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FANHS
N. 0
Rivista di cultura e religiosità pagana.
Rivista elettronica mensile “Phanes”, num. 0, Luglio 2011, Roma.
Tutti i diritti riservati al sito www.phanes.jimdo.it, Roma 22 Agosto 2011.
Personaggio del Mese:
Mary Teresa Cullen
ELTI E L’OLTRETOMBA
BRIGHIT
LE CLASSI DRUIDICHE
IL CULTO DI MITRA
ELIOGABALO
DEFIXIONES
La
Genealogia
di Bride
Surya
Kildare
Roqueper-
tuse
Elagaba-
lium
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Editoriale Tutti i diritti riservati a www.phanes.jimdo.com
Phanes n.1
Con questo numero comincia definitivamente la nostra avventura
in questo cammino che definirei “gargantuesco”; molti sono stati
coloro che hanno scaricato il numero 0 della rivista, ed ancora di
più coloro che hanno seguito il sito. Apro questo editoriale
ringraziando a nome di tutta la redazione le persone che ci sono
state accanto e che ci hanno supportato. Per quest’uscita si sono
aggiunti a noi anche Giovanni Rinaldi ed Alessandra Greco, due
ragazzi che hanno contribuito brillantemente con i due articoli
che leggerete, e con vari spunti interessantissimi riguardo grafica e
organizzazione dei temi a lungo termine. Ci hanno dimostrato che,
anche se ancora non largamente, lo spirito autentico sul quale sibasa questa pubblicazione, è stato percepito: collaborazione,
condivisione e raffinazione interscambievole. E proprio spronati
da questa collaborazione fruttuosa rinnoviamo il nostro invito a
voler partecipare attivamente a questo progetto; per permettere
che non risulti una speculazione fra due, e per sottolineare punti
di vista e fonti sempre diversi fra loro.
Il personaggio al quale abbiamo deciso di dedicarci è Mary Teresa
Cullen, della quale avrete modo di leggere poi, ed in effetti in
tempi come i nostri, nei quali il confronto fra antiche e
preponderanti tradizioni si fa sempre più necessario e scoperto,
quale miglior Personaggio da prendere in considerazione. Come
osserverete, abbiamo cercato di mantenere dei nessi tematici con
la precedente uscita, approfondendo o ricollegandoci ad argomenti
già trattati. Ed ora passiamo alle ammende: come avrete notato, è
passato un po’ più di un mese dalla pubblicazione del n.0; ebbene
perdonateci, fino all’altro ieri eravamo solo in due a spartirci tutti
gli articoli; ed organizzare, impaginare, e correggere diventa unbell’impegno, tuttavia persisteremo, non abbiate dubbi. Detto ciò,
vi lasciamo alla lettura, augurandoci che ci sosterrete e che alcuni
di voi decidano di passare da lettori a scrittori; sul nostro sito
potrete tenere d’occhio gli aggiornamenti, e sul gruppo facebook o
via e-mail discutere degli argomenti qui presentati. Anche se in
ritardo, speriamo abbiate vissuto a pieno e il più serenamente
possibile la festa di Lughnasad. Al prossimo mese, in trepidante
attesa della collaborazione di Massimiliano Caretto.
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Pagina 1 hanes n.1
INDICE:
Mary Cullen 2
La fiamma che unì due culture?
I Celti e l’Oltretomba 6
La simbiosi fra morti e vivi.
Le Classi druidiche 11
Brighit 14
Da Dea a Santa.
Il Culto di Mitra 18
Eliogabalo 24
Il monoteismo solare a Roma.
Maledizioni greche 28
Defixiones graece.
L’Inno a Nettuno di G. Leopardi 34
W. B. Yeats 39
Le Odae Adespotae di G. Leopardi 43
La genealogia di Bride 46
Antica supplica a Bride la raggiante .
Surya 47
Il Sole Indiano.
L’Inno a Venere di Marullo 48
Kildare 53
La chiesetta della quercia.
Eliogabalion 55
Il portale di Roquepertuse 56
L’obelisco di Antinoo al Pincio 58
Recensioni 61
Bibliografia generale 62
Indice Tutti i diritti riservati a www.phanes.jimdo.com
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Pagina 2
Questa storia, che mi è
particolarmente cara,
a s s u m e m o l t e p l i c i
sfaccettature, e sfumature,
ognuna delle quali ci porta
a profonde speculazioni
riguardo agli antichi culti
ed alla Tradizione dei
nostri Avi. In Irlanda, fino
a che memoria e testi ci
assistono, è sempre stata
presente e forte la
venerazione della divinità
femminile Brighit. Questa,
come avremo modo di vedere in diversi
articoli in questa rivista(1), aveva come
luogo di culto principale, la città di
Kildare, ed in particolare possedeva un
tempio adiacente ad una quercia, sulla
cima di una collina. In questo tempio
bruciava la sua fiamma, che era
attentamente accudita da diciannove
sacerdotesse, e che assumeva un ruolo
fondamentale durante i festeggiamenti di
Imbolc, il 18 Marzo(2). La vita di questo
fuoco rimase lunga per svariati secoli, sinoa che, con l’arrivo del Cristianesimo in
Irlanda, gli ordini
sacerdotali dell’antico
p a g a n e s i m o f u r o n o
sostituiti da quelli
cattolici: diciannove suore
presero il posto delle
diciannove sacerdotesse, e
nel paese iniziò una lenta
opera di “sostituzione
coatta”, più elegantemente
c h i a m a t a
“sincretizzazione”. Non
avendo modo di scalzare e
cancellare la memoria e
l’importanza della Dea fra le menti della
popolazione, fu necessario organizzarsi
altrimenti, trasformandola in Santa
Brigida. Venne stilata la sua storia, narrate
le sue gesta e sottolineate la sua grandezza
ed il suo potere; niente di nuovo viene da
pensare, eppure queste operazioni
assunsero una portata gigantesca, S.
Brigida venne acclamata Maria dei Gael,
Madre adottiva di Cristo, ed assunse un
ruolo fondamentale nella teologia
cristiana. Chiese sempre più grandi ericche sostituirono le prime costruzioni
MARY CULLEN
La fiamma che unì due culture?
Phanes n.1
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rudimentali, man a mano che la fama della
Santa cresceva, sino a che il suo prestigio
non divenne pari solo a quello di S.Patrizio. Suore diverse si successero nella
custodia del fuoco sacro, tuttavia, durante
il XVI sec., per ordine di Enrico XIII, la
fiamma fu estinta e l’ordine sciolto. Tutto
rimase sopito fino al 1807, quando Daniel
Delany, Vescovo di Kildare, iniziò la
ricostituzione dell’Ordine delle brigidine,
ed ancora tuttavia nessuna luce illuminava
le arcate dell’ormai Cattedrale di Kildare.
Qui la nostra storia si rovescia: nel 1993,
durante una conferenza intitolata
“Brighid, profetessa, agricoltrice,
rappacificatrice.” , Mary Teresa Cullen
allora capo dell’Ordine di S. Brigida,
riaccese la sacra fiamma nella Market
Square . Il fuoco fu portato nelle abitazioni
delle suore, e nel 1 Febbraio del 2006 fu
ricondotto nella sua precedente sede, a
Market Square . Il Kildare County Council
commissionò un monumento che
permettesse il mantenimento della fiamma
senza spiacevoli incidenti: questo era
costituito da una colonna principale in
foggia di rami attorcigliati, con in cima
foglie di quercia ed una base di ghianda
rovesciata, nella quale fu apposto il fuoco.
Il simbolismo del monumento guarda ad
un riconoscimento dell’antica tradizione
pagana, per la quale l’albero della quercia
chiamato duir (si noti la somiglianza con la
parola Druido), aveva importanzafondamentale. Tutt’oggi il fuoco rimane
custodito da due suore, e divampa vivo.
Molte domande sorgono, alcune dettate
dall’amore e dal rispetto di un camminospirituale che si cerca di mantenere “puro”
e “tradizionale”; altre dovute all’estrema
volontà di far sopravvivere ancor oggi
quegli antichi culti. Era in diritto Mary
Cullen, di riaccendere quel sacro fuoco che
un tempo splendeva per la Madre della
Poesia, e non per un suo surrogato
sbiadito? È la stessa fiamma ancora oggi
venerabile come potere manifesto di
Brighit? Quanto “spirito di convenienza”
piuttosto che “puro sentire” si cela dietro il
gesto del 1993? Questo gesto straordinario
si riempie di pericolosi fantasmi troppo
spesso sottovalutati, eppure spesso
considerati pregiudizievolmente. Ad
ognuno di noi rimane il personale giudizio,
su tale faccenda, personalmente, non
ritenendo sacerdotesse delle suore, non
ritenendo S. Brigida una Dea, e non
accettando una cattedrale come luogo di
culto per una Dea pagana…il resto vien da
sé. [ J.R.]
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Phanes n.1
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NOTE:
1. si vedano gli articoli: “Brighit ” p.14 e sgg.; e
l’articolo “Kildare” p.53 e sgg.
2. si veda l’articolo “I Celti e l’Astronomia ” in
Phanes n.0 p.12 e sgg.
Immagini:
p.2, dall’alto verso il basso: testa bronzea di
Brighid ; immagine di S Brigida affiancata da
una lampada con fiamma e da un tronco di
quercia.
p.3, Mary Cullen durante l’accensione del
fuoco.
p.4, statua di S. Bridiga a Kildare.
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Phanes n.1
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Pagina 5
A cura di Jonathan Righi
SEZIONE CELTICA
I CELTI E L’OLTRETOMBA
LE CLASSI DRUIDICHE
BRIGHIT
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Pagina 6
Cesare prima, emolti altri poi;hanno postop a r t i c o l a r ea t t e n z i o n e
riguardo allac o n c e z i o n ec e l t i c adell’Oltretomba.Le evidenze chec i p o s s o n oa i u t a r e asintetizzare illoro pensiero provengono dalle fonti
letterarie, dai ritrovamenti archeologici, edai racconti mitologici tramandatioralmente. È inoltre importantepremettere che i reperti archeologici quievidenziati, come tombe e sepolture, sonoda considerarsi relativamente al rangodell’individuo seppellito. Sin dall’iniziodel I millennio a.C., le tombe dell’eliteguerriera hanno assunto due funzioni
fondamentali: dimostrare lo sfarzo deldefunto, e fornire i giusti strumenti esostentamenti per l’”oltrevita” dellostesso(1). Lucano ci aiuta a fare luce sucome i Celti considerassero la morte, ossiacome una pausa fra una vita ed un’altra:durante questa pausa l’anima avrebbecontinuato a controllare lo stesso corpo,seppure in un altro “mondo” o“dimensione”. Diodoro Siculo è dello
stesso avviso: amorte avvenuta,lo spirito deldefunto avrebbeatteso diversi
anni prima dientrare in uncorpo diverso ediniziare unanuova esistenzaterrena. Di quitorna faciler i cordare i
presunti contatti fra Druidi e Pitagorici,
ed è proprio la teoria della Trasmigrazionedelle anime a fungere da collegamento.Un altro sguardo per comprenderel’argomento deve essere dato alletradizioni tramandate oralmente:concezioni di una ciclicità ininterrotta fravita e morte si hanno leggendo i passiriguardanti Manannan (Dio del Marenella letteratura irlandese), egli è
chiamato “Signore della Terra Promessa ”,ed è associato con i poteri della rinascita.L’Oltretomba irlandese è quantomenofelice e sereno per il defunto: privo divecchiaia, malattie e sofferenza, inoltre èconsiderato come un posto realmentepresente per le popolazioni celtiche,infatti un gran numero di eroi, fra cuiConla e Bran, riescono a visitarlo puressendo ancora in vita. Altra tradizione
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I CELTI E L’OLTRETOMBA
La simbiosi fra vivi e morti.
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interessante collegabile all’argomento è lafesta di Samhain, nella quale i defunti
hanno la possibilità di tornare per unanotte fra i vivi, condividendo con loroquest’unico pasto annuale. Consideriamoora come venivano seppelliti i morti: nellaprima Età del Ferro il metodo più diffusoera la cremazione, dal II millennio a. C.invece si è iniziato ad utilizzarel’inumazione in particolar modo dall’etàdi Halstatt. La credenza in un Oltretomba
inteso come continuazione della vitaterrena è chiara quando lo status delvivente viene riproposto nella sepoltura.Le sepolture più ricche sono costituiteprincipalmente da una camera rivestitacontenente il cadavere, un carro a quattroruote e una spada di ferro. Vediamo nel
particolare l’Hohmichele Barrow,
risalente al VI sec. a. C. nelle vicinanzedel Danubio: la camera funebre principale
conteneva due sottocamere in legno, laprima contenente una donna ed un carro
da guerra; la seconda con un uomo fornitodi un carro e di una imbracatura poggiatisu una pelle di toro, oltre questo c’eranoanche una faretra, due muli e 50 frecce apunta di ferro, ed ancora sete di fatturacinese. Lo sfarzo legato alla sepolturadell’uomo è innegabile, e contempla sia il
suo status sociale che tutto l’occorrente
che sarebbe servito alla sua anima perpoter continuare coerentemente la sua
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permanenza nell’Oltretomba. Altro sitofunebre fondamentale è quello di Býčí
Skála, nella repubblica Ceca: in questosono state trovate pire funebri, carrirituali, una nave di legno, infine grano eanimali offerti in dono alle potenzectonie. I defunti qui rinvenuti sonoparticolarmente interessanti: diversischeletri femminili sono stati seppelliti,ma il dato interessante è un altro, infattiquesti scheletri erano privi di testa, mani
e piedi, e circondati da due carcasse dicavalli smembrati in quarti. Altro oggettoscoperto nella sepoltura è un calderone dibronzo contenente due teschi uno deiquali con apparente funzione di coppa.Questo è un esempio interessantissimoche tuttavia manca di alcuni oggettiimprescindibili per comprendere almeglio la visione celtica dell’oltrevita. Il
Belgio ci soccorre prontamente donandocitombe di epoca pre-Romana di similstruttura a quelle precedentemente viste:queste contengono ceramiche, anfore peril vino, spille, specchi, pugnali, lame, testedi maiale e calderoni muniti di tripode ecatena. Ora finalmente il collegamentocon un benessere nel post-vita risulta
chiarissimo: ricordiamo che questa visionerimarrà fondata ben oltre la conquistaromana. Questo perché Celti e Romaniavevano numerosi punti di contatto nellaconcezione del l ’Oltretomba: lasopravvivenza dell’anima dopo la morte,la presenza di spiriti nelle vicinanze deiluoghi di sepoltura, e le offerte di vino ecibo a questi defunti. Un altro luogo di
sepoltura peculiare si trova a Lonkhills nelWinchester, è un sito con tombe
particolarmente complesse e difficilmenteinterpretabili: gli scheletri di sette uominie donne sono stati ritrovati decapitati econ la testa posta fra le gambe. Il processodella decapitazione era effettuatometicolosamente, da davanti con unpugnale, alcuni ritengono che si trattasse
di un rito per impedire all’anima deldefunto di stazionare nelle vicinanze dellatomba permettendo così che si dirigessedirettamente nell’Oltretomba. Abbiamovisto che assieme al defunto venivanoseppelliti animali ed oggetti di culto(2),fattore che conferma senza dubbiol’usanza di una sorta di “corredo”
necessario dopo la morte. Per averemaggiore certezza riguardo a queste teorieè di indubbia importanza analizzare le“pits”, le buche rituali; queste eranoriempite con grano, manifatturemetalliche, simulacri di divinità, animali(fra cui cani), alberi come cipressi, edaltro, tutto atto palesemente a creare uncollegamento fra il mondo dei vivi e
quello dei morti. Viene logico ora andarea conoscere quali fossero le divinità alle
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quali queste offerte erano dedicate:rimane semplice ricostruire i loro nomi edescrivere le loro aree di appartenenza,tuttavia più ostico è delinearel’atteggiamento che i Celti avevano nei
loro confronti. Innanzitutto premettiamoche non erano solo esseri divini ad esserecultuati in relazione all’Oltretomba:infatti in Val Camonica pitture ruralidimostrano come persino gli stessi spiritidei defunti fossero venerati. Nelle pitturedella tarda Età del Bronzo il morto èraffigurato con a fianco le armi, unsacerdote, i parenti ed un sacrificio. I testi
vernacolari ci parlano di Donn, il Dio
dell’Oltretomba dalla cui stirpediscendono gli uomini; mentre Cesare(3) afferma che alcuni Celti sostengono diappartenere alla discendenza del Dio DisPater(4). Rintracciare questa divinità nei
reperti non è facile, ma per fortuna siamoa conoscenza che due iscrizioni, una nelSud della Germania ed una nei Balcani,recano una dedica a Dis Pater ed Aericura(Ecuba). Un’altra divinità che assumechiari connotati ctonii è Sucellus, che inquesto aspetto è raffigurato affiancato daun corvo ed un cane a tre teste(5). Altroattributo di Sucellus è un martello:
Tertulliano sostiene una similitudine fra
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questa divinità celtica ed il Charonetrusco(6). Lambrechts considera il
martello come possibile arma contro leforze dei defunti con intenzionimalvagie(7). Baucher propone un altroparallelo: secondo questa teoria se sisostituisce il martello con una folgore DisPater risulterà identico a Giove(8). Il Giovegallico nelle descrizioni che abbiamoassume il ruolo di difensore della vita,combattente, ed in particolar modo in
Gallia, prende l’epiteto di Narborenseossia “Dio della Vegetazione”. La cosa chepiù distingue le divinità ctonie del mondoceltico dalla maggior parte delle altre, èche raramente, anzi quasi mai, unadivinità è esclusivamente associata alladimensione dell’Oltretomba. Questoperché l’Oltretomba non era una realtà asé stante, indipendente dalle successioni
della vita mondana, bensì estendeva le suerappresentazioni e le sue influenze in ogniambito della società, sino a penetrareprofondamente nelle più comuni usanze ecostumi dell’intero popolo. [ J.R.]
NOTE:
1. CAES. De bel. Gal. VI, 19.
2. Come nel caso di Verulamium e York dovefra i vari ritrovamenti era presente unastatuina bronzea di un’Afrodite Celtica.
3. CAES. De bel. Gal VI, 18.
4. Ovviamente Dis Pater è una divinità diorigine romana, ed è stata presa in prestito daCesare per poter meglio descrivere divinitàche non conosceva e delle quali
probabilmente non poteva sapere il nome.
5. Questa raffigurazione chiarisce il perchédelle sepolture canine precedentementeesposte.
6. TERTULL. Ad Nat. 1, 10.
7. LAMBRECHTS 1942.
8. BAUCHER 1976.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-LAMBRECHTS 1942: P. LAMBRECHTS,Divinités Equéstres Celtiques on Defunts
Heroisés? , Bruges 1942.
- BAUCHER 1976: S. BOUCHER, Recherches sur
les bronzes figurés de la Gaule pré-romaine et
romaine , Parigi 1976.
Immagini :
p. 6, Ritrovamenti di cranio e mani amputatinelle sepolture di Býčí skála.
p.7, dall’alto verso il basso: il teschio di una
giovane donna le cui vertebre sonogiustapposte con le vertebre di una donna piùanziana, a loro volta adagiate su unamandibola animale, Mary M. Voigt/GordionProject; ritrovamento formato da un insiemedi ossa proveninenti da diversi individui, lamandibola di un individuo è stata appostasulla spina dorsale di un altro. E come è
facilmente notabile, il cranio è stato posto frale gambe dello scheletro principale. Mary M.Voigt / Sondra Jarvis and Carrie Alblinger,Gordion Project.
p.8, esempio di pittura rupestre scoperto inVal Camonica.
p.9, a sinistra: immagine di Sucellus provvisto di martello, cane a tre teste e corvo
ai piedi; a destra: immagine del Charon etrusco.
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La società celtica è stata semprecontraddistinta da una divisione in classiben definita; tuttavia mentre l’insiemedegli artigiani e dei guerrieri può esserericondotto a ben noti paralleli con altreciviltà, la classe sacerdotale presenta
peculiarità uniche. Diodoro Siculo, comemolti altri(1), suddividequesta classe in ulterioritre scomparti: i Bardi, gliOvati ed i Druidi. A suodire i Bardi erano coloroche avevano il compito dicomporre satire ed elogi, imantes (Ovati) coloro che
interpretavano gli esitidei sacrifici ed i presagi(2),ed infine i Druidi checompivano ricerche“riguardo alle cosesublimi e segrete”. IDruidi erano anchecoloro che professavano
l’immortalità dell’anima,e che erano in sintoniacon il pensiero pitagorico.Queste erano le tre suddivisioni principalifra i sacerdoti dei Celti, eppure laletteratura ci offre un dato interessante:esistevano specifiche “professioni” fra gliOvati, ed ognuna di queste assumeva unadenominazione a se stante. Ci vengono
descritti nel libro VIII del De BelloGallico, i gutuater , il cui nome significa
“Maestro”, “Padre delle Invocazioni”, opiù semplicemente, “Invocatore”. È danotare come un sacerdote del DioMoltinus , era definito gutuater martis ,suggerendo un ovvio parallelo fra Marte eMoltinus. Un’altra professione descritta
era quella sei semnotheoi , la cui funzioneè tuttavia più oscura. Iltermine semnotheoi ètraducibile secondo alcunicon “reverenza agli Dei”,o con “Padre della voce”.Stuart Piggott ha descrittoe definito questa triplicedivisione della classe
sacerdotale come incontinuo mutamento,attraverso la storia deiCelti, ed in particolare,poco prima e durante ladominazione Romana:nella sua ricostruzione, iltermine più utilizzato
dagli autori romani e grecip e r d e s c r i v e r eg e n e r i c a m e n t e u n
sacerdote celtico è drui (3). Tuttavia drui contraddistingue solamente l’elite di unpiù ampio raggruppamento sacerdotale,comprendente anche i Vati. Dopol’avvento del Cristianesimo in Irlanda iltermine drui fu svalutato in favore della
parola vate , e furono proprio questi Vati,secondi d’importanza nella gerarchia
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LE CLASSI DRUIDICHE
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druidica, a detenere ilpotere e l’influenza sul
culto. È chiaramenteo s s e r v a b i l e l ’ e n o r m equantità dei terminiutilizzati per designarequeste varie divisioni;facciamo un po’ di chiarezzariassumendo tutte le varietestimonianze degli autoriantichi, e le teorie di quelli
moderni: I sacerdoti sonochiamati comunementeDruidi, tuttavia il termineDruido definisce una sola ditre classi principali degli“addetti al culto ”. Le altredue classi in ordine diimportanza sono quelladegli Ovati e quella dei
Bardi. Vate, Heuages,Ovates, definiscono tuttiuna stessa classe, nella qualei n q u a d r i a m o l e“ s p e c i a l i z z a z i o n i ” d iGutuater , e Semnotheoi . Inoltre è benericordare che tutti questi termini e classidefiniscono gerarchie del Galles, che
trovano la loro controparte, con diversinomi, anche in Irlanda. L’Ovates gallico,corrisponde al File (pl. Filid ) irlandese.Fra i Filid vengono distinte numeroseprofessioni, ognuna adibita ad un diversocompito: il Sencha era lo storico,l’annalista, colui che aveva l’onere diricordare e diffondere la storia del suopopolo e le varie teorie filosofiche. Il
Brithem era colui che assumeva lafunzione di arbitro e giudice nelle dispute,
aveva il ruolo di ambasciatore elegislatore. Lo Scelaige era il compositoredi romanzi epici e mitologici, che offriva i
suoi versi per tramandare la memoria dieroi e guerre. Il Cainte era analogo alGutuater , era maestro del canto magico,una sorta di campione bardico in grado dipronunciare maledizioni, benedizioni,invocazioni ed esecrazioni(4). Il Liaig era ilmedico, l’esperto in piante ed erbemedicinali, in chirurgia e rituali diguarigione. Il Cruitire era un arpista che
possedeva il magico sono dei tre canti:questi avevano il potere di far
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addormentare, ridere o piangere chiunqueli ascoltasse. Il Deogbaire aveva la
funzione di coppiere, ed inoltre conoscevale sostanze allucinogene, inebrianti epsicotrope, nonché il loro uso. Infine ilFaith il divinatore, assimilabile con ilVatis gallico. Per quanto concerne legerarchi irlandesi, e le loro definizioniattraverso la letteratura, anche qui alcuniautori utilizzano i termini Druido e File in t er scambiab i lment e ; t u t t av ia ,
stranamente, la verità ci è testimoniatadallo stesso S. Patrizio che dice di aversfruttato la rivalità esistente fra Druidi eFilid per poter meglio dividere econquistare nonché convertire, tutto ilterritorio irlandese(5). [ J.R.]
NOTE:
1. Posidonio descrive una precisatripartizione: i Druidi, gli Ouateis (Ovati)interpreti di sacrifici e studiosi dei fenomeninaturali, e i Bardoi , cantori e poeti.
2. I Mantes (Ovati), prendono anche il nomedi Heuages .
3. PIGGOTT 1985.
4. Era ritenuto altamente sconveniente e
infamante ricevere un’esecrazione da parte diun esponente della classe bardica. Si rieteneche questi Bardi avessero il potere di farapparire sul volto del loro bersaglio didenigrazione, tre pustole, simbolo dellavergogna che l’individuo avrebbe dovutosopportare. Solitamente queste composizionia scopo offensivo erano composte dopo unrifiuto d’ospitalità, o un trattamento rude;l’ospitalità era fra i Celti, uno dei più grandi einfrangibili doveri di ogni uomo che si
definisse tale.
5. D’ARBOIS 1906.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-S. PIGGOTT 1985: S. Piggott, The Druids ,New York 1985.
- D’ARBOIS 1906: D’Arbois de Joubanville,Les Druides , Parigi 1906.
Immagini :p.11, Sacrifico umano agli Dei , Arthur Boyd.
p.12, Assemblea Druidica , C. Knight.
p.13, A British Druid , Wiltshire & Swindon.History Centre, Chippenham.
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La Gloriosa(1), questo è l’epiteto che piùriassume la figura di Brighit, la piùimportante fra le divinità dei Celti. QuestaDea appare sovente in triplice forma, odescritta accanto alle sue due sorelle,entrambe di nome Brighit; è la divinità
patrona della Guarigione miracolosa,dell’arte, del sole, della famiglia, dellamusica, del focolare, della poesia, delladivinazione, della profezia e del partoumano e animale. InIrlanda era venerata comela Madre del Leinster, figliadel Daghda, e la sua festa
era celebrata il 18 Marzo (ilnostro 2 Febbraio).Spendiamo qualche parolaper descrivere questafestività: ad Imbolc(2),Brighit era, ed è tuttora,usa visitare le case dei suoifedeli, come si dicetestimonino le orme di
cigno trovabili l’indomanim a t t i n a d a v a n t iall’abitazione; se queste sidirigevano dalla porta verso il fuoco delcamino, la primavera sarebbe stataprospera, nel caso opposto, sarebberisultata infausta e poco fruttuosa.Durante la vigilia di questa celebrazionele donne e le giovani fabbricavano
bamboline con gli steli del grano,
rivestendole poi con conchiglie, cristalli,margherite, bucaneve e fiori di campo. Inparticolare al posto del cuore, nellabambola era inserita la Reul-Iuil , ossia uncristallo trasparente simboleggiante laStella di Brighit, la stessa stella del Natale
cristiano. Durante i festeggiamenti venivaformata una processione nella quale eraportata in corteo la bambola principale, alsuono del canto: “Bride bhoidheach
oighnam mile beus!” ossia“Bellissima Bride, verginedei mille prodigi!”. Laprocessione passava per
ogni casa, ed ogni famigliaera usa recare un dono:una candela, del burro, dellatte, foccacce o fiori; allafine terminava nella casanella quale si sarebbetenuta la festa di Brighid,la Fàis Bride , e ivi le donnesi chiudevano dentro al
buio. Gli uomini dovevanoiniziare a chiedere ilpermesso di entrare con
esclamazioni e preghiere ben formulate, esolo dopo un consulto fra le donne, questierano lasciati entrare, ed i festeggiamentisarebbero durati sino al giorno dopo. Almattino in circolo, tutti i partecipanticantavano: “Bride bhoideach muime
chorr chriosda.” ossia “Bellissima Bride ,
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BRIGHIT
Da Dea a Santa.
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madre adottiva di Cristo .” quindi leofferte erano regalate ai poveri. Secondo il
folklore Brighit era nata dal sole dell’alba,ed il suo respiro donava vita ai morti etramutava l’acqua in vino; era inoltresempre avvolta da una colonna di fuocoed aveva il compito di far tornare laprimavera dopo i duri giorni invernali.Brighit donò il fischio agli uomini, i qualilo appresero dopo che la Dea perse il figlioRuadan, che venne ucciso dal Dio fabbro
Goibniu per aver tentato di rubargli isegreti della fusione; infatti la Deaproruppe in un fischio di dolore, una sortadi lamento funebre, fu così che l’uomo nevenne a conoscenza. I nomicon i quali ritroviamo Brighitnei vari paesi dell’Europa sonomolti: Brigantia (in Britannia),Bride (in Scozia), Brigandu o
Bricta (in Gallia), ed infineBelisama la “molto brillante”(nella Gallia del Nord). Cesareparla di una Minerva celtica,riferendosi probabilmente a Brighit ed ilCath Maige Tuired la dice figlia delDaghda; tuttavia non raramente si osservauna certa confusione fra la sua figura e
quella di altre divinità come Boann, Etaine Tailtiu. La toponomastica la ritrova neinomi di moltissime città e luoghi come:Bregenz, Bribacte, Briançon e Briare inFrancia, Arebrigium in Valle d’Aosta, nelfiume Boune, e nelle Ebridi, le Isole diBride. Secondo la tradizione Brighit ebbetre figli dal Dio Tuireann: Brìan, Iuchar eIucharba(3). Essa è chiamata con diversi
epiteti fra i quali i più utili a descrivere lasua figura sono: brighit bé legis la
guaritrice, Brighit bé goibnechta laprotettrice dei fabbri, Brighit bé filid la
signora della poesia e della fertilità, edancora La Vergine, La Regina del Canto,La Sovrana dei Boschi, Freccia Ardente(4).I primi tre epiteti presentati, come dettosopra, descrivono a pieno la sua funzione:ella infatti riassume e protegge dentro disé le tre principali classi della societàceltica; quella contadina, quella guerrierae quella sacerdotale. È importante
sottolineare la “competenza” di Brighit inun’arte maschile come quella dei fabbri;ebbene anche dalla letteratura apparelampante la sua vicinanza con le figure dei
tre fabbri divini Goibniu,Credne e Luchta (il fabbro, ilfonditore ed il carpentiere),sebbene vi siano enormidifferenze nel ruolo: mentre i
tre fabbri simboleggiano l’artemanuale di realizzazione elavorazione del ferro, Brighitsintetizza in sé l’ispirazione
divina che porta a questa realizzazionemateriale. Un’ invocazione risalente alXVIII sec. recita: “Brighit, donna
eccellente, fiamma improvvisa, possa lo
splendente ed infuocato Sole portarci al regno eterno .” Passiamo ora ad unainformazione ben meno piacevole mafondamentale: Brighit appare sincretizzatanella tradizione cristiano-cattolica comeSanta Brigida, o Brigitta. La storia diquesta Santa è peculiare, e a dirla tutta,anche abbastanza improbabile; questa erala potente Badessa del monastero di Cill-
Dara, l’attuale Kildare(5). L’ordine dellebrigidine che la badessa fondò era custode
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di un fuoco perpetuo (identico a quellopresente nel tempio sopra al quale fu
costruito il monastero), che rimase accesofino all’epoca di Enrico XIII. Si dice che ilfuoco scaturì non appena la Santa vennedeposta nel sepolcro. Le diciannove suorecontinuavano a custodire il fuoco perdiciannove giorni consecutivi, ed ilventesimo lo lasciavano incustoditodicendo: “Brigida, abbi cura del tuo fuoco,
perché questa notte ti appartiene! ”(6).
Tornando alle sue origini, Brigida nacqueil 1 Maggio del 445 d.C a Faughart (stessogiorno e mese della festività pagana diBelatine); e morì a Kildare nel 523 d.C. Invita viaggiò in Scozia, in Galles ed inCornovaglia, fermandosi a Glastonbury;suo padre era un druido (notare lacasualità) di nome Dubhtach, e la nutrìcon il latte di una mucca incantata dalle
orecchie rosse (animale che più volte ècitato come a lei sacro nella letteraturairlandese). Un aneddoto divertente: ilceleberrimo S. Patrizio, nell’apice dellasua piissima opera di conversione, nominòper errore S. Brigida, Sacerdote; grazie aquesto disguido la Santa potè diventareArcivescovo e nominare vescovi a sua
volta. I fedeli si rivolgono a lei comeMaria dei Galli e Madre adottiva di Gesù,in quanto ebbe l’onere/onore di nutrire evestire per prima il neonato Gesù, mentrela madre Maria dormiva dopo le fatichedel parto. [ J.R.]
NOTE:
1. MAC KILLOP 1998.
2. si veda l’articolo “I Celti e l’Astronomia” inPhanes n.0 p. 12 e sgg.
3. MAC KILLOP 1998.4. SMITH 1988.
5. si veda l’articolo “Kildare ” a p.53 e sgg.
6. BROSSE 1991.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-MAC KILLOP 1998: J. Mac Killop, Dictionary
of Celtic Mythology , Oxford 1998.-SMITH 1988: D. Smith, A guide to irish
mythology , Dublin 1988.
-BROSSE 1991: J.Brosse, Mitologia degli
Alberi , Milano 1991.
Immagini:
p.14, busto in Bronzo della Dea Brighit .
p.15, Croce di Brighit , simbolo sia della Santache della Dea, chiaro richiamo alla svastikasolare.
p.16, dipinto raffigurante S. Brigida .
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A cura di Lorenzo Abbate
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ROMANA
IL CULTO DIMITRA
ELIOGABALO
DEFIZIONES
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È molto probabile che lo stesso fascinoche lega e spinge noi moderni adanalizzare e studiare i naufragati cultimisterici fosse proprio lo stesso mordenteche attirò in epoca tardo-antica una molenon trascurabile di fedeli. Fedeli si, masopratutto iniziati, iniziati a culti dei qualispesso ci sfuggono finanche le finalità e le
informazioni cultuali di base. Naufragate
le fonti dirette quello che ci rimane sonosolo le testimonianze di chi, all'epoca, odopo, ebbe modo di ascoltare, sapere,vedere e partecipare talvolta, a pratiche erituali che come regola primaimponevano la segretezza: è quindispiegato presto come chi sapesse nonparlò, e chi non sapeva riportò notizie di
seconda o terza mano, pari spesso, a
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IL CULTO DIMITRA
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pettegolezzi; se aggiungiamo poi, lapolitica cristiana di contrasto a culti così
potenti e settari, si spiegano presto parolecome quelle che Firmico Materno speseintorno ai culti mitraici: «Chiamano
questo Mitra, e tramandano il suo culto in
oscure caverne, […] immersi
costantemente nello squallore oscuro
delle tenebre »(1) dimenticando forse che lapropagazione della loro fede avvenneproprio all'interno di
c a t a c o m b e , n o nesattamente famoseper la loro luminosità,splendore, visibilità eigiene. L'origine deicult i mitraici ès i c u r a m e n t erintracciabile negliambienti indiani ed
iranici, ma quello chem i i n t e r e s s apuntualizzare nonsono le conoscenze cheora, a posteriori,possiamo avere nellaricostruzione storica diun culto, ma quello che i fedeli romani, e
in minima parte greci, conoscevano ecredevano a proposito delle origini delproprio culto. «E questi, infatti, credono
nell'esistenza di due Dèi che sono tra loro
in competizione: l'uno produce il bene,
l'altro il male. Vi sono quelli che
chiamano Dio il migliore tra i due, e
l'altro dèmone, come fa il mago Zoroastro, […] e questo, allora, dava all'uno il nome
di Horomazes (ÑVromãzhn), all'altro
quello di Arimanios (ÉAreimãnion); e
inoltre dimostrava che l'uno, tra ciò che è
percepibile con i sensi, si apparentava sopratutto alla luce e l'altro, al contrario,
alle tenebre e all'ignoranza; tra i due in
mezzo si collocava Mitra, che per questa
ragione i Persiani chiamavano
“mediatore” (tÚn mes¤thn) [...]».(2) Ilcontenuto del culto mitraico però cisfugge, e solo ipotesi sono state avanzate
sul senso di questa
religione, complessa ediniziatica. La sua strutturaci è piuttosto chiara: settei livelli di iniziazione,proprio come le settesfere celesti platoniche,che l'iniziato dovrebbepercorrere prima dig i u n g e r eall'illuminazione divinaed alla contemplazionedella stessa. Corvo, Ninfo,Soldato, Leone, Persiano,Eliodromo, Padre ( 3):questi i sette gradi di
iniziazione. Le fonti concordanonell'attribuire collegamenti celesti ai vari
gradi di iniziazione: secondo questa teoriaogni grado doveva corrispondere ad unodei pianeti, per cui Ninfo/Venere,S o l d a t o / M a r t e , L e o n e / G i o v e ,Persiano/Mercurio, Eliodromo/Sole,Padre/Saturno(4) (le fonti non concordanosull'accostamento planetario del primogrado, quello del Corvo). Una teoria moltosuggestiva, e che trova riscontri
nell'iconografia ricerca la forza del culto
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mitraico nella scoperta da parte di Ipparcodi Nicea della successione degli equinozi,del quale Mitra sarebbe proprio la forzadivina causante(5). Molte delle nostreconoscenze si basano sull'iconografia dellescene sacre ritrovate in gran numeroall'interno dei mitrei: la tauroctonia, una
immagine sacra capace di racchiudere inse l'intero messaggio iniziatico del culto.Sentiamo la spiegazione che ce neconsegna Porfirio: «Pertanto assegnarono
come adatta a Mitra la sede degli
Equinozi; egli porta il pugnale di Ariete,
segno di Ares, e cavalca il toro, simbolo di
Afrodite. Poiché Mitra, come il Toro, è
demiurgo e padrone della generazione, è
collocato nel cerchio equinoziale, avendo alla sua destra le regioni settentrionali,
alla sua sinistra quelle meridionali, e a sud
è collocato Cautes, perchè caldo, e a nord
Cautopates per il fatto che il vento del
nord è freddo »(6). Bisognerà aggiungereche nelle tauroctonie, abitualmente,compaiono anche due figure, sospese nelcielo, a sinistra Helios, al quale Mitra,
nell'atto di uccidere il toro guarda, e adestra Selene. Intorno alla figura del toroatterrato gravitano tre animali, unoscorpione che attacca i testicolidell'animale e un cane ed un serpente chesi nutrono del sangue sgorgante dallaferita. Questi animali rappresenterebbero,assieme a Mitra ed al toro, una sorta dimappa celeste durante l'era del Toro:
serpente/Idra di Lerna, cane/Canis Major(o Minor?), scorpione/Scorpio, il
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s a n g u e / S p i c a ,Mitra/Perseo(7). Altra
teoria, antica, cerca dir i v e d e r e n e l l atauroctonia il mitodella generazione, erigenerazione, delleanime. Partiamoun'altra volta daPorfirio: «Gli antichi
[…] chiamavano
Melissa la Luna, che p r e s i e d e a l l a
generazione, tanto
più in quanto la Luna
è anche Toro, il toro è
l'esaltazione della
Luna, le api nascono
dai buoi e le anime
s c e n d o n o n e l l a
generazione sono
dette nate da un
bue »(8). Il mito dellanascita delle api dalcorpo del bue, e dellagenerazione dellaa n i m e èe c c e l l e n t e m e n t e
spiegato in SCARPI
2008 p. 550: «la nascita delle api dalla
carcassa di un bue appartiene alla
tradizione mitica greca e ha all'origine
una colpa di natura sessuale: Ariste,
immagine dello sposo leale e fedele,
modello dell'apicoltore, vede Euridice, la
giovane sposa di Orfeo, il mitico cantore
di Tracia, e tenta di violentarla; ma
Euridice fugge e nella fuga viene morsa da un serpente e muore; gli dèi allora
puniscono Aristeo
i n v i a n d o u n a
p e s t i l e n z a c h e distrugge le api;
rivoltosi alla madre
Cirene, che lo aveva
generato ad (sic)Apollo, da questa
viene a sapere sia
quale era stata la causa
della pestilenza che
aveva colpito le sue api, sia come far
rinascere le api:
sacrificare quattro
buoi e lasciarli al
chiuso, lontani dalla
luce, sino a che dalle
carcasse putrefatte
fossero nati nuovi
sciami ( Verg. Georg.IV 317-559). Non è
improbabi le che
l'assimilazione della
anime alle api si
fondasse anche sul
fatto che la tradizione
antica, in particolare
greca, vedeva in questo insetto l'animale più puro. La
nascita o ri-nascita dell'ape dalla carcassa
del bue si configura in questo caso come
metafora della ri-nascita dell'anima dalla
carcassa umana rappresentata dal corpo.»Proprio le api ci rimandano ad un aspettodella pratica cultuale: in un mitreo, oltrealla rappresentazione della tauroctonia,
quello che non poteva mancare era ancheun'anfora e sopratutto un cratere: «le api
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ripongono il miele nelle anfore e nei
crateri, perchè i crateri sono simbolo delle
fonti, proprio come presso mitra è collocato un cratere al posto di una fonte,
le anfore poi sono simbolo di ciò con cui
si attinge l'acqua dalle fonti »(9). Il mieleinoltre, cosparso sulle mani degli iniziatiche accedevano al grado di Leone, lirendeva puri; per gli altri gradi, a quel chesappiamo, era utilizzata l'acqua comepurificante. Pur nella carenza dei dati
certi a livello pratico e cultuale ilmessaggio religioso, salvifico e filosoficodel culto del “Sole invitto” ci è piuttostochiaro (anche se meno chiara è larelazione tra culti misterici mitraici e cultidi Helios). Giuliano Imperatore, nei suoiscritti su Helios ci ha tramandato questacodificazione: la nascita degli uomini èopera della cooperazione tra la
provvidenza di Helios(10) e la generazionemateriale da un corpo umano. Helios peròè solo la manifestazione palese rispettoall'essenza divina, conoscibile solo grazieall'aiuto di Hermes e di ApolloMusegete(11). Il potere di Helios, secondoGiuliano, è capace di fissare, mantenere epreservare tanto gli equilibri celesti
quanto quelli terreni, e deriverebbedirettamente dal Bene, l'Uno platonico,vero unico genitore del Dio: Helios regnaquindi sugli altri Dei proprio comedomina i l panorama celeste ,manifestandosi al mondo come Sole,palese donatore della vita nell'universo(12).Infondo proprio questa semplicità dimessaggio, accessibile e constatabile da
tutti tramite le manifestazioni quotidianedel Dio, ed una possente impalcatura
filosofico-misterica furono la base dellafortuna di questo culto: le iscrizioni
d'altronde ci attestano come non fosse unapratica religiosa settaria, ma anzi, moltodiffusa tra il popolo, e sopratutto tra lelegioni romane, tanto da trovare evidenzearcheologiche di Mitrei in moltiaccampamenti stabili delle legioniromane. Ma già nella codificazione deisuoi rituali, il mitraismo, possedeva la spiadel rischio della scomparsa: la preclusione
delle pratiche alle donne, le stesse donneche giocheranno invece un ruolo diprim’ordine nella propagazione del cultocristiano. Il messaggio di Mitra è un altrotassello che possiamo, gloriosamente,aggiungere alla ricostruzione di un cultosolare, che vede unite e cooperanti, figuremitologiche di diversissime, e lontaneciviltà: proprio quello della cooperazione,
della mediazione e dell'amicizia era ilmessaggio originario del dio Mitrasecondo la sistemazione di Zoroastro:dalla mediazione alla pacificazione, finoalla vita, il passo è molto breve, tantobreve da sopravvivere, oggi, dopo oltretremiladuecento anni. [L.A.]
NOTE:
1. Firmico Materno, De errore profanarumreligionum, 5, 2.
2. Plutarco, De Iside et Osiride, 369d.
3. vd. ad es. Gerolamo, Ep. 107, 2.
4. Queste corrispondenze sono attestatedall'iscrizione CIMRM I, 480.
5. ULANSEY 2001.6. Porfirio, De antro Nympharum, 24.
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7. BECK 2006, pp. 194 sgg.
8. Porfirio, De antro Nympharum, 18.
9. Porfirio, De antro Nympharum, 17.
10. Aristotele, Fisica, II, 2 194b.
11. Giuliano, Oraz. XI, 132 c.
12. Giuliano, Oraz. XI, 133 c.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-BECK 2006: R. BECK, The religion of the
Mithras cult in the Roman Empire , OxfordPress, Oxford 2006.
-SCARPI 2008: Le Religioni dei Misteri, a c. P.
SCARPI, vol. 2. Milano, Mondadori 2008.-ULANSEY 2001: D. ULANSEY, I Misteri di
Mithra , ed. Mediterraneo, Roma, 2001.
Immagini:
p.18, Tauroctonia , Londra, British Museum.
p.19, Il mitreo Barberini , Roma.
p.20, Tauroctonia , nell’affresco del mitreoBarberini, Roma.
p.21, Il Mitra Chiaramonti , Roma, MuseiVaticani.
p.23, Tauroctonia Roma, Musei Vaticani.
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Dedicare un articolo ad Eliogabalo
significa ripercorrere, da un'angolatura
tutta particolare, il lento cammino che
porterà l'affermazione a Roma dei culti
Solari di stampo orientale. Eliogabalo,imperatore bambino, nacque in Siria, col
nome di Vario Avito Bassiano nel 203, e
per diritto ereditario destinato alla carica
di Gran Sacerdote del locale culto solare,
quello del Dio El-Gabal di Emesa. La sua
ascesa al trono fu il frutto della capacità di
cospirazione della nonna Giulia Mesa
(nonna anche di Alessandro Severo), che
innalzò alla porpora imperiale un ragazzo
di appena quindici anni, con aspirazioni
ed inclinazioni sacerdotali più che
imperiali. I primi anni del suo regno
videro l'approvazione, salvo stramberie
sopportate(1), sia del senato che del popolo
romano: i veri problemi, e la rivelazione
dell'indole e dell'impreparazione
dell'imperatore vennero alla luce al suo
ingresso a Roma nell'autunno del 219.
Eliogabalo iniziò a distribuire cariche
lucrose e titolo ai propri amanti e favoriti:
Zotico e Ierocle (un auriga chel'imperatore definiva tranquillamente
“suo marito”) divennero rispettivamente
Cubiculares e Cesare(2). Ma il punto che
destò sincero sconcerto tra i Romani fu
l'accellerazione che Eliogabalo apportò
all'instaurazione e celebrazione dei culti
solari, già importati da Settimio Severo.
L'imperatore pose il Dio El-Gabal, che
indicò col nome di Deus Sol Invictus al disopra dello stesso Giove(3), provvedendo
poi poi a due ierogamie, che unirono il
Dio Sole con Minerva prima, e Urania
poi(4). Convinto di essere rappresentante
terreno del Dio, Eliogabalo si sentì
autorizzato a contrarre matrimonio con
una Vestale: tale unione avrebbe, nei suoi
progetti, rappresentato a livello terreno lo
sposalizio celeste del Sol Invictus con
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ELIOGABALO
Il monoteismo solare a Roma.
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Vesta; da questo matrimonio, secondo il
suo progetto, non sarebbero che potuti
nascere figli simili a divinità(5). Le
celebrazioni ufficiali del Dio, erano fissate
al solstizio d'estate, quando i senatori
erano costretti a guardare l'imperatore
danzare, in stato di trance, al suono dei
cimbali, presso l'altare, posto all'interno
del tempio palatino (costruito, forse, su un
preesistente luogo di culto dedicato a
Giove). Eliogabalo, sin dai primissimi anni
di regno, fece portare a Roma da Emesa, il
simulacro del dio El-Gabal, una conoide,forse un meteorite, nero, lo stesso
simulacro che veniva portato in parata
durante le celebrazioni: “Un carro a sei
cavalli conduceva la divinità (in
processione): i cavalli enormi e di un
bianco immacolato, con dispendiosi
finimenti in oro e ricchi ornamenti.
Nessuno teneva le redini, e nessuno era a
bordo del carro; il veicolo andava avanti come se il Dio stesso ne fosse l'auriga.
Eliogabalo invece camminava all'indietro
proprio difronte alla biga, rivolto verso il
Dio (...). Compiva tutto il viaggio
camminando in questo modo, al contrario,
guardando in faccia il suo Dio (6)”.
La strategia religiosa di
eliocentrismo di Eliogabalo portò ad altri
cambiamenti, che il popolo non riusciva
affatto a digerire: nell'Elagabalium (vd.
Articolo) vennero riunite le reliquie più
sante e venerate di tutta Roma. Fu così
che il simulacro della Magna Mater, il
fuoco di Vesta, il Palladio e gli Anciliapresero collocazione nel tempio del Dio:
in questo modo, sacrificando o venerando
quelle venerande reliquie era impossibile
non rivolgere un pensiero alla divinità
ospitante(7).
Il declino del potere imperiale e
della politica religiosa di Eliogabalo fu
molto veloce: già nel 221 era palesel ' i m p o p o l a r i t à d e l l a c o n d o t t a
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Pagina 26
dell'imperatore, tanto da condurlo
all'uccisione, da parte dei pretoriani, a soli
diciotto anni nel 222. Travestitismo eprostituzione sacra, pratiche bacchiche ed
estasi mistiche, danze orgiastiche e
ierogamie terrene erano pratiche
inconciliabili col sentire religioso romano:
l'incapacità di compromessi e di
attenzioni alle apparenze ed ai costumi di
Roma, decretò la fine di un imperatore e
di un culto(8). L'imperatore fu ucciso dai
pretoriani mentre cercava di fuggire inuna latrina(9); fu perseguitato anche dopo
morto: le sue statue abbattute, molti
ritratti rimodellati sulle sembianze del
successore, e bollato come “folle” dalla
storiografia contemporanea e postuma.
Ma quanto più poteva temere in cuor suo
Eliogabalo, avvenne proprio dopo la sua
morte: le pratiche di culto correlate al Sol
Invictus ricevettero un sostanziale
abbandono fino alla restaurazione
avvenuta sotto Aureliano, ed il simulacro
del Dio venne rispedito ad Emesa, doveritrovò la sua originaria collocazione: un
Dio scacciato da una terra straniera
infedele(10).
Fu, appunto, solo con Aurelianoche il culto del Sol Invictus venne
restaurato, dotato di una nuova struttura
cultuale, alle pendici del Quirinale, e di
un corpus di sacerdoti addetti, i pontefices
Solis Invicti . La consacrazione del tempio
avvenne il 25 dicembre 274, durante la
festa denominata come “Dies Natalis Solis
Invicti ”, che prevedeva una particolare
pratica devozionale: i fedeli, rinchiusi in
una grotta alla mezzanotte del giorno
precedente, ne uscivano all'alba
annunciando la nascita del Sole
(denominato Aion) dalla vergine Kore(11).
Il vero trionfo della religione eliocentrica
però, si ebbe prima con l'avvento del
mitraismo, e poi con l'esperienza di
Giuliano imperatore, che sintetizzò in
queste parole il messaggio divino
eliocentrico: “Ritengo comunque che, se
bisogna credere ai sapienti, non è una
novità che questo Dio sia il padre comune
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di tutti gli uomini ( a buon diritto infatti,
si dice che l'uomo è generato dall'uomo e
dal Sole) e che semini sulla terra non solo le anime che procedono da lui, ma anche
quelle che procedono dagli altri Dei (12).”
Il tentativo di instaurazione di un
culto, sostanzialmente un monoteismo
solare, da parte di Eliogabalo è uno dei
primi tentativi di accentramento religioso
in un'unica figura divina all'interno del
pantheon romano: la sincretizzazione si
rivela essere la vera aspirazione di questo
giovane imperatore, volto con lo sguardo
e coll'animo al Sole, fin tanto da non
riuscire a constatare il suo distacco, lento
e progressivo dalle abitudini, dal
sentimento religioso, e dalle pratiche di
un popolo, tanto aperto alle novità, ma
poco propenso a capire e comprendere
esigenze tendenti a destrutturarnel'assetto originario. I tentativi successivi di
sincretismo e di monoteismo divino,
benchè non vittoriosi, risulteranno molto
meglio accetti dal popolo, che farà dei
“nuovi” Serapide, Helios, Mitra il cardine
della propria devozione privata. [L.A.]
NOTE:
1. La nonna Giulia Mesa fece collocare aRoma, nell'aula del Senato, proprio sopra
l'altare alla Dea Vittoria, la statua del ragazzo
in vesti sacerdotali, ponendo i senatori nella
scomoda posizione di sacrificare anche
all'imperatore ogni qualvolta sacrificassero
alla Dea.
2. Cassio Dione XXX, 15.
3. Cassio Dione, XXX, 11.
4. Erodiano, V, 6.5. Cassio Dione, XXX, 9.
6. Erodiano, V. 6.
7. Cassio Dione, XXX, 12-22.
8. Historia Augusta - Vita di Eliogabalo , 10.
ed anche Erodiano, V, 6.
9. Cassio Dione, XXX, 20.
10. Cassio Dione, XXX, 21.
11. Epifanio di Salamina,Contro le
eresie,51,22,8-11.
12. Giuliano, A Helios Re , 2.
Immagini:
p.24, Ritratto di Eliogabalo, Roma, Musei
Capitolini.p.25, Aureo di Eliogabalo, con incisione del
carro trasportante la pietra sacra durante il
solstizio d’estate, festa del Sol Invictus.
p.26, Asse dell’usurpatore Uranio Antonino,
sul verso il tempio del Sol Invictus con la
pietra sacra.
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Si è sempre sottolineato come l'epigrafiasia la testimonianza letteraria e scrittoriapiù diretta per ricostruire il vissuto di unaciviltà: iscrizioni civili, pubbliche, votive,sepolcrali e onorarie sono tutte documenti
unici ed originali, un messaggio rimasto(più o meno) intatto, una voce parlantesenza bisogno di intermediari. Perdefinire l'ambito di ricerca dell'epigrafia siè ricorsi a molte definizioni, limitando imateriali e i metodi di fabbricazione, magli unici punti fissi in questo marasma diparole sono rimasti l'unicità deldocumento e la genuinità dello stesso. Se
uniche, quindi, le epigrafi, e sicuramentefabbricate in antico, rappresentano per glistudiosi uno strumento irripetibile per laconoscenza di una civiltà altamente
alfabetizzata come fu quella greca. Manon è nostro intento quello di analizzare ipiù alti e sublimi prodotti dell'epigrafia,tantomeno analizzare le epigrafi cheriportano epitaffi metrici, ma anzi,
rivolgeremo lo sguardo ad una tipologia didocumento diffusa sopratutto nei cetimedio-bassi della società: le tabelle dimaledizione.
Coll'espressione "defixiones" siintendono alcune particolari maledizionidi carattere privato atte a punire personein virtù di un qualcosa commesso o al fine
di arginare le problematiche che unaazione in fieri potrebbe portare almaledicente. Questi documenti, come giàaccennato, furono prodotti in larga
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MALEDIZIONI GRECHE Defixiones graece.
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maggioranza da un ambiente sociale pocoelevato, e oscillano tra religiosità e
superstizione. Le defixiones sonopressoché sempre incise su laminette dipiombo, successivamente piegate, o su
statuette rappresentanti i "maledetti". Lascelta dei materiali non era casuale: ilpiombo, per il suo peso, per il suo esseregelido, per il suo colore grigio era
perfettamente intonato ai funesti auguric h e v e n i v a n o i v i s c r i t t i ( 1 ) .Le modalità di preparazione dellemaledizioni prevedeva, sicuramente, unaritualistica ben precisa, in buona parte pernoi non ricostruibile: è indubbio chespesso il mago incaricato di "maledire"una tale persona, si facesse anche carico discrivere egli stesso l'iscrizione,
s o p p e r e n d o a l l ' i g n o r a n z a d e l"maledicente". La stranezza dei caratteri
non è dovuta ad un particolar modo discrittura, o a chissà quale alfabeto magico,
ma unicamente alle difficoltà di scritturacorrelate all'incisione sul metallo.
Lo scopo essenziale delle defixiones
greche era quello di immobilizzare lapersona odiata in ogni manifestazionedella sua vita, facendo sì che questapotesse morire prima del decorso naturale
della propria vita. Lo scopo venivaraggiunto chiedendone l'attuazione e lapersecuzione allo spirito di un morto. Siprediligevano gli spiriti turbolenti: animedi defunti spirati di morte violenta,persone morte immaturamente, suicidi,anime di feti nati già morti erano una veracalamita per i maghi dell'epoca; bastavascrivere il messaggio, in un formulario
ben preciso, affidarlo alla tomba
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dell'esecutore ritenuto perfetto ed il giocoera fatto. Anche i santuari di divinità
infere, pozzi e sorgenti erano moltogettonati: la vita dell'odiato nemicosarebbe stata falciata dalla divinità o
affogata e trascinata via dalle acqueprescelte. In un primo momento sicredette bastevole il deporre il nome del
"maledetto" nel luogo prescelto, masuccessivamente si pensò più sicuroaggiungere alla formula anchel'invocazione diretta a qualche divinitàinfera, in modo che il messaggio nonpotesse, in alcun modo, andar trascurato.
Ma leggiamo quache testo. Laprima è una defixio databile al V a. C.,ritrovata ad Atene: precisa il nome del
defisso, indicando anche la moglie, ed ha
come intento l'annientare la persona inogni sua attività, rivoltandogli contro
finanche le sostanze colle quali, per lavoroè a contatto continuo: "Lysias, soffiatore
nella zecca, sia lui che la moglie e i suoi
beni, ciò che lavora, le sostanze, le mani, i
piedi, la mente, la testa ed il naso [siano
distrutti] dalla sacra terra "(2).
L'indicazione delle divinità inferealle quali si affida la vita del defisso è inun esemplare databile al I sec. a. C. Eritrovata a Morgantina: "Gea. Ermete, Dei
inferi, accogliete Venusta ,figlia di Rufo,
la serva " (3). Come si può vedere il metodoè molto semplice: l'indicazione del nome,del patronimico, e la raccomandazioneagli dei infernali. Non è da escludere però
che il rituale di maledizione prevedesse
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delle libagioni agli dei inferi, e delleformule rituali non tramandate. In questo
caso l'augurio nefasto consistesemplicemente in una sorta di preghieraaffinchè la donna venga portata e accoltanel regno degli inferi.
Particolarmente più dettagliata èinvece la defixio, molto tarda, ritrovata aRoma, e databile al II o III secolo d. C. Chisi vuole colpire con questa maledizione èun medico, probabilmente colpevole di
aver ucciso il fratello del maledicente:"Opprimi Artemidoros, il medico, figlio di
Artemidoros, quello della terza coorte
pretoria. Compie l'azione il fratello del
defunto Demetrio, il quale vuole ora
partire verso la propria patria. Non
risparmiate dunque lui, ma opprimete la
terra italica; e per di più insabbiate la città
dei Romani. Ma opprimete il medico Artemidoro. Eulamon, Laimeilasion,
Kreiochersophrix, Omelieus, Axeieus,
Areius e Lathos e Tham, opprimete! "(4). Ladefixio è un unicum: accomuna allamaledizione l'intera città di Roma. Ladivinità infera alla quale viene affidata lapersecuzione dell'uomo non è esplicita, sidovrà quindi pensare che la defixio fosse
posta in qualche tomba.I verbi più ricorrentemente
utilizzati nelle tavole di defissione grecasono di due tipi: un primo gruppo per
invocare l'attenzione del morto o delladivinità, ed un secondo finalizzati adesprimere/richiedere il nefasto augurio.Kale›n oppure §pikale›syai o anche
kiklÆskein sono utilizzati nel medesimo
significato di "chiamare"; più accorato ilsignificato di flketeÊein e ırk¤zein
r i spet t ivamente " suppl icare" e"scongiurare". Kat°xein , facente parte
del secondo gruppo di verbi, indicapropriamente l'azione di "sottomettere","tenere sotto", "opprimere" rivolto sempreagli Dei infernali o a Demoni e morti,chiati kãtoixoi. ParadidÒnai invece èun verbo spesso pronunciato dall'autoredella defixio, significa "consegnare",seguito spesso dalla specifica del
destinatario della consegna malefica. De›n,katade›n, sunde›n , s ignif icanopropriamente "legare" il nemico, seguitisp es so da un prÒs segu i t odall'indicazione del nome del demone odel Dio infero. Ma il vero in assoluto piùfamoso ed utilizzato è katagrãfein
"iscrivere": il nome del maledetto veniva"iscritto" nelle liste infernali del morto, o
del Dio, in modo che il suono di quelnome non andasse disperso, ma proprio
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nome non andasse disperso, ma proprioperchè iscritto, sarebbe stato
continuamente sotto gli occhi attentidell'esecutore infernale.
Il panorama delle defixiones,assolutamente curioso e degno di essereesposto e reso maggiormente noto, non èovviamente completo, mancando inquesto articolo le corrispettivemaledizione in ambito romano: mioccuperò nel prossimo numero di fornire
un'ampia carrellata di esempi dimaledizioni in ambito latino, atestimonianza di un altro fattore di vitareligiosa, comune alla civiltà greca ed aquella romana, sempre pronta a recepirele invenzioni, anche le più malefiche, diuna civiltà evolutissima ed originale comequella greca. [L.A.]
NOTE:
1. Plinio, Naturalis Historia, XI, 274.
2. EG. IV, pp. 247 sgg.
3. EG. IV, pp. 250 sgg.
4. EG. IV, pp. 251 sgg.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-EG: M. GUARDUCCI, Epigrafia Greca, vol IV,Roma 1978.
Immagini:
p.28, Defixio greca . Presenta la classica forma"a libretto": la lamina di piombo iscritto èpiegato in due, in modo da includere il lato
inciso. Parigi, Biblioteca Nazionale.
p.29, Defixio latina . È una delle pochedefixiones su due facciate e con un disegno acorredo della scrittura.
p.30, Defixio greca . La lamina di piombo erastata arrotolata su se stessa: l'estrema duttilitàdel materiale ha permesso agli archeologi disrotolarla e leggerne il contenuto.
p.31, Defixio con forma "a libretto". Monaco,Museo Archeologico.
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A cura di Lorenzo Abbate
SEZIONE
MISCELLANEA
INNO A NETTUNO
W. B. YEATS
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La scelta di
stendere un contributosull’Inno a Nettuno diGiacomo Leopardirientra in un più ampiop r o g e t t o d is e g n a l a z i o n e ,arricchimento e studiodelle possibili fontiletterario-religiose abeneficio di una fedeantica nel mondocontemporaneo. Èstrano pensare che uno scrittore comeLeopardi, prima del suo distaccamentodalla fede cattolica, potesse concepire,stendere e pubblicare un’opera innologicadedicata ad una divinità antica, proprio
negli anni in cui, già circolavano espadroneggiavano gli Inni Sacri (ovviamente cattolici) di Manzoni.
Il progetto di Leopardi però, nonebbe mai mire religiose, ma solo edunicamente letterarie. Leopardi infattipubblicò l’Inno cercando di spacciarlo perun originale greco, inedito, tradotto:Leopardi non come autore quindi, macome traduttore. La truffa ebbe un certo
seguito, e l’Inno vene
da molti creduto comeoriginale ed autentico;la “truffa letteraria” diLeopardi portava comeprove avvaloranti solodue versi greci, quellod’inizio e quello di finedell’Inno (anche leO d a e A d e s p o t a e vennero pubblicateassieme). Ma la veraprova di “autenticità”,
sarebbe dovuta essere, in mente diLeopardi, l’assoluta corrispondenza diquesto Inno a tutte le caratteristiche degliInni omerici già noti. La vicenda divina diNettuno-Poseidone è ricostruita fin nei
minimi particolari, dalla nascita fino aimiti più noti, una vera enciclopediadivina. La scelta del Dio, a mio avviso,basata su una semplice constatazione: ilcorpus degli Inni omerici presenta un soloinno a Poseidone, di pochissimi versi, chenon avrebbe mai potuto fungere da armaun confronto, per un eventualesventramento della “truffa letteraria”
approntata.
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L’INNO A NETTUNO DI G. LEOPARDI
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Pietro Giordani, amico fraterno diLeopardi, nel pubblicare un volume per
Le Monnier nel 1845, contenente tutti glistudi filologici di Leopardi, non ebbedubbi nell’inserirvi l’Inno a Nettuno; asuo dire, la capacità di “ingrecarsi ”(1),ovvero di calarsi nei panni di un grecodell’VIII sec. a. C.d i L eop ard i ,r e n d e v aquest’opera non
sono un’abilefalsificazione, maquasi più degnodi un originalegreco. Leopardinel 1816, a pocopiù di due annidall’inizio del suosolitario studio
del greco, eraperfettamente ing r a d o d ifalsificare un innosacro, dedicato aNettuno.
Tutto inquest ’ Inno è
g r e c o , o g n isingolo mito, ognip aro la , ogn imovimento delle frasi sembra seguire,ricalcare, riprendere un originale greco,esistente solo nella mente nostalgica esognatrice del diciottenne Leopardi. Lasua reverenza per gli antichi, seppure nonsfociando mai in devozione, si basò su un
ossequioso rispetto delle tradizioni e delle
testimonianze di un mondo scomparso.L’inno si apre con solenni parole: “Lui che
la terra scuote, azzurro il crine / A cantar incomincio. Alati preghi / A te, Nettuno
Re […]”(2); come nella prassi innologicaLeopardi dichiara tutte le capacitàprotettive e benefiche del Dio sin
d a l l ’ a p e r t u r a ;Poseidone, diodel mare, è ilp u n t o d i
r i f e r i m e n t op r i m o d e in a v i g a n t i ,quando hanno ac u o r e d is c a m p a r e aorrenda morte inmare: “forza è
che indrizzi / Il
n o c c h i e r
fatichevole che
corre / Su veloce
naviglio il vasto
mare, / Se
campar brama
dai sonanti flutti
/ E la morte
schivar ”. Lag e n e a l o g i ad i v i n a è
specificata subito dopo: “che a te l’impero/
Del pelago toccò, da che nascesti/ Figlio a
Saturno, e al fulminante Giove, / Fratello
e al nero Pluto.” (3) La stirpe di discendenzacompletamente indicata, ad eccezionedella madre, Rea, vero centro del racconto
che segue, quello della nascita del Dio,assolutamente commovente per la
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di ostentarla, vince, in quest’opera, sullasua capacità poetica? Ci si è chiesto molto
spesso questo, e spesso si è detto chel’Inno a Nettuno è affossato sotto lamelma dell’erudizione che stilla da questepagine. Chi sostiene questo, non èchiaramente in grado di inquadrarequest’opera nella sua giusta collocazione:un inno greco, non può rispondere alletipologie poetiche italiane di inizioottocento, ed anzi, il non nseguirle è
sintomo di maggior capacità poetica emimetica di Leopardi. L’operazioneletteraria dello scrittore tende, oltre chead una affermazione nel panoramaletterario italiano, a dotare Poseidone diun componimento innologico simile aquelli maggiori tramandati dal corpusomerico. L’Inno a Nettuno, ad una letturascevra da preconcetti letterari, trasmette
perfettamente la voglia di un ragazzo diaffiancarsi ai mitici cantori omerici,calandosi totalmente in un ambito didevozione a lui estraneo, sperimentandoforme liturgiche antiche. Ma è proprioquando, deposti i panni dell’eruditogrecista, Leopardi si cala nei panni delfedele antico, che, senza bisogno di
nozioni, epiteti e quant’altro, riesce aspiegare e fissare perfettamente lo spiritodevozionale: “O Dio possente/ Soccorri a’
naviganti, e fra le rotte/ Nubi fa che si
vegga il cielo azzurro/ Ne la tempesta, e su
la nave splenda/ Del sole o de la luna un
qualche raggio/ O de le stelle, ed il soffiar
de’ venti/ Cessi; e tu l’onde rumorose
appiana,/ Sì che campin dal rischio i
marinai. O Nume, salve, e con benigna mente/ Proteggi i vati che de gl’inni han
cura!” (13). Poseidone viene dunqueinquadrato come protettore dei poeti, e
proprio in questa ottica è ancor piùpossibile capire il perché di una sceltadivina così inconsueta per un giovane chenon aveva ancora mai toccato quel mare,regno del Dio, che vedeva solo inlontananza dalle finestre della casapaterna. [L.A.]
NOTE:1. GIORDANI 1845, p. XVI-XVII.
2. Inno a Nettuno , vv. 1-3.
3. Inno a Nettuno , vv. 7-10. (in quanto a te
toccò il regno sul mare, da quando nascesti
figlio di Saturno e fratello di Giove tonante e
dell’oscuro Plutone ).
4. Inno a Nettuno , vv. 10 sgg. (E Rea, la dea
da molle crine, ti partorì non in cielo, poiché di Saturno, astuta divinità, temeva gli sguardi.
Ella quindi discese sulla terra piena di selve,
con il cuore addolorato, e colle guance prive
del loro rossore. Nel mentre il sole eccelso
scottava le foreste sui verdi boschi, […] Ella si
sedette all’ombra, e non appena fosti di lei
uscio, ti ripose sulle sue ginocchia, piangendo
e pregando la Terra ed il Cielo popolato di
stelle.) 5. Inno a Nettuno , vv. 75-8.
6. Inno a Nettuno , vv. 78-81.
7. Inno a Nettuno , vv. 81-4.
8. Inno a Nettuno , v. 93.
9. Inno a Nettuno , vv. 103.
10. Inno a Nettuno , vv. 121-3.
11. Inno a Nettuno , v. 153.
12. Inno a Nettuno , v. 93.
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13. Inno a Nettuno, vv. 191-203.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-GIORDANI 1845: G. LEOPARDI, Studi filologicia c. di P. PELLEGRINI e P. GIORDANI, Firenze1845.
Immagini:
p.34, Giacomo Leopardi , Ritratto a matita del
Lolli, Recanati, Casa Leopardi.p.35, Cratere attico rappresentante la contesatra Atena e Minerva, Atene, MuseoArcheologico.
p.36, Poussin, Nettuno , Philadelphia,Museum of art.
p.38, Sala I della Biblioteca Leopardi aRecanati.
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L’Irlanda, terra dai vividi colori, dalleimperiture tradizioni, accolse la nascita di
William Butler Yeats il 13 Giugno 1865, a
Sandymount. Sin da piccolo ebbe modo di
assaporare a pieno le varie realtà locali
irlandesi, come nelle sue permanenze a
Sligo, un piccolo porto sulla costa Ovest,
una cittadina ricca di folklore, racconti
mitici, croci celtiche ed atmosfere
leggendarie. Tutte queste suggestionirimasero profondamente radicate nella
sua personalità, e divennero il punto
fondante dove ritrovare sé stesso durante
l’improvviso e traumatico trasloco a
Londra. Qui conobbe Gorge Russell, sotto
l’influenza del quale iniziò a comporre i
primi drammi e poemi a tema
magico/mitico, separandosi sempre di più
dalle figure del padre e del nonno, a dir
poco castranti per il suo genio creativo.
Con l’andare del tempo crebbe l’interesse
per le scienze occulte, ed incluse fra le sue
letture autori come: A. P. Sinnett, Blake,
L. Agrippa, Pico della Mirandola e molti
altri; grazie a questi nuovi spunti sviluppò
una spiritualità ibrida fra pre-esistente
cattolicesimo e paganesimo neo-acquisito.
A tal proposito scrisse: “Io non ho trovato
la mia tradizione nella Chiesa Cattolica,
che non fu la Chiesa della mia infanzia,
ma là dove la tradizione è, almeno credo,
più universale e più antica.” . Altroincontro fondamentale fu quello con
O’Leary sotto l’egida del quale sviluppò
un sempre più crescente nazionalismo;
proprio contemporaneamente agli
attentati dei repubblicani irlandesi alle
stazioni ferroviarie inglesi. La decisione di
non adottare alcun soggetto nei suoi
componimenti che non fosse di natura
irlandese, appare allora spiegabilissima,anche perché divenne attivo nella realtà
politica irlandese. La sua attenzione per il
panorama esoterico rimase alta, e Yeats
cercò sempre di mediare e fondere i suoi
ideali di “letteratura didattica, nazionale e
pura” con il canone espressivo da poco
sviluppato interamente; ci riuscì, e
produsse una sintesi oscillante fra
preraffaellismo e decadenza fin de siècle .
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W. B. YEATS
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Le successive svolte furono l’iscrizione
alla sovversiva Irish Republican
Brotherhood e l’incontro con LadyAugusta, che lo risollevò dal suo periodo
di deperimento fisico e intellettuale, e gli
mise a disposizione un’enormità di libri e
collaborazioni con altri intellettuali. La
sua poesia iniziò a concretizzarsi sempre
maggiormente ed il pensiero poetico prese
forma, raggiungendo la conciliazione di
due opposti: generò la poesia attraverso la
reale sperimentazione della materia, senzaalcuna finzione. Rimane ancora aperta la
diatriba fra gli studiosi, se Yeats sia un
romantico o meno; tuttavia la sua opera di
fusione fra intelletto e sensibilità
demolisce le stesse fondamenta del
Romanticismo. Infatti prevalse nei suoi
scritti il desiderio di ricercare una
”estetica pura”, una “sintesi della
bellezza”. “A partire dal 1886 non ho
trattato quasi più che soggetti irlandesi , e
ciò per le ragioni da me espresse in
Ireland and the Arts. Nella decadenza di
un’età votata al culto della ricchezza vi
ritroviamo i sacerdoti di una religione
quasi del tutto dimenticata. Allo scopo di
mantenere il loro carattere sacro, i poeti
devono cessare di porsi al servizio di un internazionalismo astratto e vago; essi
devono sposare i tratti della natura che li
circonda, i sentimenti dominanti di una
razza e di un popolo. L’Irlanda rimasta
isolata da una civiltà industriale e priva di
personalità, per le circostanze della sua
storia è intensamente cosciente della sua
originalità nazionale. Ella offre agli artisti
temi privilegiati : l ’amore del soprannaturale e la passione della sua
indipendenza, creando così fra i suoi poeti
e il suo popolo una comunione tale da fare
della razza irlandese una razza eletta, e uno dei pilastri che sostengono il mondo ”:
così Yeats ci comunica i suoi ideali, il suo
amor di patria, la sua smaniosa
determinazione a liberare la terra nella
quale il popolo irlandese non può più
sentirsi libero. Sembra inutile
sottolinearlo, ma l’utilizzo del termine
“race” (tr. razza), risulta ovviamente
scevro dai soliti ovvi compartimenti neiquali spesso viene, non sempre
ingiustamente, inserito; previa
considerazione del periodo storico e
politico-sociale nel quale furono scritte
queste parole. Comunque sia, la poesia
diventa nelle mani del maturo Yeats, un
potentissimo strumento di realizzazione
del proprio sé, in parallelo alle dottrine
esoteriche da lui acquisite. Nel 1923 a
William Butler Yeats fu riconosciuto il
Premio Nobel per la letteratura, e sedici
anni dopo, il 28 Gennaio del 1939 morì di
congestione polmonare, venne seppellito
prima a Roquebrune in Francia, e poi
spostato a Drumcliffe. Sulla sua pietra
tombale furono incisi gli ultimi versi della
poesia Under Ben Bulben :Cast a cold eye
On life, on death.
Horseman, pass by!
Qui di seguito riportiamo una delle poesie
a nostro parere più evocative che
appartengono alla raccolta «Last Poems»
(1936-1939):
Phanes n.1
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Pagina 41
Cuchulain Confortato
<< Un uomo che subì sei ferite mortali,
un uomo/ Violento e famoso, marciò fra i morti;/ Degli occhi guardarono fissamente
fra i rami, e scomparvero.
Allora alcuni Spiriti che bisbigliavano
testa a testa/ Sopraggiunsero e poi
scomparvero. Egli si appoggiò addosso ad
un albero/ Quasi volesse ragionare sulle
ferite e sul sangue.
E uno degli Spiriti che pareva detenere più autorità/ Fra tutte quelle cose dalla
forma d’uccello, venne e lasciò cadere/ Un
fardello di lino. Spiriti a due ed a tre
Vennero arrampicandosi poiché
quell’uomo era immobile./ E quindi colui
che portava il lino disse:/ “La tua vita sarà
molto più dolce se obbedirai
Alle nostre antiche regole e ti farai un sudario;/ Soprattutto perché con tutto ciò
che solo noi sappiamo/ Il fracasso di
quelle armi ci rende spaventati.
Noi infiliamo il filo nelle crune, e ciò che
noi facciamo/ Tutti devono farlo assieme a
noi.” E detto ciò, l’uomo/ Afferrò l’ago più
vicino e iniziò a cucire.
“Or dobbiamo cantare e cantare nel modo migliore,/ Ma prima devi conoscere che
carattere abbiamo:/ Tutti codardi senza
scampo, uccisi dai parenti
O sottratti alle loro case e lasciati a
morire nella paura.”/ Essi cantarono, ma
non avevano né parole né melodie
umane,/ Sebbene ogni cosa fosse fatta in
comune come prima;/ Le loro gole erano mutate ed ora avevano le gole degli
uccelli. >> [Trad. a c.d.r.] [ J.R.]
Immagini:
p.39. William Butler Yeats , di John Singer
Sargent, 1908.
p.41, Statua di Cuchulainn , di Oliver
Sheppard, Dublin.
Phanes n.1
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Pagina 42
A cura di Jonathan Righi
SEZIONE OMNIA
ALTERA
ODAE ADESPOTAE KILDARE
INNO A VENERE ROQUEPERTUSE
LA GENEALOGIA DI BRIDE ELIOGABALEION
SURYA RECENSIONI
Phanes n.1
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Aveva solo diciassette anni, aveva iniziato
a studiare il greco da soli due anni, senza
maestro, e su libri antiquatissimi, ed eragià in grado di comporre due odi, di una
grazia sorprendente, adeguandosi ad un
metro lirico molto difficile ed ad un
registro linguistico degno di un navigato
filologo. Le due Odae Adespotae,
letteralmente “Odi di autore incerto”,
sono una imitazione delle famose odi di
Anacreonte, o meglio, quelle che nel 1700
giravano sotto il suo nome: un corpus diodi in metro lirico, di estensione molto
limitata e di leggiadria e leggerezza
ineguagliabili, con tematiche molto
disparate, ma tutte incentrate su un
programmatico utilizzo all’interno dei
simposi. La prima ode, “Ad Amore” è la
più breve, appena 9 versi, la seconda, “A
Selene” è lunga 31 versi. Le edizioni oggi
disponibili tendono a tradurre i titoli
come “All’amore” e “Alla luna”,
tralasciando sia il significato delle due odi,
sia la grafia delle stampe approvatedall’autore. Il primo componimento è
molto vicino ad un epigramma, sia per
forma che per significato, mentre il
secondo è prettamente una preghiera,
nulla di più e nulla di meno. Leopardi, che
scrisse e spacciò per originali greci i due
componimenti, proprio come l’Inno a
Nettuno, ne corredò il testo metrico greco
con una traduzione, in prosa ritmica,latina. La traduzione che qui forniamo è la
prima letterale mai approntata delle due
odi.
(Metro. “Ad Amore”: ferecratei. “A
Selene”: dimetri ionici con anaclasi, con
prima sillaba di quantità indifferente .)
Phanes n.1
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LE ODAE ADESPOTAE DI G. LEOPARDI
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Pagina 44
Ode I, Ad Amore.
In una foresta frondosa
Sorpresi Amore addormentato
E subito sbrigandomi
Il (fanciullo) che non sentiva legai
Con rosei lacci.
Ma il bambino non appena si risvegliò
Spezzò quanto lo teneva legato e disse:Non così presto te ne saresti liberato
Se ti avessi legato io!
Ode II, A Selene.
Voglio cantare Selene.
Ti canteremo, o Selene,
Sublime, Viso argenteo,
Che, possedendo il cielo,
Regni sulla placida notte,
e sui sogni oscuri.
Tu onori anche le stelle
Che tutto il cielo rendi splendente,
Guidi il bianco carro
E i chiari cavalli
Che si levano su dal mare:
E mentre in ogni luogo
Gli uomini tacciono,
Silenziosamente, tu, sola e notturna
Percorri il cammino nel mezzo del cielo;
Sopra i monti, sopra le cime
Degli alberi e i tetti delle case
E sulle strade e sui laghi
Posi la tua pura luce.
Tu sei temuta dai ladri
Dacchè tutto l’universo percorri
Ma ti lodano gli usignoli,
tutta la notte nel tempo d’estate,
Canticchiando con voce leggeraTra i rami densi di foglie.
Sei cara ai viaggiatori.
Nel mentre emergi dalle acque,
Ti amano gli Dei, t’onorano gli umani,
O splendore dal viso argenteo,
Degna di rispetto, sublime, apportatrice di
luce. [ L.A.]
Immagini:
p.43, Prima Edizione , da Lo Spettatore 1817.
p.45, Prima edizione , da Lo Spettatore, 1817.
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Pagina 45 hanes n.1
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Pagina 46 hanes n.1
Vi riportiamo qui di seguito la
“Sloinntireachd Bhride ”, estratta dai
Carmina Gaelica di Alexander
Carmichael, ed a voi presentata in
traduzione italiana. La Genealogia di
Bride ha lo scopo di richiamare Bride
accanto al supplice per proteggerlo econdurlo alla salvezza.
“La genealogia di Bride, la santa
fanciulla,/ raggiante d’oro e di
fiamma, la nobile madre adottiva di
Cristo./ Bride, figlia di Dugall il
Bruno, figlio di Aodh/ Figlio di Art,
figlio di Conn/ Figlio di Criara, Figlio di Cis, Figlio di Cormac, Figlio di
Carruin.
Ogni giorno ed ogni notte/ Quando
ripeterò la genealogia di Bride,/ Non
potrò essere ucciso, non potrò essere
derubato,/ Non potrò essere fatto
prigioniero, non potrò essere ferito,/ E Cristo non potrà mai scordarsi di
me.
Né fuoco, né sole, né luna mi
potranno bruciare,/ Né lago, né
fiume, né mare mi potranno
affogare,/ Né freccia di fata né dardo
di folletto mi potranno ferire,/ Sono sotto la protezione di Maria la
Santa,/ E la dolce mia madre
adottiva è l’amabile Bride.(1)” [ J.R.]
NOTE:
1. CARMICHAEL 1992.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-CARMICHAEL 1992: A. CARMICHAEL,
Carmina Gadelica: Hymns &
Incantations , Lindisfarne Books, 1992.
Immagini:
p.46, Particolare del “Book of Kells ”.
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LA GENEALOGIA DI BRIDE
Antica supplica a Bride la raggiante.
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Pagina 47
Il più potente fra tutti i Navagrahas èSurya, il Sole; anche chiamato Ravi; egli èconsiderato come la personificazione delpianeta Sole, il globo di luce e calore, ed èraffigurato con una carnagione dorata eraggi luminosi di gloria che circondano ilsuo capo. Talvolta lo si dipinge con duebraccia, altre volte con quattro, regge inmano un fiore di loto e per questo prende
il nome di “signore del loto”(1). Poiché lanatura prima del Sole è luce, Surya èchiamato ā tmak ā raka , ossia colui chepresiede all’ ā tm ā (2). In questi terminigoverna sulla fiducia che ogni persona haverso se stessa, sull’autorità e lo status diogni uomo. È anche la divinità patronadegli occhi e governatore del segno delLeone(3). Il Visnu Purāna (2.8.15), afferma
che il sole non si muove, non sorge e nontramonta, poiché il sorgere ed iltramontare implicherebbero fasi nellequali il sole non sarebbe presente, ocomunque sarebbe “scomparso”. Perconciliarsi con Surya, viene dato il mantrache qui di seguito riportiamo. [ J.R.]
Japa Kusuma Sankasham
Kashyapeyam Mahadyuthim
Thamognam Sarvapapagnam
Pranathosmi Divakaram.
O Distruttore dell’oscurità dell’ignoranza!
O Epuratore di ogni peccato!
Ti porgo il mio omaggio!
NOTE:
1. COLEMAN 1995.
2. Il termine ātmā è traducibile con “il sé”;
indica il vero sé scevro dalle identificazionicon i fenomeni naturali.
3. Si veda l’articolo “Navagrahas” in Phanesn.0 p. 37 e sgg.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-COLEMAN 1995: C. COLEMAN, The
Mythology of the Hindus , Asian EducationalServices, New Delhi 1995.
Phanes n.1
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SURYA
Il Sole indiano.
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Pagina 48 hanes n.1
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Quest’Inno, facente parte del-
la raccolta degli Hymni Naturales ,
è rielaborazione ed ampliamento di
un’idea desunta da Marullo dalla let-
tura dell’incipit del primo libro di Lu-
crezio: innegabili i debiti, ma ancor
più innegabile l’apporto origina-
le dell’autore, ca- pace di trasforma-
re una invocazione in un inno, lirico,
in strofe saffiche. Marullo nacque a
Costantinopoli nel 1453, greco di na-
scita dunque, si spostò in Italia
dopo il crollo dell’impero bizantino, per entrare nella cerchia degli umanisti medicei (circanel 1486). Antagonista di Poliziano, Marullo utilizzò il latino non come una lingua cristalliz-
zata e stereotipata, bensì come uno strumento linguistico ancora vivo e ancora valido. Le sue
raccolte principali sono quattro libri di epigrammi ed appunto, questi Inni Naturali (editi nel
1497). Il testo che qui riportiamo è solo una sezione dell’intero componimento. Nei primi
quindici versi, che abbiamo tagliato, vi era l’invocazione ad Erato, musa della poesia amoro-
sa. La splendida traduzione che qui presentiamo è tratta dall’esemplare e immancabile rac-
colta Poeti latini del quattrocento di Francesco Arnaldi. e Lucia Gualdo-Rosa (pp. 48 sgg.).
[L.A.]
L’INNO A VENERE DIMARULLO
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Pagina 49 hanes n.1
Ante nec terrae facies inertiNec suus stellis honor et sine ullis
Aura torpebant zephyris, sine ullis
(20)Piscibus unda ;
Prima de patris gremio Cythere
Caeca Naturae miserata membra,
Solvi antiquam minimum vigendo
Foedere litem.
(25)Illa supremis spatiis removit
Lucidum hun ignem mediasque terras
Arte suspendit pelagusque molles
Inter et auras :
Tunc et immenso micuere primum
(30)Signa tot coelo et sua flamina aer
Coepit, admirans volucrem proterva
Proelia fratum ;
Tunc repentinis freta visa montris
Fervere et nova facie novoque
(35)Flore diffusos aperire tellus
Daedela vultus
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Prima la terra inerte non aveva unvolto, né le stelle avevano il loro splendore,
dormiva l’aria senza alcun soffio di zeffiro,
dormivano le acque senza pesci.
Per prima Citerea, nascendo dal
grembo del padre, ebbe compassione delle
cieche membra della natura e sciolse con unauspicabile patto la antica contesa.
Ella trasse dagli spazi supremi questa
nostra splendida luce e sospese la terra in
mezzo tra l’oceano e l’aria leggera:
Allora per la prima volta brillarono
tante stelle nell’immensità del cielo e l’aria
ebbe i suoi venti, e stupì ammirando le ac-
cese battaglie degli alati fratelli.
Allora all’improvviso rividero le on-
de ribollire gonfie di mostri, e la terra crea-
trice si dischiuse in nuovo aspetto e sparse il
suo volto di fiori novelli.
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Pagina 50
Iam greges passim varios boumque ar-Menta, iam pictas volucres ferasque
Surgere emotis erat hic et illic
(40)Cernere glebis ;
At virum, quamvis etiam labante
Aegra plebs genu, meditari et urbes
Tectaque et iam tum sociorum amicos
Iungere coetus.
(45)Quos ferox inter medios Cupido
Acer it, fratrum comitante turba,
Callidus quondam petiisse certa
Quenque sagitta,
Seu libet magnae genetricis alta
(50)Templa semota paragrare cura,
Seu procellosae per aperta vitae
Flectere gressum,
Sive, mutato iaculis veneno,
Mutuis tactos penitus favillis
(55)Carpere et gentis breve ver parata
Prole novare.
Phanes n.1
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Già si potevano vedere numerosigreggi ed armenti di buoi, e uccelli vario-
pinti e fiere selvatiche sorgere qua e là dal-
le zolle smosse.
E la stirpe degli uomini, benché an-
cora vacillante sulle ginocchia mal ferme,
concepire case e città, e, fin da allora, riu-nirsi in società civili.
In mezzo tra loro avanza il feroce
Cupido, accompagnato dalla schiera dei
suoi fratelli, abile da sempre nel colpire
tutti colla sua freccia sicura,
Sia che gli piaccia errare nelle alte
dimore della sua grande madre lungi da
ogni preoccupazione, sia che voglia andare
all’aperto, per le vie tempestose della vita,
Sia che, mutando il veleno dei suoi
dardi, preferisca colpire nel fondo due cuo-
ri con fiamma scambievole e rinnovare
colla prole la breve stagione degli uomini.
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Ipso lascivo Venus alma partuLaeta, nunc iunctis vehitur columbis,
Eriosque alto set optima Cypri
(60)Templa revisens
Ridet et tellus veniente diva
Carpathi et rident freta, nec sereno
Sibilat coelo nisi blandientis
Aura Favoni;
(65)Nunc, novis sanctum caput impedita
Floribus, plausasque levis choreas
Ducit et passim violis scatentem
Ter pede nudo
Concutit terram : sequitur Iuventa
(70)Fervidum Spirans, sequitur Voluptas
Prodiga et zonis Charitum renidens
Turba solutis.
Spectat occulto latitans roseto
Mars pater simulque cupit videri
(75)Et timet, simul velut igne cera ex-
udat abitque.
E l’alma Venere, lieta del suo capric-cioso figliolo, ora su un carro trasportato da
colombe si reca sull’alta Erice o ai ricchi
templi di Cipro:
Ride la terra all’arrivo della dea, ri-
dono le onde del mare di Scarpanto, e il cie-
lo sereno è turbato solo dall’aura carezzevo-le di Zefiro;
Ora, col santo capo inghirlandato di
giovani fiori, segna il ritmo delle danze leg-
giadre, e per tre volte col piede nudo
Colpisce la terra: che tutta si ricopre
di viole, la segue l’ardente Gioventù, la se-
gue il Piacere prodigo, e il gruppo delle
splendide Grazie dalle cinture sciolte.
La guarda, nascondendosi nel folto di
un roseto, il padre Marte, e insieme desidera
e teme di essere visto, insieme si scioglie co-
me cera al contatto del fuoco.
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Nunc uni currus, ubi amica quondamHasta? Quid tecum, bone dux, roseto?
Nempe iam sordent galeae aptiorque
(80)Crinibus herba est.
Illa tormentisuqe deique amore
Pulchrior, quam dissimulat videre,
Hoc mage occulta placuisse quaerit,
Callida, ab arte :
(85)Et modo suras teretas reducta
Veste, dum saltat, studiosa nudat,
Et modo pectus retegit statimque
Claudit eburneum.
Sed, Venus regina, Iovis propago
(90)Aurea, hunc adsis, precor, et maligna
Nocte discussa tua da beata
visere templa.
Dov’è ora il carro, dove l’asta, cheun tempo ti era amica? Che hai a che fare,
coraggioso condottiero, con un roseto? Or-
mai l’elmo si arrugginisce, e l’erba è più
adatta ai tuoi capelli.
Quella, resa più bella dagli affanni e
dall’amore del Dio, quanto più finge di non
vederlo, tanto più di nascosto, astuta, cercadi piacergli:
Ed ora ad arte scopre, danzando, le
belle gambe, ora denuda il petto d’avorio e
subito lo nasconde.
Ma tu, o Venere regina, aurea stirpe
di Giove, vieni qui, ti prego, e, disperdendo
la notte maligna, permettimi di visitare i
tuoi templi bea-
ti.
Immagini:
p.48, Ritratto di Michele Marullo Tarcaniota , S. Botticelli, Museo del Prado.p.52, Affresco raffigurante Venere nascente con amorini . Da Pompei.
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In una piccola città che conta poco più di
7000 abitanti, 50 km ad ovest di Dublino,
sorge la cattedrale di Kildare, sede
principale di venerazione di Santa Brigida
d’Irlanda. Questa figura porta sulle spalleil nome di un’antichissima divinità celtica,
l’eccellente Brighit; tuttavia l’agiografia ci
racconta altrimenti: S. Brigida nacque a
Faughart nel 445 d. C., da un padre
druido, e divenne una delle figure
essenziali del Cristianesimo irlandese,
paragonabile solo a S. Patrizio. La
cattedrale di Kildare ha una storia
controversa e lunga, che trova le sue
radici nel nome stesso: Kildare significa
infatti Chiesa delle Querce ; l’originaria
costruzione architettonica risale al 480 a.
C., e secondo la tradizione fu pensata e
realizzata dalla stessa S. Brigida.Ovviamente non si può pensare che non
vi fosse ancor più anticamente un tempio
dedicato alla Dea Brighit(1), ed in effetti
l’archeologia ha contribuito a sfatare la
tradizione cristiana rendendo giustizia
all’antica dimora della Dea. Anticamente
Kildare è stata quindi luogo di culto
dell’”eccellente” divinità, patrona del
fuoco, delle acque, dei fabbri, della poesia,
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KILDARE
La chiesetta della Quercia.
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musica, e nutrice feconda datrice di vita.
Eravamo tuttavia rimasti al 480 d. C., data
del primo insediamento della Santa; nel 6sec. d. C. compare la prima costruzione di
una chiesetta, ma è solo nel 1223 che la
vera e propria cattedrale prende forma,
sotto direzione del vescovo Ralph of
Bristol. La struttura in stile gotico
resisterà sino al 1641 circa, dove vivrà un
periodo di rovina e trasandatezza, ed
infine solo nel 19 sec. verrà restaurata
completamente e riportata all’anticainterezza. Nei pressi della cattedrale
rimangono gli indelebili segni del culto
pagano che un tempo lì dimorava; ed il
Tempio del Fuoco ne è simbolo
incontrovertibile: una struttura quadrata
ed un muretto ricordano il luogo nel
quale veniva acceso e mantenuto
costantemente il fuoco sacro alla Dea, e
proprio del destino di questa fiamma è
necessario parlare, infatti con
l’avvicendarsi dei secoli, le suore brigidine
assunsero il ruolo di guardiane del sacro
fuoco, sino a che nel 16 sec. Enrico XIII
decise di estinguerlo. Fu solo ai nostritempi, nel 1993, che la fiamma riacquistò
la sua sacralità(2). [ J.R.]
NOTE:
1. Si veda l’articolo “Brighit”, a p.14 e sgg.
2. Si veda l’articolo su Mary Cullen, a p.2 e
sgg.
Immagini:
p.53, cattedrale di Kildare.
p.54, Tempio del fuoco a Kildare.
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Pagina 55
L'Elagabalium era un tempio,
costruito a Roma da Eliogabalo,
imperatore-sacerdote del dio El-Gabal,
latinizzato in Sol Invictus. Il tempio
sorgeva sul lato nord-orientale del colle
Palatino, probabilmente su un
preesistente luogo di culto dedicato a
Giove. La dedica originaria a Giovesarebbe suffragata, oltre che da fonti
letterarie, dal fatto che il tempio, alla
morte di Eliogabalo, venne subito riciclato
a luogo di culto del Re degli Dei. Il tempio
aveva dimensioni assolutamente
ragguardevoli: 70x40m. ed era circondato
da un porticato. La piattaforma sulla quale
il tempio sorse era stata messa a punto da
Domiziano per il suddetto tempio
preesistente. Appena salito al potere, il
giovanissimo imperatore, importò da
Emesa a Roma la pietra nera, un asteroide
a forma di cono, dono del Dio alla terra,
per collocarlo prima in un tempio
costruito nei pressi dell'attuale basilica di
S. Croce in Gerusalemme, in attesa
dell'ultimazione della più consonacollocazione sul Palatino. Che il tempio
del sol Invictus sostituisse quello
preesistente di Giove è forse anche un
modo evidente per ribadire quanto
sostenuto in ambito teologico
dall'Imperatore: la supremazia divina del
Sol Invictus su tutte le divinità del
pantheon romano. Questo Dio sarebbe
infatti alla base della generazione stessadelle divinità. Gli unici resti visibili sono
riconducibili alle sostruzioni del
terrazzamento, mentre del tempio
rimangono visibili solo scarsi resti nei
pressi della chiesa di S. Sebastiano sul
Palatino. [L.A.]
Immagini:p . 5 5 P i a n t i n a r i c o s t r u t t i v a
dell'Elagabalium, comprendente l'attuale
chiesa di S. Sebastiano.
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ELAGABALIUM
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Pagina 56
Il reperto di questo
numero si trova vicino
Velaux, a Nord di
Marsiglia, è stato
r i n v e n u t o
n e l l ’ A c r o p o l i d iRoquepertuse, distrutta
dalle invasioni romane
nel 124 a. C. e scoperta
nel 1860. Il più
i m p o r t a n t e
r i t r o v a m e n t o d i
quest’area è stata una
piattaforma di pietra di
50m per 20m, risalente
al III sec. a.C., su
questa sono stati eretti quattro pilastri
costituenti una porta: sui tre pilastri
verticali sono presenti sette nicchie. Sul
pilastro orizzontale è poggiata una statua
aviforme alta circa 60 cm, rappresentante
probabilmente un’oca. Innanzi al portale
si trovano due statue di guerrieri a gambeincrociate, inoltre nella stessa area è stata
rinvenuta una testa bicefala somigliante
alle comuni rappresentazioni di Giano.
Moltissimi studiosi si sono avvicendati ad
interpretare i possibili significati di questa
struttura: i crani posti nelle nicchie
riportano direttamente al significato della
“testa” nella tradizione celtica. Nella testa
secondo le filosofie dei Celti, era la sededell’anima; lo testimoniano i racconti e le
e v i d e n z e
archeologiche: viene
descritta l’usanza dei
guerrieri di tagliare le
teste dei nemici per poi
appenderle sul carro edesibirle durante le
battaglie. L’uccello
assiso sul portale è
creduto essere un’oca:
nella Repubblica Ceca
dell’Est svariati luoghi
di sepoltura risalenti
all’Età del Ferro
contengono, assieme
allo scheletro del
defunto (quasi sempre nel caso di soldati),
ossa di oche. Il collegamento fra soldato e
oca diviene spiegabile se si pensa a questi
uccelli in natura, infatti hanno un
comportamento combattivo e bellicoso,
oltre ad essere eccellenti combattenti.
Una curiosità, fra i vari reperti, abbiamoanche dei semi vegetali che sono stati
prima lavorati e poi tostati, e che fanno
ipotizzare una produzione di birra quindi
risalente sin dall’Età del Ferro. [G. R.]
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IL PORTALE DI ROQUEPERTUSE
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Immagini:
p.56, portale e guerrieri
seduti.
p.57, guerriero seduto a
gambe incrociate.
p.57, testa bicefala.
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Un documento epigrafico forse a
molti non noto, inerente alla figura di
Antinoo, è l’obelisco pinciano. Questo
monolite di granito rosa di Aswan è alto
ben 9,24 metri, e presenta iscrizioni
geroglifiche su tutti e quattro i lati. La sua
storia è alquanto misteriosa. Non se ne
conosce la sua originale collocazione, e le
ipotesi sono state molto disparate:
proveniente dal così detto “Antioneion”, o
da Palatino? L’obelisco venne spostato
dalla sua originaria collocazione da
Eliogabalo, che lo volle come ornamento
per la spina del circo Variano, nella
residenza imperiale suburbana. La prima
menzione dell’obelisco risale al 1527,anno in cui Andrea Fulvio ebbe modo di
vederlo, semi sepolto e spezzato, proprio
nel circo suddetto, presso le mura
Aureliane. Nel 1633 papa Urbano VIII
Barberini lo fece trasportare, spezzato in
tre grosse parti, nei giardini del palazzo
avito, dove rimase fin quando venne
regalato da una discendente del casato a
Clemente XIV, nel 1773, e quinditrasportato in Vaticano. Ma solo con Pio
VII, nel 1822, l’obelisco tornò a svettare,
nella sua sede, ormai permanente, del
Pincio. L’obelisco reca geroglifici, forse
incisi a Roma, che narrano dei funerali e
delle cerimonie cultuali dedicate e da
dedicarsi ad Antinoo, ormai Dio associato
ad Osiride. Ma leggiamo insieme il testo
tradotto (il lato II, che è in ordine di
lettura il primo, non viene qui riportato,
in quanto contiene solo la dedica ad
Adriano ed alla consorte Sabina):
Lato III.
“ l’hsy (titolo onorifico che designa
l’eroizzazione del defunto) Antinoo,
giusto di voce. Era un bel fanciullo,festoso nel volto, forte di animo, valoroso
come un leone.
Avendo ricevuto il comando del dio di
andare, gli sono stati praticati tutti i riti
dei sacerdoti di Osiride e tutte le
operazioni misteriose del suo libro, tutto il
paese ne venne a conoscenza e tutti ne
parlarono con ardore come mai era avvenuto sino ad oggi.
I suoi alari, il suo lago sacro, le preghiere
per lui gli danno il soffio di vita. Nel cuore
di tutta la gente di Hermopolis vi fu
adorazione per lui.
Il Signore della parola del dio (Toth)
ringiovanisce il suo ka.
La gente lo ama, lo adora e lo loda, il suo posto è nella Sala Ma’aty con gli Hw ikr
che sono al seguito di Osiride; il suo ka è
libero di entrare e di uscire secondo la sua
volontà e i Custodi delle Porte della terra
del Silenzio aprono i loro chiavistelli e
spalancano le loro porte per milioni di
anni.”
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L’OBELISCO DI ANTINOO AL PINCIO
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Lato I.
L’ hsy giusto di voce, Antinoo, che si
rallegra in questo santuario posto all’interno del deserto orientale […] del
signore di Tebe […] di Roma.
Gli è stato eretto un tempio e gli viene
tributato culto come ad un Dio da parte
dei sacerdoti hm e dei sacerdoti w3b
dell’Alto e del Basso Egitto e di quelli che
sono in Alessandria.
Gli è stata intitolata una città, abitata dai greci; gli Dei e le Dee dei santuari d’Egitto
sono andati lì e sono stati donati loro
campi e terreno fertile.
C’è un tempio di questo dio, l’ hsy Osiride
Antinoo, giusto di voce, costruito con
pietra bianca decorato con sfingi, statue
ed ornamenti senza numero nello stile
antico e nello stile dei greci. Tutti gli Dei gli concedano il soffio di vita, e la salute
per l’eternità.
Lato IV.
L’ hsy Antinoo, giusto di voce; si celebra
una festa in questo giorno nel suo tempio,
che porta il suo nome; i forti che sono in
questo luogo, i giovani rematori, i più forti di tutto il mondo, tutta la gente che
conosce la devozione a Toth, portano in
dono corone e offerte di ogni cosa dolce e
pura suoi suoi altari e gli bruciano
incenso, i seguaci di Toth lo lodano per la
sua potenza perché tutti quelli che si
recano al suo tempio da ogni parte di tutta
la terra, sono ascoltati nelle loro
preghiere, ha guarito i malati apparendo
nel sogno e le cose da lui compiute hanno
avuto successo tra gli uomini con il suo
volere, perché è di origine divina ed è un dio dalla nascita.(1)
L’importanza documentale di questo
obelisco è immensa: veniamo informati
delle pratiche cultuali, delle associazioni
divine alle quali si appigliava la
divinizzazione di Antinoo, e forse anche
sul suo logo di sepoltura: il lato II infattiriporta le parole: “(Antinoo) riposa in
questa tomba, situata all’interno del
giardino proprietà del Principe di Roma .”.
La collocazione originaria dell’obelisco, si
è detto, non è nota, ma si è ipotizzato che
si trovasse sul Palatino, nella zona vicino
all’attuale chiesa di S. Sebastiano, dove,
Eliogabalo smantellò delle preesistenti
strutture a favore della costruzione delsuo tempio del Sole. In questa occasione
quindi l’obelisco sarebbe stato trasferito
nel circo di Vario. Inoltre la menzione di
un tempio in stile greco, delle sculture e
dell’usanza agonale collegata al culto del
Dio, ci potrebbe perfettamente riportare
all’interno dei palazzi palatini, dotati,
come noto, di diverse strutture agonali,
oltre quella principale del Circo Massimo,
a pochissimi metri di distanza. L’iscrizione
però potrebbe anche essere facilmente
intesa come indicante il luogo del così
detto “Antioneion” di Villa Adriana, altra
tenuta imperiale. [A.G.]
NOTE:
1. Sulle questioni del ritrovamento si veda
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MAMBELLA 2008.
2. Le traduzioni qui riportate sono tratte da
ROMEO 2007.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-ROMEO 2007: P. ROMEO, Ancora
sull’obelisco adrianeo del Pincio , in «Annali»
2007, pp. 92-8.
-MAMBELLA 2008: R.
MAMBELLA , Antinoo un
dio malinconico , Roma
2008.
Immagini:
p.60, Obelisco di Antinoo ,
Roma.
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Pagina 61 hanes n.1
Ossian, per la prima volta nominato da
Giraldo Cambrense nel XII sec., fu il
leggendario Bardo scozzese fruttodell’unione fra il condottiero Finn Mac
Cumhail e la poetessa Sadhbh. James
MacPherson scrisse questi Canti di Ossian,
probabilmente inventati interamente, e li
disse essere una fedele raccolta dei lasciti
letterari del grande Ossian. La diatriba è
ancora in corso, eppure risulta indubbia una
ricerca ed analisi di reali ballate ossianiche
scozzesi. Più che di “falso” bisognerebbe
parlare di “massiva rivisitazione”. Sebbene la falsificazione fosse comunque stata appurata,
l’opera ebbe una popolarità immensa; e fu oggetto di ispirazione per grandi autori come
Foscolo e Goethe. I Canti di Ossian furono pubblicati nel 1760, con il titolo “Fragments of
Ancient Poetry collected in the Highlands of Scotland ”. L’anno successivo tutti furono
estremamente incuriositi dall’annuncio di MacPherson: aveva ritrovato un poema epico
riguardante le gesta dell’eroe Fingal, di autore ovviamente noto, Ossian; così nel 1765 prese
corpo la raccolta finale, “The Works of Ossian ”. Fra i vari appassionati a questo libro vi
furono Napoleone e Schubert. L’edizione che vi consigliamo, è frutto dello sforzo diMelchiorre Cesarotti il quale tradusse in termini coerenti alla realtà poetica italiana del
tempo, versi appartenenti ad un retroterra assolutamente avulso. Non disponendo di una
immagine del libro qui consigliato, riportiamo gli estremi dello stesso qui di seguito:
Melchiorre Cesarotti, Le poesie di Ossian , 2 voll., Fabbri Editore, Milano, 2001.
[ J.R.]
Immagini:
p.61, Ossian awakening the spirits on the banks of the Lora, with the sound of his harp , Gérard
François, Kunsthalle, Hamburgo.
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I CANTI DI OSSIAN
Di Tura accanto alla muraglia assiso (…)
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Pagina 62 hanes n.1
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