REGIONE CAMPANIAAssesorato all'Ambiente autorità di bacinonord occidentale
Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologicodell'Autorità di Bacino Nord Occidentale della Campania
Aggiornamento anno 2010
Responsabili scientificiprof. ing. Michele Di Natale (conv. 04/2007) arch. Paolo Tolentino
Coordinamento generale di progetto
Consulenza giuridicaavv. Angelo Marzocchella (Avvocatura Regionale)
prof. geol. Roberto de Riso (conv. 03/2007)
GRUPPO DI PROGETTO
geol. Stefania Coraggioing. Luigi Iodiceing. Pasquale Laezzaarch. Pietro Paolo Piconegeol. Antonella Ricciogeol. Assunta Maria Santangelo
Autorità di Bacino Nord Occidentale della Campania
responsabili: prof. ing. Corrado Gisonni, prof. ing. Alessandro Mandolini
CIRIAM - Centro Interdipartimentale di Ricerca in Ingegneria Ambientale della Seconda Università degli Studi di Napoli (conv. 02/2007)
collaboratori convenzionati dal CIRIAM:ing. Agostino Santilloing. Luca Cristianoing. Diego Di Martire ing. Anna Di Mauroarch. Valeriano Pesceing. Eleonora Quarantaing. Liberata Tufano
società convenzionate dal CIRIAM:Tecnorilievi s.r.l. per il rilievo topograficoIdrogeo s.r.l. per l'indagine geotecnica
collaboratori convenzionati dal DIGA:geol. Melania De Falcogeol. Sossio Del Prete arch. Maria De Rosa geol. Giuseppe Di Crescenzo geol. Luca Di Iorio geol. Vittorio Emanuele Iervolino geol. Biagio Palma geol. Marcello Rotella
DIGA - Dipartimento di Ingegneria Idraulica Geotecnica ed Ambientaledell'Università degli Studi di Napoli Federico II (conv. 01/2007)
prof. geol. Domenico Calcaterraprof. geol. Antonio Santo
responsabile: coordinatore:
SUPPORTO SCIENTIFICO
dott. Giuseppe CatenacciIL SEGRETARIO GENERALE
Il Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico (PAI) è stato redatto alla scala 1:5000 su Cartografia Tecnica Regionale (ed. 2004 - 2005)
Autor
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STUDIO MULTIDISCIPLINARE ED INTEGRATO DI UN VERSANTE IN ROCCIA DELL'ISOLA DI ISCHIA - LOCALITA FRASSITELLI - COMUNE DI FORIO D'ISCHIA
RELAZIONE GENERALE
1
SOMMARIO
PREMESSA ........................................................................................................................... 2 1. CENNI SULL’ASSETTO VULCANO-TETTONICO DELL’ISOLA D’ISCHIA................. 3 2. CARATTERI MORFOLOGICI DEL SETTORE OCCIDENTALE DELL’ISOLA
D’ISCHIA ...................................................................................................................... 5 3. LE FRANE IN TUFO VERDE DEL SETTORE OCCIDENTALE DELL’ISOLA
D’ISCHIA ...................................................................................................................... 7 4. L’AREA DI STUDIO .................................................................................................... 10 4.1 Aspetti geologici ...........................................................................................................................15 4.2 Aspetti geomorfologici ..................................................................................................................16 5. METODI DI STUDIO ................................................................................................... 18 6. RISULTATI ................................................................................................................. 23 6.1 Quadro geostrutturale ...................................................................................................................23 6.2 Cinematismi attesi ........................................................................................................................29 6.3 Qualità degli ammassi rocciosi e suscettibilità all’innesco ...........................................................42 6.3.1 Determinazione dell’RMR di base ............................................................................................................... 42 6.3.2 Determinazione dell’SMR e suscettibilità all’innesco .................................................................................. 47 6.4 Simulazione della caduta-blocchi .................................................................................................48 7. VALUTAZIONE DELLA SUSCETTIBILITÀ ALL’INVASIONE PER FRANE DA
CROLLO ..................................................................................................................... 52 8. CONCLUSIONI ........................................................................................................... 54 BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................... 59
2
Premessa
Nell’ambito dell’aggiornamento del Piano per l’Assetto Idrogeologico, è stato svolto
uno studio di dettaglio che ha riguardato la propensione all’instabilità di un settore del
versante occidentale del Monte Epomeo, ricadente nel territorio comunale di Forio
d'Ischia (NA). Tale studio, attraverso indagini e rilievi di dettaglio, costituisce un
progetto pilota di mitigazione del rischio in aree interessate da fenomeni di crollo in
roccia.
La scelta dell’area di studio si deve a due motivazioni:
- in passato si sono verificati numerosi fenomeni franosi che hanno coinvolto
ingenti masse rocciose;
- il versante ricade, ai sensi del vigente Piano Stralcio per l’Assetto
Idrogeologico, nella classe di rischio R4, “dove è possibile che si verifichino
danni e/o perdite di vite umane e l’interruzione della funzionalità delle
infrastrutture strategiche”.
Lo studio sull’area-campione del monte Epomeo è stato eseguito attraverso
rilevamenti geologico-geomorfologici e rilievi geostrutturali-geomeccanici, a loro volta
seguiti da alcune analisi di stabilità. Queste ultime, condotte mediante uno specifico
codice di calcolo, sono state indirizzate alla verifica del potenziale d’invasione dei
blocchi rocciosi. I risultati dello studio sono stati restituiti su un supporto cartografico
frutto di un rilievo fotogrammetrico (Tavv. 1, 2 e 3).
3
1. Cenni sull’assetto vulcano-tettonico dell’isola d’Ischia
La complessa evoluzione vulcanologica e strutturale dell’isola d’Ischia è stata
oggetto di studi da parte di numerosi Autori (Rittmann & Gottini, 1980; Chiesa et al.,
1987; Vezzoli, 1988; Orsi et al., 1991; Zuppetta et al., 1993; Luongo et al., 1995; Orsi
et al., 1996) che hanno sviluppato molteplici e svariate ipotesi, spesso in antitesi tra
loro. L’isola è costituita da accumuli detritici da debris flow e da depositi la cui messa in
posto è connessa a fenomenologie di instabilità di versante, oltre che da rocce
vulcaniche e da depositi sedimentari di origine marina, con abbondanti fossili (Fig. 1).
L’attività vulcanica dell’isola d’Ischia, il cui inizio è posto oltre 150.000 anni fa in
base alle rocce più antiche datate, è stata suddivisa in 2 cicli, separati da un periodo
di stasi di circa 25.000 anni, e complessive 5 fasi (Chiesa et al., 1987; Orsi et al.,
1987; Vezzoli, 1988) ed il suo termine è fatto coincidere con l’eruzione dell’Arso
avvenuta nel 1302 a.D..
Tra le numerose formazioni riconosciute dai diversi Autori la più importante e la
più caratteristica è senza dubbio rappresentata dal Tufo Verde che costituisce
l’ossatura del rilievo di M.te Epomeo (Fig. 1). Si tratta di un deposito ignimbritico di
natura trachitica (Orsi et al., 1993) dalla tipica colorazione verde, per probabili
processi di alterazione almirolitica, ovvero per contatto con acqua marina. La sua
messa in posto fu, probabilmente, accompagnata da un collasso calderico in
corrispondenza dell’area che attualmente rappresenta la parte centrale dell’isola e
che è rimasta sommersa fino al sollevamento che ha portato alla formazione del
rilievo di M.te Epomeo (Chiesa et al., 1987; Barra et al., 1992; Orsi et al., 1993; Orsi
et al., 1996). Il deposito tufaceo si presenta costitutito da abbondanti pomici
porfiriche e da cristalli, principalmente di biotite e di alcalifeldspati, immersi in una
matrice scarsamente vetrosa che, nelle porzioni superiori degli affioramenti, è
prevalentemente cineritica, con presenza di discontinuità e laminazioni incrociate
(Vezzoli, 1988).
Oltre ai terreni di origine vulcanica, affiorano depositi detritici derivanti da
fenomeni gravitativi del tipo debris flow, distribuiti lungo il versante meridionale di
4
M.te Epomeo e nei settori settentrionale ed occidentale dell’isola (Fig. 1). In queste
stesse aree sono, inoltre, presenti accumuli da fenomeni d’instabilità di versante,
costituiti sia da blocchi di Tufo Verde che da materiale detritico rimobilizzato.
L’assetto strutturale dell’isola (Fig. 1.1), particolarmente complesso, presenta
come elemento “positivo” di maggior spicco il rilievo di M.te Epomeo (787 m s.l.m.),
delimitato da sistemi di faglie con direzioni prevalenti N-S, NW-SE ed E-W che gli
conferiscono una forma poligonale (Vezzoli, 1988; Orsi et al., 1991; Zuppetta et al.,
1993).
È infine da ricordare che l’isola d’Ischia è stata caratterizzata, fino a tempi recenti,
da un’intensa attività sismica (Mercalli, 1884; Johnston-Lavis, 1885; Baratta, 1901;
Cubellis, 1987) che ha profondamente influenzato l’evoluzione morfologica ed
antropica, anche attraverso fenomeni di instabilità di versante che hanno
rappresentato i principali effetti associati.
Fig. 1.1 - Schema geologico-strutturale dell’isola d’Ischia (Del Prete & Mele, 2006). Legenda: 1) depositi di spiaggia, detritici ed eluvio-colluviali recenti ed attuali; 2) depositi detritici da debris flow;
3) depositi piroclastici sciolti del II ciclo di attività (< 55.000 anni dall’attuale); 4) colate laviche del II ciclo di attività (< 55.000 anni dall’attuale); 5) arenarie, marne e siltiti della formazione di Colle Jetto;
6) Tufo Verde di Monte Epomeo (55.000 anni dall’attuale); 7) depositi piroclastici sciolti del I ciclo di
attività (> 55.000 anni dall’attuale); 8) lave del I ciclo di attività (> 55.000 anni dall’attuale); 9) duomo lavico; 10) centro eruttivo; 11) orlo craterico; 12) colata lavica; 13) faglia.
5
2. Caratteri morfologici del settore occidentale dell’isola d’Ischia
Relativamente al settore occidentale dell’isola, l’assetto geomorfologico consente
di individuare tre principali aree con peculiari caratteri morfologici e tettonici (Mele &
Del Prete, 1998; Del Prete & Mele, 2006).
Una prima fascia è rappresentata dalle cornici sommitali dei versanti di faglia che
bordano il rilievo di M.te Epomeo, con angoli di pendio variabili tra 70° e 90°, che si
impostano nella formazione del Tufo Verde, caratterizzata da una forte alterazione
superficiale connessa a processi di esfoliazione, di case-hardening, di erosione eolica e
di alterazione chimica strettamente connessa all’intensa attività fumarolica. Un
ulteriore carattere specifico è rappresentato da una più o meno intensa fratturazione,
influenzata dai principali lineamenti tettonici ed il cui effetto è osservabile nella
suddivisione dell’ammasso in blocchi poliedrici, con volumetrie variabili da pochi metri
cubi fino addirittura a migliaia di metri cubi, in accordo con quanto già riportato in
letteratura (Arrigoni et al., 1995; Mele & Del Prete, 1998). Tali caratteri condizionano e
controllano l’evoluzione morfologica dei versanti di faglia in questione attraverso tipici
processi di arretramento parallelo. Questi si esplicano mediante fenomenologie che,
già in base alle evidenze morfologiche, si possono far rientrare, secondo la
classificazione di Cruden & Varnes (1996), nelle tipologie degli scorrimenti e
ribaltamenti di blocchi di Tufo Verde isolati dalla fratturazione (Mele & Del Prete,
1998).
Un secondo settore, con caratteri specifici, è costituito dalle zone di raccordo
esistenti tra le cornici sommitali dei versanti di M.te Epomeo e le aree pianeggianti o
sub-pianeggianti circostanti che, a Nord e ad Ovest, digradano verso mare. In queste
aree, ove si registrano angoli di pendio compresi tra 45° e 65°, affiorano materiali di
natura detritica, connessi a fenomeni di debris flow, a loro volta costituiti dai prodotti
derivanti principalmente dalla degradazione del Tufo Verde. Gli studi geomorfologici
hanno evidenziato la presenza di forme lobate, indicatrici di zone di accumulo, e
scarpate più o meno evidenti, associabili a zone di distacco, relative a fenomenologie
di frana che hanno rimobilizzato i depositi detritici da debris flow (Mele & Del Prete,
6
1998; Del Prete & Mele, 1999, 2006) e classificabili come scorrimenti rotazionali,
evolventi a colata nelle zone di piede, e colate traslative. Inoltre, numerosi, soprattutto
nel settore occidentale, sono i blocchi di Tufo Verde che rappresentano gli effetti di
frane da scorrimento e ribaltamento (Mele & Del Prete, 1998; Del Prete & Mele, 2006).
Infine, si riconoscono le zone pedemontane pianeggianti o sub-pianeggianti, con
angoli di pendio inferiori ai 10°, ove affiorano depositi detritici da debris flow. Queste
aree sono particolarmente estese verso il settore occidentale, dove formano l’ampia
piana di Forio e dove si possono rilevare tipiche forme lobate, generalmente con
dimensioni areali notevoli e molto spesso sovrapposte tra loro, che costituiscono
accumuli di movimenti di massa avvenuti prevalentemente in epoca greco-romana
(IV sec. a.C.; II-III sec. d.C. - Buchner P., 1943; Monti, 1980; Rittmann & Gottini,
1980; Buchner G., 1986; Guadagno & Mele, 1995; Mele & Del Prete, 1998; Del Prete
& Mele, 1999, 2006).
7
3. Le frane in tufo verde del settore occidentale dell’isola d’Ischia
I fenomeni di instabilità di versante di quest’area (Fig. 3.1) sono principalmente
connessi ad eventi di crollo s.l., che coinvolgono massi tufacei che si distaccano dalle
creste in Tufo Verde dei versanti occidentali di Monte Epomeo, e ad antichi fenomeni
di debris flow che, formando ampie lobature, sono giunti fino alla costa. Questi
fenomeni possono considerarsi effetti associati dell’attività vulcano-tettonica
dell’isola, che hanno esercitato una profonda influenza sull’evoluzione morfologica di
questo settore almeno fino al periodo greco-romano (Guadagno & Mele, 1995; Mele
& Del Prete, 1998; Del Prete & Mele, 1999, 2006).
In particolare, frane da crollo, ribaltamento e scivolamento s.l. si sono prodotte
lungo le pareti occidentali di Monte Epomeo, generando i numerosi blocchi tufacei
rinvenibili nelle sottostanti aree pedemontane, con ampia distribuzione sul territorio e
distanze massime di invasione fino ad oltre 2000 m dalle aree di distacco (Mele & Del
Prete, 1998). Tali fenomeni sono stati favoriti dallo stato di intensa fratturazione che
interessa l’ammasso tufaceo e che ha permesso l’isolamento di massi con volumetrie
che, in alcuni casi, superano gli 8.000 m3 (Mele & Del Prete, 1998; Fig. 3.2). È
interessante osservare che, dallo studio aerofotografico e da rilievi di campagna, i
blocchi tufacei più distanti dai versanti di faglia si presentano parzialmente o
totalmente inglobati nei depositi di debris flow che, quindi, al momento del loro
innesco li hanno presi in carico e trasportati ulteriormente a valle a distanze anche
molto lontane dalle originarie aree di invasione primaria (Mele & Del Prete, 1998).
Al riguardo l’ampia letteratura esistente (Guadagno & Mele, 1995; Mele & Del
Prete, 1998, Del Prete & Mele 1999, 2006; de Riso et al., 2004, Del Prete, 2004 e
bibliografia annessa), attraverso l’analisi di documenti storici e di cronaca con il
supporto di informazioni da dati archeologici, ha evidenziato che la maggior parte
delle fenomenologie d’instabilità riconosciute sono da mettere in relazione all’intensa
storia sismica (Baratta, 1901; Cubellis, 1987) che ha caratterizzato l’isola, di cui gli
eventi di frana rappresentano importanti effetti associati (Tab. 3.1). Emblematico
risulta quanto riportato da Johnston-Lavis (1885): “Forse uno dei fenomeni più
8
interessanti che hanno accompagnato i terremoti ischitani, e qualche volta hanno
avuto luogo spontaneamente senza il loro aiuto, è il verificarsi di frane, ed il
distaccarsi di rocce.”
Fig. 3.1. Stralcio del settore sud- occidentale della carta degli ambiti fisiografici e delle frane dell’isola
d’Ischia (Del Prete & Mele, 2006).
Fig. 3.2. Istogramma delle volumetrie dei massi tufacei rilevati nei settori occidentale e settentrionale dell’isola d’Ischia (Mele & Del Prete, 1998).
9
Tabella 3.1. Schema riassuntivo deivaloridi intensità massima MCS e delle tipologie franose indotte,
per ogni terremoto. Ove non espressamente indicato, in letteratura non sono state descritte fenomenologie associate (Mele & Del Prete, 1998.
10
4. L’area di studio
L'area di studio ricade, come detto, sul versante occidentale del Monte Epomeo,
ed in particolare in località “Frassitelli”, nel Comune di Forio d'Ischia (Fig. 4.1).
In particolare l’attenzione è stata focalizzata su un fronte in roccia di circa 400 m
di ampiezza, mediamente orientato N-S e compreso tra le quote di 280 e 420 m
s.l.m. (Fig. 4.2). La parete incombe su un nucleo abitato inserito in un contesto di
particolare pregio ambientale, ad elevata vocazione sia turistica che agricola.
L'esame della cartografia del vigente PAI evidenzia un'elevata propensione al
dissesto per questo settore; infatti la Carta del rischio da frana indica che l'ambito di
studio è cartografato interamente come R4 (Fig. 4.3).
Anche nella Carta del rischio finalizzata alle azioni di Protezione Civile, in cui sono
riportati gli ambiti ad elevata pericolosità che interferiscono in misura rilevante con
insediamenti abitativi o con infrastrutture, le aree alla base del settore di versante
oggetto di studio sono cartografate come R4 (Fig. 4.4).
11
Fig. 4.1. Panoramica del sito oggetto di studio.
12
Fig. 4.2. Stralcio aerofotogrammetrico dell'area di interesse (cartografia CISI 1:2000). In giallo è
evidenziata l’area oggetto di studio.
Alla base della parete, in località “Montecorvo”, sono presenti blocchi di grandi
dimensioni (alcune decine di m3). Talvolta si tratta di massi inglobati negli antichi
fenomeni di debris flow (Fig. 4.5), presi quindi in carico dalle colate detritiche e
ridepositati più a valle; spesso tali blocchi “emergono” dalle antiche murature a secco
che delimitano e proteggono i locali terrazzamenti (Fig. 4.6), potendosi in tali casi
associare i suddetti blocchi a fenomeni franosi per lo più antichi. I muri a secco, che
portano il nome locale di “parracine”, sono interamente realizzati con blocchi di tufo
230
220
210
235.08
244.52
219.54
214.11
205.42
203.03
222.04
217.49
232.65
258.49
244.67
273.75
252.17
234.89
216.63
240.22
231.41
245.38
254.82
245.95
220.91
252.02
232.37
219.57
230.55
232.02
248.53
251.89
254.97
292.98
260.54
270.23
278.47
268.41
291.73
479.24
474.91
459.73
451.41
449.04
446.04
447.01
445.20
545.35
551.10
531.38
527.40
427.75
483.82
518.81
496.12
477.91
513.49
488.56
493.95
339.38
291.09
300.99
301.16
280.33
311.73
329.97
384.70
377.33
431.61
425.24
396.50
426.71
421.80
400.22
358.94
394.54
354.10
412.18
426.40
371.90
332.83
328.21
305.27
291.30
283.53
312.30
287.18 339.18
376.01
423.39
427.84
407.54
380.25
409.54
412.52
400.69367.17
348.79
344.13
316.56
307.33
276.29263.21
258.16
330.08
445.47
516.42
539.94
226.52
213.68
221.82
222.60
211.43
221.20
206.13
229.70
231.87
226.08
365.74
273.90
248.57
257.08
300.88
357.48
227.33
238.80
241.44
256.85
283.11
274.34
314.93
316.77
358.54
358.52
414.58
423.08
430.74
446.68
457.64
475.34
450.16
208.70
13
verde, che in alcuni casi sono stati ricavati proprio dai massi crollati e/o trasportati
dai debris flows.
Fig. 4.3. Stralcio della Carta del Rischio da Frana - Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico, Autorità
di Bacino Nord Occidentale della Campania (2009). In rosso sono indicate le aree classificate a rischio
molto elevato (R4).
Fig. 4.4. Stralcio della Carta della Pericolosità da Frana finalizzata alle azioni di protezione civile - Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico, Autorità di Bacino Nord Occidentale della Campania (2009). In
rosso sono indicate le aree classificate a rischio molto elevato (R4).
14
Fig. 4.5. Blocco di tufo verde completamente inglobato nel suolo.
Fig. 4.6. Particolare dei muri a secco in Tufo Verde: si notano i blocchi emergenti dai suddetti muri.
15
4.1 Aspetti geologici
Ai fini di una migliore rappresentazione della geologia del versante, si è ritenuto
opportuno riportare tutte le informazioni sia su una base cartografica convenzionale
(cartografia C.I.S.I. in scala 1:2000) che sulla fotogrammetria frontale all’upo
eseguita, oltre che su un foto-mosaico (Tavv. 4 e 6).
Il versante in esame si imposta nella Formazione del Tufo Verde di Monte
Epomeo, costituita da un’ignimbrite in facies litoide, di colore verde, con pomici,
cristalli di biotite e sanidino ed inclusi di rocce ignee. Verso l’alto è visibile una
laminazione incrociata con tipciche strutture da surge.
Il basamento tufaceo, nel complesso massivo, è interessato da diversi lineamenti
vulcano-tettonici legati in gran parte alle complesse vicende della surrezione del
Monte Epomeo; l’ammasso presenta inoltre varie discontinuità meccaniche, con
spaziatura da metrica a plurimetrica. Queste ultime contribuiscono ad isolare volumi
rocciosi anche di considerevoli entità, che, a loro volta, hanno alimentato frane da
crollo i cui blocchi sono ancora ben visibili lungo la fascia pedemontana del versante.
Il settore di versante in esame è altresì interessato da intensi fenomeni fumarolici
le cui emissioni si concentrano soprattutto lungo i sistemi di frattura; in queste zone
la roccia presenta evidenti tracce di alterazione.
Verso la base del versante, nel settore settentrionale dell’area di studio, affiorano
lave alcalitrachitiche del Rione Bocca (Rittmann & Gottini, 1980; Vezzoli, 1988),
localmente fumarolizzate. Si tratta di depositi associati ad un fenomeno eruttivo i cui
rapporti stratigrafici rispetto alla formazione del Tufo Verde non trovano in
letteratura unanimità di vedute.
Infatti, secondo Rittmann (1930) e Rittmann & Gottini (1980), si tratterebbe di
depositi associati ad un’eruzione fissurale accompagnata da grandi eventi vulcano-
tettonici (collasso della zolla delle Falanghe, immediatamente a nord dell’area di
studio, cui sono associati grandi fenomeni di debris flow che avrebbero comportato
anche importanti variazioni della linea di costa). L’eruzione, sviluppatasi lungo una
frattura di circa 2 km di lunghezza, dopo una prima fase esplosiva sarebbe stata
16
caratterizzata dalla lenta risalita di un magma a bassa viscosità che avrebbe dato
origine ad una modesta colata di lava. Gli Autori, secondo le testimonianze dello
storico Timeo riprese da Strabone, nonché sulla base di dati archeologici (Monti,
1980), riconducono questo evento al IV sec. a.C..
Viceversa, secondo Vezzoli (1988), la presenza di sabbie grigio-verdastre e ciottoli
di ambiente costiero intercalati tra le lave ed il Tufo Verde, nonché datazioni
radiometriche, indicherebbero che le lave siano prodotti vulcanici pre-Tufo Verde.
Lungo alcuni ripiani del versante, con acclività inferiori ai 35° ed in corrispondenza
della aree fumarolizzate, affiorano depositi di copertura costituiti da detrito di versante,
piroclastiti rimaneggiate ed alterate e prodotti del Tufo Verde alterati per processi di
esfoliazione e fumarolizzazione. Gli spessori generalmente possono variare tra 0,5 e 2 m.
In corrispondenza della fascia pedemontana, i corpi detritici ed i cumuli di frana
(connessi a colate detritiche), presentano un maggiore spessore e talora contengono
blocchi di di alcuni decimetri cubi di tufi e lave. Localmente infine si rinvengono
grandi blocchi isolati di Tufo Verde (da pochi metri cubi ad alcune migliaia di metri
cubi).
4.2 Aspetti geomorfologici
Analogamente a quanto riportto nel paragrafo precedente, anche per l’analisi
geomorfologica si è ritenuto opportuno riportare tutte le informazioni sia in
planimetria in scala 1:2000, che su foto mosaico e su fotogrammetria frontale (Tavv.
5 e 7).
L’area di studio coincide con un settore di versante dotato di acclività in genere
alquanto elevate, spesso superiori ai 40°, e che, localmente, presenta scarpate sub-
verticali.
L’acclività diminuisce nella zona pedemontana (10°-25°) e si riduce ulteriormente
in corrispondenza del centro abitato, localizzato su un terrazzo strutturale sub-
orizzontale.
La regolarità morfologica del versante è interrotta dalla presenza di cornici
litologiche da imputare sia a fenomeni di morfoselezione (presenza di rocce laviche
17
lapidee) che a cause strutturali, queste ultime da associare a scarpate di faglia che
interessano prevalentemente il Tufo Verde. Lungo le faglie, in alcuni casi, si hanno
emissioni fumaroliche ad alta temperatura che creano vistosi fenomeni di alterazione
dei terreni del substrato.
I vari fronti investigati hanno mostrato numerose zone di distacco di fenomeni
franosi, localizzate per lo più all’incrocio dei diversi sistemi di discontinuità. Ciò è
confermato dalla presenza, sia lungo il versante che nella zona pedemontana, di
numerosi blocchi anche di notevoli dimensioni (diversi m3). In proposito, sono stati
cartografati i principali cumuli di frana da crollo, oltre a singoli blocchi di maggiore
cubatura. Come può osservarsi in Tav. 5, in molti casi essi hanno raggiunto la base
del versante, arrestandosi in corrispondenza del terrazzo strutturale. Talora le
traiettorie dei blocchi sono state condizionate dalla presenza di piccoli impluvi,
mentre in altri casi i blocchi si sono arrestati in corrispondenza dei terrazzamenti
antropici (muri a secco), utilizzati per scopi agricoli.
18
5. Metodi di studio
I rilievi geostrutturali e geomeccanici, eseguiti con idonea strumentazione (bussola
di Clar; martello di Schmidt; pettine di Barton), sono stati finalizzati a:
individuare i blocchi in precarie condizioni statiche;
analizzare i cinematismi dei blocchi potenzialmente instabili;
valutare le principali caratteristiche meccaniche della formazione rocciosa,
mediante criteri di classificazione tecnica degli ammassi.
Ai fini della classificazione geomeccanica degli ammassi, per ogni discontinuità
sono state eseguite, secondo quanto previsto dalla normativa ISRM (1978), le
seguenti determinazioni:
Orientazione, ovvero azimut di immersione ed inclinazione (la prima
rappresenta l’intersezione del piano di discontinuità con il piano orizzontale, la
seconda rappresenta l’intersezione del piano di discontinuità con il piano
verticale perpendicolare alla direzione dello strato);
Tipo di discontinuità, ovvero distinzione tra piani di strato, joint e faglie;
Persistenza, ovvero l'estensione areale percentuale di una discontinuità e
dimensione, intesa come lunghezza della discontinuità in esame;
Apertura, distanza tra i lembi dei blocchi rocciosi che delimitano il piano di
discontinuità;
Riempimento, tipo di materiale presente all’interno della discontinuità;
Presenza di acqua nella discontinuità;
Forma della discontinuità;
Rugosità, stimata utilizzando il pettine di Barton;
Compattezza (JCS), espressa come resistenza alla compressione uniassiale
della roccia (determinata mediante l’utilizzo del martello di Schmidt).
Dopo aver eseguito i suddetti rilievi, l’ammasso roccioso è stato suddiviso in
macroaree ritenute omogenee dal punto di vista geostrutturale e geomeccanico, su
ognuna delle quali è stata svolta l’elaborazione dei dati geostrutturali con una verifica
dei meccanismi di rottura.
19
I dati giaciturali registrati per le discontinuità sono stati elaborati con l’utilizzo di
un programma della Rockscience (DIPS), che individua i principali sistemi di
discontinuità mediante un metodo di aggregazione basato sulla distanza media
calcolata tra tutte le coppie di giunti appartenenti a ciascuna famiglia. A questa prima
fase di aggregazione segue un’altra che rielabora i cluster già ottenuti, dopo aver
assegnato un angolo limite all’interno del quale si ammette che i poli appartengano
ad una stessa famiglia.
I risultati finali cui si è pervenuti sono stati riversati su un foto mosaico generale
dell’intero versante e sul corrispondente elaborato fotogrammetrico (cfr. § 6.1).
Per la definizione dei cinematismi attesi per i blocchi potenzialmente instabili è
stato eseguito il test di Goodman (1980) che permette di valutare la possibilità di
accadimento di frane da ribaltamento, scorrimento planare o cuneiforme, sulla base,
essenzialmente, della giacitura delle discontinuità e del versante, dell’angolo di attrito
e di altri piani ritenuti significativi in funzione dello specifico meccanismo di innesco
considerato.
La classificazione degli ammassi rocciosi, finalizzata alla valutazione della
propensione all’innesco di frane, è stata inizialmente condotta con il criterio del Rock
Mass Rating (RMR - Bieniawski, 1973 e lavori seguenti) e successivamente integrata
con lo Slope Mass Rating (SMR - Romana, 1985 e lavori seguenti).
L’RMR, come noto, ricavato è un coefficiente di qualità deducibile dalle seguenti
caratteristiche (Fig. 5.1):
- resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta;
- RQD (Rock Quality Designation), recupero percentuale modificato della carota
di sondaggio;
- spaziatura delle discontinuità;
- presenza dell’acqua;
- orientamento delle discontinuità.
20
Il punteggio derivante dalla sommatoria dei suddetti cinque parametri (variabile
tra 0 e 100) rappresenta il valore di base (RMRb), al quale si applica un fattore
correttivo, funzione dell’orientazione delle discontinuità e del problema ingegneristico
in esame (gallerie, fondazioni o pendii), che consente di pervenire all’RMR finale.
Fig. 5.1. Schema classificativo secondo Bieniawski (1979).
Romana, nel tentativo di rendere il metodo proposto da Bieniawski più confacente
alla valutazione della stabilità dei pendii rocciosi, propose di aggiungere all’RMR di
base alcuni fattori correttivi, riferiti all’orientamento relativo fra discontinuità e fronte
del versante ed all’eventuale metodo di scavo. Si ottiene in tal modo l’indice SMR,
così definito:
SMR = RMRb + (F1 x F2 x F3) + F4
21
Il primo fattore di aggiustamento è il prodotto di tre fattori:
F1 dipende dal parallelismo fra l’immersione del fronte e l’immersione dei
giunti.
F2 è riferito all’inclinazione del giunto nell’ipotesi di rottura planare.
F3 mantiene le relazioni proposte da Beniawsky per l’inclinazione fra fronte e
giunti.
F4 rappresenta invece un fattore di correzione legato al metodo di scavo ed è
stato fissato dall’autore empiricamente.
Per la simulazione della caduta dei blocchi è stato utilizzato ROTOMAP, codice di
calcolo tridimensionale sviluppato dalla Geo&Soft (Scioldo, 1991; 2000). Tale codice
consente di determinare i seguenti parametri:
i possibili percorsi di caduta dei blocchi lungo il versante;
le altezze massime di caduta rispetto alla superficie del pendio, le velocità e le
energie possedute dai blocchi durante la caduta;
le massime distanze raggiunte dai massi e le zone di invasione a valle.
ROTOMAP è un programma nato per l’analisi dei pendii in cui possono verificarsi
problemi di distacco in quota e successivo rotolamento a valle di blocchi di roccia,
nonché per la progettazione delle opere di protezione.
La soluzione adottata dal programma per lo studio di un problema così complesso
consiste nell'uso di un approccio di tipo statistico che consente di determinare le aree
di probabilità di arresto dei blocchi e la distribuzione delle energie cinetiche.
Particolare importanza riveste la fase di ricostruzione del modello numerico del
pendio, che potrà essere calcolato a partire da una distribuzione arbitraria di punti
(terne X, Y, Z) trasformate dal programma in una griglia regolare.
La ricostruzione della topografia dell’area di studio avviene attraverso due fasi di
lavoro: creazione di una griglia regolare a partire da una serie di punti sparsi;
ricostruzione delle curve a partire dalla griglia regolare.
La griglia generata è a maglie quadrate, l’area di ognuna delle maglie del reticolo
rappresenta una zona ove sono costanti l’inclinazione ed i parametri fisici utilizzati dal
modello. Per tale motivo la dimensione delle maglie deve risultare grande rispetto
22
alla dimensione media dei blocchi, ma piccola rispetto all’estensione dell’area in
esame. Nel caso in esame è stata scelta un’area di 5 m2, che soddisfa entrambe le
condizioni citate, considerate le dimensioni dei blocchi potenzialmente instabili.
I metodi di calcolo proposti dal programma per la costruzione della griglia regolare
sono:
la Media Pesata
il Kriging
Metodo della Superficie Polinomiale Limite
Nel caso in esame dopo aver ripetuto il calcolo utilizzando i diversi metodi, si è
osservato che l’uso del Kriging fornisce la riproduzione cartografica più vicina alle
carte topografiche note per l’area in esame. Per tale motivo si è utilizzato questo
metodo per la ricostruzione della topografia del sito d’interesse.
La scelta di utilizzare, per la rappresentazione della superficie topografica, un
modello tridimensionale è stata effettuata in quanto molto spesso la traiettoria
percorsa dai massi non giace su di un piano verticale, né può essere definito in modo
univoco uno sviluppo cilindrico che possa contenere tutti gli scendimenti possibili.
Utilizzare una superficie anziché una sezione è stato ritenuto più corretto e,
quantunque il trattamento di sezioni sia estremamente più semplice, la loro
utilizzazione costituisce nella maggior parte dei casi una semplificazione ritenuta
troppo approssimativa; il rotolamento di massi appartiene ad una famiglia di
fenomeni che presentano un comportamento assai “imprevedibile” in cui “piccole
variazioni” nelle condizioni iniziali provocano, di norma, grandi (e quindi
imprevedibili) variazioni nelle condizioni finali.
23
6. Risultati
6.1 Quadro geostrutturale
Lo studio geostrutturale è stato affrontato prima alla macroscala e poi alla
mesoscala. Nel primo caso sono state individuate le fratture principali a grande
persistenza con sviluppi continui all’interno dell’area di studio nel suo complesso. Si
tratta spesso di discontinuità tipo master joint o faglie che per la loro rilevanza
geostrutturale sono state riportate anche sul fotomosaico geologico (Tav. 6)
opportunamente numerate e specificate con la sigla “M” (Tab. 6.1).
Alla scala dell’affioramento, invece, oltre alle macrofratture, i rilievi in sito hanno
permesso l’acquisizione di tutte le discontinuità presenti sui vari fronti investigati. In
particolare, queste ultime comprendono sia sistemi di discontinuità direttamente
misurati in sito nell’ambito dei settori A, B, C, D, E ed F (Tabb. 6.2, 6.3, 6.4, 6.5) che
quelli riversati su aree studiate nel dettaglio corrispondenti ai singoli fronti (in rosso
nelle Tabb. 6.2, 6.3, 6.4, 6.5). Naturalmente i due “insiemi” sono stati
successivamente raggruppati ed analizzati globalmente nell’ambito di ciascun fronte.
Anche queste discontinuità sono state opportunamente numerate con valori
progressivi per singolo area.
24
MASTER JOINT AZIMUTH (°) INCLINAZIONE (°)
1M 320 80
2M 300 70
3M 330 80
4M 350 75
5M 350 80
6M 280 60
7M 200 70
8M 270 70
9M 270 65
10M 320 70
11M 80 80
12M 170 85
13M 350 80
14M 280 65
15M 80 75
16M 270 70
17M 290 70
18M 280 65
19M 270 60
20M 300 55
21M 290 60
22M 295 60
23M 075 75
Tab. 6.1. Fratture principali o master joints rilevate sul versante di studio (cfr. Tav. 8).
25
Tab. 6.2. Discontinuità rilevate nel settore F ed area o fronte di riferimento (in rosso le fratture indicate solo su fotografia).
N AZIMUTH INCLINAZIONE AREA
1 270 35
2 310 75
3 270 75 3
4 130 50 3
5 320 80 3
6 320 85 3
7 215 85
8 295 70 1_2_4
9 220 85 1_2
10 230 60 1_2
11 45 80 1
12 45 80 1
13 135 75 1
14 245 80 1
15 245 80 1
16 245 80 1
17 60 65 4
18 55 65 4
19 290 70 2
20 215 80 2
21 200 80 1_2
22 10 80 1
23 15 80 1
24 200 75 1
25 220 70 1
26 300 65 1
27 220 70 2
28 220 75 2
29 230 70 2
30 220 65 2
31 320 20 2
32 230 55 2
33 230 80 2
34 330 15 2
35 325 20 2
36 245 70 3
37 250 65 3
38 300 60 3
39 260 75 3
40 260 80 3
41 310 65 3
42 290 70 3
43 55 75 4
44 50 70 4
45 210 35 4
46 55 60 4
47 55 60 4
48 45 50 4
49 215 40 4
50 45 40 4
51 55 80 4
52 220 30 4
53 310 50 4
54 60 65 4
55 220 30 4
56 215 25 4
57 220 25 4
58 215 20 4
59 210 25 4
26
Tab. 6.3. Discontinuità rilevate nel settore D ed area o fronte di riferimento (in rosso le fratture indicate solo su fotografia).
N AZIMUTH INCLINAZIONE AREA
1 30 75 8
2 215 75 8
3 330 70 8
4 150 80
5 280 85 7
6 230 70
7 310 60 7
8 370 70 7
9 370 70 7
10 160 65 8
11 300 70 8
12 320 30 8
13 320 30 8
14 320 60 8
15 320 30 8
16 320 65 7
17 320 30 8_7
18 310 25 8
19 315 30 8
20 305 25 8
21 300 65 8
22 315 20 8
23 320 20 8
24 305 30 8
25 290 75 8
26 110 70 8
27 120 60 8
28 200 60 8
29 210 70 8
30 215 65 8
31 325 35 8_7
32 310 25 8_7
33 315 20 8_7
34 325 30 8
35 275 30 8
36 270 30 8
37 50 85 8
38 290 65 8
39 300 70 8
40 55 85 8
41 20 50 8
42 25 55 8
43 280 60 8
44 60 80 8
45 380 80 8
46 385 85 8
47 380 80 8
48 370 70 8
49 270 80 8
50 280 85 8
27
N AZIMUTH INCLINAZIONE AREA
51 310 70 7
52 315 75 7
53 160 70 7
54 155 75 7
55 45 80 7
56 330 70 7
57 260 65 7
58 230 20 7
59 300 70 7
60 280 70 7_6
61 300 70 7_6
62 370 65 7_6
63 370 70 7_6
64 330 30 7_6
65 370 65 7
66 365 70 7
67 380 75 7
68 375 75 7
69 225 60 7
70 230 60 7
71 290 80 7
72 240 85 7
73 235 75 7
74 45 55 7
75 300 65 7
76 50 60 7
77 155 80 6
78 245 70 6
79 355 30 6
80 350 60 6
81 230 20 6
82 220 15 6
Tab. 6.4. Discontinuità rilevate nel settore C ed area o fronte di riferimento (in rosso le fratture indicate solo su fotografia).
N AZIMUTH INCLINAZIONE AREA
1 175 80 9
2 220 50 9
3 340 50 9
4 280 20 9
5 260 80 9
6 250 70 9
7 270 75 9
8 230 60 9
9 300 65 9
10 240 20 9
11 160 85 9
12 100 65 9
13 110 60 9
14 115 65 9
15 200 55 9
16 210 20 9
17 350 55 9
18 250 65 9
19 60 80 9
20 180 70 9
21 250 20 9
22 170 70 9
23 60 70 9
24 220 80 9
25 50 70 9
28
Tab. 6.5. Discontinuità rilevate nel settore D e area o fronte di riferimento (in rosso le fratture indicate solo su fotografia).
N AZIMUTH INCLINAZIONE AREA
1 385 85
2 345 75
3 265 70
4 285 85
5 180 85
6 180 85
7 95 20
8 285 85
9 295 85
10 250 60
11 160 85 5
12 100 65 5
13 110 60 5
14 115 65 5
15 200 55 5
16 210 20 5
29
6.2 Cinematismi attesi
I parametri giaciturali riferiti a tutte le discontinuità rilevate lungo i vari fronti
dell’intero versante investigato sono stati inizialmente trattati mediante una
rappresentazione cumulativa su diagrammi polari (proiezione equiareale di Schmidt).
Ciò ha consentito di individuare nel complesso 10 famiglie di discontinuità che
interessano l’intero fronte, di cui in Figura 6.1C sono rappresentate le relative
ciclografiche (Fig. 6.1; Tav. 8).
Fig. 6.1. Distribuzione generale dei poli rappresentativi delle discontinuità rilevate,
distinte per settori (A); Diagramma di
densità dei poli (B); Piani rappresentativi delle famiglie di discontinuità principali (C).
30
In Figura 6.2 è rappresentata la frequenza percentuale delle varie famiglie
individuate in relazione ai vari settori di studio. Tale grafico mostra che le famiglie di
discontinuità più rappresentative sono:
settore F: K1, K3 e K6
settore D: K3 e K5
settore C: K1 e K8
settore E: K3, K7 e K8.
Nello stesso grafico è stata indicata anche la distribuzione delle macrofratture
rilevate, che si concentrano per lo più nella famiglia K3, con il 75% del totale.
Fig. 6.2. Distribuzione delle discontinuità differenziate per famiglie principali e per settore.
Al fine di individuare le tipologie di cinematismi potenzialmente attivabili lungo
l’intero versante dei Frassinelli è stato eseguito il test di Goodman (1980) (Fig. 6.3,
Tav. 8), imponendo un valore di angolo di attrito agente lungo le discontinuità pari a
35° e considerando una giacitura del versante pari a 260°/60° (azimuth di
immersione/inclinazione).
Il test ha evidenziato come nell’area possano presentarsi situazioni critiche a causa
di possibili instabilità di versante connesse a meccanismi quali ribaltamento,
scivolamento planare ed a cuneo. In particolare, per i settori D ed F, sono possibili
31
fenomeni di ribaltamento in relazione principalmente alla famiglia di discontinuità K6,
secondariamente alla famiglia K7. Sono altresì possibili, soprattutto nei settori C, D
ed F, fenomeni di scivolamento planare lungo le discontinuità delle famiglie K1, K2,
K3 e K9. Possono infine attivarsi frane da scorrimento cuneiforme nei settori C, D, E
e subordinatamente F in corrispondenza delle intersezioni dei piani rappresentativi
delle famiglie: K1_K3, K1_K4, K2_K4, K2_K5, K3_K8.
32
Fig. 6.3. Risultati del test di Goodman relativi all’intero versante ed a tutte le discontinuità misurate.
33
La stessa procedura sopra descritta è stata applicata ai singoli fronti in cui è stato
suddiviso il versante studiato. Ciò in ragione della più volte menzionata articolazione
morfologica dell’area di studio, caratterizzata da una marcata variabilità della
giacitura dei fronti rocciosi esaminati. Tali fronti sono riportati anche nei foto-mosaici
di dettaglio delle Figure 6.4, 6.5, 6.6, 6.7, 6.8, 6.9, 6.10, 6.11, 6.12, cui si rimanda
per l’esame delle risultanze del test di Goodman.
Fig. 6.4. Risultati del rilievo geostrutturale riportati su foto-mosaico, Area 1.
34
Fig. 6.5. Risultati del rilievo geostrutturale riportati su foto-mosaico, Area 2.
35
Fig. 6.6. Risultati del rilievo geostrutturale riportati su foto-mosaico, Area 3.
36
Fig. 6.7. Risultati del rilievo geostrutturale riportati su foto-mosaico, Area 4.
37
Fig. 6.8. Risultati del rilievo geostrutturale riportati su foto-mosaico, Area 5.
Fig. 6.9. Risultati del rilievo geostrutturale riportati su foto-mosaico, Area 6.
38
Fig. 6.10. Risultati del rilievo geostrutturale riportati su foto-mosaico, Area 7.
39
Fig. 6.11. Risultati del rilievo geostrutturale riportati su foto-mosaico, Area 8.
40
Fig. 6.12. Risultati del rilievo geostrutturale riportati su foto-mosaico, Area 9.
41
I risultati relativi ai possibili cinematismi per ogni fronte sono riassunti nella
Tabella 6.6.
C D E F
Aree/ Cinematismi
R S.P. S.C. R S.
P. S.C. R S.P. S.C. R S.P. S.C.
1 (fronte:200/60) K5 NO NO
2 (fronte: 170/60) K5 NO NO
3 (fronte:190/60) NO NO NO
4 (fronte: 350/71) NO K3, K6
K3-K6
5 (fronte: 200/80) NO K1, K2,
K9
K3-K1; K1-K7; K2-K7; K2-K3
6 (fronte: 240/70) K5 K2
K4-K1
7 (fronte: 180/70) K5 K1
NO
8 (fronte: 280/70) K7 K3
K4-K1; K3-K1; K3-K8
9 (fronte: 220/80) K6 K1,
K2, K8
K3-K1; K8-K2; K3-K8; K7-K1; K2-K7; K1-K2
Tab. 6.6. Tipologie di cinematismi individuate sui vari fronti (aree o fronti di dettaglio): ribaltamento (R), scivolamento planare (S.P.), scivolamento a cuneo (S.C.).
La caratterizzazione strutturale dell’ammasso roccioso ed in particolare la stima
della spaziatura delle discontinuità hanno consentito, inoltre, di definire le dimensioni
minime e medie dei volumi rocciosi unitari, isolati dall’intersezione delle discontinuità
rilevate. Il volume unitario, come noto, è un parametro indispensabile per le analisi di
caduta dei blocchi e soprattutto per la stima dell’altezza di rimbalzo e delle energie
prodotte nei vari punti delle traiettorie.
I volumi stimati sui vari fronti sono riassunti in Tabella 6.7.
42
Aree Vol.
min (m3)
Vol.
max (m3)
1 (fronte:200/60) 1 3
2 (fronte: 170/60) 1 6
3 (fronte:190/60) 0,5 3
4 (fronte: 350/71) 0,5 4
5 (fronte: 200/80) 1 4
6 (fronte: 240/70) 2 5
7 (fronte: 180/70) 1 3-4
8 (fronte: 280/70) 0,5 3
9 (fronte: 220/80) 1 3
Tab. 6.7. Stima dei volumi unitari mobilizzabili nell’ambito delle aree selezionate.
6.3 Qualità degli ammassi rocciosi e suscettibilità all’innesco
Come è noto, classificare un ammasso roccioso significa distinguere in esso aree
caratterizzate da un diverso livello di qualità; a sua volta, nel caso di ammassi
affioranti lungo versanti, la conoscenza della loro classe di qualità è utile per definire
la predisposizione di ciascuna zona a fenomeni di instabilità.
Tutti i principali sistemi di classificazione si basano sull’esame di alcuni parametri,
scelti in modo da fornire un giudizio il più possibile completo sulle caratteristiche
dell’ammasso. Nel caso in esame, come detto in precedenza, è stata applicata la
classificazione RMR (Rock Mass Rating) di Bieniawski (1973 e lavori seguenti) per la
definizione del cosiddetto RMR di base a cui, poi, sono state applicati i fattori
correttivi di Romana (1985 e lavori seguenti), in quanto più strettamente correlati
allo studio di versanti in roccia.
6.3.1 Determinazione dell’RMR di base
La resistenza a compressione delle pareti delle discontinuità è stata valutata con la
prova sclerometrica, utilizzando il “martello di Schmidt”. Le prove sono state eseguite
a gruppi di dieci e nell’elaborazione le 5 letture più basse di ogni gruppo sono state
43
scartate e si è calcolato il valore medio (r) delle 5 letture più alte. Il valore di
resistenza a compressione è stato ricavato tramite il grafico di correlazione (Fig.
6.13) in cui sono rappresentate diverse rette, ad ognuna delle quali corrisponde un
valore del peso dell’unità di volume ( ), mentre sull’asse delle ascisse è riportato il
valore medio di rimbalzo (r) (Tab. 6.8). Adottando un valore della densità della roccia
compreso tra 1,5 e 1,6 t/m3, è stata determinata la resistenza a compressione del
Tufo Verde nei settori D, F, G ed H (Fig. 6.14) dopo aver corretto il valore medio di r
nel caso in cui lo sclerometro non era orientato dall’alto verso il basso (Tab. 6.8).
Fig. 6.13. Grafico di correlazione per il calcolo della resistenza a compressione uniassiale.
I valori di resistenza a compressione calcolati mettono in evidenza che gli ammassi
rocciosi indagati presentano valori di resistenza a compressione uniassiale compresi
tra 15 e 19 MPa e pertanto essi possono essere considerati da deboli a molto deboli a
seconda che si consideri rispettivamente la classificazione di Bieniawski (1973) o
ISRM (1979) (Fig. 6.14).
Tab. 6.8. Valori di resistenza a compressione valutati tramite prova sclerometrica.
44
STENDIMENTO
R corr R corr j min (KN/m3) j max (KN/m3)
Resistenza a compressione
(MPa)
C 17,4 -3,1 14,3 15 16 16
C 25,8 -6,5 19,3 15 16 19
C 14,4 -3,1 11,3 15 16 15
D 16,2 -3,1 13,1 15 16 15
D 16,6 -3,1 13,5 15 16 16
D 20,8 -3,0 17,8 15 16 18
E 16,4 -3,1 13,3 15 16 16
F 25,2 -6,5 18,7 15 16 18
Fig. 6.14. Classificazione degli ammassi sulla base della resistenza a compressione uniassiale.
L’indice RQD è stato calcolato in più punti nell’ambito dei vari settori mediante
valutazioni visive del numero medio di discontinuità per metro (Tab. 6.9) e con la
conseguente applicazione della formulazione suggerita da Priest & Hudson (1976)
secondo cui:
RQD = 100 e –0,1n (0,1n + 1)
dove n = numero medio di discontinuità per metro.
Settore C n = 12 RQD = 66%
Settore D n = 10 RQD = 74%
Settore E n = 8 RQD = 81%
Settore F n = 7 RQD = 84%
Tab. 6.9. Valori di RQD calcolati sulla base del numero di discontinuità per metro.
Sulla base dei valori di RQD così calcolati l’ammasso roccioso può essere definito
da buono (Settori E ed F) a discreto (settori C e D) sulla base della classificazione di
Deere (1964).
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La spaziatura è stata valutata visivamente lungo direzioni di varia lunghezza
disposte parallelamente ai fronti nell’ambito dei vari settori, ed è risultata essere
compresa tra 600 e 2000 mm (spaziatura larga - I.S.R.M, 1978).
Le condizioni delle discontinuità secondo quanto suggerito da Bieniawski (1989) si
basano sulla determinazione di 5 fattori a cui si assegnano determinati indici che poi
sommati algebricamente danno il valore di R4 (Fig. 6.15, Tab. 6.10).
Fig. 6.15. Schema di classificazione delle condizioni delle discontinuità.
Condizioni discontinuità
C D E F
PERSISTENZA (m) 6 6 6 6
APERTURA (mm) 4 4 5 1
SCABREZZA (JRC) 2 3 3 3
RIEMPIMENTO 6 6 6 6
ALTERAZIONE 2 2 2 3
RATING TOTALE 20 21 22 19
Tab. 6.10. Punteggio attribuito ai singoli settori per le condizioni delle discontinuità.
La persistenza, definita come il rapporto tra l’estensione reale della superficie di
discontinuità e l’area complessiva sulla quale la discontinuità si sviluppa, è stata
quantificata misurando le lunghezze delle tracce di discontinuità osservate sulla
superficie esposta. La persistenza presenta valori medi < 1 m e pertanto è stato
assegnato un indice pari a 6.
46
Per la misura dell’apertura, distanza perpendicolare che separa le pareti di una
discontinuità, è stata fatta una stima visiva utilizzando un calibro. La maggior parte
delle discontinuità misurate nei vari settori presentavano fratture da aperte (0,5-2,5
mm) a larghe (>10 mm).
La scabrezza delle superfici “affacciate” di una discontinuità è stata confrontata
visivamente con i profili di rugosità suggeriti dall’I.S.R.M (Fig. 6.16), per ottenere il
corrispondente valore di Joint Roughness Coefficient (JRC). La maggior parte delle
discontinuità rilevate si presentavano da lisce a debolmente scabre.
Fig. 6.16: Profili di rugosità di riferimento (I.S.R.M., 1978).
Per quanto riguarda il riempimento, in tutti i settori esaminati il materiale è
risultato assente.
Ai fini della valutazione dell’alterazione delle discontinuità, si è considerato
indicativo il rapporto tra la resistenza a compressione monoassiale misurata lungo la
discontinuità e quella misurata su un campione della stessa roccia integro, non
alterato. Nel caso di studio, il parametro ha fornito valori compresi tra 1 e 3,
corrispondenti a discontinuità da molto a mediamente alterate.
47
Poiché all’atto del rilevamento tutte le discontinuità osservate sono risultate
asciutte, al parametro “condizioni idrauliche” è stato assegnato un indice pari a 15.
La somma dei cinque indici ha quindi consentito di calcolare il valore del RMR di
base che non considera l’indice R6 legato all’orientamento delle discontinuità. Per i
settori in esame, l’RMRb si colloca al passaggio tra la II e la III classe (Tab. 6.11).
PARAMETRI Settore F Settore C Settore D Settore E R1) RESISTENZA A COMPRESSIONE (MPa) 2,6 2,3 2,3 2,4 R2) RQD (%) 16,6 13 14,5 16 R3) SPAZIATURA DISCONTINUITA' (mm) 15 15 15 15 R4) CONDIZIONI DISCONTINUITA' 13 13 13 13 CONDIZIONI IDRAULICHE 15 15 15 15 RMR BASE 62,2 58,3 59,8 61,4 classe di competenza II (buono) III (mediocre) III (mediocre) II ( buono)
Tab. 6.11. Valori di RMRb relativi ai settori studiati.
Dal valore dell’RMR di base è possibile stimare (cfr. Fig. 5.1) sia la coesione che
l’angolo di attrito dell’ammasso roccioso tramite le relazioni:
cm = (5 RMR)/1000
m = 5+RMR/2.
Inoltre, considerando la relazione di Serafim & Pereira (1983) valida per valori di
RMR<85, è possibile calcolare anche il modulo di deformazione:
E =10 (RMR -10)/40
I valori dei suddetti parametri, relativi ai settori studiati, sono riportati nella
Tabella 6.12.
C D E F
cm 0,29 0,30 0,31 0,31
m 34 35 36 36
E 16,13 17,58 19,38 20,18
Tab. 6.12. Valori dei parametri geomeccanici desunti dall’RMR di base.
6.3.2 Determinazione dell’SMR e suscettibilità all’innesco
Le zone di più probabile distacco di blocchi sono state individuate valutando la
stabilità delle pareti rocciose stiudiate tramite la classificazione proposta da Romana
(1985 e lavori seguenti). I risultati, sintetizzati nella Tabella 6.13 mostrano come si
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trovi in condizioni stabili buona parte del settore F (Aree 1, 2 e 3), eccezion fatta per
l’area 4; sono invece instabili le aree 7 ed 8 del settore D, le cui pareti rocciose
analizzate risultano scadenti; sicuramente instabili le aree 5 e 9, rispettivamente
relative ai settori C ed E, le cui pareti tufacee risultano molto scadenti da un punto di
vista geomeccanico.
Aree Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Area 6 Area 7 Area 8 Area 9
F1 0,85 0,85 0 0,15 0,48 0,8 0,52 0,6 0,93
F2 0 0 0 1 1 1 1 1 1
F3 0 0 0 -50 -60 -6 -50 -60 -60
F4 15 15 15 15 15 15 15 15 15
ROMANA 78,5 78,5 77,2 28,35 17,88 70,6 26,32 26,4 15,23
Classe II II II IV V II IV IV V
Descrizione BUONA BUONA BUONA SCADENTE MOLTO
SCADENTE BUONA SCADENTE SCADENTE
MOLTO SCADENTE
Stabilità stabile stabile stabile instabile Sicuramente
instabile stabile instabile instabile
Sicuramente instabile
Modo di rottura
Possibili blocchi
Possibili blocchi
Possibili blocchi
Lungo piani
o su grandi cunei
Su grandi piani
o rototraslazionali
Possibili blocchi
Lungo piani
o su grandi
cunei
Lungo piani o
su grandi cunei
Su grandi piani
o rototraslazionali
Stabilizzazione Occasionale Occasionale Occasionale Estesa Riprofilare la scarpata
Occasionale Estesa Estesa Riprofilare la scarpata
Tab.6.13. Parametri riassuntivi per il calcolo dell’RMR.
Le indicazioni sulla stabilità delle pareti rocciose, ottenute grazie all’applicazione
della classificazione geomeccanica di Romana, sono state utlizzate, insieme ai
possibili cinematismi attesi (§ 6.2), per l’allestimento di una Carta della suscettibilità
all’innesco di frane da crollo, anch’essa riversata sia su foto-mosaico che su
fotogrammetria frontale (Tav. 9).
6.4 Simulazione della caduta-blocchi
La prima fase operativa è consistita nella ricostruzione geometrica del pendio. Tale
obiettivo è stato perseguito utilizzando sia la base topografica ricostruita a partire dal
rilievo aerofotogrammetrico dell’intero versante e dell’abitato sottostante con scala
1:1000, sia la base topografica elaborata dal Consorzio Intercomunale Servizi d’Ischia
(C.I.S.I.) con scala 1:2000.
Per l’implementazione del calcolo delle traiettorie, ROTOMAP richiede la
suddivisione dell’area di studio in zone omogenee per quanto riguarda i valori da
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assegnare ai parametri geomeccanici che influenzano il moto dei blocchi. A tal fine è
stata utilizzata la Tavola 4.
I valori riportati in Tabella 6.14 sono stati ottenuti sia da precedenti lavori trovati
in bibliografia (Broili, 1978; Paronuzzi, 1987; Hungr & Evans, 1988; Pfeiffer & Bowen,
1989; Paronuzzi, 1989; Scioldo, 2000; Paronuzzi & Coccolo, 1995; Giani, 1997;
Calcaterra et al., 2004) sia dall’esperienza diretta sul terreno, in base alle dimensioni
reali dei blocchi; lo stesso materiale, infatti, detrito o roccia in posto, può rispondere
in modo elastico all’urto di blocchi di piccole dimensioni, o assorbire una parte
consistente di energia per fratturazione e dislocazione del materiale, quindi con
comportamento plastico nel caso di urto di blocchi di dimensioni maggiori. Il
coefficiente di attrito di roto-scivolamento è stato opportunamente scelto in base non
solo alle dimensioni dei massi, ma anche alla presenza delle asperità del terreno.
L’angolo limite, d’altronde, il parametro più difficile da determinare poiché è utilizzato
per individuare le condizioni in cui avviene il passaggio da roto-scivolamento a volo
libero e viceversa, non dipende solo dalla geometria del terreno essendo calcolato nel
piano verticale alla direzione del moto.
Materiale della superficie di impatto Rn Rt S
Depositi piroclastici rimaneggiati 0.3 0.4 0.7
Accumuli di frane da crollo e debris flow 0.2 0.3 0.7
Tufo Verde di Monte Epomeo 0.4 0.5 0.4
Lave alcalitrachitiche del Rione Bocca 0.4 0.5 0.4
Tab. 6.14. Coefficienti geomeccanici adottati per le analisi condotte con ROTOMAP. Rn = coefficiente di restituzione normale; Rt = coefficiente di restituzione tangenziale; S = coefficiente di attrito al
rotoscivolamento.
Di seguito si riportano i parametri utilizzati per le elaborazioni svolte con
ROTOMAP:
Angolo limite volo [°]: è l'angolo che discrimina le condizioni di passaggio dal moto di
rotolamento alle condizioni di volo libero o viceversa = 9;
Angolo limite urto [°]: è l'angolo che discrimina le condizioni di urto con rimbalzo o di
proseguimento del rotolamento = 9;
50
Angolo limite rimbalzo [°]: è l'angolo che discrimina le condizioni di passaggio, dopo un
urto, alle condizioni di volo libero = 19;
Numero di punti di partenza: è il numero totale di punti di distacco dei blocchi dalla
parete rocciosa che il programma dovrà considerare sulle linee di partenza = 100;
Numero di velocità di partenza: è il numero di velocità di partenza diverse per ogni punto
di distacco = 3;
Numero di deviazioni angolari di partenza: è il numero di direzioni iniziali diverse da
quella di massima pendenza da far assumere ai massi per ogni punto di distacco = 5;
Velocità iniziale minima = 0.3 m/s;
Velocità iniziale massima = 1 m/s;
Deviazione angolare massima: è l'ampiezza dell'angolo di deviazione della direzione di
massima pendenza in corrispondenza del punto di partenza dei massi = 40.
Le aree di innesco sono state scelte sulla base dei risultati dello studio
geostrutturale di cui al paragrafo 6.1; per tutte le potenziali aree di innesco è stato
effettuato un rilievo geostrutturale alla macroscala dal momento che le fratture
presenti, pur essendo generalmente molto persistenti, sono stati elaborati
stereogrammi delle principali famiglie di discontinuità riconosciute ed è stato
effettuato un esteso rilievo fotografico (vedi par. 6.1).
In particolare, le aree di innesco corrispondono alle aree critiche del versante in
studio individuate nella Carta di suscettibilità all’innesco (Tav. 9). Si è scelto di far
partire le simulazioni da tutte le aree di innesco individuate, sicuri di operare in
questo modo a vantaggio di sicurezza.
Dalle elaborazioni eseguite sulle due basi cartografiche le traiettorie dei blocchi in
caduta sono risultate alquanto diverse (Tav. 10), benchè siano stati adottati
parametri identici (es.: coefficienti di restituzione, quote di innesco). Le differenze
sono da imputare al maggiore dettaglio topografico, e quindi morfologico, della
nuova base fotogrammetrica 1:1000 rispetto a quella in scala 1:2000 del C.I.S.I..
Le elaborazioni eseguite utilizzando la cartografia in scala 1:2000 del C.I.S.I.
hanno evidenziato per alcune aree degli avanzamenti molto più pronunciati rispetto a
quelle eseguite utilizzando l’aerofotogrammetria in scala 1:1000. Tale aspetto riveste
51
un ruolo importante soprattutto se si esamina il settore meridionale dell’area di
studio (a sud della prominenza collinare di Pietra Brox), dove le elaborazioni condotte
sulla base della cartografia del C.I.S.I. mostrano un numero ridotto di traiettorie che
si spingono fino a lambire strutture abitative ed infrastrutture viarie.
Viceversa, per lo stesso settore, le elaborazioni svolte utilizzando il rilievo
aerofotogrammetrico in scala 1:1000 evidenziano sempre un arresto dei blocchi
nettamente più arretrato. In media, le differenze nelle distanze di massima invasione
dei blocchi variano da un minimo di circa 80 m ad un massimo di circa 200 m.
Anche nel settore a nord della collina di Pietra Brox, le elaborazioni condotte sulla
base della cartografia del C.I.S.I. evidenziano analoghe differenze tra le due
cartografie. Tuttavia, a differenza del settore sud, le differenze in termini di
avanzamento sono più ridotte e variano nell’ordine di 50-60 m.
Infine, dall’osservazione dei risultati ottenuti appare evidente che le aree di arresto
calcolate dal codice di calcolo, utilizzando la base cartografica di maggiore dettaglio,
corrispondono con migliore precisione alle aree in cui sono stati censiti i blocchi già
franati.
52
7. Valutazione della suscettibilità all’invasione per frane da crollo
Sulla base delle considerazioni e delle metodologie di studio applicate e descritte
nei paragrafi precedenti, si è proceduto alla valutazione della suscettibilità
all’invasione da frane da crollo, in vista delle successive decisioni da assumere in
merito alla mitigazione del rischio connesso alla specifica tipologia di frane.
Si è pertanto allestita una Carta della pericolosità relativa (suscettibilità),
anch’essa elaborata sia sul rilievo aerofotogrammetrico del versante in scala 1:1000,
che sulla base topografica realizzata dal Consorzio Intercomunale Servizi d’Ischia
(C.I.S.I.) in scala 1:2000.
Come accennato nel paragrafo precedente, la disponibilità delle due basi
topografiche si è dimostrata elemento di assoluto rilievo, che ha determinato
importanti effetti sulle simulazioni svolte. Le traiettorie dei blocchi in caduta sono
risultate alquanto diverse, benchè siano stati adottati parametri identici (es.:
coefficienti di restituzione, quote di innesco). Le differenze sono da imputare al
maggiore dettaglio topografico, e quindi morfologico, della nuova base
fotogrammetrica 1:1000 rispetto a quella in scala 1:2000 del C.I.S.I..
Ciò premesso, sulla base del numero di “arresti” di blocchi, sono state distinte le
aree a diverso grado di suscettibilità all’innesco-transito ed invasione (P3, P2, P1),
utilizzando percentuali progressivamente decrescenti desunte dalle traiettorie di
calcolo. Integrando tali aree con quelle relative alla suscettibilità all’innesco (Tav. 9),
si è ottenuto l’elaborato di sintesi (Tav. 11).
Sulla scorta delle simulazioni realizzate, quindi, in fase di redazione della Carta
della pericolosità relativa da frane da crollo si è tenuto conto, a vantaggio di
sicurezza, delle informazioni derivate dalle simulazioni condotte sia
sull’aerofotogrammetria in scala 1:1000 che sulla cartografia C.I.S.I..
I risultati complessivi emersi dallo studio sulle traiettorie di caduta hanno in tutti i
casi evidenziato un arresto di oltre il 95% dei blocchi o lungo il versante o
immediatamente alla sua base, dove anche la presenza dei numerosi terrazzamenti
ne favorisce l’arresto.
53
È da sottolineare, infine, che i risultati della simulazione, e la conseguente
individuazione della fasce di territorio a diversa suscettibilità all’invasione (pericolosità
relativa), sono correlati esclusivamente ai fronti rocciosi studiati. Tale considerazione
è di particolare irilievo, in primo luogo per la presenza, lungo il versante occidentale
di M. Epomeo, di altre pareti rocciose non considerate in questo studio. Tali pareti,
peraltro in parte già oggetto di interventi di sistemazione, essendo poste a quote più
alte rispetto a quelle studiate, potrebbero dar luogo a traiettorie di caduta-blocchi
differenti da quelle simulate in questa sede, i cui effetti non sono stati presi in
esame.
Inoltre, le apparenti differenze tra la perimetrazione della pericolosità relativa
riportata nella Tavola 11 e quelle dell’omologa Carta del vigente Piano Stralcio
trovano spiegazione nella circostanza che vede in quest’ultima carta essere
ricomprese le varie tipologie di frana tipiche di ciascun territorio. Nella fattispecie, la
perimetrazione del Piano Stralcio si riferisce, oltre che alle frane in roccia, anche alle
frane da scorrimento-colata, tipiche dei depositi vulcanoclastici sciolti.
54
8. Conclusioni
Lo studio illustrato in questa sede ha preso l’avvio dalla scelta di un’area di studio
che rispondesse a due requisiti essenziali:
- essere stata in passato interessata da numerosi fenomeni franosi di un certo
rilievo;
- essere inclusa, ai sensi del vigente Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico,
nella classe di rischio R4.
Partendo da tali premesse, è stato svolto uno studio integrato che, adottando
metodologie proprie della geologia strutturale, della geomorfologia e della
geomeccanica, ha consentito di definire la propensione all’innesco, al transito ed
all’invasione per frane da crollo di un settore del versante occidentale del Monte
Epomeo, ubicato in località Frassitelli, nel territorio comunale di Forio d’Ischia (NA).
Lo studio ha riguardato solo un tratto, ancorché significativo del versante in
questione, non essendo in esso ricompresi i settori più alti in quota, peraltro già
oggetto di un intervento di sistemazione. Tutte le considerazioni svolte in questa
sede, quindi, si riferiscono esclusivamente al tratto studiato, non potendosi quindi
escludere scenari di pericolosità differenti da quelli qui delineati se connessi ad altri
fronti in roccia.
I risultati dello studio sono stati riportati su alcune Tavole geotematiche, allestite
utilizzando sia l’esistente cartografia topografica (C.I.S.I. – scala 1:2000), sia un
supporto cartografico di elevato dettaglio (scala 1:1000), predisposto all’uopo con la
tecnica della fotogrammetria frontale.
L’adozione di tale ultima cartografia ha messo in luce, durante la fase di
simulazione della caduta-blocchi e della conseguente valutazione del potenziale
d’invasione, risultati alquanto diversi rispetto a quelli ottenuti per le elaborazioni
condotte con la cartografia C.I.S.I. in scala 1:2000.
In particolare, in virtù di una più fedele e realistica rappresentazione della
morfologia dei luoghi d’interesse, l’adozione della nuova cartografia fotogrammetrica
ha portato alla definizione di uno scenario di pericolosità per frane da crollo meno
55
gravoso di quello emerso dalla pre-esistente base cartografica. Infatti, come
evidenziato nei paragrafi 6 e 7, la quasi totalità delle traiettorie riportate sulla
fotogrammetria in scala 1:1000 (relative esclusivamente ai fronti rocciosi considerati)
è caratterizzata dall’arresto dei blocchi “di progetto” lungo il versante, ovvero senza
significativi coinvolgimenti delle aree urbanizzate pedemontane e/o di infrastrutture
primarie.
Tale circostanza ha aperto nuove prospettive nell’ambito del presente studio,
allorché si è trattato di individuare gli opportuni criteri ed indirizzi, atti a ridurre ad un
livello accettabile le condizioni di rischio derivanti dalla pericolosità per frane da
crollo. Infatti, di fronte all’evidenza di un significativo arretramento dell’inviluppo di
massima invasione, quale risultato delle simulazioni condotte sulla nuova base
topografica, ci si è posti criticamente di fronte alla fondamentale tematica del ricorso
a soluzioni strutturali e/o non strutturali, ai fini della mitigazione del rischio temuto.
Al riguardo, è opportuno richiamare che si definiscono “non strutturali” quegli
interventi mirati alla prevenzione e mitigazione del danno attraverso disposizioni di
carattere normativo ed attività di pianificazione territoriale (“Quaderno degli
interventi” – PAI, edizione 2002). Di contro, gli interventi strutturali sono quelli che si
ispirano a due diversi criteri:
- interventi di difesa attiva (o, anche, preventivi) finalizzati ad impedire l’innesco
di fenomeni di dissesto;
- interventi di difesa passiva (o, anche, di protezione) indirizzati a mitigare gli
effetti derivanti dall’innesco di un dissesto.
Seguendo ancora il richiamato Quaderno, si evince che gli interventi non strutturali
sono tipicamente rappresentati dalle seguenti azioni:
- programmi di manutenzione;
- indirizzi alla pianificazione urbanistica e territoriale;
- copertura assicurativa dei beni esposti al rischio non coperti dalle misure
strutturali;
- monitoraggio, predisposizione di sistemi di allarme;
- adeguamento del servizio di polizia idraulica;
56
- incentivazione alla delocalizzazione di manufatti e infrastrutture realizzati in
aree a rischio.
Nel caso di specie, la nozione di “interventi non strutturali” si ritiene possa essere
integrata ispirandosi al principio della cosiddetta “legge del minimo”, mutuata
dall’approccio alla mitigazione dei rischi geoambientali secondo i criteri
dell’Ingegneria Naturalistica. La “legge del minimo” prescrive l’impiego della minima
tecnologia necessaria per la risoluzione del problema, ai cui fini non sono quindi
ammesse opere sovradimensionate o comunque opere a complessità eccessiva
rispetto al problema da risolvere, né tantomeno opere sottodimensionate. In
ossequio alla medesima “legge”, ponendo a confronto pregi e costi delle diverse
ipotesi, con il supporto di una valutazione di tipo multicriteriale delle alternative di
azione, può essere utilmente considerata tra le opzioni risolutive anche la cosiddetta
“alternativa zero”, ovvero il non-intervento.
Pur senza addentrarsi in una puntuale valutazione per confronto dei costi da
sostenere con una tipica soluzione strutturale, è però evidente che se ci si fosse
fermati all’analisi della pericolosità da frana con la preesistente cartografia C.I.S.I.,
sarebbe stato necessario il ricorso ad una qualsivoglia soluzione strutturale, attiva
e/o passiva. Per frane come quelle tipiche dell’area di studio, è usuale l’adozione di
“sistemi d’intervento” basati sull’interposizione di barriere paramassi, il disgaggio dei
blocchi instabili, l’apposizione di reti e pannelli di funi, la chiodatura di singoli blocchi,
ecc.. Un siffatto sistema, da impiegare in misura estensiva per l’intero sviluppo
planimetrico delle aree suscettibili idi distacco, comporta oneri economici di
particolare rilievo (a partire da almeno un centinaio di euro a metro quadro). Nel
nostro caso, il nuovo rilievo fotogrammetrico, il cui costo per metro quadro è
inferiore ad 1 euro per metro quadro, ha consentito di accertare una significativa
riduzione delle condizioni di pericolosità geologica del sito studiato.
Con le considerazioni su esposte non si intende affidare la sicurezza di un territorio
e della popolazione che su di esso vive esclusivamente ai risultati di una
modellazione, ancorché sofisticata ed affidabile. Il principio che si vuole qui sostenere
è che l’approfondimento delle conoscenze di un dato problema spesso comporta
57
immediati ed evidenti vantaggi, anche economici: nel caso specifico, il beneficio
principale derivante dal presente studio è dato dalla consistente riduzione delle aree
su cui intervenire, qualunque sia il criterio d’intervento, strutturale o non.
In definitiva, può affermarsi che, sulla base dei rilievi e delle modellazioni condotte
nel corso di questo studio, le condizioni di pericolosità relativa (suscettibilità) per
frane da crollo si sono rivelate meno gravose di quanto inizialmente previsto, almeno
per quanto concerne gli specifici fronti rocciosi analizzati. Si ritiene di conseguenza
che non sussistano le condizioni per il ricorso ad interventi strutturali estensivi,
almeno per quanto riguarda i fronti esaminati.
Sembra invece indispensabile e prioritaria l’adozione di “buone pratiche” nell’uso
del suolo, quale ad esempio il ripristino della pratica agricola, che per secoli ha
consentito, curando lo stato di salute dei versanti, di proteggere anche i settori
pedemontani. In tal senso, di fondamentale importanza sarebbero interventi di
manutenzione atti a garantire il ripristino e la conseguente piena efficienza dei muri,
per lo più a secco, posti a delimitazione dei terrazzamenti antropici.
Tra le buone pratiche non può non citarsi una più efficace azione amministrativa
nel reprimere l’abuso sistematico ed incontrollato a danno del territorio, e soprattutto
delle sue porzioni a più alto rischio, circostanza che ad Ischia è stata
drammaticamente messa in luce in occasione della tragedia di Monte di Vezzi del 30
aprile 2006.
Altro indirizzo di sicura utilità è rappresentato da un sistematico presidio
territoriale che, mutuando la positiva esperienza del Commissariato di Governo per
l’Emergenza Idrogeologica in Campania, prevede la presenza costante di gruppi di
professionisti (geologi ed ingegneri) qualificati nel campo del rischio idraulico e da
frana, dotati della duplice funzione di delineare, in condizioni ordinarie (“tempo di
pace”), gli scenari di evento e gli scenari di rischio, e di osservare, in corso di evento,
l’evoluzione di un dato fenomeno (frane, fenomeni alluvionali, ecc.), segnalando con
la necessaria tempestività l’insorgere di potenziali criticità che possano
compromettere l’incolumità delle persone, la sicurezza degli insediamenti abitativi e/o
la funzionalità di infrastrutture.
58
In ultimo, ma non in ordine d’importanza, si segnala il ricorso al monitoraggio
strumentale basato sull’installazione di sistemi premonitori e/o di allerta circa eventi
potenziali. Si tratta, come noto, di reti di strumentazione per la misura di indici
indiretti di instabilità, quali lo spostamento reciproco di volumi rocciosi, e/o
l’emissione acustica loro connessa, che, seppur di difficile manutenzione, sono
attuabili in casi come quello in esame, allorché lo studio geomeccanico abbia
consentito di individuare con ragionevole precisione la zona d’origine della caduta-
massi e le modalità di distacco e caduta dei blocchi.
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