sezione I civile; sentenza 14 luglio 1997, n. 6356; Pres. Corda, Est. Baldassarre, P.M. Amirante(concl. conf.); Soc. costruzioni Maltauro (Avv. Brambilla, Colesanti, Di Mauro) c. Impresa Penna(Avv. Vanni, Parrella). Conferma App. Napoli 5 febbraio 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 899/900-901/902Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192332 .
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PARTE PRIMA
se ma in quello diverso di domande alternativamente propo
ste, rispetto al quale è inoperante la regola dell'assorbimento
della competenza arbitrale in quella del giudice ordinario. (1)
Motivi della decisione. — (Omissis) Come emerge dagli atti
e dalla stessa sentenza impugnata, la domanda proposta, da
vanti al giudice ordinario, dagli odierni ricorrenti, era subordi
nata e condizionata alla eventualità (tuzioristicamente paventa
ta) che il giudizio arbitrale si fosse concluso con declaratoria
di incompetenza degli arbitri (essendo stata formulata in tal senso
specifica eccezione dal comune) ed era stata formulata al solo
fine di evitare (in tale subordinata ipotesi) eventuali decadenze
o prescrizioni dato l'effetto interruttivo (ma non di «interruzio
ne permanente che, prima della riforma del 1994, era) attribui
bile al promovimento di giudizio arbitrale. E vero che, secondo
la giurisprudenza formatasi nella vigenza del vecchio testo del
l'art. 819 (prima dell'introduzione dell'art. 819 bis) nell'ipotesi di cause connesse, alcune di competenza degli arbitri, altre del
giudice ordinario, la competenza arbitrale viene assorbita nella
competenza del giudice ordinario, davanti al quale sia pendente la causa connessa (salvo che la causa promossa davanti al giudi ce ordinario non si riveli, prima facie, come un mero espediente
per vanificare la competenza arbitrale). Ma, nella specie, non
di cause connesse si tratta, ma della stessa causa proposta, dalla
medesima parte, in via, per così dire, principale, davanti agli
arbitri, e in via subordinata, e per l'ipotesi che il procedimento arbitrale sia chiuso con una pronunzia di incompetenza, davan
ti al tribunale. Il carattere condizionato della domanda subordi
nava il sorgere della potestas decidendi (e del dovere decisorio) del giudice all'avveramento del fatto dedotto in condizione; tal
ché, se tale condizione manca, manca anche la domanda di par te la cui efficacia è subordinata all'avverarsi dell'evento posto in condizione. Non si verifica, pertanto, il presupposto della
coesistenza di due controversie connesse: l'una di competenza
arbitrale, l'altra di competenza del giudice ordinario; perché la
stessa potestas decidendi del giudice ordinario non sorge, se non
risuiti verificata, in esito al provvedimento arbitrale, l'incompe tenza degli arbitri stessi. Ciò che, a ben vedere, è riconosciuto
dalla sentenza impugnata, quando afferma di non nascondersi
che l'adito giudice ordinario possa, sempre per via di compe
tenza, riconoscere il valore della clausola compromissoria e de
clinare, a sua volta, di conoscere la controversia». Senonché, da un lato il presupposto per la trasmigrazione della controver
sia al giudice ordinario per ragioni di connessione era, comun
que, costituito dalla contemporanea pendenza delle due cause, una delle quali di accertata competenza del giudice ordinario.
D'altro lato, devesi considerare che spetta al giudice investito
(1) La sentenza della Corte d'appello di Torino 29 gennaio 1993, annullata dalla Cassazione, riassunta in Foro it., Rep. 1994, voce Arbi
trato, n. 99, si può leggere, con nota di Longo, in Riv. arbitrato, 1994, 295.
In relazione alla peculiare fattispecie decisa (con riguardo alla quale si possono consultare, per riferimenti, Cass. 3 febbraio 1976, n. 348, Foro it., Rep. 1976, voce Competenza civile, n. 146, e Cecchella, L'ar bitrato, Utet, Torino, 1991, 73-75) la corte ha formulato l'enunciazione riassunta in massima, ricordando, in considerazione dell'epoca della vi cenda controversa, il principio dell'assorbimento della competenza ar bitrale in quella del giudice ordinario nel caso di connessione tra causa
pendente avanti qust'ultimo e controversia instaurata dinanzi agli arbi tri. Il menzionato principio, recentemente ribadito da Cass. 22 settem bre 1997, n. 9345, Foro it., Mass., 918, è stato abolito dall'art. 819 bis c.p.c. (su cui, Cass. 15 luglio 1996, n. 6403, id., 1996, I, 3581, con nota di richiami). Peraltro, con due significative pronunzie, rese entrambe a proposito di situazioni assoggettabili alla disciplina del vec chio testo dell'art. 819 c.p.c., la corte è tornata sui problemi posti dalla
contemporanea pendenza del giudizio ordinario e del procedimento ar bitrale. Con la sent. 8 luglio 1996, n. 6205, ibid., 2714, con osservazio ni di C.M. Barone, la prima sezione civile ha, infatti, ritenuto che la devoluzione al tribunale della cognizione della stessa controversia, già incardinata avanti il costituito collegio arbitrale rituale, impone al
giudice ordinario di dichiarare la propria incompetenza, in presenza della
tempestiva proposizione della relativa eccezione da parte dei convenuti. Con la successiva sent. 7 aprile 1997, n. 3001, id., 1997,1, 1381, ancora con osservazioni di C.M. Barone, la medesima sezione prima civile ha affermato che la devoluzione al tribunale della cognizione della stes sa controversia, già rimessa alla valutazione di arbitri rituali, impone al giudice ordinario, in presenza di tempestiva eccezione del convenuto, di dichiarare improponibile o improseguibile l'azione.
Il Foro Italiano — 1998.
della nullità del lodo risolvere, in via definitiva, ogni questione relativa alla competenza arbitrale; non potendo esso accogliere
l'impugnazione di nullità per incompetenza arbitrale, afferman
do che resta impregiudicata, nel giudizio davanti al giudice or
dinario, la questione stessa della competenza arbitrale. Come
avviene, appunto, se in presenza di una domanda davanti al
giudice ordinario proposta solo subordinatamente alla incom
petenza arbitrale, riconosciuta in esito al giudizio arbitrale stes
so, si inverta l'ordine delle questioni, dichiarando la nullità del
lodo, per la vis attractiva della domanda pendente davanti al
tribunale, e lasciando impregiudicata la possibilità che in tale
sede (accertandosi il verificarsi o meno dell'evento posto come
condizione della domanda) si declini la competenza del giudice ordinario e si riconosca la competenza arbitrale.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata e la causa
rimessa davanti al giudice di rinvio designato in dispositivo che
provvederà anche all'esame degli ulteriori motivi di impugna zione per nullità del lodo, nonché sulle spese del giudizio di
cassazione.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 luglio
1997, n. 6356; Pres. Corda, Est. Baldassarre, P.M. Ami
rante (conci, conf.); Soc. costruzioni Maltauro (Aw. Bram
billa, Colesanti, Di Mauro) c. Impresa Penna (Avv. Van
ni, Parrella). Conferma App. Napoli 5 febbraio 1994.
Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Lodo — Im
pugnazione — Eccesso di potere — Esclusione — Fattispecie
(Cod. proc. civ., art. 829).
Il lodo arbitrale rituale, reso nel 1991, non è nullo per pronun cia oltre i limiti del compromesso, se gli arbitri, pur ritenen
dosi, erroneamente, autorizzati a decidere secondo equità, ri
solvono in concreto la controversia in base a regole di
diritto. (1)
(1) Nei precisi termini della massima, Cass. 14 ottobre 1988, n. 5603, Foro it., Rep. 1988, voce Arbitrato, n. 123, richiamata in motivazione. Per qualche riferimento alla questione, cons., inoltre, Cass. 21 giugno 1985, n. 3725, id., Rep. 1985, voce cit., n. 97, per la quale, al fine di accertare se la decisione arbitrale sia resa secondo diritto o in base ad equità, il giudice, ancorché gli arbitri abbiano espressamente dichia rato di ispirarsi a criteri di equità, deve ripercorrere tutto l'iter logico giuridico della decisione, controllando se questa sia conseguenza diretta
dell'applicazione delle norme giuridiche che regolano la materia, ovvero
dipenda dall'adozione di criteri idonei a temperare il rigore della legge, adattandola alle particolari concrete esigenze di natura etico-sociale, sug gerite dalle circostanze della causa.
Nel senso che, ove gli arbitri, ritenendosi erroneamente investiti del
potere di decidere secondo equità, risolvano in base a questa la contro
versia, la pronuncia cosi resa è inficiata da errore in procedendo per inosservanza dei limiti del compromesso, (errore) deducibile con l'im
pugnazione per nullità, ai sensi dell'art. 829, n. 4, c.p.c., non rilevando che il lodo sia stato dichiarato non impugnabile, Cass. 6 dicembre 1988, n. 6638, id., Rep. 1988, voce cit., n. 113.
Sull'eccesso di potere degli arbitri che, autorizzati a decidere in base alle regole di diritto, pronuncino secondo equità, Cass. 11 aprile 1983, n. 2550, id., 1983,1, 1237, con osservazioni di C.M. Barone; cui adde, più di recente, in dottrina, Cecchella, L'arbitrato, Utet, Torino, 1991, 222; Galgano, Diritto ed equità nel processo arbitrale, in Contratto e impr., 1991, 461 ss. Per la configurazione del medesimo eccesso di
potere nel caso in cui gli arbitri, autorizzati a pronunciare secondo equità, decidano alla stregua delle regole di diritto, Cass. 12 aprile 1988, n.
2879, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 108 (per esteso, con nota di Basilico, in Giust. civ., 1988, I, 2945).
Per una enunciazione peculiare, Cass. 7 giugno 1989, n. 2765, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 94, secondo cui nell'ordinamento proces suale vigente, gli arbitri rituali, tenuti a decidere secondo diritto in as
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — (Omissis). Passando all'esame del
secondo motivo dell'impugnazione, attinente alla nullità del lo
do ai sensi del n. 4 dello stesso art. 829, ha dato atto dell'errore
degli arbitri, che anche nella seconda clausola avevano ravvisa
to la previsione di un arbitrato secondo equità, e proprio in
considerazione della denuncia di un siffatto errore (in proce
dendo) ha negato che fosse preclusiva dell'impugnazione la pat tuizione della inoppugnabilità del lodo.
Ha disatteso, però, la censura, osservando che la sola affer
mazione degli arbitri di essere autorizzati a pronunciare sulla
controversia in base all'equità non consentiva di ritenere nulla
la pronuncia, «perché l'eccesso di potere va desunto non dalle
premesse contenute nella motivazione del lodo, ma dall'avere
gli arbitri risolto in concreto la controversia secondo criteri, prin
cipi e valutazioni di prudenza e di opportunità, anziché in base
a regole di diritto» (Cass. 14 ottobre 1988, n. 5603, Foro it.,
Rep. 1988, voce Arbitrato, n. 123). Ha desunto la dimostrazione dell'avvenuta decisione secondo
diritto dal richiamo e dalla puntuale applicazione da parte degli arbitri delle norme del codice civile (specificamente citate) sia
con riguardo all'interpretazione ed esecuzione del rapporto con
trattuale, sia nella valutazione delle prove secondo il principio
posto dall'art. 2697, nonché con riguardo alla soluzione dei sin
goli quesiti, soluzione sorretta anche, per i quesiti nn. 10, 11,
12, 14, 15, 17 e 24, dal richiamo di sentenza di questa corte
di legittimità». (Omissis) 9. - L'errore di interpretazione compiuto dal collegio arbitra
le non è stato recepito dalla corte d'appello, che dopo averlo
rilevato, l'ha superato con la ricordata considerazione che l'ec
cesso di potere non deve essere desunto dalle premesse contenu
te nella motivazione del lodo, ma dall'avere gli arbitri risolto
in concreto la controversia secondo criteri, principi e valutazio
ni di prudenza e di opportunità, anziché in base a regole di
diritto (Cass. 14 ottobre 1988, n. 5603)». Il principio tratto da questa sentenza, che, peraltro, non tro
va censura nel ricorso, merita di essere seguito, atteso che il
rispetto dei limiti del potere decisorio, assegnati dal compro messo agli arbitri, deve essere accertato in base all'effettiva por tata decisoria delle statuizioni rese dagli arbitri e al complessivo contenuto del lodo, derivando da tali statuizioni, e non da even
tuali argomentazioni con esse in contrasto, l'appropriazione di
detto potere e la conseguente illegittima sottrazione di esso al
giudice ordinario. Nella specie l'accurato e completo esame compiuto dalla cor
te del merito in ordine alla motivazione sui singoli punti del
lodo dimostra che gli arbitri hanno del tutto pretermesso il ri
corso al criterio equitaivo, richiamando e applicando solo nor
me di legge. Se ne ricava conferma proprio dai testuali richiami della mo
tivazione adottata dagli arbitri e trascritta nel primo mezzo di
ricorso, là dove i riferimenti alla «buona fede» e al «principio
dell'equità» — lungi dal sancire l'adozione del criterio equitati
vo, che prescinde e può contrastare con previsioni di legge —
costituiscono di quest'ultima specifica applicazione, atteso che
la buona fede rappresenta, secondo il dettato degli art. 1337, 1366 e 1375 c.c. (richiamati nel lodo) il parametro che per espresse
previsioni normative deve presiedere la formazione, l'interpre tazione e l'esecuzione del contratto, al pari, con riguardo a que
sta, dell'equità che è applicabile, in virtù del disposto dell'art.
1374 (pure citato dagli arbitri), quando non operi la norma
scritta.
Il primo mezzo deve essere, quindi, rigettato sia sotto il pro filo della mancata individuazione della clausola compromisso
ria che di quello della avvenuta decisione secondo equità.
(Omissis)
senza di una clausola che autorizzi la pronuncia secondo equità o che
escluda l'impugnazione del lodo (art. 829, ultimo comma, c.p.c.), non
hanno il potere di affidare ad un consulente tecnico d'ufficio l'incarico
di fornire al collegio giudicante la soluzione di quesiti giuridici ai fini
della decisione della controversia. Altrettanto peculiare, si rileva, in dot
trina, la precisazione di La China, L'arbitrato, il sistema e l'esperien
za, Giuffrè, Milano, 1995, 159, per il quale, appare «deplorevole» la
persistente limitazione dell'art. 829, n. 4, c.p.c. «a menzionare il com
promesso, come se non potessero aversi pronunzie oltre i limiti della
clausola compromissoria».
Il Foro Italiano — 1998.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 28 giugno
1997, n. 5819; Pres. Martinelli, Est. Casciaro, P.M. De
Gregorio (conci, diff.); Soc. La Previdente assicurazioni (Aw.
Flauti, Giordano) c. Cacciatore (Aw. Spagnuolo). Cassa
Trib. Milano 20 aprile 1993.
Procedimento civile — Interesse ad agire — Domanda di mero
accertamento — Fattispecie (Cod. civ., art. 2113; cod. proc.
civ., art. 100).
Nel caso di transazione intervenuta fra datore e prestatore di
lavoro tempestivamente impugnata da quest'ultimo ai sensi
dell'art. 2113 c.c., sussiste una situazione di obiettiva incer
tezza tale da giustificare l'interesse ad agire in mero accerta
mento da parte del datore di lavoro per ottenere una pronun cia dichiarativa da cui risulti la validità dell'accordo tran
sattivo. (1)
(1) I. - La pronuncia si segnala per un duplice ordine di motivi. In
primo luogo, e principalmente, per aver affrontato il complesso proble ma dell'interesse ad agire in mero accertamento con riferimento all'ipo tesi in cui datore di lavoro e lavoratore abbiano stipulato un accordo transattivo successivamente impugnato da quest'ultimo ai sensi dell'art. 2113 c.c.: in tal caso, infatti, si è posto il problema della sussistenza o meno dell'interesse ad agire del datore di lavoro a far accertare la validità dell'accordo. In secondo luogo, per aver affrontato, in motiva
zione, anche il problema dei limiti oggettivi del giudicato di accogli mento della domanda (del giudicato, cioè, che accerti la validità dell'ac
cordo) sub specie di preclusione o meno del diritto di impugnativa ne
goziale riconosciuto dalla legge al lavoratore ma non esercitato in via riconvenzionale nel corso del processo (per l'ipotesi inversa di azione
principale di annullamento e riconvenzionale di accertamento della vali dità del contratto, v. Chiovenda, Istituzioni, Napoli, 1933, 1, n. 111/C). Tali problemi sono stati risolti nel senso di ritenere:
a) sussistente l'interesse ad agire del datore di lavoro; sulla base, fon
damentalmente, delle considerazioni per cui, altrimenti ritenendo: 1) si priverebbe il datore di lavoro «di ogni adeguato strumento difensivo mirante a eliminare il danno cagionato» da una «situazione oggettiva mente nociva di assoluta incertezza»; 2) si realizzerebbe «una lettura non corretta dell'art. 1441 c.c. e una eccessiva dilatazione della sua
portata normativa» (non potendosi ritenere che il soggetto non legitti mato ad esperire l'azione di annullamento, in forza dell'art. 1441, non
possa neanche agire in giudizio, sempre in forza di tale norma, al fine di chiedere la giudiziale declaratoria di validità dell'accordo);
b) precluso dal giudicato che dichiari valido l'accordo transattivo il diritto di impugnativa negoziale (annullamento) non tempestivamente fatto valere dal lavoratore nel corso del (primo) processo.
II. - Il tema dell'interesse ad agire è uno dei più «battuti» dalla dot
trina, essendosi sottolineato, in particolare, come «la norma sull'inte resse ad agire è sempre stata norma oscura, di interpretazione partico larmente difficile e contrastata» (così Proto Pisani, Dell'esercizio del
l'azione, in Commentario del c.p.c. diretto da Allorio, Torino, 1973, I, 2, 1066). La posizione tradizionale in materia è quella facente capo a Chiovenda, per il quale l'interesse ad agire consiste «in una situazione di fatto tale che l'attore senza l'accertamento giudiziale soffrirebbe un
danno, di modo che la dichiarazione giudiziale si presenta come il mez zo necessario per evitare questo danno» (così Chiovenda, Istituzioni,
cit., 167; Id., Azioni e sentenze di mero accertamento, in Riv. dir. proc. civ., 1933, 3 ss., ed ora in Saggi di diritto processuale civile, Milano, 1993, III, 46). Tale posizione, nelle sue linee fondamentali, è stata,
per lo più, accolta dalla dottrina successiva prevalente che l'ha, peral tro, spesso sviluppata o modificata in taluni dei suoi aspetti, fino, tal
volta, a potersi dubitare della compatibilità di tali modifiche con la
costruzione originaria. Su tale profilo, e per un'ampia panoramica del
la dottrina più risalente in materia, cfr. Lanfranchi, Contributo allo
studio dell'azione di mero accertamento, Milano, 1969, e Note sull'in
teresse ad agire, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1972, 1098 ss. Per la
dottrina più recente in materia, cfr., fra gli altri, Attardi, Interesse
ad agire, voce del Digesto civ., Torino, 1993, IX, 514 ss.; Sassani, Note sul concetto di interesse ad agire, Rimini, 1983; Id., Interesse ad
agire, voce dell' Enciclopedìa giuridica Treccani, Roma, 1989, XVII; Id., Mero accertamento del rapporto di lavoro, interesse ad agire e art. 34
c.p.c., in Giust. civ., 1984, I, 626 ss.; Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, 1, 312 ss.; Liebman, Manuale di diritto processuale
civile, Milano, 1980, I, 121 ss.; Satta, Diritto processuale civile 10 a
cura di Punzi, Padova, 1987, 138 ss.; La China, Diritto processuale civile, Milano, 1991, 528 ss.; Fazzalari, Istituzioni di diritto proces
suale, Padova, 1992, 272; Montesano, La tutela giurisdizionale dei di
ritti, Torino, 1994, 115 ss.; Proto Pisani, Lezioni di diritto processua le, Napoli, 1996, 341 ss.; Luiso, Diritto processuale civile. I. Principi
generali, Milano, 1997, 201 ss.
Al pari della dottrina, anche la giurisprudenza in tema di interesse
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