sentenza 15 settembre 1984; Pres. Sammarco, Est. Silvestri; Partito radicale e altri (Avv. DeMartini, Alpa, Boneschi) c. Partito comunista italiano e altri (Avv. Gramegna, Fiore)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 10 (OTTOBRE 1984), pp. 2591/2592-2599/2600Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178099 .
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2591 PARTE PRIMA 2592
Motivi della decisione. — Sia l'appello principale dell'I.n.p.s. che l'appello incidentale dell'A.n.a.p. sono infondati, per cui
devono essere respinti.
In merito all'appello principale condivide il tribunale l'indirizzo
giurisprudenziale ormai costante, indirizzo seguito anche dal pre
tore, secondo cui nell'ambito della retribuzione assoggettata a
contribuzione verso gli enti di previdenza ed assistenza sono
comprese tutte le somme che il datore di lavoro versa al
lavoratore in adempimento di obblighi previsti dalla legge o dal
contratto di lavoro o, comunque, in via continuativa e predeter minata ove non siano ricollegabili a causa negoziale diversa ed
autonoma da quella del rapporto di lavoro. Tale nozione di
retribuzione imponibile trova conferma nell'art. 12 1. n. 1S3/69 che definisce la retribuzione, ai fini del calcolo dei contributi
previdenziali ed assistenziali, come tutto ciò che il lavoratore
riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura in dipendenza del rapporto di lavoro, rimanendo escluse dalle retribuzioni
imponibili le somme corrisposte al lavoratore per i titoli indicati
al 2° comma. Tale essendo la nozione di retribuzione contributi
va, appare pacifico che da essa rimangono escluse quelle somme
che hanno una causa negoziale diversa ed autonoma da quella del rapporto di lavoro, quali ad esempio quelle erogate a seguito di un negozio transattivo. Come esattamente ha osservato la
Suprema corte in un caso analogo i(v. Cass. 13 agosto 1982, n.
4605, Foro it., Rep. 1883, voce Previdenza sociale, n. 248)
l'oggetto della transazione non è la situazione giuridica cui si
riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo e che le parti stesse intendono superare. Funzione
tipica della transazione è quella di comporre la lite mediante
reciproche concessioni e senza alcun riferimento alla situazione
preesistente. Il negozio transattivo è quindi fonte di un comando
primario il quale, pur potendosi integrare con il comando nascen te dal preesistente rapporto, ove questo non sia estinto, non ne
rimane tuttavia assorbito.
Ciò premesso, appare di tutta evidenza che le somme versate
dall'A.n.a.p. ai propri dipendenti in conseguenza delle transazioni
stipulate con ciascuno di essi, non rappresentano alcun corrispet tivo per il pregresso rapporto di lavoro, ma hanno la loro causa
esclusivamente nel negozio transattivo a mezzo del quale sono
state superate le opposte tesi circa la legittimità o meno del
licenziamento, con conseguenti reciproche concessioni. La natura
meramente compensativa della perdita del posto di lavoro delle
somme corrisposte a seguito della transazione, con esclusione di
ogni riferimento a corrispettivi dovuti in virtù della prestazione
lavorativa, emerge, del resto, con tutta evidenza, dal testo lettera
le del negozio stesso ove al punto 1) si precisa che « le parti si
danno reciprocamente atto che, per il pregresso rapporto di
lavoro, nulla hanno da pretendere per i titoli esposti in premessa e per qualsivoglia altro titolo, azione o ragione che dal medesimo
possono trarne origine ». È indubitabile pertanto che dette somme
non possano ritenersi assoggettabili ai contributi I.n.p.s. ed ulte
riore riprova di ciò si trae dal fatto che è stata la regione a
intervenire quale mediatore fra le parti e a finanziare la transa
zione stessa.
Sulla base delle considerazioni sopra esposte deve escludersi,
pertanto, che la somma complessiva di lire 120.000.000 sia stata
versata daU'A.n.a.p. -ai propri dipendenti a titolo di danno per licenziamento illegittimo ai sensi dell'art. 18 dello statuto dei
lavoratori, i(Omissis)
assolutamente non scomponibile, pretese comunque non soggette a
contribuzione (il credito per integrazione dell'indennità di anzianità,
quello per rivalutazione monetaria, per interessi legali e spese legali); Pret. Napoli 18 febbraio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 275; Pret.
Terni 21 gennaio 1976, id., Rep. 1976, voce cit., n. 185. Contra, Pret. Bari 25 ottobre 1979, id., 1981, 1, 1445, con nota di richiami.
In dottrina v. Sconocchia, L'obbligo contributivo e la retribuzione
imponibile, Milano, 1981, 46 (che ritiene esenti da contributi previden ziali le somme erogate all'esito di transazioni « novative »).
Di recente, sulla retribuzione imponibile ai fini previdenziali, cfr.
Cass. 26 febbraio 1982, n. 1245, Foro it., 1983, I, 2253, con ampia nota di richiami e osservazioni di C. Pisani.
Il lettore può avere un quadro completo della controversia sulla
quale ha inciso l'atto di transazione consultando il decreto pretorile di
repressione della originaria condotta antisindacale: Pret. Pisa 6 aprile
1977, id., 1978, I, 1053.
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 15 settembre 1984; Pres.
Sammarco, Est. Silvestri; Partito radicale e altri (Avv. De
Martini, Alpa, Boneschi) c. Partito comunista italiano e altri
(Avv. Gramegna, Fiore).
TRIBUNALE DI ROMA;
Persona fìsica e diritti della personalità — Diritto all'identità
politica — Libertà di propaganda — Valutazioni politiche —
Illiceità — Esclusione — Fattispecie (Cost., art. 2, 21; cod. civ., art. 2043).
Indipendentemente dalla sua esattezza, la manifestazione di un
giudizio politico nell'esercizio della libertà di propaganda non
costituisce violazione del diritto all'identità politica (nella
specie, sulla base di tale principio, è stata rigettata la domanda
di risarcimento intentata dal Partito radicale e da cinque membri del comitato promotore del referendum abrogativo di
alcune norme della l. 194/78 per le affermazioni — circa le
conseguenze dell'approvazione dell'iniziativa referendaria —
contenute nel materiale propagandistico del P.C.I. e negli articoli de « L'Unità » nell'imminenza della consultazione ». (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato il
24-25 settembre 1982, Giacinto Marco Pannella, quale segretario del Partito radicale, e Giuseppe Rippa, Laura Cherubini, Maria
Grazia Passeri, Silvio Pergameno e Franca Berger, in qualità di
membri del comitato promotore del referendum abrogativo di
alcune norme della 1. 22 maggio 1978 n. 194, esponevano che, nel
corso della campagna elettorale che ha preceduto le votazioni dei
giorni 16 e 17 maggio 1981, il Partito comunista italiano e le sue
articolazioni periferiche hanno posto in essere, anche attraverso il
quotidiano L'Unità, un'azione propagandistica volta sistematica
mente a falsificare e a distorcere il significato e la portata del
referendum radicale; che, in particolare, con articoli giornalistici, volantini e manifesti era stato sostenuto che la conseguenza del
referendum radicale sarebbe stata la praticabilità dell'aborto do
vunque, senza garanzie sanitarie e professionali, non gratuitamen te e per mano di chiunque; che dallo stesso referendum sarebbe
derivato il ritorno all'aborto clandestino e al libero mercato, oltre
che alla « speculazione delle mammane »; che nel materiale
propagandistico veniva taciuta la circostanza che la proposta referendaria non era diretta ad abrogare l'intera legge, ma solo
una parte di essa. Gli istanti aggiungevano che tutte le afferma
zioni sopra riportate costituivano una intenzionale mistificazione
della reale posizione politica del Partito radicale e dei promotori del referendum, assumevano carattere ingiurioso e lesivo dell'ono
re e della reputazione, e falsavano la loro identità politica, morale e ideale, presentandoli come fautori dell'aborto clandesti
no. Tutto ciò premesso, gli attori convenivano in giudizio il
Partito comunista italiano, ia Federazione giovanile comunista
italiana, la società editrice L'Unità, i direttori responsabili di tale
quotidiano Antonio Zollo e Bruno Enriotti, il direttore politico Alfredo Reichlìn, e gli autori degli articoli giornalistici, Gianni
De Rosas, Eugenio Manca, Andrea Liberatori e Franco Stefani,
chiedendo che fossero condannati, in via solidale, al risarcimento
dei danni nella misura indicata in corso di causa, oltre al
rimborso delle spese, competenze ed onorari. (Omissis)
<1) ili diritto all'identità personale/politica è una realtà (v., per i riferimenti di più fresca data, le note a Trib. Roma 27 marzo 1984, Foro it., 1984, 1, 1687, e Pret. Roma, ord. 7 gennaio 1984, ibid., 604); e il collegio capitolino ne prende atto con avvertito pragmatismo. Ma l'« epoca eroica » è dietro le spalle; l'attenzione converge, ormai, sulla
polarità fra questa creazione pretoria e la libertà consacrata dall'art. 21 Cost. Non sfugge a nessuno che il decollo dell'identità personale è strettamente connesso all'irreversibile declino della mistica del neutral marketplace of ideas e della sua capacità di approdare alla
scoperta della verità (per un'analisi non sospetta, v. S. Ingber, The
Marketplace of Ideas-. A Legitizing Mith, 1984, Duks L.J. 1; nonché
J. M. Blum, The Divisible First Amendment: A Critical Functionalist
Approach to Freedom of Speech and Electoral Campaign Spending, 58 N.Y.U.L.Rev. 1273 (1983)); ma appare altrettanto scontato che l'unico, evanescente modo di disciplinare il conflitto è quello di sceverare i
Werturteilen, giudizi di valore tendenzialmente sottratti a qualsivoglia sindacato, dalle Tatsachebehauptungen, affermazioni di fatto lesive se contrarie al vero. -E proprio su questo difficile
' distinguo
' (« kein
neues Problem »: v., indicativamente, le due decisioni del BGH del 22
giugno 1982, in NfW, 1982, rispettivamente, 2246 e 2248, e l'ampia ricognizione condotta da R. Wellbrock, Persònlichkeitsschutz und
Kommunikationsfreiheii, Baden-Baden, 1982, specie 102 ss.) è giuocata la sentenza del Tribunale di Roma che, attraverso un iter argomentati vo d'insolita coesione, avalla le conclusioni interlocutorie raggiunte a suo tempo in sede di provvedimenti cautelari urgenti (cfr. Pret. Roma, ord. 6 maggio 1981, Foro it., 1981, I, 1739, sub V e VI).
Circa la proponibilità dell'azione civile per danni da reato indipenden temente dall'azione penale v. Cass. 18 ottobre 1984, n. 5259, che appari rà in un prossimo fascicolo.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — 1. - Devono esaminarsi preliminar mente le argomentazioni dei convenuti finalizzate a contestare la
legittimazione attiva tanto del Partito radicale che del comitato
promotore del referendum abrogativo di alcune norme della 1. 22
maggio ili978 n. 194.
Le deduzioni non hanno pregio e devono essere disattese.
Per quanto riguarda la posizione del Partito radicale, la conte
stazione è sostanzialmente incentrata sulla circostanza che tale
organizzazione politica e il suo segretario non facevano parte del
comitato promotore del referendum abrogativo, di guisa che — a
giudizio della difesa del P.C.l. — non sarebbe neppure ipotizzabi
le la lesione di un diritto soggettivo per fatti posti in essere durante
la campagna elettorale referendaria. In contrario è sufficiente rile
vare ohe, dopo una lunga e vivace battaglia parlamentare di
opposizione all'approvazione del testo della 1. n. 194/78, l'iniziati
va per il referendum abrogativo fu assunta proprio dal Partito
radicale, che mobilitò i propri aderenti per la raccolta delle
cinqueoentomila firme di elettori e trasfuse tutto il proprio
impegno e le proprie risorse, in uomini e mezzi, nella campagna
per il voto: a riprova di ciò può osservarsi che nella maggior
parte del materiale propagandistico del P.C.l. e degli articoli
pubblicati sul quotidiano L'Unità si parla — con piena aderenza
alla sostanza delle cose — di referendum radicale o di proposta referendaria dei radicali e in questi ultimi vengono identificati gli effettivi antagonisti del voto referendario e d reali destinatari dei
giudizi, delle enunciazioni e degli slogans che, secondo la
prospettazione contenuta nell'atto di citazione, avrebbero dato
causa alla lesione del diritto all'identità politica. È indubbia,
pertanto, la sussistenza nel Partito radicale, che ha agito in
persona del proprio segretario politico, della titolarità del potere di promuovere il giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa e di provocare una decisione di merito al fine
di far accertare se i fatti allegati integrino la fattispecie costituti
va dell'obbligazione risarcitoria e, in caso affermativo, di ottenere
una pronuncia Sparatoria. 2. - È altresì destituita di fondamento l'eccezione di difetto di
legittimazione attiva sollevata nei confronti del comitato promoto re del referendum abrogativo, in ordine al quale è stato obiettato
che, essendo privo di personalità giuridica, non potrebbe essere titolare di diritti soggettivi tutelabili in giudizio.
In puntuale esecuzione della previsione contenuta nell'art. 75, 5° comma, Cost., la 1. 25 maggio 1970 n. 352 ha regolato i meccanismi di attuazione del procedimento referendario introdu cendo la figura dei promotori del referendum e ha realizzato una
particolare struttura organizzativa in funzione di supporto all'e sercizio del potere demandato ai cinquecentomila elettori. La citata legge, nell'elencare le varie attribuzioni dei promotori, precisa che essi hanno il compito di formulare il quesito (art. 27), di nominare un loro rappresentante effettivo ed uno supplen te alle operazioni di voto e scrutinio presso i seggi e alle
operazioni degli uffici provinciali e dell'ufficio centrale per il
referendum (art. 1(9, 2° comma), di ricevere la notifica della
ordinanza con cui l'ufficio centrale propone la concentrazione
delle richieste di referendum e di presentare deduzioni scritte
(art. 32, 5° comma), di ricevere comunicazione della fissazione del
giorno della deliberazione della corte sull'ammissibilità del refe rendum (art. 33), di usufruire, come unico complesso, delle
facoltà riconosciute dalla legge ai partiti e gruppi politici che
partecipano direttamente alla competizione elettorale (art. 52). È
stato ritenuto che il comitato promotore del referendum è legitti mato a sollevare conflitto di attribuzioni fra i poteri dello Stato
quali rappresentanti della frazione del corpo elettorale, costituita
dai firmatari della richiesta di referendum, cui l'art. 75 Cost,
conferisce una pubblica funzione costituzionalmente rilevante e
garantita (Corte cost. 3 marzo 1978, n. 17, Foro it., 1978, I, 545) e la dottrina ha in vario modo valutato la posizione della figura
prevista dalla 1. n. 352/70, qualificando i promotori come deter
minata e specifica articolazione del corpo elettorale o come
espressione diretta e qualificata della volontà popolare o come
organismo esponenziale della volontà degli elettori che appoggia
no la richiesta di referendum.
Le precedenti indicazioni attengono al ruolo politico-costituzio nale dei promotori e non riguardano la natura giuridica della
struttura organizzativa in cui essi sono inseriti. Osservato che la
stessa 1. n. 352/70 li considera unitariamente (« come unico
complesso »), assimilandoli espressamente nell'art. 52 ai partiti e
ai gruppi politici, risulta pienamente pertinente l'inquadramento nella categoria delle associazioni non riconosciute, disciplinate
dagli art. 36 ss. c.c., per definire il fenomeno associativo sotteso
al comitato promotore del referendum abrogativo, di guisa che,
utilizzando i risultati di una lunga e laboriosa elaborazione
dottrinale e giurisprudenziale, può affermarsi che il comitato
stesso corrisponde ad una entità pluripersonale dotata di autono
mia organizzativa e patrimoniale, seppur limitata, che dà origine ad una formazione sociale e ad un centro collettivo di interessi
distinto dalle sfere giuridiche dei singoli associati. Il riferimento
al modulo organizzativo delle associazioni non riconosciute con
sente di ritenere che l'entità collettiva, identificabile nel comitato
promotore, pur non essendo riconducibile nel fenomeno della
personalità giuridica, rappresenta un centro unitario di imputa zione di interessi, di situazioni attive e passive e di rapporti
giuridici, con propria autonomia patrimoniale e propria capacità sostanziale e processuale (cfr. Cass. 21 giugno 1979, n. 3448, id.,
Rep. 1979, voce Associazione non riconosciuta, n. 4; 16 novembre
1976, n. 452, id., 1977, I, 1482; 12 ottobre 1973, n. 2572, id.,
1973, I, 3290), per distinguere la quale sono state coniate, in
dottrina, le locuzioni di personalità limitata e di semipersonalità o
personalità di secondo grado. Deve, quindi, riconoscersi che —
contrariamente a quanto mostra di ritenere la difesa del P.C.I. —
l'ordinamento vigente non risolve il problema della titolarità dei
diritti alla sola categoria della personalità giuridica, dal momento
che specifici e positivi dati normativi ammettono la riferibilità di
situazioni attive e passive anche ad entità non soggettivate: deve trarsene il corollario che anche il comitato promotore del refe
rendum, al pari di una qualsiasi altra associazione non ricono
sciuta, può essere titolare di diritti soggettivi e che è configurabi le un fatto illecito dipendente dalla lesione di un diritto facente
capo al gruppo in esame.
Non può essere neppure condivisa l'eccezione con la quale è
stato dedotto che il comitato non ha agito in giudizio attraverso
gli organi ai quali è espressamente attribuita la rappresentanza
processuale dall'atto costitutivo o dallo statuto. Rilevato che la
questione introduce un problema di legitimatio ad processum e
non di legitimatio ad causam, va posto in risalto che dalla
normativa contenuta nella 1. n. 352/70 possono ricavarsi argomen ti precisi e concludenti per riconoscere le peculiari connotazioni dell'ordinamento interno del comitato promotore del referendum
e della disciplina che ne regola l'attività, rendendola totalmente
divergente da quella dettata dall'art. 36, 2° comma, c.c., secondo
cui le associazioni non riconosciute possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo gli accordi degli associati, è conferita la presidenza o la direzione. Invero, in nessuna disposizione della citata legge è fatta mai menzione del
presidente o del segretario, anche per atti che implicano la
rappresentanza del comitato, tant'è che — come è stato esatta mente segnalato — mentre per i partiti e per gli altri gruppi politici la designazione del rappresentante presso l'ufficio elettora le è compiuta dal presidente o dal segretario, in base ad un
apposito mandato, la nomina del rappresentante del comitato
promotore non è riferita ad un organo con funzioni di rappresen tanza, ma ai promotori collettivamente considerati. L'inesistenza di un simile organo ha indotto la giurisprudenza a ritenere che la
legge abbia delineato una speciale forma di rappresentanza, demandata ad un gruppo di promotori non inferiore a tre (v. Pret. Roma 11 maggio :1981, id., 1981, I, 1737). La soluzione deve essere condivisa in quanto è avvalorata da specifici riscontri
normativi desumibili dalla citata legge del 1970, che, per il
compimento di talune attività, considera sufficiente la partecipa zione di un numero minimo di promotori, indicato in tre dall'art.
28. Poiché tale disciplina appare come il punto di emersione di una regola generale accolta in tema di rappresentanza sostanziale e processuale del comitato promotore, va riconosciuto che nel caso di specie, essendo stata esercitata l'azione da cinque promo tori, il comitato stesso risulta regolarmente rappresentato nel
presente giudizio.
Deve essere altresì rigettata l'allegazione difensiva diretta a far escludere la legittimazione ad agire del comitato sul rilievo che
esso risulterebbe estinto nel momento stesso in cui è stato
compiuto il referendum abrogativo. In proposito va sottolineato
che la cessazione di un ente collettivo, personificato o no, implica il definitivo esaurimento dei rapporti giuridici attivi e passivi e il
venir meno del centro di imputazione di interessi ad esso sotteso, ditalché non può parlarsi di estinzione sino a quando sussista un
diritto e ricorra la necessità di definire un rapporto controverso:
deve inferirsene che non è pertinente nella specie il richiamo alla
verificazione di eventi estintivi per trarne conseguenze in ordine
alla legitimatio ad causam del comitato promotore del referen
dum.
3. - La difesa del P.C.I. ha anche mosso contestazioni in ordine
alla legittimazione passiva osservando che la maggior parte del
materiale propagandistico prodotto dagli attori proviene dalle arti
colazioni periferiche del partito, onde, essendo queste ultime
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2395 PARTE PRIMA 2596
munite di piena autonomia, i fatti dedotti devono essere riferiti
esclusivamente a queste ultime e non possono rappresentare fonte
di responsabilità per l'organizzazione nazionale.
La tesi non merita credito e non può essere accolta. È bensì'
vero che, secondo le più diffuse posizioni della dottrina e della
giurisprudenza, nell'attuale ordinamento i partiti politici hanno
una struttura complessa di tipo piramidale, costituita dalle orga nizzazioni periferiche inserite in una realtà associativa di tipo più
ampio, coincidente con l'organizzazione a carattere nazionale,
come pure è comunemente riconosciuto che i livelli associativi
inferiori hanno autonomia patrimoniale e processuale rispetto a
quello centrale (cfr. App. Roma IS ottobre 1971, id., Rep. 1973,
voce Partiti politici, nn. 3-5). Tuttavia, nel caso in esame tali
principi non hanno rilevanza sulla definizione della questione
attinente alla legittimazione passiva. Invero, oltre a dover ritenere
che gli stampati e i manifesti con la sigla P.C.I., senza ulteriore
specificazione, non possano che essere attribuiti all'organizzazione nazionale di detto partito, deve precisarsi che il problema di
legittimazione passiva deve essere risolto in aderenza alla partico lare prospettazione che i fatti hanno ricevuto nell'atto introdutti
vo del giudizio. In una simile prospettiva, va rilevato che il
materiale propagandistico proveniente da federazioni provinciali e
da sezioni presenta una sostanziale identità di contenuto e
riproduce valutazioni politiche, slogans e giudizi sulla proposta radicale di referendum che rendono palese l'esistenza di direttive uniche in merito alla impostazione della campagna elettorale:
poiché tali direttive devono farsi risalire all'organizzazione centra le del partito, a questa devono essere imputate le conseguenze pregiudiziali che — secondo l'assunto degli attori — ne sono derivate.
4. - La difesa del quotidiano L'Unità e degli altri convenuti ha, poi, eccepito l'improoedibilità dell'azione di risarcimento del dan no in quanto non è stata preceduta dall'accertamento penale dell'illecito.
La tesi è manifestamente infondata e contrasta con principi da
tempo pacifici in giurisprudenza. Secondo il consolidato orienta mento della Suprema corte regolatrice, nel giudizio di risarcimen to di danni da fatto illecito, integrante in astratto una ipotesi di
reato, il potere di accertare, ai fini risarcitoli, l'esistenza o non
degli estremi della figura delittuosa è demandato al giudice civile, qualora sia intervenuta una causa di estinzione del reato (Cass. 27 giugno 1981, n. 4167, id., Rep. 1981, voce Giudizio (rapporto), n. 27; 14 maggio 1979, n. 2781, id., 1980, I, 783): in applicazione della stessa regola è stato riconosciuto che il giudice civile ha la
cognizione in via normale e istituzionale del fatto illecito nei casi di improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela (Cass. 14 maggio 1977, n. 1947, id., Rep. 1977, voce cit., n. 28). Quest'ultima situazione corrisponde puntualmente a quella dedot ta nel presente giudizio, di guisa che, non essendo stata proposta la querela ad opera dei soggetti passivi del preteso reato di diffamazione ed essendo ormai non più promovibile il processo penale, non sussiste preclusione alcuna in ordine all'accertamento e alla valutazione dei fatti posti a base della pretesa risarcitoria.
5. - Passando all'esame del merito, va rilevato che gli attori hanno lamentato che la campagna propagandistica condotta dal
P.C.I., dalle sue organizzazioni periferiche e fiancheggiatrici e dal
quotidiano L'Unità è stata centrata sulla sistematica falsificazione e distorsione del contenuto e della portata del referendum radica
le, sulla falsa rappresentazione del significato dell'iniziativa refe rendaria in termini tali da ledere la loro reputazione e da deformare le loro reali posizioni: da ciò sarebbe derivata la violazione del loro diritto all'identità personale, inteso come
legittima pretesa a non vedere travisato il proprio patrimonio ideale, culturale e politico, a veder rispettate le proprie azioni per come realmente e storicamente avvenute e al rispetto della verità sostanziale degli atti attraverso i quali tale identità si manifesta.
La costruzione difensiva degli attori involge l'esame di delicate e complesse questioni la cui soluzione postula che sia previamen te accertato se nell'ordinamento vigente sia realmente riconosciu
to, come autonoma posizione soggettiva, il diritto alla identità
personale, che siano individuati i rapporti con altre situazioni
soggettive parimenti tutelate (e i limiti che ne conseguono) e che
sia, infine, verificato se nel caso di specie risulti o meno violato il
predetto diritto, fatto valere nel presente giudizio.
Cosi sintetizzate le lines dell'indagine, occorre segnalare che, a seguito di una lunga e laboriosa elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale tuttora in corso, i cui risultati attendono ancora
una organica e definitiva sistemazione scientifica, l'opinione più accreditata identifica nell'ambito della categoria dei diritti della
personalità un diritto all'identità personale, al quale è assegnata una matrice normativa generalmente indicata nell'art. 2 Cost., che
proclama solennemente che la repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità. Non è questa la sede per ricostruire i diversi passaggi e le differenti articolazioni argomen tative che hanno portato al riconoscimento del diritto all'identità
personale, qualificato non impropriamente come creatura del c.d.
diritto giurisprudenziale: ciò che qui preme sottolineare è che
l'indirizzo ormai nettamente prevalente ammette come oggetto di
autonoma tutela giuridica il diritto a mon subire travisamenti e
distorsioni della propria immagine, privata e pubblica, risultante
dal concorso dei caratteri morali, culturali, ideologici, politici,
religiosi, che compendiano e connotano la personalità di un
soggetto nella vita di relazione. Una simile concezione è stata
recentemente seguita da questo tribunale secondo cui « si deve
riconoscere ormai (e lo si riconosce specie nelle pronunce di
merito) il diritto all'identità personale, inteso come proiezione della persona, in riferimento alla sua collocazione, nel contesto
delle relazioni sociali; trattasi del diritto dell'individuo ad essere
garantito nella sua posizione politico-sociale, a veder rispettata la
sua immagine di partecipe alla vita associata con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le sue convinzioni ideologiche, morali,
sociali, politiche che lo differenziano ed allo stesso tempo lo
qualificano » (Trib. Roma 27 marzo 1984, Pannella ed altri c.
S.p.a. Editoriale « La Repubblica » e altri, id., 1984, I, 1687).
D'altro canto, mette conto rilevare che l'evoluzione giurispru denziale ha configurato un diritto alla identità personale anche
nei confronti dei gruppi e delle formazioni sociali all'interno dei
quali, ai sensi del citato art. 3 Cost., si svolge la personalità dell'individuo: in varie pronunce, è stato, infatti, precisato che è
riconducibile nell'area della tutela in esame anche l'identità
politico-ideologica di un partito ed è stato, perciò, sostenuto che
tale gruppo è legittimato ad attivare gli idonei mezzi di protezio ne contro gli atti che alterano le posizioni e il patrimonio di idee
che identificano l'immagine del raggruppamento politico. L'esi
stenza di un diritto all'identità politica dei partiti è stata afferma
ta da questo stesso tribunale con argomentazioni del tutto persua sive e pienamente condivisibili, muovendo dalla premessa che la
disciplina dei diritti assoluti è estensibile anche alle associazioni
non riconosciute e osservando, in tale ottica, che rappresenta un
dato positivo dell'ordinamento vigente l'attribuzione ai partiti della facoltà di « assumere una propria ed essenziale fisionomia a
fronte degli altri soggetti », « di esprimersi secondo il suo proprio modo di essere », al riparo da ogni indebita forma di interferenza che si risolve in un deminutio della sua integrità: ditalché è stato
coerentemente ritenuto che « il partito ha titolo per pretendere che l'elettore non sia indotto in errore su altri elementi, pili interni ed essenziali, che valgano ad individuarlo come entità
propria, nell'ambito dell'ordinamento, come autonomo e indipen dente centro di attività, di opinione, di pensiero, cioè come
persona » (cfr. Trib. Roma 3 febbraio 1976, id., 1976, I, 2249).
Alla luce delle precedenti considerazioni, che il collegio intende
'ribadire, deve dunque desumersi ohe il Partito radicale e il comitato promotore del referendum abrogativo di alcune norme della 1. n. 194/78 sono titolari di un diritto all'identità politica, il
cui contenuto è costituito dal complesso delle posizioni pubbli camente assunte, degli atteggiamenti, delle tradizioni e delle linee di pensiero manifestate in merito aii problemi politici e sociali che formano oggetto della vita pubblica.
6. - Occorre ora esaminare i rapporti sussistenti tra il diritto all'identità personale e le posizioni giuridiche soggettive di priori tario o paritario rango costituzionale, al fine di stabilire se — e sino a quale punto — il predetto diritto risulti compatibile con
altre situazioni costituzionalmente garantite. Il riferimento più immediato concerne il diritto di manifestazione del pensiero, dovendosi accertare se la tutela della personalità individuale sia
destinata a prevalere oppure a venir meno rispetto all'esercizio
delle garanzie accordate dall'art. 21 Cost, alle espressioni della
libertà di informazione, di cronaca e di critica. I confini del
diritto all'identità personale vengono comunemente individuati in
quegli stessi limiti alia libertà di manifestazione del pensiero,
posti a protezione dell'onore e della reputazione individuale, consistenti nella verità della notizia e nell'interesse collettivo al l'informazione (cfr. Cass. 11 novembre 1981, n. 5977, id., Rep. 1981, voce Responsabilità civile, n. 97).
Il collegio ritiene che una simile enunciazione, pur essendo
condivisibile in prima approssimazione, meriti di essere specificata ed approfondita. Nel caso di specie si verte in tema di diritto all'identità di raggruppamenti politici e i fatti dedotti sono stati
posti in essere in quel particolare momento della lotta politica che è rappresentato dalla campagna elettorale. L'utilizzazione del
mero criterio della verità oggettiva, proposto da taluni autori e
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
seguito in alcune decisioni, appare inadeguato a segnare il punto di equilibrio nel conflitto tra posizioni soggettive concorrenti, dal momento che la propaganda è costituita non solo dalla rappresen tazione obiettiva di notizie e di informazioni, ma anche e
soprattuto da giudizi e da valutazioni di valenza politica attraver so i quali vengono definite le posizioni ideologiche di un partito e
vengono combattute quelle degli avversari. Nella competizione elettorale, cioè, si verifica il confronto-scontro tra differenti, e talora opposte concezioni, la cui evoluzione dialettica postula il ricorso alle interpretazioni critiche degli obiettivi perseguiti dai
concorrenti, nell'esercizio di un diritto fondamentale la cui origi ne deve essere ricercata nelle norme costituzionali che configura no la società in senso nettamente democratico e pluralistico. Nella valutazione delle singole fattispecie il giudice non deve,
dunque, limitarsi a stabilire se sia vero o non il fatto attribuito
ad un partito politico né il suo compito può consistere nel
verificare se sia o meno fondato il giudizio espresso da un partito sull'altrui linea politica; egli è piuttosto chiamato ad accertare se
il fatto sia riconducibile alla volontaria alterazione e manipola zione della verità storica oppure se non rappresenti il frutto di
una valutazione politica: nel primo caso dovrà dichiarare la
violazione del diritto all'identità politica, nel secondo dovrà
escludere qualsiasi illiceità per il solo fatto che, nell'esercizio
della libertà di pensiero e di critica, è stato manifestato un
giudizio e indipendentemente dall'esattezza di esso. È di intuitiva
evidenza lo squilibrio che deriverebbe da una diversa analisi
ricostruttiva che privilegiasse il diritto all'identità politica rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero, circoscrivendo que st'ultima nell'ambito della verità storica: una linea interpretativa cosi riduttiva, oltre a travalicare l'effettiva area di operatività dell'art. 21 Cost., implica la possibilità dell'intervento giudiziario in ogni ipotesi di conflitto politico e comporta l'ammissibilità di
un sindacato di merito finalizzato a riscontrare la fondatezza o
meno dei giudizi formulati nel corso della campagna elettorale
per stabilire se sia stata rispettata la qualificazione ideologica, e
quindi l'immagine, dei singoli partiti che partecipano alla compe tizione. Non possono sfuggire l'importanza e la gravità delle
implicazioni testé indicate, le quali appaiono divergenti rispetto alle linee di fondo sottese all'ordinamento costituzionale, che
prefigura una società aperta al libero confronto di idee e di
opinioni, né può omettersi di rilevare che limitare la tutela al
solo mendacio non significa riconoscere franchigie e immunità, ma ha il significato di un corretto ed equilibrato bilanciamento di
interessi, all'interno del quale va altresì tenuto presente che il titolo di investitura dei partiti politici, quali protagonisti della vita del paese, è correlato all'art. 49 Cost, secondo cui « tutti i cittadini hanno diritto di associarsi in partiti per concorrere a determinare la politica nazionale ».
Per una razionale e coerente ricostruzione della normativa non
può prescindersi, pertanto, dal distinguere tra alterazioni della verità oggettiva dei fatti ed espressione del giudizio politico, anche se il collegio è ben consapevole della labilità di una tale discriminazione e della difficoltà di sceverare la falsificazione dei fatti da tutto ciò che è, invece, opinione e interpretazione. Queste stesse posizioni sono condivise anche da una parte della dottrina, che, nel conflitto tra diritto all'identità politica e libertà di
manifestazione del pensiero, ha ritenuto che, in un sistema democratico ispirato ad una concezione apertamente pluralistica della società, le valutazioni e le opinioni, persino quando possano apparire scopertamente tendenziose, devono considerarsi coperte dalla tutela ex art. 21 Cost, e non possono, quindi, assumere il
connotato dell'illiceità. La medesima linea di pensiero è stata
seguita in talune pronunce, con le quali è stato rilevato che nei
confronti della stampa diffusa in occasione di competizioni eletto
rali non possono essere emessi provvedimenti cautelari « quando ci si muove nell'ambito delle prospettazioni valutative, ancorché
le stesse possano essere inficiate da parzialità di prospettazione ovvero da reticenze su fatti che potrebbero evidenziare la validità
delle tesi sostenute dagli avversari politici » (Pret. Roma 6
maggio 1981, id., 1981, I, 1739; negli stessi termini cfr. altresì'
Pret. Roma 6 maggio 1981 e 30 aprile 1981, id., 1981, I, 1739).
7. - È necessario, a questo punto, procedere sul terreno
concreto dell'analisi dei fatti dedotti nel presente giudizio allo
scopo di verificare — nella prospettiva delineabile in base ai
principi esposti — se i convenuti possano realmente ritenersi
responsabili degli illeciti loro attribuiti oppure se la condotta
denunciata dagli attori costituisca esplicazione del diritto di
critica coessenziale al libero svolgimento delle regole di una
campagna elettorale.
Nell'atto di citazione, ila lesione del diritto all'identità politica del Partito radicale e del comitato promotore è fatta derivare da
una serie di affermazioni riprodotte sul materiale propagandistico del P.C.I. o della sua Federazione giovanile e su articoli giorna listici apparsi sul quotidiano L'Unità. Dette affermazioni, che avrebbero avuto l'effetto di distorcere le reali posizioni dei due
gruppi, sono consistite nel sostenere che « la conseguenza del
referendum radicale sarebbe stata la praticabilità dell'aborto do
vunque, senza garanzie sanitarie e professionali, non gratuitamen te e per mano di chiunque; in sostanza si sarebbe tornati
all'aborto clandestino e al libero mercato »; che « la conseguenza del referendum è l'aborto delle mammane »; che « sempre come
conseguenza del referendum, verrebbe meno l'obbligo dello Stato
e delle strutture ospedaliere pubbliche di praticare gli interven
ti »; che « la proposta mira ad abrogare la legge e la si pone sullo stesso piano del referendum del Movimento per la vita ».
Deve osservarsi che dalla stessa esposizione contenuta nell'atto
introduttivo del giudizio emerge inequivocamente che le proposi zioni sopra trascritte non tendono a rappresentare gli obiettivi
perseguiti da chi ha assunto l'iniziativa del referendum abrogati
vo, nel senso che in nessun stampato compare mai l'attribuzione
a tali soggetti della volontà di un ritorno all'aborto clandestino, al libero mercato e alla speculazione delle mammane. Dal conte
nuto letterale e logico del materiale propagandistico e degli articoli giornalistici traspare l'indubbio intento del P.C.I., delle
sue organizzazioni periferiche e del suo quotidiano di rappresen tare al corpo elettorale, tramite le predette enunciazioni, le
obiettive conseguenze che sarebbero derivate dall'approvazione della proposta referendaria e dalla abrogazione delle norme della
1. 22 maggio 1978 n. 194, considerata, nella valutazione dello
stesso P.C.I., come la soluzione più giusta ed equilibrata al
drammatico problema dell'aborto. Questa prima notazione consen
te già di affermare che le tesi del P.CJ., in sé esaminate, non
aderiscono direttamente alle posizioni del Partito radicale e del
comitato promotore e non attingono, perciò, quel complesso di
connotazioni politiche, morali e sociali in cui si compendia la
loro identità politica, atteso che l'indicazione degli effetti conside
rati oggettivamente riferibili alla parziale abrogazione della 1. n.
194/78 è cosa ben diversa dalla imputazione degli effetti stessi ad una consapevole opzione del movimento favorevole al referendum
abrogativo.
Ciò posto, va sottolineato che la proposta referendaria era diretta a realizzare l'abrogazione, totale o parziale, di tredici articoli della citata legge, e precisamente dell'art. 1 {affermazione che la procreazione cosciente e responsabile è un diritto garantito dallo Stato e che l'interruzione della gravidanza non è un mezzo
di controllo delle nascite), dell'art. 4 (aborto entro 90 giorni: casistica), dell'art. 5 (intervento del consultorio e della struttura
socio-sanitaria, del medico di fiducia, del padre), dell'art. 6
(interruzione della gravidanza dopo i 90 giorni limitatamente alla
disposizione per cui le anomalie e le malformazioni del nascituro sono normativamente ritenute processi patologici integranti la condizione di grave pericolo), dell'art. 7 (accertamenti medici), dell'art. 8 (limitazioni delle strutture sanitarie che possono prati care gli interventi), dell'art. 9 (obiezione di coscienza per non
effettuare l'intervento limitatamente ai riferimenti agli art. 5, 7 e 8), dell'art. 10 (gratuità degli interventi limitatamente alle esclu sioni), dell'art, ti (comunicazioni al medico provinciale limitata mente al 1° comma), dell'art. V2 (procedure, assenso del padre o del giudice tutelare per le minori), dell'art. 13 (interdette, richie sta del tutore o del marito, intervento del giudice tutelare), dell art. 14 (informazioni), dell'art. 19 (norme penali limitatamen te alle disposizioni che prevedono pene per inosservanza degli art. 5, 7, 8, 12 e 13) (v. p. 62-63 del testo « Fermali con una firma » a cura del comitato nazionale per i referendum e del Partito radicale). Dall'esame delle numerose disposizioni sottopo ste al giudizio del corpo elettorale appare evidente che l'approva zione della proposta referendaria avrebbe inevitabilmente compor tato una profonda e totale trasformazione della legge, al punto da dare origine ad una situazione normativa radicalmente divergente, se non opposta, a quella voluta dal legislatore del 1978, non più riconducibile alle originarie linee ispiratrici e rispondente a scelte etiche, sociali e politiche affatto differenti. Con tali osservazioni non si vuole esprimere giudizi di valore a favore di una concezione rispetto all'altra, ma semplicemente porre in risalto il conflitto esistente tra due diverse soluzioni del problema dell'a
borto, che implicano un retroterra politico, culturale e ideologico del tutto inconciliabile. La conferma può essere tratta dalla citata
pubblicazione « Fermali con una firma », laddove è precisato che « questo referendum propone l'abrogazione di varie disposizioni contenute nella 1. 194/78, ma nella sua linea fondamentale intende realizzare la liberalizzazione dell'interruzione della gravi danza entro i primi 90 giorni dal concepimento, attraverso
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2599 PARTE PRIMA 2600
l'eliminazione della casistica di cui all'art. 4, e dei vari interventi
e pressioni di ' altri
' che non sia la donna interessata » {p. 63);
che « deve essere in particolare segnalata l'importanza della
proposta di abrogare le limitazioni alle strutture sanitarie che
possono praticare l'intervento» (p. 64); che «la nostra concezio
ne di fondo è sempre stata quella della depenalizzazione dell'a
borto, inon della sua regolamentazione di Stato » (ip. 65: la frase è
riportata sotto il titolo « Il punto di vista di Pannella »).
Le frasi tratte dagli stampati prodotti dagli attori devono essere
inserite e valutate nell'ambito di un siffatto conflitto. In primo
luogo, va rivelato che quando in esse si fa menzione dell'abroga zione della 1. n. 194/78, senza specificare che il referendum non
era rivolto contro l'intero testo normativo ma nei confronti di
tredici articoli, si compie l'enunciazione di un fatto che, pur se
formalmente e tecnicamente incompleta o reticente, intende porre in evidenza il sostanziale snaturamento — dal punto di vista del
P.C.I. — della normativa approvata dal parlamento e la creazione
di una nuova disciplina, risultante dalla massiccia amputazione di
disposizioni, totalmente diversa nei suoi punti qualificanti e nelle
sue connotazioni fondamentali, costituiti, per esplicita ammissione
dei contendenti, dal potere-dovere di intervento dello Stato in
materia di interruzione volontaria della gravidanza (è significati
vo, al riguardo, che sia stata chiesta l'abrogazione anche della
solenne dichiarazione programmatica dell'art. 1 secondo cui « lo
Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabi le, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio ») e dalla riserva a favore delle strutture socio-sanitarie pubbliche degli interventi di interruzione della
gravidanza. A ben vedere, tutte le varie affermazioni, enucleate
dagli attori dal materiale di propaganda depositato e ritenute
lesive della propria identità politica, ruotano attorno a questi due
importanti temi, considerati dai promotori del referendum incom
patibili con il principio di liberalizzazione o privatizzazione dell'aborto, realizzabile attraverso la pura e semplice depenalizza zione e l'eliminazione dell'obbligatorietà dell'aborto all'interno delle strutture sanitarie pubbliche (v. il già citato punto di vista di Pannella). Un esame, anche sommario, degli stampati in atti rivela che il più importante terreno di scontro tra fautori e avversari del referendum fu proprio costituito dal dibattito su
queste opposte linee ideologiche, vertenti sulla dimensione pub blica o privata del problema dell'aborto. Le principali posizioni
propagandistiche, la cui illiceità è stata prospettata dagli attori, sono le seguenti: « liberalizzando l'aborto, in realtà si costringono le donne a contrattare col mercato »; « l'aborto torna ad essere un fatto privato, soltanto della donna, da contrattare al libero mercato »; « non ci sarebbero più regole né le più elementari
garanzie sanitarie. Verrebbe a cadere ogni tutela della salute e
della dignità della donna »; « non sarebbe più gratuito, perché
ogni donna dovrebbe pagarsi da sola chi eseguirebbe l'interven to »; « l'aborto potrebbe essere praticato dovunque e da chiun
que, senza alcuna normativa e alcuna garanzia. Si riaprirebbe un infame libero mercato. Verrebbe negata nei fatti l'assistenza alle
donne »; « dà la possibilità a chiunque di praticare l'interruzione della gravidanza anche senza qualifica professionale, escludendo
l'intervento dello Stato e quindi delle strutture sanitarie pubbli che». Tutte le proposizioni riportate convergono nella denuncia delle gravi conseguenze che, a giudizio del P.C.I. e del suo
organo di informazione, sarebbero scaturite dalla cancellazione del complesso di norme dirette ad attribuire alle strutture pubbli che il monopolio degli interventi abortivi, considerato, a torto o a
ragione (la fondatezza dell'opinione qui non rileva), come essen
ziale garanzia di pari trattamento e di pari dignità della donna, nonché di superamento delle discriminazioni connaturate alle
differenti condizioni economiche e sociali: in tale contesto devo
no essere interpretati anche gli slogans sul ritorno all'aborto
clandestino e al mercato dell'aborto, sul venir meno della gratuità dell'intervento e delle più elementari garanzie sanitarie, sul ritor
no alla speculazione dei « cucchiai d'oro », delle « mammane » e
alF« aborto di classe ».
Alla luce dei rilievi sin qui svolti risulta evidente che le
affermazioni contenute nel materiale propagandistico proveniente dal P.C.I. e negli articoli de L'Unità non riflettono le posizioni del Partito radicale e del comitato promotore in merito alla
questione dell'aborto (del resto, nelle pubblicazioni in esame
manca un'attribuzione di tal genere, esplicita o implicita): risulta,
però, parimenti evidente che esse rappresentano il frutto di una
valutazione politica delle conseguenze riferibili all'approvazione del referendum radicale. In altri termini, si tratta di giudizi formulati nell'esercizio della libertà di propaganda, che costituisce
un aspetto insopprimibile della libertà di manifestazione del
pensiero e della quale non è possibile concepire una limitazione
senza alterare, nello stesso tempo, l'equilibrio su cui poggia il
sistema democratico voluto dalla Carta costituzionale. In sostanza,
nel caso di specie si è in presenza non di una mistificazione della
realtà obiettiva, ma di una libera interpretazione, in chiave
propagandistica, di un problema sottoposto al voto del corpo
elettorale: deve, quindi, riconoscersi che detta interpretazione,
come tale e indipendentemente dalla fondatezza, non può essere
sottoposta a controlli di merito che possano condizionarne le
autonome possibilità di estrinsecazione, ancorché — come, difatti,
può riscontrarsi in alcune enunciazioni sopra trascritte — le
opinioni e i giudizi siano talora carenti di idoneo supporto
argomentativo e altre volte si risolvano in una semplificazione
tendenziosa e rozza dei risultati collegati alle tesi degli avversari
politici. In conclusione, poiché la condotta, posta in essere dai conve
nuti costituisce esercizio della libertà garantita dall'art. 21 Cost.,
manca la possibilità di configurare la responsabilità per l'illecita
lesione del diritto alla identità politica degli attori e la domanda
deve essere, pertanto, rigettata. (Omissis)
TRIBUNALE DI UDINE; decreto 19 luglio 1984; Pres. Diez,
Rei. Millozza; Soc. Lombarda costruzioni. TRIBUNALE DI UDINE;
Società — Società per azioni — Assemblea degli obbligazionisti — Deliberazione di modifica delle condizioni del prestito e di
nomina del rappresentante comune — Omologazione — Neces
sità — Insussistenza (Cod. civ., art. 2415).
Non è soggetta ad omologazione la delibera dell'assemblea degli
obbligazionisti di società per azioni sulla modified delle condi
zioni del prestito e sulla nomina del rappresentante comu
ne. (1)
(1) Nello stesso senso v. Trib. Udine 21 novembre 1983, Socie
tà, 1984, 802 e in Giur. comm., 1984, II, 40, nonché Trib.
Venezia 8 settembre 1975, Foro it., Rep. 1976, voce Società, n.
278. In precedenza Trib. Roma 23 febbraio 1950, id., 1950, I,
613, aveva invece statuito che ogni deliberazione dell'assemblea degli
obbligazionisti è sottoposta ad omologazione del tribunale, ma la
decisione aveva incontrato le critiche della dottrina: P. Guerra, Le
deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti sono soggette ad omo
logazione?, ibid.-, Giuliani, Sulla pretesa omologazione dei verbali delle
assemblee degli obbligazionisti, in Riv. not., 1950, 170. Per Trib. Treviso
28 marzo 1983, Società, 1983, 1395, sarebbe sufficiente il deposito in can
celleria. Tale contrasto di orientamenti deriva dalla formulazione del 3° com
ma dell'art. 2415 c.c. il quale cosi dispone: « Si applicano all'assemblea
degli obbligazionisti le disposizioni relative all'assemblea straordinaria
dei soci ». Secondo la maggioranza della dottrina l'uso del termine « assem
blea » sta ad indicare che, nell'intenzione del legislatore, il richiamo
concerne esclusivamente le norme che regolano il funzionamento delle
assemblee straordinarie e non si estende anche a quelle che riguardano le delibere che da tale organo siano adottate (cosi, oltre agli aa. già
richiamati, Ferrara jr., Imprenditori e società, Milano, 1978, 556, nota
20; Mignoli, Le assemblee speciali, Milano, 1960, 333; Pavone La
Rosa, Il registro delle imprese, Milano, 1954, 392, nota 218: però in
senso contrario Mossa, Obbligazioni e obbligazionisti nella società per
azioni, in Nuova riv. dir. comm., 1955, I, 77, e A. Giannini, Le
obbligazioni titoli di credito, in Boll. Cassa risp. prov. sic., 1960, 307). Altri autori poi, pur negando la necessità dell'omologazione, affermano
che la delibera dovrebbe essere comunque pubblicata (Ascarelli, Problemi in tema di titoli obbligazionari, in Banca, borsa, ecc., 1951, I,
40; Pettiti, I titoli obbligazionari della società per azioni, Milano,
1964, 218. Contra, peraltro, Pavone La Rosa, op. loc. cit.; Ferrara,
op. loc. cit.; Mignoli, op. loc. cit. e il passo finale della motivazione
del decreto in epigrafe).
* * *
Omologazione ed iscrizione nel registro delle imprese costituiscono formalità che sono richieste in relazione al contenuto della deliberazio ne e non in considerazione del carattere, straordinario ed ordinario, dell'assemblea, come è confermato dalla circostanza che esistono deliberazioni dell'assemblea straordinaria non soggette ad iscrizione e
quindi neppure ad omologazione (cosi ad es. quella di approvazione della proposta di richiedere l'amministrazione controllata: Trib. Udine 21 luglio 1983, Società, 1984, 59 e Pettiti, op. cit., 218, n.
6). Non è quindi possibile ritenere che il generico rinvio alla disciplina dell'« assemblea » si estenda anche alle norme che regolano questi aspetti, meramente eventuali, della deliberazione. Aderendo a questa tesi si arriverebbe del resto all'assurdo di ritenere soggette a tali formalità la deliberazione dell'assemblea degli obbligazionisti anche
quando la corrispondente delibera adottata dall'assemblea dei soci ne è sicuramente svincolata: il caso dell'approvazione della proposta di amministrazione controllata o di concordato, di cui si è appena fatto
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