amaro potrebbe essere
occultato dal piccante), tenendo conto anche delle sensazioni tattili (fluidità e pastosità), di
prurigine o bruciore o astringenza. Al termine espelle il campione.
4.3 Colore degli oli
Come già detto il colore non è determinante nel giudizio organolettico.Tuttavia è un parametro
importante nella tipicità degli oli (ad esempio è codificato in certi disciplin ari D.O.P.) e può
variare dal giallo paglierino al verdognolo al verde intenso.
Colorazioni più grigiastre, rossicce, rosse, brunastre indicano invece scarsa consistenza e
denotano difetti dovuti ad ossidazione o alterazione chimica da raggi infrarossi o ultravioletti.
Un colore verde intenso indica che l’olio è ricco in clorofilla e può venire da olive acerbe, da
macinazione eccessiva delle bucce o da centrifugazione spinta.
4.4 Fluidità degli oli
La fluidità può essere assunta come indice di tipicità dell’olio. E’ legata alla densità del prodotto,
che dipende principalmente dalla composizione più o meno ricca in acidi grassi saturi, o viceversa
in acidi grassi poliinsaturi.
Un olio troppo denso può cadere nel difetto denominato grossolano, mentre un olio
eccessivamente fluido è cedevole e dolciastro.
4.5 Aspetto degli oli
La limpidezza deriva da un’ottima decantazione o da filtraggio.
Una leggera velatura opalescente è caratteristica degli oli nuovi non filtrati, o può essere dovuta
anche a temperature troppo basse (già a partire dai 16°C iniziano a formarsi in sospensione dei
cristalli di stearina).
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Il flavor è un insieme delle caratteristiche olfattive ed organolettiche di un olio.
4.6 Attributi positivi di un olio
Fruttato: insieme delle sensazioni olfattive, dipendenti dalla varietà delle olive, caratteristiche
dell'olio ottenuto da frutti sani e freschi, verdi o maturi, percepite per via diretta e/o retronasale.
Il fruttato intenso può essere forte e selvaggio, quello medio armonico (con equilibrio gustativo)
e tenue, quello leggero soave, maturo e spento.
L'attributo fruttato si definisce verde quando le sensazioni olfattive ricordano quelle dei frutti
verdi, caratteristiche dell'olio ottenuto da frutti verdi. L'attributo fruttato si definisce maturo
quando le sensazioni olfattive ricordano quelle dei frutti maturi, caratteristiche dell'olio ottenuto
da frutti verdi e da frutti maturi. Si definisce fruttato un olio che ha sapore e aromi simili a quelli
dell'oliva matura; sebbene appena prodotti tutti gli oli appaiano fruttati, in molti casi questa
caratteristica è destinata a scomparire dopo pochi mesi. Autenticamente fruttato è invece quello
che mantiene questo aroma inalterato nel tempo. Il fruttato può essere tenue, di media
intensità o marcatamente intenso. Questo può rimanere tale anche per lungo tempo dopo la
mollitura, quando vi sono oli ricchi di componenti aromatici e, pertanto, con una buona carica
polifenolica. Oltre a questo possiamo percepire in un olio il flavor dell’erba, con i suoi profumi e
sapori caratteristici, il flavor del fieno, tipico di quegli oli che ricordano l’ erba più o meno secca.
Amaro: sapore elementare caratteristico dell'olio ottenuto da olive verdi o invaiate, percepito
dalle papille caliciformi che formano la V linguale. Spesso di sente dire che un olio è dolce in
verità non è da intendersi nel senso proprio del termine, si tratta infatti, più semplicemente della
minore presenza di quelle sostanze (fenoli) responsabile delle sensazioni di amaro. L’ intensità di
questo attributo dipende molto dal grado di maturazione delle olive (oli estratti da olive verdi
saranno ricchi di fenoli e quindi molto amari, oli estratti da olive mature saranno poveri di fenoli
e quindi poco amari o impropriamente dolci).
Piccante: sensazione tattile pungente caratteristica di oli prodotti all'inizio della campagna,
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principalmente da olive ancora verdi, che può essere percepita in tutta la cavità boccale, in
particolare in gola.
Muschio, noce, sottobosco, nocciola: Anche in questo caso sono sentori evocati dall'olio.
Possono non essere considerati dei pregi in senso classico, ma sono sovente caratteristiche
specifiche di alcuni oli e di alcune zone di produzione e sono gradevoli, se non troppo marcate.
Carciofo: È un sapore che ricorda quello del carciofo crudo assai gradevole e fresco.
Verde: Si dice di un olio giovane, fresco, fruttato, leggermente erbaceo.
Soave: Da olive molto mature, colore oro pallido. Alla fine dell'assaggio si sente un dolce
abboccato molto sfumato.
Rotondo: Si dice di un olio a corpo pastoso che riempie e soddisfa, senza punte aromatiche.
Proviene sempre da olive mature.
Altre sensazioni positive sono fresco liscio (è l’olio appena estratto, anonimo e privo di difetti),
fluido (dipende dalla corposità dell’olio, una bassa fluidità significa corposità alta e vita più lunga
fino a 20 mesi), mandorlato piccante (olio dal sapore di mandorla, nota aromatica del palato),
pizzicore (sentore nel retrogusto vuol dire bassa acidità) e gusto vegetale ( carta di identità di un
olio, sentore di carciofo, mandorla,mela,cardo, pomodoro verde o pomodoro maturo, peperone,
erba appena tagliata,erbe aromatiche, legumi cotti, sedano, rosmarino, banana, miele ecc..).
4.7 Attributi negativi di un olio
In diversi passaggi del ciclo produttivo dell’ olio si può incorrere in eventi che
determinano un peggioramento della qualità con l’ insorgere di alterazioni che si
riscontrano all’ assaggio come sensazioni sgradevoli o difetti.
• Difetti che si generano nell’ olio durante la produzione delle olive come di secco, di gelato, di
verme. Il difetto e' inevitabile nelle annate siccitose in quanto si viene ad avere la predominanza
del nocciolo sulla polpa. Il difetto di “ secco” è avvertibile al gusto con la sensazione di legno e di
“astringenza” e deriva da olive siccitose. Il difetto di “gelato” , si verifica quando si portano a
mollire olive che hanno subito una gelatura. In realtà i contenitori cellulari dell’ olio, i vacuoli, a
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seguito dell’abbassamento termico subiscono delle fratture che comportano un miscuglio di
sostanze chimiche che generano reazioni che, a loro volta, portano alla formazione di composti
che danno odori sgradevolissimi, soprattutto se questi oli sono usati in cottura. Gli oli con difetto
di “gelato” il più delle volte presentano anche il “secco” poiché, in effetti, avviene anche una
disidratazione della drupa che portano all’ aumento del rapporto polpa/nocciolo. E’ evidente che
per evitare questo difetto bisogna raccogliere le olive prima di gelate o nevicate. Il difetto di
“verme” si genera quando le olive molite sono fortemente attaccate dalla mosca olearia‐dacus
oleae. Le olive che hanno subìto l’ attacco da parte di una delle ultime generazioni della
Bactrocera (mosca dell’olivo) e presentando la larva di questo parassita al loro interno,
producono un olio dai sapori e odori veramente sgradevoli che si manifestano soprattutto in
cottura.
• Difetti che si generano durante la lavorazione delle olive come il riscaldo, l’ avvinato, la
muffa e metallico. Il difetto di “riscaldo” si può generare a seguito di uno stoccaggio
errato/prolungato delle olive; una pratica diffusa che può sicuramente generare questo difetto è
quello di portare le olive nei frantoi in sacchi di plastica. Le olive come tutti i frutti, continuano il
loro metabolismo anche dopo la raccolta, quindi, stoccarle in recipienti che non consentono la
traspirazione (sacchi di plastica o grossi mucchi) fa sì che si verifichi un riscaldamento della
massa che porta al difetto suddetto. Questo difetto, avvertibile sia con l’ olfatto sia al gusto, si
può evitare senza troppi disagi da parte dei produttori e dei trasformatori mediante l’ uso
di cassette forate e la programmazione delle lavorazioni. Il difetto di “ avvinato” è l’evoluzione
naturale del “ riscaldo” , poiché, nelle condizioni di elevata umidità ed in assenza di ossigeno gli
zuccheri presenti nelle olive fermentano, dando origine all’ acido acetico (aceto) che,
diluendosi nell’ olio, conferisce ad esso il caratteristico odore/sapore di aceto. La muffa è il
difetto ultimo dell’ errato e prolungato stoccaggio delle olive. Si verifica quando abbiamo elevata
temperatura ed umidità che comporta nel giro di 4‐5 giorni l’ inizio dello sviluppo delle muffe
che conferiscono all’ olio il caratteristico odore/sapore di “chiuso” . Il “metallico” , invece,
lo possiamo considerare un difetto minore, in quanto lo si riscontra con più difficoltà . Questo
difetto si genera a seguito di messa in opera di nuovi macchinari del ciclo trasformativi senza che
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siano puliti e sgrassati, oppure si può generare anche a seguito di un prolungato
stoccaggio dell’ olio in contenitori di latta in banda stagnata, come quelli che si usano
generalmente per il trasporto dell’ olio.
• Difetti che si generano nell’ olio durante la conservazione come la morchia e il rancido. Il
difetto di morchia si genera a seguito di prolungato stoccaggio dell’ olio sui fanghi di deposito,
costituiti da residui di polpa e di acqua di vegetazione. Per evitare questo difetto bisogna avere la
buona abitudine di travasare l’olio, così come si travasa il vino, oppure di
filtrarlo prima di conservarlo. Il difetto di rancido, invece, dall’ odore/sapore inconfondibile,
è quello che deriva dall’ ossidazione dei grassi e ci indica indirettamente l’ età di un olio. Infatti,
questo difetto si genera quando si esaurisce l’effetto protettivo degli antiossidanti,
naturalmente presenti nell’olio (polifenoli, tocoferoli, etc..). Più la percentuale di queste
sostanze è alta più la qualità dell’olio è elevata e più a lungo conserva le sue caratteristiche
organolettiche. Bisogna sempre rammentare che l’ olio va consumato nell’ arco di 15‐18 mesi;
non a caso i nostri nonni dicevano “vino vecchio, olio
nuovo”. I difetti citati sono solo quelli che si riscontrano con più facilità . Ve ne sono altri che si
verificano solo di rado, come il difetto di “ terra”, “ foglia” , “ fiscolo” , etc., ad ogni modo sempre
da evitare se vogliamo che il nostro olio sia classificato extravergine.
Ad un esame organolettico agli oli vengono attribuite diverse caratteristiche negative quali quelle
riportate qui sotto:
• Morchia: flavor caratteristico dell'olio ottenuto da olive ammassate o conservate in
condizioni tali da aver sofferto un avanzato grado di fermentazione anaerobica o dell'olio
rimasto in contatto con i fanghi di decantazione, che hanno anch'essi subito un processo
di fermentazione anaerobica, in depositi sotterranei e aerei. Richiama l'odore dell'olio
lubrificante caldo ed è imputabile a travasi mal eseguiti o non eseguiti affatto.
• Muffa‐umidità: flavor caratteristico dell'olio ottenuto da frutti nei quali si sono sviluppati
abbondanti funghi e lieviti per essere rimasti ammassati per molti giorni e in ambienti
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umidi. Sentore sgradevole conseguente all'impiego di olive non sane o fermentate per
eccessiva permanenza nei magazzini.
Mosca olearia: Olio ricavato da frutti colpiti dalla mosca olearia: sa di marcio e putrido
assieme.
• Avvinato‐inacetito / Acido‐agro: flavor caratteristico di alcuni oli che ricorda quello del
vino o dell'aceto. Esso è dovuto essenzialmente a un processo di fermentazione aerobica
delle olive o dei resti di pasta di olive in fiscoli non lavati correttamente, che porta alla
formazione di acido acetico, acetato di etile ed etanolo.
• Metallico: flavor che ricorda il metallo. È caratteristico dell'olio mantenuto a lungo in
contatto con superfici metalliche come dischi di ferro o frangitore metallico durante i
procedimenti di macinatura, gramolatura, pressione o stoccaggio. Facile da individuare, è
imputabile all'impiego di macchinari o recipienti di ferro non stagnati o comunque non
protetti.
• Rancido: flavor degli oli che hanno subito un processo ossidativo intenso.
• Riscaldo: Proviene dalla fermentazione lattica delle olive tenute troppo a lungo nei sacchi.
• Avvinato: Proviene dalla fermentazione acetica delle olive
• Lampante: Olio che deve essere inviato in raffineria. Quando non è proprio di pessime
caratteristiche organolettiche, può essere mangiabile.
Cotto o stracotto: flavor caratteristico dell'olio dovuto ad eccessivo e/o prolungato
riscaldamento durante l'ottenimento, specialmente durante la termo‐impastatura, se
avviene in condizioni termiche inadatte.
• Fieno‐legno: flavor caratteristico di alcuni oli provenienti da olive secche.
• Grossolano: sensazione orale/tattile densa e pastosa prodotta da alcuni oli vecchi.
• Lubrificanti: flavor dell'olio che ricorda il gasolio, il grasso o l'olio minerale.
• Acqua di vegetazione: flavor acquisito dall'olio a causa di un contatto prolungato con le
acque di vegetazione che hanno subito un processo di fermentazione.
• Salamoia: flavor dell'olio estratto da olive conservate in salamoia.
• Sparto: flavor caratteristico dell'olio ottenuto da olive pressate in fiscoli nuovi di sparto.
Esso può essere diverso se il fiscolo è fatto con sparto verde o con sparto secco.
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• Terra: flavor dell'olio ottenuto da olive raccolte con terra o infangate e non lavate.
• Verme: flavor dell'olio ottenuto da olive fortemente colpite da larve di mosca dell'olivo.
(Bactrocera Oleae).
• Cetriolo: flavor caratteristico dell'olio che ha subito un condizionamento ermetico.
eccessivamente prolungato, particolarmente in lattine, che è attribuito alla formazione di
2‐6 nonadienale.
• Legno umido: flavor caratteristico dell'olio estratto da olive che hanno subito una gelata
sull'albero.
La classificazione degli oli ai sensi del Reg. CE 1513/01 in vigore dal 1 Novembre 2003:
a) olio extra vergine di oliva: la mediana dei difetti è pari a 0 e la mediana del fruttato è
superiore a 0; è olio di oliva vergine la cui acidità libera, espressa in acido oleico, è uguale o
inferiore allo 0,8 gr, per 100 gr (al gusto non devono esserci difetti);
b) olio di oliva vergine: la mediana dei difetti è superiore a 0 e inferiore o pari a 2,5 e la
mediana del fruttato è superiore a 0; olio di oliva vergine la cui acidità libera, espressa in acido
oleico, non supera il 2 gr, per 100 gr (gusto con difetti lievi);
c) olio di oliva vergine corrente: olio di oliva vergine il cui punteggio organolettico è
uguale o superiore a 3.5, la cui acidità libera espressa in acido oleico è al massimo di 3,3 gr, per
100 gr;
d) olio di oliva lampante: la mediana dei difetti è superiore a 3,5 in genere fino a 6;
oppure la mediana dei difetti è inferiore o pari a 3,5 e la mediana del fruttato è pari a 0; olio di
oliva vergine la cui acidità espressa in acido oleico è superiore a 2 gr, per 100 gr (solo per
raffineria).
Non sono oli di oliva vergini:
70
a) olio di oliva raffinato: olio di oliva ottenuto dalla raffinazione di oli di oliva vergini, la cui
acidità libera espressa in acido oleico non può eccedere 0,3 gr per 100 gr;
b) olio di oliva composto da oli di oliva raffinati e oli di oliva vergini: olio di oliva ottenuto da un
taglio di olio di oliva raffinato e di oli d'oliva vergini diversi dall'olio lampante, la cui acidità libera
espressa in acido oleico non può eccedere 1 gr per 100 gr.;
c) olio di sansa di oliva greggio: olio ottenuto dalla sansa delle olive mediante estrazione con
solventi o processi fisici;
d) olio di sansa di oliva raffinato: olio ottenuto dalla raffinazione di olio di sansa di oliva greggio,
con un tenore di acidità libera, espressa in acido oleico, non superiore a 0,3 gr per 100 gr;
e) olio di sansa di oliva: olio ottenuto da un taglio di olio di sansa d'oliva raffinato e di oli di oliva
vergini diversi dall'olio lampante, con un tenore di acidità libera, espressa in acido oleico, non
superiore a 1 gr per 100 gr.
Se l'olio di oliva preso in esame rispetta, i parametri chimico‐fisici, i relativi limiti analitici, e
rispetta anche il punteggio della valutazione organolettica previsti dal Regolamento CEE n.
2568/91 ovvero: mediana del fruttato >0 e mediana del difetto = 0, può essere etichettato come
extravergine di oliva altrimenti verrà declassato in olio vergine o addirittura in olio di oliva
lampante (Fig 6).
71
Fig 6: Classificazione e caratteristiche organolettiche dell’olio
Un olio di buona qualità è caratterizzato quindi dall’aroma di “fruttato di oliva”, un odore fresco
e gradevole che ricorda l’oliva, la foglia di ulivo sfregata trave mani, l’erba appena falciata ed
eventuali note di foglia di pomodoro, di carciofo, di altri vegetali, di frutti quale la mela verde o i
frutti di bosco. Assaggiandolo, poi, dà una leggera sensazione gustativa amara e/o piccante.
Queste sensazioni sono dovute alla presenza di composti fenolici naturali, antiossidanti che
proteggono l’olio durante la conservazione. Tali antiossidanti svolgono una importantissima
azione anche in “vivo”, proteggendo le nostre cellule dall’invecchiamento e dallo “stress
ossidativo”(bloccano i radicali liberi).
L’amaro‐piccante (“olio che pizzica in gola”), quando non eccessivo, è quindi un importante
pregio dell’olio. Purtroppo, molti consumatori scambiano questo pregio per un difetto, ritenendo
che l’olio che ha questo gusto sia un olio “pesante”, “indigesto” o “acido”. Ciò è assolutamente
falso in quanto l’acidità libera dell’olio non si percepisce al gusto, poiché gli acidi grassi liberi
dell’olio sono inodori ed insapori.
Un olio di cattiva qualità presenta, invece, odori sgradevoli (“difetti”). Uno dei più comuni
difettidell’olio è quello di “rancido” dovuto alla ossidazione per effetto dell’aria. L’olio rancido
presenta un sentore che ricorda la noce, il grasso di prosciutto ingiallito, fino ad un odore di
vernice plastica ed è molto frequente negli oli vecchi e mal conservati.
Tra i difetti di origine fermentativa, frequenti sono quelli di “avvinato‐inacetito” (odore che
ricorda il vino o l’aceto) “di muffa” (odore che ricorda la muffa che si è sviluppata sulle olive
marce) o di “riscardo” e “morchia” (odore che ricorda la salamoia ed i formaggi). Altri difetti sono
quelli di “terra” (odore che ricorda la terra bagnata), di “cotto”, di “acqua di vegetazione” e di
“metallico”.Tutti questi odori possono essere memorizzati facilmente con la guida di un
assaggiatore esperto. Al gusto, un olio vecchio o difettato evidenzia spesso un gusto piatto. La
mancanza assoluta dell’amaro e del piccante, collegata al difetto di rancido, è un chiaro indice del
fatto che l’olio ha ormai subito un processo degradativo irreversibile ed ha perso le sue proprietà
72
e la sua qualità.
4.8 I difetti dell’olio
I difetti dell’olio possono trarre origine in uno qualsiasi dei diversi momenti che vanno dalla
conduzione in campo dell’uliveto fino all’utilizzo del prodotto finito. La non razionale esecuzione
di tutte le fasi, dalla produzione al confezionamento e distribuzione, può infatti causare la perdita
di fruttato e la comparsa di difetti. Imparare a riconoscere un difetto, e quindi ad associare una
determinata sensazione olfatto ‐ gustativa ad un termine tra quelli proposti nel vocabolario
specifico per gli oli vergini di oliva, è uno dei principali obiettivi nella formazione
dell’assaggiatore. Riconoscere il difetto è, inoltre, estremamente utile agli addetti della filiera
perché, conoscendo le principali cause di eventuali difetti riscontrati, è possibile capire dove
intervenire per il miglioramento della qualità delle produzioni evitando che il problema si
presenti successivamente. A tale scopo, è utile richiamare i principali difetti in base alla causa più
probabile.
4.9 Cattiva qualità delle olive
Quando le olive presentano una elevata infestazione attiva da Mosca dell’Oliva (Bactocera
Oleae), si ottengono oli caratterizzati da difetto di verme. Tali oli mostrano una notevole
riduzione del fruttato e dei costituenti fenolici con evidente riscontro negativo sulla qualità
sensoriale dell’olio prodotto.
Il difetto di terra è frequente nel caso di olive raccolte dopo contatto prolungato con il suolo e/o
in casi di inefficace gestione della fase di lavaggio olive al frantoio (insufficiente ricambio di
acqua, assenza della fase). Il difetto di fieno/legno è legato ad un forte stress idrico subito dalla
pianta durante la maturazione del frutto con conseguente riduzione del rapporto polpa/nocciolo.
Lo stoccaggio delle olive prima della trasformazione è sempre un evento negativo che determina
la diminuzione dei composti volatili responsabili delle note “verdi”. Inoltre, col passare del tempo
espone il frutto alla colonizzazione da parte dei microorganismi presenti nell’ambiente. Questo
73
effetto è tanto più marcato quanto più le olive sono state raccolte oltre lo stadio di maturazione
ottimale e/o presentano danni alla polpa. La temperatura e l’umidità ambientali determinano il
prevalere di una forma microbica sull’altra e di conseguenza la produzione di diversi metaboliti
che alterano la qualità sensoriale dell’olio prodotto. Ad esempio, il prevalere di lieviti causa la
formazione di etanolo ed etil acetato che sono alla base della percezione del difetto di avvinato.
74
5. PROCEDURE PER LA PRODUZIONE DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA
L’olio di oliva è una realtà importante nel settore agroalimentare italiano per il ruolo di primo piano
che il nostro sistema produttivo svolge in campo internazionale (1). La qualità di un olio extra vergine
di oliva prende in considerazione molteplici fattori tra cui le pratiche colturali per assicurare olive
integre e in perfetto stato sanitario. Le olive vanno raccolte al giusto grado di maturazione e subito
trasformate in frantoio. L’olio extra vergine d’oliva, una volta ottenuto, va conservato in modo
appropriato per evitare i possibili fattori di rischio che accelerano il naturale processo di ossidazione
deputato ad alterarne le iniziali caratteristiche. Il settore della trasformazione olivicola, negli anni 60’
e 70’ si è caratterizzato per l’impiego del sistema tradizionale della pressione e , in minor misura del
sistema del percolamento ma anche, in qualche caso del sistema di centrifugazione. Quest’ultimo
sistema è apparso sul mercato italiano alla fine degli anni 60’ e ha riscosso un rapido successo
concretizzatosi, nei due decenni successivi in una massiccia diffusione dell’innovazione specie nei
Paesi a più elevata produzione olivicola come l’Italia, la Spagna e la Grecia (2). Il progresso tecnologico
ha determinato, tuttavia, l’affermazione del sistema della centrifugazione che, in seguito, fu
ulteriormente perfezionato per soddisfare esigenze particolari, legate ai problemi ambientali e con le
aspettative degli olivicoltori sempre più interessati a migliorare la qualità dell’olio e ad ottenere buoni
risultati quantitativi. Il settore italiano e anche quello spagnolo, hanno subito notevoli trasformazioni
attraverso i risultati conseguiti dalla ricerca nello studio finalizzato ad accertare l’influenza
determinata dalle innovazioni tecnologiche, introdotte nell’oleificio, sulla qualità chimica,
organolettica e nutrizionale dell’olio vergine di olive, nonché sui rendimenti di estrazione. L’Italia
rispetto agli altri Paesi (3) produttori di olive e di olio possiede un patrimonio olivicolo di grande
interesse poiché la posizione geografica del territorio ha favorito lo sviluppo di molte varietà di olivi
ognuna delle quali ha trovato l’ambiente ideale per fruttificare resistendo alle avversità
metereologiche. Nessun altro paese al mondo possiede tante varietà autoctone di olivi come l’Italia,
dove ne sono state censite 538 (4). In molti casi la stessa varietà di olivo, coltivata in una stessa
regione o in una regione vicina, viene chiamata con nomi diversi (sinonimo), fenomeno molto diffuso
in Italia. Attualmente il nostro paese detiene il primato di oli che hanno ricevuto il prestigioso
75
riconoscimento da parte dell’Unione Europea, in quanto ben 36 prodotti si possono fregiare del
marchio DOP. La qualità dell’olio che si ricava dalla lavorazione delle olive in frantoio dipende,
naturalmente, dalla qualità e dallo stato sanitario e di maturazione delle olive stesse, ma anche da
altri fattori connessi con le operazioni di raccolta e di post‐raccolta. Quando si parla di qualità
dell’olio, ci si riferisce, principalmente alle caratteristiche chimiche, chimico fisiche e organolettiche
che il prodotto possiede e che, in definitiva si stabilizzano nei valori dei parametri stabiliti dalla
normativa nazionale, comunitaria e internazionale. Gli organi sopranazionali che dettano le norme
sulla qualità dell’olio d’oliva sono il Codex Alimentarius, il Consiglio Oleicolo Internazionale e, per i
Paesi comunitari, l’Unione Europea. Tali organismi, in modo indipendente, possono stabilire i limiti
analitici che l’olio deve possedere per essere classificato in una certa categoria. Tuttavia al fine di
facilitare gli scambi commerciali tra Paesi Olivicoli delle varie parti del mondo, si è cercato di
armonizzare tutte le norme e i regolamenti riguardanti le caratteristiche e i relativi limiti analitici, che
gli oli ottenuti dalle olive devono presentare per stabilirne la qualità merceologica e la genuinità.
Risultati soddisfacenti si sono ottenuti sul piano dell’armonizzazione delle norme e attualmente, per
quanto riguarda l’olio vergine d’oliva, vige, per i paesi dell’Unione Europea, il Regolamento (CE)
n.1513/2001 del Consiglio del 23 Luglio 2001 (5) che modificando le definizioni precedenti, stabilisce:
“Gli oli d’oliva vergini: gli oli ottenuti dal frutto dell’olio soltanto mediante processi meccanici o altri
processi fisici, in condizioni che non causano alterazioni dell’olio, e che non hanno subito alcun
trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione, esclusi
gli oli ottenuti mediante solvente o con coaudiuvanti ad azione chimica o biochimica o con processi di
riesterificazione a qualsiasi miscela con oli di altra natura”. Per ottenere delle differenze qualitative
che si possono verificare a carico dell’olio, in dipendenza della qualità delle olive e degli effetti che le
varie operazioni di post‐raccolta possono determinare, la normativa ultima, emanata con il
regolamento (CE) n. 1989/2003 (6) stabilisce, per ciascuno dei parametri che definiscono la qualità
merceologica, limiti analitici che consentono di classificare gli oli vergini in una delle tre categorie
commerciali previste: extra vergine, vergine, lampante.
Il nostro paese ha la produzione di olio vergine d’oliva che per la maggior parte appartiene alla
categoria extra vergine.
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Le olive maturano solitamente in ottobre, se di varietà precoce o in dicembre e gennaio, se più
tardive. Il momento ottimale per la raccolta varia in base al tipo di olivo, oltre che alle condizioni
climatiche stagionali e alla tecnica colturale utilizzata. Si parla di maturazione fisiologica, che coincide
con la pigmentazione nera o nera‐violacea dell’epidermide. Le principali operazioni per la produzione
dell’olio extravergine di oliva sono cinque e riguardano la raccolta delle olive e il trasporto in frantoio
con stoccaggio delle olive, il lavaggio delle olive e la frangitura, la gramolazione della pasta delle
olive, l’estrazione dell’olio e lo stoccaggio dell’olio (Fig 1).
Fig 1: Fasi di produzione dell’olio extravergine di oliva
Le 5 fasi vengono portate a termine nell'arco della giornata, a garanzia della qualità dell'olio prodotto.
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Durante la maturazione dell'oliva si ha un graduale aumento della percentuale di olio ed una
progressiva diminuzione di quella acquosa. È quindi importante che la raccolta avvenga al momento
opportuno e con i metodi più idonei.
5.1 Raccolta delle olive
Le olive, raccolte unicamente con metodi meccanici, con l'ausilisio di abbacchia tori pneumatici o di
scuotitori vengono fatte cadere su reti poste a terra sotto le chiome degli alberi. Vengono quindi
raccolte in cassette forate e portate al frantoio. Occorre raccogliere le olive sane al giusto punto di
maturazione direttamente dall’albero e trasportarle in giornata al frantoio affinché siano poste
rapidamente in lavorazione. In realtà non esiste un’indicazione assoluta dello stato ottimale di
maturazione commerciale, si raccolgono, quando si ha un’alta percentuale di frutti invaiati e minime
di frutti verdi, senza aspettare la caduta naturale quando le olive fornirebbero oli con elevata acidità e
con un profilo sensoriale difettato. Quindi l’indice che aiuta nella stima del migliore momento di
raccolta è l’indice di invaiatura (oliva metà verde e metà scura). È necessario rispettare l’integrità del
frutto, il distacco dalla pianta può determinare traumi e lesioni incidendo negativamente sulle
caratteristiche organolettiche dell’olio. La raccolta, come abbiamo appena detto, delle olive può
avvenire manualmente o meccanicamente, il metodo migliore è scelto in base all’ambiente in cui si
opera e alle caratteristiche dell’oliveto e del suolo oltre che del cultivar.
Ricordiamo:
‐ la raccattatura : a) caduta spontanea
b) pettinatura
c) scrollatura delle olive
d) abbacchiatura
‐ la brucatura a mano
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Raccattatura :
a) Caduta spontanea
Le olive cadono spontaneamente nelle reti stese sul terreno staccandosi dall'albero quando sono
eccessivamente mature, ciò determina un decadimento delle qualità organolettiche e nutrizionali
dell'olio. L'olio è infatti formato da trigliceridi che, oltre un certo livello di maturazione della polpa,
vengono degradati dagli enzimi cellulari; si assiste così al distacco degli acidi grassi dal glicerolo e ad
un conseguente aumento dell'acidità libera. Un olio è tanto più pregiato quanto minore è la sua
acidità; tale proprietà gli conferisce caratteristiche organolettiche migliori e lo preserva
dall'irrancidimento. La raccattatura per caduta spontanea è quindi un metodo economico, ma non
sempre consigliabile. I metodi più utilizzati per la raccolta delle olive sono la pettinatura e la
scrollatura.
b) Pettinatura
I rami degli alberi vengono pettinati con dei grossi rastrelli; questa operazione determina il distacco
delle drupe e di qualche foglia ma non incide sulla struttura arborea. Anche in questo caso andranno
posti dei teli sotto gli olivi per facilitare la raccolta delle olive cadute.
c) Scrollatura
Questa procedura viene fatta con dei bracci meccanici che avvolgono il fusto o i grossi rami dell'olivo
e li percuotono in modo blando, favorendo la caduta spontanea delle drupe. Questa tecnica non
incide troppo sulla struttura dell'albero, che subisce comunque uno stress importante. Un sistema di
raccolta simile si avvale di piccoli scuotitori portati a spalla dagli operatori, che provocano vibrazioni
più dolci e meno energetiche rispetto ai grossi scuotitori meccanici.
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d) Abbacchiatura
È un metodo che veniva molto utilizzato in passato. Consiste nel percuotere i rami degli alberi con
delle grosse pertiche; così facendo si vanno a lesionare i ramoscelli più giovani, a cui sarà affidata la
fruttificazione nell'anno successivo, danneggiando la produttività dell'uliveto. Le olive più mature
inoltre, possono rompersi per l'impatto con la pertica o con il terreno.
Brucatura a mano
È un metodo di raccolta ottimo perché, raccogliendo le olive a mano, si possono scegliere le migliori e
preservarne l'integrità. Si tratta, ovviamente di una tecnica impraticabile nelle grosse produzioni, a
causa degli insostenibili costi di manodopera. La brucatura è invece molto diffusa a livello casalingo,
dove consente di ottenere prodotti di qualità superiore. Può avvenire a mano con telo: le olive
vengono fatte cadere su telo sottochioma, però il rischio di trovare qualche oliva con ammaccatura
c’è, se l’oliva è troppo matura oppure con pettini e agevolatori meccanici che vengono azionati
meccanicamente, con moto di vibrazione e fatte cadere nelle reti sottostanti.
5.2 Trasporto al frantoio e stoccaggio delle olive
Il mezzo più idoneo per il trasporto delle olive dipende da molti fattori,come la quantità di drupe da
trasportare, la distanza da percorrere, le disponibilità dell’azienda produttrice, il sistema di stoccaggio
che il frantoio adotta(7). Nel nostro paese, nelle zone ad alta produzione olivicola, il modo più
comune di trasportare le olive, dalla campagna al frantoio, è rappresentato dall’impiego di
motofurgoni, con cassone ribaltabile, da cui le olive, caricate alla rinfusa, si possono rapidamente
scaricare nei box di stoccaggio.
Dopo la raccolta non tutte le olive vengono trasportate immediatamente al frantoio e subito
trasformate, per cui è necessario stoccarle. Lo stoccaggio delle olive in frantoio si effettua,
attualmente, soprattutto mediante l‘impiego di cassoni di plastica (bins) e pertanto si cerca di
realizzare il trasporto delle olive in modo da facilitare lo scarico delle stesse nei grossi cassoni. A tal
80
fine, un mezzo di trasporto è rappresentato dall’uso delle piccole cassette di plastica forate, da cui è
agevole e rapido lo scarico delle olive nei bins, con limitato impiego di manodopera. Spesso,
purtroppo, il trasporto viene realizzato in modo non idoneo utilizzando sacchi di plastica da cui, una
volta arrivati al frantoio, si scaricano le olive nei cassoni di plastica. In altri casi, con piccoli produttori,
si utilizzano i sacchi di iuta che, al pari del caso precedente, sono da sconsigliare per il rischio di
schiacciamento delle olive. Appare razionale, disponendo di idoneo mezzo meccanico di trasporto,
come un trattore o un camion, caricare le olive raccolte direttamente nei bins, posti sul mezzo da
trasferire al frantoio dove mediante opportuno mulinetto, i cassoni si depositano in attesa della
lavorazione.
Nel caso di trasporto di quantitativi elevati di olive, il mezzo di trasporto più idoneo è rappresentato
da grossi trattori con rimorchio dotato di cassone ribaltabile; quando la distanza da percorrere è
notevole, è opportuno utilizzare autocarri dal fondo coperto con tela impermeabile e con cassone
ribaltabile al fine di agevolare le operazioni di scarico. Una volta giunte le olive al frantoio,
generalmente, vengono messe in magazzini asciutti e ben areati, in una zona ombreggiata, al riparo
da gelate e cattivi odori, in alcuni casi disponendo i frutti su pavimento lavabile, all’aperto o al coperto
in strati di spessore variabile (8). Tutto ciò non deve protrarsi oltre le 48 ore dalla raccolta, al fine di
ottenere un prodotto qualitativamente ottimale lasciandone immutate le sue caratteristiche. Lo
stoccaggio delle olive, prima della lavorazione in frantoio, é un’operazione necessaria, ma che sarebbe
opportuno evitare, affinché la quantità di olive pervenuta in oleificio nell’arco della giornata, sia
superiore alla capacità di lavorazione giornaliera del frantoio stesso. Questa esigenza fortunatamente
è andata riducendosi negli anni, si verificava più spesso in passato, a causa del fatto che i frantoi
erano dotati di impianti la cui capacità era molto contenuta. L’accumulo di olive nell’olivaio, in attesa
di essere lavorate, rappresenta un alto rischio del deterioramento delle olive a causa dello
schiacciamento che porta all’innesco di fenomeni di fermentazione della sostanza organica con
formazione di prodotti volatili correlati a difetti organolettici (9). Questo porta all’ottenimento di un
olio di scarso valore qualitativo con incremento dell’acidità libera, insorgenza di difetti organolettici,
la cui intensità aumenta con lo stoccaggio. Lo scopo è quello di ottenere un olio con le caratteristiche
organolettiche integre o prossime a quelle ideali. Molti sono gli studi scientifici che hanno evidenziato
le alterazioni delle olive a causa di un lungo periodo di stoccaggio (10,11); si ribadisce la necessità di
81
lavorare subito in frantoio sulle olive raccolte dall’albero per ottenere oli extravergini di buona, o
eccellente qualità.
Il locale in cui si estraeva l’olio, per molti secoli e fino a qualche anno fa, in molte regioni italiane, era
chiamato, con differenti versioni dialettali “trappeto”. Il trappeto indicava un mortaio in pietra entro
il quale potevano girare, attorno ad un asse verticale di legno, due macine, sempre in pietra a forma
semisferica. Attualmente il locale in cui si lavorano le olive viene chiamato anche oleificio o frantoio.
Importante per il settore della produzione olearia, interessato alla qualità dell’olio, è la cura
dell’immagine dell’oleificio, che deve rispettare oltre alle norme igieniche e sanitarie, anche le regole
dell’HACCP (Hazard Analysis and Control Critical Points): un locale pulito, adeguatamente illuminato e
ad una temperatura controllata. Nel Manuale di buona pratica per il frantoio oleario preparato dal
Consiglio Oleicolo Internazionale di Madrid, sono riportate nelle Direttive della Comunità Europea e in
alcune leggi nazionali, indicazioni sulla costruzione di un oleificio, sulla disposizione dei locali, sulla
sicurezza ed igiene delle persone che vi operano.
Dopo lo stoccaggio delle olive, si effettuano le seguenti operazioni che portano alla produzione
dell’olio vergine d’oliva:
• eliminazione delle foglie e lavaggio delle olive;
• preparazione della pasta di olive mediante frangitura o molitura della drupe;
• gramolazione della pasta di olive precedentemente ottenuta;
• separazione dell’olio, o del mosto oleoso, dalle altre fasi dell’impasto;
• separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione.
La raccolta delle olive, sia a mano sia con gli scuotitori e le macchine agevolatrici, provoca la caduta
delle foglie, la cui presenza, insieme alle olive, determina condizioni favorevoli per ridurre il peso delle
drupe ed evitare il rischio dello schiacciamento. Gli olivicoltori, in passato, operavano in campagna la
selezione manuale delle olive eliminando la maggior parte delle foglie (12). In seguito con l’utilizzo del
sistema di centrifugazione a 3 fasi, si ritenne necessaria l’introduzione, insieme alle macchine
indispensabili per l’estrazione dell’olio, anche la macchina in grado di eliminare le foglie, e l’eventuale
altro materiale vegetale presente. Le due operazioni, defogliazione e lavaggio, in genere vanno
82
effettuate per motivi di ordine igienico e sanitario, per rispettare l’HCCP, per ragioni tecnico
meccaniche e soprattutto per motivi legati alla qualità dell’olio.
Durante le operazioni di defogliazione e lavaggio si liberano le olive da foglie, terra e da tutto ciò che
possa danneggiare le caratteristiche organolettiche dell’olio e dell’impianto stesso. Generalmente, la
defogliazione e il lavaggio delle olive, vengono effettuati da una sola macchina che esegue le due
operazioni in sequenza e che ha dimensioni variabili in relazione alla capacità di lavorare dell’oleificio.
Mediante un forte aspiratore, la macchina elimina prima le foglie e tutto il materiale vegetale libero,
servendosi dell’ausilio di una griglia che vibrando muove le olive, e successivamente, consente il
lavaggio delle olive stesse che vengono sommerse dall’acqua contenuta nel sottostante cassone e
mosse da apposita pompa di circolazione. Le olive, quindi, avanzando sulla griglia vibrante, subiscono
un lavaggio. A questo punto le olive sono pronte per la successiva operazione di frangitura.
Le predette operazioni pur previste e auspicate, non sempre vengono effettuate. Infatti in alcuni
oleifici, dove si lavorano olive di buona qualità, raccolte dall’albero e senza eccessiva quantità di
materiale estraneo, le operazioni di preparazione della pasta di olive, iniziano con la rimozione delle
foglie, evitando invece il lavaggio delle olive. Tale soluzione semplifica le operazioni, riduce i costi,
quando il lavaggio risulta essere superfluo e non necessario per salvaguardare le qualità dell’olio.
Dopo le operazioni di defogliazione e lavaggio, comuni a tutti i sistemi anche se non sempre
adottate, le olive devono essere sottoposte ad altre operazioni che hanno la finalità di preparare una
pasta in cui la fase oleosa possa essere separata, dalle altre fasi costituenti l’impasto.
5.3 Molitura e frangitura
Dopo aver pulito le olive, viene eseguita la molitura o frangitura (frangere da qui il nome frantoio)
letteralmente vuol dire rompere; le olive vengono prima pesate, defogliate e lavate. In questa fase la
polpa e i noccioli delle olive vengono lacerati a fondo attraverso le molazze (macine di granito) o i
moderni frangitori a martelli (fig 2).
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Fig2: Molazze (macine di granito) usate per la molitura
Si ottiene così una pasta di olive formata da polpa e nocciolo entrambi frantumati. Le drupe vengono
messe all'interno delle molazze, vasche metalliche speciali dotate di 2, 3 o 4 ruote molto pesanti, di
granito, che girano su se stesse ed intorno ad un albero centrale, dal quale si distanziano in misura
diversa, schiacciando con il loro peso le olive. Il metodo moderno invece utilizza frangitori a martelli o
a dischi rotanti, che frantumano velocemente le olive fino a quando la pasta ottenuta non fuoriesce
dal frangitore attraverso una grata forata (denocciolatore). In questo modo si ottiene una pasta più
uniforme rispetto alle macine tradizionali, ma lacerano troppo velocemente la polpa delle olive,
facendo aumentare la temperatura delle pasta, e alterando le sensazioni organolettiche, quali l’amaro
e il piccante. Nel caso di utilizzo delle ruote di granito, lo svantaggio sta nella bassa capacità
lavorativa.
La frangitura ha lo scopo di ledere le cellule della polpa, favorendo la fuoriuscita di olio dai vacuoli e la
frantumazione del nocciolo. Quest'ultimo aspetto è molto importante perché, essendo il nocciolo
dotato di un guscio legnoso, quando va incontro a rottura produce schegge che favoriscono, a loro
volta, la lesione delle strutture cellulari della polpa ed una maggior estrazione di oli.
Dalla molitura si ottiene una massa definita "pasta di olive", questa pasta di olive può essere definita
un'emulsione di olio in acqua, perché l'olio fuoriuscito dai vacuoli si disperde sottoforma di
goccioline in questa massa pastosa.
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5.4 Gramolazione della pasta delle olive
Una volta triturate, la pasta di olive viene estratta dalla molazza e portata alla gramola, dove si
effettua una gramolatura, cioè un suo rimescolamento. La gramolazione della pasta di olive è
un’operazione necessaria per incrementare la resa di estrazione dell’olio. Questa operazione è
diversa a seconda della sua durata e della temperatura dell’acqua di riscaldamento che circola
esternamente alla gramola. Condizioni ottimali di granulazione sono tempi compresi tra 30 e 60
minuti, ad una temperatura di 30‐32° C, in base alle caratteristiche delle olive lavorate. Aumentando
la temperatura di gramolazione molto al di sopra dei valori ottimali, si otterrà un olio con
caratteristiche di qualità inferiori.
Fig 3: Gramolazione e procedura classica di estrazione dell’olio
In questo schema è illustrata l’estrazione dell’olio per pressione (metodo classico e antico, ha lo
svantaggio di essere discontinuo).
Agitando questa pasta si facilita l'ulteriore lacerazione delle cellule, ottenendo una maggiore
fuoriuscita di olio dai vacuoli. Altro aspetto molto importante legato alla gramolatura è che, grazie ai
continui rimescolamenti, le goccioline di olio disperse nella massa collidono tra loro unendosi in
gocce via via sempre più grosse. Procedendo nella lavorazione di questa pasta si ha un'inversione di
fase; tramite gramolatura si passa quindi da un'emulsione di olio in acqua ad un emulsione di acqua
85
in olio: la massa assume una composizione oleosa e l'acqua di vegetazione rimane dispersa
sottoforma di piccolissime goccioline.
L'aumento della temperatura e dei tempi di gramolatura migliora la resa in olio ed il suo aroma, ma
influisce negativamente sulla qualità e conservabilità del prodotto, in quanto il calore diminuisce il
contenuto in polifenoli, mentre il tempo di gramolatura prolungato favorisce l'aumento dell'acidità
libera.
5.5 Estrazione dell’olio
A questo punto si procede alla fase dell’estrazione vera e propria, che porta alla separazione delle tre
componenti della pasta, ossia sansa, acqua di vegetazione e olio.
La separazione delle fasi liquide (olio e acqua di vegetazione) e di quella solida (sansa), che
costituiscono la pasta di olive, si realizza con i seguenti sistemi (13):
• per pressione (metodo classico discontinuo)
• per centrifugazione (metodo moderno discontinuo)
• percolamento mediante filtrazione selettiva (metodo moderno, continuo).
Il più tradizionale dei sistemi è l’estrazione per pressione meccanica. Viene utilizzato una specie di
torchio centrale in cui viene posto un carrello con foro centrale, in questo carrello vengono
sovrapposti dei dischi filtranti, detti fiscoli, costituiti da fibre metalliche, in genere di acciaio, o
naturali. La pasta di olive viene spalmata sui fiscoli, i quali vengono impilati nel carrello intervallati
da dischi pieni, non costituiti da fibra, ma da metallo. Il carrello viene quindi fatto entrare nel sistema
premente e si procede con la pressatura. I dischi metallici servono per uniformare la pressione e
rendere più efficace l'azione di spremitura. Dalla pressatura della pasta di olive fuoriesce la
componente liquida oleosa (mosto oleoso, ovvero olio e acqua di vegetazione) (Fig 3).
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Questo mosto viene poi portato nelle centrifughe per ottenere una completa separazione delle due
fasi, allontanando l'acqua di vegetazione dall'olio.
Fig 4: dettaglio delle diverse fasi di lavorazione dell’olio
L'olio così ottenuto dovrà subire una filtrazione finale per eliminare residui di polpa e tutte le
sostanze che possono intorbidarlo (Fig 4). Al termine del processo si ottiene un olio vergine. L’olio
vergine di oliva è tale, cioè vergine, solo se la sua estrazione dal frutto oliva si effettua impiegando
macchine, con l’esclusione di altri mezzi in particolare quelli chimici. Questa caratteristica richiamata
costantemente nella normativa che ne definisce la categoria merceologica (Regolamento (CE)
n.1513/2001 del 23 luglio 2001) è forse, la più importante tra quelle richieste per differenziare gli oli
vergini di oliva da quelli ottenuti da altre oleaginose, soprattutto dagli oli di semi, in genere estratti
con solventi chimici e sottoposti alle successive operazioni industriali di raffinazione. Gli oli vergini
vengono quindi classificati in base all’acidità libera. Se questa risulta superiore rispetto ai parametri
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di legge si rende necessario un processo di correzione o rettifica (operazione tecnologica eseguita
sugli oli per renderli idonei al consumo umano; alla rettifica devono essere sottoposti tutti gli oli
vergini con acidità superiore ai limiti di legge, tutti gli oli di sansa e tutti gli oli di semi). Dopo la
pressatura, la parte solida che resta aderente ai fiscoli è la sansa, il residuo della pasta di olive.
Questa sansa contiene ancora una piccola percentuale di olio, non più estraibile mediante pressione
ma attraverso estrazione con solventi chimici. L’olio così ottenuto non può più essere chiamato
vergine, necessita di rettifica e viene prodotto in stabilimenti separati dagli oleifici.
Un altro sistema estrattivo per centrifugazione (decanter) sfrutta il diverso peso specifico dei singoli
componenti (Fig 5).
I processi iniziali, pulitura, frangitura e gramolatura, sono gli stessi visti per il metodo a pressione.
Dopo la gramolatura la pasta di olive viene miscelata con un 30% di acqua (viene diluita, resa più
liquida) ed entra in un estrattore centrifugo, che può essere a tre vie (dal quale escono la sansa, l'olio
e l'acqua di vegetazione) o a due vie (dal quale escono solamente l'olio e l'acqua di vegetazione).
Fig 5: Sistema di estrazione per centrifugazione
L'estrattore centrifugo, chiamato decanter, è costituito da una vite senza fine che, ruotando, porta
avanti la pasta di olive comprimendola; da un lato escono le sanse schiacciate, il liquido va sul fondo
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e, mentre scende, si ha anche la separazione dell'acqua (che esce dal basso) e dell'olio (che esce
dall'alto, perché più leggero).
La separazione, però, non è netta ed entrambi vengono immediatamente sottoposti a
centrifugazione, per recuperare la piccola percentuale di olio presente nell'acqua da un lato, e per
allontanare la piccola quota di acqua di vegetazione presente nell'olio dall'altra.
Fig 6: Procedura moderna e veloce di estrazione dell’olio per centrifugazione
In questo schema è illustrata l’estrazione dell’olio per centrifugazione (continuo, moderno, più
veloce, ma che elimina buona parte della componente fenolica) (Fig 6).
Gli oli vengono poi uniti e l'acqua recuperata per essere nuovamente mescolata alla pasta di oliva.
Si tratta di un impianto veloce, che lavora molto bene, ma che, dovendo mescolare la pasta di olive
con un 30% di acqua, causa la parziale perdita della frazione polifenolica dell'olio. I polifenoli sono
una categoria di composti ad azione antiossidante presente nei vegetali e nello stesso olio di oliva. Il
prodotto si priva così di una caratteristica molto importante, sia per la salute del consumatore, sia
per la sua conservabilità.
La necessità di limitare il volume delle acque di vegetazione ha portato alla messa a punto del
cosiddetto decanter a due fasi, grazie al quale si ottengono solamente due prodotti, l'olio da un lato
e la sansa dall'altro. Quest'ultima risulta tuttavia difficilmente gestibile con le normali pale
meccaniche, in quanto particolarmente ricca di acqua (60%).
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Per tutti questi motivi oggi sta prendendo sempre più piede il processo mediante filtrazione
selettiva, metodo veloce e continuo che permette di conservare la componente fenolica (fig 7).
Anche in questo caso le fasi iniziali di pulitura, molitura e gramolatura sono le stesse viste per i
metodi precedenti. Alla gramolatura segue un'estrazione dell'olio mediante percolazione.
La pasta di oliva viene messa su sistemi filtranti costituiti da una griglia di acciaio o nichel, sulla quale
poggiano tante lamelle di metallo mobili che penetrano nella pasta. Dal momento che tali lamelle
sono costituite da metallo, l'olio di oliva aderisce ad esse molto meglio dell'acqua; quando si
retraggono lasciano poi sgocciolare l'olio trattenuto. Questa tecnica sfrutta la diversa tensione
interfacciale esistente tra metallo ed olio e tra metallo ed acqua.
Su queste piastre scorre un pettine raschiatore in gomma, che spinge la pasta di oliva sul sistema
filtrante.
Le goccioline di olio rimangono quindi adese alle lamelle di metallo e scivolano giù, mentre l'acqua
non si attacca e resta nella pasta di olive. Il risultato finale di questa tecnica filtrante è un'emulsione
di piccolissime goccioline di acqua di vegetazione in olio, detta mosto, che viene sottoposta a
centrifugazione per ottenere la definitiva separazione dell'olio dall'acqua. Anche la sansa viene
sottoposta al medesimo processo, che permette di ottenere da un lato un corpo di fondo esaurito e
dall'altro un mosto, che per successiva centrifugazione verrà ancora una volta separato in olio ed
acqua di vegetazione.
Fig 7: Processo di filtrazione selettiva dell’olio
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Esaminando le condizioni della qualità di partenza delle olive, tuttavia la pressione e il percolamento,
a parità di condizioni possono comportare aumento dei parametri di acidità, del numero di perossidi,
e l’insorgenza di difetti sensoriali, perché si basano su sistemi di estrazione (rispettivamente fiscoli e
lamelle) che non consentono una facile pulizia. Per il sistema di percolamento sono consigliati i fiscoli
che facilitano il deflusso dell’olio e il distacco delle sanse residue per evitare l’insorgenza dei difetti del
fiscolo, dovuti all’irrancidimento dei residui vegetali rimasti sui diaframmi filtranti. Lo stesso dicasi per
il sistema del percolamento ormai quasi in disuso, richiede attenzione per impedire l’insorgenza di
influenze negative sui parametri che caratterizzano l’alta qualità dell’olio extravergine d’oliva. Non
bisogna percolare per un tempo superiore a circa 30 minuti e adottare sistemi di pulizia accurati e
approfonditi della griglia di percolamento. Infine la centrifugazione richiede attenzione alla pulizia del
decanter se si vuole ottenere un olio di qualità. I moderni impianti di centrifugazione disponibili
consentono di modulare le variabili tecnologiche del processo di estrazione per ottenere oli extra
vergini con il contenuto di sostanze fenoliche e il profilo sensoriale desiderati, in funzione della
materia prima di partenza.
La separazione dell’olio dal mosto oleoso si effettua per liberare l’olio dall’acqua di vegetazione e dai
microframmenti vegetali che lo accompagnano. Per assicurare una pulizia migliore dell’olio si
aggiunge acqua tiepida all’olio mosto, ma ciò determina la diminuzione del suo contenuto di sostanze
fenoliche, molto più solubili nell’acqua che nell’olio.
Il prolungato contatto dell’olio con l’acqua di vegetazione potrebbe conferirgli il difetto di acqua di
vegetazione, per cui è necessario che la separazione avvenga nel minor tempo possibile. Per ottenere
una buona conservazione dell’olio extravergine di oliva è assolutamente necessario allontanare i
fondami (morchie) che si separano per decantazione nel corso della conservazione.
La permanenza dell’olio a contatto con le morchie, può essere causa di un possibile aumento di
acidità oltre che all’insorgenza di difetti. Infatti, i fondami sono costituiti da acqua, mucillagine,
zuccheri e proteine, frammenti di polpa, microrganismi ed enzimi che sono in grado di innescare
fermentazioni indesiderate. L’allontanamento dei fondami può essere ottenuto mediante ripetuti
travasi, il rischio in questa fase è di esporre l’olio ad un eccessivo contatto con l’aria. La stabilità
dell’olio e la sua conservabilità sono molto influenzate dalle tecnologie di trasformazione e dalle
condizioni di conservazione, che possono determinare uno scadimento qualitativo. Per evitare questo
è necessario seguire delle norme idonee di conservazione: è necessario ridurre al minimo il volume di
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aria a contatto con l’olio, proteggere l’olio dall’esposizione alla luce, minimizzare il contatto dell’olio
con le morchie. È preferibile conservare l’olio in silos di acciaio inossidabile, poiché questi sono inerti
e facilmente lavabili, ermetici e disponibili in formati adattabili ad ogni esigenza.
È consigliabile disporre di più recipienti di diverse dimensioni da tenere sempre completamente pieni,
minimizzando la presenza di aria nello spazio di testa del contenitore. L’olio va conservato a
temperature comprese tra i 10 e i 18 c, evitando sia il riscaldamento che il congelamento.
Dopo l’estrazione l’olio extra vergine si presenta più o meno torbido a causa della presenza di
impurità naturali, quali frammenti di polpa e acqua che possono trovarsi in sospensione o emulsionati
nella fase oleosa. Nel tempo tali componenti, si depositano sul fondo dei serbatoi di stoccaggio
sottoforma di morchie e il contatto dell’olio con esse può causare un aumento significativo dell’acidità
e il presentarsi di fenomeni significativi che predispongono l’olio a difetti organolettici quali avvinato,
inacetito e putrido. Per assicurare una buona conservazione dell’olio extra vergine di oliva è quindi
necessario allontanare il materiale in sospensione. La scelta del momento in cui si effettua la
filtrazione è variabile, in taluni casi viene eseguita sull’olio appena prodotto, più spesso avviene, dopo
aver compiuto eventuali miscelazioni subito prima del confezionamento.
5.6 Stoccaggio dell’olio prodotto
L'olio così estratto viene quindi inviato nei silos di acciaio inox e tenuto in contatto con azoto per poi
essere confezionato; la sansa viene invece immediatamente eliminata e stoccata in contenitori a
tenuta stagna per essere poi spansa sul terreno.
Le attività che compongono il processo di raccolta e molitura si concludono entro la giornata, per
garantire la massima qualità dell'olio prodotto.
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