sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1993, n. 1230; Pres. Salafia, Est. Grieco, P.M. Amirante(concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Palatiello) c. Fall. soc. Sodema. Cassa App. L'Aquila16 giugno 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 11 (NOVEMBRE 1993), pp. 3093/3094-3097/3098Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188236 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
legamento esistente tra la riduzione della ipoteca iscritta sui be
ni rimasti in proprietà della società Tinaro e la concessione del
mutuo da questa richiesto alla Cassa di risparmio di Chieti, essendo agevolmente rilevabile dalla motivazione della sentenza
impugnata, oltre che dal profilo di censura sopra considerato, che tale collegamento, nell'esame di uno specifico motivo di
appello della società Imperiai, è stato puntualmente verificato
dalla corte di merito, che si è espressamente soffermata sulla
interpretazione di una lettera di questo istituto rilevando, con
valutazione non censurata con specifici argomenti critici dalla
società Imperiai e, peraltro, non censurabile nei suoi profili di
merito, come da essa, se interpretata, come necessario, tenendo
conto del suo testo integrale, risultasse evidente che la condizio
ne posta per la concessione del mutuo era quella della effettiva
riduzione della ipoteca e come solo questa interpretazione fosse
coerente con lo scopo della condizione, che era quello di assicu
rare «sufficienti margini patrimoniali per la prestazione di uguale
garanzia per l'accensione del mutuo erogando» e come la prova
acquisita del predetto collegamento rendesse superflue, e perciò
inammissibili, le richieste istruttorie della società Imperiai.
(Omissis).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 1° feb
braio 1993, n. 1230; Pres. Salafia, Est. Grieco, P.M. Ami
rante (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Pala
tiello) c. Fall. soc. Sodema. Cassa App. L'Aquila 16 giugno 1988.
Fallimento — Accertamento del passivo — Credito d'imposta
per tributi indiretti — Pendenza di giudizio davanti alle com
missioni tributarie — Sospensione del processo di ammissione
al passivo — Esclusione — Ammissione con riserva (Cod.
proc. civ., art. 295; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 55, 95, 101; d.p.r. 29 settembre 1973 n.
605, disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, art. 45).
I crediti d'imposta (nella specie, per tributi indiretti) per i quali sono sorte contestazioni davanti alle commissioni tributarie,
possono essere insinuati ed ammessi con riserva al passivo del fallimento, senza che occorra sospendere il giudizio in at
tesa della decisione definitiva del contenzioso tributario. (1)
(1) Il principio di diritto affermato dalla corte ai sensi dell'art. 384, 1° comma, c.p.c., non si discosta da quanto statuito in passato, salvo che per l'implicita estensione della regola della ammissione con riserva anche ai tributi indiretti, posto che non è stata risolta esplicitamente la questione della ammissione con riserva nel contesto di un giudizio relativo ad una insinuazione tardiva, questione soltanto accennata nelle
premesse della motivazione. Già in precedenza, Cass. 26 novembre 1987, n. 8761, Foro it., Rep.
1988, voce Riscossione delle imposte, n. 113; 29 maggio 1984, n. 3273, id., Rep. 1985, voce Fallimento, n. 447; 15 dicembre 1983, n. 7400,
id., Rep. 1984, voce cit., nn. 376, 384; 19 giugno 1974, n. 1806, id.,
1975, I, 404; Trib. Genova 30 gennaio 1989, id., Rep. 1989, voce cit., n. 506 e Fallimento, 1989, 927 con nota adesiva di Anni, Ammissione
al passivo con riserva dei crediti d'imposta contestati davanti alle com
missioni tributarie ed obbligo di opposizione, avevano riconosciuto, sia
prima che dopo l'entrata in vigore della riforma tributaria, che il credi to d'imposta contestato davanti alle commissioni tributarie poteva co
stituire titolo per l'ammissione con riserva al passivo fallimentare; se
nonché, Cass. 17 luglio 1987, n. 6293, Foro it., 1988, I, 464, interve
nendo per la prima volta, ex professo, sul tema della ammissione con
riserva all'interno del giudizio promosso per l'insinuazione tardiva di
un credito, stabiliva che la regola della ammissione con riserva poteva trovare applicazione solo con riferimento alla domanda tempestiva, per essere sostituita, nel caso della tardiva, dalla regola generale della so
spensione del processo per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c. (è singolare che ora come allora, il ricorso per cassazione sia stato promosso dalla
Il Foro Italiano — 1993.
Svolgimento del processo. — L'ufficio Iva di Chieti, con ri
corso del 4 giugno 1980, chiese al Tribunale di Lanciano l'insi
nuazione tardiva con riserva, in via privilegiata, nel fallimento
della Sodema s.n.c., del credito di lire 85.692.500. Il fallimento
si oppose all'ammissione deducendo di aver proposto ricorso
alla commissione tributaria avverso l'accertamento. Il giudice delegato sospese il processo in attesa della defini
zione della controversia pregiudiziale. Il 10 aprile 1984, l'ufficio provinciale Iva di Chieti, chiese
allo stesso tribunale l'insinuazione, in via definitiva, con privi
legio, nel predetto fallimento, del credito di 6.293.000, pari ad
un terzo del tributo, con riferimento all'art. 60, 2° comma, d.p.r. 633/72.
Con sentenza del 26 ottobre 1984, il Tribunale di Lanciano
dichiarò inammissibile l'istanza di insinuazione tardiva.
Successivamente (17 dicembre 1984), l'ufficio Iva di Chieti
riassunse la causa sospesa chiedendo l'ammissione definitiva, e con privilegio, al passivo fallimentare del credito di 59.212.000.
Il Tribunale di Lanciano, con sentenza non «definitiva» del
17 giugno 1985, dichiarò inammissibile la istanza e con ordi
nanza di pari data sospese il processo sino alla definizione della
controversia pregiudiziale pendente innanzi alla Commissione
tributaria di II grado di Chieti. Sull'appello contro le due decisioni, con distinti atti, del mi
nistero delle finanze — che ribadiva la richiesta di ammissione
con riserva dei crediti al passivo fallimentare — la Corte d'ap
pello de L'Aquila — riuniti i procedimenti — con sentenza 16
giugno 1988, non definitiva, in parziale accoglimento del primo
degli appelli, ed in riforma della sentenza 26 ottobre 1984, di
chiarò ammissibile l'istanza di insinuazione del credito erariale
al passivo fallimentare; sospese il processo fino all'esito della
controversia pendente — per il credito vantato — innanzi alla
commissione tributaria; rinviò alla pronuncia definitiva la pro nuncia sulle spese.
In parziale accoglimento del secondo appello, ed in riforma
della sentenza 17 giugno 1985, dichiarò ammissibile l'istanza
di insinuazione del credito al passivo fallimentare confermando
la statuizione di sospensione del processo innanzi al tribunale;
compensò le spese. La corte, quindi, ritenne — contrariamente alle pronunce del
Tribunale di Lanciano — ammissibili le istanze di insinuazione
al passivo fallimentare, anche se non definibili nel merito, in
quanto la sussistenza e la entità dei crediti era sottoposta all'ac
amministrazione finanziaria, entrambe le volte con successo, ma con risultati opposti).
Con la decisione in rassegna non è chiaro se vi sia stato un consape vole mutamento di rotta, ma l'accenno alla insinuazione tardiva conte nuto nella parte espositiva della motivazione (sicché si deve ritenere
che la controversia fosse relativa, proprio, ad un giudizio aperto ai sen
si dell'art. 101 1. fall.), induce a pensare che la disciplina prevista dal
l'art. 45 d.p.r. 602/73 possa trovare applicazione indipendentemente dalla tempestività della richiesta di ammissione de! credito e dalla natu ra (diretta o indiretta) dell'imposta.
In questo senso sono stati recepiti, sul primo punto, il più recente orientamento delle corti di merito (Trib. Trani 14 marzo 1992, Falli
mento, 1993, 88, con nota redazionale adesiva di Anni; Trib. Verona 8 novembre 1989, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 525; Trib. Milano 16 novembre 1987, id., Rep. 1988, voce Liquidazione coatta ammini
strativa, n. 90; contra, App. Catania 5 agosto 1989, id., Rep. 1990, voce Fallimento, n. 466) e le indicazioni della dottrina (Didone, La
dichiarazione tardiva di credito nel fallimento, Milano, 1991, 86; Fa
biani, in Foro it., 1988, I, 466; contra, Bozza-Schiavon, L'accerta mento dei crediti nel fallimento e le cause di prelazione, Milano, 1992,
127; Apice, La verifica dei crediti tributari nel fallimento, in Fallimen
to, 1991, 222; Lo Cascio, Ammissione al passivo del fallimento con
riserva dei crediti d'imposta contestati davanti alle commissioni tributa rie in Giust. civ., 1988, I, 144).
Per quanto attiene alla estensione della riserva ai crediti contestati
relativi ad imposte indirette, Bozza-Schiavon, L'accertamento dei cre
diti nel fallimento, cit., 128 e Apice, La verifica dei crediti tributari,
cit., 222, segnalano che per effetto della entrata in vigore del d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43, anche le imposte indirette sono riscosse tramite
ruolo, sicché l'art. 45 d.p.r. 602/73 può trovare applicazione immedia ta anche per le imposte indirette.
Oltre ai richiami contenuti nella nota a Cass. 6293/87, cit., in senso
favorevole all'estensione, adde, Trib. Verona 8 novembre 1989, cit.;
Pellegrino, L'accertamento del passivo nelle procedure concorsuali,
Padova, 1992, 276; Didone, La dichiarazione tardiva, cit., 87.
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3095 PARTE PRIMA 3096
certamente» del giudice competente (commissioni tributarie). Ri
tenne, altresì, la esistenza dei presupposti per la «sospensione» necessaria dei processi fino al definitivo esito della controversia
tributaria. Considerò, infine, inapplicabile l'art. 45 d.p.r. 602/73 — ammissibilità, con riserva, al passivo fallimentare di tributi
contestati iscritti a ruolo — ritenendo che le «contestazioni»
menzionate dall'art. 45 d.p.r. cit. sono quelle insorte in sede
fallimentare, con applicazione delle regole in tema di sospensio ne e pregiudizialità del processo civile, non quelle che si verifi
cano in sede di giurisdizione tributaria.
Propone ricorso per cassazione l'amministrazione finanziaria
dello Stato sulla base di un unico articolato motivo.
Motivi della decisione. — La ricorrente amministrazione de
nunzia violazione e falsa applicazione degli art. 95, 2° comma, e 55, 3° comma, 1. fall., dell'art. 45, 2° comma, d.p.r. 602/73
e dell'art. 295 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., in
sufficienza e contraddittorietà di motivazione, in relazione al
l'art. 360, n. 5, c.p.c. Deduce, in particolare, che la interpretazione data dalla corte
d'appello porrebbe l'amministrazione — con evidente stravolgi mento del «sistema» generale di corretta definizione e liquida zione dei crediti — nella condizione di non poter mai riscuotere
quanto dovutole, neppure nella misura «fallimentare», nono
stante il riconoscimento (finale) del credito; inoltre, vi sarebbe il concreto rischio di un incontrollabile prolungamento di pro cedure fallimentari che non potrebbero essere «chiuse» neppure con la cautela degli accantonamenti di cui all'art. 117 1. fall.
Sostiene, poi, la ricorrente che la corte di merito non avrebbe
in realtà spiegato la disapplicazione dell'art. 45 d.p.r. 602/73, atteso che «eventuali contestazioni inerenti ai tributi iscritti a
ruolo non potrebbero che riferirsi a quelle conoscibili dalle com
missioni tributarie, non essendo ipotizzabili casi di contestazio
ni sottoposte all'accertamento del giudice fallimentare». Da ul
timo, la ricorrente deduce la inapplicabilità dell'art. 295 c.p.c. difettando il requisito della pregiudizialità.
Le considerazioni e le conclusioni dell'amministrazione finan
ziaria sono esposte nel contesto di una dettagliata ricostruzione
delle vicende giurisprudenziali concernenti la questione dell'am
missibilità al passivo fallimentare di crediti tributari in contesta
zione innanzi alle commissioni tributarie a seguito di insinua
zione tardiva.
Dalla premessa che prima della riforma tributaria il credito
relativo ad un tributo non ancora incontestabile — in quanto all'esame della giurisdizione tributaria — era ammesso «con ri
serva» al passivo fallimentare, tardivamente o tempestivamente
insinuato, in quanto parificabile al credito condizionato (Cass.
1806/74, Foro it., Rep. 1975, voce Fallimento, n. 486; 3273/84,
Rep. 1985, voce cit., n. 447; 7400/83, id., Rep. 1984, voce cit., n. 376; 8761/87, id., Rep. 1988, voce Riscossione delle imposte, n. 113), la ricorrente trae occasione per sottolineare che la ri
forma del 1973 ha inteso, con l'art. 45 d.p.r. 602/73, riconosce
re espressamente al «ruolo», in caso di contestazioni inerenti
ai tributi iscritti, la natura di titolo per la loro ammissione «con
riserva» al passivo delle procedure fallimentari. Il riconoscimento normativo ha costituito, secondo l'amministrazione finanziaria, motivo per l'estensione analogica della disciplina anche per l'am
missione «con riserva» dei tributi indiretti riscuotibili attraverso
differenti modalità. Tanto che all'art. 45 d.p.r. 602/73 è stata
attribuita rilevanza di portata generale (Cass. 3273/84, cit.). Sic
ché — rileva la ricorrente — l'affermazione (Cass. 6293/87, id., 1988, I, 464) secondo cui, dovendo procedersi, in ragione della contestazione del curatore ed al fine dell'ammissibilità del
credito, al suo accertamento in sede giurisdizionale, il giudizio innanzi al tribunale fallimentare deve essere sospeso fino alla
decisione definitiva delle commissioni tributarie infrange un qua dro interpretativo consolidato; e non è condivisibile.
La censura è fondata. Questa corte, già con la sentenza
1806/74, cit., affermò che i crediti insinuati al passivo fallimen
tare, sia per imposte dirette che indirette e per le quali sia stata
formulata contestazione innana alla commissione tributaria prima del fallimento, sono assimilabili ai crediti condizionali e vanno
ammessi al passivo con «riserva» da sciogliersi dopo la decisio ne della controversia tributaria ed in armonia con quella. Suc
cessivamente, il principio è stato ribadito dalla decisione 7400/83,
cit., dalla sentenza 3273/84, cit. — in cui, espressamente, l'am
missione concerneva un credito d'Iva — dalla decisione 8761/87, cit. Questa, con riferimento all'art. 45 d.p.r. 602/73 ha, per
Il Foro Italiano — 1993.
un verso, riconosciuto l'ammissibilità con riserva al passivo fal
limentare dei crediti erariali opposti innanzi alle commissioni
tributarie, ritenendoli equiparati a quelli condizionali di cui al
3° comma dell'art. 55 1. fall, e, per l'altro, ha riconosciuto al
l'esattore il diritto di partecipare al riparto finale tramite le som
me «accantonate». Orbene, la decisione 6293/87, cit., cui fan
no riferimento — con opposte finalità — sia la sentenza impu
gnata che la difesa dell'amministrazione finanziaria dello Stato,
ha affermato un principio — quello della ammissibilità della
richiesta di insinuazione con sospensione del giudizio innanzi
al tribunale fallimentare, in attesa della definizione del giudizio
tributario, non potendo l'ammissibilità comportare una pronuncia di ammissione del credito con «riserva» in analogia con il di
sposto dell'art. 95 1. fall. — cui questa corte non ritiene di ade
rire. In realtà, dopo la introduzione della disciplina di cui al
l'art. 45 d.p.r. 602/73 — che ha riconosciuto al «ruolo», in
caso di contestazioni inerenti ai tributi iscritti, la natura di tito
lo per l'ammissione di quei tributi, con «riserva», al passivo delle procedure fallimentari — non può più legittimamente af
fermarsi: «Infatti, la richiesta non risulterebbe fondata su un
titolo definitivo per la riscossione dell'imposta, in quanto il giu dizio delle commissioni tributarie incide sulla formazione del
l'atto di accertamento» (cfr. Cass., sez. un., 117/70, id., Rep.
1970, voce Competenza civile, n. 274). Il titolo giuridico per la insinuazione esiste sia per le imposte dirette che per le indi
rette (sul punto si ritornerà tra breve) ed è, per l'appunto, costi
tuito dal «ruolo» e/o dall'«avviso di accertamento».
E poiché, nel rispetto della ripartizione di giurisdizione, non
può il tribunale fallimentare esaminare e decidere la questione attinente alla esistenza del credito tributario (non possono che
provvedervi le commissioni tributarie), il provvedimento in sede
fallimentare si risolve nell'ammissione «con riserva». E, dun
que, si dissente dall'affermazione che «l'ammissibilità della ri
chiesta di insinuazione è inidonea a «comportare una pronuncia di ammissione del credito «con riserva» in analogia con il di
sposto dell'art. 95 1. fall, e che all'impossibilità di accertamento
del credito (per la preclusione giurisdizionale) «soccorre la di
sposizione ex art. 295 c.p.c. (sospensione necessaria del giudizio ordinario quando deve essere preliminarmente risolta dal giudi ce amministrativo una controversia dalla quale dipende la deci
sione della causa). Al riguardo, questa corte sottolinea che alla sospensione ne
cessaria il giudice «deve» ricorrere allorché ravvisi «dipenden za» da altra controversia.
Ma il concetto di «dipendenza» deve intendersi non già nella
sua essenza logica, come possibilità di interferire anche solo sulla
«entità» della decisione pronunziata al termine del processo da
sospendere (perché, in tal caso, i limiti dell'istituto sarebbero
più idonei a paralizzare le decisioni che ad individuarne e a
favorirne la esatta portata) quanto nel suo significato di entità
pregiudiziale. Ed allora, appare evidente che la sospensione del
giudizio fallimentare non può essere disposta sol perché deve
accertarsi, in sede di giurisdizione tributaria, Inesistenza stes
sa» del credito tributario. Il significato del rapporto di «dipendenza» previsto dall'art.
295 c.p.c. non può essere dilatato fino ad identificare «dipen denza» con semplice «opportunità» o «convenienza».
Conviene sottolineare, specificando quanto sommariamente
anticipato, che l'applicazione analogica della disciplina prevista
per le imposte dirette (art. 45 d.p.r. 602/73) alle imposte indi
rette non può essere fondatamente negata. L'avviso di accerta
mento, in caso di contestazione inerente al tributo relativo è
un titolo giuridico per l'ammissione «con riserva» di quel tribu
to al passivo delle procedure fallimentari e, d'altra parte, le
modalità di esazione del tributo (attraverso la iscrizione a «ruo
lo» o attraverso le operazioni di cui al r.d. 14 aprile 1910 n.
639 e succ. modif.) sono, al riguardo, davvero indifferenti. Un'ul
tima annotazione: «le contestazioni inerenti a tributi iscritti»
menzionate dall'art. 45 d.p.r. 602/73 non possono che essere — come correttamente rileva la ricorrente — quelle insorte e
pendenti innanzi al giudice tributario perché, attenendo alla esi
stenza stessa del tributo, sono riservate alla giurisdizione specia lizzata delle commissioni tributarie. Contestazioni che riguardi no i tributi iscritti a ruolo e, in particolare, la loro essenza, non sono direttamente conoscibili dal giudice fallimentare.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il giudice di rinvio si atterrà al seguente principio: «I crediti, relativi a tributi per i quali sono insorte contesta
zioni pendenti innanzi alle commissioni tributarie, sono ammes
si al passivo delle procedure di cui al r.d. 16 marzo 1942 n.
267 con "riserva" da sciogliersi dopo la decisione della contro
versia tributaria ed in armonia con l'esito di quella decisione. Il giudizio innanzi al tribunale fallimentare non è sospeso ex
art. 295, c.p.c., in attesa della decisione tributaria definitiva».
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 gen naio 1993, n. 951; Pres. Salafia, Est. R. Sgroi, P.M. Ami
rante (conci, conf.); Formisano (Avv. Marini, Majello) c.
Florio (Aw. D'Ottavi, Cappelli). Cassa App. Napoli 20 feb braio 1990.
Stato civile — Procedimento di rettificazione degli atti — Con
testazione fra le parti — Inammissibilità — Fattispecie (Cod.
civ., art. 454; r.d. 9 luglio 1939 n. 1238, ordinamento dello
stato civile).
Il procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile, che
consiste nell'eliminazione delle difformità fra la realtà effetti va e quella riprodotta nell'atto, non è esperibile allorché fra le parti vi sia contestazione circa i presupposti del procedi
mento, poiché tale contestazione può essere risolta non in un
procedimento volontario, bensì' in un giudizio contenzioso,
nel contraddittorio fra le parti (nella specie, la corte ha rite
nuto che il contrasto esistente fra i coniugi in ordine all'avve
nuta riconciliazione comportasse la non esperibilità del proce dimento di rettificazione con riguardo ad un atto di nascita
che attribuiva al bambino, nato dopo trecento giorni dalla
data di omologazione della separazione consensuale dei co
niugi, il cognome del marito). (1)
(1) Nel senso che nel procedimento camerale per la rettificazione de
gli atti dello stato civile «resta estranea ogni eventuale controversia fra il padre e la madre (ancorché questa sia comparsa nel suddetto procedi mento), in relazione al loro dissenso nella scelta del nome del figlio, la quale potrà trovare soluzione nella opportuna sede contenziosa», v.
Cass. 7 settembre 1982, n. 4844, Foro it., Rep. 1982, voce Stato civile, n. 16 e, nella motivazione, id., 1983, I, 72.
In altre decisioni la corte ha ammesso il procedimento di rettificazio
ne degli atti dello stato civile nell'ipotesi in cui al figlio di madre sepa rata o divorziata, concepito dopo trecento giorni dall'omologazione della
separazione consensuale, era stato attribuito, in forza di dichiarazione
della madre, il cognome dell'ex coniuge (Cass. 16 dicembre 1986, n.
7530, id., 1987, I, 1097; v. altresì' Trib. Pisa 4 marzo 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 9 e Giust. civ., 1992, I, 1592).
Nel senso che in pendenza del giudizio di rettificazione degli atti dello stato civile, promosso per ottenere la modifica del cognome attribuito al bambino a seguito di dichiarazione di nascita della madre, sul pre
supposto della nascita avvenuta dopo trecento giorni dalla data di omo
logazione della separazione consensuale, può essere instaurato un auto nomo giudizio di accertamento dello status del figlio da parte dell'ex
coniuge, e che in tale ipotesi deve escludersi qualsiasi relazione di pre
giudizialità e quindi la necessità della sospensione ex art. 295 c.p.c., v. Trib. Napoli 19 marzo 1991, Foro it., 1993, I, 603, con nota di richiami.
In giurisprudenza è pacifico che il procedimento di rettificazione de
gli atti dello stato civile è esperibile per emendare qualsiasi difformità
fra le risultanze di tali atti e la situazione effettiva conforme alle previ sioni di legge: Cass. 30 ottobre 1990, n. 10519, id., Rep. 1991, voce
cit., n. 20 e Nuova giur. civ., 1991, I, 509, con nota di Di Nardo, «Status» del figlio concepito da donna separata; 16 dicembre 1986, n.
7530, Foro it., 1987, I, 1097.
Infine, sul procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile, v. Cass. 23 febbraio 1993, n. 2214, id., 1993, I, 1872, con nota di
Trisorio Liuzzi. In dottrina sul procedimento di rettificazione degli atti dello stato
civile, v., da ultimo, Sciancalepore, Azione di stato, azione di rettifi cazione degli atti dello stato civile e tutela dei diritti della personalità, in Rass. dir. civ., 1991, 467; Grassano, Il procedimento di rettificazio ne degli atti di stato civile nei suoi aspetti pratici, in Stato civile it.,
1990, 474; Coscia, Il limite dell'azione di rettificazione, id., 1988, 208.
Il Foro Italiano — 1993.
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Tribunale di Na
poli Sergio Florio — premesso che con atto del 24 maggio 1983, ritualmente omologato, si era separato consensualmente dalla
moglie Brunella Formisano e che quest'ultima, avendo partori to un figlio il 24 luglio 1986, concepito oltre il trecentesimo
giorno dall'omologata separazione, pur non operando la pre sunzione di concepimento di cui al 2° comma dell'art. 232 c.c., l'aveva dichiarato come figlio legittimo del Florio — chiedeva
la rettifica dell'atto di nascita del predetto minore, nel senso
che laddove risultava il cognome «Florio» doveva invece inten
dersi scritto il cognome «Formisano».
Il tribunale adito, con sentenza 31 maggio 1989, rigettava l'i
stanza. Su reclamo del Florio, la Corte d'appello di Napoli, con sentenza 20 febbraio 1990, visti gli art. 156 ss. r.d.l. 9 lu
glio 1939 n. 1238, sull'ordinamento dello stato civile, ordinava
all'ufficiale dello stato civile di rettificare l'atto di nascita di
Florio Riccardo, nel senso che laddove risultava il cognome Florio
doveva invece intendersi scritto il cognome Formisano.
Osservava la corte: — che l'oggetto del procedimento di rettificazione di cui al
l'art. 167 r.d. 1. 1238/39 non è limitato alla correzione degli errori materiali, ma comprende tutti i casi di difformità fra la
situazione di fatto, quale è nella realtà o quale dovrebbe essere
secondo la previsione di legge, e quella riprodotta dall'atto di
stato civile, indipendentemente dalle ragioni della difformità; — che nel caso in esame, essendo nato il piccolo Renato do
po oltre tre anni dall'omologazione della separazione coniugale fra i coniugi, non poteva operare la presunzione di concepimen to durante il matrimonio, come previsto dall'art. 232, 2° com
ma, c.c.; — che tale procedimento non poteva ritenersi precluso dalla
proposizione da parte del reclamante dell'azione di disconosci
mento della paternità e della querela di falso dell'atto di nasci
ta, o dalla pendenza di un giudizio di separazione personale nel quale si controverteva circa l'avvenuta riconciliazione fra
i coniugi, per la diversità dell'oggetto dei vari procedimenti; — che, mancando ogni pregiudizialità fra i richiamati proce
dimenti già pendenti, si era fuori dall'ipotesi di cui all'art. 295
c.p.c. Avverso la suddetta sentenza la Formisano ha proposto ricor
so per cassazione, illustrato con memoria. Il Florio ha resistito
con controricorso. Questa corte, con ordinanza 23 ottobre 1991, ha ordinato l'integrazione del contraddittorio nei confronti del
procuratore generale presso la Corte d'appello di Napoli, che
è stata eseguita. Motivi della decisione.- — Col primo motivo, la ricorrente
denuncia la violazione dell'art. 6, 3° comma, e 168, 2° comma, ord. stato civile, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., so
stenendo che — essendo quello al nome un diritto inviolabile
della persona — non si sarebbe potuto procedere alla sua modi
ficazione, senza instaurare il contraddittorio col minore. Diver
samente opinando, si ingenererebbe una questione di legittimità costituzionale dell'art. 168 cit., per violazione degli art. 2 e 24
Cost. Col secondo motivo, la ricorrente denuncia la improcedibilità
del giudizio in camera di consiglio, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., per non essere stato notificato al minore il
ricorso ed il decreto presidenziale di comparizione delle parti. Col terzo motivo, si denuncia l'improcedibilità ed inammissi
bilità dell'azione di rettificazione, per violazione dell'art. 167
dell'ordinamento stato civile, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.;
perché unica parte interessata alla richiesta di rettifica del co
gnome sarebbe il minore.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa appli cazione dell'art. 73 ord. stato civile, nonché contraddittoria mo
tivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), osservando che la presunzione di cui all'art.
232 c.c. è prevista unicamente in funzione dell'acquisto dello
stato di figlio legittimo, di cui l'attribuzione del cognome è un
effetto ulteriore, ma secondario rispetto all'acquisto dello stato
di filiazione; dal che consegue che rettificare il cognome, senza
modificare lo stato di figlio legittimo è privo di rigore logico. Col quinto motivo, si denuncia la violazione e falsa applica
zione degli art. 232 e 157 c.c., in relazione all'art. 360, nn.
3 e 5, c.p.c., osservando che la corte napoletana ha erronea
mente ritenuto inoperante la presunzione di concepimento du
rante il matrimonio, nelle ipotesi di separazione giudiziale o con
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