Sezione I civile; sentenza 16 maggio 1960, n. 1181; Pres. Cataldi P., Est. Rossano, P. M.Caldarera (concl. diff.); Ficchinetti e altri (Avv. Trabucchi) c. Zotta e altri (Avv. De Gotzen,Devoto)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 6 (1960), pp. 933/934-935/936Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175069 .
Accessed: 25/06/2014 00:32
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 00:32:45 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
933 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 934
sizione della domanda (in caso di scadenza contrattuale
lontana da tale momento), allora, trattandosi di liquida zione anticipata del danno, certo nell'ari., ma aleatorio nel
quantum, il giudice non può che ricorrere ad un criterio
equitativo, stabilendo, cioè, in base a presunzioni, desunte
dalle mansioni già disimpegnate dall'impiegato, dalla sua
età, dalla sua speciale competenza o qualificazione e dalla
richiesta sul mercato di quella specie di lavoro, in quanto
tempo il medesimo possa trovare altra occupazione, equi valente a quella di cui è stato privato, e attribuendogli in
conseguenza, a titolo di indennizzo, una somma corrispon dente agli stipendi e alle altre utilità perdute per tutto il
tempo in cui sarebbe rimasto disoccupato. Quest'ultimo criterio di liquidazione, di carattere equi
tativo, non può al contrario, di regola, trovare applicazione, come invece pretende la ricorrente, in tutti i casi in cui la
durata del contratto a termine, successiva alla risoluzione, sia rilevante, per questo solo fatto della durata rilevante,
pur se il termine stesso di durata sia già decorso al momento
della domanda, e ciò in quanto, essendo noto che nel nostro
Paese, e specie nelle regioni cosiddette depresse (in una
delle quali viveva appunto il Donsanti), vi sono ancora
numerosi disoccupati e sotto-occupati, per mancanza di stabili occasioni di lavoro, l'intervallo di tempo, anche se di una certa rilevanza, -tra la risoluzione del contratto e il termine di scadenza di esso, non può normalmente
funzionare da presunzione positiva che l'impiegato possa o abbia potuto certamente reimpiegarsi entro un congruo periodo di ricerche. (Omissis)
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 16 maggio 1960, n. 1181 ; Pres.
Cataldi P., Est. Rossano, P. M. Caxdarera (conci,
diff.) ; Ficclùnetti e altri (Avv. Trabucchi) c. Zotta e
altri (Avv. De Gotzen, Devoto).
(Conferma App. Venezia 17 marzo 1959)
Appello in materia civile — Estinzione — Contestazione
delle parti — Ordinanza dell'istruttore — Reclamo — Pronuncia definitiva sull'estinzione — Necessità
di rimessione delle parti avanti ali istruttore per la
precisazione delle conclusioni — Insussistenza (Cod.
proc. civ., art. 308, 350, 357).
Ove il consigliere istruttore abbia, nel dissenso delle parti, dichiarato l'estinzione del processo, il collegio, dinanzi al
quale sia stata impugnata l'ordinanza di estinzione, ben
pud emettere, con sentenza, la pronuncia definitiva di
estinzione del processo, senza rinviare le parti avanti al consigliere istruttore per la precisazione delle con clusioni. (1)
La Corte, ecc. — Con il primo mezzo i ricorrenti lamen
tano la violazione degli art. 178, 187, 189, 190, 308 e 357 cod. proc. civ., e censurano la sentenza impugnata, per avere la Corte deciso il reclamo contro l'ordinanza del Consigliere istruttore (la quale aveva dichiarato la estinzione del pro cesso di appello) senza aver prima fissato, come avrebbe
dovuto, un'udienza per la precisazione delle conclusioni. La censura non ha fondamento. I ricorrenti invocano a sostegno del loro assunto una
precedente decisione di questa stessa Sezione, sentenza n. 1823 del 30 maggio 1956 (Foro it., Eep. 1956, voce Estin
zione del processo, n. 34), secondo la quale : « ove il consigliere
(1) Con la presente decisione il Supremo collegio muta il contrario indirizzo, stabilito con la sentenza 30 maggio 1956, n. 1823, Foro it., Rep. 1956, voce Estinzione del processo, n. 34, costituente l'unico precedente edito sulla questione in oggetto.
istruttore abbia, nel dissenso fra le parti, dichiarato l'estin zione del processo, il collegio, dinanzi al quale sia stata
impugnata la ordinanza di estinzione, deve pronunziare ordinanza, con la quale rimette le parti davanti al consi
gliere istruttore per la precisazione delle conclusioni, e non può emettere, con sentenza, una pronunzia defini tiva di estinzione del processo ».
Ma questa decisione non può essere condivisa, ritenen
dosi, dopo un maturo e penetrante esame della questione, di dover giungere a conclusioni diverse ed opposte.
La citata sentenza n. 1823 del 1956, nella parte della motivazione che interessa, osserva che la Corte di merito « avrebbe potuto provvedere con sentenza se avesse ri tenuto infondato il reclamo stesso e l'avesse, quindi, re
spinto, ma che in realtà la sentenza impugnata non con tiene una pronunzia in tal senso, e, al contrario, essa ri conosce il fondamento della doglianza del reclamante, poiché afferma in termini espliciti la propria competenza a conoscere l'estinzione del processo, con esclusione della
competenza del consigliere istruttore ; che, sulla base di
questo rilievo, la Corte, poiché non poteva che accogliere o
respingere il reclamo, avrebbe dovuto, come conseguenza inderogabile da pronunziare con ordinanza, ricondurre il
processo nel suo iter normale, che era quello previsto dall'art. 350 del codice di rito civile (per il richiamo con tenuto nell'art. 187, 3° comma, dello stesso codice) e che avrebbe consentito alle parti di formulare interamente le loro conclusioni dinanzi all'istruttore e di esporre le loro
ragioni e difese nei modi stabiliti dagli art. 189 e 190 ; che non era dato, invece, alla Corte di merito di estendere il
proprio giudizio al di là dei limiti segnati dal reclamo, e di emettere, quindi, in sede di reclamo, quella pronunzia definitiva per la quale occorreva che il collegio fosse inve stito della piena cognizione della causa a norma degli art.
187, 189 e 190».
In primo luogo va precisato che nella specie il recla mo riguardava unicamente il merito della eccezione di estinzione del processo e le questioni che in relazione a tale eccezione erano sorte, e non già la competenza o meno del consigliere istruttore a dichiarare l'estinzione del pro cesso di appello ; competenza, benché non esattamente, ritenuta concordemente dai difensori delle parti, i quali al l'udienza del 17 dicembre 1958 chiedevano che il Consigliere istruttore pronunziasse su detta eccezione. Ciò, ovvia
mente, non attribuiva al Consigliere istruttore la competenza di pronunziare la estinzione del processo, riservata esclu sivamente al Collegio ; ma il rilievo è fatto per amore di
precisione, sebbene di nessuno effetto ai fini della decisione della questione già ricordata.
Va poi osservato che non è vero che la Corte, rigettando il reclamo, dopo avere esaminato e deciso tutte le questioni prospettate dalle parti in ordine al merito dell'eccezione di estinzione ed affermato in sostanza che doveva essere dichiarata l'estinzione del processo per la mancata riassun zione di questo entro il termine stabilito dopo l'avvenuta interruzione di diritto, abbia esteso il suo giudizio al di là dei limiti segnati dal reclamo. Infatti questo aveva per oggetto unicamente il merito dell'eccezione già detta e di tutte le questioni relative, unico punto sul quale le parti avevano interamente prospettato le proprie difese, tanto da non ritenere di dover usufruire del termine concesso dopo la proposizione del reclamo per presentare memorie : in realtà esse avevano ampiamente svolto oralmente e per iscritto avanti al Consigliere istruttore tutte le loro argomen tazioni a sostegno delle contrastanti tesi sulle questioni sorte, sempre in ordine alla estinzione o meno del processo.
Risulta da quanto suesposto che, di tutte le considera zioni contenute nella motivazione della citata sentenza n. 1823 del 1956, resta da esaminare quella relativa alla neces sità di ricondurre il processo nel suo iter logico, cioè di rin viare la causa all'Istruttore, perchè questi, a sua volta, invitasse le parti a prendere le conclusioni da sottoporre al
collegio ed investisse così quest'idtimo della piena cogni zione della causa-. Al riguardo è decisivo il rilievo che unica
esigenza fondamentale, posta dal 2° comma dell'art. 350 cod. proc. civ., nel testo attuale quale risulta dalla modifica
This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 00:32:45 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
935 PARTE PRIMA 936
apportata dall'art. 38 legge 14 luglio 1950 n. 581, è che la
contestazione in ordine alla estinzione del processo sia de
cisa dal collegio e non già dall'istruttore. Soddisfatta tale
esigenza fondamentale, sembra eccessiva indulgenza al
formalismo, unicamente fine a se stesso e non fondato su
alcuna esigenza sostanziale del processo, rinviare avanti
all'istruttore la causa che già si trova, per effetto del re
clamo proposto, avanti al collegio competente per l'esame
e la decisione dell'unico punto in contestazione. Infatti
il collegio è investito legittimamente e ritualmente del solo
punto oggetto di contrasto fra le parti e successivamente
oggetto della propria decisione, per la quale non erano neces
sarie conclusioni diverse da quelle contenute nel reclamo e
nelle difese prospettate avanti all'istruttore, prima che
questi pronunziasse l'ordinanza di estinzione. Sotto tale
aspetto non importa che la pronunzia della Corte è defini
tiva, nel senso che pone fine al giudizio di appello, sia
pure per motivi non di merito, ma di natura processuale, come nella specie si è Verificato.
Va, infine, osservato che la decisione non avrebbe potuto essere diversa di quella adottata dalla Corte di Venezia, anche se il Consigliere istruttore avesse avvertito la propria
incompetenza e rimesso la causa al Collegio, o se questo avesse rilevato che era sua competenza esclusiva dichiarare
la estinzione del processo e rimesso la causa avanti al Con
sigliere istruttore per un nuovo successivo rinvio al Collegio, in quanto, come sarà precisato in sede di confutazione degli altri mezzi del ricorso, e se ne è già fatto cenno, la Corte di
Venezia nella sentenza impugnata ha esattamente affermato
che nella specie doveva necessariamente, senza alcun dubbio, essere dichiarata l'estinzione del processo di appello, per mancata riassunzione della causa nel termine stabilito dopo l'avvenuta interruzione del processo.
Deve, pertanto, concludersi che ritualmente e legitti mamente la Corte di merito ha pronunziato la sentenza
impugnata, senza prima rinviare le parti innanzi al Consi
gliere istruttore. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
I
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 6 maggio 1960, n. 1038 ; Pres. Lorizio P., Est. Presa, P. M. Mazza (conci, diff.) ; Società Molino a cilindri (Ayv. Andrioli, Bevilacqua) c. Ditta fratelli Fontana (Avv. Pellegrini).
(Gassa App. Perugia 7 novembre 1957)
Appello in materia civile — Citazione — Copia —
Diletto di sottoserizione elei procuratore territorial mente abilitato — Originale — Sottoscrizione per autentica del procuratore abilitato — Nullità sa nabile.
Appello in materia civile — Citazione nulla — Costi tuzione dell'appellato — Limiti della sanatoria —
Fattispecie.
È nullo e non inesistente l'atto di appello che, nella copia notificata, rechi la firma di un procuratore territorialmente non abilitato, così nella parte relativa all'autentica della
firma del mandante, come nella sottoserizione dell'atto, ma, nell'originale, sia firmato per autentica da un pro curatore territorialmente abilitato. (1)
La nullità dell'atto di appello per difetto di sottoscrizione, nella copia, da parte di un procuratore territorialmente abilitato è sanata dalla costituzione dell'appellato, avvenuta
dopo trenta giorni da quello della notifica dell'appello, ma entro l'anno dalla pubblicazione della sentenza non
notificata. (2)
Il
CORTE D'APPELLO DI BRESCIA.
Sentenza 9 dicembre 1959 ; Pres. Coknelio P., Est. Ondei ; Bergo"bst c. Winkler.
Citazione in materia eivilc — Sottoscrizione —- Pro curatore territorialmente incompetente — Irre
golarità sanabile — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 156, 157, 164, 182).
La citazione sottoscritta da un 'procuratore che agisce extra districtum è affetta da irregolarità sanabile (nella specie : dall'indicazione come domiciliatario di un procuratore esercente nel distretto, che aveva provveduto ad iscrivere la causa a ruolo e ad assistere la parte per tutto il giudi zio). (3)
I
La Corte, ecc. — Con unico motivo la ricorrente denuncia la violazione degli art. 82, 83, 125, 156, 164, 327 342 e 359 cod. proc. civ., nonché degli art.. 1 e 5 r. decreto legge 27 novembre 1933 n. 1578, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. In particolare deduce : a) che avendo l'avv.
Mazza, iscritto nell'albo dei procuratori di Perugia, auten ticato la procura stilata in margine all'originale dell'atto di appello, tale firma era sufficiente anche ai fini della osservanza dell'obbligo della sottoscrizione del difensore, dovendo ritenersi che la firma apposta a margine dell'atto valesse pure come sottoscrizione ed assunzione di paternità dell'atto di appello e del suo contenuto. Sulla base di tale
premessa la ricorrente aggiunge che la mancata riproduzione della firma dell'avv. Mazza nella copia notificata avrebbe dovuto considerarsi irrilevante, sia perchè tale omissione doveva ritenersi sanata dalla comparizione dell'appellata, sia perchè nella copia dell'atto di appello, pur non figurando la firma dell'avv. Mazza, risultava che la procura era stata rilasciata anche a lui e quindi non poteva sorgere dubbio sulla provenienza dell'atto ; b) che la mancata autentica zione della procura nella copia notificata non privava questa ultima del suo valore, anche perchè alla predetta omissione
poteva essere attribuito il solo effetto che per negare la
(1-3) In senso conforme alla prima massima, da ultimo Cass. 10 giugno 1958, n. 1891, Foro it., Rep. 1958, voce Citazione, civ., n. 22.
La Cassazione ritiene che l'atto sia inesistente quando la firma del procuratore manchi nell'originale, mentre, se manca nella copia notificata realizza un caso di nullità (sanabile ex nunc con la costituzione della controparte), nullità che non sus siste quando dalla stessa copia notificata risulti comunque accertata la provenienza dell'atto : Cass. 23 novembre 1959, n. 3445, id., Rep. 1959, voce Appello civ., n. 46 ; 17 giugno 1959, n. 1895, 30 giugno 1959, n. 2046, ibid., voce Citazione civile, nn. 15, 17, 21, 22 ; 15 febbraio 1958, n. 481, id., Rep. 1958, voce cit., nn. 19-21 ; 10 giugno 1058, n. 1891, ibid., n. 22 ; 30 luglio 1958, n. 2780, ibid., nn. 23-26 ; 26 settembre 1958, n. 3037, ibid., voce Cassazione civ., n. 128 (per il ricorso in Cassazione) ; 11 ottobre 1957, n. 3740, id., Rep. 1957, voce Citazione civ., n. 23 ; 31 maggio 1957, n. 2007, ibid., nn. 27-30 ; 12 luglio 1957, n. 2827, ibid., nn. 31, 32 ; 9 maggio 1957, n. 1608, ibid., n. 35 ; 24 aprile 1957, n. 1387, ibid., n. 36 ; 14 marzo 1957, n. 875, id., 1957, I, 356, con ampia nota di richiami.
Si veda però Cass. 23 marzo 1960 n. 601, infra, 963, che ha ritenuto sanabile il vizio del precetto privo, sia sull'originale sia sulla copia, della firma di un procuratore territorialmente abilitato.
Nel senso, seguito dalla seconda massima, che la notifica zione dell'atto d'impugnazione nullo o inammissibile è idonea a far decorrere il termine accelerato per l'impugnazione, Cass. 19 ottobre 1955, n. 3310, Foro it., 1956, I, 877, con nota di richiami divergenti, cui adde, in conformità, Cabnacini, in iSiv. trim. dir. e proc. civ., 1956, 1027.
L'opinione della Corte d'appello di Brescia contrasta con quella attualmente dominante nella giurisprudenza della Corte regolatrice, ma trova conforto nella dottrina prevalente : l'una (cui adde Cass. 17 gennaio 1959, n. 123, Foro it., Rei). 1959, voce Citazione civ., n. 36 ; 4 maggio 1960, n. 1002, retro, 729, e 23 marzo 1960, n. 601, infra, 963, con ampia nota di richiami) e l'altra son riferite nella nota di richiami, già citata, retro, col. 574.
This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 00:32:45 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions